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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

APRILE 2002

 

 

LUNEDI’ 1 APRILE 2002

Lunedì dell’Angelo; Sant’ Ugo di Grenoble; San Celso; Sant’Irene

Parola di Dio: At 2,14.22-32; Sal. 15; Mt 28,8-15

 

"VOI LO AVETE INCHIODATO SULLA CROCE E LO AVETE UCCISO, MA DIO LO HA RISUSCITATO". (At 2,23- 24)

Pietro, il timoroso Pietro che aveva rinnegato Gesù davanti ad una serva che lo indicava come suo discepolo, il giorno della Pentecoste, parlando ai Giudei, non ha peli sulla lingua e dice loro: "Voi lo avete crocifisso". Pietro non si rivolge solo ai religiosi di allora, parla anche per noi e vuol dirci con chiarezza che ogni volta noi vogliamo fare a meno di Dio fidandoci solo di noi stessi, delle nostre formule, anche religiose, creiamo opere di morte e crocifiggiamo Dio stesso; quando invece lasciamo operare Lui, rendendoci disponibili, è la vita a trionfare. A riprova di questo prendiamo anche eventi storici a noi vicini o contemporanei. Quando Dio è usato ai propri fini si riesce addirittura, con una terribile aberrazione a giustificare il terrorismo, le guerre di religione, le pulizie etniche, immagini di Dio e bandiere di eserciti e di stati si mescolano e il tutto produce in tanti modi diversi la morte, e mentre si crocifigge Dio, anche l’uomo muore su tante croci innalzate non dalla fede, ma dagli interessi e orgogli umani ben mascherati. Dio invece crea solo vita. Dio ha fatto risorgere suo Figlio perché, pur gridando, si è abbandonato totalmente alla sua volontà. Se noi accogliamo Dio, se vogliamo fare la sua volontà ecco che la nostra vita assume un significato profondo, di eternità, ed ecco che attorno a noi attraverso l’amore sorgono segni di vita nuova per i nostri fratelli e chiari segni di speranza per l’umanità intera.

 

 

MARTEDI’ 2 APRILE 2002

San Francesco da Paola; S. Maria Egiziaca; Sant’Abbondio

Parola di Dio: At 2,36-41; Sal. 32; Gv. 20,11-18

 

"DONNA PERCHE’ PIANGI?" (Gv 20, 15)

Lasciamo commentare l’episodio odierno del Vangelo nientemeno che da Sant’Ambrogio:

"Donna perché piangi? Chi cerchi? Piangi piuttosto per te, perché ancora non credi nel Cristo!

Piangi perché ancora non lo vedi? Credi e lo vedrai! Egli è presente e non manca mai a coloro che lo cercano. Perché piangi? Non deve piangere chi ha fede ardente e degna di Dio. Non pensare più alle cose caduche, e così non piangerai più! Non pensare alle cose passeggere, e così non avrai più motivo di piangere! Perché piangi, quando questa è l’ora in cui tutti sono pieni d’allegrezza? Chi cerchi? Non vedi che il Cristo è qui presente? Non vedi che il Cristo è la potenza e la sapienza di Dio? Egli è la santità, la castità, l’integrità. Egli è nato dalla Vergine, procede dal Padre, è presso il Padre, è sempre nel Padre. Nato, non fatto, mai separato da Lui ma sempre a Lui caro, Dio vero da Dio vero. "Hanno portato via dal sepolcro il mio Signore e non so dove l’abbiano messo" O donna, tu sbagli! Pensi che altri abbia portato via dal sepolcro il suo corpo, e che Egli non sia risorto per virtù propria. Nessuno ha portato via la Virtù di Dio, la Sapienza di Dio, la Castità santa. Il Signore non può essere tolto dal sepolcro del giusto e neppure dal cuore della sua vergine e dall’intimo dell’anima pia. Chi tentasse di farlo non ci riuscirebbe. Il Signore le dice: "Maria, guardami!" La chiama donna quando essa non guarda, quando comincia a credere la chiama Maria. Cioè prende il nome di Colei che generò il Cristo, perché allora l’anima genera spiritualmente il Cristo. Guardami! Chi guarda Cristo si converte; chi non lo vede erra nel peccato!"

 

 

MERCOLEDI’ 3 APRILE 2002

San Riccardo; San Gandolfo

Parola di Dio: At 3,1-10; Sal. 104; Lc. 24, 35-38

 

"PIETRO GLI DISSE: NON POSSIEDO NE’ ARGENTO NE ORO, MA QUELLO CHE HO TE LO DO: NEL NOME DI GESU’ CRISTO, IL NAZARENO, CAMMINA!".

(At 3,6)

Un povero che allunga la mano, una donna abbandonata dal marito che sai essere in difficoltà, un malato che chiede salute e comprensione… quante volte ci siamo trovati davanti a queste palesi o mute richieste. Qualche volta abbiamo anche cercato di condividere qualcosa di nostro, spesso però ci siamo trovati davanti all’impotenza di fare o di dare quello che ci veniva richiesto e forse, qualche volta qualcuno di noi ha anche sbuffato dicendo: "Ma tu, Dio che puoi tutto non ci pensi un po’ ai tuoi figli?!" Pietro e Giovanni stanno andando a pregare al tempio e sulla porta trovano uno storpio, un paralitico, che chiede

l’elemosina. Mi piace immaginare la scena: guardano nella cintura per vedere se c’è qualche moneta, ma, cerca pure nelle pieghe più profonde, non trovano nulla. Che meraviglia se anche oggi succedesse così! Se in certe parrocchie o certe congregazioni religiose ci fosse ancora la fila dei richiedenti e si dovesse con sincerità dire: "Non abbiamo più nulla perché abbiamo dato via tutto, anche quello che ci serviva…" Ma…un momento…, sia Pietro e Giovanni che noi (se davvero avessimo fatto così) nella nostra estrema povertà ci accorgeremmo di essere ricchi di una cosa che possiamo dare e che non finisce mai: Gesù Cristo. Se è Cristo che mi ha spinto al dono, se è per Cristo che sono diventato povero, se mi accorgo di essere umanamente impotente, ho Lui da donare. E, mi raccomando, non facciamo confusione, non si tratta di mettersi a parlare di Gesù a chi ha fame, non si tratta di dire ad un malato "Beato te che soffri perché sei più simile a Gesù crocifisso", si tratta di far vedere che Cristo è vita, si tratta di manifestare con gesti la sua solidarietà con i sofferenti, si tratta di lottare con la forza di Cristo perché anche altri che hanno, comincino a donare… ed ecco allora i miracoli: lo storpio che balza in piedi e si mette a saltare di gioia, il drogato disperato che riesce a venire fuori dal suo buio, il cuore violento che riesce a perdonare, perfino… un credente che finalmente riesce ad incontrare Gesù!

 

 

GIOVEDI’ 4 APRILE 2002

Sant’Isidoro

Parola di Dio:At 3,11-26; Sal. 8; Lc. 24,35-48

 

"DI QUESTO VOI SIETE TESTIMONI". (Lc. 24,48)

Di che cosa sono testimoni gli apostoli? Essi hanno incontrato un uomo, Gesù, un maestro, e lo hanno seguito. Hanno visto come viveva, come parlava, come operava. Poco per volta si sono convinti che non era soltanto un uomo, un grand’uomo, ma che davvero Dio era con Lui, che era il Figlio di Dio, il Messia promesso. Sono stati testimoni anche della sua Passione di amore per gli uomini, anzi loro stessi ne sono stati coinvolti con le loro paure, dubbi e incertezze. Sono testimoni che Gesù è davvero morto, che è stato sepolto, sono testimoni, ora, che Lui è vivo: lo hanno toccato con le loro mani, hanno constatato le ferite delle sua passione in un corpo vivente, hanno mangiato con Lui risorto, hanno compreso la veridicità di tutte le sue parole comprovata dal fatto che Dio ha risuscitato suo Figlio… e allora, possono andare in tutto il mondo ad annunciarlo con le loro parole, ma soprattutto con la forza che viene da quel Vivente, lo Spirito Santo. Ma Gesù lo dice anche a noi: "Di questo voi mi siete testimoni" e noi balbettiamo: "Ma io non c’ero in Palestina, io non ho visto, io non ho mangiato con Te risorto, al massimo l’ho sentito da altri…" Ma è proprio così? Per me e per te Gesù è solo una storia raccontata da altri? "Io sono con voi tutti i giorni", ma lo cerco? lo sento presente? lo vedo operante nella mia vita e nel mondo? I suoi gesti di amore, di attenzione per i piccoli e per i poveri sono ancora presenti nel mio operare e in quello dei cristiani? "Fate questo in memoria di me!" La mia Eucarestia è un rito, una preghiera, o l’incontro con il Pane vivo, la memoria viva della passione e morte e risurrezione di Cristo? Mi incontro con un pezzo di pane o con il Risorto da morte? "Ogni volta che avrete fatto queste cose al più piccolo dei miei fratelli lo avrete fatto a me". Non si tratta di camuffare il fratello da Gesù, si tratta di incontrare un fratello vivo e un Cristo vivente sia in lui che in me!…. Allora, davvero, Gesù può dirlo anche noi: "Mi sarete testimoni su tutta la terra".

 

 

VENERDI’ 5 APRILE 2002

San Vincenzo Ferrer

Parola di Dio: At 4,1-12; Sal. 117; Gv. 21,1-4

 

"E’ NEL NOME DI GESU’ NAZARENO CHE COSTUI VI STA INNANZI SANO E SALVO". (At 4, 10)

Quale grande cambiamento ha fatto fare lo Spirito Santo a Pietro. Durante la vita pubblica di Gesù, Pietro ha sempre parlato in prima persona: "Io credo… darò la mia vita per te… non conosco quell’uomo…". Dopo la cura dello Spirito Santo, proprio in momenti in cui avrebbe potuto inorgoglirsi per "aver compiuto un miracolo", Pietro riconosce di non essere lui il centro del palcoscenico. Il miracolo dello storpio guarito è avvenuto per opera di Gesù che non si vede ma che è vivo, presente attraverso loro; il coraggio della testimonianza non è qualcosa nato improvvisamente in persone paurose, ma è di nuovo Gesù che parla e agisce attraverso loro. Dare la vita, destare coraggio e speranza, creare un clima d'amore, non è opera degli uomini, bensì opera di Dio in Gesù Cristo. Se noi cristiani avessimo davvero sempre presente questo modo di intendere e di agire, quanti meno guai ci sarebbero nella Chiesa e quanto più spazio lasceremo a Dio di poter operare a favore di tutti e di ognuno. Quando un predicatore o un sedicente testimone parlano più di se stessi che di Dio, nasce la divisione, il culto della persona, la lotta per il potere e Gesù non è più vivo. Quando invece hai tentato di fare qualcosa nel suo nome, non cercare il tuo successo personale, lascia spazio al Signore, non costringerlo nei tuoi piccoli schemi (anche se fossero gli schemi della Chiesa), non pretendere di vedere i risultati che umanamente ti saresti voluto aspettare, lascia che faccia Lui, con i suoi tempi, con il suo amore per le persone, riconosci a Lui la possibilità di fare miracoli e scoprirai in modi sempre meravigliosi e nuovi che il risorto opera e, mentre si serve anche di te, a te si manifesta come vivente.

