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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

SETTEMBRE 2002

 

 

 

DOMENICA 1 Settembre - 22^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

SAN EGIDIO; SAN VITTORIO

Parola di Dio: Ger. 20,7-9; Sal. 62; Rom. 12,1-2; Mt. 16,21-27

 

1^ Lettura (Ger. 20, 7-9)

Dal libro del profeta Geremia.

Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno; ognuno si fa beffe di me. Quando parlo, devo gridare, devo proclamare: "Violenza! Oppressione!". Così la parola del Signore è diventata per me motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno. Mi dicevo:"Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!". Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo.

 

2^ Lettura (Rm. 12, 1-2)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

 

Vangelo (Mt. 16, 21-27)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: "Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai". Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: "Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!". Allora Gesù disse ai suoi discepoli: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima? Poiché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni ".

 

RIFLESSIONE

 

Ci eravamo lasciati domenica scorsa, commentando la confessione di Pietro a Cesarea di Filippo, dicendo che questo apostolo, avendo lasciato parlare lo Spirito Santo che era in Lui aveva superato brillantemente l’esame su chi fosse Gesù; ma ci eravamo anche detti che, se Pietro era il portatore delle promesse che Gesù gli aveva fatto ed era il segno dell’unità della fede dei cristiani, egli non aveva smesso di essere anche Simone, l’uomo defettibile come tutti noi. Il vangelo che abbiamo ascoltato oggi ce ne dà la conferma. Ma se Pietro viene accusato da Gesù di essere "Satana" cioè colui che vuol dividere il maestro dalla volontà di Dio, andiamo piano a puntare il dito contro questo apostolo, perché davanti al discorso che Gesù ha fatto apertamente a Pietro e agli altri, con molta probabilità, anche per motivi di comprensione, saremmo stati anche noi pronti a mille contestazioni. Gesù infatti, appena gli apostoli hanno riconosciuto in Lui il Figlio di Dio, "cominciò apertamente a dire ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti, degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno" Hai appena incontrato il Messia tanto atteso, hai riconosciuto in Lui il Figlio di Dio, hai lasciato tutto per seguirlo… Ecco, ti aspetteresti che questo Messia cominci finalmente a manifestarsi, ad organizzare, magari anche attraverso di te, il popolo per una ribellione contro i Romani invasori, ti potresti aspettare magari battaglie, ma dall’esito trionfale e soprattutto ti aspetti che il tuo popolo venga liberato ed esaltato, ed invece proprio Lui ti dice che dovrà andare a Gerusalemme non per conquistare la città e renderla agli Israeliti, ma per affrontare un giudizio e, scandalo ancora maggiore, questo giudizio di morte nei suoi confronti non avverrà per causa dei pagani, ma per causa dei Sommi Sacerdoti, degli scribi, degli anziani, cioè dei depositari della fede di Israele. Sì. Gesù parla di risuscitare al terzo giorno, ma questa è una promessa vaga, mentre l’insuccesso è certo. Non sarà forse un momento di pessimismo? Gesù ha bisogno di essere incoraggiato e poi, Gesù, non ci siamo noi a darti una mano nella conquista del potere? No! Non è un momento di pessimismo Gesù rimprovera Pietro e noi increduli davanti alla sua sofferenza, dicendoci che ragioniamo solo secondo la mentalità umana e rincara la dose con parole "impossibili": "Se volete seguirmi c’è una croce che vi aspetta. Chi perderà la propria vita la troverà… "Quante volte mi sono sentito chiedere e mi sono chiesto io stesso: "Perché la croce per Gesù?". Ma non poteva Dio salvare l’uomo senza la croce? Gesù ha parlato di volontà del Padre, dunque è Dio Padre che ha voluto che suo Figlio Gesù morisse sulla croce? Sia ben chiaro: Dio non ha voluto che Gesù morisse sulla croce. La crocifissione del Messia è un peccato degli uomini. Gesù dava fastidio ai potenti e ai religiosi per il suo modo indipendente di fare, per la sua "irreligiosità", per il suo prendersela con le autorità religiose, e questi personaggi, toccati nel vivo, per paure politiche, attraverso anche il tradimento di Giuda, commettono il peccato della uccisione di un innocente. Dio non può volere il peccato o essere connivente con esso. E’ Gesù stesso che ha scelto liberamente di essere vittima dei peccatori per salvarli. Davanti a tale generosità noi uomini non possiamo far altro che inginocchiarci in silenzio: l’uomo ha usato la sua libertà per uccidere Gesù, Gesù ha usato la sua libertà per far risorgere l’uomo. E anche le nostre croci possono avere un senso. Se la croce ci coglie proprio per aver seguito Gesù (pensiamo ai martiri di tutti i tempi, pensiamo alle prove dei testimoni del vangelo), allora dovremmo addirittura gioire: ce lo ha detto Lui: "Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno per causa mia, rallegratevi…" Ecco che sia le croci della vita, sia la croce di Gesù, se sappiamo viverle con fede, chiedendo aiuto proprio a Lui, si trasformano veramente in gioia, quella gioia che il mondo giustamente deve attendersi da coloro che credono in Cristo. Ma si può gioire quando è Gesù stesso che ci chiede di "rinnegare noi stessi, di perdere la nostra vita?" Che cosa significa? Anzi, è possibile ed è lecito rinnegare se stessi? A pensarci bene, portando alle estreme conseguenze, "rinnegare se stessi" equivale a togliersi la vita, commettere suicidio, che non è certo da raccomandarsi e completamente contrario al rispetto del dono della vita. Dobbiamo dunque fare subito una distinzione. Gesù non chiede di rinnegare «ciò che siamo», ma ciò che «siamo diventati». Noi siamo immagine di Dio, siamo perciò qualcosa di «molto buono», come ebbe a dire Dio stesso, subito dopo aver creato l'uomo e la donna. Quello che dobbiamo rinnegare non è quello che ha fatto Dio, ma quello che abbiamo fatto noi, usando male della nostra libertà. In altre parole, le tendenze cattive, il peccato, tutte cose che sono come incrostazioni posteriori sovrapposte all'originale. «Rinnegare» significa dunque, in realtà, come spiega Gesù stesso, "ritrovare": "Chi perderà la propria vita, la troverà". Rinnegarsi è il vero modo di realizzarsi! Noi siamo un po’ come quei quadri che con l’andare degli anni hanno perso la vivezza dei colori, abbiamo bisogno di essere restaurati, il rinnegare la polvere, la patina del tempo serve a farci ritrovare la nostra originalità. "Rinnegare se stessi" non è dunque un'operazione per la morte, ma per la vita, per la bellezza e per la gioia. Se volete, è un uccidere se stessi, a patto però che per «noi stessi» intendiamo questo nostro «io» posticcio, che è la parte peggiore di noi che tanto spesso siamo i primi a detestare. In questo periodo dell'anno, ad estate avanzata, i nostri vigneti sono carichi di grappoli che cominciano a maturare al sole e annunciano prossima la vendemmia. Ma come è giunta la vite a portare questi meravigliosi grappoli? Lasciandosi potare, perdendo inesorabilmente tralci superflui. La vite, si dice, "piange" quando è potata, perché di fatto dai rami recisi escono gocce d'acqua simili a lacrime, ma in seguito, se potesse parlare, benedirebbe la mano che l'ha potata. Tutto questo ci ricordano le parole di Gesù: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto". Ma in concreto come si sceglie di "rinunciare a noi stessi". I modi sono molteplici ad esempio: senti ribollire in te l'ira per qualche cosa che ti sembra storta, in casa con i figli o sul lavoro. Ti domini, dici no, aspetti di essere calmo per parlare. Hai riportato vittoria. Una grande vittoria, perché è più facile lottare contro un esercito che contro se stessi. Non si vive in pace in famiglia e nella società, senza la capacità di sapere dire qualche no a se stessi. Ogni no detto a se stesso è un si detto all'altro, all'onestà, alla concordia. C’è uno spettacolo violento o chiaramente licenzioso alla televisione; la tua curiosità ti dice: ma si, guardalo, in fondo sei un uomo, non un bambino: che male ti può fare? Tu dici: no, perché dovrei sporcarmi il cuore e gli occhi? Hai rinnegato te stesso. Sono mille i modi per ricostruire noi stessi ad immagine e somiglianza di Dio. Per parlarci ha preso la nostra carne, ha usato il nostro linguaggio, noi attraverso questa purificazione possiamo cominciare a conoscere e a parlare il linguaggio di Dio per dialogare con Lui.

 

 

LUNEDI’ 2 Settembre

SAN ANTONINO; SAN ELPIDIO

Parola di Dio: 1Cor. 2,1-5; Sal. 118; Lc. 4,16-30

 

"C’ERANO MOLTI LEBBROSI AL TEMPO DEL PROFETA ELISEO, MA NESSUNO DI LORO FU RISANATO SE NON NAAMAN IL SIRO". (Lc. 4,27)

Dio non è dalla nostra parte perché noi pensiamo di essere dalla parte giusta. Certe sicurezze umane che servono per sentirci buoni crollano davanti al Vangelo: in un ricco albergo di Pisa vidi un "monsignore" in alta uniforme, con tutti i sui bottoni rossi inalberarsi contro un uomo e lo sentii dirgli con sussiegosa alterigia: "Si figuri se posso interessarmi dei suoi problemini, lei non sa che ruolo ho io nella curia romana!". Probabilmente il suo ruolo era importante nell’apparato degli uomini, ma nel Regno di Dio ci sono ruoli diversi, non gradi diversi. So di essere stato ‘usato’ da certi parenti per dire ad altri la loro presunta religiosità: "Sa, nella nostra famiglia abbiamo un cugino prete!". Tantissime volte mi sono sentito dire: "Questa grazia la chieda lei al Signore; il Signore la ascolta di più", ed ho sempre accettato di pregare perché è bello che Dio ci veda uniti nella preghiera, non di certo perché la preghiera di un prete possa ‘comprare’ Dio più facilmente di quella di un'altra persona. Dio è amore gratuito per ogni uomo, nessuno può comprarlo. Si può anche scrivere sui cinturoni dei soldati e sui carri armati: "Dio è con noi!", al massimo è una bestemmia. I cappellani militari di eserciti contrapposti non benedicono i loro soldati perché vincano, pregano per quei poveri uomini destinati a mettere la pelle sul bastone e comandati ad uccidere. Quanto sono ridicole certe propagande in stile americano per far capire che una confessione religiosa è migliore dell’altra, quasi a dire: "Il Dio migliore l’abbiamo noi", "Da noi Dio fa miracoli, dagli altri no". Dio dona ad ogni uomo, aldilà della confessione religiosa ciò che è necessario affinché in modi molto diversi ogni uomo abbia la possibilità di realizzare la sua volontà. Perché, allora, la gelosia gli uni nei confronti degli altri? Non dovrei essere felice nel vedere l’ateo dotato di una solidarietà generosa nei confronti degli altri? Non sarà proprio questo a farlo agire come Dio vorrebbe? Perché sorridere con aria sufficiente davanti al musulmano che prega pubblicamente? Sono forse geloso perché io non oso manifestarla pubblicamente la mia fede? Perché le lotte tra i gruppi ecclesiali per primeggiare? Non c’è forse spazio per tutti per testimoniare la fede nell’amore? Ci ricorda Paolo che ogni dono è dato per il bene di tutti. Dio non ha tolto niente a me per darlo ad altri: a dato a ciascuno il giusto e il necessario.

 

 

MARTEDI’ 3 Settembre

SAN GREGORIO MAGNO, Papa e Dottore della Chiesa

Parola di Dio: 1Cor. 2,10-16; Sal 144; Lc. 4,31-37

 

"CHE PAROLA E’ MAI QUESTA, CHE COMANDA CON AUTORITA’ E POTENZA AGLI SPIRITI IMMONDI ED ESSI SE NE VANNO?". (Lc. 4,36)

I contemporanei di Gesù rimangono meravigliati davanti alla sua persona e al suo insegnamento. Quando Gesù insegna, la sua non assomiglia alla parola degli altri maestri, scribi e dottori della legge, che è soltanto commento di parole scritte da altri. La parola di Gesù viene direttamente dalla sorgente divina, ne ha l’autorità, la potenza, l'efficacia. La Parola di Gesù è come quella di Dio nella Bibbia: una parola che crea. Quando Gesù comanda al demonio, la sua parola è efficace contro di lui, che deve andarsene. Anche noi, come le folle che lo seguivano durante la sua vita storica, se vogliamo, possiamo sperimentare la potenza della parola di Gesù. Quando la meditiamo, la sua potenza diventa luce per la nostra vita. Anche le cose all’apparenza impossibili che essa ci indica, con la potenza di Dio sono possibili. Nel sacramento della Riconciliazione la sua efficacia ci libera dal peccato. Nell'Eucaristia è la parola di Cristo che trasforma il pane nel suo corpo, il vino nel suo sangue. Ed è ancora nel nome e con la forza della parola di Gesù che noi possiamo lottare e vincere il male e il maligno, e non solo attraverso gli esorcismi per cacciare Satana, ma attraverso l’opporre il bene che la parola suggerisce al male con una forza che viene direttamente da Dio. Madre Teresa di Calcutta ha realizzato un’opera così grande in questo nostro mondo non in virtù propria, anche se molti erano i suoi doni personali, ma perché si è fidata di Dio, ha creduto alla sua Parola, si è abbeverata ai suoi comandamenti ed ha lasciato che la parola potente di Dio continuasse con autorità ad operare il miracolo della sconfitta del male.

