Archivio

 
     
     

SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

FEBBRAIO 2002

 

 

Venerdì 1

Santa Verdiana; Sant’Orso; San Severo di Ravenna

Parola di Dio: 2Sam. 11,1-10.13-17; Sal. 50; Mc. 4,26-34

 

"IL REGNO DI DIO E’ COME UN UOMO CHE GETTA IL SEME NELLA TERRA…". (Mc. 4,26)

La Buona Notizia di Gesù è che Dio è nostro Padre e che non solo è disposto a perdonarci, ma desidera fare famiglia con noi, desidera che il suo Regno, ben diverso da quelli di questo mondo, si instauri nel profondo dei nostri cuori, ricostruisca la vera identità dell’uomo disgregata dal peccato, ci ridoni la dignità di figli, dia a Lui la possibilità di riversare su di noi tutti i suoi doni, ci permetta quindi la sua pace, ci faccia camminare nella verità e nella giustizia, apra i nostri occhi a mete che superano la semplice materialità. Per instaurare un Regno del genere, risposta vitale a tutti gli interrogativi dell’uomo, noi ci immagineremmo Dio che con un colpo della sua potenza rifà da capo il nostro mondo, oppure un Dio che pur accettando i nostri limiti, con potenza, distruggendo i malvagi, esaltando i giusti, instauri un regno terreno annientando gli imperi del potere, della ricchezza, degli egoismi e dei soprusi. E invece non succede così. Gli Ebrei si aspettavano un Messia potente, un liberatore terreno? Dio invece si fa Bambino. Si aspettavano un Dio che facesse piazza pulita dei peccatori e dei pagani? Gesù dice di essere venuto per i peccatori e li cerca; non solo non condanna i pagani, ma qualche volta li indica come persone che hanno più fede dei credenti. Pensavano ad un regno di potere e Lui dice che il vero potere è servire. Pensavano ad una solenne incoronazione del Messia nello splendore del Tempio e Lui è incoronato come re, con una corona di spine, appeso ad una croce, fuori delle mura della città, per non contaminarla. Eppure quella croce, quella piccolezza, quella povertà di mezzi, quel servizio e quella umiltà sono stati il seme che ha cambiato e, se davvero lo vogliamo, cambia il corso dell’umanità ancora oggi. Gesù è il seme piccolo che Dio ha gettato sulla terra. Un seme all’apparenza insignificante davanti ai Regni potenti e prepotenti di allora e di oggi, ma se questo seme trova terreno buono nel cuore dell’uomo, allora nascono i martiri che propugnano la non violenza, nascono i veri contestatori che combattono con la forza del servizio, nascono gli amanti della giustizia e della verità che sono disposti non a fare proclami ma a pagare sulla propria pelle; allora il Regno di Dio non solo non si arrocca su piccoli poteri religiosi, ma sui apre, si allarga, va alla ricerca del povero e del peccatore, non ha paura di sporcarsi le mani, non intristisce sul pensiero di un Dio che vuole castigare , ma gioisce davanti alla sua misericordia che "si stende di generazione in generazione". E Dio è talmente umile, fiducioso che ha scelto il mio cuore e il tuo cuore per seminare Gesù: vogliamo cercare oggi di farlo crescere un po’ in noi e attorno a noi, perché il suo regno possa ancora essere casa accogliente per tanti uomini?

 

 

Sabato 2

Festa della Presentazione del Signore Santa Caterina de’ Ricci

Parola di Dio: Ml. 3,1-4; Sal. 23; Eb. 2,14-18; Lc. 2,22-40

 

"(SIMEONE) LO PRESE TRA LE BRACCIA E BENEDISSE DIO". (Lc. 2,28)

C’è una preghiera che, durante la Messa, il sacerdote recita privatamente.. Dopo aver fatto la Comunione con il Pane Eucaristico e dopo aver detto grazie per conto suo, prima di bere il Sangue di Cristo dice: "Che cosa renderò al Signore per ciò che mi ha dato? Prenderò il Calice della salvezza e invocherò il suo Nome".

La festa della presentazione di Gesù al Tempio mi ha fatto venire in mente questa preghiera (che poi è un Salmo) perché probabilmente la Madonna e Giuseppe avranno avuto nel loro cuore questi sentimenti. Essi erano portatori di un dono meraviglioso. Dio li aveva scelti per essere la famiglia terrena di Gesù. Ma erano ben consapevoli che questo dono non era solo per loro. Gesù era Dio ed era la lode di Dio. Dio lo aveva donato, ma era di Dio e a Lui doveva tornare portandogli tutta la nostra umanità.

Che cosa fare con Dio? A Dio non può che bastare Dio e allora "prenderò questo bambino e lo offrirò a lode del suo nome."

La Salvezza, prima che essere un ‘affare nostro’ è un ‘affare di Dio’. L’Eucarestia prima che essere dono per noi è ringraziamento e lode al Padre. Gesù è la lode del Padre. Gesù è l’Amore dello Spirito che si è fatto carne. Gesù fatto uomo è il primo uomo che può lodare totalmente Dio per tutta l’umanità. E allora è estremamente bella la scena del Vangelo di oggi: un bambino tra le mani di un vecchio (Simeone). La nostra umanità è vecchia, è rinsecchita a causa dei suoi egoismi, da sola non riesce più a generare freschezza, gioia, speranza. Ma questo vecchio ha ancora due mani per accogliere un dono desiderato, ma inaspettato. Dio che si è fatto piccolo perché lui, vecchio, possa ancora gioire e innalzarlo come offerta preziosa e gradita al Padre.

Se mi guardo, nel trascorre degli anni, spesso mi ritrovo rinsecchito, incapace di generare speranza, gioia, come dice il Salmo: "I miei giorni trascorrono nell’oblio". Da solo scopro di non essere capace di nulla, ma improvvisamente mi ritrovo tra le mani Gesù, il Figlio di Dio.

La nostra umanità è cresciuta nella scienza, nella tecnica, ma spesso il cuore si è indurito, non è più "un cuore di carne, ma un cuore di pietra". Se guardo alle guerre, al terrorismo, ai soprusi alle paure in mezzo a cui viviamo, che speranza posso avere per l’uomo? Ma Dio è ancora bambino nelle mani di questa vecchia umanità e se vogliamo possiamo ancora offrirlo per noi a Dio e allora, sia io che questa vecchia umanità, possiamo pensare ancora ad una rinnovata giovinezza.

 

 

Domenica 3

4^ Domenica del tempo ordinario - San Biagio; Sant’Ansgario (Oscar); B. Ruggero da T.

Parola di Dio: Sof. 2,3; 3,12-13; Sal. 145; 1Cor. 1,26-31; Mt. 5,1-12

 

1^ Lettura (Sof. 2,3; 3, 12-13)

Dal libro del profeta Sofonia.

Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini; cercate la giustizia, cercate l'umiltà, per trovarvi al riparo nel giorno dell'ira del Signore. Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero; confiderà nel nome del Signore il resto d'Israele. Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta. Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti.