 

 

SABATO 6 APRILE 2002

Santa Giuliana di Cornillon

Parola di Dio: At 4,13-21; Sal. 117; Mc. 16,9-15

 

"NON VOLLERO CREDERE". (Mc. 16, 11.13.14)

Il Vangelo di Marco è sempre sintetico nel suo raccontare, quindi ancor maggiormente ci colpisce che, nel giro di poche righe in cui riassume le apparizioni di Gesù, quasi fosse un ritornello, ritorna questa frase a proposito dei discepoli: "Non vollero credere". La risurrezione è un mistero di fede e negli Apostoli, c'era una resistenza alla fede. Sembra strano: la risurrezione è mistero di gioia, di grande gioia, di gioia divina: perché non credere? Invece di accogliere con cuore largo la gioia, preferiamo trovare sempre in noi e in chi ci vive vicino motivi di preoccupazione e di tristezza. Diciamo di volere la felicità ma nei fatti, per amor proprio, siamo attaccati alla nostra tristezza e sotto l'effetto di questa, vediamo le cose nell'oscurità dell'amor proprio, della nostra illusione, invece di vederle nella luce divina, la luce della risurrezione. Come sarebbe bello poterci liberare dalla tristezza! Pensare positivo, nonostante tutto. Accogliere la gioia di sapere Cristo risorto e di credere che anche noi siamo sulla strada della risurrezione definitiva. La fede vera non è certamente come quello che sto per dirvi, ma proviamo anche solo a fare questo ragionamento umano: se io vivo la tristezza dei miei dubbi, se vedo solo il negativo, se non ho speranze per un futuro, che razza di vita è la mia? Se invece apro il mio cuore al domani, ai fratelli, a Dio, certo potrò ancora incocciare nel male, ma ho una capacità in più, quella di dare un senso a tutto nella mia vita.

 

 

DOMENICA 7 APRILE 2002 - 2° DOMENICA DI PASQUA

San Giovanni Battista de la Salle; S. Ermanno

Parola di Dio: At 2,42-47; Sal. 117; 1Pt. 1,3-9; Gv. 20,19-31

 

1^ Lettura (At 2, 42-47)

Dagli Atti degli Apostoli.

I fratelli erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Parola di Dio

 

2^ Lettura (1 Pt 1, 3-9)

Dalla Prima Lettera di Pietro

Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza, prossima a rivelarsi negli ultimi tempi. Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo: voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime. Parola di Dio

 

Vangelo (Gv 20, 19-31)

Dal Vangelo secondo Giovanni.

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò". Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Poi disse a Tommaso: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!". Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!". Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. Parola del Signore

 

RIFLESSIONE

 

Prima di iniziare la nostra riflessione è bene fare alcune precisazioni che ci aiutino ad inquadrare lo spirito della liturgia odierna. Siamo nella seconda domenica dopo Pasqua e si conclude l’ottava di questa festa. Nella Chiesa antica i battezzati della notte di Pasqua dedicavano tutta questa settimana per farsi conoscere ed essere inseriti nella comunità cristiana. Anche per questo abbiamo sentito nella prima lettura degli Atti degli Apostoli la presentazione ideale della comunità. Le caratteristiche di questa comunità in breve dovrebbero essere l’unità (no alle chiesuole), la fedeltà all’insegnamento degli apostoli (ritornare sempre alle origini ed evitare le discussioni e le chiacchiere inutili), la celebrazione dei Sacramenti nella memoria viva della salvezza operata da Gesù (no al ritualismo e alla ipocrisia religiosa), la condivisione dei beni nella carità (no all’egoismo individuale o di gruppo). Quindi pensando proprio al Risorto che ci ha dato una vita nuova, possiamo farci un chiaro esame di coscienza chiedendoci se oggi la nostra comunità parrocchiale riesce a realizzare queste caratteristiche. E se siamo anche contenti, felici di accogliere con gioia nuovi "battezzati" che ci chiedono di condividere il cammino di fede. Un'altra osservazione è che questa domenica da sempre è considerata la "domenica di Tommaso" perché l’episodio in due parti raccontato dal Vangelo ci presenta prima la difficoltà di fede di questo Apostolo e poi la sua adesione totale a Cristo. Ma se questo è vero, e se su questo fermeremo anche la nostra meditazione, non dimenticare che la liturgia punta la sua attenzione più che su Tommaso, sul Risorto. Gesù risorto è il centro della fede della comunità cristiana. Gli apostoli avevano già avuto tutti i segni della risurrezione. Maria di Magdala aveva trovato la tomba vuota. Pietro e Giovanni erano corsi al sepolcro e avevano constatato che Gesù non era lì. Avevano anche creduto. Maria Maddalena aveva poi raccontato di aver visto Gesù. Ma Lui, personalmente non lo avevano ancora visto. Se da una parte la fede nella risurrezione, il ricordo delle sue promesse fatte prima della passione, i vari segni che avevano visto, li convincevano sempre più sul fatto che Gesù fosse vivo, avevano però ancora una fede tentennante e soprattutto avevano ancora paura che i Giudei se la prendessero con loro e facessero far loro la stessa fine di Gesù, perciò sono riuniti nel cenacolo, a porte chiuse. Qui appare loro Gesù dimostrando di essere proprio lui, facendo vedere le piaghe della passione, ma anche dimostrando loro di essere in uno stato diverso dal precedente, infatti riesce ad entrare in casa " a porte chiuse". Per di più il risorto porta loro anche dei doni: la sua pace, il dono dello Spirito Santo, il potere di rimettere i peccati e l’incarico di essere suoi testimoni per tutto il mondo. Questi sono i doni che Gesù fa alla Chiesa. Prima di tutto non rimprovera, non accusa questi codardi per averlo abbandonato e tradito, ma li riconferma nel loro ruolo e li riempie di doni e quindi di gioia. Ed è questo il modo di fare di Gesù in ogni occasione anche con noi. Egli non guarda indietro, se non per richiamarci a Lui, non punta il dito contro le nostre miserie e peccati, ci chiede di rinnovare la fede e di guardare avanti e per questo ci dona se stesso e il suo Spirito.

E qui si inserisce la vicenda di Tommaso che, oltre essere un episodio, è anche una parabola in cui ciascuno di noi, forse in modi diversi, può ritrovarsi. Tommaso aveva un soprannome: Didimo, che vuol dire Gemello, sembra che glielo avessero dato perché somigliava molto a Gesù, non è quindi nel gruppo dei dodici uno che veniva considerato scarsamente o uno che avesse meno fede degli altri. Quella sera Tommaso non è presente, quindi non può essere testimone diretto dell’apparizione del risorto, per lui restano solo i segni flebili della tomba vuota, del racconto della Maddalena e della testimonianza degli altri apostoli. Mi metto nei suoi panni e penso che anch’io con un po’ di realismo e forse anche di grettezza avrei ragionato così: "In questi giorni siamo tutti squinternati. Il nostro Gesù è stato tradito da uno di noi, rinnegato e abbandonato dagli altri, è stato ucciso come uno schiavo peccatore sulla croce e fuori delle mura della città. Abbiamo tutti paura di fare la sua stessa fine, qualcuno di noi sta già abbandonando la città alla chetichella e noi dovremmo fidarci della voce di qualche donna magari un po’ troppo esaltata? E io dovrei fidarmi di quello che mi dicono quegli altri dieci che, alla fine, non si sono poi comportati meglio di me? Non vorranno forse coinvolgermi in qualche altra avventura, ma questa volta da visionari? E poi, perché Gesù dovrebbe aver scelto per apparire, proprio il momento in cui io non c’ero? In fondo avrebbe dato a loro dei doni: la pace, il potere di rimettere i peccati, e a me no! E chi sono io, il figlio della serva? No, Gesù non si sarebbe comportato così, quindi è probabile che questi dieci mi raccontino delle storie o si siano lasciati esaltare dagli avvenimenti di questi giorni. Io voglio loro bene, non dico che siano in cattiva fede, ma voglio constatare di persona". Provate a pensare se questi non sono spesso anche i nostri ragionamenti: "Perché il Signore non si è fatto vedere e toccare personalmente da me? Perché il Signore mi lascia nei miei dubbi e non mi risponde personalmente? Come faccio a fidarmi di una Chiesa così povera, fatti di uomini fragili peccatori, condizionabili come me? Perché ad alcuni il dono della fede così immediato e a me no?…" Tommaso è un realista, un positivista, uno che è disposto ad arrendersi alla fede ma quando questa non è più fede ma dato di fatto. E anche noi spesso crediamo che la fede ci sia quando abbiamo tutte le risposte, quando abbiamo dei segni inconfutabili, e non ci accorgiamo che quella non è più fede, cioè fiducia, abbandono. Ma non colpevolizziamo solo Tommaso, anche gli altri dieci hanno "fede" solo dopo che hanno visto personalmente Gesù, il Risorto. E’ per questo che Gesù nella sua seconda apparizione, una settimana dopo, dice: "Beati quelli che pur non avendo visto crederanno" : il vedere degli occhi, il toccare della mani porta alla certezza e poi per conseguenza dovrebbe portare alla testimonianza; il vedere del cuore, l’abbandonarsi, l’accogliere i segni che altri ci propongono, a cui la Scrittura ci indirizza è il fidarsi. Tommaso arriva alla manifestazione della sua fede non tanto perché finalmente può vedere e toccare (notate: il vangelo non dice che abbia ancora avuto bisogno di andare ad accertarsi di persona),ma arriva alla vera fede quando, vedendo e riconoscendo la propria grettezza, accetta Gesù e si abbandona Lui non solo perché constata che è vivo davanti a lui, ma perché lo riconosce come suo Signore e suo Dio. Gesù Risorto, vivo con i segni della sua passione, del suo amore per noi non si impone, ma si propone a ciascuno: sta a noi aver gli occhi giusti per vedere quanto ci vuole bene e chi sia, E sta ancora a noi, oggi, raccogliere sia il segno del suo dolore che quello della sua gloria come le strade che con Lui ci aiutano a vivere nella speranza, nella testimonianza e nella lotta con Lui vittoriosa, contro ogni male e su ogni sofferenza.

 

 

LUNEDI’ 8 APRILE 2002  -  Festa della ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

San Dionigi; San Gualtiero (Walter)

Parola di Dio: Is. 7,10-14; Sal 39; Eb. 10,4-10; Lc. 1, 26-38

 

"ALLORA MARIA DISSE: ECCOMI, SONO LA SERVA DEL SIGNORE, AVVENGA DI ME QUANTO HAI DETTO". (Lc. 1,38)

Non so se a voi piace ascoltare la bella musica classica, in ogni caso certamente almeno qualche volta avrete ascoltato qualche bel pezzo dove magari è facile scoprire due motivi che si rincorrono, ritornano, si sovrappongono e arrivano poi a concludere mantenendo la propria originalità, ma fondendosi in un suono omogeneo e pieno. Ho usato questo paragone musicale perché la festa che celebriamo oggi, mi sembra sia la fusione di due meravigliosi motivi che insieme concorrono a creare la più bella armonia dell’universo. Da una parte c’è Dio, con la sua pienezza, con il suo amore totale, con il suo desiderio di recuperare la sua creatura e di offrirglisi. Questo motivo è il motivo fondamentale, è il motivo per cui Dio ha creato l’uomo, per cui ha continuato ad amarlo nonostante i suoi no, il motivo per cui ha stretto un’alleanza con Israele, ha liberato questo popolo gli ha dato una terra, ha mandato pastori e profeti, ed ora vuole regalare suo Figlio, per cui ha preparato, pensando a Lei da tutta l’eternità, la vergine Maria, degna dimora di Lui, pronta ad accoglierlo e a donarlo. Ma se Dio ha fatto scaturire dalla sua melodia questo nuovo motivo, ora esso suona di musica propria: Dio per incarnarsi ha bisogno del sì di una donna. E il sì arriva puntuale, e permette alle due armonie, quella di Dio e quella di Maria, di generare l’Armonia, il Figlio di Dio che si incarna. Anche per ciascuno di noi, stando a questo esempio, succede così: Dio ha un motivo nei nostri riguardi: manifestarci e donarci tutto il suo amore. Questo motivo parte dall’eternità: Lui ha pensato a ciascuno di noi da sempre. Questo motivo si è realizzato e si realizza in mille modi lungo la nostra storia, ma per diventare Armonia con la nostra individualità ha bisogno del nostro sì di accoglienza e donazione: i due motivi, dopo essersi rincorsi devono diventare un'unica Armonia. Dio che può tutto, mi chiede permesso per potermi donare se stesso. Voglio restare stonatura incompiuta o lasciarlo cantare in me?