 

 

MERCOLEDI’ 4 Settembre

SANTA ROSA da Viterbo; SANTA ROSALIA

Parola di Dio: 1Cor. 3,1-9; Sal. 32; Lc. 4,38-44

 

"SUL FAR DEL GIORNO USCI’ E SI RECO’ IN UN LUOGO DESERTO. MA LE FOLLE LO CERCAVANO E LO RAGGIUNSERO". (Lc. 4,42)

Il Vangelo di Luca è un Vangelo che non ci presenta mai Gesù fermo, ma sempre in cammino; come pure nel secondo libro di Luca, gli Atti, è narrato un continuo camminare degli apostoli per il mondo per portare la "buona notizia". E’ esigenza per Gesù e per la comunità primitiva essere missionari. Nel brano evangelico odierno noi abbiamo visto Gesù che ha passato un’intera giornata a predicare, guarire, cacciare i demoni, è stato "mangiato" dalla folla, dalle parole, dal rumore: ora Egli ha bisogno di silenzio, di raccoglimento. Penso che tutti noi facciamo, a volte, l’esperienza di sentire il bisogno del silenzio. Come sarebbe bello poter "staccare la spina", spegnere il cicaleccio delle chiacchiere inutili, dei convenevoli, dei giornali e della televisione per ritrovare la pace, ritrovare noi stessi, rispolverare i valori per cui viviamo, aver tempo per Dio. E poi ci accorgiamo che la famiglia ha bisogno di noi, noi stessi abbiamo bisogno degli altri. Se allora è un’utopia immaginarci una giornata di solitudine, dobbiamo però crearci qualche angolo di deserto per non rischiare di perderci. Ma è possibile con il ritmo frenetico in cui viviamo? Dico di si. Basta volerlo. Ognuno di noi può riuscire a trovare ogni giorno un quarto d’ora in cui isolarsi (anche senza andare lontano, magari in pullman, o mentre fai i letti, o nella pausa pranzo...) per ritrovare se stessi, i valori per cui si corre, Dio con la sua parola di Vita... e poi, dopo, possiamo continuare a farci "mangiare" ma con una disponibilità rinnovata.

 

 

GIOVEDI’ 5 Settembre

SAN LORENZO GIUSTINIANI; SAN VITTORINO

Parola di Dio: 1Cor 3,18-23; Sal. 23; Lc. 5,1-11

 

"SULLA TUA PAROLA GETTERO’ LE RETI". (Lc. 5,5)

Dopo una notte infruttuosa, Pietro, esperto nella pesca, avrebbe potuto sorridere e rifiutarsi di accettare l'invito di Gesù a gettare le reti di giorno, momento meno propizio. Invece, Pietro si fida di Gesù.

E’ questa una situazione tipica attraverso la quale anche oggi ogni credente, proprio perché credente, è chiamato a passare. La sua fede, infatti, è messa alla prova in mille modi. Seguire Cristo significa decisione, impegno e perseveranza, mentre in questo mondo in cui viviamo, tutto sembra invitare al rilassamento, alla mediocrità, al "lasciar perdere". Il compito appare troppo grande, impossibile a raggiungersi, e fallito in anticipo. Occorre allora la forza di andare avanti, di resistere all'ambiente, al contesto sociale, agli amici, ai mass-media. È una prova dura da combattere giorno per giorno, o meglio ora per ora. Ma, se la si affronta e la si accoglie, essa servirà a farci maturare come cristiani, a farci sperimentare che le straordinarie parole di Gesù sono vere, che le sue promesse si attuano, che si può intraprendere nella vita un'avventura divina mille volte più affascinante di quante altre ne possiamo immaginare, dove possiamo essere testimoni, ad esempio, che mentre nel mondo la vita è spesso così stentata, piatta ed infruttuosa, Dio ricolma di ogni bene chi lo segue: dà il centuplo in questa vita, oltre alla vita eterna. È la pesca miracolosa che si rinnova. C’è anche un altro aspetto in cui davvero bisogna fidarsi della parola di Gesù al di là di ogni nostro ragionamento umano ed è quello di continuare a dare una testimonianza cristiana mentre sembra che non serva a nulla e che nessuno se se accorga. Quando, dopo aver magari fatto per anni il catechismo, ti accorgi che neppure uno dei bambini del tuo gruppo va a Messa, quando ti rendi conto che nonostante il tuo esempio, le tue parole, proprio tuo figlio non vuol più saperne di religione e di fede, quando nella tua parrocchia, nonostante i tuoi tanti sforzi, vedi tutto stagnare nell’abitudine, nell’indifferenza assoluta, anche in questi casi è proprio il momento di continuare a gettare le reti, sulla parola di Gesù. Dobbiamo fare anche noi la scelta di Pietro: "Sulla tua parola" Aver fiducia nella sua parola; non mettere il dubbio su ciò che Egli chiede. Anzi: basare il nostro comportamento, la nostra attività, la nostra vita sulla sua parola. Fonderemo così la nostra esistenza su ciò che vi è di più solido, sicuro, e contempleremo, nello stupore, che proprio là dove ogni risorsa umana viene meno, Egli interviene, e che là, dove è umanamente impossibile, nasce la vita.

 

 

VENERDI’ 6 Settembre

SAN ZACCARIA; SAN UMBERTO

Parola di Dio: 1Cor. 4,1-5; Sal. 36; Lc. 5,33-39

 

"POTETE FAR DIGIUNARE GLI INVITATI A NOZZE MENTRE LO SPOSO E’ CON LORO?"(Lc. 5,34)

Spesso ci ricordiamo che il Vangelo è novità assoluta, ma altrettanto spesso noi lo viviamo come se fosse la cosa più abituale, più solita di un modo di cultura e di comportamento, che, tutt’altro che essere nuovo, è spesso fatto di abitudini, tradizioni, riti, norme. Eppure basterebbe leggere con attenzione la pagina del Vangelo odierno per scoprire quale sia la novità portata da Gesù. Prima di tutto il Regno di Dio non è un Regno di poteri a misura di quelli terreni, è una festa di nozze, E’ Dio che ha sposato la nostra umanità, è Dio che per dirci: "Ti voglio bene", ha lasciato il suo cielo e si è fatto uno di noi: si può dunque essere tristi pensando che Dio è il nostro sposo? Si può essere abitudinari il giorno delle proprie nozze? E se Gesù è il nostro tutto, si può ancora discutere di digiuni, di sacrifici, di offerte? Lui è la nostra offerta a Dio e Lui è l’offerta di Dio per noi! Come si può, ad esempio, intendere la Messa come un cerimoniale, un rito, quando essa è il mistero di amore di un Dio che è morto, risorto per me e che per permettermi di entrare in comunione con Lui e con i fratelli si fa pane? Noi, come ogni uomo, abbiamo paura delle novità: esse ci coinvolgono, ci obbligano ad uscire dai nostri nidi abituali e allora le smorziamo. Abbiamo la novità di Gesù e la riduciamo a rito religioso; abbiamo la libertà dei figli di Dio e preferiamo ridurci all’osservanza spesso esteriore di alcune norme, riduciamo la bellezza del vangelo ad un formulario di norme di "buona educazione civile", davanti a prospettive enormi che il Vangelo ci apre preferiamo scegliere il minimo indispensabile "per salvarci l’anima"… Volete fare un piccolo esperimento? Provate anche solo per un momento a far finta di dimenticare tutto quello che vi hanno insegnato di religione, di morale, di paradisi e inferni ed aprite una pagina qualsiasi di Vangelo, magari anche solo quella che ci viene proposta oggi e, senza remora alcuna, lasciate che vi interpelli personalmente: scoprirete certamente che il Vangelo non è una pillola per addormentare le coscienza, ma una bomba che può capovolgere davvero tutto il senso del nostro vivere.

 

 

SABATO 7 Settembre

SAN GRATO d’Aosta ;SANTA REGINA

Parola di Dio: 1Cor. 4, 6-16; Sal. 144; Lc. 6,1-5

 

"PERCHE’ FATE CIO’ CHE NON E’ PERMESSO IN GIORNO DI SABATO?". (Lc. 6,2)

"Insomma, don Franco, non si capisce più niente: una volta se non andavo a Messa la domenica era un peccato grave e dovevo andare a confessarmi per poter fare la comunione, bisognava ben essere attenti a non fare "lavori servili" di domenica perché anche questo era un peccato, poi avete cominciato a mischiare le carte. Se non posso andare a messa la domenica va bene anche il sabato sera ( e qualcuno dice che se non ce la faccio la domenica va bene anche il lunedì o il martedì), poi per "doveri di carità" si può anche saltare la Messa, poi qualcuno di voi preti dice che alla fine dei tempi Dio non guarderà alle Messe che abbiamo preso… E io vedo sempre meno gente in chiesa e sempre file più lunghe ad andar ad allungare una meno per prendere l’Eucaristia: ma saranno poi tutti così bravi da non aver mai nulla di cui chiedere perdono prima di fare la Comunione?" Certamente persone come quella che mi ha proposto questi interrogativi, sono persone in buona fede e questo modo di pensare deriva da tutta una forma educativa che abbiamo ricevuto, ma è anche un modo legato ad una religione più di norme codificate che non ad una, quella di Gesù, che prima delle norme mette l’uomo. Cerco di spiegarmi: le norme, anche quelle religiose, vanno benissimo, in certi casi sono necessarie per indirizzare al giusto fine il comportamento dell’uomo nei confronti del sacro o nei confronti dei fratelli, ma quando le norme rischiano di uccidere l’uomo imponendogli qualcosa che non solo non lo rende libero, ma lo asfissia, togliendogli il senso di quello che sta facendo, allora le norme vanno superate dai valori della coscienza, della carità, del rispetto del prossimo. Tornando all’esempio della Messa della domenica, come è diverso dire: "Vado a Messa la domenica perché se no commetto peccato mortale" o dire: "Per me la Messa domenicale è indispensabile perché celebra i doni del Signore e mi permette di essere in comunione con Lui e con i fratelli. E’ un vero peccato non andarci per motivi futili"

 

 

DOMENICA 8 Settembre - 23^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

NATIVITA’ DELLA BEATA VERGINE MARIA

Parola di Dio: Ez. 33,7-9; Sal. 94; Rom. 13,8-10; Mt. 18,15-20

 

1^ Lettura (Ez. 33, 7-9)

Dal libro del profeta Ezechiele.

Così dice il Signore: "Figlio dell'uomo, io ti ho costituito sentinella per gli Israeliti; ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia. Se io dico all'empio: Empio tu morirai, e tu non parli per distoglier l'empio dalla sua condotta, egli, l'empio, morirà per la sua iniquità; ma della sua morte chiederò conto a te. Ma se tu avrai ammonito l'empio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità. Tu invece sarai salvo ".

 

2^ Lettura (Rm. 13, 8-10)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

Fratelli, non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore.

 

Vangelo (Mt. 18, 15-20)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo. In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro ".

