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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

LUGLIO 2002

 

LUNEDI’ 1

S. Aronne; S. Ester; S. Giulio

Parola di Dio: Am. 2,6-10.13-16; Sal. 49; Mt. 8, 18-22

 

"LE VOLPI HANNO LE LORO TANE E GLI UCCELLI DEL CIELO I LORO NIDI, MA IL FIGLIO DELL’UOMO NON HA DOVE POSARE IL CAPO". (Mt. 8,20)

Ripensando a questa parola di Gesù mi sono venute in mente due persone concrete che incontrai al tempo del seminario minore. Uno era un uomo di una certa età che mi disse: "Bravo, hai fatto bene ad entrare in seminario e a volerti far prete. Costerà qualche sacrificio, ma poi, vedrai, sei sistemato per tutta la vita, non ti mancherà mai niente, e, alla fin fine, potrai fare sempre quello che vorrai". Un altro era uno di quei preti che, pur di procacciare vocazioni, infioravano il sacerdozio credendo di renderlo più appetibile, e diceva: "I sacerdoti sono i prediletti di Gesù, e Gesù rende facile la loro via, anche nelle difficoltà è sempre presente e risolve Lui i loro problemi…" Grazie al cielo, poi ho incontrato anche altre persone che con realismo mi hanno messo davanti la pagina di Vangelo odierno che, beninteso, non riguarda soltanto le vocazioni sacerdotali ma chiunque voglia mettersi al seguito di Gesù. Andare dietro a Gesù non significa scegliere la via più facile, non è aver tutti i problemi risolti, non è neppure aver capito più di altri o avere la risposta a tutti i dubbi della vita, e non è neanche che il Maestro sia così facile, comprensibile, facilmente disposto al miracolo. Gesù attrae perché è l’uomo libero, Gesù ti porta alla fede in Lui come vero Figlio di Dio, Gesù ha promesse allettanti, ma Gesù chiede scelte radicali, Lui non ha schemi prefissati, se ti metti a seguirlo non sai esattamente dove ti porterà e che cosa ti chiederà; con Lui, di certo non hai risolto i problemi economici come intende il mondo, anzi rischi la povertà; Lui te lo dice chiaro: "non ha un sasso dove posare il capo", "Se hanno fatto questo al legno verde che cosa non faranno al legno secco", vi condurranno davanti ai loro tribunali (e sta parlando di tribunali religiosi) e uccidendovi penseranno di aver fatto del bene!". Non si può proprio dire che Gesù abbia indorato la pillola per chiederci di seguirlo. Eppure quante persone lo hanno seguito fino a dare la propria vita! Signore, tu nel proporti come mio maestro sei stato chiaro e mi hai messo davanti le difficoltà, ebbene io voglio seguirti, ma con altrettanto realismo ti dico i rischi a cui vai incontro nel prendermi come discepolo: sono uno che soffre di facili entusiasmi e che alle prime difficoltà si spegne con altrettanta facilità; devi stare attento a me perché sono uno che si lascia spesso portare via dalle prime voci suadenti che incontra, e qualche volta corro dietro alle farfalle; dico di essere disposto a seguirti ovunque, ma spesso mi piacciono le comodità e mi attacco facilmente alle cose… E Gesù risponde a me e a te: "Non ho scelto Pietro perché era il più furbo, il più intelligente, sapevo benissimo che mi avrebbe rinnegato, ho corso con Lui il rischio che si mettesse davanti a me, al mio posto, per farmi fare ciò che non era volontà di Dio; ho scelto Paolo che era un grand’uomo, ma con un caratterino!, ho chiamato un pubblico peccatore, Matteo, uno zelota, i due fratelli che erano soprannominati "Figli del tuono", per la loro irruenza… ho chiesto loro solo di amare… Tu sei disposto a cercare di amare con tutto il cuore? Allora, vieni!

 

 

MARTEDI’ 2

S. Ottone; S. Bernardino Realino; S. Blandina

Parola di Dio: Am. 3,1-8; 4,11-12; Sal. 5; Mt. 8,23-27

 

"ED ECCO SCATENARSI NEL MARE UNA TEMPESTA COSI’ VIOLENTA CHE LA BARCA ERA RICOPERTA DALLE ONDE; ED EGLI DORMIVA". (Mt. 8,24)

Il racconto della tempesta sedata si presta ad alcune evidenti interpretazioni: la vita e la vita della Chiesa sono tutt’altro che immuni dalle prove e dalle tempeste e, qualche volta. sembra che Gesù dorma e non intervenga; quando però riconosciamo la nostra paura e povertà, il Signore, sulla base della nostra fede in Lui, ci aiuta a superare i momenti difficili e ci porta alla meta sani e salvi. Oggi, però, vorrei fermarmi con voi su alcune ‘tempeste’ che si abbattono sul nostro volerci comportare da cristiani. Una tempesta che sembra invincibile è quella che attacca il perdono: l’amico, il parente ti ha tradito, ne senti le ferite materiali e morali, senti crescere dentro di te il dispiacere che spesso si cambia in rancore, in voglia di vendetta. Nasce anche il pensiero del perdono, ma sembra una vigliaccheria, un cedere al male. Le onde del rancore si ingrossano sempre più e sembra non esserci soluzione alcuna. Un'altra tempesta che sembra inarrestabile è quella di amare profondamente una persona e vedere che questa si sta autodistruggendo o seguendo strade che la porteranno a difficoltà tremende, e non riuscire a dare un aiuto, anzi vedersi allontanati dal poter dare una mano, vedersi rifiutati dalla persona stessa che si ama. E il Signore sembra non intervenire! Eppure prego perché l’ira non abbia in me il sopravvento, prego per quella persona, la metto nelle mani di Gesù… ma non succede niente… La tempesta più difficile da placare è quella che abbiamo dentro noi, quella che con le sue paure ci impedisce di ragionare, che ci fa dimenticare che sulla barca della nostra e della altrui vita c’è sempre Gesù, anche se apparentemente dorme. Se ci rendessimo conto che Lui c’è, che Lui non può volere il nostro male, le cose cambierebbero perché cambierei atteggiamento io. Io so che da solo non sono capace di perdonare, ma lui può anche quello che è impossibile, so che Lui non mi abbandona neanche quando ricado nell’ira o nella voglia di vendetta. Se so che Gesù è anche sulla barca di quella persona che amo e che sta prendendo strade difficili, continuerò a tremare, soffrirò nel vedere gli errori e le scelte sbagliate, continuerò a cercare di dare una mano, anche se rifiutato, ma ho la certezza che Gesù continua a voler bene a Lui e a me. Se non è facile strappare miracoli immediati al Signore, cerchiamo almeno di sedare un po’ le tempeste interiori per dare a Lui la possibilità di aiutarci a renderci conto che se anche non interviene immediatamente, sulla barca Lui c’è.

 

 

MERCOLEDI’ 3

San Tommaso

Parola di Dio: Ef. 2,19-22; Sal. 116; Gv. 20,24-29

 

"BEATI QUELLI CHE PUR NON AVENDO VISTO CREDERANNO". (Gv. 20,29)

Tommaso, l’apostolo che festeggiamo oggi, è la figura di tutti quelli che, come lui, ricevono l'annuncio della risurrezione non direttamente da Gesù, ma attraverso la testimonianza di altri. In pratica Tommaso rappresenta tutte le generazioni venute dopo il tempo di Gesù, che si trovano nelle condizioni di credere senza poter vedere. Quindi la beatitudine che mediamo è per noi. E qual è l'insegnamento che Gesù vuoi darci ora con queste sue parole? Egli vuole imprimere in noi, e in tutti gli uomini che non sono vissuti attorno a Lui, la convinzione di possedere la stessa realtà degli Apostoli. Gesù vuoI dirci che non siamo sfavoriti riguardo a quelli che lo hanno visto. Infatti, se abbiamo fede, essa è il nuovo modo di "vedere" Gesù. Con la fede possiamo avvicinarlo, comprenderlo in profondità, incontrarlo nel più profondo del nostro cuore. Con la fede possiamo scoprirlo presente e vivo sia fra due o più fratelli uniti nel suo nome, come nei Sacramenti. Queste parole di Gesù sono ancora per noi un richiamo a ravvivare la nostra fede, a non aspettare appoggi o segni per progredire nella vita spirituale, a non dubitare della presenza di Cristo nella nostra vita e nella storia, anche se Egli può sembrarci lontano. Con queste parole Gesù vuole che ci abbandoniamo con fede viva e con fiducia nelle braccia di Dio. Vuole che impariamo a credere al Suo amore, anche se ci troviamo in situazioni difficili, o sembra ci sovrastino circostanze impossibili. Queste parole di Gesù, infine, sono per noi un invito a non chiuderci nella nostra piccola logica umana, a non lasciarci bloccare dal razionalismo; sono un invito ad accettare ciò che ci supera e cioè le grandi verità della fede come il mistero di Dio, di Cristo o della risurrezione, misteri che oltrepassano le possibilità dell’intelligenza e sfuggono al controllo delle scienze.

 

 

GIOVEDI’ 4

Santa Elisabetta del Portogallo; Beato Piergiorgio Frassati

Parola di Dio: Am. 7,10-17; Sal.18; Mt. 9,1-8

 

"CORAGGIO, FIGLIOLO, TI SONO RIMESSI I TUOI PECCATI" . (Mt. 9,2)

Quanto è meraviglioso poter sentirci ripetere queste parole di Gesù: "ti sono perdonati tutti i peccati". Tutto ciò che cercavamo di tenere nascosto perché umiliante, tutto ciò che ci faceva sentire meschini, bassi, vigliacchi, tutto è sparito, cancellato, dimenticato, ciò che era morto è rivitalizzato, siamo liberi, ci sentiamo più leggeri. Quante volte sono stato testimone diretto per me e per tante altre persone di questa liberazione, di questo sollievo. La vita ritorna a scorrere dove sembrava ci fosse solo più aridità, la speranza riprende vita dove ormai c’era solo più stanca abitudine, l’amore ha ritrovato il suo smalto e la sua forza. Mi chiedo: perché allora noi spesso ritardiamo questo momento di liberazione? Perché ci aggrappiamo a scuse o a false paure per non accostarci al Sacramento della Penitenza oppure perché lo banalizziamo rendendolo una lavanderia a gettone? E’ vero che non è un Sacramento facile, che non è semplice riconoscersi peccatori, che andare a dire ad un’altra persona, peccatrice come me, i miei peccati può sembrare assurdo; è vero che neanche sempre i preti sono all’altezza del sacramento che gestiscono, ma volete mettere che cosa significa, sentirci amati da Dio al punto che Lui, nonostante i nostri errori e peccati, continua a fidarsi di noi, è disposto di nuovo a ricominciare un cammino con noi?

Che bello sentirsi dire: "Coraggio!", quando la consapevolezza del male in noi ha fatto sorgere la paura che esso sia la parola definitiva del nostro vivere. Che bello, invece di sentire minacce, sentirsi incoraggiati, sentire che Dio non ha perso la fiducia in noi, che Lui sa e crede che noi possiamo farcela.

Poi Gesù dice: "Figliolo". Se sono figlio, anche se prodigo, continuo a sentire la nostalgia del Padre, del bello e del buono che c’è nella sua casa. Se Dio è solo il giudice terribile, non ho nessuna voglia di incontrarlo! "Ti sono rimessi i tuoi peccati". Dio mi perdona, Lui che il male lo ha vinto con l’amore crocifisso di Gesù, fa piazza pulita, cancella, dimentica, ricomincia da capo, si fida di me e questo non per scherzo. Quando Dio dice una parola questa è definitiva, per sempre.