 

 

MARTEDI’ 9 APRILE 2002

Santa Maria di Cleofa

Parola di Dio: At 4,32-37; Sal. 92; Gv. 3,7-15

 

"TU SEI MAESTRO IN ISRAELE E NON SAI QUESTE COSE?". (Gv. 3,10)

Gesù sta parlando con un uomo saggio di Israele, con Nicodemo che è andato a Lui di notte per porgli serie domande sulla fede e sul senso della vita, ma, sorridendo, sembra quasi prenderlo in giro dicendogli: "Come mai tu che dovresti sapere tutto, poi ti chiedi queste cose?" No! Gesù non prende in giro nessuno, ma ci invita solo all’umiltà vera Non basta essere "maestri in Israele" per entrare nel Regno di Dio, non basta conoscere a menadito la Sacra Scrittura, la teologia, per comprendere il mistero di Dio, non basta "sapere" e "dire" tante preghiere per entrare in comunione con Dio. Non basta neanche essere preti per essere sicuri della propria salvezza, come non basta l’iscrizione in un registro parrocchiale e neppure il rito di un po’ di acqua sulla testa per essere cristiani. Man mano che gli anni passano mi accorgo di "sapere" sempre meno. C’è stato un periodo della mia vita in cui credevo che bastava ‘studiare’ per conoscere e per avere, credevo anche, come prete, di dover dare sempre risposte precise, esaustive a tutti i problemi di vita e di fede. Oggi mi accorgo di avere più interrogativi di risposte, di fare più tentativi che non seguire strade sicure, di cercare più l’abbandono fiducioso nel mistero che non presupporre idee certe, di contare più sulle risorse presenti nelle persone che non nei consigli che uno può dare dal di fuori. Eppure anche oggi, in tutti i campi ma specialmente in quello religioso, ci sono tanti che pensano di essere "maestri in Israele", a colpi di codice di diritto canonico, di ruoli e tradizioni ben consolidate, di liturgie, magari formalmente perfette, ma gelide, sanno vivisezionare Dio, hanno una risposta sicura per ogni problema, una risposta che, senza toccarli, sempre ti annienta, ti colpevolizza, ti umilia… Essere "maestro in Israele" non sarà, forse, come Gesù suggerisce a Nicodemo, essere "discepolo", ma dello Spirito Santo, di quello Spirito che soffia dove vuole, che nessuno può imprigionare neppure nelle pagine di un diritto canonico e neppure nelle pagine della Bibbia?

 

 

MERC0LEDI’ 10 APRILE 2002

San Terenzio; Sant’Ezechiele

Parola di Dio: At 5,17-26; Sal.33; Gv. 3,16-21

 

"DIO HA TANTO AMATO IL MONDO DA DARE IL SUO FIGLIO UNIGENITO PERCHÉ CHIUNQUE CREDE IN LUI NON MUOIA, MA ABBIA LA VITA ETERNA". (Gv. 3,16)

Alla luce della risurrezione di Gesù questa frase è la miglior sintesi di tutta la nostra fede. Infatti se Cristo è risorto tutto quello che Egli ci ha testimoniato e dato, è vero.. Dio, allora non è soltanto un entità superiore, un creatore che manifesta la sua potenza e forza, un Dio attento giudice pronto a condannare ogni più piccolo errore, ma un Padre Buono che ha amato suo Figlio, che ha accettato il sacrificio di Gesù, che lo ha glorificato e che in Lui e tramite Lui ama noi di un amore tenerissimo, che si dona a noi nel Figlio, che non ci lascia soli e orfani ma ci fa gustare il senso pieno della vita attraverso il suo Spirito. E’ un Padre che non si ferma neanche ai nostri peccati ma in Gesù ci offre una possibilità affinché ritorniamo a Lui. Credere in Gesù significa incontrare la bontà del Padre, significa vincere la paura, il calcolo, significa abbandonarsi nelle mani dell’Amore. Gesù non è un grand’uomo ma il Figlio di Dio fatto uomo; non è una forma di spiritualità o di morale, è il Salvatore, non è un metodo di vita, è la vita stessa.

 

 

GIOVEDI’ 11 APRILE 2002

San Stanislao; B. Elena Guerra

Parola di Dio: At 5,27-33; Sal. 33; Gv. 3,31-36

 

"BISOGNA OBBEDIRE A DIO PIUTTOSTO CHE AGLI UOMINI". (At 5,29)

Pietro e gli apostoli si trovano davanti ad un bivio: il Sinedrio, autorità religiosa da loro riconosciuta, chiede di tacere e di non parlare più di Gesù, Gesù, invece, li ha mandati in tutto il mondo perché con parole e segni annuncino il suo Regno. Essi non hanno dubbi: siccome riconoscono in Gesù il Figlio di Dio, scelgono di seguire la parola di Gesù piuttosto che l’insegnamento del Sinedrio che è fatto solo di uomini.

Fermiamoci un momento a pensare a quale tipo di obbedienza noi siamo chiamati nei confronti della Chiesa. Noi crediamo che la Chiesa sia la depositaria della verità del Vangelo, sia l’ambito in cui leggere ed interpretare la parola di Dio, sia la madre e la maestra nel campo della fede e della morale, quindi per tutto quello che la Chiesa ci dice in ambito della fede noi le riconosciamo l’autorità di parlarci a nome di Dio e credo che ogni cristiano debba obbedienza non tanto per consolidare una forma di potere, ma per esprimere una fede unitaria, per appoggiare questa fede non soltanto sul "Io penso, io credo…" ma per gioire insieme ai fratelli nell’unica fede, nell’unico Dio rivelato da Gesù.

Ma quando la Chiesa attraverso il magistero di un prete o di un vescovo chiede obbedienza per cose che sono legate semplicemente alla mentalità del tempo, a certe forme esteriori, ad abitudini e tradizioni legate solo al cammino temporale della terra come devo comportarmi? Prima di tutto fare un po’ di discernimento chiedendo nella preghiera la luce dello Spirito Santo per esaminare se ciò che mi viene richiesto sia veramente volontà di Dio. Ci saranno dei casi in cui questo è chiaro e allora sono tenuto all’obbedienza piena, ci sono casi in cui questo è dubbio e allora piuttosto che rischiare uno scandalo, che fare del male ad altri, cerco di chiarire nella riservatezza, ci sono dei casi in cui è chiaro che è "insegnamento degli uomini" e allora la migliore obbedienza, il migliore amore per la Chiesa è manifestare pubblicamente la propria fede a Dio e aiutare così anche la chiesa a liberarsi dalle pastoie del tempo e del temporale.

 

 

VENERDI’ 12 APRILE 2002

San Giulio I°; San Zeno

Parola di Dio: At 5,34-42; Sal. 26; Gv. 6,1-15

 

"C’E’ QUI UN RAGAZZO CHE HA CINQUE PANI D’ORZO E DUE PESCI; MA CHE COS’E’ QUESTO PER TANTA GENTE?". (Gv. 6,8)

C’è stata una guerra in Afganistan. I paesi civili si sono difesi dai terroristi, ma i poveri di là continuano ad essere poveri che sopravvivono in terre deserte che galleggiano sul petrolio cui molti fanno l’occhietto. E anche oggi una mamma vedrà morire il proprio bambino per malnutrizione perché abita distante da quel centro di distribuzione degli aiuti e non ha un mezzo per recarvisi, neanche un mulo, ed ha già venduto le sue due bambine di sette e nove anni al ricco della città che è passato: saranno schiave del sesso, ma almeno avranno da mangiare.

E’ un esempio tra i tanti. "E io che cosa ci posso fare?" E’ vero, in certi casi, purtroppo non possiamo proprio farci niente di concreto, ma attenzione a non mascheraci con questa scusa. Anche il ragazzino che aveva i pochi pani e i pochi pesci, non pensava di poter sfamare una folla di cinquemila uomini. Eppure a Gesù sono occorsi proprio quei pani e pesci per dar da mangiare alla folla! Se tutti i credenti mettessero il loro poco, Cristo può fare il resto. Il Signore si serve del nostro poco. Senza il nostro apporto, se pur misero e debole, il Signore non vuole operare, ma se il poco che abbiamo lo deponiamo nelle sue mani, la nostra disponibilità diventerà benedizione per noi stessi e per i fratelli. E, ricordiamoci, i cinque pani e i pochi pesci possono essere i nostri soldi condivisi, ma non solo: e le tue capacità di amore che spesso nascondi per paura di farti vedere debole, per paura di uscire allo scoperto, perché preferisci pensare a te stesso e alla tua tranquillità, non sono forse le prime cose che il Signore ti invita a donare per far sì che Lui, attraverso esse, possa giungere al cuore di molti?

 

 

SABATO 13 APRILE 2002

San Martino I°; Sant’Ermenegildo

Parola di Dio: At 6,1-7; Sal. 32; Gv. 6,16-21

 

"VIDERO GESU’ CHE CAMMINAVA SUL MARE E SI’ AVVICINAVA ALLA BARCA". (Gv. 6,19)

Anche se il Vangelo di oggi riporta un episodio successo prima della morte e risurrezione di Gesù, esso vuole farci capire che Gesù che cammina sul mare è la prefigurazione di Gesù che attraversa vittoriosamente la morte. Nella Scrittura molte volte la morte è paragonata al mare: Normalmente nel mare un uomo annega: qui Gesù cammina sul mare e così si presenta come vincitore della morte. "Il mare era agitato, perché soffiava un forte vento". È l'immagine della burrasca della passione, della terribile tribolazione che ha disperso tutti i discepoli. Ma Gesù attraverso la burrasca cammina sul mare e si avvicina alla barca. I discepoli hanno paura, come durante la passione e anche al momento della risurrezione, ma Gesù si presenta a loro dicendo: "Sono io, non temete". Proprio come, dopo la passione. Gesù risorto si è presentato a loro come il vincitore della morte e ha detto: "Sono io!... Pace a voi, non temete". Questi discepoli che si agitano, remano, si impauriscono, sono la figura di tutti noi che, spesso, senza Gesù, nella barca della nostra vita, ci arrabattiamo, ci agitiamo, ma non combiniamo niente. Ci pare di non farcela. Siamo stanchi. Chi ci potrà aiutare? Non sembra forse tutto inutile ciò che abbiamo fatto? Arriveremo mai ad una meta? Ma può Dio abbandonare la sua creatura? Questi apostoli non si lasciano andare del tutto e continuano a remare, anche se sembra tutto inutile.., e allora Gesù arriva proprio nel modo e nel posto dove non se lo aspettavano: arriva in mezzo al mare, al buio, camminando sulle acque.E’ notte? Stai convivendo con paure, sofferenze, dubbi? Grida, arrabattati, ma continua a remare, spellati le mani, lotta magari anche in modo sbagliato, non arrenderti. E proprio quando tutto sembra perso, quando sei nell’impossibile, arriva Lui a dirti "Sono io", "Sono Dio", "non temete". Quando si accetta Gesù nel suo mistero di passione e di risurrezione, allora possiamo arrivare all'altra riva: possiamo veramente trovare la luce e la pace di Dio. Però bisogna accettare Gesù come vincitore della morte, come risorto dopo la morte, accettare la sua presenza misteriosa. "Sono io, non temete". Chiediamo al Signore la grazia di riconoscerlo nella nostra vita quando si presenta come colui che cammina sul mare, di non aver paura, ma di abbandonarci con fiducia a lui.