 

RIFLESSIONE

 

Gesù, nel suo parlare con i discepoli, così come ce lo presenta il Vangelo, non ha dato norme specifiche di comportamento tali da costituire un nuovo codice morale. Gesù ci ha richiamato ai comandamenti riassumendoli nel comandamento dell’amore, come abbiamo sentito da Paolo nella seconda lettura di oggi, quando ci diceva: "Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. " Cioè è bello poter vivere senza debiti che angosciano, ma l’unico debito necessario per il cristiano, l’unica attenzione che bisogna avere verso gli altri è quella di amare perché "chi ama ha adempiuto ogni legge". Ma Gesù, con la sua concretezza, ha visto come vivevano i suoi primi discepoli e poteva facilmente sapere come si sarebbero comportati anche i cristiani dei secoli successivi perciò da delle indicazioni sulla vita della comunità che Matteo raccoglie appunto nel capitolo 18 di cui oggi abbiamo letto una parte, e una di queste prime indicazioni è quella che noi chiamiamo della "correzione fraterna". Questo perché Gesù sa che anche nella migliore comunità cristiana alberga sempre il male, sa che il vivere insieme da fratelli non sempre è facile e sa che le lotte e le invidie nate tra i credenti possono portare addirittura al disfacimento della comunità. Ecco allora che ci invita alla correzione e al perdono fraterno. Ma, prima di tutto qual è il motivo ultimo per cui bisogna praticare la correzione fraterna? Non certo per voler dimostrare a tutti i costi gli errori degli altri in modo da far risaltare la nostra presunta bontà o superiorità. Neppure quello di scaricarsi la coscienza in modo da poter dire poi: "lo te lo avevo detto. lo ti avevo avvertito! Peggio per te se non mi hai dato ascolto". No, lo scopo è "guadagnare il fratello". Cioè il genuino bene dell'altro. Perché possa migliorarsi, non andare incontro a spiacevoli conseguenze. Se si tratta di una colpa morale, perché non comprometta il suo cammino spirituale e la sua salvezza eterna. Racconta mons. Antonio Riboldi: Un giorno andai da una signora che era molto ricca e, mentre parlavo, gesticolavo. Avevo visto sul tavolo un vetrino, l’ho preso in mano e giocavo. La ricca signora sbarrava gli occhi, guardava quel vetrino dicendomi: "Padre, mi dia, è un diamante di grande valore". Io pensavo che fosse un vetro rotto. Di fronte agli altri, è la stessa cosa. Se io guardo un uomo con gli occhi di Dio che è Padre, allora è un diamante; se lo guardo con amore, è un diamante; gli do valore. Ma se per me l’uomo non è niente, è vetro, non gli do valore. Quando guardo l’altro, devo chiedermi: chi è l’uomo? Se l’uomo è figlio di Dio, deve essere un diamante che tutti trattano con delicatezza, come si tratterebbe Dio stesso. Sapete come si fa a combattere i mascalzoni, le tangenti la mafia? Affrontandole con umiltà e fortezza, che sostengono il coraggio di dire in faccia a uno: "Hai sbagliato". Se noi vivremo così di impegno e di speranza, renderemo un grande servizio all’umanità". Dunque la correzione fraterna è necessaria. Ma Gesù non si ferma li, e passa a indicare il come correggere. In primo luogo sembra suggerire la delicatezza, il rispetto, la solidarietà. Il buon pastore non rimprovera la pecora perduta, se la carica sulle spalle. Chi vuole correggere deve mettersi dalla parte dell'altro, non contro l'altro. Poi Gesù prescrive la gradualità nel modo di intervenire. In un primo momento la correzione sarà un semplice intervento a tu per tu. Don Bosco consigliava agli educatori: "Se dovete dare un avvertimento, datelo da solo a solo, in segreto, e con la massima dolcezza". Se non basta, dice Gesù, in un secondo momento la correzione sarà fatta alla presenza di testimoni cioè davanti ad altre persone perché anche altri confermino che il richiamo è necessario. Se neppure questo basta, ecco il terzo momento: occorre affidare il caso alla comunità intera anche con le sue forme di autorità. Da ultimo, se tutto questo non basta ancora, si finisce col considerare l'altro come fuori della comunità. È la decisione dolorosa, che nel linguaggio della Chiesa - in casi estremi, per apostati, eretici, scismatici - viene detta scomunica. Ma va subito notato che almeno in teoria non è la comunità o la Chiesa che scaccia il fratello, in realtà è lui che con la sua condotta purtroppo si è messo fuori da solo. Gesù ci ha anche insegnato che occorre conservare in cuore la disposizione al perdono, all'accoglienza, al reinserimento nella comunità. Gesù ce lo ha spiegato nella parabola del figliol prodigo; ricordiamo quel particolare: il padre ogni sera andava a scrutare l'orizzonte, ansioso, sperando di vedere finalmente il figlio tornare. Così intendeva la correzione Gesù. E come faremo noi oggi? Non possiamo limitarci ad assistere al fallimento del nostro fratello, a contemplare lo spettacolo di uno accanto a noi che cola a picco. Per esempio nella droga o nella delinquenza.Il vero cristiano non lascia l'altro come era prima, lo aiuta a crescere. Voler bene a una persona significa volere il suo bene. Perciò a volte comporta i toni della severità, tende a trasformare l'altro, lo libera dalle pastoie, dalle mediocrità. E lo riconduce nella comunità. Le situazioni concrete della vita sono tante. Pensiamo per esempio ai genitori con i loro piccoli: quante correzioni occorrono! Eppure si danno genitori moderni, che in nome di un certo spirito liberale li abbandonano a se stessi. Qualcuno, Jean Cocteau, ha osservato sorridendo amaramente: "I ragazzi d'oggi godono di una tale libertà, che non hanno più la soddisfazione di disobbedire". Quanto c'è da lavorare, per aiutare i figli a adottare un comportamento non più istintivo, da animaletto, ma ragionevole: che fatica portarli a diventare maturi, padroni di sé! Anche nel matrimonio la correzione ha un ruolo grande. Non ci si sposa perché si è trovato il partner perfetto, ideale, dei sogni, ma piuttosto, con realismo, per aiutarsi a diventare migliori insieme. Altrimenti la vita di coppia diventa un peso e i pesi, si sa, non si portano volentieri a lungo. E allora, quando occorre, certe cose bisogna pur dirsele. Con delicatezza, ma anche con chiarezza. Anche tra amici, nelle associazioni bisogna educarci vicendevolmente a migliorare sempre nel rispetto degli altri. Tornando al tema della correzione, dobbiamo dire che non sempre dipende da noi il buon esito nel fare una correzione: nonostante le nostre migliori disposizioni, l'altro può non accettarla, irrigidirsi; in compenso dipende sempre ed esclusivamente da noi il buon esito nel ricevere una correzione. Infatti la persona che "ha commesso una colpa" potrei benissimo essere io, e il "correttore" essere l'altro: il marito, la moglie, l'amico, il confratello. Insomma, non esiste solo la correzione attiva, ma anche quella passiva; non solo il dovere di correggere, ma anche il dovere di lasciarsi correggere. Ed è qui, anzi, che si vede se uno è maturo abbastanza per correggere gli altri. Chi vuole correggere qualcuno deve anche essere pronto a farsi, a sua volta, correggere. Quando vedete una persona ricevere un osservazione e la sentite rispondere con semplicità: "Hai ragione, grazie per avermelo fatto notare !", levatevi tanto di cappello: siete davanti a un vero uomo o a una vera donna. E ricordiamo infine che il vero momento della correzione, del cambiamento, del miglioramento, lo troviamo nel Sacramento della confessione. Confessarsi è dichiarare a Dio la propria colpa e il proprio amore, e lì è Dio che con amore e misericordia ci corregge e ci dà la forza di cambiare.

 

 

LUNEDI’ 9 Settembre

SAN PIETRO CLAVER

Parola di Dio: 1Cor. 5,1-8; Sal. 5; Lc. 6,6-11

 

"E’ LECITO IN GIORNO DI SABATO FARE DEL BENE O FARE DEL MALE, SALVARE UNA VITA O PERDERLA?". (Lc. 6,8)

Nel Vangelo troviamo spesso i farisei all'erta per cogliere in fallo Gesù. Essi non sono "i cattivi", sono anzi coloro che garantiscono la fedeltà di Israele a Dio, ma purtroppo, per essere troppo gonfi di se stessi e del proprio ruolo, per essere diventati legulei ipocriti essi scombinano tutto il vero senso del religioso e rischiano di essere il maggiore ostacolo all’opera di Dio. Desiderano che Gesù guarisca quest'uomo che ha una mano inaridita, non per compassione verso di lui, ma per poter accusare il Signore di essere un inosservate della legge del sabato. Gesù conosce i loro pensieri e potremmo dire che tenta ancora una volta di aprire i loro occhi: "Domando a voi. E lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male?"... Ma essi furono pieni di rabbia. Essi si illudono sulla propria perfezione, e dimenticano che Dio vuole misericordia, giustizia, fedeltà e non osservanze esterne, vuote di carità e dettate dall'orgoglio. E noi? È molto facile che anche noi ci illudiamo su tante cose che ci riguardano e soprattutto a proposito della carità: spesso giudichiamo severamente i comportamenti altrui e non vediamo la nostra durezza di cuore; sosteniamo con veemenza i nostri punti di vista e non ci rendiamo conto di farlo a scapito della carità, causando divisione e sofferenza, spesso siamo convinti di essere gli unici detentori della verità e ci impanchiamo giudici per i fratelli dettando magari leggi valide per tutti, cercando poi mille scusanti per le nostri personali debolezze. C'è in noi del "lievito vecchio" da togliere - per usare le parole di Paolo - per vivere davvero nella novità di vita di Cristo. Chiediamo a lui di metterci sulla strada della carità.

 

 

MARTEDI’ 10 Settembre

SAN NICOLA da Tolentino

Parola di Dio: 1Cor. 6,1-11; Sal. 149; Lc. 6,12-19

 

"TUTTA LA GENTE CERCAVA DI TOCCARLO PERCHE’ DA LUI USCIVA UNA FORZA CHE SANAVA TUTTI". (Lc. 6,19)

Qualche volta ci sorprendiamo a pensare: "Ah, se fossi vissuto ai tempi di Gesù! Lo avrei potuto incontrare, toccare, gli avrei parlato dei miei malanni fisici e spirituali, avrei potuto essere sanato da Lui…". Un giorno uno di questi pensieri mi ha sorpreso proprio mentre celebravo l’Eucaristia e allora mi sono vergognato profondamente. Pensavo ad un Gesù lontano nella storia e nel tempo e lo avevo lì davanti, mi studiavo su cosa gli avrei detto, su come mi sarei comportato con Lui e non gli parlavo mentre lo avevo davanti, pensavo alla fortuna di quella donna malata di perdite di sangue che aveva avuto l’opportunità di toccargli il lembo del mantello ed essere guarita e non mi rendevo conto che ero io a toccare il suo corpo, a comunicarmi con Lui nell’Eucaristia. Dio non è lontano. Gesù pur essendo assunto in cielo nella gloria non ha mai finito di incarnarsi, Dio lo puoi incontrare ogni giorno nei fratelli e aspetta in silenzio, nel buio e spesso nel vuoto delle chiese a cui passi davanti di corsa. E’ vivo oggi e non solo un pezzo di pane qualunque. Da Lui ancora oggi esce una forza che può cambiare la nostra vita. Con Lui puoi riuscire perfino a perdonare, dalla sua forza puoi essere guarito dai tuoi peccati, attraverso la sua croce puoi trovare anche un senso alla tua e all’altrui sofferenza. Lui non solo non ha paura che lo tocchiamo, ma aspetta con impazienza che la nostra fede ci porti a questo gesto; Lui non è avaro di doni nei nostri confronti, è suo desiderio donarci tutto, soprattutto se stesso. Hai Dio a portata di mano: non passargli accanto senza vederlo!

 

 

MERCOLEDI’ 11 Settembre

Santi PROTO E GIACINTO

Parola di Dio: 1Cor. 7, 25-31; Sal. 44; Lc. 6,20-26

 

"BEATI VOI, POVERI… MA GUAI A VOI, RICCHI". (Lc. 6,20.24)

E’ proprio vero che l’abitudine riesce a livellare tutto. Davanti ad una pagina di Vangelo come quella odierna (e abbiamo anche il coraggio di chiamarla magna carta di tutto il cristianesimo) dovremmo rimanere perplessi se non scandalizzati, scossi e invogliati a fare grandi cambiamenti nel nostro modo di vivere, e invece assorbiamo tranquillamente che il Signore chiami "Beati i poveri " e lanci dei "Guai" ai ricchi. Ma se noi facciamo di tutto con le nostre scelte di vita per realizzare l’opposto! Con falsa "umiltà cristiana" diciamo che per noi il denaro è un mezzo che ci serve, però ne abbiamo una buona scorta in banca "per i tempi difficili". Siamo disposti a sopportare un po’ di fame, ma solo quando siamo costretti alla dieta perché abbiamo mangiato troppo. Facciamo di tutto per essere apprezzati e applauditi dagli uomini e quando questo non succede, lanciamo saette contro chi ci è contrario o anche solo non la pensa come noi. Come la mettiamo con le beatitudini? Sono forse solo le parole di un esaltato religioso? O sono delle indicazioni vaghe per farci capire che il troppo, nelle cose materiali, poi stroppia? E spesso, chi ha cercato di prendere sul serio questa pagina ne ha fatto un impegno talmente duro da renderla una pagina di ascesi piena di timori e di paure, di rinunce e di penitenze. Eppure, proprio qui troviamo tutto il Vangelo della gioia vera. Gesù ci dice "fortunati", "beati" se abbiamo capito che la vera felicità non è nelle cose che passano, se abbiamo capito che la sofferenza può tramutarsi in grazia per noi e per gli altri, se per amore di Dio e del prossimo siamo disposti a perdere la faccia davanti ad un mondo che si fa beffe di tutti coloro che non la pensano come lui. Se so apprezzare le cose, ma non ne divento schiavo, sono felice perché godo di piena libertà; se non dipendo dall’opinione degli altri e faccio delle scelte libere, sono l’uomo più contento e in pace con sé, perché mi rispetto; se cerco di trasformare le mie e le altrui sofferenze in liberazione, in grazia, sono davvero un benefattore dell’umanità.