 

 

VENERDI’ 5

Sant’Antonio Maria Zaccaria; Santa Filomena

Parola di Dio: Am. 8,4-6.9-12; Sal. 118; Mt. 9, 9-13

 

"ANDATE DUNQUE E IMPARATE CHE COSA SIGNIFICHI: MISERICORDIA IO VOGLIO E NON SACRIFICIO. INFATTI NON SONO VENUTO A CHIAMARE I GIUSTI, MA I PECCATORI". (Mt. 9,13)

I "buoni", i "religiosi" spesso pensano d’avere l’esclusiva di Dio e di Gesù e gli fanno dire ciò che vogliono. Gesù, invece, dice di non essere venuto per gli "autosufficienti", per coloro che pensano già di possederlo o per coloro che non ne sentono il bisogno. Gesù e venuto per chi Io desidera, per chi sa di non farcela da solo, per chi ha l’umiltà di guardare a Dio cercandolo così come Egli è, e non secondo l’idea preconcetta che si ha di Lui . Ho bisogno di Dio? Mi sento piccolo e peccatore nei suoi confronti? Penso davvero di aver bisogno di Lui per essere salvato? Se rispondiamo affermativamente a queste domande, allora Gesù è venuto proprio per noi. Per poter accogliere la salvezza di Gesù bisogna rendersi conto di appartenere ad una categoria di persone: quella dei peccatori. Non dovremmo far fatica a riconoscerci tali, eppure tante volte siamo talmente pieni di noi che abbiamo la presunzione di essere giusti e di salvarci da soli. Ma se ci succede questo, noi vanifichiamo l’opera e la croce di Cristo, è come se gli dicessimo: "Tu sei morto in croce per noi, ma potevi farne a meno perché intanto noi ci salviamo da soli, con le nostre opere". Così pure succede quando noi pensiamo che la salvezza dipenda dai nostri sacrifici, dalle nostre offerte, dalle nostre preghiere. Queste cose sono tutte utili, necessarie, ma solo per permettere che la salvezza meritata da Gesù giunga a noi e in noi sia manifestata.

 

 

SABATO 6

Santa Maria Goretti; Sant’Isaia

Parola di Dio: Am. 9,11-15; Sal. 84; Mt. 9,14-17

 

"NESSUNO METTE UN PEZZO DI STOFFA GREZZA SU UN VESTITO VECCHIO, PERCHE' IL RATTOPPO SQUARCIA IL VESTITO E SI FA UNO STRAPPO PEGGIORE. (Mt. 9,16)

Dio, con noi ha corso e corre un grave rischio. Lui per farsi capire ha scelto la strada della incarnazione, ha usato un linguaggio che fosse comprensibile dalla nostra intelligenza, ma spesso gli uomini invece di cogliere l’essenza del suo messaggio hanno preferito fermarsi alle formule, ai riti, alla codificazione di Dio (come se Dio, l’immenso, potesse entrare nei nostri piccoli schemi) ed ecco allora che questo rattoppo di stoffa grezza e nuova su un tessuto logoro e vecchio ha creato più danni che bene. Con un esempio ce lo racconta Antony de Mello

Un mistico tornò dal deserto. "Dicci", gli chiesero avidamente, «com’è Dio?». Ma egli come poteva esprimere in parole ciò che aveva sperimentato nel profondo del suo cuore? E possibile esprimere in parole la verità? Alla fine diede loro una formula — così imprecisa, così inadeguata — nella speranza che alcuni di loro si sentissero tentati, a sperimentare essi stessi ciò che egli aveva sperimentato. Essi s’impadronirono della formula. Ne fecero un testo sacro. L’imposero a tutti come un articolo di fede. Affrontarono grandi sofferenze per diffonderla in paesi stranieri. E alcuni dettero persino la propria vita per essa. E il mistico rimase triste. Sarebbe stato meglio se non avesse mai parlato.

 

 

DOMENICA 7 - 14^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

San Claudio; San Ampelio

Parola di Dio: Zc. 9,9-10; Sal 144; Rom. 8, 9. 11-13; Mt. 11,25-30

 

1^ Lettura (Zc 9, 9-10)

Dal libro del profeta Zaccaria.

Così dice il Signore: "Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina. Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra ".

 

2^ Lettura (Rm 8, 9. 11-13)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

Fratelli, voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete.

 

Vangelo (Mt 11, 25-30)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo Gesù disse: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero".

 

RIFLESSIONE

 

Il brano di Vangelo di oggi apre un importante squarcio sulla figura di Gesù. Gesù è il maestro che insegna ai suoi discepoli, ma il suo modo non è, come spesso accade, quello di certi maestri di scuola che vengono in classe, riversano sugli allievi una serie di informazioni e poi se ne vanno. Gesù non insegna nozioni, non dimostra Dio, non detta una serie di norme morali, Gesù presenta se stesso. Il discepolo di Cristo non è uno che ha imparato una serie di nozioni, non è il primo della classe che ripete la lezione a pappagallo, è uno che è rimasto attratto dal maestro, lo ha visto pregare, lo ha visto agire e, poco per volta, ha cominciato a fare come Lui, si è rivestito dei suoi modi, cerca di seguire le sue orme. Nel Vangelo odierno noi vediamo Gesù pregare. Il suo è senz’altro un modo originale di rivolgersi a Dio. Innanzitutto lo chiama, nella sua lingua, Abba, cioè papà, babbo. E pensare che gli Ebrei che lo ascoltavano si facevano persino scrupolo di pronunciare il nome di Jahvè! Nessun orante ebraico, che si sappia, aveva mai osato rivolgersi a Dio con questa familiarità. Se, mentre stiamo parlando con una persona molto importante, vediamo un bimbo avvicinarsi a lei senza soggezione alcuna e parlargli con confidenza, noi diciamo subito: è il figlio! Cosi dovevano concludere i discepoli, almeno più tardi, ripensando a quella scena. Secondo l'evangelista, sono gli stessi giudei a tirare questa conclusione: « Egli chiama Dio suo padre, si fa perciò uguale a Dio». Dunque questa sua intimità profonda con il Padre non solo c’insegna la strada della preghiera confidenziale, sicuri che Dio ci ascolta, ma ci rivela Lui come Figlio di Dio. Il contenuto, poi di questa preghiera ci svela quale sia il desiderio e il modo di comportarsi di Dio: "Tu hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" cioè: Dio desidera rivelarsi agli uomini, Dio ama l’intimità con la sua creatura, ma quando un cuore è pieno di se stesso, della sua sapienza umana, del suo orgoglio, non riesce a stabilire un contatto con Lui perché Dio non è comprabile dall’intelligenza umana, dalla potenza umana. Dio non si compra con la scienza. Dio gioca a nascondino con la sapienza umana. Le più grandi biblioteche dei filosofi di questa terra hanno balbettato di Dio, quando non ci hanno presentato un Dio costruito dagli uomini. Solo un cuore semplice può entrare nella sua intimità. Gesù è il Figlio di Dio, l’intimo del Padre perché semplice ed umile di cuore. Gli Ebrei dell’epoca di Gesù si aspettavano un Messia forte e potente, uno che sarebbe arrivato tra rombi di tuoni e fiamme folgoranti per liberare il popolo di Israele dall’oppressore romano, uno che sarebbe dovuto arrivare a cavallo di un destriero imponente e con armi scintillanti avrebbe dovuto guidare alla riscossa il popolo oppresso per instaurare un nuovo Regno di forza e di potere cui tutti avrebbero dovuto inchinarsi. Questi Ebrei forse non ricordavano la profezia di Zaccaria, quella che abbiamo letto nella prima lettura di oggi, dove viene detto che il Messia entrerà cavalcando un asinello, segno di povertà e di umiltà. E questo succederà a Gesù la domenica delle palme Non è che Lui abbia dovuto accontentarsi dell’asino, dal momento che non c’era altra scelta, non aveva niente di meglio a disposizione. Ha proprio voluto l’asino, una cavalcatura modesta, e ha rifiutato il cavallo, di cui non potevano fare a meno i principi guerrieri e i conquistatori orgogliosi. La scelta dell’asino assume un significato preciso. Indica un orientamento di fondo: l’adozione di uno stile di umiltà e semplicità, e il ripudio di ogni trionfalismo, esibizionismo, mania di grandezza, sfoggio di potenza. Questo re, che pure è vittorioso, non ha nessuna pretesa di imporsi, sbalordire, apparire come un dominatore, né tanto meno intimorire. E Gesù non sceglierà le armi per salvare , anzi inviterà a "riporre le armi nel fodero perché chi di spada ferisce, di spada perisce". Siamo noi che, forse, non abbiamo ancora capito che quella scelta, oltre a esprimere un gusto particolare del Signore, intendeva fornire un’indicazione precisa, una lezione sempre valida. Abbiamo subito provveduto a far sparire l’asino, insieme ai segni dell’umiltà e della povertà Quell’asino era troppo imbarazzante, «Non idoneo» alla gloria del nostro Re. Chissà perché, quando si tratta di rendere onore al Signore, abbiamo la presunzione di stabilire noi ciò che è «idoneo» e non teniamo mai conto delle sue preferenze, che pure ha manifestato, più volte, in maniera inequivocabile. Diciamo: «Per il Signore niente è troppo». «Per la causa della fede niente è troppo». E l’ambizione, la vanità, l’ansia di competere sul piano dello spettacolo ci suggeriscono sfarzo, scenari grandiosi, mezzi clamorosi, tecniche d’avanguardia. Ma se guardiamo al maestro, quale dovrebbe essere la Chiesa dei suoi discepoli? Noi spesso parliamo di Chiesa trionfante, ma non pensando al futuro, alla chiesa dei Santi in paradiso, chiesa che ha trionfato sul peccato e sulla morte, spesso purtroppo pensiamo alla Chiesa trionfante qui, sulla terra e ce la costruiamo e immaginiamo come una Chiesa che conquista, che ha potere sulla terra, che vince e abbatte i nemici, una chiesa di puri, di giusti, una chiesa dove trionfi sempre il bene e la verità sia difesa da chiare norme …E Gesù, il maestro sorride di questi nostri tentativi di contraffazione di Chiesa a figura dei poteri terreni e dice: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi". Ecco, il suo regno è fatto di persone che fanno fatica, fatica a comprendere, fatica a vivere, fatica perfino ad andare dietro al Maestro. Lui stesso non nasconde che in certi momenti il seguirlo è difficile e diventa un giogo ma anche un giogo soave e leggero se portato con Lui per amore. Ricordo un’esperienza personale. Parecchi anni fa mi ero lasciato tentare da alcuni amici appartenenti ad un famoso e potente movimento che mi avevano invitato ad andare ad un loro incontro nazionale in una città della riviera Romagnola. Grandi momenti di dibattito, fiumane di parole dettate da personaggi celebri della cultura e della politica e poi la celebrazione della Messa da parte del leader religioso carismatico del movimento e anche qui grandi parole, programmazioni orgogliose, preghiere dei fedeli che invece che invocazioni sembravano proclami. Ad un certo punto ne ho avuto abbastanza e mi sono allontanato per fare due passi in mezzo al rumore assordante e vacanziero della città di riviera. Camminando m’imbattei in una chiesa, vi entrai. Stavano celebrando la messa, Sparse nei banchi una ventina di persone, per lo più anziani. Il prete, vecchio anche lui, si sforzava, combattendo con un microfono gracchiante e con la tosse che spesso gli sopraffaceva la voce, di spiegare il Vangelo. Non ci riusciva molto, ma si vedeva che quello che diceva lo diceva col cuore e anche quando arrivò alla consacrazione si sentiva, dalla sua voce, roca ma quasi incrinata, che adorava davvero la presenza di Gesù nel suo mistero di morte e di risurrezione. A quel punto una lacrima silenziosa sgorgò anche dai miei occhi: Avevo capito: là, al grande congresso si parlava di Cristo (e certamente vi erano anche dei bravi cristiani) ma qui si adorava nel nascondimento, ma nella fede, il suo mistero.