 

 

DOMENICA 14 APRILE 2002 - 3° DOMENICA DI PASQUA

Santa Liduina; San Tiburzio; San Valeriano

Parola di Dio: At 2,14. 22-33; Sal. 15; 1Pt. 1,17-21; Lc. 24,13-35

 

1^ Lettura (At 2, 14. 22-33)

Dagli Atti degli Apostoli.

Nel giorno di Pentecoste, Pietro, levatosi in piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta così:

"Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete, dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. E noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire". Parola di Dio

 

2^ Lettura (1 Pt 1, 17-21)

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo.

Carissimi, se pregando chiamate Padre colui che senza riguardi personali giudica ciascuno secondo le sue opere, comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio. Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma si è manifestato negli ultimi tempi per voi. E voi per opera sua credete in Dio, che l'ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria e così la vostra fede e la vostra speranza sono fisse in Dio.

Parola di Dio

 

Vangelo (Lc 24, 13-35)

Dal vangelo secondo Luca.

In quello stesso giorno, il primo della settimana, due dei discepoli erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: "Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?". Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: "Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?". Domandò: "Che cosa?". Gli risposero: "Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto". Ed egli disse loro: "Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: "Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino". Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?". E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone". Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Parola del Signore

 

RIFLESSIONE

 

Ci sono pagine di Vangelo che hanno una particolare suggestione. Alcune di esse sono servite ai Santi per convertirsi o per dare un indirizzo particolare alla propria vita. Nel cammino della mia vita il racconto dei discepoli di Emmaus è sempre stato significativo e lo è ancora tutt’oggi perché mi ritrovo sia nel cammino di fuga di questi discepoli, sia in quello di catechesi che Gesù fa compiere loro, e mi conforta enormemente il pensiero di Gesù che non ci abbandona quando viene sera e che trova, anche per occhi incapaci come i miei, i segni per farsi riconoscere e per ridare energia alle gambe per un percorso di ritorno e di gioia. Seguo dunque passo passo questo episodio con voi. Questi due discepoli si stanno allontanando da Gerusalemme non solo perché sono finite le celebrazioni pasquali, ma perché che cosa c’è ancora da fare a Gerusalemme? Non è forse meglio allontanarsi da quel posto dove il Maestro è stato ucciso e sepolto e dove sommi sacerdoti e sinedrio potrebbero, dopo quello del Maestro volere anche il sangue dei discepoli?

Sembra quasi di sentirli i commenti tristi e accorati di questi due: "Ci avrei giocato la testa che Gesù fosse davvero il Messia. Con tutto quello che ha fatto e detto! E i miracoli compiuti? Ti ricordi quando ha calmato la tempesta sul lago? E quando ha dato da mangiare a quei cinquemila e solo con pochi pani e pesci? E le sue parole piene di speranza di un regno per i poveri, per i sofferenti, gli operatori di pace? E per noi non è stato meraviglioso poter andare in giro con Lui, vedere le folle bramose di una parola di amore, essere addirittura suoi collaboratori. Ti ricordi quando ci ha mandati in missione? Riuscivamo addirittura a cacciare i demoni e a guarire i malati! Chissà perché i capi e i religiosi non ci hanno creduto… E’ vero che anche lui non ha fatto nulla per ingraziaseli, che certe rispostacce poteva avanzarsele, che certi miracoli fatti apposta di sabato poteva benissimo farli in altri giorni…Non era un maestro facile. Anche noi, anche i dodici, spesso non capivamo che cosa volesse dire. Come si fa a costruire un regno parlando di sofferenza e di morte? E adesso tutto sembra essere finito: i Romani continuano ad imperare e a beffarsi di noi e della nostra religione, i Sommi Sacerdoti e il Sinedrio continuano la loro politica, i ricchi sono sempre più ricchi i poveri sempre più poveri. Lui è morto e noi se non vogliamo finire male è meglio che torniamo alla chetichella a casa…"

Ripenso a quante volte nella mia vita mi sono entusiasmato per il Vangelo, per qualche iniziativa di carità, tutte le volte che, specialmente in gioventù, sono partito in quarta per realizzare qualcosa di bello di unico di indispensabile e poi… davanti alle difficoltà, agli insuccessi, ai sorrisi di commiserazione, alle paure interiori, sono tornato indietro sconsolato e brontolante. Anche nella fede, Signore tu lo sai, quante volte ti ho detto e da convinto: "Ti amo con tutto il cuore" e poi davanti al buio di certi momenti, davanti alle debolezze del mio carattere, davanti alla paura del reale, non ti ho più visto, ho cominciato a chiedermi "Ma ne vale proprio la pena?", ed ho preferito rifugiarmi nel banale di tutti i giorni, nelle regole e nelle norme rassicuranti, nell’abitudine e nelle maschere.

"Gesù in persona si accostò a loro… Ma i loro occhi erano incapaci di vederlo". Gesù aveva detto "Io sono con voi tutti i giorni" e Gesù cammina con loro.

Come era successo già a Maddalena i suoi occhi pieni di lacrime per la morte e la scomparsa del corpo di Gesù le avevano impedito di riconoscere il volto amato, così questi discepoli che parlano di speranze perdute, di meraviglie non successe, di ricordi bellissimi ma infranti, guardano in basso, guardano la polvere della strada e non sono capaci di alzarsi sul volto di questo straniero che si è messo a camminare con loro e che è anche curioso, fa lo gnorri, chiede informazioni su se stesso, si fa raccontare la sua storia, li porta a scaricare tutta l’amarezza e la delusione.

"Signore dove eri quando sono passato attraverso quella croce? Perché non ti sei fatto sentire quando dovevo prendere quella decisione e mi hai lasciato scegliere quella strada sbagliata?…"

Gesù cammina con noi, specialmente quando è buio. E non è neanche Lui che si nasconde, si camuffa, siamo noi che non sappiamo riconoscerlo.

Fin che ci parliamo addosso, finché ci commiseriamo dei nostri dolori, delle nostre prove, fino a quando consideriamo il nostro prossimo solo un ingombro, una difficoltà, e non alziamo gli occhi per guardarlo in faccia, non riconosciamo Colui che si pellegrino del nostro camminare.

E allora, per aiutarci Lui comincia a parlare e ci parla soprattutto attraverso la Sacra Scrittura.

"Signore, io non capisco, sono storie vecchie, sono pagine piene di racconti e di cose scritte da uomini passati…" Eppure è la storia di un amore, l’amore di Dio per noi uomini. Una storia di fedeltà da parte sua e di tradimenti da parte nostra, una storia di misericordia che non solo parla di cose lontane ma che vuole coinvolgere me oggi. E qualche volta, quando la sento così, il mio cuore comincia ad "ardere" Gesù non si impone, si accompagna. Ci spiega, non ci obbliga. Ci provoca, ma poi fa finta di andare oltre. Ha bisogno che quei discepoli e che io gli dica: "Rimani con noi Signore, perché si fa sera e il giorno già volge al declino" Dio ha bisogno di essere accolto per operare, ha bisogno di intimità per far sì che, magari al lume di candela o al caldo, vicino al fuoco i miei occhi abbiano la forza, spinti dal cuore che ha cominciato ad ardere, di alzarsi sul suo viso per cominciare a riconoscerne le fattezze. E allora giunge anche l’altro segno misterioso ma meraviglioso: una benedizione, un pane spezzato, il gesto della fraternità e della condivisione, e lì il cuore non arde solo più, ama e quando si ama si cerca e si riconosce l’amato. "Resta con noi Signore" tra le vicende oscure di questo mondo, resta con noi quando comincia a mancarci la speranza nel mondo, nell’uomo, in noi stessi. Resta con noi quando non ce la facciamo più a riconoscerci come fratelli. Accompagnaci nel cammino quando le mete hanno perso la loro vivezza, quando le paure ci tolgono gli entusiasmi. Resta con noi e spezza ancora il tuo pane, la tua parola, il tuo amore, il tuo corpo perché abbiamo enormemente bisogno di sentirci amati da Te e da tuo Padre, per riconoscere che è solo l’amore ancora capace di vincere gli odi e le guerre. Facci alzare gli occhi dalle nostre miserie per vedere il tuo volto sorridente e misericordioso e anche se poi tu scomparirai dalla nostra vista la gioia dagli occhi sarà passata alla mente e al cuore e da questo sarà arrivata alle gambe che ci permetteranno, di corsa, di fare il cammino del ritorno, il ritorno a Te e al tuo progetto su di noi.

 

 

LUNEDI’ 15 APRILE 2002

Sant’Annibale; Sant’Anastasia; B. Cesare de B.

Parola di Dio: Atti 6,8-15; Sal.118; Gv. 6,22-29

 

"QUESTA E’ L’OPERA DI DIO: CREDERE IN COLUI CHE EGLI HA MANDATO" . (Gv. 6,29)

Nel brano di vangelo odierno noi vediamo, almeno in due occasioni, due atteggiamenti opposti tra Gesù e la folla.

La folla cerca Gesù perché ha partecipato alla moltiplicazione dei pani. Sono rimasti stupiti e vorrebbero fare re uno che ha la capacità di dar da mangiare gratis. Gesù, invece, attraverso quel miracolo (anticipatore dell’Eucarestia) voleva far comprendere che Colui che ha la possibilità di moltiplicare il pane è il Figlio di Dio mandato dal padre per essere il pane che sazia tutte le fami dell’uomo: "Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà". Così pure la folla, gli scribi e i farisei sono preoccupati su ciò che devono compiere "per essere a posto davanti a Dio" e sarebbero disposti a sottostare ad un certo numero di leggi e prescrizioni. Gesù invece dice che l’unica cosa che conta è avere fede in Lui.

Anche noi, oggi, spesso siamo come quella folla: vorremmo un Dio solutore dei nostri problemi pratici, una specie di Dio - pronto - soccorso da invocare nei momenti di necessità e un Dio che poi, non disturbandoci troppo, si possa comperare con una manciata di buone azioni o con l’osservanza di un certo numero di leggi. Gesù invece ci ricorda che la nostra fede non è l’incontro con un’idea, non è una serie di atti religiosi, non è un manifestare volontarismo per compiere tante opere, è incontrare "Colui che Dio ha mandato". Noi crediamo a Gesù. E’ una persona concreta come noi, è il Figlio di Dio che ci salva, è la Via, la Verità, la Vita, è la risurrezione dai morti, è il Pane della vita eterna... Spesso, guardando la mia vita, mi chiedo: "Ma Gesù l’ho incontrato davvero? oppure ho incontrato solo le sue apparenze?". Se l’avessi incontrato davvero dovrei avere meno paure, più speranza, più gioia. La mia vita dovrebbe trasparirlo maggiormente e allora le mie "opere" dovrebbero essere la conseguenza di questo incontro sconvolgente.