 

 

GIOVEDI’ 12 Settembre

SANTISSIMO NOME DI MARIA; SAN GUIDO

Parola di Dio: 1Cor. 8, 2-7.11-13; Sal. 138; Lc. 6,27-38

 

"AMATE I VOSTRI NEMICI". (Lc. 6,27)

Guardo dentro me stesso e, con realismo, tenendo conto delle mie forze e delle mie debolezze mi chiedo: "Ma come faccio ad amare una persona che mi ha fatto del male, che continua a distruggere la mia reputazione, che per farmi del male si accanisce con le persone che mi sono più care? Impossibile! Ma forse ci è impossibile perché commettiamo due errori: facciamo enormi confusioni su che cosa significhi "amare", e non guardiamo a Dio. Spesso per "amare", intendiamo "provare profondi affetti". L’amore è anche fatto di affetti, di simpatia ma non tutto è lì. Non è facile provare profondo affetto per chi ti sta facendo del male. Amare, però, è soprattutto volere il vero bene dell’altro. Allora, amare non è tanto dire "sono innamorato" del nemico, ma cercare il suo vero bene. E’ per questo che Dio diventa il vero modello cui ispirarsi. Lui ama tutte le creature, anche chi gli è contrario, anche chi ha messo o mette suo Figlio sulla croce, nel senso che offre sempre e a tutti la possibilità di conversione, ma non per questo Egli diventa connivente, condiscendente con il male. Amare il nemico, allora, vuol dire non chiudergli la porta, non lasciarci vincere dal rancore e dalla vendetta, difenderci dal male ma anche offrire sempre una possibilità. "Impossibile agli uomini ma non impossibile a Dio" diceva l’angelo a Maria e Gesù per indicarcene la strada, proprio nel Vangelo di oggi ci dice: "Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro".

 

 

VENERDI’ 13 Settembre

SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Vescovo e Dottore della Chiesa

Parola di Dio: 1Cor. 9,16-19.22-27; Sal. 83; Lc. 6,39-42

 

"IL DISCEPOLO NON E’ DA PIU’ DEL MAESTRO". (Lc. 6,40)

Se ciascuno di noi sapesse mantenere il proprio ruolo e adempiere solo ai propri compiti quali grandi risultati si otterrebbero! Molti grossi guai della nostra umanità sono proprio dovuti al fatto che qualcuno si è arrogato compiti diversi da quelli che erano propri. Quando il calzolaio (come raccontava Socrate in un famoso apologo) oltre a fare delle buone scarpe pretende di fare anche il filosofo, non è all’altezza della situazione e rischia di dire panzane, quando il politico, invece di pensare solo al bene comune fa anche i suoi affari, certamente svilisce anche l’intento politico… Così è successo e può succedere anche nella storia della Chiesa: quando i cristiani da discepoli di Cristo hanno voluto diventare maestri e signori dell’umanità, sono nati soprusi, beni temporali indebiti, religioni fondate su norme umane molto lontane dallo spirito del Figlio di Dio. Ma Gesù oggi ci ricorda che anche noi corriamo questo rischio, ad esempio tutte le volte che noi prestiamo i nostri sentimenti, i nostri ragionamenti a Dio, noi rischiamo di travisarne il vero volto; tutte le volte che vogliamo imporre la nostra fede i nostri ragionamenti con la forza è come se volessimo imporre noi stessi e non offrire Dio… Penso che anche voi, spesso, vi siate incontrati (e spero li abbiate riconosciuti e valutati per quello che meritano) con personaggi che impongono la propria idea religiosa facendola passare quasi come se fosse ispirata, gente che dice e predica se stessa e la propria ignoranza, magari anche con tanta falsa umiltà. Gesù lo dice chiaro in un’altra pagine del Vangelo: "Non seguiteli!". Noi siamo solo discepoli, e già grazie se lo fossimo davvero, se avessimo imparato ad andare dietro a Gesù e solo a lui! Certo, come discepoli abbiamo il diritto di essere anche apostoli e testimoni, ma solo di Lui e non di noi stessi.

 

 

SABATO 14 Settembre

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

Parola di Dio: Num. 21,4-9 (Fil. 2,6-11); Sal. 77; Gv. 3,13-17


"DIO NON HA MANDATO IL FIGLIO NEL MONDO PER GIUDICARE IL MONDO, MA PERCHE’ IL MONDO SI SALVI PER MEZZO DI LUI". (Gv. 3,17)

Gesù ci svela il vero volto di Dio, che è amore, e l'aspetto più toccante di questo amore è la misericordia. L'amore ha spinto il Padre a mandare il Figlio suo nel mondo; ed in tutto l'agire di Gesù noi tocchiamo questo amore sconfinato del Padre. E un amore che va in cerca dell'uomo, che lo aspetta sempre, che va al di là di tutte le sue colpe, che perdona e che salva. Basta ricordare certi episodi meravigliosi del Vangelo, che ci mostrano l'amore di Gesù verso i peccatori (la peccatrice, Zaccheo, l'adultera…), o le parabole della misericordia (il figliol prodigo, la pecorelle smarrita...). Eppure, sembra assurdo dirlo, noi spesso stentiamo ad accettare questa misericordia che ci viene donata. Oggi si può mancare in diversi modi contro la misericordia di Dio. Un primo modo, purtroppo assai diffuso, è quello di non riconoscere più la realtà del peccato e quindi anche il proprio peccato. E, quando uno non si riconosce peccatore, non sente più il bisogno del Salvatore, cosi come chi non riconosce di essere malato non sente più il bisogno del medico. Un tale atteggiamento sbarra automaticamente la strada alla misericordia di Gesù, il quale è venuto non per coloro che si ritengono giusti ed autosufficienti, ma per coloro che si riconoscono peccatori ed incapaci di praticare il bene senza il suo aiuto. Si può mancare contro la misericordia di Dio anche non credendovi pienamente. Molti cristiani credono nella misericordia di Dio, perché lo hanno imparato dal catechismo. Ma si tratta di una fede rimasta a livello nozionale, intellettuale, che non riesce di fatto ad impregnare la vita di ogni giorno. Ci si rinchiude magari in tanti ragionamenti, si pensa ai propri peccati con un senso di rimpianto, che scaturisce più dall'orgoglio che dal dolore di aver offeso Dio, ci si lascia prendere dallo scoraggiamento. E tutto ciò dimostra che ci si appoggia più su di noi che sulla misericordia infinita di Gesù e sulla potenza della sua grazia. Credere nella misericordia divina, invece, significa essere effettivamente convinti che, se noi gli chiediamo perdono, Gesù cancella completamente i nostri peccati, e ci dà la possibilità di rimetterci subito a seguirlo.

 

 

DOMENICA 15 Settembre - 24^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Parola di Dio: Sir. 27,30-28,7; Sal 102; Rom. 14,7-9; Mt. 18,21-35

 

 

1^ Lettura (Sir. 27, 30 - 28, 7)

Dal libro del Siracide.

Il rancore e l'ira sono un abominio, il peccatore li possiede. Chi si vendica avrà la vendetta dal Signore ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati. Perdona l'offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo, come oserà chiedere la guarigione al Signore? Egli non ha misericordia per l'uomo suo simile, e osa pregare per i suoi peccati? Egli, che è soltanto carne, conserva rancore; chi perdonerà i suoi peccati? Ricordati della tua fine e smetti di odiare, ricordati della corruzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. Ricordati dei comandamenti e non aver rancore verso il prossimo, dell'alleanza con l'Altissimo e non far conto dell'offesa subita.

 

2^ Lettura (Rm. 14, 7-9)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

Fratelli, nessuno di voi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.

 

Vangelo (Mt: 18, 21-35)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?". E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello "

 

RIFLESSIONE

 

Pietro, avrà molti limiti e difetti, ma è uno che ascolta e che ricorda. Ricorda che Gesù lo ha chiamato addirittura "Satana", divisore dalla volontà di Dio, ma ricorda anche che per questo non lo ha cacciato, ha ascoltato del valore della pazienza e della correzione fraterna, ha sentito Gesù che molte volte ha parlato del perdono e del Padre misericordioso lo ha visto perdonare concretamente peccatori e pubblicani, e allora nel dialogo con Gesù esagera: "Devo perdonare al mio fratello fino a sette volte?" E pensate che nella Bibbia i numeri vanno oltre al semplice valore quantitativo. Era come se Pietro avesse detto: "Devo perdonare due volte il numero della perfezione più un pezzo ancora?", e si sente rispondere da Gesù: "Devi perdonare settanta volte sette", cioè sempre. Vien voglia di dire: "Signore ti abbiamo dato la mano ma tu dopo di essa hai preso il braccio e poi tutti noi stessi! Non è un po’ esagerato?" Già l’Antico Testamento aveva fatto dei passi da gigante, dalla vendetta predicata come legge si era passati alla legge del taglione in cui era permesso rispondere solo nella misura in cui si era stati offesi, nella letteratura sapienziale si era poi giunti a dire: "Devo perdonare se no sarà peggio per me, perché Dio non mi perdonerà, debbo perdonare perché è un comando e non dobbiamo disobbedire( un po’ come se dicessi ti perdono perché voglio andare in paradiso)", ma ora Gesù chiedendoci di perdonare sempre ci dà altre motivazioni. Egli attraverso la parabola ci indica un servo che ha accumulato con il suo padrone un debito spropositato (c’è chi facendo i conti dice che il debito era tra i cinquanta e i cento miliardi delle nostre vecchie e care lire). L’uomo che cos’ha che non gli sia stato dato? La vita, la natura, l’intelligenza… noi abbiamo un cumulo di debiti con il Signore, e che cosa gli abbiamo restituito? Spesso ingratitudine, egoismo, disinteresse, caparbietà… E il debito aumenta giorno per giorno e non abbiamo assolutamente niente di nostro neanche per cominciare a ripagare almeno qualcosa di questo debito in costante aumento. Non ci resta che chiedere perdono e fidarsi della misericordia del nostro Signore. Ed Egli, davanti alla richiesta di perdono è sempre disposto a perdonare. Si racconta di un santo che ebbe una visione e vide che Satana si era presentato davanti a Dio e si lamentava con Lui dicendogli: "Io ho peccato contro di Te una volta sola e c’è una dannazione eterna per me, l’uomo ha peccato migliaia di volte e tu sei sempre pronto a perdonarlo: non è un’ingiustizia questa?" Udì Dio rispondergli: "Ma tu neanche una sola volta mi hai chiesto perdono". Dio vuole la nostra salvezza non la nostra dannazione. Dio ha mandato suo Figlio che ha dato la sua vita per noi non perché eravamo bravi, ma proprio perché peccatori. Gesù ovunque è passato ha portato il perdono di Dio, la Chiesa attraverso il sacramento della penitenza è sempre disposta a dare il perdono ad un peccatore pentito. Da questo perdono ricevuto dovrebbe nascere la capacità a nostra volta di perdonare. Noi siamo una comunità di fratelli perdonati che a loro volta offrono il perdono. In pratica: chi ha sperimentato la gioia di essere perdonato non può che, a sua volta, comunicarla agli altri. Un cuore rinnovato dal perdono diventa fonte di perdono. O almeno dovrebbe (questo Dio si aspetterebbe). Perdonare è, dunque, davvero una cosa grande e degna dell'uomo e indispensabile per vivere insieme e in pace. E’ l’uomo che si comporta da Dio e ne guadagna anche per sé in quanto allontana da sé l’odio, il rancore, la vendetta, vive più sereno ed evita certe ulcere al fegato dovute alla rabbia. Eppure, quante obiezioni al perdonare! Qualcuno dice che perdonare e proprio di chi non sa lottare perché il bene trionfi, qualcun altro dice che è lasciare che il male trionfi e quindi essere conniventi con esso, qualcuno dice che il troppo perdono fa si che chi è perdonato non si senta invogliato a cambiare. Perdonare da cristiani non significa rinunciare a lottare, quando si tratta di torti continuati che si configurano come sopruso e ingiustizia contro di noi, o contro dei fratelli. Sono due sentimenti e atteggiamenti che non si escludono, come non si escludono correzione e perdono. Gesù ne ha dato l'esempio: Egli durante la sua vita ha lottato e ha perdonato. Una distinzione antica ci può sempre aiutare: distinguere la persona dal male. Il male è sempre da condannare, da evitare, da controbattere con il bene, ma la persona che commette il male è un Figlio di Dio con possibilità enormi e su questo devo fondare il mio perdono e la mia fiducia. Altra cosa a cui stare attenti è quella di perdonare solo nell’intimo: credere che basti smettere di odiare nel cuore, senza fare alcun gesto. Non è questo che intendeva Gesù: il perdono che egli ama è quello che si manifesta concretamente, che porta alla riconciliazione. La riconciliazione è il coronamento evangelico del perdono, quello che fa guadagnare davvero il fratello, che ristabilisce l'unità tra i figli di Dio e fa la gioia del Padre celeste; quello che edifica la comunità: "Se presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono e va' prima a riconciliarti con tuo fratello ". L’obiezione che sembra la più forte al perdono è che molti dicono: "Io vorrei perdonare, ma non ci riesco. Non riesco a dimenticare; appena vedo la persona, il sangue mi ribolle..." A questi Gesù sembra dire: non ti preoccupare di quello che senti. E normale che la natura reagisca a modo suo. L’importante non è ciò che senti, ma ciò che vuoi. Se vuoi perdonare, se lo desideri, hai già perdonato. Non devi attingere da te stesso la forza di perdonare ma da Cristo. Il perdono cristiano è un cammino continuo e faticoso, ma come ci ha suggerito Gesù ad esso si arriva solo e sempre con lo sguardo fisso al Padre. Un esercizio che può aiutarci su questa strada è quello di cominciare, ogni volta che recitiamo personalmente il Padre nostro, ad arrivare a quella frase: "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo…" provando ad aggiungerci: "come io vorrei cercare di perdonare … (è lì dire il nome della persona con cui siamo in particolare difficoltà). Forse chiedendo aiuto a Dio e con il tempo riusciremo a modificare ancora dicendo: "Come io perdono a lui." Tuttavia dobbiamo stare attenti a non cadere in una trappola. C’è un rischio anche nel perdono. Consiste nel formarsi la mentalità di chi crede di avere sempre qualcosa da perdonare agli altri. il pericolo di credersi sempre creditori di perdono, mai debitori. Se riflettessimo bene, molte volte, quando stiamo per dire: "Ti perdono!", cambieremmo atteggiamento e parole e diremmo alla persona che ci sta davanti: "Perdonami!". Ci accorgeremmo cioè che anche noi abbiamo qualcosa da farci perdonare da lei. Più importante ancora che perdonare, è dunque chiedere perdono.