 

 

 

LUNEDI’ 8

Santi Aquila e Priscilla; San Adriano III

Parola di Dio: Os. 2,16-18.21-22; Sal. 144; Mt. 9,18-26

"SE RIUSCIRO’ ANCHE SOLO A TOCCARE IL SUO MANTELLO SARO’ GUARITA". (Mt. 9,21)

Questa frase mi viene in mente spesso quando dico Messa. Qualche volta noi diciamo: "Se fossi vissuto ai tempi di Gesù… Se in quel momento di difficoltà avessi avuto Gesù al fianco…". Qualcuno di noi ha poi il culto del luogo e delle cose: ci portiamo nel portafoglio l’immagine di Padre Pio con un pezzetto del suo vestito, andiamo a bere alla fontana di Lourdes e ci portiamo a casa l’acqua benedetta, tocchiamo l’urna di un santo o il piede di una statua nel ricordo di un apostolo… "Se potessi toccare Gesù, anche solo il lembo del suo mantello, sarei guarita dalla mia malattia" è il pensiero di quella donna che soffriva da anni di perdite di sangue. E nella sua fede, grezza ma profonda, le succede proprio così. E noi che abbiamo la possibilità di toccare, di ricevere, di mangiare il corpo di Gesù nella Eucarestia, ci lamentiamo di non essere altrettanto fortunati, di non avere altrettante possibilità? Certo Gesù non è una macchinetta per miracoli, non è la lampada di Aladino che con una semplice strofinata risolve le tue richieste, ma è il Figlio di Dio che si fa Pane per me e per te. Abbiamo la possibilità di essere in stretta comunione con Lui come lo è stata Maria in quei nove mesi di gravidanza, possiamo comunicare al suo mistero di morte e di risurrezione, al mistero della redenzione in modo reale. Se noi siamo uomini concreti che hanno bisogno di toccare e di sentire, lui si è donato concretamente a noi in quel Pane Eucaristico per farsi toccare, sentire, Lui ci parla se vogliamo sentirlo, Lui si concretizza nel fratello, se abbiamo occhi per vederlo, Lui si offre compagno di cammino dei nostri dolori e delle nostre gioie. Se noi abbiamo fede non solo siamo noi che abbiamo la possibilità di toccarlo, ma è lui stesso che stende la mano per toccarci, come nel secondo miracolo del vangelo di oggi, per richiamarci alla vita; ed è ancora Lui che donandoci se stesso può forse dire le stesse parole di allora nei nostri confronti: : "Ritorna alla vita, non essere morto, ma svegliati dal tuo sonno e accogli Colui che cammina con te"

 

 

MARTEDI’ 9

Santa Veronica Giuliani

Parola di Dio: Os. 8,4-7.11-13; Sal. 113; Mt. 9,32-38

 

"SCACCIATO IL DEMONIO , QUEL MUTO COMINCIO’ A PARLARE". (Mt. 9,33)

I miracoli sono i segni per eccellenza che provano che Gesù è il Messia. Essi, oltre il fatto che sono dei doni concreti per persone che soffrono, hanno anche tutta una loro simbologia, ad esempio i miracoli che ci presentano dei muti che si mettono a parlare, indicano l’umanità, che dopo il peccato era ammutolita e non riusciva più a parlare con il suo Dio, ora, tramite Gesù parola di Dio incarnata, riesce a riaprire questo dialogo. Il male, le sofferenze, il demonio avevano chiuso l’uomo in se stesso nelle sue incapacità, nell’egoismo, l’Amore di Gesù permette all’uomo di ritrovare in se stesso, i valori che gli sono propri e di ritrovare la speranza e, allora, gli si apre la bocca per riconoscere la grandezza di Dio e testimoniare l’amore di Gesù. Sempre su questo argomento il salmo che abbiamo pregato oggi ci ricorda che il nostro Dio è un Dio che parla, mentre gli idoli sono muti: "hanno bocca e non parlano". Noi, discepoli di Gesù dovremmo essere persone che non si fanno degli idoli muti, che non erigono barriere per non comunicare, ma persone che guarite dalla loro incomunicabilità riescono a far parlare dentro se stessi la voce di Dio. Può aiutarci nella riflessione un racconto di Luigi Ferraresco:

Mirco e Marco erano due fratelli, o meglio lo furono fino al giorno in cui, per colpa di una carriola, litigarono e se le diedero di santa ragione. Le cose andarono così. Mirco e Marco lavoravano assieme il podere lasciato dal padre e andavano d’amore e d’accordo, così pure le mogli ed i figli: sembravano tutti membri di un’unica famiglia. Un giorno Marco disse: "Comperiamo una carriola, per far meno fatica nei campi".

"D’accordo" - rispose Mirco. Andarono al mercato e tornarono con una carriola nuova fiammante. Quando venne l’ora di andare nei campi Marco disse: "La carriola la porto io, tu porta gli attrezzi". "No, la carriola spetta a me, che sono il più vecchio". "Ma l’idea è stata mia". "Ma se ti ho detto che spetta a me".

"No, a me". "Ho detto a me!". E dalle parole passarono ai fatti. Le mogli intervennero per dividerli, ma poi si accapigliarono fra di loro. Gli unici a continuare i loro giochi furono i bambini. La lite fu più grande del previsto e ricorsero ad un avvocato per dividersi i beni. Di ogni cosa fecero la metà: un campo a Marco e un campo a Mirco; una mucca a Marco e una mucca a Mirco; tre oche a Marco e tre oche a Mirco; un badile a Marco e un badile a Mirco. Venne infine la volta della carriola. "Questa non si può dividere - disse l’avvocato - la terrete a turno, una settimana per ciascuno. "No, piuttosto che vada nelle mani di quello, anche per un solo giorno, la faccio a pezzi". "No davvero - intervenne Mirco - se la tenga lei avvocato".

Ma l’avvocato la rifiutò, per il semplice motivo che non sapeva neppure da che parte si pigliasse in mano una carriola e, senza far tante storie, assegnò la ruota a Marco e il resto a Mirco. I due fratelli, siccome non si potevano neanche vedere, misero fra le due case una rete alta e spessa che non si poteva guardare dall’altra parte. Un giorno passarono dei giovani allegri che giravano il paese di casa in casa in cerca di ferro vecchio da trasformare in pane e minestra per quelli che non avevano più niente da mangiare.

Marco li sentì e pensò: «Niente me ne faccio della ruota; prima che quello me la venga a rubare di notte, la do via per niente». Anche Mirco pensò così e tutt’e due si avviarono verso il carrettino del ferro vecchio con la loro parte di carriola. Si videro in faccia per la prima volta, dopo la famosa litigata: uno con la ruota, l’altro con il resto. "Ma con questi pezzi si può fare una carriola! - esclamò uno dei giovani. "Oh! "- disse Marco. "Oh!" - fece Mirco. "Ma è quasi nuova!" - continuò il giovane, perché, sebbene fosse passato del tempo, ognuno aveva tenuto la sua parte con grande cura. "È nuova!" - disse Marco. "E nuova! "- disse Mirco. Il giovane capì al volo come stavano le cose tra i due fratelli e proseguì: "Sentite un po’: la carriola tenetevela voi, che vi serve nei campi. A noi date quella rete che divide il vostro cortile e impedisce ai vostri bambini di giocare e alle vostre donne di scambiare due parole. E, senza aspettare il permesso, in due e due quattro, levarono la rete e la misero sul carrettino. I bambini incominciarono a giocare come un tempo e le due donne si abbracciarono. Mirco prese la carriola, ci caricò sopra Marco e di corsa volarono nei campi a lavorare assieme.

 

 

MERCOLEDI’ 10

Sante Rufina e Seconda; S. Antonio Pecierskij

Parola di Dio: Os. 10, 1-3.7-8.12; Sal. 104; Mt. 10,1-7

 

"QUESTI DODICI GESU’ LI INVIO’ DOPO AVERLI COSI’ ISTRUITI: NON ANDATE FRA I PAGANI E NON ENTRATE NELLE CITTA’ DEI SAMARITANI". (Mt. 10,5)

Ci possono sembrare strane queste parole che Gesù rivolge ai dodici mentre li manda per una prima missione, ancor più strane se le confrontiamo con quelle che troviamo alla fine dello stesso vangelo di Matteo dove Gesù dice: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni". Il piano di Dio ha tempi diversi: c’è una prima tappa in cui l'annuncio del regno è riservato a Israele, il popolo eletto che aveva ricevuto la promessa di Dio. Con la morte e la risurrezione di Gesù è incominciata la seconda tappa: la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d'angolo per tutti gli uomini. A tutti ormai è aperto l'annuncio della salvezza, a tutti è offerta la grazia sovrabbondante di Cristo. Anche da questa gradualità del disegno di Dio possiamo imparare qualcosa: noi, spesso, siamo impazienti, vogliamo tutto subito anche nella nostra vita spirituale e non sappiamo ringraziare, perché non li vediamo, per i piccoli passi che il Signore fa compiere sulla strada verso di lui a noi e agli altri. Gesù, Figlio di Dio, venuto a portare l'annuncio fondamentale per tutta l'umanità, ha aspettato umilmente, è stato in silenzio per trent’anni, ha limitato la sua azione ai confini ristretti della Palestina, lui che ha detto: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso!». Non ha avuto altro desiderio se non di compiere la volontà del Padre, ha avuto la pazienza di Dio con tutte le persone che ha avvicinato, a cominciare dai Dodici... E ha salvato il mondo. L'impazienza con noi stessi e con gli altri, anche nel bene, non solo è inutile rispetto al futuro, ma impedisce il bene presente. Chiediamo al Signore, mite e umile di cuore, che pacifichi le nostre impazienze orgogliose, perché possiamo fare bene la sua volontà giorno per giorno e aspettare fiduciosi i suoi doni futuri.

 

 

GIOVEDI’ 11

San Benedetto, Santa Olga; San Savino

Parola di Dio: Prov. 2,1-9; Sal. 111; Gv.15,1-8

 

"OGNI TRALCIO CHE PORTA FRUTTO LO POTA PERCHE’ PORTI PIU’ FRUTTO". (Gv. 15,2)

Se c’è una cosa difficile da accettare è la potatura di chi opera già il bene. Riusciamo a capire i rami secchi che vengono eliminati, anzi qualche volta ce la prendiamo con Dio perché non fa piazza pulita dei cattivi, ma perché la sofferenza per chi sta operando il bene? Gesù parla di una prospettiva di frutti migliori. Il frutto è poi sempre uno: la carità, l’amore. E’ vero che la potatura, le prove, le tentazioni, le sofferenze sono contrarie alla vita, alla serenità, allo star bene ma abbiamo mai pensato alla sofferenza come ad un momento di purificazione che può migliorarci interiormente e che può farci puntare a valori umani e cristiani sempre più alti? La potatura può farci o rinsecchire oppure può farci portare frutti qualitativamente migliori. Una catena è sempre simbolo di schiavitù: ma è sempre un male? Ecco come Gianni Rodari, in questa favoletta, ci indica una risposta La catena si vergognava di se stessa. "Ecco – pensava - tutti mi schivano e hanno ben ragione. La gente ama la libertà e odia le catene". Passò di lì un uomo, prese la catena. Salì su un albero, ne legò i due capi ad un ramo robusto.

Ci fece l’altalena. Ora la catena serve per far volare in alto i figli di quell’uomo. Ed è molto contenta.

 

 

VENERDI’ 12

San Giovanni Gualberto

Parola di Dio: Os. 14, 2-10: Sal. 50; Mt. 10,16-23

 

"SIATE PRUDENTI COME SERPENTI E SEMPLICI COME COLOMBE". (Mt. 10,16)

Come si può essere prudenti e contemporaneamente semplici? Gesù certamente non vuole insegnarci il "buon senso del mondo", anzi proprio in questi brani del discorso missionario mette in guardia i discepoli e noi nel confronto di un mondo che, nel nome di "sani equilibri", si adagia nel benessere, svende profezie e profeti, toglie di mezzo tutti quelli che non la pensano con una mentalità terrena. Ci invita però ad essere attenti: è facile lasciarsi invischiare dai desideri unicamente umani, è facile trovare delle scuse per giustificare i propri peccati prima nel poco e poi nel molto. Troppo spesso si è confusa semplicità con stupidità, perdono con debolezza di carattere, purezza di cuore con mancanza di concretezza, non violenza con debolezza e si è fatto del cristiano uno che, vivendo in un "altro mondo", non ha i piedi sulla terra. Gesù nel Vangelo ci insegna la semplicità come strada per incontrare Dio e i valori fondamentali della vita, ma ci invita anche ad essere accorti, a saperci difendere, a saper cogliere con furbizia le occasioni di bene; ci insegna a perdonare ma a dire sempre la verità, a porgere l’altra guancia ma a chiedere le motivazioni, a offrire sempre un’altra possibilità ma non a diventare conniventi con il male.

La fede cristiana non si fonda sull’abdicare alla realtà umana, ma nell’incarnare nell’umanità una realtà che la supera e la porta al suo vero essere.