 

 

MARTEDI’ 16 APRILE 2002

San Lamberto

Parola di Dio: At 7,51- 8,1; Sal. 30; Gv. 6,30-35

 

"QUALE SEGNO TU FAI PERCHE’ VEDIAMO E POSSIAMO CREDERTI?". (Gv. 6,30)

E’ sempre più facile vedere ciò che ci manca piuttosto di quello che abbiamo; è un luogo comune il pensare che quello che era prima era migliore, che quello che verrà dopo, forse sarà meglio mentre il presente raramente i soddisfa. E’ quello che è successo a Gesù e che viene raccontato nel brano odierno del Vangelo. I Giudei chiedono a Gesù un segno per credere. Ora, Gesù di segni ne aveva fatti tanti, ma loro non li vedevano e soprattutto non vedevano Gesù come era veramente.

Anche per noi si verifica la stessa cosa. Siamo sempre tentati di disprezzare, di non vedere le grazie che Dio ci fa, ci fissiamo solo sugli aspetti negativi del presente, che ci contrariano, ci ostacolano e non riconosciamo i doni di cui Dio adesso ci circonda. Gesù il Signore è in mezzo a noi con la sua parola, con i suoi Sacramenti, si presenta a noi in ogni momento come il pane della vita: «Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete». E noi continuiamo ad avere fame e sete, cioè ad essere insoddisfatti. Pensiamo oggi a quel dono meraviglioso che Gesù ci ha lasciato: l’Eucarestia. Dio sa la fame e la sete di verità, di bello, di giusto, di libertà che c’è nei nostri cuori. Noi siamo fatti a misura dì Dio e le cose di questa terra non possono bastarci. E allora Gesù offre se stesso. Partecipare all’Eucarestia significa entrare in Comunione con Lui, partecipare alla sua morte e risurrezione nell’attesa della sua nuova e definitiva venuta. Quel gesto che noi purtroppo molte volte facciamo per abitudine, distrattamente, è la cosa più sacra che possiamo fare, è il fine stesso della nostra vita. Ricevere Gesù significa entrare in Lui, assumerlo, diventarne parte. Quanto diventano vere le parole di Paolo: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me!".

 

 

MERCOLEDI’ 17 APRILE 2002

Sant’Aniceto; S. Stefano Harding; San Roberto

Parola di Dio: At 8,1-8; Sal. 65; Gv. 6,35-40

 

"IN QUEI GIORNI SCOPPIO’ UNA VIOLENTA PERSECUZIONE CONTRO LA CHIESA DI GERUSALEMME E FURONO DISPERSI NELLE REGIONI DELLA GIUDEA E DELLA SAMARIA". (At 8,1)

Non sempre è così facile e immediato leggere la storia con gli occhi e nella volontà di Dio.. E’ scoppiata una persecuzione nella chiesa primitiva, il diacono Stefano è stato ucciso, Saulo infuria contro i cristiani… "Dio dove sei? Perché ci hai abbandonato? Perché la sofferenza e la morte del giusto?…" Quando si è nella prova certamente è tanto il peso, la fatica, il dolore da sopportare, che è difficile vedere il perché, riconoscere la bontà di Dio che sembra latitante, se non contrario, ed è anche difficile vedere in prospettiva futura. Eppure quella prima persecuzione della Chiesa è servita prima di tutto per far emergere la fede dei primi cristiani, poi disperdendoli da Gerusalemme li ha costretti a portare la fede cristiana fuori dalle mura di quella città, verso tutti i popoli a cui Gesù li aveva mandati; la persecuzione, il sangue dei martiri ha costretto la Chiesa a ritrovare Gesù, la sua morte in croce, la sua povertà, la fiducia nella risurrezione… Nessuno augura alla Chiesa di oggi la persecuzione. Io non amo il dolore, la prova e farei volentieri a meno di ogni croce, però è vero che certi episodi successi nella nostra vita e nella vita delle comunità ci insegnano che certe prove sono state salutari. Ad esempio all’epoca della chiesa dei martiri, i cristiani sono aumentati, mentre nel benessere della pace costantiniana essi si sono seduti nella tranquillità ed hanno perso Cristo a favore di una Chiesa sempre più terrena e potente. Il benessere non è una cosa cattiva e la persecuzione non è una cosa buona, impariamo però, proprio guardando a Cristo, che la nostra fede va provata per emergere, impariamo che Dio da un male sa far sorgere un bene, impariamo in ogni momento a ritornare a Lui per metterlo, sia nel tempo favorevole che in quello della prova, al centro della nostra vita.

 

 

GIOVEDI’ 18 APRILE 2002

San Galdino

Parola di Dio: At 8,26-40; Sal. 65; Gv. 6,44-51

 

"IO SONO IL PANE VIVO. DISCESO DAL CIELO. SE UNO MANGIA DI QUESTO PANE VIVRA’ IN ETERNO E IL PANE CHE IO DARO’ E’ LA MIA CARNE PER LA VITA DEL MONDO. (Gv 6,51)

Qualche volta lasciamoci tentare da qualche riflessione un po’ più mistica: avete mai pensato a Gesù che per dirmi: "ti voglio bene" si fa mangiare da me? A Gesù non bastano le parole, e si fa Parola incarnata, a Gesù non basta dirmi la solidarietà di Dio alle mie sofferenze, soffre e muore su una croce per me, non gli basta dirmi: "Sono con te per tutti i giorni della tua vita" si fa pane perché confortato da Lui, mio viatico, io possa camminare verso la risurrezione totale: Gesù è davvero il Fratello, il Figliolo di Dio, il Redentore. Mi viene in mente un racconto di Osejeva:

Due donne attingevano acqua al pozzo; ne sopraggiunse una terza e, con lei, un vecchietto che si mise a sedere su una pietra per riposarsi.

Dice una delle donne: — Il mio figliolo è svelto e coraggioso: nessuno lo è più di lui.

— Il mio canta come un usignolo: non c’è altra voce che somiglia alla sua — dice la seconda.

La terza tace.

— Perché non racconti anche tu qualcosa del tuo figliolo — le domandarono le vicine.

— Che c’è da dire? — rispose la donna — il mio non ha niente di speciale.

Le donne riempirono le loro secchie e se ne andarono.

Il vecchietto veniva loro dietro.

Le donne camminano un poco poi si fermano; le secchie sono pesanti, la schiena duole, le mani sono intorpidite.

A un tratto corrono loro incontro tre bambini. Il primo fa le capriole. Le donne ridono contente.

Il secondo canta come un usignolo. Le donne stanno ad ascoltarlo.

Il terzo corre dalla madre, le prende le secchie e le porta via.

Allora le donne domandano al vecchietto:

— Be’, come ti sembrano i nostri figlioli?

Il vecchio risponde:

Dove sono? Io vedo un solo figliolo.

Gesù è venuto. Ha cantato, ha riso la nostra vita, ma soprattutto ci sta aiutando a portare le secchie pesanti.

 

 

VENERDI’ 19 APRILE 2002

Santa Emma di Gurk

Parola di Dio: At 9,1-20; Sal. 116; Gv. 6,52-59

 

"CHI MANGIA LA MIA CARNE E BEVE IL MIO SANGUE DIMORA IN ME E IO IN LUI". (Gv 6,56)

Che cosa vuol dire per te e per me andare a ricevere l’Eucarestia?

L’Eucarestia non è una pia devozione. Non è una preghiera come tante altre, non è un gesto solamente liturgico, una ripetizione di formule.

L’Eucarestia non è neppure il premio per i buoni.

L’Eucarestia non è solo un fatto intimistico personale.

L’Eucarestia è "mangiare il corpo di Gesù". Gesù non fa niente per attenuare questa frase che ha scandalizzato i giudei e che può anche scandalizzare noi. Anzi rincara la dose: "Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita".

Accostarsi all’Eucarestia è dunque accostarsi ad un mistero più grande di noi, un mistero di sofferenza e di morte, di sangue versato, ma anche ad un mistero di risurrezione e di vita. E’ un andare come poveri e peccatori da Colui che si fa pane per darci perdono, forza, luce, coraggio di vita ed eternità. E’ dire grazie con Gesù al Padre, è fondare la famiglia dei figli di Dio, nutriti dallo stesso pane e redenti dal Sangue di Cristo. Non ci spaventi dunque la nostra povertà e neanche la nostra peccabilità: Gesù a queste viene incontro proprio nell’Eucarestia, le vuole redimere, ma ci sia in noi un esame di coscienza approfondito prima di riceverla.

Riconosco il pane della vita che mi salva e che mi manda? Il devoto dell’Eucarestia non è tanto uno che biascica preghiere o che si coccola "il suo Gesù", è un patito di fraternità, condivisione, unità, un operatore di pace, un appassionato per la giustizia. E’ uno capace di perdono, solidarietà, rispetto, tolleranza, accettazione della diversità. E’ un geloso custode della dignità e della sacralità del fratello. Lo si riconosce non tanto dalle mani giunte ma dalle maniche rimboccate e dal cuore non rattrappito, ma dilatato, reso sensibile, vulnerabile. E’ uno che, proprio perché riconosce il valore di quel pane, da esso si lascia cambiare dentro e cerca a sua volta di diventare pane spezzato per i fratelli.

 

 

SABATO 20 APRILE 2002

Sant’Agnese di Montepulciano

Parola di Dio: At 9,31-42; Sal. 115; Gv. 6,60-69

 

"FORSE VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI? (Gv. 6,67)

Gesù è venuto per comunicare i doni e il messaggio di Dio, eppure davanti a delle persone che se ne vanno, non corre loro dietro, non rende più facile il suo linguaggio, non addolcisce la pillola.

Carità, misericordia, attenzione al prossimo non devono diventare tradimento della Verità, accondiscendenza.

Troppo spesso, motivandolo con altruismo e carità, noi scendiamo a compromessi con la fede, mascherando la durezza del Vangelo con un Dio fatto su misura delle nostre necessità che poi non ci soddisfa ma solo ci addormenta.

Gesù chiede ai discepoli e a noi una scelta decisiva. Normalmente le nostre scelte ubbidiscono a calcoli interessati. Valutiamo i vantaggi e gli svantaggi, la convenienza o meno e quando proprio non sappiamo calcolare bene preferiremmo non scegliere, bivaccare in una zona neutra, arrivare ad una serie di compromessi. Con Gesù non è possibile: "O con me o contro di me" e anche i nostri calcoli umani non vengono gratificati. Seguire Lui significa accettare un "linguaggio duro", con Lui non si ottengono privilegi e onori, non si fa carriera, bisogna essere disposti ad andare fino in fondo (e in fondo c’è una croce)... E allora perché sceglierlo? Solo ed unicamente perché è il Figlio di Dio che mi ama e si dona a me e perché, nonostante le mie debolezze, i ripensamenti, i peccati, gli voglio bene!

 

 

DOMENICA 21 APRILE 2002 - 4° DOMENICA DI PASQUA

Sant’Anselmo; S. Corrado di Parzham

Parola di Dio: Atti 2, 14.36-41; Sal. 22; 1Pt 2,20-25

 

1^ Lettura (At 2, 14. 36-41)

Dagli Atti degli Apostoli.