 

 

LUNEDI’ 16 Settembre

Santi CORNELIO E CIPRIANO, Martiri

Parola di Dio: 1Cor. 11,17-26; Sal. 39; Lc. 7,1-10

 

"SIGNORE, IO NON SONO DEGNO CHE TU ENTRI SOTTO IL MIO TETTO". (Lc. 7,6)

Penso sia successo sovente anche a voi (e mi riferisco soprattutto a persone di una certa età educate più alla paura di Dio che al suo timore, più al peccato e alle fiamme dell’inferno che alla misericordia di Dio, più all’osservanza delle norme religiose che all’incontro gioioso con il Signore), di essere arrivati al momento della Comunione e titubanti ripetere le parole del centurione: "Io non sono degno…" quasi con la paura di recarsi a ricevere l’eucaristia. E’ estremamente vero che non siamo degni del dono che Gesù ci fa di se stesso. E chi tra gli uomini può dire: "Io sono a posto, tranquillo davanti a Dio, io mi merito di ricevere la Comunione"? Quante volte io per primo, celebrante, arrivato a quel punto della Messa, se avessi guardato solo la mia "dignità" avrei preferito andarmene lontano. Ma se noi non siamo degni di riceverlo, è Gesù stesso che viene incontro a noi, come ha fatto con quel centurione per guarirgli il servo. Ogni volta che facciamo la comunione Gesù bussa alla porta del nostro cuore: se guardiamo dentro noi stessi troviamo cose buone ma anche tante povertà, cattiverie, egoismi che istintivamente ci fanno sentire indegni, incapaci di accogliere bene il Visitatore. Ma Gesù non ha paura di sporcarsi le mani, è venuto nel mondo proprio per esserci vicino, per darci la sua salvezza, per innalzarci fino a Lui. Se è giusto allora esaminarci per poter accogliere nel modo migliore la presenza eucaristica in noi, non priviamoci per troppo scrupolo di questo dono meraviglioso. E’ proprio riconoscendo le nostre incapacità che diamo a Lui spazio per operare in noi.

 

 

MARTEDI’ 17 Settembre

SAN ROBERTO BELLARMINO Vescovo e Dottore della Chiesa

Parola di Dio: 1Cor. 12,12-14.27-31; Sal. 99; Lc. 7,11-17

 

"GESU’, VEDENDOLA, NE EBBE COMPASSIONE E LE DISSE: NON PIANGERE". (Lc. 7,13)

Nel racconto della risurrezione del figlio della vedova di Naim ci sono per lo meno due grandi "miracoli", il primo è la risurrezione di un morto, ma l’altro è la scoperta della "compassione" di Dio per noi, povera umanità. Gesù si ferma dinanzi alle lacrime di una madre a cui la morte ha strappato un figlio con la stessa compassione con cui fa sue tutte le nostre sofferenze. Direi che il Vangelo stesso è la compassione di Dio per ogni uomo sulla terra. Compassione fatta non da un falso pietire che fa dire "poveretto" davanti alle sofferenze del nostro prossimo ma che non ci sprona a portare con lui le sue prove e a fare qualcosa per levarle. Gesù, davanti alla vedova di Nain che porta in sepoltura il suo unico figlio sente compassione, le dice: "non piangere", tocca la bara (da notare che secondo la legge ebraica con questo gesto Gesù si rende impuro) e poi fa risorgere il ragazzo. Sono i gesti dell’amore cristiano. Il mondo moderno, è duro, funzionale, sostanzialmente distratto e indifferente, In una società arida, sbadata, gli uomini sono solitari, distanti ed estranei. A volte si può vivere nello stesso pianerottolo e ignorarsi completamente, conoscere il nome soltanto attraverso la targhetta della porta. Non ci sì accorge di chi soffre o, peggio ancora, si fa finta di non vederlo, si mettono tanti paraventi contro le sofferenze altrui perché non ci disturbino. In questo aspetto agghiacciante di disumanizzazione della nostra civiltà, si inserisce la sfida e quindi l'attualità della misericordia. Misericordia vuol dire "prendersi a cuore le miserie", impossessarsi della sofferenza altrui, essere complici del dolore del fratello. Il sofferente, il vecchio, il povero, il malato, lo sbandato, hanno bisogno e diritto di trovarsi accanto un cristiano equipaggiato di "umanità", un cristiano dotato di sensibilità, di attenzione, di rispetto, che gli comunica la "buona notizia" che Dio non è lontano, insensibile, impassibile: ma è un Dio che si occupa di lui, che gli vuole bene. Essere cristiani, oggi, significa avere non soltanto il coraggio della propria fede ma anche il coraggio del proprio cuore.

 

 

MERCOLEDI’ 18 Settembre

SAN GIUSEPPE da Copertino; SAN LAMBERTO

Parola di Dio: 1Cor. 12,31-13,13; Sal 32; Lc. 7,31-35

 

"A CHI PARAGONERO’ GLI UOMINI DI QUESTA GENERAZIONE?". (Lc. 7,31)

Gesù, attraverso la parabola dei bambini mai contenti vuol metterci in guardia contro il pessimismo che spesso non ci permette di "vedere" e di conseguenza di gustare tutti i doni della vita. A questo proposito vi offro una leggenda araba: ognuno ne tragga da solo le proprie conclusioni. C’era una volta un vecchio, così vecchio che non ricordava neppure di essere stato giovane. E forse non lo era mai stato. In tutto il tempo che era stato in vita, ancora non aveva imparato a vivere. E, non avendo imparato a vivere, non riusciva neppure a morire. Non aveva speranze né turbamenti; non sapeva né piangere né sorridere. Nulla esisteva al mondo che potesse addolorarlo o stupirlo. Trascorreva i suoi giorni inoperosi sulla soglia della sua capanna, guardando con occhi indifferenti il cielo, quello zaffiro immenso che Allah pulisce ogni giorno con la soffice bambagia delle nuvole. A volte qualcuno si fermava ad interrogarlo. Così carico d’anni qual era, la gente lo credeva molto saggio e cercava di trarre qualche consiglio dalla sua secolare esperienza.

— Che cosa dobbiamo fare per conquistare la gioia? — gli chiedevano i giovani. — La gioia è un’invenzione degli stolti. — rispondeva lui. Passavano uomini dall’animo nobile, apostoli bramosi di rendersi utili: — In che modo possiamo sacrificarci, per giovare ai nostri fratelli? — gli domandavano. — Chi si sacrifica per l’umanità è un pazzo — rispondeva il vecchio con un ghigno sinistro. — Come possiamo indirizzare i nostri figli sulla via del bene? — domandavano i padri e le madri. — I figli sono serpi — rispondeva il vecchio. — Da essi non ci si può aspettare che morsi velenosi. Anche gli artisti e i poeti, nella loro ingenuità, si recavano talvolta a consultare quell’uomo. — Insegnaci ad esprimere quell’anelito che abbiamo nel cuore! — gli dicevano. Fareste meglio a tacere — sogghignava il vegliardo. Le convinzioni malvagie di colui che non sapeva né vivere né morire, poco a poco si diffondevano nel mondo. L’Amore, la Bontà, la Poesia, investiti dal ventaccio del Pessimismo (poiché tale era il nome del Vecchio), si appannavano e inaridivano. L’esistenza umana veniva sommersa in una gora di stagnante malinconia. Alla fine Allah si rese conto dello sfacelo che il Pessimismo operava nel mondo, e decise di porvi riparo. — Poveretto — pensò — scommetto che nessuno gli ha mai dato un bacio. Chiamò un bambino e gli disse: — Vai a dare un bacio a quel povero vecchio. Subito il bambino obbedì: mise le braccia intorno al collo del vecchio e gli scoccò un bacio sulla faccia rugosa. Il vegliardo fu molto stupito, lui che non si stupiva di niente. Difatti, nessuno mai gli aveva dato un bacio. E così il Pessimismo aprì gli occhi alla vita, e morì sorridendo al bambino che lo aveva baciato.

 

 

GIOVEDI’ 19 Settembre

SAN GENNARO, Vescovo e martire

Parola di Dio: 1Cor 15,1-11; Sal. 117; Lc. 7,36-50

 

LE SONO PERDONATI I SUOI MOLTI PECCATI PERCHE’ HA MOLTO AMATO". (Lc 7,47)

Se esaminiamo con serietà la nostra vita noi scopriamo, forse con meraviglia, che ogni nostra azione è dettata da amore. Ci può essere l’amore che spinge a donare come quello egoistico che spinge ad avere. Si può vivere tutta una vita per amare Dio oppure per amare se stessi oppure per amare il prossimo. Perfino l’odio è una forma esasperata di amore. E chi può leggere le vere intenzioni di un cuore? Davanti ad una donna come quella che si presenta nella casa del fariseo a compiere questo gesto di venerazione, questa tacita richiesta di perdono e questa affermazione di fede in Gesù, anche a noi, come al padrone di casa, basta poco per classificarla come "una di quelle". Spesso noi giudichiamo le persone per quello che appaiono, per i rapporti che hanno nei nostri confronti, per il mestiere che operano… Per Gesù è la persona intera che conta. Gesù non dice che questa donna non ha peccato, anzi dice che i suoi peccati sono molti, ma nello stesso tempo riesce a vedere il suo amore. Mi chiedo: riusciamo noi a leggere le nostre storie nel loro insieme? Riusciamo a vedere nel nostro prossimo e negli avvenimenti non solo gli aspetti negativi ma anche il bene? E mi chiedo ancora: sono capace, come quella donna a percorrere la strada della richiesta di perdono ponendo degli atti positivi di amore?