 

2^ Lettura (1 Cor. 1, 26-31)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio. Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto: Chi si vanta si vanti nel Signore.

 

Vangelo (Mt 5, 1-12)

Dal Vangelo secondo Matteo.

In quel tempo: vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:

"Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati gli afflitti, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché erediteranno la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.

Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli".

 

RIFLESSIONE

 

Dopo tutti questi anni dovrei averci fatto l’abitudine. E invece no! Tutte le volte che mi trovo davanti a questa pagina di Vangelo sorgono in me sentimenti molto diversi, dal senso di lode davanti ad una iniziativa di Dio a favore dei più piccoli e degli ultimi, al senso di perplessità davanti al fatto che un povero, un malato, un perseguitato possa essere davvero "beato".

Eppure la pagina delle beatitudini è stata definita la "magna carta" del Vangelo, la sintesi della Buona novella, vogliamo allora, almeno oggi lasciarci scuotere, scombinare dalla parola di Gesù? Vogliamo scontrarci noi con tutta la nostra fragilità umana con le parole di un Dio che sono tutt’altro che rassicuranti?

Cominciamo dalla parola: "Beati"

Prima di tutto non si parla dei Beati del cielo, quelli che hanno raggiunto la felicità definitiva, quelli che galleggiano sulle nuvole e tra un caffè e l’altro chiacchierano compiacenti con San Pietro come quelli degli spot pubblicitari, né quelli che noi mettiamo nelle nicchie.

La parola Beati vuol dire fortunati, felici, vuol dire coloro che stanno dalla parte di Dio, ma qui, sulla terra. E allora mi chiedo: Chi sono i beati per me e per il mondo in cui vivo?

Per il nostro mondo è beato chi ha tutto. Da una persona cui facevo gli auguri per le passate festività mi sono sentito rispondere: "Ma che auguri; denari, quelli sì". Era forse una battuta ma che sotto sotto conteneva un desiderio. E’ beato chi può togliersi tutti i grilli che gli frullano per la testa. Si dice "beato" a chi ha una bella casa, una bella donna, a chi ha raggiunto un posto di potere, a chi ha successo; si invidia chi comanda, si cercano gli applausi o, anche più modestamente, non è forse "beato" chi ha buona salute? Provate adesso a far scorrere le otto beatitudini che abbiamo letto, o, se volete, anche tutte le altre volte che il Vangelo chiama ‘beato’ qualcuno e provate un po’ a vedere se, per sbaglio almeno, una di queste beatitudini corrisponda al modo comune di pensare.

Le Beatitudini di Gesù sono prima di tutto rottura con il mondo, sono, almeno a prima vista, cose impossibili da pensare e da dire.

Può ad esempio un afflitto dirsi "Beato"?, fortunato? E non venite a raccontarmi, con i toni di una falsa umiltà cristiana: "Soffri, soffri adesso che poi avrai il premio per l’eternità". Vi chiedo semplicemente se voi credereste ad un Dio, Padre, Misericordioso che ci gode a mandarci della sofferenza per vedere se siamo talmente eroi da subirla e sopportarla, per poi darci la medaglia e il premio in una vita futura; io, personalmente, da un Dio del genere preferirei stare alla larga. Se Gesù promette un futuro di gioia non lo fa per sradicarci dalla realtà terrena: "Di essi è il regno dei cieli". Qui siamo soprattutto al presente. Il Regno non è un qualcosa che verrà a premiarci se siamo stati buoni, è un qualcosa di molto reale che devo sperimentare oggi. La buona notizia per me non è solo che al termine di "questa valle di lacrime" ci sarà il paradiso, è che Dio già fin d’ora mi fa partecipe del suo Regno, e mi affida questo Regno perché esso possa giungere al cuore di tanti fratelli. Ma torniamo alle nostre domande: può gioire un povero? Può essere felice un ammalato, può ritenersi soddisfatto uno che, dopo aver a lungo lottato per la giustizia, viene angariato, emarginato senza neanche aver la soddisfazione di vedere che la sua lotta è servita per qualcuno? E allora il primo passo per capire le beatitudini è guardare a Colui che le ha pronunciate: Gesù. "Egli era Dio è annientò se stesso". "Da ricco che era si fece povero per arricchire noi" . "E il Verbo si fece carne". "Venne tra i suoi e i suoi non lo accolsero". "Il Figlio dell’uomo non ha neanche un sasso su cui posare il capo". "Tra voi chi è il più grande sia il più piccolo e colui che comanda il servo di tutti". "Prese un asciugamano e cominciò a lavare i piedi ai suoi discepoli". "Egli è l’uomo dei dolori, percosso da tutti"… E potremmo continuare a lungo con queste citazioni. Ma, nonostante tutta questa povertà, queste prove e sofferenze esiste forse sulla terra un uomo più libero di Gesù? Gesù è l’uomo che proprio perché non si è asservito a nessuno può parlare con tutti e dire liberamente la verità in ogni situazione. Gesù ama e rispetta le cose di questa terra, ma non dipende da esse. Gesù sa gioire e ringraziare per la natura, sa accogliere i bambini e leggere nei loro occhi e nel loro cuore. Gesù combatte le malattie e guarisce malati e indemoniati ma nello stesso tempo vive anche il momento del dolore dandogli il senso dell’amore. Gesù è lo sconfitto, il crocifisso, ma proprio in questo atto di fedeltà e donazione estrema viene sconfitto il male; la sua morte, come quella del chicco di frumento caduto sulla terra è per la risurrezione. L’intera vita di Gesù è all’insegna della semplicità, della povertà, ma tutt’altro che all’insegna della tristezza. (Lo sapete che nell’intera Bibbia la parola "gioia" ricorre ben 508 volte?)

No! La povertà, la sofferenza, il soffrire a causa delle ingiustizie, non sono cose belle in sé, ma se scelte per amore, se vissute per essere fedeli a se stessi e ai propri valori, a Dio e al suo progetto di salvezza dell’uomo e per la liberazione dei fratelli, diventano davvero la strada privilegiata per essere liberi, per poter annunciare con serenità un messaggio che supera la semplice materialità delle cose, per saper gioire senza essere schiavi, per poter servire, per poter dare speranza all'uomo. C’è però ancora una domanda: E quando hai fatto tutto, per Dio e per gli uomini, per la giustizia e la verità e non solo non vedi risultati, ma ti sembra di essere sconfitto, capito male, utilizzato proprio contro quello per cui hai lottato, si può essere ancora beati? Quando una mamma e un padre hanno seminato per anni valori nella vita di un figlio e non solo non lo vedono crescere ma addirittura vengono considerati degli stupidi, quando le tue opere buone vengono utilizzate per creare confusione, vengono interpretate come ipocrite, quando ti senti accusato proprio da coloro nei quali hai creduto e che hai beneficiato, che speranza puoi avere?