Nel giorno di Pentecoste, Pietro levatosi in piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta così: "Sappia con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!". All'udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". E Pietro disse: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro". Con molte altre parole li scongiurava e li esortava: "Salvatevi da questa generazione perversa". Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone. Parola di Dio

 

2^ Lettura (1 Pt 2, 20-25)

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo.

Carissimi, se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime. Parola di Dio

 

Vangelo (Gv 10, 1-10)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, Gesù disse; "In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei". Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. Parola del Signore

 

RIFLESSIONE

 

La quarta domenica di Pasqua, nell’abitudine liturgica cristiana è sempre stata considerata "la domenica del Buon Pastore" perché, pur nella diversità dei tre anni, il Vangelo fa sempre riferimento a Gesù Buon Pastore e perché partendo da questo spunto, di solito, si riflette e si prega per i pastori terreni della Chiesa e per le vocazioni sacerdotali. Accenneremo anche a questo, ma mi sembra sia importante prima di tutto comprendere ciò che vuol dirci Gesù quando usa le similitudini pastorali del gregge e del buon pastore, anche perché noi, non vivendo più in una società pastorale, rischiamo di aver perso la vivezza di questo paragone o addirittura di interpretarlo malamente. Gesù, rifacendosi a tutta l’esperienza della Bibbia, paragona il suo popolo ad un gregge: "Sento compassione di questa gente perché sono come un gregge senza pastore". La storia della salvezza è, infatti, il tentativo, spesso andato a vuoto, di Dio che cerca di radunare il suo popolo e di guidarlo, pensate anche solo alla grande esperienza dell’Esodo, dove Dio, per mezzo di Mosè "fa uscire " il suo popolo dalla prigionia per condurlo libero verso la terra promessa. A noi, oggi, il termine gregge non piace come non piace neppure il termine pecora perché li leggiamo solo in negativo. " Io non sono una pecora... sono un uomo libero io, penso con la mia testa, ho la mia autonomia, non devo rendere conto a nessuno di quello che faccio, e non c'è bisogno che qualcuno mi dica quello che devo fare, insomma io sono padrone di me stesso e non subisco imposizioni dall'esterno...Anche in fatto di religione, sono libero di scegliere o di non scegliere affatto, oppure della religione o della chiesa cui aderisco decido io ciò che prendo e ciò che lascio…"

Ebbene, nel Vangelo non vi è nulla di questo nell’uso dell’immagine del gregge e del buon Pastore. Gesù, infatti, non si impone mai, si propone, ci lascia tutta la libertà, non ci considera massa, ma persone, ci spinge in tutti i modi ad usare la nostra testa e i doni che ci sono dati per rispondere con amore ad una chiamata d’amore. Infatti, quale è la figura del buon Pastore e come Gesù l’ha realizzata? Il buon pastore dà la vita per le sue pecore, cioè il Buon Pastore ama talmente il suo gregge da diventare una cosa sola con lui. Gesù non è venuto per sfruttare il gregge, non ha di per sé bisogno di noi, Egli è venuto per servirci, per donarci se stesso e per liberarci è disposto a farsi Lui peccato per noi e ad inchiodare il male con se stesso su una croce dolorosa.

Il Buon Pastore conosce le sue pecore ad una ad una. Oggi tutti puntano alle masse. Le masse servono per ottenere consensi, le masse sono quelle che comprano o meno un determinato prodotto e ne determinano o meno il successo, le masse guidate in un modo o in un altro sono quelle che danno il potere. Gesù, invece conosce ognuno di noi, di persona, a Lui nulla è nascosto, per Lui ciascuno di noi è importante, unico ed irripetibile. Pensate com’è bello sapere che nel cuore del mio Dio io non sono un numero, un volto tra i tanti, ma una persona con un nome ben specifico, amato non genericamente da Lui, ma personalmente in ogni momento della mia vita. Il Buon Pastore è colui che ci fa uscire dal recinto. Non è colui che ci costringe in schiavitù, che approfitta delle masse, ma colui che è venuto a liberarci dalle schiavitù, del potere, del peccato dell’egoismo, è Colui che ci conduce verso pascoli verdeggianti e verso sorgenti d’acqua pura. Gesù non si serve di noi di noi ma ci serve. Gesù ci vuole liberi. Gesù ci offre di vivere bene e pienamente questa vita e ci indica con la sua vita la possibilità di vivere ancora più pienamente l’eternità. Allora io riconosco di essere una pecora? Non la pecora che si intruppa dietro le altre, non quella che cammina a muso basso, non quella che corre dietro ad ogni fischio, non quella che ha la presunzione di difendersi da sola dalle insidie del lupo, ma una pecora perché mi riconosco piccolo, solo, incapace di darmi salvezza, di comprendere da solo il senso del mio vivere, ma anche amato, guidato da un Dio che non ha creato il mondo per lavarsene le mani, o che non si dimentica delle persone, tutto dedito alla propria grandezza. Se mi riconosco bisognoso di guida, conosco la voce del buon Pastore? So distinguerla dalla voce di altri che mi chiamano per interessi ben diversi da Gesù?

Per capire meglio l’esempio di Gesù che dice che sia il Pastore che le pecore si conoscono vicendevolmente, bisogna rifarsi proprio alla esperienza dei pastori del suo tempo. Ogni pastore aveva il suo gregge, ma la sera, sia per comodità, per organizzare turni di veglia, che per difenderle meglio, le pecore dei vari pastori erano radunate insieme in un unico ovile che poteva essere sia al chiuso che in un recinto all’aperto. Lì le pecore si mischiavano. Al mattino ogni pastore entrava e attraverso la sua voce si faceva riconoscere dalle sue pecore che si univano a lui per la nuova giornata di pascolo.

Sono tante le voci, sia in campo umano, sociale o religioso che cercano di chiamarci; io in mezzo a queste voci, conosco quella di Gesù? Quella che mi dà la vera libertà e non uno dei tanti surrogati di essa, quella che mi dà il senso totale della vita e non promette solo le gioie di un momento, quella che mi dice concretamente: "Ti voglio bene" e non quella che vuole solo attirarmi per depredarmi della lana. Della carne e della vita?

E mi lascio guidare dal buon pastore? Lui non toglie nulla alla mia libertà, ma la indirizza. "Il suo bastone, il suo vincastro", come dice il salmo 22, non gli servono per spezzarmi la schiena o per legarmi, ma per difendermi e indirizzarmi. Certo che se io voglio continuamente fare la pecora indipendente, se io metto in discussione continuamente il suo volermi bene, se io voglio fare a meno di Lui o scegliere solo ciò che mi aggrada, prima o poi mi perderò. Anche in quel caso, però Gesù Buon pastore verrà a cercarmi e farà di tutto, per ricondurmi al suo gregge. Ma, diciamo ancor una breve parola a proposito dei pastori che Gesù usa concretamente per guidarci. I pastori terreni di Gesù prima di tutto devono ricordarsi in ogni momento di essere a loro volta pecore guidate da Gesù. Se si dimenticano di questo c’è il rischio molto reale che si mettano al posto di Gesù e che l’interesse per il gregge non sia quello di amarlo e di dare la vita, ma di spellarlo e farsi gli affari propri. Tutte le volte che la chiesa si conforma al Buon Pastore cresce nell’amore, nella testimonianza e il gregge aumenta e Gesù può arrivare, anche attraverso il cuore dei suoi pastori, a tantissime persone. Tutte le volte che la Chiesa si dimentica del Buon Pastore e preferisce rifugiarsi nei suoi codici umani, nello scimmiottare le forme del potere terreno, nell’usare dei mezzi della salvezza per i propri interessi umani, il gregge viene disperso, falcidiato, abbandonato. Ricordiamocelo: la colpa di essere divorati dai lupi non è delle pecore, ma dei cattivi pastori. Per noi gregge, quale il criterio per riconoscere i veri pastori di Gesù dai ladri, dai mercenari? Gesù stesso ci suggerisce la strada nel Vangelo di oggi. Il buon Pastore entra dalla porta, il ladro da altre parti. E Gesù dice di essere la porta del gregge attraverso la quale si entra o si esce. Riconoscerò il buon pastore se passa attraverso Gesù, se vive come Gesù, se si comporta come Gesù. Gesù non ha venduto fumo, non ha imbonito la gente con le parole, non ha portato solo piccole salvezze umane particolari, Gesù non ha mai sfruttato amicizie o persone, Gesù non si è mai imposto, Gesù è attento ad ogni bisogno di ogni singolo uomo, Gesù non si è mai arroccato nei suoi privilegi, Gesù è esigente, ma misericordioso, Gesù non allontana nessuno ma va a cercare le pecore perdute, se ha delle preferenze le ha per le pecore più deboli, non abbandona il gregge nel momento della prova, dà la vita per le proprie pecore. Se i nostri pastori terreni sono così o cercano di essere così, sono Buoni pastori che vengono a nome di Gesù; se non sono così, sono solo lupi travestiti da pastori che cercano unicamente il proprio interesse e allora non solo è bene, ma è dovere delle pecore fuggire da essi.

 

 

LUNEDI’ 22 APRILE 2002

San Leonida; Santi Apelle e Lucio

Parola di Dio: At 11,1-18; Sal. 41e42; Gv. 10, 1-10 oppure Gv. 10,11-18

 

"SONO VENUTO PERCHE’ ABBIANO LA VITA E L’ABBIANO IN ABBONDANZA". (Gv. 10,10)

Una certa qual visione religiosa e tutta una serie di insegnamenti ci portano spesso a considerare la fede come un gravame che ci è messo sulle spalle: tutto il mistero, tutte le norme religiose ci portano quasi a vedere Dio come un esattore delle tasse che esige da noi un certo comportamento, che si offende se non lo mettiamo in pratica, che è sempre pronto a toglierci le cose belle della vita, che sembra gradire solo sofferenze e mortificazioni che minaccia inferni e fiamme eterne. Ma oggi il Signore ci dice perché è venuto: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza». Un'altra prospettiva è dunque soltanto illusione nostra. Il Signore vuole non mutilare la nostra vita ma farla giungere al suo pieno sviluppo; se ci chiede qualche sacrificio, se ci invita a prendere la nostra croce quotidiana, è sempre per uno scopo positivo. Tutte le guarigioni che gli evangelisti ci raccontano sono la prova dell'interesse del Signore anche per la nostra vita fisica: vuole che sia integra, bella, pienamente sviluppata. E tutte le iniziative che nel corso dei secoli egli ha ispirato alla Chiesa per favorire l'assistenza e la cura degli ammalati, l'educazione dei bambini e così via, dimostrano che egli davvero è venuto perché abbiamo la vita, e l'abbiamo in abbondanza. Non solo Gesù non ci toglie niente, ma è colui che per donarci la vita in abbondanza non ci pensa due volte, come buon pastore, a offrire la sua vita passando per primo attraverso il dolore.

Si racconta che al re Giovanni Il° del Portogallo annunciarono che un suo fedele servitore era gravemente infermo, e non si riusciva a fargli prendere le medicine. Il sovrano andò a visitarlo, confortò l’ammalato, poi prese lui stesso la medicina amara che l’altro aveva sempre respinta, e ne bevve alcuni sorsi. Quindi gli disse: "Io, il re, sano nel corpo e nella mente, per amore tuo ho preso questa amara bevanda: e tu, servo ammalato, non prenderai questo poco che resta per amor mio e per la tua salvezza?". Quel servo tese la mano: "Datemi la medicina — esclamò. — ora la berrei anche se fosse veleno". Gesù con noi ha fatto così: noi siamo le pecorelle ammalate nel gregge del Signore, con tanti pregiudizi, superbie, collere ed egoismi. Ecco allora che Gesù risorto viene a dirci d’aver bevuto già lui il calice amaro della sofferenza riparatrice sino alla feccia per salvarci. Guardando a Lui e seguendo Lui anche le prove della nostra vita ci aprono a prospettive di dono e di amore.