 

 

VENERDI’ 20 Settembre

SANTI ANDREA KIM, PAOLO CHONG e Compagni; SANTA CANDIDA

Parola di Dio: 1Cor. 15,12-20; Sal. 16; Lc. 8,1-3

 

"C'ERANO CON LUI I DODICI E ALCUNE DONNE… CHE LI ASSISTEVANO CON I LORO BENI". (Lc. 8,2-3)

Una piccola notazione, quella di Luca, ma importante nell’annuncio della buona novella. Al seguito di Gesù ci sono delle donne. La Buona novella è anche per loro che erano disprezzate dai rabbini e considerate solo in funzione all’uomo. In un mondo fondamentalmente ancora maschilista e in una Chiesa che a parole riconosce la dignità della donna ma che nei fatti stenta ad individuarne il ruolo e ad affidarglielo, fa bene leggere l’atteggiamento di Gesù nei confronti delle donne. Gesù parla con le donne (vedi la Samaritana al Pozzo, la sua stretta amicizia con Marta e Maria, la sua difesa della peccatrice…), Gesù si lascia aiutare dalle donne, Gesù moltiplica il pane per uomini e donne, Gesù affida alle donne il primo messaggio della sua risurrezione. I compiti potranno essere diversi come in sé sono diversi i ruoli dell’uomo e della donna, ma la dignità e il fine sono uguali. Anche nelle nostre comunità cristiane dovremmo accorgercene! Le nostre comunità sono formate all’ottanta per cento da donne. I preti spesso chiedono loro molti servizi, da quello della canonica alle pulizia di chiesa, magari anche al catechismo dei bambini, ma quando si tratta, ad esempio, di scegliere per un ministro di Eucaristia si preferisce il maschio (per non parlare di ruoli nella gerarchia che sono esclusivo appannaggio maschile). Ricordo un episodio successomi molti anni fa in una chiesa ortodossa di Trieste. Ero entrato in questa chiesa non sapendo a quale confessione appartenesse ed ero in compagnia di una ragazza. Non vedendo l’altare ci guardammo stupiti. Vidi un prete con tanto di talare ed andai a chiedergli. Quello mi aggredì dandomi dell’ignorante e mi spiegò che l’altare era dietro ad un muro divisorio. Gli chiesi se potevo vederlo ed egli acconsentì. La ragazza che era con me si accodò, ma quando fece per oltrepassare il divisorio, quello si volse verso di lei e puntandole il dito contro gridò: "Indietro le figlie di Eva!". Siamo tutti figli di Eva di Adamo, tutti siamo nati da un padre e da una madre, tutti abbiamo la stessa dignità perché tutti, uomini e donne, siamo figli dello stesso Dio.

 

 

SABATO 21 Settembre

SAN MATTEO, Apostolo ed Evangelista

Parola di Dio: Ef. 4,1-7.11-13; Sal. 18; Mt. 9,9-13

 

"GESU’ VIDE UN UOMO SEDUTO AL BANCO DELLE IMPOSTE, CHIAMATO MATTEO, E GLI DISSE: SEGUIMI. ED EGLI SI ALZO’ E LO SEGUI’ ". (Mt. 9,9)

Un uomo arrivato nel suo mestiere, economicamente sicuro di sé, condannato dalla maggioranza religiosa del suo paese ma intoccabile per i suoi soldi e per il suo potere. Davanti a lui un Rabbi, un Maestro, uno che afferma di essere il Figlio di Dio e che lo dimostra con dei segni che un uomo qualunque non può compiere: che cosa c’è in comune tra loro? Eppure è il maestro a fermarsi, è Lui a contaminarsi parlando con un pubblico peccatore, è Lui a chiamarlo a diventare suo apostolo. Davvero in questo fatto leggo la buona notizia di Gesù venuto per salvare i peccatori. E lo fa attraverso altri peccatori, anzi, sarà Lui stesso a farsi peccato perché il nostro peccato sia perdonato. Gesù scegliendo i suoi collaboratori non crea una nuova casta di eletti ma ci insegna ad accogliere la gioia del suo regno per il quale si è disposti anche a lasciare il tavolo del cambiavalute e dell’esattore. Matteo lasciandosi "fare" da Gesù, non diventerà l’esattore delle tasse del regno ma invece, poco per volta, come tutti gli altri imparerà a non pretendere ma a dare, a non aumentare il peso degli altri ma a diminuirlo, a non considerare tanto l’onore della chiamata, quanto a gioire del perdono ricevuto. Ho partecipato in questi giorni ad una ordinazione sacerdotale e sentivo il Vescovo tutto infervorato a dire quale fosse il grande onore di questa chiamata e come bisognasse gioire di questo dono unico che "unendoci al sacerdozio di Cristo, ci rende diversi dagli altri". Credo che il sacerdozio sia una grazia particolare, ma non tanto per il potere che ci dà (amministrare i sacramenti non è forse un servizio?) quanto piuttosto perché Dio, chiamandomi a servirlo in questo modo mi da la possibilità , nonostante i miei peccati di servirlo amando ancora di più i miei fratelli.

 

 

DOMENICA 22 Settembre - 25^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - SAN MAURIZIO

Parola di Dio: Is. 55,6-9; Sal. 144; Fil. 1,20-27; Mt. 20, 1-16

 

1^ Lettura (Is. 55, 6-9)

Dal libro del profeta Isaia.

Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L'empio abbandoni la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.

 

2^ Lettura (Fil. 1, 20-27)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi.

Fratelli, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne. Per conto mio, sono convinto che resterò e continuerò a essere d'aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede, perché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo, con la mia nuova venuta tra voi. Soltanto però comportatevi da cittadini degni del vangelo, perché nel caso che io venga e vi veda o che di lontano senta parlare di voi, sappia che state saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del vangelo.

 

Vangelo (Mt. 20, 1-16)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e da  loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi ".

 

RIFLESSIONE

 

Prendiamo sul serio l’invito e la promessa che il profeta Isaia ci ha fatto nella prima lettura della Messa di oggi. Egli ci diceva: "Cercate il Signore, mentre si fa trovare", e noi abbiamo bisogno di cercarlo e di trovarlo per riuscire a comprendere nel profondo una delle più belle, ma anche più difficili parabole di Gesù. Ancora Isaia ci ricordava che "i pensieri di Dio non sono i pensieri degli uomini e quanto il cielo sovrasta la terra così il pensiero di Dio sovrasta quello degli uomini", abbiamo dunque bisogno dell’assistenza dello Spirito Santo per comprendere ciò che Gesù ci vuole insegnare. Gesù, stimolato da una domanda di Pietro: "E noi che abbiamo lasciato tutto che premio ne avremo?", racconta questa parabola a prima vista sconcertante. Noi abbiamo una mentalità e sensibilità sindacale. Noi ci diamo da fare perché sia dato a ciascuno quanto è giusto. Ora nella parabola troviamo gente che è arrivata proprio all'ultimo momento, e riceve lo stesso stipendio di quelli che nella vigna hanno portato il peso della giornata, la fatica del lavoro estenuante sotto il sole. Non è un'ingiustizia? Beh!, sindacalmente parlando sì. E Gesù proporrebbe questa ingiustizia, e per di più la metterebbe sul conto di Dio Padre? Attenzione a non cadere in questo cattivo modo di interpretazione. Le parabole sono racconti che espongono fatti singolari e curiosi della vita, ma rimandano l’interpretazione e la conclusione ad un altro piano di lettura. Quel padrone della vigna, l’abbiamo già imparato, è il Padre celeste, e la sua vigna è il suo regno nel mondo in cui c'è tanto da fare e bisogna fare bene, i lavoratori a giornata siamo noi uomini. Tutti gli uomini sono invitati a lavorare nella vigna del Signore, ma molti se ne stanno oziosi, se ne vanno per i fatti loro, vivono male, lontani da Dio. In questo senso le loro vie non sono per nulla le vie del Signore. Ma il Signore li attende. Esce continuamente a cercarli, e quando li incontra li invita a lavorare. E se accettano, subito li prende nel suo regno. Il mettersi a lavorare nella vigna del Signore è la conversione del cuore. Ora per chi accetta di rimboccarsi le maniche e decide di vivere bene, Dio che è buono ha una ricompensa: la gioia presente e la vita eterna. Perciò quando Dio, alla sera dà la paga della giornata non ha tabelle sindacali, ha il suo cuore e la sua gioia da distribuire a tutti; per Dio che è Padre, non ci sono primi o ultimi, veterani o nuovi arrivati, per Dio ci sono solo figli, a volte magari scapestrati, ma tutti ugualmente bisognosi del suo amore. Proviamo a domandarci: gli uditori di Gesù, che cosa avranno pensato sentendo raccontare quella parabola? Gesù era circondato abitualmente da gente comune, semplice che doveva provare simpatia per questo padrone così ben disposto verso tutti. Anche i pubblici peccatori, le prostitute che sovente andavano da Gesù erano affascinati dalle parole di Gesù, magari col rimorso dentro, e in fondo desiderosi di cambiare vita. Ascoltando la parabola, essi sentivano di poter essere proprio loro gli operai dell'ultima ora. E le parole del Signore li riempivano di gioia. Magari si decidevano a cambiare vita, a mettersi al lavoro nella vigna. Poi c'erano i sommi sacerdoti, i capi del popolo, gli scribi, i farisei, gli intellettuali, uomini di legge, dalla perfetta osservanza esteriore. E sovente pieni di ipocrisia. Essi si ritenevano gli operai della prima ora, pensavano di dover ricevere di più, una ricompensa speciale. E invece cosa si sentono dire da Gesù? Che nel regno dei cieli "gli ultimi saranno i primi, e i primi gli ultimi".Reazioni diverse davanti alla parabola, in fondo come succede anche oggi. Anche oggi c’è chi gioisce e chi si scandalizza davanti ad un Dio così generoso. Anche oggi i cosiddetti operai delle prime ore spesso assumono atteggiamenti contestatari. Ci sono coloro, come quelli della parabola che vedono la loro chiamata a far parte del Regno solo come fatica ("noi abbiamo faticato tutto il giorno"), ci sono coloro che pensano di dover essere riconosciuti come i possessori del Regno, dimenticandosi di essere operai, e ci sono coloro che sono invidiosi dei peccatori convertiti e vorrebbero almeno poterli squadrare dall’alto con superiorità. Spesso incappiamo in uomini di Chiesa, siano alti papaveri delle gerarchie o cristiani che si considerano a denominazione di origine controllata, che si arrogano il compito di essere i primi e gli unici difensori della verità. Questi personaggi, nella storia della Chiesa, qualche volta sono passati davanti a Gesù, hanno pensato di essere diventati essi stessi i possessori del Regno con l’autorità di determinare gli appartenenti ad esso e con la superbia di arrogarsi il potere del determinare "lo stipendio" da dare o da richiedere agli operai che entravano nella vigna chiamati dalla generosità del Signore. Eppure proprio per coloro che sono chiamati dalla prima ora dovrebbe esserci la gioia di poter essere stati sempre con il Signore. Ho conosciuto e conosco tanti preti e laici che vivono con gioia la loro chiamata e la loro fatica quotidiana per il regno. Per non entrare in fatti personali raccolgo solo l’esperienza letteraria di Bruce Marshall che conclude il suo romanzo "Ad ogni uomo un soldo" con un pensiero dell’Abbè Gaston, bella figura di sacerdote innamorato di Dio e del prossimo: "Il treno proseguiva la sua corsa rumorosa lungo la galleria, ma l'abate non si accorgeva delle stazioni, perché stava pensando ai misteri del Signore e riflettendo che lui li capiva in modo molto imperfetto. Uno, però, gli pareva di cominciare a capirlo, e cioè perché tutti gli operai della vigna ricevevano un denaro, sia che avessero portato il peso della giornata e del caldo oppure no. Pensava che la ragione era questa: che tanta parte del lavoro era ricompensa a se stessa, come tanta parte del mondo era castigo a se stesso. E a un tratto l'abate Gaston si rese conto che lui, da prete, era stato molto felice". E quanto felici possono essere davvero gli operai dell’ultima ora se incontrano un Dio che invece di puntare il dito contro, invece di invocare inferni, li fa partecipare alla sua gioia? E poi mi faccio ancora una domanda: Noi, che ci riteniamo gli operai della prima ora, siamo proprio così sicuri di esserlo o non abbiamo forse anche noi bisogno della misericordia del Signore? Mi chiedo sempre se, al termine della mia vita, da persona calcolatrice, farò il conto delle mie fatiche e il conto di quello che ho ricevuto: da che parte penderà la bilancia? Avrò ancora la faccia di rivolgere delle rivendicazioni al Signore o con molta consapevolezza ed umiltà non dovrò dirgli: "Signore sii misericordioso con me?" Anzi, a pensarci bene, perché aspettare l’ultimo giorno della propria vita a chiedere misericordia e a godere della gioia del perdono? Perché non cominciare subito?