 

 

SABATO 13

Sant’Enrico; Sant’Anacleto; S. Clelia Barbieri

Parola di Dio: Is. 6,1-8; Sal. 92; Mt. 10,24-33

 

"IL DISCEPOLO NON E’ DA PIU’ DEL SUO MAESTRO, NE’ UN SERVO DA PIU’ DEL SUO PADRONE". (Mt. 10,24)

Ricordate Pietro? Finché è andato dietro a Gesù, finché ha mantenuto il suo ruolo di discepolo, ha saputo riconoscere Gesù come Figlio di Dio e lo Spirito Santo ha potuto operare in Lui, quando ha voluto mettersi davanti al suo maestro ed ha cominciato a dettargli leggi si è meritato del Satana. Noi non siamo maestri, ma vogliamo essere discepoli del maestro. Già un vecchio proverbio dice di non essere più papisti del Papa e noi qualche volta abbiamo la presunzione di metterci addirittura al di sopra di Gesù. Gli esempi sono purtroppo facili: un gruppo di preghiera, che è una cosa ottima, diventa anticristiano quando all'interno di esso alcuni personaggi che si autodefiniscono carismatici, diventano i leader che impongono ad altri se stessi e il proprio pensiero; le chiese, specialmente le gerarchie ecclesiali, quando con la scusa di difendere l’ortodossia perdono di vista la carità e fanno del danno a un fratello, si mettono al posto di Cristo che per il fratello peccatore ha accettato la croce. Quando Gesù manda gli apostoli, dice loro: "Siate miei testimoni", "annunciate a tutti ciò che avete visto", non dice mai "siate maestri". Spesso invece papa, vescovi, sacerdoti, cristiani si arrogano il titolo di maestri. Noi "insegniamo la dottrina", la chiesa "esercita il magistero". Non è il caso di fare sottili distinzioni sull’uso dei termini, ma mi pare chiaro l’insegnamento di Gesù. Lui è il Maestro; i credenti hanno lo scopo di guardare e imparare da lui per riproporre il suo insegnamento. San Pietro allo storpio dice: "Noi non abbiamo nulla, ma nel nome di Cristo sii guarito". Io cristiano non ho nulla di mio da insegnare ma solo da propormi e riproporti con la mia vita, Gesù, l’unico maestro.

 

 

DOMENICA 14 - 15^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

San Camillo del Lellis; San Ciro

Parola di Dio: Is. 55,10-11; Sal. 64; Rom. 8,18-23; Mt. 13,1-23

 

1^ Lettura (Is. 55, 10-11)

Dal libro del profeta Isaia.

Così dice il Signore: Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata.

 

2^ Lettura (Rm. 8, 18-23)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

Fratelli, io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.

 

Vangelo (Mt. 13, 1-23)

Dal vangelo secondo Matteo.

Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose in parabole. E disse:"Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. Chi ha orecchi intenda". Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero:"Perché parli loro in parabole?". Egli rispose: "Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Così a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono. E così si adempie per loro la profezia di Isaia che dice: Voi udrete, ma non comprenderete, guarderete, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo si è indurito, son diventati duri di orecchi, e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non intendere con il cuore e convertirsi, e io li risani. Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l'udirono! Voi dunque intendete la parabola del seminatore: tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato nel terreno sassoso è l'uomo che ascolta la parola e subito l'accoglie con gioia, ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli né resta scandalizzato. Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà  frutto. Quello seminato nella terra buona è colui che ascolta la parola e la comprende; questi dà  frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta ".

 

RIFLESSIONE

 

Da sempre l’uomo ha sentito il bisogno di comunicare. Egli ha necessità di conoscere e di rapportarsi con l’ambiente in cui vive, ma soprattutto ha bisogno di conoscere il senso della sua vita; poi ha anche bisogno di comunicare ad altri i suoi sentimenti le sue scoperte, i suoi desideri. La stessa struttura dell’uomo, pensate anche solo ai cinque sensi, è fatta per ricevere comunicazioni e per comunicare. Ma una delle grandi tappe della crescita dell’uomo è la scoperta dell’uso della parola: attraverso dei segnali si indica una determinata cosa o un sentimento o un pensiero e chi ascolta capisce il significato di quel segnale e può rispondere. Certo, la parola, pur essendo il modo più abituale per comunicare, non è ancora il modo perfetto. Essendo un mezzo essa può essere manipolata dallo stesso uomo; egli attraverso questo mezzo può comunicare delle verità o delle bugie, può dare indicazioni esatte o sbagliate, può far nascere sentimenti di speranza o può uccidere moralmente il suo simile. Anche Dio è essenzialmente comunicabilità e per farsi presente alla sua creatura che ama ha scelto i modi di cui la creatura è capace di ricevere la sua comunicazione; quindi Dio, l'Eterno, l'Immutabile per comunicare con l'uomo usa il linguaggio della sua creatura. La Bibbia, raccontandoci la creazione, ci fa vedere un Dio che attraverso le parole dette crea: "Dio disse: sia la luce!. E la luce fu", quindi la Parola di Dio non è solo una formulazione di sillabe o di concetti, è una Parola che crea. Se poi guardiamo al tempo dell’Esodo Dio dona le sue dieci Parole, i comandamenti, cioè la Parola di Dio, attraverso il dono della legge, diventa guida per il popolo; e ancora, quante volte è proprio la parola di Dio che opera la salvezza (ad esempio il passaggio del mar Rosso) o che attraverso i profeti diventa a seconda dei momenti richiamo, rimprovero, conforto, speranza. Ma Dio vuole comunicare se stesso e allora "Nella pienezza dei tempi…Il Verbo si fece carne". Gesù è la parola piena, definitiva di Dio è "l’alfa e l’omega" cioè tutto l’alfabeto di Dio. Gesù donando se stesso comunica anche con le parole tipiche degli uomini. Egli è venuto soprattutto a seminare la Parola, ed è questo il principale senso della parabola di oggi. Non è tanto il Messia che viene a raccogliere, ma colui che semina con abbondanza su tutti i tipi di terreno, perché ha fiducia soprattutto nella parola seminata ed è Colui che semina se stesso come il "chicco di frumento che caduto nella terra muore per portare molto frutto". Lui semina la buona notizia di un Dio che ci è Padre e non padrone, Lui semina il suo amore redentivo appeso ad una croce che trasforma anche il dolore e la morte, Lui risorto semina la speranza di un’eternità già cominciata e che proseguirà, se lo vogliamo, nelle braccia misericordiose di Dio, lui semina un Regno che è disposto ad accogliere tutti, lui semina per noi la possibilità di una vita vissuta nell’amore, nel perdono reciproco, nella fratellanza, nel cammino comune verso il Padre, Lui chiede a noi di dargli una mano a seminare ci chiede di andare a portare la sua parola e di esserne testimoni con i fatti della nostra vita. Ma qui, noi uomini, spesso calcolatori, ci facciamo un domanda: Dio ha parlato, Gesù, la Parola incarnata è venuto, ha sofferto ed è risorto, tutta la sua vita è stata un dialogo con gli uomini, alcuni uomini di chiesa hanno seminato per circa duemila anni questa Parola: ma ne valeva davvero la pena, visti gli attuali risultati? In un mondo di circa 6 miliardi di individui appena un miliardo conosce Gesù e anche quelli che si dicono cristiani sono divisi tra loro e, nella maggioranza vivono più un religione tradizionale molto vicina al paganesimo che una fede viva. Gesù non si preoccupa di questo e vuole che anche noi non cadiamo nell’ansia per queste cose o a causa della delusione attuale non ci dichiariamo sconfitti in partenza. Gesù ha fiducia nel seme, sa che la sua provenienza ne garantisce la validità, sa che i tempi di Dio e i suoi giudizi sono diversi dai nostri tempi e dai nostri giudizi e continua a seminare in noi e a mandarci a seminare nel mondo. Ma chiediamoci ancora: quale sarà il modo migliore per accogliere la parola? Prima di tutto bisogna ascoltarla. Sembra evidente, ma non sempre è così. Qualcuno dirà: "Ma io il Vangelo a forza di sentirlo lo conosco quasi a memoria". Anche un registratore ripete esattamente le parole, ma non per questo le capisce. Ascoltare significa:

1) Sapere che le parole vengono da Dio e non solo da uomini,

2) Bisogna conoscere il significato delle parole ( e anche qui non diamo troppo per scontata la nostra scienza)

3) Bisogna chiederci che cosa voleva dire il Signore e perché ha detto quelle parole proprio in quel momento.

4) Bisogna soprattutto chiedersi che cosa vuol dire a me in questo momento della mia vita,

5) Bisogna far sì che la parola applicata al nostro vivere porti il suo frutto.

E allora qui possiamo applicare il discorso dei vari terreni di cui parla la parabola. Possiamo essere terreno – strada quando non comprendiamo la parola, quando siamo ascoltatori distratti, quando consideriamo la parola di Dio come una delle tante altre parole che ascoltiamo ogni giorno, quando non ci lasciamo toccare nell’intimo, quando siamo ingrati perché non riconosciamo i doni che ci vengono fatti ed ecco allora il maligno rappresentato dagli uccelli che beccano il seme e lo portano via. Possiamo essere terreno sassoso, cioè avere un cuore duro. La parola arriva alla superficie, ma non riesce a penetrare, a mettere radici, possiamo essere terreno pieno di rovi cioè aver imprestato la nostra capacità ai rovi piuttosto che al seme, possiamo esserci lasciati occupare da preoccupazioni, paure, egoismi… e allora per Dio non c’è spazio; o possiamo essere terreno buono disponibile ad accogliere, a lasciar radicare, a dare linfa alla parola, a lasciarla crescere secondo le sue e le nostre capacita. Se ci pensiamo bene forse siamo un po’ tutto questi terreni. Se pensiamo a quanta parola di Dio è già stata seminata in noi lungo la nostra vita c’è anche un po’ da vergognarci perché i frutti sono ancora pochi, perché abbiamo sprecato per noi e per gli altri un mucchio di situazioni. Ma Dio, che rispetta la nostra libertà, non si è ancora stancato di parlarci attraverso la coscienza, la natura, la sua Parola, attraverso Gesù e coloro che ci parlano a suo nome. Dio ha ancora speranza in te e in me, anzi per dimostrarcelo non solo continua a parlarci, ma chiede proprio a noi, terreni non troppo fertili di essere disponibili anche a diventare come Lui, seminatori di speranza nei cuori dei fratelli.

 

LUNEDI’ 15

San Bonaventura; S. Vladimiro di Kiev

Parola di Dio: Is. 1,10-17; Sal. 49; Mt. 10,34-11,1

 

"NON CREDIATE CHE IO SIA VENUTO A PORTARE LA PACE SULLA TERRA. NON SONO VENUTO A PORTARE LA PACE, MA LA SPADA" . (Mt. 10,34)

Tante volte, specialmente in questi miei ultimi anni mi sono chiesto che cosa intenda per "pace" Gesù. Lui certamente è il "principe della pace", è la pace tra Dio e l’uomo, la nuova Alleanza… eppure Gesù è un segno di contraddizione. Gli angeli avevano appena cantato sulla grotta di Betlemme: "Pace agli uomini di buona volontà", che Simeone dice a Maria di Gesù: "Egli è qui per la salvezza e per la dannazione di molti, segno di contraddizione". Gesù ama la vita, rispetta i rapporti umani ma nello stesso tempo dice di essere uno a causa del quale ci saranno delle divisioni nell’umanità e nelle famiglie… Pace è allora compromesso per far finta che tutto vada bene o difendere i valori umani e quelli divini che permettono all’uomo una pace più profonda? E’ più un discepolo di Gesù, un uomo di pace, un "pio dal collo torto" o un personaggio come don Milani? E’ giusto in nome di una presunta tranquillità far finta di niente e lasciare passare delle ingiustizie o è uomo di pace chi, pagando di persona le denuncia e non si lascia corrompere neanche quando gli dicono che è un disturbatore dell’ordine costituito? Ancora una volta guardo Gesù, non per passargli davanti ma per cercare di seguirlo. Gesù paga di persona le sue scelte, sarà addirittura condannato come bestemmiatore del nome di Dio, chi lo manda sulla croce pensa di aver fatto bene, ma proprio per questo Gesù è l’uomo libero, colui che mette Dio davanti a tutto, Colui che è la verità e non i mezzi compromessi neanche con la religione; e scopro anch’io quello che a prima vista sembra un assurdo: per ottenere la pace bisogna lottare contro se stessi e contro tutto quello che non è verità, bisogna diventare uomini di rottura non violenta come ad esempio Gandhi o personaggi scomodi come un Papa Giovanni, un Padre Pio e un don Mazzolari. Gesù ci invita all’amore al perdono, ma questi hanno davvero significato di pace se si basano sulla ricerca sincera della verità e della giustizia.