A questo punto il vero "povero" si fida di Dio. Non hai davvero più nulla a cui affidarti. Non solo ha perso cose, hai subito ingiustizie, ma anche le sicurezze su cui poggiavi il tuo agire: è proprio il momento in cui puoi fidarti di Dio. La Madonna davanti al misterioso e grandioso compito che Dio le ha affidato, dopo aver chiesto, essersi informata, ha un solo atteggiamento: "Eccomi, sono la serva del Signore avvenga di me ciò che Lui ha progettato". Gesù sulla croce grida forte il suo dolore, ma privato di tutto sa di potersi affidare totalmente al Padre: "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito". E allora, Dio può operare, Lui che, come dice San Paolo, "ha scelto nel mondo ciò che è stoltezza per confondere coloro che si ritengono sapienti" finalmente può esprimere tutto il suo amore per i poveri, per gli ultimi. Il nostro vescovo, invitandoci a questo "anno della santità" l’ha definita come: "essere dalla parte di Dio", ma ciascuno di noi saprà che Dio è dalla nostra parte solo quando, perse le nostre sicurezze, avremo solo Lui su cui appoggiarci.

 

 

Lunedì 4

San Gilberto; Sant’Andrea Corsini; San Giovanni da V.

Parola di Dio: 2 Sam. 15, 13-14.30;16,5-13; Sal. 3; Mc. 5,1-20

 

"GESU’ NON PERMISE ALL’INDEMONIATO GUARITO DI SEGUIRLO, MA DISSE: VA’ NELLA TUA CASA, DAI TUOI, ANNUNCIA LORO CIO’ CHE IL SIGNORE TI HA FATTO E LA MISERICORDIA CHE TI HA USATO". (Mc. 5,19)

Gesù non finisce mai di stupire: dopo aver liberato un indemoniato dalla legione di diavoli da cui era posseduto, quando questi si dice disposto a farsi suo discepolo e a seguirlo, dice di no: per lui ha altri progetti. Certamente certi preti e suore acchiappa - vocazioni non si sarebbero comportati così: nella loro bramosia di aumentare il numero della chiesa gerarchica, magari senza badare troppo per il sottile, avrebbero fatto ponti d’oro a quest’uomo spesso dimenticando che la vocazione, qualunque vocazione, non nasce perché io invito o perché io indirizzo, ma è un progetto che Dio ha su ciascuno di noi. Se noi, come l’indemoniato di Gerasa, ci sentiamo salvati, liberati da Gesù, se sentiamo in noi crescere la gratitudine per Dio, ecco, allora, che dovremmo sentire nascere e crescere in noi la domanda: In che modo posso manifestare la mia gratitudine? Come posso stare con Te, venirti dietro? Che cosa posso fare per rispondere a Dio che si fida di me? E qui non c’è un senso unico, servire Gesù non è solo fare il prete o la suora, è lasciare che Dio ci mandi dove vuole e a chi vuole.

E’ molto significativa la risposta di Gesù a quest’uomo: "Comincia ad andare dai tuoi, comincia non tanto a predicare chissà quali cose, ma ha raccontare la tua esperienza e a far vedere concretamente come ti ha cambiato l’incontro con Dio. Se qualcuno vedrà quello che la misericordia di Dio ha operato in te e sarà disponibile, forse cambierà".

A volte è più facile partire, fare qualche grande gesto di servizio per il prossimo che ricominciare tutti i giorni ad amare le persone che hai vicino, qualche volta può essere perfino più gratificante abbracciare il lebbroso piuttosto che togliere la polvere in casa; eppure la luce di Dio vuole brillare sia per il lebbroso che per coloro che vivono vicino a noi. Di una cosa possiamo essere sicuri: tutti abbiamo una vocazione. Il tutto sta ad accorgersene e a capire quale sia il progetto che Dio ha per noi. Poi basta dirgli "sì" con entusiasmo ogni giorno, al resto ci pensa Lui.

 

 

Martedì 5

Sant’Agata

Parola di Dio: 2Sam. 18,9-10.14.24-25.30-32;19,1-4; Sal.85; Mc. 5,21-43

 

"VENNERO A DIRGLI: TUA FIGLIA E’ MORTA. PERCHE’ DISTURBI ANCORA IL MAESTRO?". (Mc. 5,35)

Quale susseguirsi di prove nella vita di questo padre! Prima la malattia della sua bambina, poi l’aggravarsi di essa, poi una speranza, Gesù che lo ha accolto e si è messo in cammino con lui ed ora così, brutalmente, vengono a dirgli che sua figlia è morta. Tutto gli crolla attorno. Gli amici, poi, con tanto perbenismo, cercano anche di scalfire la sua fede in Gesù ("Non disturbare" cioè: "intanto non c’è niente da fare: neanche un mago può resuscitare un morto").

Proviamo ad immaginare lo sguardo di quest'uomo, la sua tristezza profonda, le lacrime che stanno per sgorgare e lo sguardo di Gesù che si posa su di Lui con infinita tenerezza e quella voce che non dice ipocrite parole di consolazione ma che lo invita con decisione: "Non temere, continua solo ad aver fede".

E' questo il momento in cui ci si gioca tutto, è proprio qui che si risolve il nostro rapporto con Lui, quando tutto va male.

E' troppo poco far venire Gesù in casa mia quando c'è ancora una speranza. Devo avere il coraggio di farlo venire soprattutto quando non c'è più niente da fare, quando c’è la consapevolezza di non avere forze sufficienti, quando non ho più voglia di lottare, quando tutto ormai mi è caduto addosso.

Una fede che tratti con Gesù soltanto affari possibili, è timidezza, paura, galateo... non fede. La vera fede è quella capace di combinare con Lui gli affari impossibili, gli unici che a Lui interessano veramente.

 

 

Mercoledì 6

Santi Paolo Miki e compagni; Santa Dorotea; San Gastone

Parola di Dio: 2 Sam. 24,2.9-17; Sal. 31; Mc. 6,1-6

 

"E SI SCANDALIZZAVANO DI LUI" (Mc. 6,3)

L’episodio di Gesù non accolto nella sua cittadina di Nazaret ha sempre suscitato in me una serie di riflessioni. Ve ne propongo qualcuna.