 

 

LUNEDI’ 23 Settembre

SAN LINO

Parola di Dio: Pro. 3,27-35; Sal. 14; Lc. 8, 16-18

 

"FATE ATTENZIONE DUNQUE A COME ASCOLTATE". (Lc. 8,18)

Si può ascoltare la parola di Gesù in tanti modi diversi e si può giungere a conclusioni anche molto diverse. Oggi propongo un racconto di Gibran, forse difficile da interpretare, e subito dopo un altro raccontino: chiediamo allo Spirito di illuminarci. "Esisteva, così mi dissero quand’ero giovane, una città dove tutti vivevano secondo le Scritture. E io dissi: — Mi metterò in cerca di questa città e delle sue beatitudini. Ed era lontana. E feci grandi provviste per il viaggio. E dopo quaranta giorni giunsi in vista della città, e il quarantunesimo giorno vi entrai. E, meraviglia! tutti gli abitanti della città avevano un solo occhio e una mano sola. E io, sorpreso, dissi a me stesso: — In questa città così santa, dunque, gli uomini avrebbero un solo occhio e una mano sola? E vidi che anche loro erano meravigliati, vedendomi con due mani e due occhi. E mentre parlavano tra loro li interrogai dicendo:

— E’ questa la Città Benedetta, dove ciascuno vive secondo le Scritture? E loro dissero: — Sì, è questa. — E cosa vi è accaduto, dissi io, e dov’è il vostro occhio destro e dov’è la vostra mano destra? E tutti mostrarono profonda emozione. E dissero: — Vieni e vedi tu stesso. E mi condussero al tempio che sorge al centro della città. E nel tempio vidi un cumulo di mani e di occhi. Tutti avvizziti. E dissi allora: — Ahimè! Quale nemico vittorioso ha commesso questa crudeltà su di voi? E corse tra loro un mormorio. E uno degli anziani venne avanti e disse: — Questo è opera di noi stessi. Dio ci ha resi vittoriosi sul male che era in noi. E mi condusse all’altare maggiore, e tutti ci seguirono. E mi mostrò sull’altare un’iscrizione scolpita, e io lessi: "Se il tuo occhio destro ti scandalizza, strappalo e gettalo via da te; perché sarà meglio per te che una delle tue membra perisca, piuttosto che il tuo corpo sia gettato intero nell’inferno. E se la tua mano destra ti scandalizza, tagliala e gettala via da te; perché è meglio per te che una delle tue membra perisca, piuttosto che il tuo corpo sia gettato intero nell’inferno". Allora compresi. E rivolto alla folla gridai: — C’è nessuno tra voi, uomo o donna, che abbia due occhi e due mani? E mi risposero dicendo: — No, non uno. Non c’è nessuno integro, a eccezione di quanti sono ancora troppo piccoli per leggere la Scrittura e comprendere il suo comandamento. E quando uscimmo dal tempio me ne andai subito dalla Città Santa; perché io non ero tanto piccolo da non saper leggere la Scrittura".

 

Un discepolo una volta si lamentava con il maestro: — Ci racconti delle storie, ma non ci sveli mai il loro significato. Il maestro disse: — Che ne diresti se qualcuno ti offrisse un frutto e lo masticasse prima di dartelo? Nessuno può sostituirsi a te per trovare il tuo significato. Neppure il maestro.

 

 

MARTEDI’ 24 Settembre

BEATA VERGINE MARIA DELLA MERCEDE; SAN PACIFICO

Parola di Dio: Pro. 21,1-6.10-13; Sal. 118; Lc. 8,19-21

 

"ANDARONO A TROVARE GESU’ LA MADRE E I FRATELLI, MA NON POTEVANO AVVICINARLO A CAUSA DELLA FOLLA". (Lc. 8,19)

Gesù, dei circa suoi trentatre anni di vita ne ha dedicati solo tre alla predicazione, ma di certo non si può dire che in questo tempo non si sia donato totalmente a tutti coloro che incontrava. Colui che si farà Pane per noi, nella sua vita terrena "si fa mangiare dalla folla". Molti, per molti motivi diversi, vanno da Gesù e Lui li accoglie tutti. Ma c’è talmente tanta gente che neanche Maria, sua Madre, riesce ad avvicinarlo. Mi piace questa Madre del Figlio di Dio che si mette in coda con tutti quelli che vanno da Gesù, non fa valere le sue prerogative. Maria segue Gesù da lontano, non interferisce, chiede permesso per poter parlare con suo Figlio. E Gesù loda sua Madre, non per il merito di averlo generato, ma per il fatto che ascolta con umiltà e mette in pratica la sua parola. Tutti noi abbiamo da imparare da Maria, ad esempio certi genitori che, tutt’altro che discreti nei confronti dei loro figli sposati, vogliono a tutti i costi mettere il becco nello loro famiglie e nelle loro decisioni; certi preti che, con la scusa della "direzione spirituale", violano certe coscienze; certi cristiani che hanno sempre da insegnare a tutti, al parroco, al vescovo, al papa, o altri cristiani che si impongono senza alcuna discrezione, si mascherano da persone pie e vorrebbero che gli altri fossero a loro misura. Chiediamo a Maria che ci aiuti ad essere discreti nei confronti degli altri, a bussare e non a sfondare le porte, ad ascoltare piuttosto che avere sempre da dire, a rincuorare piuttosto che stroncare.

 

 

MERCOLEDI’ 25 Settembre

SAN CLEOFA; SANTA AURELIA

Parola di Dio: Pro. 30,5-9; Sal. 118; Lc. 9,1-6

 

"LI MANDO’ AD ANNUNZIARE IL REGNO DI DIO" . (Lc. 9,2)

Specialmente leggendo i testi del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, ci rendiamo conto di quanto la Chiesa sia profondamente conscia della propria missionarietà. Ma ci siamo mai interrogati personalmente su che cosa significhi per la Chiesa e per noi essere missionari? Noi non annunciamo una filosofia cioè un insieme di pensieri e di ragionamenti, noi non annunciamo una setta che vogliamo ingrandire attraverso l’adesione di adepti per avere maggior potere. La vera missionarietà del cristiano e della Chiesa parte da un’altra fonte. Se io ho incontrato Cristo, ho scoperto in Lui il Figlio di Dio incarnato, Colui che mi ha portato la buona notizia che Dio è mio Padre, Colui che si è fatto in tutto simile a me e accettando la mia sofferenza l’ha redenta, se ho scoperto che seguirlo può cambiare la mia vita e farmi trovare la gioia, di conseguenza sono felice se altri miei fratelli, Figli di Dio, amati come me, possono incontrare Colui che può davvero cambiare la loro vita. Di qui nasce un’altra riflessione: come può un cristiano che non è gioioso per la salvezza ricevuta essere missionario? Al massimo lo farà per dovere, al massimo annuncerà una religione. Se io incontro un prete mestierante, un cristiano che non ha niente da dire se non riti e abitudini, un’istituzione umanitaria ormai spenta, di certo non scopro la novità di Cristo. Ma se incontro un prete peccatore ma innamorato di Gesù, un cristiano magari neanche troppo pio ma disponibile a condividere una sofferenza e una gioia, un’organizzazione che cerca di aiutare l’uomo senza perdersi in troppi burocratismi, il Vangelo lo vedo vissuto.

 

 

GIOVEDI’ 26 Settembre

Santi COSMA E DAMIANO, Martiri

Parola di Dio: Qo. 1,2-11; Sal. 78; Lc. 9,7-9

 

"ERODE CERCAVA DI VEDERLO" . (Lc. 9,9)

Una delle più belle esperienze per un prete è quella di incontrare una persona che davvero, con tutta se stessa desideri incontrare Gesù. Ma se devo dirlo con sincerità, a me questa esperienza è capitata rarissime volte. Il più della gente che incontro sembra dirti con gli atteggiamenti e i fatti della propria vita: "Io Gesù lo conosco", oppure: "Queste panzane già le conosciamo, vanno bene per vecchiette e bambini e servono solo a far portare soldi in chiesa" Come è difficile capire i segni di Dio per chi è troppo legato a se stesso e non sa mettersi con umiltà nella posizione giusta. Erode aveva avuto modo di vedere i segni di Dio. Giovanni il Battista gli aveva parlato a nome di Dio e lui lo aveva fatto uccidere; ora sente parlare di Gesù, dei suoi miracoli ma questo suscita in lui soltanto curiosità. Erode è morto molti anni fa ma molti, oggi, davanti al religioso, si comportano esattamente come Lui. C’è molta curiosità: i giornali e le televisioni danno spazio a notizie religiose ma molto spesso a quelle esteriori: fanno notizia veri o supposti miracoli, gli esorcisti, il comportamento dei preti, le sette più fantastiche... ma tutto si ferma alla superficie. Nei vari salotti televisivi si parla di fede, si fanno statistiche, si discute, magari accapigliandosi, di religione, di cristiani di sinistra o di destra, di vescovi conservatori o aperti ad ogni innovazione, si batte magari anche cassa per questa o quella iniziativa ma il tutto in maniera asettica, senza alcun coinvolgimento, e quando raramente qualcuno ha il coraggio di professare la fede o di richiedere atti di fede lo si guarda come ad una mosca bianca e si cerca subito il modo di zittirlo o di attutirne l’impatto con argomenti frivoli. Non c’è da stupirsi se questi vari Erode al momento buono arriveranno a condannare Gesù.

 

 

VENERDI’ 27 Settembre

SAN VINCENZO DE’ PAOLI, Sacerdote

Parola di Dio: Qo. 3,1-11; Sal. 143; Lc. 9,18-22

 

"PER OGNI COSA C’E’ IL SUO MOMENTO, IL SUO TEMPO PER OGNI FACCENDA SOTTO IL CIELO". (Qo. 3,1)

Quante volte ci è capitato di incontrare qualche esemplare di quelle persone che sembrano aver sulle spalle l’umanità intera. Sempre assillate e assillanti, sempre in lotta con il tempo, sempre alle prese con qualcuno o qualcosa che non va, che si interpone con i loro progetti, sembrano dire: "Se non ci fossi io il mondo girerebbe più piano o.. .forse non girerebbe affatto". Qoelet, nella lettura odierna, invece ci dice: "C’è un tempo per nascere, uno per morire, uno per lavorare, uno per riposare.. " e ce lo dice non per invitarci al fatalismo rassegnato ma per farci scoprire il senso del tempo che è dono e non va sprecato, ma va vissuto con la visuale di Dio e non come tiranno implacabile che ti ruba la vita. Il tempo è un dono di cui ringraziare, è una proposta per costruire e per incontrare, è qualcosa di limitato ma che ti parla di eternità.

 

 

SABATO 28 Settembre

SAN VENCESLAO, Martire

Parola di Dio: Qo. 11,9 – 12,8; Sal. 89; Lc. 9,43-45

 

"MA ESSI NON COMPRENDEVANO". (Lc. 9,45)

Non guardiamo con senso di superiorità questi apostoli che stentano a comprendere il mistero di Gesù. Non mi scandalizzano, come non mi scandalizza il fatto che il Vangelo dice che anche Maria non comprendeva ma teneva tutti questi misteri nel suo cuore meditandoli. Non mi scandalizzo perché anch’io tante volte pensando alla croce di Gesù mi sono chiesto: "Ma c’era proprio bisogno che la salvezza per noi portasse Lui a morire così?", come non mi scandalizza la difficoltà degli apostoli a comprendere la croce nella vita degli uomini perché anch’io grido sovente: "Perché?", davanti alle malattie, al dolore, alla sofferenza specialmente a quella dell’innocente e del giusto. "Perché il Signore non mi prende? Perché mi lascia ancora qui? A che cosa serve la mia sofferenza?" mi diceva una anziana donna tutta rattrappita dai suoi molti mali. Quante volte il male diventa incomprensibile! "Ho fatto tutto perché mio figlio avesse una buona educazione e poi le compagnie... Non capisco perché Dio permetta che qualcuno distrugga tutto questo!" "Dio ha bisogno di preti e di preti santi, eppure quel buon prete che tanto faceva, sta morendo di cancro. Perché?!". Essere cristiani, discepoli di Cristo, non significa aver capito tutto. Dopo il battesimo, dopo il catechismo, dopo anni che magari sei prete ed hai predicato ad altri Gesù, non hai la garanzia di sapere tutto; ogni giorno anche tu, come tutti gli altri, sei alla ricerca davanti al mistero di Gesù, e puoi incorrere in errori, e devi ancora e sempre interrogarti. Anche il ministero della Chiesa, pur con la sua infallibilità sui dogmi della fede, non è esente dalla ricerca, dagli errori temporali, dalla gioia di un incontro sempre nuovo con il suo Salvatore. Mettersi a seguire Cristo non è trovare automaticamente Lui e le risposte ad ogni quesito e aspetto della vita, è invece la bellissima e gioiosa avventura del tentare e ritentare, dell’aprirsi a Lui ogni giorno. Che un filosofo o un teologo, blaterando, cerchino di spiegare ad un malato il perché della sofferenza, non cambia di una virgola la sofferenza del malato; se qualcuno con amore, servizio, disponibilità si fa parte della sofferenza del malato, anche questo non cambia la sofferenza del malato, ma lo aiuta, non lo fa sentire solo, gli dà conforto. Gesù ha fatto proprio così.