 

 

MARTEDI’ 16

Beata Maria Vergine del Monte Carmelo; Santa Elvira

Parola di Dio: Is. 7, 1-9; Sal. 47; Mt. 11, 20-24

 

"GESU' SI MISE A RIMPROVERARE LE CITTA' NELLE QUALI AVEVA COMPIUTO IL MAGGIOR NUMERO DI MIRACOLI". (Mt. 11,20)

Queste maledizioni che il "dolce e buon Gesù" lancia, sono la contropartita delle "beatitudini" che Gesù ha pronunciato in altre circostanze: "Beati coloro che ascoltano la parola di Dio", "Beati i poveri, gli umili, i puri di cuore…" Le città che si affacciavano sul lago di Tiberiade erano state quelle che avevano avuto maggiori occasioni di ascoltare la parola di Gesù, di vedere i suoi miracoli. Avrebbero dunque dovuto rispondere maggiormente a questi doni di grazia: questa sarebbe stata la loro "beatitudine". Esse, invece, hanno rifiutato Gesù. La benedizione si trasforma in maledizione: "Maledetti coloro che non ascoltano la Parola di Dio..." "Maledetto tu che non sai cogliere i doni di Dio, i segni che Lui ti fa per parlarti. Se oggi Gesù dovesse mettersi a fare dei rimproveri per l’incredulità, penso ci saremmo noi occidentali in cima all’elenco delle persone beneficate che non si sono convertite, Infatti noi deriviamo da una cultura a sfondo cristiano, abbiamo avuto opportunità materiali e concrete di incontrare Gesù, di leggere la Bibbia, di seguire il catechismo, di ricevere i sacramenti... In che misura rispondiamo? Se guardiamo nella globalità siamo una società "cristiana" ma atea praticante; siamo coloro che hanno ricevuto l’insegnamento dell’amore e che con le leggi dell’economia soffochiamo i popoli della fame. A un dono maggiore corrisponde maggiore responsabilità. Se noi con verità guardiamo alla nostra vita dobbiamo veramente dire con Maria che "Dio ci ha visitato ed ha fatto cose grandi per noi". Quanti doni! Da quelli umani della vita, della salute... a quelli spirituali: quanta Parola di Dio, quanti sacramenti... quanta pazienza con noi, quanto perdono! E la nostra risposta c’è?

 

 

MERCOLEDI’ 17

Sant’Alessio; Santa Marcellina

Parola di Dio: Is. 10,5-7.13-16; Sal. 93; Mt. 11,25-27

 

"TI BENEDICO O PADRE, SIGNORE DEL CIELO E DELLA TERRA, PERCHE’ HAI TENUTO NASCOSTE QUESTE COSE AI SAPIENTI E AGLI INTELLIGENTI E LE HAI RIVELATE AI PICCOLI". (Mt. 11,25)

Capire il mistero di Dio, spiegarsi il senso della vita, conoscere a fondo Gesù… Ricordo che, giovane liceale, in attesa di entrare nello studio della teologia vi aspiravo con il desiderio di conoscere tutto, di spiegare tutto, di trovare una risposta a tutti i problemi. Ben presto mi accorsi che anche le menti più fini, che addirittura i santi teologi avevano balbettato di Dio e dei problemi esistenziali dell’uomo. Per me, come per tutti i positivisti, fu una delusione: conosciamo talmente poco e malamente! Eppure c’è una conoscenza che va al di là dei libri, dei ragionamenti e che è ancora più profonda. Quando ami una persona tu hai un rapporto con essa ben più profondo di tutte le chiacchiere i ragionamenti le discussioni con cui vorresti spiegarti il senso del voler bene. Ricordo mio padre, seduto in cucina con in mano ‘il libro di preghiere’ (un quaderno che si era fatto lui, copiando varie preghiere e infiorandole con pensieri suoi), A voce sommessa, spesso con le lacrime agli occhi, egli se le passava ogni giorno. Mio padre non si faceva il problema dell’esistenza di Dio, lo incontrava tutti i giorni, non discuteva se la Madonna fosse vergine prima, durante e dopo il parto, fin che poteva andava tutti i sabati alla Consolata e tra una Messa e qualche sospiro le portava le pene e le gioie della sua casa e del mondo intero. Certo aveva anche lui tanti limiti dovuti al suo carattere, alla sua storia, ma per quanto riguarda la fede il suo era un rapporto immediato, direi da ‘occhi limpidi’, da bambino sicuro nelle mani del Padre. Ancora oggi quasi gli invidio quella immediatezza che io ho perso in tanti anni di studio della teologia. Non che lo studio, la teologia, la scienza siano cose cattive, è che spesso con esse ci si inorgoglisce, si pensa di essere padroni del mondo, superiori di qualche scalino sugli altri, in totale ci si riempie, magari come palloni gonfiati d’aria, e non si ha più spazio per la meraviglia, per il bisogno di altro, si è pieni di complicatezze e non si comprende più il semplice. Dio è Uno: è la cosa più semplice che ci sia, Dio è l’Amore e questo è l’anima dell’universo intero, ma solo i veramente ‘piccoli’ lo possono capire e gioirne enormemente.

 

 

GIOVEDI’ 18

Sant’Arnolfo; San Federico; S. Marina

Parola di Dio: Is. 26,7-9.12-16; Sal 101; Mt. 11,28-30

 

"VENITE A ME VOI TUTTI CHE SIETE AFFATICATI E OPPRESSI E IO VI RISTORERO’ " (Mt. 11,28)

Nei primi anni in cui ero sacerdote ebbi occasione, frequentando la Conferenza di San Vincenzo centrale di Torino, di incontrare un uomo che mi fece meravigliare. Era un piccolo imprenditore, la sua fabbrichetta con una decina di operai gli creava più problemi di quello che rendeva per cui era continuamente in giro alla ricerca di commesse di lavoro; aveva una famiglia con cinque figli di cui un paio gli davano forti grattacapi (uno era entrato nel giro della droga) e lui cercava in tutti i modi star loro dietro e di trasmettere valori che a prima vista non era capiti, si dava da fare nella sua parrocchia e quando c’erano casi difficili di assistenza ai poveri era sicuro che li davano a lui. Era, nonostante tutte queste preoccupazioni, un uomo estremamente sereno, sempre disponibile a farsi carico dei problemi di un confratello che non stava bene o di qualcuno che andava a sfogarsi da lui. Una sera tardi, tornando verso casa gli chiesi: "Con tutti i problemi che hai, come fai ad essere così sereno?" "Ho un segreto: riposo con il Signore!", mi disse.

"Cioè ogni tanto vai a fare qualche ritiro spirituale?", azzardai. "No! Per queste cose non riesco a trovare tempo, anche se mi piacerebbero. Per me riposare nel Signore significa fermarmi un momento, ogni tanto, magari anche in macchina mentre corro da un posto all’altro, o mentre vado a cercare mio figlio in luoghi dove non vorrei… fermarmi e pensare: "Dio è Padre e si preoccupa Lui della sua famiglia, quindi sia io che i miei siamo in buone mani, dunque faccio ciò che devo fare sicuro che poi ci pensa Lui. Gesù è già morto in croce per me ed è risorto, per cui sono sicuro del suo perdono e non ho paura. Lo Spirito Santo è amore e soffia dove e quando vuole, perché devo affaticarmi a farlo soffiare solo dove voglio io?". Ti assicuro che dopo questi pensieri riparto riposato".

 

 

VENERDI’ 19

Santa Macrina; Sant’Epafra

Parola di Dio: Is. 38, 1-6.21-22.7-8; Sal. da Is. 38,10.11.12.16; Mt. 12,1-8

 

"MISERICORDIA IO VOGLIO E NON SACRIFICIO" (Mt. 12,7)

Ogni tanto mi arriva qualche lettera anonima. Di solito le conservo perché mi ricordano che facendo certe scelte certamente scontenti qualcuno e poi perché dietro certe rabbie qualche volta può anche nascondersi almeno qualche desiderio di verità. In questi giorni ne ho riletta una di molti anni fa in cui (cambio solo i termini che non erano così gentili) mi si accusava di essere un cattivo prete perché oltre a non portare l’abito talare, mettevo in guardia le persone contro la religione. E’ proprio vero: uno dei grossi pericoli della fede è proprio una cattiva religiosità. Di questo ne sono convinto perché sono in buona compagnia nel denunciarlo: anche Gesù ha fatto lo stesso. Chi poteva essere più religioso di Gesù? E’ il Figlio di Dio. Lui e il Padre si vogliono talmente bene che nello Spirito sono Uno. Gesù nella sua vita terrena manifesta questo suo amore con la preghiera. E’ frequentatore abituale della sinagoga ogni sabato e del Tempio nelle feste. Osserva abitualmente le norme della legge… Ma quando si tratta di amare supera le leggi, quando si tratta di arrivare al cuore di un uomo non bada alle formalità religiose, invita a superare i ritualismi e i liturgismi dicendo di adorare Dio in spirito e verità… La religione dovrebbe essere la giusta manifestazione della fede. Le norme religiose sono un’ottima strada per manifestare in comunione con i fratelli quanto crediamo, anche la liturgia e i ritualismi possono servire per esprimere sia il nostro comune modo di pregare, sia il mistero di ciò che celebriamo… ma spesso per molti la religione poco per volta perde la fede, ad esempio quando crediamo di poter comprare Dio e i suoi doni con determinate preghiere e gesti, quando ci fermiamo solo all’apparenza religiosa non mettendo il cuore in ciò che celebriamo, quando approfittiamo della religione per giudicare insindacabilmente i fratelli o per farci apparire migliori di quanto siamo in realtà, quando la religione diventa motivo di discriminazione tra le persone… Quando Gesù dice: "Misericordia voglio e non sacrificio" fa proprio riferimento a questa forma di religiosità ipocrita che non solo non è gradita a Dio ma che è l’aberrazione anche della fede dell’uomo.

 

 

SABATO 20

Sant’Elia; S. Aurelio di Cartagine

Parola di Dio: Mic. 2,1-5; Sal. 10; Mt. 12,14-21

 

"PORRO’ IL MIO SPIRITO SU DI LUI… NON CONTENDERA’, NE GRIDERA’, NE’ SI UDRA’ NELLE PIAZZE LA SUA VOCE. LA CANNA INFRANTA NON SPEZZERA’, NON SPEGNERA’ IL LUCIGNOLO FUMIGANTE, NEL SUO NOME SPERERANNO LE GENTI" . (Mt. 12,18-20)

Matteo applica a Gesù la profezia di Isaia. Egli ha realizzato tutto questo. Anche noi, se vogliamo essere discepoli del Maestro dovremmo cercare di realizzare come persone e come Chiesa questo programma. Il cristiano dovrebbe essere "pieno di Spirito". Nel libro degli Atti degli Apostoli si racconta che nei primi tempi gli apostoli incontrarono dei cristiani battezzati che non sapevano neppure che esistesse lo Spirito Santo. Anche oggi ci sono tanti cristiani senza Spirito, cristiani di abitudine, di tradizione, di opportunità, cristiani, anche preti e anche vescovi, che a volte ragionano con le norme del cristianesimo ma che non sanno vedere due righe di amore attraverso le quali superare giuridismi e formalismi, comunità spesso ortodosse, ma lontane mille miglia dallo spirito del Vangelo. Il cristiano "non contenderà, ne griderà". La croce per il cristiano è da portare sulle proprie spalle non da brandire come una spada. La fede non la si difende con roghi o con bolle e scomuniche, la si offre come un dono e come una possibilità. Il cristianesimo non avanza tramite discussioni televisive o salotti di benpensanti, ma attraverso una testimonianza faticosa, sincera e serena. Il cristiano non "spezzerà la canna infranta, non spegnerà il lucignolo fumigante" cioè non è l’uomo dalla intransigenza religiosa, ma colui che sa cogliere il bene ovunque esso sia, sa valorizzarlo, per dirla con una famosa frase di Papa Giovanni: "è uno che cerca quello che unisce piuttosto che vedere quello che divide" Il cristiano è uno "nel cui nome spereranno le genti. Il cristiano non è un pessimista brontolone, non è uno che vede solo il male e si lamenta di esso, non è uno che invoca solo fulmini dal cielo "contro il peccato di questa generazione degenere", è uno che ha ricevuto la Buona notizia della salvezza, di un Dio che è Padre, di Gesù che è venuto a cercare i peccatori, è uno che ha speranza in Dio e anche nell’uomo, è uno che, come dice Pietro: "deve essere sempre pronto a rendere conto della speranza che porta con sé". Il cristiano è un seminatore di Dio e Dio non può che essere l’unica vera grande speranza dell’uomo.

 

 

DOMENICA 21 - 16^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

San Lorenzo da Brindisi; Santa Prassede

Parola di Dio: Sap. 12,13.16-19; Sal. 85; Rom. 8,26-27; Mt. 13,24-43

 

1^ Lettura (Sap. 12, 13. 16-19)

Dal libro della Sapienza.

Non c'è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose, perché tu debba difenderti dall'accusa di giudice ingiusto. La tua forza infatti è principio di giustizia; il tuo dominio universale ti rende indulgente con tutti. Mostri la forza se non si crede nella tua onnipotenza e reprimi l'insolenza in coloro che la conoscono. Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza; ci governi con molta indulgenza, perché il potere lo eserciti quando vuoi. Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini; inoltre hai reso i tuoi figli pieni di dolce speranza perché tu concedi dopo i peccati la possibilità di pentirsi.