I concittadini di Gesù restano meravigliati davanti alla sapienza di Gesù e alla sua possibilità di operare miracoli: la loro fede va in crisi proprio perché hanno la presunzione di aver conosciuto bene Gesù. Sono andati insieme alla scuola della sinagoga, dunque da dove arriva questa sapienza di Gesù che sembra superare la loro? Uno che faceva il falegname in paese da dove ha preso il potere di fare miracoli? E così il dono più grande, quello di un Dio che per dirci che ci vuole bene si fa uomo, diventa l’ostacolo più grande alla fede in Lui. Qualche volta succede la stessa cosa tra coloro che presumono di conoscere Dio. Essi pensano di conoscerlo talmente bene, di averlo incasellato nelle loro teologie, nei loro ritualismi che rischiano di non riconoscere più a Dio la libertà di comportarsi come vuole nella sua misericordia. Ecco allora certe Chiese che dicono che Dio non può perdonare un determinato peccato, ecco le intransigenze religiose, ecco la vera e propria bestemmia nei confronti di Dio quando gli si fa dire cose che assolutamente non ha detto. Se vogliamo metterci sulla strada per conoscere Dio dobbiamo prima di tutto far piazza pulita di tanti preconcetti per accettare Dio così come Egli è e non come vorremmo che fosse con i nostri piccoli schemini. Un altro fatto che colpisce. Viene detto che Gesù non vi poté operare molti miracoli a causa della loro incredulità. E noi qui scopriamo un principio fondamentale secondo cui opera Dio nei nostri confronti. Dio rispetta la nostra libertà fino in fondo. Dio si propone e non si impone mai. Dio è sempre disposto al nostro bene, ma bisogna che noi gli permettiamo di farlo. Provate a pensare a quante volte impediamo a Dio di farci giungere una grazia che magari avevamo anche chiesto, solo perché noi, con le nostre iniziative ci siamo messi su una strada diversa, oppure perché in fondo non crediamo che Dio possa darci quel dono.. Il Dio che si è incarnato non fa niente contro la nostra libertà e se questa, usata bene può essere la più bella strada per esprimere la nostra dignità davanti a Lui a noi stessi e al prossimo, può però diventare l’arma più pericolosa nei nostri confronti, se usata male.

 

 

Giovedì 7

San Teodoro

Parola di Dio: 1Re 2,1-4.10-12; Calmo da 1Cron. 29,10-12; Mc. 6,7-13

 

"E ORDINO’ LORO CHE, OLTRE AL BASTONE, NON PRENDESSERO NULLA PER IL VIAGGIO: NE’ PANE, NE’ BISACCIA, NE’ DENARO NELLA BORSA; MA, CALZATI SOLO I SANDALI, NON INDOSSASSERO DUE TUNICHE". (Mc. 6,8-9)

Qui si tratta della prima missione degli Apostoli. E’ il primo esperimento di Chiesa. Provate a pensare, se fossimo stati noi al posto di Gesù, quale preparazione avremmo chiesto agli apostoli, quali "indagini " avremmo commissionato per sapere dove era meglio andare a predicare, quali termini avrebbero avuto più presa sugli uditori, con quale "battage" pubblicitario era meglio preparare il terreno, quali mezzi audiovisivi ecc. ecc.

Gesù, invece si preoccupa di dire agli apostoli ciò che non devono portarsi dietro. I pani, la bisaccia il denaro, le due tuniche che per noi risultano essenziali per Lui sono un ingombro, appesantiscono il viaggio, tolgono la spontaneità, manifestano che ci fidiamo poco del Dio di cui siamo incaricati di portare l’annuncio e anche le biblioteche, i commentari biblici, le teologie più squisite sono difficili da trasportarsi in giro… "Eppure la Chiesa ha bisogno di mezzi per esprimersi". Abbiamo bisogno di saloni per incontrarci (si riempiono si è no due o tre volte all’anno), abbiamo bisogno di oratori megagalattici (che poi spesso rimangono chiusi per mancanza di adeguata assistenza: "Se no ci rompono tutto"), abbiamo bisogno di una televisione cattolica (che poi, per almeno una ventina di ore al giorno è costretta a trasmettere pubblicità di mobili e di panciere dimagranti, perché se no non riesce a sostenersi). E cosa ne dite di quei preti che con la scusa di conquistare i giovani fanno i giovanilisti a tutti i costi facendosi ridere dietro per i loro maldestro modo di sembrare ciò che non sono e che se anche riuscissero a conquistare la simpatia di certi giovani, poi, al momento del trasmettere il messaggio si accorgono di non possederlo più perché sotterrato in mezzo a tante preoccupazioni di esteriorità? Oppure che cosa ne dite di quel prete che con orgoglio diceva in una assemblea zonale di essere in grado di portare fino a cinquanta comunioni agli ammalati in una sola mattina? Chissà se quegli ammalati oltre al pane Eucaristico non avrebbero voluto avere anche solo la possibilità di scambiare due parole con il sacerdote che invece diceva: "La preghiera di ringraziamento la dica lei che ha tanto tempo, mentre io sono di corsa". Certo, grazie al cielo non tutto è così: ci sono tante persone che hanno preso sul serio la parola di Gesù, ci sono dei cristiani che magari non vanno a Convegni di programmazione, ma che tutte le settimane vanno a passare una mattinata con i malati, ci sono dei preti che preferiscono preoccuparsi meno delle strutture, ma che però puoi trovare disponibili a dedicarti del loro tempo a tutte le ore del giorno, ci sono suore che magari non riescono a dire il breviario al completo tutti i giorni, ma che hanno nelle gambe tanti di quegli scalini fatti e negli occhi tanti fondoschiena dei poveri del loro rione a cui hanno fatto gratuitamente le iniezioni, mentre con il loro stesso agire trasmettevano il messaggio di Gesù.

 

 

Venerdì 8

San Girolamo Emiliani

Parola di Dio: Sir. 47,2-11; Sal.17; Mc.6,14-29

 

"GIOVANNI DICEVA: NON TI E’ LECITO". (Mc. 6,18)

Attenzione alla frase che meditiamo oggi: essa può essere segno di fedeltà al Signore e al suo messaggio, ma se usata male può diventare intransigenza, giudizio insindacabile, sopruso.

Giovanni il Battista dice questa frase ad Erode perché egli è il testimone della Verità. Giovanni sa benissimo (e lo ha detto espressamente) di non essere lui la Verità, ma di essere colui che la attesta. Egli allora non può tacere davanti al male, non se ne fa complice, prende la difesa del bene, della giustizia, dei piccoli oppressi, smaschera l’ipocrisia. Questo suo impegno per la verità, per la causa di Dio gli garantisce una brutta fine. Diventa un provocatore per l’ordine pubblico, bisogna premunirsi contro di lui. "E’ meglio che muoia un uomo solo piuttosto che tutto il popolo". Ed è per questo che la passione e morte del testimone passato, presente e futuro è annuncio o rinnovamento della passione di Gesù. Ma la figura di un testimone come Giovanni che per amore della Verità ci gioca la sua testa è ben diversa dalla figura del falso moralista che dall’alto della sua presunta giustizia e cultura sdottoreggia su quale sia il bene o il male degli altri (perché lui non fa che bene), è ben diversa da chi usando magari un potere religioso "mette sulla schiena di altri pesi che lui non smoverebbe neppure con un dito".

Noi, come cristiani e come Chiesa abbiamo il dovere di essere fedeli alla Verità del Signore, ma con molta umiltà, applicando le norme morali prima di tutto a noi stessi, dicendo quello che è vero e che è giusto (non perché lo abbiamo definito noi, ma perché è nella legge di Dio), ma con molta carità e attenzione alle persone, alle storie, alle situazioni di coloro ai quali lo diciamo. Dobbiamo avere il desiderio della pace e della giustizia, dobbiamo testimoniarla in prima persona, anche a costo di rimetterci qualche cosa. Alcuni anni fa uno slogan elettorale diceva: "Noi abbiamo le mani pulite". Guai se per un cristiano "aver le mani pulite" significasse non aver fatto delle scelte concrete per i poveri, i sofferenti, per la giustizia; guai se fosse sentirci talmente a posto davanti a Dio da poter giudicare senza carità il fratello.