 

 

MARTEDI’ 23 APRILE 2002

San Giorgio; S. Adalberto

Parola di Dio: At 11,19-26; Sal. 86; Gv. 10,22-30

 

"LE MIE PECORE ASCOLTANO LA MIA VOCE E IO LE CONOSCO ED ESSE MI SEGUONO". (Gv. 10,27)

Gesù, facendo questa affermazione non era un po’ troppo ottimista?

Noi che ci diciamo sue pecore siamo sempre in grado di riconoscere la sua voce, di distinguerla dalle tante altre voci che ci blandiscono e che tendono ad impossessarsi di noi? Riusciamo, anche proprio grazie alla sua voce, a riconoscere chi siano i buoni pastori che parlano in nome suo dai mercenari che vogliono soltanto prenderci la pelle? Un esempio per tutti: come mai oggi fioriscono le sette e molti cristiani preferiscono lasciare la chiesa per aderire a qualcuna di queste? Sarà solo colpa loro o anche delle comunità cristiane che non sanno più indicare con chiarezza la voce di Cristo?

Credo che il guaio più grosso, per noi cristiani, sia quello di crederci già abbastanza cristiani, di supporre di conoscere la voce di Cristo perché qualche volta abbiamo letto o sentito leggere qualche pagina di Vangelo, perché siamo stati partecipi di alcuni gesti religiosi. Ci crediamo cristiani e conosciamo poco la parola di Dio, confondiamo fede e religione, andiamo avanti con degli stereotipi di Dio e, quando qualcosa non coincide più con ciò che avevamo immaginato, ecco che la prima voce che sembra rispondere alle nostre esigenze immediate, fa da sirena e ci accalappia. Conoscere la voce di Cristo non è solo rivestire di un liso abito di 2000 anni di tradizioni e di abitudini, non è neanche fare il pieno di chiacchiere religiose in qualche salotto per bene, è parlare insieme a Gesù, sentirne davvero la voce, riconoscerlo in mezzo agli altri, mettere i nostri piedi nelle sue orme e, come Gesù è una cosa sola con il Padre, è cercare di diventare anche noi una cosa sola con Lui.

 

 

MERCOLEDI’ 24 APRILE 2002

San Fedele da Sigmaringen; Sant’Erminio

Parola di Dio: At 12,24 – 13,5; Sal. 66; Gv. 12,44-50

 

"CHI VEDE ME, VEDE COLUI CHE MI HA MANDATO". (Gv. 12,45)

In una recente inchiesta svolta in Italia tenendo conto delle varie categorie di persone a seconda del luogo, della cultura, del tipo di lavoro, è risultato che gli atei che si dichiarano tali sono pochi. Quasi tutti credono più o meno ad un Dio, a un creatore, ad un inizio, ad un "supremo". Sono poi ancora la stragrande maggioranza coloro che si definiscono: "cristiani", anche se da domande successive risulta che la fede è per lo più manifestata solo in certe occasioni (Battesimi, Prime Comunioni, Matrimoni); molti poi pensano di definirsi cristiani perché partecipano a qualche forma di volontariato o perché ritengono di essere "abbastanza buoni". E’ vero, a Dio si può giungere per strade molto diverse. E’ ancor più vero che nessuno può giudicare la fede di un altro, ma possiamo definirci credenti o cristiani se non siamo giunti al cuore di Dio? Dio è più grande di noi e noi da soli non possiamo aver la presunzione di conoscerlo, però qualcuno è venuto a farcelo vedere. Gesù è la trasparenza del Padre. Le parole che ci ha detto, sono quelle del Padre. Noi possiamo arrivare al cuore del Padre tramite il suo "Figlio prediletto". La Chiesa, nella celebrazione della Messa ci ricorda questo quando, dopo aver messo tutte le nostre intenzioni e preghiere, dopo aver fatto memoria della cena di Gesù, alziamo il corpo e sangue di Cristo e diciamo che la nostra lode, la preghiera, la vita avviene solo e unicamente "Per Cristo, con Cristo e in Cristo".

Se vogliamo conoscere Dio, se vogliamo entrare nell’intimità della sua vita, se vogliamo conoscere quale sia la sua volontà su di noi, l’unica vera strada è Cristo.

 

 

GIOVEDI’ 25 APRILE 2002

San Marco; Santa Franca; Sant’Evodio

Parola di Dio: 1Pt. 5, 5-14; Sal. 88; Mc. 16,15-20

 

"GESU’, DOPO CHE EBBE LAVATO I PIEDI AI DISCEPOLI, DISSE LORO…". (Gv. 13,16)

Mi piace oggi fermare la mia e la vostra attenzione su un particolare a prima vista minimo di questo Vangelo così ricco di tanta teologia trinitaria. Gesù, prima di parlare ha fatto un gesto, anzi due. Prima ha lavato i piedi ai suoi discepoli, anche quelli del traditore o del recalcitrante Pietro, poi ha anticipato la sua morte e risurrezione nel dono dell’Eucarestia; solo dopo questi gesti può ricordare agli apostoli che se vogliono essere grandi devono servire e accogliere Dio e il fratello.

A noi cristiani, specialmente a noi preti, capita spesso il contrario. Prima con apparente cultura diciamo tutto ciò che sappiamo su Dio, poi indichiamo (agli altri) ciò che è giusto fare per essere buoni cristiani e poi, qualche volta, ci ricordiamo che anche noi siamo chiamati a dimostrare con le opere che le nostre non sono solo chiacchiere.

Devo imparare che prima di parlare di povertà, devo far l’esperimento di dar via qualcosa di mio, proprio perché mi costa; prima di dire a qualcuno che la sofferenza può essere un bene devo vedere se essa, quella reale, è da me accolta con amore, o se davanti ad essa non mi trovo a bestemmiare; devo chiedermi se il mio ruolo di prete, o di cristiano, è quello di chi dall’alto comanda o quello di chi concretamente serve e con questo esprime la verità del messaggio che è chiamato a portare: un testimone non è uno che parla, ma uno che fa vedere!

 

 

VENERDI’ 26 APRILE 2002

San Marcellino; San Pellegrino Laziosi; B. Alda di Siena

Parola di Dio: At 13,26-33; Sal. 2; Gv. 14,1-6

 

"GESU’ DISSE: IO SONO LA VIA, LA VERITA’ E LA VITA". (Gv. 14, 6)

L’uomo è la creatura più grande perché ha la vita e ne è consapevole, ma anche la creatura più debole perché con le sue povere forze continua a chiedersi il perché del vivere, del gioire, del soffrire, del generare, del morire, e può balbettare solo delle risposte insufficienti e parziali. La sua scienza, la sua esperienza, la sua intelligenza sono piccola cosa davanti al mistero della vita. Chi è la vita, il principio di ogni vita? Solo un essere vivente, eterno, può essere la vita, solo Dio è la vita. E la Verità dove la troviamo? Le nostre verità terrene sono parziali, mutevoli, limitate: solo la pienezza della vita è anche la sede della Verità. E noi poveri uomini possiamo pensare di comprendere la Verità per avere e gustare pienamente la Vita? Solo se la stessa Vita e Verità si fanno per noi Via, onde possiamo raggiungerle.

Gesù, è il Figlio di Dio incarnato. E’ dunque la pienezza della vita che si è fatta carne, è la Verità di Dio che ci ha parlato con un linguaggio accessibile manifestato in fatti e parole, ed è anche la Via, Colui che ci prende per mano per condurci al Dio della Vita, nella Verità piena. E’ vero che la Verità è seminata ovunque, è vero che la vita la vediamo fiorire in mille modi, ma quanto siamo stupidi noi cristiani, che portiamo il nome di Cristo Via, Verità e Vita, quando lasciamo la sua mano per andare a cercare risposte e sensi in piccole verità parziali e in forme di vita che non hanno lo spazio dell’eternità.. Gesù è davvero l’unico vero mezzo, l’unico vero ponte che ci congiunge alla Vita perché, mentre pazientemente ci accompagna già ci dona tutta la pienezza di Dio.

 

 

SABATO 27 APRILE 2002

Santa Zita; San Liberale; B. Elisabetta Vendramini

Parola di Dio: At 13,44-52; Sal. 97; Gv. 14,7-14

 

"ANCHE CHI CREDE IN ME COMPIRA’ LE OPERE CHE IO COMPIO E NE FARA’ DI PIU’ GRANDI". (Gv. 14,12)

È questa una di quelle affermazioni di Gesù che appaiono più sbalorditive: come mai i suoi discepoli potranno fare opere come le sue o addirittura superiori alle sue? E qui Gesù si riferisce «a chi crede»: non soltanto dunque ai discepoli presenti o ad alcuni privilegiati, ma ad ogni cristiano. Chi crede in Cristo, chi è unito a Lui e vive della sua vita, è in grado di compiere le opere che Egli compie, anzi ne farà di più grandi. E lungo la storia della Chiesa ne abbiamo molte controprove, specialmente nella vita dei santi, sia quelli assurti all’onore degli altari che quelli, rimasti nell’ombra da parte dell’ufficialità ma che hanno dato e danno una testimonianza viva del Vangelo, di Gesù e dei suoi doni.

Come vivere questa Parola?

Dipende da noi che Gesù ripassi oggi sulla terra a compiere l'opera sua: Egli agisce mediante noi, se lo lasciamo fare.

Anche per la sua prima venuta sulla terra Dio ha chiesto il consenso di Maria, una di noi. Maria ha creduto: ha aderito totalmente ai piani del Padre. E quale «opera» ha fruttato la sua fede? Per il suo «sì», «il Verbo si è fatto carne» in lei ed è stata resa possibile la salvezza dell'umanità.

Abbiamo anche noi una grande responsabilità: dobbiamo credere in Gesù perché Egli possa vivere in noi e operare tramite noi. Dobbiamo accogliere e mettere in pratica le sue Parole, che si sintetizzano nel comandamento dell'amore. Dimentichiamo noi stessi e mettiamoci ad amare come ha amato Lui, con un amore che non misura. E, sulla tomba del nostro io, vivrà ogni giorno di più il Risorto, con la sua potenza, la sua luce, la sua gioia, in ciascuno di noi e in mezzo a noi.

Il mondo ha estremo bisogno di questa sua presenza. Sia questa l'«opera» nostra, l'«opera più grande»: vivere in modo da offrire, a quanti incontriamo, il Risorto vivo in noi e in mezzo a noi. In Lui tanta parte di umanità troverà ciò che fuori di Lui è vano cercare: la speranza, il bene, la verità, l'unità, la pace. E con Lui lavoreremo alla trasformazione vera del mondo.

 

 

DOMENICA 28 APRILE 2002 - 5° DOMENICA DI PASQUA

San Pietro Chanel; S. Luigi G. de Montfort.; B. Gianna Beretta M.