 

2^ Lettura (Rm. 8, 26-27)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

Fratelli, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio.

 

Vangelo (Mt. 13, 24-43)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Gesù espose alla folla una parabola:"Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio". Un'altra parabola espose loro: "Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami". Un'altra parabola disse loro: "Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti". Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo. Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: "Spiegaci la parabola della zizzania nel campo". Ed egli rispose: "Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno, e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!"

 

RIFLESSIONE

 

La parola di Gesù si rivolge a noi, oggi attraverso tre parabole, tutte di facile ascolto anche per chi, come me, non è un uomo di campagna, ma non sempre così immediate nel messaggio che vogliono trasmetterci. Cominciamo dalla prima, forse la più difficile se anche Gesù ha poi dovuto spiegarla agli apostoli che ne erano rimasti meravigliati. La parabola del buon grano e della zizzania parla di una realtà che noi tutti constatiamo ogni giorno. La presenza del male che vediamo operare ampiamente nel mondo ed anche in noi stessi. La zizzania non è stata seminata dal padrone che ha messo solo buon grano, eppure c’è. I servi hanno notato il guaio e vanno a fare al padrone la domanda più ovvia: "Non hai seminato buon grano?" E’ un po’ la domanda che davanti alla recrudescenza del male, della violenza, spesso ci facciamo anche noi: "Ma il mondo non è stato creato da Dio? Dovrebbe dunque essere buono e allora perché c’è tanto male attorno a noi e anche in noi?" La risposta non è facile anche se la parabola sembra indicarci due strade per farci capire la presenza del male. Una è la strada del nemico che lo ha seminato e l’altra quella della libertà umana usata male. Non dimentichiamoci della presenza misteriosa del male che raccoglie in se tutto ciò che si oppone a Dio, ma neanche scarichiamo solo sul diavolo le responsabilità di ogni cosa negativa. Lui ci tenta ma spesso è proprio la nostra cedevolezza al male che apre le porte a tutte le negatività di questo mondo. La libertà, questo dono prezioso che fa sì che siamo uomini e non marionette, è anche terribile perché se noi possiamo scegliere il bene da figli di Dio riconoscenti, abbiamo anche il tremendo potere di scegliere il male, di ignorare Dio e di odiare i nostri fratelli. Ma c’è anche una seconda domanda che pongono i servi della parabola: "Vuoi che andiamo a strappare la zizzania?". In fondo è la stessa proposta che spesso noi facciamo al Signore: se c’è il male perché non sradicarlo, magari anche con violenza? Ci è abbastanza consono ergerci giudici anche di Dio, ci sembrano strani i suoi modi di amministrare la giustizia. Abbiamo l’impressione che qualche volta esageri nel punire chi si comporta bene, mentre invece spesso è molto indulgente con chi meriterebbe un castigo esemplare. Lui potrebbe stroncare l’insolenza di certi individui e invece sembra non far niente. Almeno permettesse a noi suoi servi di intervenire, qui e subito, ci concedesse di stabilire con certezza che i buoni sono da una parte e i cattivi dall’altra! Ci permettesse di mettere un po’ di ordine, di fare un po’ di piazza pulita almeno per quel male che dipende dagli uomini…Ma Dio risulta di un altro parere: "No, rispose non sradicate la zizzania" Dio non ha fretta, è "paziente, lento all’ira pieno di grazia e di misericordia" è il Dio che "fa sorgere il suo sole sui giusti e sugli ingiusti", è il "Dio benevolo verso gli ingrati"… Perché questo? Perché Dio ama il male? No, Dio è paziente perché contro ogni ragionamento umano attende che l’uomo che opera il male provi a pensarci su, arrivi ad aprire gli occhi, si renda conto che sta sbagliando, che può cambiare. E’ vero che a noi può sembrare un’ingiustizia, ma per Dio è misericordia. Diceva un grande predicatore del secolo scorso: "Se Dio mi concedesse la sua onnipotenza per 24 ore chissà quante cose cambierei nel mondo! Ma se Dio mi concedesse anche la sua conoscenza e la sua misericordia, credo che lascerei le cose come stanno". Dio ci dà tempo e si propone a noi fino alla fine dei tempi. Sarà quello il momento in cui metterà a posto ogni cosa. Anche noi, se vogliamo davvero essere figli di Dio dobbiamo usare lo stesso metodo. la pazienza e la continua propositività nel bene e anche la fiducia che l’uomo, anche il peggior uomo, possa trovare dentro di sé l’immagine di Figlio di Dio e quindi cambiare e diventare seminatore di bene. Intanto facciamo ancora una piccola osservazione umana sul nostro modo di pensare. Noi tante volte invochiamo giustizia contro il male, ma siamo poi sempre sicuri che la nostra giustizia non sia sete di vendetta? E i modi con cui esercitiamo questa presunta giustizia non sono modi altrettanto violenti che spesso ingenerano altro male? Pensiamo anche a fatti recenti della nostra storia. Qualche volta per combattere un male che certamente non può lasciarci passivi, si dà il via ad una altra serie di rappresaglie che ingenerano mali peggiori del primo e alla fine diventa quasi impossibile trovare il bandolo giusto per cercare la pace. Se vogliamo essere seminatori, dobbiamo farlo come fa Dio che usa solo semente buona! Ancora due brevi pensieri sulle altre due parabole. Gesù per spiegarci il Regno parla di un seme piccolo che crescendo diventa grande pianta, noi spesso invece vorremmo vedere subito la grande pianta. Specialmente certi uomini di chiesa che spesso magnificano questa istituzione e la fanno talmente grande al punto di dimenticare il seme cioè Gesù Cristo. Gesù ama la sua Chiesa, Gesù ha dato la sua vita per la sua Chiesa, ma Gesù non ha esentato noi sua Chiesa dal cammino faticoso di ogni giorno, Gesù sa benissimo che nella sua Chiesa in cui Lui ha seminato buon grano, cresce anche la zizzania, anche con la sua Chiesa Gesù ha pazienza e spera conversione. L'ultima parabola, del pizzico di lievito nella massa della pasta, spiega il Regno dei cieli a partire dall'interno, dall'invisibile, dalle coscienze e dai cuori. Il fermentare della pasta per opera del lievito è un fenomeno impercettibile e misterioso, ma il suo effetto si nota bene quando si toglie il pane dal forno: il pane è cresciuto morbido, fragrante. E questo sembra sia il modo di agire scelto da Dio nell'umanità: nulla di vistoso, tutto avviene nel segreto dei cuori, delle coscienze. Chi può contare i gesti di solidarietà, di carità, la capacità di volersi bene che Dio suscita nei cuori? Sono tanti! Dio conta su di noi, attende la nostra collaborazione. Noi possiamo essere lievito ad esempio nell’educazione dei figli, dando loro non solo delle cose ma proponendo dei valori. Possiamo essere lievito nella massa cercando di portare un sorriso, una parola di speranza là dove c’è solo ricerca di interesse e paure, possiamo essere lievito persino con i nostri nemici facendo loro capire che la gioia che è in noi non viene da piccole vendette private, ma dal riconoscere la misericordia del Padre. Possiamo essere lievito anche nella nostra comunità parrocchiale, portando, senza orgoglio, il nostro piccolo servizio, dando anche solo un tono diverso al nostro partecipare all’Eucarestia, facendo capire con i fatti che la Parola di Dio che ascoltiamo ogni domenica poco per volta ci cambia… Piccole cose che possono diventare pianta, piccolo lievito che può far fermentare la pasta e donarci il pane..

 

 

LUNEDI’ 22

Santa Maria Maddalena

Parola di Dio: Ct. 3,1-4; Sal. 62; Gv. 20, 1.11-18

 

"MARIA STAVA ALL’ESTERNO DEL SEPOLCRO E PIANGEVA". (Gv. 20,11)

Davanti alle lacrime ci sono atteggiamenti diversi, da chi dice che l’uomo non deve mai piangere per dimostrare di non essere debole e chi come Hernest Hello dice: "Sulla terra ci sono uomini che considerano le lacrime come cosa indegna di loro. E non sanno che essi sono indegni delle lacrime".

Davanti alla tomba di Cristo Maddalena esprime i suoi sentimenti con le lacrime: piange la morte del suo maestro, piange la sua paura e la codardia degli apostoli, piange perché non ha trovato neppure più il corpo amato del Maestro e pensa ad un segno di disprezzo anche dopo la morte. E fin qui le sue lacrime dicono il suo amore per Gesù. Ma le lacrime di Maddalena possono anche essere un ostacolo per la sua fede, infatti esse nascondono la non speranza della risurrezione, esse impediscono di vedere i segni della risurrezione imminente e le impediscono di vedere lo stesso Risorto. Io credo che se noi, come scriveva Evagrio Pontico, dovremmo pregare per ottenere il dono delle lacrime per sciogliere la durezza del nostro cuore, dovremmo anche chiedere al Signore che le lacrime non ci tarpino le ali. Se è giusto che un cristiano pianga la morte dei suoi cari, che quelle lacrime non diventino disperazione. Se è giusto piangere per i propri peccati che quelle lacrime non diventino solo un piangersi addosso senza speranza di emendarsi e di essere perdonati. Se piangiamo davanti alla croce di Cristo e degli uomini, che quelle lacrime non ci impediscano di alzarci e di cominciare a portare qualche croce per alleggerire le spalle dei fratelli.

 

 

MARTEDI’ 23

Santa Brigida; Sant’Apollinare

Parola di Dio: 1Cor. 1,26-31; Sal 130; Mt. 11,25-30 (liturgia di Santa Brigida)

Mi. 7,14-15.18-20; Sal. 84; Mt. 12,46-50 (liturgia del giorno)

 

"STENDENDO LA MANO VERSO I SUOI DISCEPOLI DISSE: ECCO MIA MADRE ED ECCO I MIEI FRATELLI; PERCHE’ CHIUNQUE FA LA VOLONTA’ DEL PADRE MIO, QUESTI E’ PER ME FRATELLO, SORELLA E MADRE". (Mt. 18,49-50)

Può colpirci questo atteggiamento di Gesù che a prima vista sembra quasi una sconfessione della propria famiglia umana e della Madonna. Ma non è così. Attraverso queste parole e questo gesto Gesù vuole insegnarci parecchie cose. La prima, la più importante è che cose buone come la famiglia se mettono contro la volontà di Dio, devono essere superate dal desiderio di compiere ciò che Dio vuole da noi.

Un altro insegnamento è che nel regno dei cieli non ci sono raccomandati. Maria, Giacomo, Giovanni partecipano a Gesù per fede, non perché parenti. E’ inutile dire: "lo sono cristiano perché la mia famiglia è cristiana, perché ho parenti preti e suore" ma "lo sono cristiano perché cerco di fare la volontà di Gesù". Non saremo giudicati su come si sono comportati i nostri parenti, ma sul nostro comportamento, non conteranno le raccomandazioni, le "bustarelle", gli inghippi diplomatici, conterà solo la nostra fede personale. E poi ancora una rivelazione straordinaria! Il discepolo è un "parente di Gesù". Gesù offre la calda intimità della sua Famiglia agli uomini. Tra Dio e gli uomini non ci sono più solamente freddi rapporti di obbedienza e sottomissione come tra un padrone e gli schiavi. Al seguito di Gesù noi entriamo nella Sacra Famiglia, siamo davvero figli di Dio, fratelli di Gesù, parenti tra di noi.