 

 

Sabato 9

Santa Apollonia; San Rinaldo

Parola di Dio: 1Re 3,4-13; Sal. 118; Mc. 6,30-34

 

"VENITE IN DISPARTE, IN UN LUOGO SOLITARIO, E RIPOSATEVI UN PO’". (Mc. 6,31)

Conosco un prete molto alla buona e simpatico (guardate che ce ne sono ancora) che aveva l’abitudine di terminare il rosario con le litanie alla Madonna e dopo averla invocata con tutti quei nomi meravigliosi, come ultima invocazione diceva: "Vergine dell’equilibrio aiutaci a tenerci dritti". Quando qualcuno gli chiedeva il perché di questa invocazione, con molta semplicità diceva: "Chi è stata più equilibrata della Madonna: ha saputo tenersi in equilibrio tra divinità e umanità, ha saputo far da madre a Gesù e a quei bei tipi degli apostoli e oggi, nonostante abbia una schiera di figli baravantani riesce a voler bene a tutti e a ciascuno. E allora mi rivolgo a Lei perché mi aiuti a trovare l’equilibrio anche e soprattutto nelle cose di fede, che non permetta mai che diventi un esagitato della fede o un fanatico, ma che mi aiuti anche a non vivere un cristianesimo fatto di "mi accontento" e di pantofole".

E Gesù con i suoi apostoli fa proprio in questo modo. L’esigente Gesù che ci dice di prendere la croce e seguirlo, che ci chiede di lasciare tutto, che ci manda in tutto il mondo a testimoniarlo, non è per nulla un agitato, uno stacanovista del fare, uno che non è attento alle nostre esigenze umane. Sovente, nel Vangelo Gesù ci invita alla calma ("Marta, Marta ti agiti troppo e per troppe cose"), ci richiama al giusto riposo (in una parabola come quella delle dieci vergini sagge e stolte che invita alla vigilanza, dice che tutte si addormentarono, o in un brano come quello di oggi invita gli apostoli, stanchi della missione, a riposarsi in Lui). Nella fede c’è bisogno di momenti di silenzio, di inattività, di calma, di giusto riposo. Questi momenti ci disintossicano da un attivismo esagerato, spesso segno di egoismo, ci aiutano a rinfrancare lo spirito, a ritornare ai valori che fondano il nostro agire, ci rendono meno irritati e irritanti e quindi più disponibili agli altri. Sappi fermarti ogni tanto, prendi fiato, respira lungo, riscopri un po’ di pace: non solo farai il bene tuo, ma anche quello degli altri.

 

 

Domenica 10

5^ Domenica del tempo ordinario - Santa Scolastica

Parola di Dio: Is. 58,7-10; Sal. 111; 1Cor 2,1-5; Mt. 5,13-16

 

1^ Lettura (Is 58, 7-10)

Dal libro del profeta Isaia.

Così dice il Signore: "Spezza il tuo pane con l'affamato", introduci in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi dalla tua gente. Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: "Eccomi!". Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all'affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio.

 

2^ Lettura (1 Cor 2, 1-5)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Io, o fratelli, quando venni tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso. Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

 

Vangelo (Mt 5, 13-16)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli".

 

RIFLESSIONE

 

Anche in questa domenica ci vengono proposte nel Vangelo alcune frasi di Gesù prese dal cosiddetto discorso della montagna. Prima di tutto chiediamoci a chi sono riferite. Gesù parla per tutti ma in questo caso si rivolge soprattutto ai discepoli, a coloro che lo hanno conosciuto, seguito. Sono coloro che hanno visto la luce di Gesù, che hanno assaporato le sue parole e la sua persona, sono dunque questi che a loro volta devono diventare luce per i fratelli, che devono spandere il buon gusto, il buon sapore di Gesù e del suo messaggio di gioia. E allora, non possiamo esimerci, queste parole sono rivolte oggi particolarmente a noi che abbiamo conosciuto Cristo, che siamo diventati cristiani attraverso il suo Battesimo, che facciamo parte della sua famiglia, la Chiesa, che riceviamo continuamente luce dalla sua Parola e dai suoi Sacramenti. Il sale, la luce, la città visibile da lontano sono paragoni che vengono riferiti ai discepoli di Gesù e al cristiano di ogni tempo. Siamo noi che dobbiamo proclamare al mondo il messaggio proclamato da Gesù. Cristo nel suo amore, ha avuto fiducia in noi, ci ha scelti e ci ha mandati. Egli ci ha caricati di questa grande responsabilità. Infatti ciò che è impossibile al sale (come può diventare insipido?) o alla luce (come può non illuminare?) o alla città sul monte (come può non essere vista?), è purtroppo terribilmente possibile per il discepolo di Gesù, per il Cristiano che non si impegna a vivere, a testimoniare e ad annunciare il Vangelo. Proviamo allora ad approfondire un po’ le immagini usate da Gesù. Egli dice che noi dobbiamo essere il sale che da gusto. Quando si parla di sale, si presentano in noi tutta una serie di significati, a seconda della esperienza che ciascuno ha di tale composto chimico. Una mamma ad esempio penserebbe subito alla minestra che grazie a pochi granelli di questa sostanza, acquista il giusto sapore, diventando gradevole. Qualsiasi persona che abbia a che fare con gli alimenti poi sa il valore conservativo del sale. Un contadino, poi, ci direbbe che il sale serve nella concimazione del terreno. Qualcuno dei nostri anziani ci ricorderebbe che il sale veniva usato per segnare le labbra del bambino, quasi ad invocare la sapienza di Dio su di lui, durante il Battesimo. Per i popoli dell’antico Oriente il sale era poi segno di alleanza tra due persone o due intere popolazioni (persino il nostro detto: ‘mangiare il sale insieme’, ce lo ricorda). Il sale, poi, ha anche la caratteristica che nel momento in cui esso viene disciolto nell’acqua, sembra scomparire, annientarsi: in realtà solo così può essere utilizzato per insaporire le vivande.

Il sale va usato con equilibrio: poco sale non dà gusto; troppo sale rende immangiabili i cibi. Nella nostra alimentazione i sali sono necessari, troppi sali possono essere dannosi. Sicché potremo dire che per ogni cristiano, essere sale della terra ha diverse implicanze: egli prima di tutto deve avere gusto nella sua vita: un cristiano non può essere amorfo, indifferente davanti alla proposta di Gesù e davanti ai doni della vita; deve poi essere uno che dà sapore alla vita, aiutando ciascuno a gustare la propria esistenza, la propria specifica vocazione e facilitando il riconoscimento dei segni della presenza di Dio; deve impedire la corruzione, cioè la rovina del mondo e delle persone con cui vive; deve infine riuscire a fare tutto questo nell’umiltà, quasi nel nascondimento, senza sentirsi troppo importante, senza suonare la tromba, senza che sappia la sinistra ciò che fa la destra.