 

 

DOMENICA 29 Settembre - 26^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Santi Arcangeli MICHELE, RAFFAELE E GABRIELE

Parola di Dio: Ez. 18,25-28; Sal. 24; Fil. 2,1-11; Mt. 21,28-32

 

 

1^ Lettura (Ez 18, 25-28)

Dal libro del profeta Ezechiele.

Così dice il Signore: "Voi dite: Non è retto il modo di agire del Signore. Ascolta dunque, popolo d'Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia per commettere l'iniquità e a causa di questa muore, egli muore appunto per l'iniquità che ha commessa. E se l'ingiusto desiste dall'ingiustizia che ha commessa e agisce con giustizia e rettitudine, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà ".

 

2^ Lettura (Fil 2, 1-11)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi.

Fratelli, se c'è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c'è conforto derivante dalla carità, se c'è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con l'unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.

 

 

Vangelo (Mt 21, 28-32)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, disse Gesù ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: "Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". Dicono: "L'ultimo". E Gesù disse loro: "In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. E` venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli ".

 

RIFLESSIONE

 

Una parabola evidente nel suo significato, quella che abbiamo ascoltato oggi, ma, prima di scendere ad applicazioni pratiche, cerchiamo di comprendere perché Gesù dice questa parabola e a chi, prima di tutto, la rivolge. Gesù, secondo il racconto di Matteo, in questo periodo della sua vita ha avuto parecchie discussioni ed è stato oggetto di tante ostilità da parte dei capi del suo popolo che erano soprattutto i Sommi Sacerdoti e gli anziani (non da intendersi come i vecchi, ma come una specie di senato a cui tutti facevano riferimento). Perché questo? Perché essi vedono pericolosa la predicazione di Gesù che smuove antiche tradizioni religiose, che mette in crisi il loro potere sulle coscienze, che si rivolge ai piccoli e ai poveri, che sembra dipendere da un’autorità che non è la loro, che rischia di compromettere i loro affari e di suscitare una dura repressione da parte dei Romani (pensate al gesto di Gesù che butta all’aria i banchi dei venditori e dei cambiavalute nel Tempio). Eppure Sacerdoti, farisei, dottori della legge, anziani, sono i detentori della prima alleanza, e Gesù lo sa. Sono coloro a cui Dio si è rivolto, che Dio ha scelto per stringere un patto. Sono il Figlio maggiore a cui Dio ha chiesto di far fruttificare la sua vigna e che ai piedi del Sinai ha giurato fedeltà alla Legge. Sono il Figlio maggiore che ancora ai tempi di Gesù dice di voler compiere la volontà del Padre, sa in che cosa essa consista ma che, essendosi fermato alle tradizioni, alle esteriorità religiose, alle formule, ha perso l’anima della fede e quindi dice di sì e fa no. Gesù ama il suo popolo ed è terribilmente rattristato del fatto che proprio i religiosi e gli anziani siano come il primo figlio della parabola e allora li richiama ad essere attenti al dono che hanno tra le mani perché se no questo dono verrà affidato ai pagani e ai peccatori che esteriormente sembrano essere lontani dalla fede, che nella loro vita o non hanno accolto l’invito di Dio o hanno preferito scelte più legate ad esigenze terrene, ma che, davanti alla predicazione del Figlio di Dio, sanno incontrare il suo messaggio e convertirsi ad esso. Chiaramente però il valore della parabola è universale e quindi anche noi come singoli e come comunità dobbiamo confrontarci con essa. Provo allora a sottolineare alcuni aspetti di questo racconto. Prima di tutto non dimentichiamoci che la parabola inizia con un invito da parte di Dio ad andare a lavorare nella vigna (ricordiamo domenica scorsa: il padrone della vigna esce a tutte le ore della giornata per invitare gli operai a lavorare). Dio ci offre la sua amicizia, i suoi doni, il suo perdono ma tutte queste cose non ce le fa cadere dall’alto, non ce le impone, Egli chiede di darci da fare. Lui offre tutto ma noi siamo responsabili. Pensate alla prima lettura di oggi dove già il profeta Ezechiele ricordava che la salvezza dipende sì da Dio ma può operare solo se accettata e corrisposta da parte dell’uomo. Dunque noi non siamo soggetti passivi. Dio è contrario ad ogni forma di pigrizia dell’uomo. Dio ha affidato a ciascuno dei talenti e questi vanno trafficati. Proviamo a chiederci se il nostro talento di amore, di attenzione al prossimo, di servizio (e ciascuno di noi pensi ai propri doni), lo usiamo o lo nascondiamo, se nella vigna del Signore ci diamo da fare o siamo solo chiacchieroni che muovono l’aria con la lingua ma che non si abbassano a zappare.Un secondo grande insegnamento che viene dall’insieme di tutta la parabola mi sembra sia quello di non giudicare mai dalle apparenze. Il primo figlio dice un sì all’apparenza pronto e generoso mentre il secondo dice subito la sua non voglia di faticare e noi facilmente caschiamo nel giudizio elogiando il primo e indicando il secondo come inetto. "Come parla bene quel prete, mentre quell’altro non riesce a mettere insieme due parole e le sue omelie fanno addormentare!" Può essere vero, ma il valore della fede lo si misura dalle parole che si dicono o dai gesti che si compiono per essa? "Davanti a quel gruppo di cristiani mi sento un verme: hanno indicazioni in tutti i campi, nella politica, nella carità, nell’impegno sociale…" Se certe persone ci sono da esempio: meno male, se ci stimolano ad essere migliori siano davvero i benvenuti, ma attenzione a tutte le nostre divisioni tra buoni e cattivi, non sempre le apparenze corrispondono. Ho in mente un’immagine della mia infanzia. La maestra quando si assentava dalla classe incaricava il più "buonino" (chissà perché era sempre il figlio del dottore) di scrivere sulla lavagna, divisi in due colonne demarcate da una grossa riga, i buoni e i cattivi. La vita mi ha fatto scoprire che non sempre è andata così, che certi ‘buoni’ sono divenuti degli emeriti imbroglioni e che certi ‘cattivi’ ancora oggi spargono bene a piene mani. Il giudizio dunque spetta a Dio che conosce a fondo le coscienze. Ecco dunque un altro invito della parabola, quello di far cadere le maschere. Dio ci vuole schietti e leali, davanti a Lui ed a noi stessi le maschere di perbenismo, di formalismo religioso senz’anima, non contano. Dio conosce benissimo i nostri limiti, le nostre "non voglie", non si spaventa neppure dei nostri peccati, ma ci vuole sinceri, preferisce uno che gli dica schiettamente: "non ho voglia!" ma che poi cerchi di mettercela tutta, da uno che invece vanta le sue capacità, ma al momento giusto non muove un dito. Dio ci vuole coraggiosi e decisi. Se abbiamo constatato il disaccordo che esiste tra il nostro comportamento e le nostre parole, dobbiamo subito agire con l'energia della fede per spezzare i legami delle nostre abitudini, per liberarci dall'egoismo e dalla superbia che svuotano la nostra vita cristiana e ne paralizzano lo slancio. La fede vissuta non è placida quiescenza: essa spinge alla sequela di Cristo e conduce al Calvario Dio ci vuole fedeli e perseveranti. Ci invita a non fermarsi mai lungo il cammino. Certo, è inevitabile che la fatica si faccia sentire, certo anche noi in certi momenti possiamo sbuffare: "Signore, questo è troppo, non ne posso più!" oppure dirgli "non capisco il perché di questa prova". Però, sostenuti e rinvigoriti dalla preghiera e dalla grazia di Dio, l'amore sarà tanto forte da permetterci di resistere fino alla fine. «Beato ,dice il Signore, chi avrà perseverato fino alla fine».E, se volete, facciamo un ultima riflessione. Gesù dice che i pubblici peccatori e le prostitute "vi precederanno nel Regno dei cieli". Certamente questo non è una esaltazione del peccato o un voler santificare di colpo una categoria di persone, ma Gesù ci invita alla conversione: anche se la mia o la tua vita è un insieme di errori e di peccati, anche se abbiamo amato in modo sbagliato per colpa nostra o perché spinti da fatti ed evenienze che ci sono sembrate superiori alle nostre forze, ebbene, se incontriamo davvero Cristo e lasciamo che la sua buona notizia cresca in noi, possiamo ancora cambiare, mettendoci il nostro impegno e fidandoci della Grazia di Dio. Egli, che conosce i cuori, può fare anche di peccatori come noi, figli che dicono sì e che questo sì lo fanno diventare concreto nella propria vita.

 

 

LUNEDI’ 30 Settembre

SAN GIROLAMO, Sacerdote e Dottore della Chiesa

Parola di Dio: Gb. 1,6-22; Sal. 16; Lc. 9,46-50

 

"MAESTRO, ABBIAMO VISTO UN TALE CHE SCACCIAVA DEMONI NEL TUO NOME E GLIELO ABBIAMO IMPEDITO PERCHE’ NON E’ CON NOI TRA I TUOI SEGUACI".(Lc. 9,49)

Non per niente Giovanni e suo fratello avevano il soprannome di "figli del tuono" dovuto alla loro impetuosità. Qui Giovanni vuol difendere il gruppo degli apostoli, vuole, in nome dell’ortodossia, allontanare chi non la pensa come Lui, o forse è anche un po’ geloso di vedere persone non appartenenti al gruppo dei dodici fare miracoli che magari a loro non riuscivano. Il rischio di fare come voleva fare Giovanni è ancora presente oggi, infatti siamo ancora molto lontani dalla mentalità di Gesù. Noi viaggiamo ancora per etichette. Nel nostro mondo religioso i muri stentano a cadere. La storia, le interpretazioni arbitrarie, spesso dettate da motivi tutt’altro che religiosi, hanno fatto sì che si manifestasse la piaga delle divisioni: persone che si dicono credenti in Cristo e si fanno la lotta tra loro. Pensiamo poi a un’altra fonte di divisione: cattolici che si osteggiano perché appartengono a gruppi diversi. Gesù è venuto per unire. Gesù vuol fare un sol gregge sotto un solo pastore. Gesù ci dà il metro per imparare a leggere l’unità e a cercarla: tutto ciò che concorre al bene del prossimo, tutto ciò che sfocia in opere di fede e di carità è positivo. Dovremmo davvero imparare a leggere in positivo e il positivo! Anche nelle nostre famiglie, se invece di accanirci e farci sangue gramo per le diversità, sapessimo vedere quanto di buono ci è dato e c’è nell’altro, quanta più tolleranza, quante discordie superate!

 

 

Una manciata di proverbi sulla verità

 

Dove parla il denaro, la verità tace.

La verità non è mai troppa.

La verità si può seppellire, ma non può morire.

La verità si sa solo dagli ubriachi e dai bambini.

Mille probabilità non fanno una verità.

Per sapere la verità bisogna ascoltare due bugiardi.

La verità e il mattino si rischiarano a poco a poco. (Pr. Etiope)

Non c'è corda abbastanza robusta per impiccare la verità. (Pr. Russo)

A chi possiede tutto, manca una cosa: qualcuno che gli dica la verità. (Pr. Spagnolo)

Verità va di giorno. Falsità di notte. (Pr. Tedesco)

Dà un cavallo a chi dice la verità, ne avrà bisogno per fuggire. (Pr. Armeno)

     
     
 

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