 

 

MERCOLEDI‘ 24

Santa Cristina di Bolsena

Parola di Dio: Ger. 1,1.4-10; Sal 70; Mt. 13,1-9

 

"GESU’ USCI’ DI CASA E SI SEDETTE IN RIVA AL MARE… E PARLO’ LORO DI MOLTE COSE IN PARABOLE". (Mt. 13,1.3)

Se voi partecipaste alle riunioni che i vostri preti fanno tra di loro, probabilmente ne uscireste da una parte meravigliati e dall‘altra edificati. Certamente la maggioranza dei sacerdoti ha come prima preoccupazione quella di far giungere la parola di Gesù a tanta gente e allora si cercano un po‘ tutti i modi per arrivare a portare il messaggio di Gesù, ci si organizza, si coinvolgono i cristiani impegnati, dall‘altra, proprio per questo, spesso si cade in macchinose organizzazioni che, a base di parole smuovono tanta aria e arrivano a conclusioni minime. La parabola che Gesù oggi racconta e il suo modo di fare con la gente mi sembra sia una valida indicazione per ogni credente che sente la necessità evangelica di comunicare la propria fede. Prima di tutto: "Gesù uscì di casa": se vuoi annunciare il Vangelo bisogna uscire di casa, dalle nostre sacrestie, da un‘attenzione solo rivolta ai pochi che vengono in chiesa o che fanno già parte del nostro gruppo. Bisogna avere il coraggio di uscire dai propri schemi prestabiliti, dalle norme codificate, dalle istituzioni soffocanti, bisogna andare nel territorio del fratello senza paura di sporcarsi le mani, senza pregiudizi nei suoi confronti. Arrivato a casa di tuo fratello, entrato nel suo mondo, non c‘è da preoccuparsi molto per indire riunioni, convocare missioni: siediti, fai semplicemente la sua vita portando con te però i tuoi valori, senza supponenze, senza alterigia, non sentendoti migliore del fratello, ma con la gioia che ti viene dall‘aver incontrato Dio, e allora, ecco che il fratello comincia a chiedersi certi perché, comincia a scrutarti per cogliere in te il motivo della tua serenità, della tua carità, del tuo perdonare, allora potrai seminare, a larghe mani, senza la preoccupazione di censire prima quale sia il terreno adatto e quale no. E il tuo seminare non sarà neppure il fare la predica, ma raccontare attraverso parabole, attraverso la tua vita simile a quella dei fratelli, attraverso le esperienze tue e loro, quelle che sono le tue realtà. Raccontare non è imporre, ma proporre, con amore, offrire un seme che viene non da te ma da Dio, è fidarsi che Lui ha a cuore come te e più di te il fratello, è accettare che il fratello accolga ciò che gli offri a seconda della sua libertà e delle sue capacità, con la serenità del fatto che tu sei un seminatore e non un mietitore, a questo ci penserà il Signore a cui nulla è impossibile.

 

 

GIOVEDI‘ 25

San Giacomo; San Cristoforo

Parola di Dio: 2Cor. 4,7-15; Sal. 125; Mt. 20,20-28

 

"DI’ CHE QUESTI MIEI FIGLI SIEDANO UNO ALLA TUA DESTRA E UNO ALLA TUA SINISTRA NEL TUO REGNO". (Mt. 20,21)

L’amore a volte può portare anche a richieste se non sbagliate, per lo meno avventate. La madre di Giacomo e Giovanni chiede a Gesù per i suoi figli i posti di onore vicino a Lui nel nuovo regno: una richiesta certamente legittima per una madre che vuole vedere i propri figli "ben piazzati", ma certamente non nella logica del Signore. Con Gesù non funzionano i primi posti, con Lui la matematica ha strani modi di compiersi: chi rinuncia guadagna, l’ultimo è il primo, farsi schiavo è libertà. Quindi, attenzione a certe richieste: il primo alla destra di Gesù nella pienezza del suo Regno, cioè sulla croce, è un ladro che chiedendo perdono muore e viene portato da Gesù nel cielo! Se la mamma di Giacomo e Giovanni avesse capito questo, forse quella richiesta non l’avrebbe fatta. E andiamoci piano anche noi con certe richieste al Signore. In certi casi se in realtà sapessimo dove ci porterebbe l’esaudimento di certe nostre preghiere, forse impareremmo di più a star zitti e a fidarci del grande amore che Dio ha per noi. Spesso noi incorriamo nella tentazione di dettare a Dio il modo con cui dovrebbe comportarsi. Le nostre richieste, da un punto di vista umano non sono sbagliate: vorremmo guarigione, salute, pace per noi e per i nostri fratelli, ma siamo davvero sicuri che quella cosa sia il meglio per me o per quella persona cara?, e poi, Dio sarà sempre così ‘cattivo’ nei nostri confronti, da volere il male per i propri figli amati che sono costati la sofferenza e il sangue di Gesù?

 

 

VENERDI’ 26

Santi Gioacchino ed Anna

Parola di Dio: Ger. 3,14-17; Sal. da Ger. 31,10-13; Mt. 13,18-23

 

"QUELLO SEMINATO NELLA TERRA BUONA E’ COLUI CHE ASCOLTA LA PAROLA E LA COMPRENDE; QUESTI DA’ FRUTTO E PRODUCE ORA IL CENTO, ORA IL SESSANTA; ORA IL TRENTA". (Mt. 13,23)

Dopo aver letto la parabola del seminatore ed averne sentita la spiegazione direttamente da Gesù, noi vorremmo essere quel terreno buono che a suo tempo dà molto frutto. E allora queste due righe di Vangelo ci indicano come fare per esserlo. Prima cosa: ascoltare la Parola. Il seminatore, di questo siamo sicuri, semina abbondantemente, il seme è certamente buono perché viene da Dio, ma bisogna accogliere questo seme, bisogna cercare ogni occasione per poter ascoltare la Parola (e non solo in chiesa) e poi bisogna "comprenderla", quindi non essere ascoltatori distratti, quindi accorgersi che non è una delle mille parole che ogni giorno bombardano i nostri orecchi, accorgersi che questa Parola è Gesù stesso, il Figlio di Dio che ci interpella, lasciare cioè che questa Parola ponga le sue radici non solo nella mente ma soprattutto nel cuore. E poi? Poi si tratta di lasciarla operare! Più che essere noi il centro, dobbiamo essere convinti che è la parola stessa di Dio ad operare. Il terreno che cosa può fare per far maturare il seme? Accoglierlo, donargli le poche cose che e poi? Lasciare che il seme cresca. E quale grande liberazione e gioia mi dà sentire da Gesù che non devo neppure preoccuparmi di rendere sempre il 100%. Io devo solo preoccuparmi di accogliere e di metterci la mia parte, per il risultato ci penserà il Signore. Se fossimo noi a dover giudicare la nostra vita dai risultati apparenti: che delusione! Penso a certi genitori che vedono i figli completamente diversi da come avrebbero voluto, penso a certi preti che hanno lavorato con impegno per tutta la loro vita sacrificandosi per un apparente "pugno di mosche". No, grazie al cielo i risultati li vedrà Dio che, come dicevamo già due giorni fa, ha uno strano modo di contare!

 

 

SABATO 27

San Raimondo Zanfogni; Santa Natalia; S. Celestino I

Parola di Dio: Ger. 7,1-11; Sal. 83; Mt. 13, 24-30

 

"PADRONE NON HAI SEMINATO DEL BUON GRANO NEL TUO CAMPO? DA DOVE VIENE DUNQUE LA ZIZZANIA?" (Mt. 13,27)

Quella che abbiamo letto non è una parabola facile, anche se l’interpretazione è abbastanza immediata. Non è facile perché è sempre difficile accettare la presenza del male e vedere, almeno in un primo momento, che Dio non interviene. Eppure la zizzania c’è. Dio ha dei nemici che non accettandolo cercano di distruggere la sua opera. E allora noi pensiamo subito al diavolo. Ed è vero, ma questo nemico si serve di tanti alleati. Infatti con Dio, o sei amico o sei contro di Lui: non ci sono vie di mezzo. Ed ecco, allora, anche oggi tanti seminatori di zizzania; proviamo ad esaminarne qualche categoria chiedendoci se qualche volta non vi apparteniamo anche noi. Ci sono coloro che seminano zizzania seminando dubbi. Sono coloro che mettono il dubbio su ogni cosa, dai dubbi intellettuali a quelli morali. Coloro che dicono sempre: "Ma sarà proprio così?" e subdolamente insinuano: "Ma ne vale la pena?". Coloro che attraverso il dubbio insinuano su Dio e sulla sua opera. Il dubbio in sé non è un peccato, può anche nascere con naturalezza, ma quando viene seminato per far morire la fede, è zizzania. Altri seminano la zizzania della violenza: per essi vale la legge del più forte, della vendetta. E spesso questi seminatori si camuffano anche da difensori della verità e della giustizia. Ci sono i seminatori della zizzania per avvelenare il bene: essi devono sporcare tutto; sono pessimisti su Dio, sull’uomo, sulle cose, per loro il bene, specialmente quello che fanno gli altri, non esiste, e se qualcuno lo compie, secondo loro ha sempre secondi fini.

Ci sono seminatori di zizzania che lo fanno attraverso il pettegolezzo e la superficialità: sono sempre pronti a svagare dai problemi dell’uomo, a cogliere particolari negativi veri o presunti e a ingigantirli per mettersi in mostra e per evitare che Dio possa compiere il bene nei cuori L’elenco potrebbe continuare a lungo. Pensate, ad esempio, a coloro che riducono l’uomo a un tubo digerente o a un po’ di carne alla ricerca disperata di piacere, e alla fine nel campo del buon grano ci sono un bel po’ di erbacce. Bisogna non lasciarci soffocare fino al tempo della mietitura... allora ci sarà Qualcuno che ci penserà.

 

 

DOMENICA 28 - 17° DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Santi Nazario e Celso

Parola di Dio: 1Re 3,5-7.12; Sal. 118; Rom. 8,28-30; Mt. 13,44-52

 

1^ Lettura (1 Re 3, 5. 7-12)

Dal primo libro dei Re.

In quei giorni il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte e gli disse: "Chiedimi ciò che io devo concederti". E Salomone disse: "Signore mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide mio padre. Ebbene io sono un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che ti sei scelto, popolo così numeroso che non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male, perché chi potrebbe governare questo tuo popolo così numeroso?".Al Signore piacque che Salomone avesse domandato la saggezza nel governare. Dio gli disse: "Perché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te né una lunga vita, né la ricchezza, né la morte dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento per ascoltare le cause, ecco faccio come tu hai detto. Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente: come te non ci fu alcuno prima di te né sorgerà dopo di te ".

 

2^ Lettura (Rm. 8, 28-30)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

Fratelli, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.

 

Vangelo (Mt .13, 44-52)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Gesù disse alla folla: "Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose?". Gli risposero: "Sì". Ed egli disse loro: "Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche".

 

RIFLESSIONE

 

Se esaminiamo il contenuto delle nostre preghiere di richiesta noi possiamo sapere quali siano le nostre cose più preziose, quale sia il tesoro a cui aspira il nostro cuore. Certamente noi chiediamo al Signore la salute per noi e per gli altri, poi chiediamo il bene per la nostra famiglia, poi con ogni probabilità allarghiamo il cuore e chiediamo il dono della pace per i popoli e le famiglie, e poi, magari, c’è anche tutta una serie di piccole richieste quotidiane per poter risolvere i vari problemi immediati di ogni giorno… Se poi siamo abituati a pregare con la preghiera che Gesù ci ha insegnato, il Padre nostro, e lo recitiamo non come una poesia, ma pesando le parole che escono dalla nostra bocca, ci accorgiamo che Lui ci ha insegnato a chiedere oltre il pane quotidiano, altre cose ancora più importanti, come la venuta del Regno di Dio, che la volontà di Dio sia fatta, che il suo nome sia benedetto da tutti… Il giovane Salomone, lo abbiamo sentito nella prima lettura, potrebbe chiedere a Dio salute per sé, lunga vita, ricchezze, ma consapevole del proprio impegno a servire il suo popolo, chiede invece la sapienza, la saggezza del saper governare con rettitudine, il saper conoscere per sé e per i suoi quello che è bene e quello che è male. E Dio gli dice: "Poiché hai chiesto la cosa più importante per governare il mio popolo, io te la do, e con questa troverai anche le altre cose". A seconda di dove indirizziamo il nostro cuore, a seconda di ciò che desideriamo e ricerchiamo, là sarà il centro di interesse della nostra vita. Se abbiamo capito questo principio ci diventa più facile comprendere le prime due parabole di Gesù che la liturgia di oggi ci ha proposto, infatti una ci parla di un uomo che ha trovato per caso un tesoro, e l’altra di un esperto di perle preziose che ha cercato una perla di particolare valore e che finalmente l’ha trovata. Sia che siamo degli esperti, delle persone che da anni cercano di fare un cammino di fede, sia che per caso ci siamo imbattuti in qualcosa di importante, di essenziale per la nostra vita ecco che il centro di interesse cambia. Ma qual è la perla preziosa, il tesoro nascosto in cui ci siamo imbattuti? E’ l’incontro con Gesù, il suo messaggio, la proposta del suo regno. E qui qualcuno può dirmi: "Tutto qui? Gesù, la sua predicazione, la sua religione la conosciamo fin da bambini: dov’è tutta questa novità?" E’ vero che noi conosciamo molte cose su Gesù, è vero (o almeno in parte) che la società in cui viviamo e fondata (o presume di esserlo) su principi cristiani, è vero che, almeno sulla carta, la religione cristiana è quella della maggioranza in Occidente, ma davvero Gesù è il nostro tesoro? A parole è facile dirlo: "Ti amo con tutto il cuore", "Sei il centro della mia vita", ma guardiamo le nostre scelte pratiche: per esempio, nell’uso dei nostri soldi, nello svolgere i nostri affari che cosa c’entra Gesù e il suo Regno? Nel nostro quotidiano rapportarci con il prossimo è davvero la nostra fede in Gesù a spingere il nostro agire o il centro di interesse è