Parola di Dio: At 6,1-7; Sal. 32; 1Pt. 2,4-9; Gv. 14,1-12

 

1^ Lettura (At 6, 1-7)

In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: "Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest'incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola". Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia. Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani. Intanto la parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme; anche un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede. Parola di Dio

 

2^ Lettura (1 Pt 2, 4-9)

Carissimi, stringetevi a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura: Ecco io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chi crede in essa non resterà confuso. Onore dunque a voi che credete; ma per gli increduli la pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta la pietra angolare, sasso d'inciampo e pietra di scandalo. Loro v'inciampano perché non credono alla parola; a questo sono stati destinati. Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce. Parola di Dio

 

Vangelo (Gv 14, 1-12)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via". Gli disse Tommaso: "Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?". Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto". Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gli rispose Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Parola del Signore

 

RIFLESSIONE

 

Anche il Vangelo di questa domenica è ricchissimo di sottolineature, di riflessioni, di possibilità che Gesù ci offre per conoscere meglio il suo messaggio, per entrare in comunione con Lui e con il Padre, per essere una sola cosa con Lui e vivere in pienezza il dono della vita. Vi offro solo alcune sottolineature per comprendere meglio la parola di Gesù e il suo dono.Intanto il brano del Vangelo è preso da Giovanni, nel contesto dei discorsi che Gesù pronuncia nell’ultima cena. Gesù, che per tre anni è stato la "Via" per i suoi discepoli che cioè li accompagnati nel fare esperienza del Regno con Lui, sa che ora essi subiranno lo scandalo della croce: la loro fede sarà messa alla prova, vedranno crollare le loro speranze, si scopriranno deboli e traditori e forse anche la fede in Gesù vacillerà davanti alla sua morte croce. Gesù li aiuta dunque a rafforzare questa fede in Lui. Se davvero credono che Lui è il Figlio di Dio, che Lui e il Padre sono una cosa sola, che essi nonostante la propria debolezza sono chiamati a "compiere le grandi opere di Dio", forse ce la faranno a superare lo scacco della croce, forse avranno la fiducia di continuare a sperare nella risurrezione, ma devono puntare tutto su di Lui. Chiaramente questo discorso non è soltanto per i discepoli, ma è rivolto a ciascuno di noi. Anche noi siamo alla ricerca del senso della nostra vita, ci chiediamo il perché di questo dono meraviglioso e fragile, siamo portati ad una gioia e ad una felicità più grande delle piccole soddisfazioni terrestri, gridiamo davanti al dolore e all’ingiustizia e, se anche siamo credenti, spesso ci pare di soffrire della lontananza o assenza di Dio davanti a certe circostanze dolorose e apparentemente ingiuste del nostro cammino. Siamo a rischio di scandalo anche noi, davanti alla croce di Gesù e alle nostre croci perché non ci è facile vedere in esse le possibilità d’amore che comportano. Per comprendere meglio questa ricerca e le sue difficoltà facciamoci aiutare da Teilhard de Chardin che ha descritto con un racconto gli atteggiamenti verso la vita, che gli uomini possono assumere. È la storia di un gruppo di villeggianti, in un albergo di montagna, che decidono di fare tutti insieme un'escursione in cima ad una vetta. L'indomani di buon mattino sono tutti in piazza e stanno per partire. Ma… alcuni guardando la vetta osservano che è tanto alta e lontana, pensano che c'è troppo da faticare, e cominciano a dirsi: "Ma a che cosa serve andare fin lassù, soffrire, rischiare… per che cosa?" e concludono: «Noi non ci andiamo». Tornano in albergo, si rinchiudono in camera, si barricano dentro se stessi. Un altro gruppo parte con slancio, e affronta la salita. La strada presto si fa ripida, la meta si rivela davvero tanto lontana, essi del resto osservano che dove sono giunti il paesaggio è stupendo, ci sono i prati, i ruscelli, le farfalle che svolazzano. Hanno con sé l'occorrente per fare il picnic, e passare una splendida giornata sfruttando al massimo tutte le cose buone che la natura mette a portata di mano. Tanti si dicono: "Perché non profittare di questo incanto? Noi ci fermiamo qui a metà strada, e fin che il tempo è bello ci godiamo la natura e il suo splendore".

I pochi rimasti in marcia, invece, sono decisi a procedere oltre, non si accontentano delle cose terra terra che finora hanno incontrato, vogliono giungere alla vetta, sicuri che lassù li attende un panorama meraviglioso, una visione allargata del mondo, che li ripagherà in pieno.

Secondo Teilhard, ogni uomo appartiene ad una delle tre categorie di persone.

Ci sono i timidi, senza coraggio, senza ideali, uomini del minimo sforzo, che non intendono impegnarsi, che i problemi e i perché li evitano, che preferiscono il paraocchi, che si fermano al minimo della vita, che non hanno intenzione di realizzare qualcosa d’importante, prendono dalla vita il minimo senza una prospettiva di grandezza o di futuro e chiudono quindi la porta sul senso stesso della vita. Ci sono altri invece capaci di ammirare il bello e il buono, capaci di scorgere gli ideali, i traguardi da raggiungere, e magari ci fanno anche un pensierino. Perché no? Ci provano. Ma poi si imbattono nelle difficoltà, credono che è più comodo accontentarsi, credono che le cose a loro portata di mano sono già belle e buone, e bastano a riempire una vita. Si fermano alle prime risposte immediate, non hanno voglia d’approfondire… e smobilitano. Hanno intravisto i grandi ideali, ma poi si adattano ai piccoli traguardi.

Infine ci sono quelli che non si accontentano, che vogliono vedere e capire, puntano in alto, cercano un senso per l'esistenza, e provano a realizzarsi con coerenza.

Non so in quale categoria possiamo collocarci noi, ma gli apostoli di Gesù di sicuro erano in questa terza categoria. Non si accontentavano, volevano incontrare Dio, dicono a Gesù: "Mostraci il Padre, e ci basta". Puntavano proprio alla vetta. Per questo Gesù li stimava e li amava nonostante i loro limiti.

E Gesù a questi discepoli e a tutte le persone come loro offre se stesso come unica vera guida. E’ come se Gesù dicesse a loro e a noi: "Se tu credi davvero che io sia Dio, puoi fidarti di me. Io non ti prometto un cammino facile, io non ti offro automaticamente tutte le soluzioni a tutti i tuoi problemi umani, ma ti apro alle prospettive, ti apro alla meta, sono con te oggi e nello stesso tempo ti sto preparando un posto nell’eternità". Sentirai la fatica del viaggio nelle gambe, nel fiato, proverai anche certi momenti di scoraggiamento, ci saranno magari anche dei momenti in cui il sentiero non ti permetterà di vedere la cima, forse anche tu sedendoti a prender fiato dirai: "Ma ne vale proprio la pena?"

"Eppure io ti dico che se ti fiderai di me che sono la Via, se non ti accontenterai dei piccoli barlumi di verità che qualcuno ti offre, ma capirai che io, Dio, sono l’unica Verità, allora arriverai alla Vita, a quella vita piena che da senso al tuo agire, alle tue fatiche, al vivere con gioia ogni momento che ti è dato perché già pieno di vita eterna. E se tu e tuoi compagni farete così, allora ecco io vi prometto che farete opere maggiori di quelle che ho fatto io, non tanto perché sarete capaci di miracoli prodigiosi ed eclatanti, ma perché come Io sono nel Padre, voi sarete in me e continuerete a portare sulla terra, attraverso i doni dello Spirito Santo, la mia vita donata per gli uomini"

Per tornare dunque all’esempio di Teillard, noi siamo i villeggianti nell'albergo di montagna. Possiamo: o restarcene pigramente all'albergo, o fermarci a metà strada ma non capiremo il senso della vita e non la vivremo pienamente, o sentirci chiamati a cose grandi e diventare pellegrini, viandanti, dietro Gesù, incamminati verso il Padre.

Gesù ci propone uno stile di vita che non è il rinunciare a mettersi in marcia per restarsene seduti e comodi, e non è neppure un fermarsi a metà strada per rincorrere le farfalle e la felicità nelle cose a portata di mano, e ma è un puntare in alto, a Dio. Diceva il santo Curato d'Ars ai suoi buoni parrocchiani: "A Dio bisogna andare dritti come una schioppettata".

 

 

LUNEDI’ 29 APRILE 2002

Santa Caterina da Siena

Parola di Dio: 1Gv. 1,5-2,2; Sal. 44; Mt. 25,1-13

 

"SE UNO MI AMA, OSSERVERA’ LA MIA PAROLA E IL PADRE MIO LO AMERA’ E NOI VERREMO A LUI E PRENDEREMO DIMORA PRESSO DI LUI". (Gv. 14,23)

Nei rapporti fra uomo e uomo, anche quando ci sia una intimità profonda, l'altro rimane sempre a distanza, inevitabilmente. Gesù invece promette un rapporto profondo e di amore che ci rivela l'inaudita intimità che Dio desidera avere con gli uomini, e nella quale Gesù si manifesta a noi, ci rivela i suoi segreti per mezzo dello Spirito Santo, il Maestro della vita spirituale.

Nello stesso tempo troviamo un senso di realismo. Il Signore per realizzare questo non parla di un amore situato nelle nuvole, ma di un amore molto concreto: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama». Gesù non ci permette mai di dimenticare che l'amore non consiste in parole e neppure in sentimenti superficiali, ma vuole l'unione delle volontà, che fa amare la volontà dell'altro. Quando non c'è unione delle volontà non c'è amore vero, c'è soltanto l'illusione di amare: Non si tratta solo di credere in Lui, non si tratta di osservare le sue indicazioni morali per obbedire a Dio, per "andare in paradiso". Si tratta di lasciarci prendere dall’amore di Gesù, di incontrare Colui che ci ama, di volergli bene. Allora si osserverà la sua parola non tanto come parola di uno che comanda, non come obbligo, ma come parola di un amico che ci indica la strada della nostra felicità. Ed ecco allora la vera comunione con Gesù, con il Padre, nello Spirito. La stessa strada è quella della preghiera: essa non può che nascere dalla fiducia e dall’amore accolto e dato, non può che essere comunione con la Parola di Gesù che salva e non può quindi che portare ad accogliere Dio in noi.

 

 

MARTEDI’ 30 APRILE 2002

S. Pio V°; S. Giuseppe B. Cottolengo; S. Sofia di F.

Parola di Dio: At 14,19-28; Sal. 144; Gv. 14,27-31

 

"VI LASCIO LA PACE, VI DO LA MIA PACE. NON COME LA DA’ IL MONDO, IO LA DO A VOI". (Gv. 14,27)

Quanti significati diversi si attribuiscono alla parola: "pace"! Si fanno addirittura delle guerre nell’intento di ottenere la pace anche perché la pace è inseparabile dalla tranquillità e dalla prosperità. Nella Bibbia il giusto si gusta la pace nella sua vigna, sotto il suo fico. L'uomo non è in pace se non ha la sua piccola felicità. Ma allora, come può Gesù, proprio nella sera dello scacco sanguinoso che sta per subire, lasciare in eredità la sua pace a coloro che hanno creduto in lui? Perché per Gesù pace è l’augurio di pienezza di vita, di salute ma è soprattutto mettere Dio al suo posto, al primo posto. Quando l’uomo avrà veramente pace? Quando si costruirà nel modo giusto: quando cioè fonderà i suoi valori non sull’effimero, sul passeggero, ma su chi lo ha pensato, creato, amato. Allora il cuore dell’uomo, le sue attese non diventeranno più orgoglio che divide, si appropria, uccide, ma gioia, perdono, riconciliazione profonda con il fratello non più visto come un rivale da superare ma come un amico con cui camminare e costruire il Regno che il Signore stesso ha chiamato a realizzare.

     
     
 

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