Se vogliamo essere sale, se vogliamo ricevere e poi trasmettere la luce di Cristo, dobbiamo ancora e sempre guardare a Lui.

Venendo tra noi Gesù ha dato sapore a tutta la nostra vita. Ci ha insegnato che Dio ci ama con tenerezza, che ci vuole felici, che ci vuole per sempre con sé nella sua gloria, che non dobbiamo avere paura di Lui perché è nostro Padre e noi siamo suoi figli.

Gesù è venuto tra noi per conservare in noi queste certezze, perché non degradiamo mai in noi la dignità di figli, perché abbiamo sempre a conservare e a accrescere in noi la vita di amore nella quale siamo stati consacrati e immersi il giorno del nostro Battesimo. Gesù è venuto tra noi, si è fatto uno di noi, ha mangiato e bevuto con noi, ha condiviso le nostre gioie e le nostre sofferenze per dirci che era nostro amico e per rimetterci nell’amicizia di Dio Padre.

Gesù è venuto a ricordarci che Dio è sempre fedele all’alleanza che ha fatto con noi, che noi apparteniamo sempre a Lui perché siamo sua eredità. Lui, Gesù, non è venuto a condannare ma a fare con Dio, a nome nostro un’alleanza eterna, perché tutti possiamo essere salvi.

Gesù ci ha insegnato tutte queste cose con amore, proponendo senza costringere, cercando di essere il collaboratore della nostra gioia, di far nascere in noi la fierezza, il sapore di appartenere alla famiglia di Dio. Ecco il sale che Lui ha avuto e ci ha trasmesso, la Luce che è venuta ad illuminare ogni uomo. Si può vivere senza luce, senza sole? No di certo. Ma il sole è inutile se io resto sempre in casa con porte e finestre chiuse ermeticamente. Le lampadine sono inutili se io le tengo chiuse nell’armadio senza innestarle sul lampadario e far scorrere in esse la corrente.

Gesù è la luce del mondo. Egli è venuto tra noi come sole che sorge per rischiarare coloro che sono nelle tenebre e nell’ombra della morte. Egli è luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo. Ma Gesù dice che anche noi, prendendo da Lui dobbiamo diventare luce e sale del mondo. Egli non è geloso delle sue prerogative, ci chiama sempre a collaborare con Lui e vuole che ogni giorno compiamo opere buone, perché gli uomini vedendole non dicano di noi "Guarda quanto è bravo", ma possano dire: "Quanto è buono il Signore se sa fare cose così belle servendosi di noi!". E quali sono queste opere che danno il gusto della vita, che sono come luce che illuminano il mondo?

Le accenno appena traducendo dalla prima lettura di Isaia che abbiamo letto oggi. "Dividi il pane con gli affamati". Non puoi lavarti le mani di tuo fratello, o dire: "Ci pensi qualcun altro", se sei stato illuminato da Dio che ha condiviso con te la sua divinità; non puoi andare a fare con tranquillità la Comunione Eucaristica e poi non sentirti coinvolto dalle necessità dei fratelli che quotidianamente trovi sulla tua via. "Lascia entrare tutti a casa tua" (nel tuo cuore, nella tua simpatia, nel tuo amore, senza fare troppe distinzioni. Non essere prepotente con nessuno, soprattutto non farlo con i più deboli, con i più poveri, con quelli che fanno fatica a fare tutto, anche ad essere buoni. "Non accusare nessuno" soprattutto ingiustamente o per coprire le tue malefatte. "Non dimenticarti di quelli della tua casa" cioè non andare a cercare il bene da fare sempre lontano, accorgiti delle persone con cui vivi. Ecco alcune piccole grandi opere che rendono gloria a Dio. Non diciamo: "Sono cose da poco". Nelle tenebre anche la più piccola fiamma si vede.

 

 

Lunedì 11

Madonna di Lourdes; Sant’ Adolfo

Parola di Dio: 1Re 8,1-7.9-13; Sal. 131; Mc. 6,53-56

 

"COMINCIARONO A PORTARGLI SUI LETTUCCI GLI AMMALATI, OVUNQUE UDIVANO SI TROVASSE". (Mc. 6,55)

Oggi, Festa della Madonna di Lourdes, nella liturgia del giorno ci è capitato un Vangelo che riporta visivamente quello che succede ogni giorno in quel santuario: una lunga sfilata di malati, di carrozzelle, di persone che portano nella carne e nello spirito le ferite del male e che vanno a Gesù, attraverso le mani di sua Madre nella speranza o di essere guariti o di trovare la forza per vivere con più serenità le proprie sofferenze.

Che cosa sono la malattia e il malato per Gesù?

La malattia è una cosa non bella. Essa fa parte del Male e delle sue conseguenze che Gesù è venuto a combattere e curare. Il malato è per Gesù un "povero" che ha occasione di incontrare Dio proprio nella povertà della sua malattia ma anche una persona cara che Gesù è venuto a salvare.

Gesù vede le malattie del corpo e su di esse si china. Ma vede anche e soprattutto le malattie dello spirito ed è soprattutto da queste che vuole guarire.

Gesù non si limita a dire "poveretto" al malato. Si china su di essi, piange con quelli che soffrono; Lui stesso, con la croce, si caricherà di tutte le sofferenze del mondo. Ma combatte con tutto Se stesso contro le malattie e soprattutto contro la radice di esse che è il male. Gesù non è un distributore automatico di facili miracoli e guarigioni ma Colui che subisce, accetta e redime le conseguenze del male dell’uomo e invita ciascuno di noi a fare altrettanto: combattere le malattie con tutta quella che può essere la scienza dell’uomo, ma soprattutto combattere il Male che è attorno a noi e che si annida in noi stessi.

 

 

Martedì 12

San Damiano; Santa Eulalia

Parola di Dio: 1Re 8,22-23.27-30; Sal. 83; Mc. 7,1-13

 

"QUESTO POPOLO MI ONORA CON LE LABBRA, MA IL SUO CUORE E’ LONTANO DA ME. TRASCURANDO IL COMANDAMENTO DI DIO VOI OSSERVATE LA TRADIZIONE DEGLI UOMINI". (Mc. 7,6.8)

Mi è capitato sovente di incontrare persone che con aria scandalizzata si lamentavano che "non c’è più religione", gente che rimpiange una religione ben codificata dove la casistica ti dice sempre per filo e per segno dove sia il peccato, una ritualità sicura nei gesti e nelle espressioni che se poi magari si capiscono poco, beh non importa, così ci si sente meno impegnati personalmente…

Capisco che per molti i cambiamenti degli ultimi decenni possano anche aver sconcertato, capisco anche che non tutte le innovazioni, corrispondano sempre ad un miglioramento, ma chiediamoci: si è fedeli a Gesù quando si osservano tutte le norme o tradizioni o quando, magari perdendo un po' di rispettabilità formale, si scende dal proprio piedistallo religioso per dare concretamente una mano?