qualcos’altro? Addirittura nel nostro esprimere religiosamente la nostra fede, nel nostro pregare, nell’andare a Messa, vien fuori la gioia profonda dell’essere cristiani o spesso non è uno stanco ripetersi rituale di gesti a cui, in fondo, crediamo ma che spesso hanno perso la loro vivezza?. Il tesoro o non lo abbiamo visto oppure ci siamo abituati alla perla preziosa al punto che non solo non la cerchiamo più, ma spesso corriamo il rischio di svenderla. Credo che, prima di andare avanti nelle parabole, dobbiamo davvero scoprire se Gesù è il nostro vero tesoro. Un salmo dice: "L’anima mia ha sete di Dio del Dio vivente", ma noi abbiamo ancora sete di Dio o il nostro mondo, con le sue risposte materiali, ha spento e appagato i desideri più umani impedendoci di vedere che il nostro cuore ha dei bisogni più importanti che superano il contingente e il momentaneo? Davvero il Vangelo per noi è una "Buona notizia di salvezza" o l’abitudine l’ha fatto diventare una bella storia, con un bell’eroe positivo, con tutta una serie di ottime indicazioni morali, quasi fosse un galateo, che se osservate (con moderazione, naturalmente per non diventare degli integralisti) aiuterebbero a vivere meglio, insomma una bella utopia, una fiaba che la chiesa e i preti hanno tenuto su per i propri interessi ed anche per tener buoni gli uomini che istintivamente si scannano volentieri tra di loro? Il Regno di Dio (che spesso abbiamo confuso con il regno della chiesa) è una realtà gioiosa, una proposta per vivere in comunione con Dio e con i fratelli la realtà presente, per preparare e attendere quella che Dio ci ha promesso nel futuro, oppure è semplicemente la struttura chiesa che, a guardala bene, poi, non ci piace neppure molto? Gesù è per noi davvero il Figlio di Dio, vivo, risorto dai morti, che ci ha salvato (ma io avevo bisogno di essere salvato?) regalandoci la sua vita? E’ qualcuno che incontro sulla strada della mia vita, come ho incontrato mia moglie, mio marito, i miei figli, o è una bella pagina di un vecchio libro? Credo proprio, con molta onestà, che molti di noi debbano dire: "Devo rimettermi a cercarlo il tesoro, devo di nuovo innamorarmi della perla preziosa". E, come fare?

Secondo me i passi sono due e da fare contemporaneamente, il primo è quello di rientrare in se stessi e il secondo è quello di riscoprire chi sia davvero Gesù e dove posso incontrarlo vivo. Se riesco a far tacere anche solo per qualche momento i rumori del nostro mondo, la voce della materia, le risposte del comodo, se mi guardo con gli occhi della realtà e non attraverso lenti che tendono a sformare, scopro di essere piccolo e povero, scopro di essere solo in mezzo ai miliardi di uomini che vivono sulla terra, scopro di non sapermi dare risposte esistenziali soddisfacenti, scopro di essere, fosse anche solo per sopravvivenza, un accumulo di egoismo che però da solo non risolve niente né per sé. né per il prossimo, ma scopro anche di avere aspirazioni che mi superano, scopro di avere desideri di gioia e di serenità che vanno ben oltre alla semplice soluzione dei bisogni naturali, scopro un desiderio di vita che supera lo scorrere degli anni, scopro che desidererei una vita in tante cose più libera, migliore di quella che sto facendo… Se nel frattempo mi accorgo che Gesù non è venuto sulla terra per prendermi nulla, per impormi nulla ma per proporsi Lui, Figlio di Dio, come mio amico, compagno di viaggio, se scopro che il suo parlare di amore non è fatto di sole parole, perché ha dato la sua vita per dirmi: "Ti voglio bene!" Se scopro che il suo Regno non è una istituzione religiosa ma è la possibilità di vivere con gli altri da fratelli, perché c'è un Padre solo, se, attraverso Lui scopro che questo Padre non è il Dio Padrone, Colui che per premiarmi prima deve farmi soffrire, Colui che ha fatto tutto e poi se ne lava le mani di come vanno le cose, se davvero credo che Gesù è vivo e che è pane per noi ogni volta che insieme facciamo memoria della sua passione, morte e risurrezione, che è perdono ogni volta che mi rivolgo con fede a Lui, che è presente "ogni volta che due o tre siamo riuniti nel suo nome", che è vivo e palpitante nei fratelli a cui posso "dare un bicchiere d’acqua", che lo posso incontrare sul tram, per strada, in ufficio, in casa, ecco allora che comincio a riscoprire un tesoro a portata di mano, una perla a cui avevo dedicato tutta una ricerca, ed ecco allora che avrò anche il coraggio di andare e vendere tutto pur di poterla avere. Non è più il sacrificio della rinuncia, è la vendita delle carabattole per ottenere l’essenziale, e la gioia di far fuori l’inutile per ottenere ciò che da senso al mio esistere presente e futuro, è andare da Colui che con se stesso mi dona tutto il resto.

 

 

LUNEDI’ 29

Santa Marta; Santa Beatrice; Santa Lucilla

Parola di Dio: Pr. 31,10-13.19-20.30-31; Sal. 14; Lc. 10,38-42

 

"MARTA, MARTA, TU TI PREOCCUPI E TI AGITI PER MOLTE COSE, MA UNA SOLA E’ LA COSA DI CUI C’E’ BISOGNO". (Lc. 10,41)

Mi sono spesso chiesto dove sia l’errore di Marta, che pure stimo profondamente perché è una che si dà da fare. Certamente Marta non ha sbagliato nel dare accoglienza a Gesù e ai suoi, non ha sbagliato nel voler offrire ai suoi ospiti il meglio di se stessa e della sua casa, anzi, il Vangelo ci inviata proprio a riscoprire il valore dell’accoglienza, dell’ospitalità. Gesù in molti modi ci dice di essere ancora e sempre in viaggio in cerca di qualcuno che lo accolga e lo ospiti. Forse l’errore di Marta sta nel fatto che vuol costringere l’amico nei propri schemi, nei propri desideri. Decide lei ciò che deve necessariamente far piacere all’ospite e non si accorge che, più che interessarsi al Maestro, si interessa delle cose proprie e queste finiscono di diventare un Assoluto. Questo è il rischio che corrono le persone religiose quando Dio diventa troppo "conosciuto", familiare. Ci si illude di sapere tutto, di interpretare i suoi gusti e non ci si accorge che si rischia di imporgli le nostre abitudini. Anche il prossimo viene costretto in certi schemi, nascono i cosiddetti "protocolli religiosi" pensate ad esempio: sei povero? Vai alla Caritas o alla San Vincenzo! Hai dei problemi nella tua vita familiare? Vai al tal consultorio religioso! Vuoi sposarti in chiesa? La prassi è la seguente! Tutte cose che possono essere buone e giuste ma c’è ancora la persona? C’è ancora il fratello? Gesù, più che cose, vuole il tuo cuore, più che tue risposte artefatte desidererebbe il tuo ascolto, più che corse affaticanti e inutili ama stare con te, più che trovare la tua casa bella e accogliente spera di trovare te in casa.

 

 

MARTEDI’ 30

San Pietro Crisologo; Santa Donatella

Parola di Dio: Ger. 14,17-22; Sal. 78; Mt. 13,36-43

 

"SPIEGACI LA PARABOLA DELLA ZIZZANIA". (Mt. 13,36)

Perché tanta cattiveria nel mondo? Se Dio esistesse veramente perché l’avrebbe permessa? perché la tollererebbe? Eppure Dio non solo la permette, la tollera, ma impedisce ai suoi servi troppo zelanti di sterminare i malvagi con il pretesto di far scomparire il male. Il dolore, la cattiveria, il male sono misteri ed è assurdo allora volerceli spiegare per filo e per segno. Di una cosa sola siamo certi per fede, che Dio è più forte del male, che non può essere connivente con esso, che, se lo permette e chiede a noi, come a suo Figlio di passare attraverso la croce del dolore e della cattiveria degli uomini, un motivo ci sarà.

Ecco un modesto tentativo di risposta La mamma disse al suo bambino: "Torna a casa, da solo. Ormai sei grande. Da’ prova del tuo coraggio!" Il figlio parte. La strada è lunga. Il buio è grande. Nella notte il fanciullo scorge dietro di sé un’ombra che lo insegue. Il cuore gli batte forte. Ha paura. Corre.

Il fantasma lo insegue, sempre più vicino. La porta di casa ormai è vicina. Il fanciullo vi anela, tremante.

Finalmente ne apre la porta. Ora la luce lo inonda. Dietro il fantasma pauroso non c’è; c’è so lo sua madre, che lo aveva seguito, perché non si perdesse, perché non si facesse del male. Il bambino, in braccio alla mamma, si lamenta: "Sono tanto contento d’essere con te. Mamma, ho avuto tanta paura per strada! Ma perché non mi hai avvisato che il fantasma eri tu?" Risponde la madre: "Sono tanto contenta, figliolo, di stringerti a me... Per strada, non potevo avvisarti, non saresti mai diventato un uomo, che sa camminare da sé. Tu però hai fatto un semplice sbaglio: hai pensato che la mamma ti avrebbe lasciato solo nel buio e così l’hai confusa con un fantasma, che mette paura".

 

 

MERCOLEDI’ 31

Sant’Ignazio di Loyola

Parola di Dio: Ger. 15,10.16-21; Sal. 58; Mt. 13,44-46

 

"IL REGNO DEI CIELI E’ SIMILE AD UN TESORO NASCOSTO IN UN CAMPO; UN UOMO LO TROVA E LO NASCONDE DI NUOVO, POI VA, PIENO DI GIOIA, VENDE TUTTI I SUOI AVERI E COMPRA QUEL CAMPO". (Mt. 13,44)

L’uomo sente che la sua vita ha bisogno di essere ancorata a qualcosa di fondamentale, ad un tesoro che ispiri e guidi tutto l’essere. C’è chi pensa: mio primo valore è la salute, quando ho questa, ho tutto. Con essa affronto la mia giornata, risolvo i miei problemi. E fa tutto il possibile per difenderla, conservarla. Finché la possiede, e tranquillo, sicuro. C’è chi dice: mio tesoro è la ricchezza, il denaro, il possedere. Con questo posso fare tutto ciò che voglio, tutto è ai miei piedi, ai miei ordini, tutto mi è possibile, tutte le porte mi si aprono. E spende la sua vita, la sua intelligenza, il suo lavoro, tutto quello che ha, per raggiungere questo tesoro. Sogna di poter dire, come nella parabola evangelica: "Godi, anima mia, hai tutto ciò che ti serve, i tuoi granai sono pieni..." C’è chi segue altri sentieri: mio tesoro è il sapere, il lavoro, la professione, il successo... E per me qual è il tesoro da ricercare e a cui ancorare la mia vita? E’ davvero il Regno di Dio, come ci viene indicato nelle due parabole di oggi. E’ questo che cerco, che mi spinge ad agire, che mio dà gioia? Pur di acquistare questo sono disposto a vendere tutto il resto?

Ma "il tesoro" è ancora "il tesoro" la perla è ancora la cosa più preziosa a cui aspiro? Provo ancora gioia davanti ai doni di Dio? Una volta, in una parrocchia di periferia invitarono l’arcivescovo di Milano, cardinale Carlo Maria Martini, a visitare un giovane uomo di 35 anni, che giaceva in un letto da quindici anni per la sclerosi a placche. Un tronco d’albero immobile. Il Cardinale racconta: «Mentre salivo le scale di quella povera casa, pregavo e pensavo a cosa avrei potuto dire per consolare quel povero giovane. Poi, quando mi sono seduto accanto a lui ed egli ha incominciato a parlare, mi sono accorto che era lui che consolava me, non viceversa. La sua fede era così forte, così viva, che anche quella misera condizione di vita non lo rendeva triste, ma anzi era gioioso, ottimista e ringraziava il Signore. Mi disse: "Ho una grande fortuna, ogni giorno vengono a portarmi l’Eucaristia. Come posso essere triste se ho sempre Dio con me?".

     
     
 

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