Sono più buono se al venerdì mi rimpinzo di pesce non toccando carne o se dispongo una parte del mio tempo per ascoltare e tener compagnia ad un anziano solo?

Seguire Gesù significa impegnare tutta la propria persona, significa continuamente metterci in questione. Avere come base il precetto dell’amore significa quotidianamente fare la fatica di tradurlo in pratica. Le norme possono servire, le indicazioni della Chiesa sono significativi segnali per non perdere la strada ma alla fine il credente deve solo e sempre cercare di uniformarsi a Cristo.

La garanzia della salvezza non la si compra con la tradizione antica osservata ma la si vive ogni giorno con Cristo che è sempre a fianco non del legalismo ma dell'uomo.

 

 

Mercoledì 13

Mercoledì delle Ceneri - Santa Fosca; Santa Maura

Parola di Dio: Gl. 2,12-18; Sal. 50; 2Cor 5,20-6,2; Mt. 6.1-6.16-18

 

"GUARDATEVI DAL PRATICARE LE VOSTRE OPERE BUONE DAVANTI AGLI UOMINI PER ESSERE DA LORO AMMIRATI". (Mt. 6,1)

Ancora una volta, attraverso il gesto dell’imposizione delle ceneri, siamo chiamati ad iniziare questo tempo di riflessione e di preparazione alla celebrazione della Pasqua. Ma il Vangelo di oggi ci indica subito come questa tappa liturgica debba essere tutt’altro che una tradizione o peggio ancora un gesto ipocrita.

Dio non se ne fa niente delle nostre penitenze se queste non manifestano un animo che vuole veramente rinnovarsi, uno spirito che vuole riconoscere solo Lui come Signore della vita.

Il Vangelo di oggi ci indica tre strade privilegiate per poter incontrare il Signore, per avvicinarci al suo mistero di dolore e alla sua risurrezione: la preghiera, l’elemosina, il digiuno. Ma quello che è più importante è il fine e l’uso di questi mezzi.

Se la mia preghiera serve solo per dirmi quanto sono buono, io sto parlando con me stesso e non con Dio. Se l’elemosina è un lasciar cadere qualcosa dall’alto a chi ha meno di me, è egoismo e non amore, e se il digiuno, il sacrificio, servono a dire che io sono forte, Dio, Signore di tutto, non sa che farsene. Ma se io rinuncio a qualcosa del tanto che ho perché ho capito che nella vita ci sono cose più importanti che soddisfare la gola o i piaceri del corpo, se ho capito che questo mio superfluo può diventare necessario per qualcun altro, se ho capito che anche il sacrificio può diventare per me segnale del desiderio di cambiare il mio atteggiamento verso la vita, verso il prossimo, verso Dio, se sento il bisogno della preghiera come comunicazione con Dio, come desiderio di ascolto della sua parola, come comunione con tutti i fratelli del mondo, con quelli del cielo e della terra, ecco allora che queste strade possono diventare preziose anche in questo periodo liturgico dell’anno che mi prepara all’incontro con il mistero di un Dio che si fa carico dei miei peccati per perdonarmi e crocifigge in se stesso il male per propormi la vita nuova di Figlio di Dio.

Oggi, ancora una volta ci troviamo davanti a diverse strade. La prima è quella del dire: "Niente di nuovo sotto il sole, al massimo la quaresima mi ricorda che tra 40 giorni è Pasqua", e tutto come prima. Una seconda strada può essere vivere questo tempo con i suoi richiami solo per abitudine, celebrare per ritualità. Una terza può essere quella del velleitarismo ipocrita: vivere l’esteriore dei segni quaresimali per sentirsi a posto. E poi un ultima strada, molto piccola, che non si presenta bene ma che richiede coraggio e cuore, semplicità e buona volontà, umiltà e desiderio di incontro, dove con l’aiuto della preghiera, con la carità concreta e con i coraggio di certe rinunzie si può davvero essere sicuri di incontrare Cristo non tanto per la quantità di cammino che riusciremo a fare, ma per il fatto che su questa strada sarà proprio Lui a venirci incontro.

 

 

Giovedì 14

Santi Cirillo e Metodio; San Valentino; San Vitale

Parola di Dio: Is. 52,7-10; Sal.95; Mc. 16,15-20

 

"ANDATE IN TUTTO IL MONDO E PREDICATE IL VANGELO AD OGNI CREATURA". (Mc. 16,15)

Oggi, secondo giorno della nostra Quaresima, capita la festa di due santi che furono missionari soprattutto nei paesi slavi e che, per questo, sono patroni di Europa. Il Vangelo, allora per ricordarli ci ripropone l’incarico che Gesù, prima di salire al cielo, affida agli apostoli e attraverso loro anche a ciascuno di noi.

Gesù ci dice: "Se davvero hai fatto esperienza di me, se hai provato la gioia del perdono ricevuto, se hai scoperto che Dio c’è ed è Padre, se hai imparato che l’amore è l’essenza della vita, queste cose puoi tenertele solo per te?". E per questo che Gesù non dà un semplice consiglio: "Se hai voglia, se hai il pallino, diventa testimone", ma usa l’imperativo: "Andate!". Non si può essere cristiani, aver incontrato Gesù e non sentire la gioia di poterlo comunicare ad altri.

La missione come la intende Gesù non è coercizione o ricerca di proselitismo a tutti i costi, è annuncio gioioso attraverso parole e segni di quanto Dio ha fatto per noi, infatti Gesù indica nei segni della vittoria sul male, la testimonianza concreta che siamo chiamati a rendere.

La missione può poi essere partire per andare lontano o anche partire per andare molto vicino: la distanza non è quella chilometrica, è soprattutto uscire da se stessi per andare verso il prossimo. Credete che la nostra società italiana sia molto cristiana? Credete che nella nostra città, nel nostro condominio, nei nostri parenti, la fede in Gesù sia da considerarsi fondata e abituale, sempre capace di far fare delle scelte che partono dal vangelo? Se scopriamo che anche noi abbiamo bisogno di convertirci in continuazione, guardate quanto si allarga e si concretizza nell’immediato il campo della missione. E non c’è neppure bisogno di andare a scuola di teologia per essere poi dei buoni testimoni, non c’è bisogno di saper dire troppe parole, ma se fossimo anche solo capaci di seminare qualche sorriso, qualche atto di perdono, qualche giudizio benevolo e meno pesante, se solo sapessimo dare a chi ci è vicino la testimonianza che la fede nella nostra vita, nonostante tutto, ci rende sereni, certamente riusciremmo a contagiare qualcuno all’amore del Signore e dei fratelli.

 

 

Venerdì 15

San Sigfrido; San Claudio de la Colombière

Parola di Dio: Is. 58,1-9; Sal. 50; Mt. 9.14-15

 

"PERCHE’, MENTRE NOI E I FARISEI DIGIUNIAMO, I TUOI DISCEPOLI NON DIGIUNANO?". (Mt. 9,14)

Ci viene riproposto un mezzo di ascesi cristiana che è il digiuno. Oggi nella chiesa questa prassi è quasi del tutto sparita (in compenso è stata ritrovata da quelli che vogliono perdere i chili in più). Ma è ancora valido il digiuno cristiano?

Esso, se lo comprendiamo nel suo vero senso potrebbe farci capire alcune cose ad esempio: noi siamo ciò che mangiamo, e il credente non vive di solo pane, ma soprattutto della Parola e del Pane Eucaristico, della vita divina. Il rinunciare a qualcosa, vivendo in una società del benessere, può aiutarci a capire concretamente il troppo e gli abusi che noi facciamo mentre una gran parte del mondo non ha il necessario per vivere. Non può essere anche il digiuno un modo per ricordarci che il sacrificio non è solo una cosa brutta ma anche un qualcosa che può indirizzare le nostre scelte concrete?.

Certo ci sono anche dei rischi nel digiuno ad esempio quello di farlo diventare unicamente un opera meritoria; ecco perché esso, se viene fatto, deve sempre avere uno scopo preciso: la giustizia, la condivisione, l’amore per Dio e per il prossimo. Sentite che cosa dicevano a questo proposito alcuni padri della Chiesa: "Il digiuno è inutile e dannoso per chi non ne conosce i caratteri e le condizioni" (Giovanni Crisostomo). "E’ meglio mangiare carne e bere vino, piuttosto che divorare con la maldicenza i propri fratelli (Abba Iperechio). "Se praticate l’ascesi di un regolare digiuno non inorgoglitevi. Se per questo vi insuperbite, piuttosto mangiate carne, perché è meglio mangiare carne che gonfiarsi e vantarsi (Isidoro Presbitero).

Oggi poi, se si vuole, il digiuno come mezzo di ascesi può prendere anche altre strade: non è forse digiuno degli occhi magari rinunciare a qualche spettacolo televisivo? Non è forse recuperare il senso del tempo e della famiglia dedicando ad essa qualche ora recuperata magari dai giochini del computer? Non può essere recuperare una dimensione interiore il riuscire a fare un po’ di silenzio? La quaresima non è un tempo triste, il fare qualche rinuncia o il digiunare non deve portarci a inalberare musi rincagnati e atteggiamenti seriosi e magari scorbutici, stiamo andando incontro allo sposo risorto quindi non possiamo essere tristi, ma se qualche sacrificio ci rende più consapevoli di questo dono e più attenti alle necessità dei fratelli, ben vengano.

 

 

Sabato 16

Sant’Onèsimo; Beato Giuseppe Allamano

Parola di Dio: Is. 58,9-14; Sal. 85; Lc. 5,27-32

 

"NON SONO I SANI CHE HANNO BISOGNO DEL MEDICO, MA I MALATI ". (Lc. 5,31)

Davanti ad un medico i nostri atteggiamenti possono essere molteplici e diversi. C’è chi dice: "Io sto bene, non ho bisogno di medici". C’è chi dice: "Ora non ne ho bisogno, ma, in certi momenti della vita, meno male che ci siano". Qualcun altro dice: "Io vado regolarmente dal medico, meglio prevenire che trovarsi poi in difficoltà". Altri ancora: "Nei medici bisogna soprattutto aver fiducia".

E con il medico Gesù?

Chi pensa di non averne bisogno, certamente non si rivolge a Lui, chi lo considera come il pronto soccorso dei casi estremi si rivolge a Lui solo nei momenti difficili della propria vita, chi non ha il coraggio di fare scelte proprie è sempre lì a pietire, chi conosce i propri limiti si consulta spesso e si rivolge a Lui per essere guarito dal proprio male.

Un mio amico, grande benefattore dei poveri, che sempre potevi trovare disponibile per gli altri mi diceva una cosa che tutti noi prima o poi abbiamo sperimentato: "I poveri più poveri non sono quelli che chiedono: devi andarli a cercare tu!" E un altro amico medico diceva: "Passo sovente ore e ore di ambulatorio tra falsi malati che più che di un medico hanno bisogno di qualcuno che li coccoli, li blandisca, li assecondi, e a volte scopro che i veri malati stentano a farsi riconoscere e ancor di più a farsi aiutare". E nella fede chi ha realmente bisogno di Dio? Penso tutti! Tutti siamo poveri, peccatori, bisognosi davanti a Lui. Ma, bisogna riconoscerlo, Dio viene a cercarci, ma se tu ti ritieni "a posto" o se tu sfuggi come potrà aiutarti? Se un bambino vuole attraversare la strada ma non si lascia prendere per mano o non dà la mano a suo padre, come andrà a finire?

 

 

Domenica 17

1^ Domenica di Quaresima

Santi sette fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria; Santa Marianna

Parola di Dio: Gen. 2,7-9; 3,1-7; Sal 50; Rm 5,12-19; Mt. 4,1-11

 

1^ Lettura (Gn 2, 7-9; 3, 1-7)

Dal libro della Genesi.

Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: "E` vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?". Rispose la donna al serpente: "Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete". Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male".

Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi.

 

2^ Lettura (Rm 5, 12-19)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà  vita. Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.

 

Vangelo (Mt 4, 1-11)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede". Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo".

Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto". Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servirono.

 

RIFLESSIONE

 

Come tutti gli anni, quaranta giorni prima della festa della Pasqua di risurrezione, la Chiesa, nella sua saggezza di madre, ci propone, attraverso la liturgia, un cammino di preparazione, per comprendere meglio e vivere nel vero spirito la Pasqua del Signore e nostra.. Questo tempo di Quaresima ha sofferto, come tutti gli altri valori e usi cristiani, di logoramento e di difficile comprensione da parte dei credenti. Spesso si è guardato ad esso sottolineando solo e troppo il senso penitenziale, per cui Quaresima e tempo dei "musi lunghi" hanno coinciso, e siccome a nessuno piacciono i musi lunghi, spesso si è perso del tutto il vero significato del sacrificio e anche del digiuno. Altre volte considerando che il cristiano vive ogni giorno la Pasqua si è talmente sminuito il fattore liturgico della sua celebrazione, per altro anche questa, come il Natale, contornata da tanti aspetti esteriori e consumistici, da perderla di vista e con essa anche il tempo di preparazione… c’è poi tra i cristiani anche qualche nostalgico che ripristinerebbe digiuni e penitenze, come ai bei tempi andati, pensando che questa sia l’unica strada gradita a Dio.

Come sempre il Vangelo, che pure è terribilmente esigente in fatto di scelte personali, è invece molto equilibrato per tutto quello che riguarda la liturgia e la norme e gli usi e le abitudini e mette sempre in evidenza i valori al di sopra delle forme.

Potremmo allora sintetizzare in questo modo: la Quaresima è una proposta di cammino di quaranta giorni che la Chiesa ci propone in preparazione alla Pasqua, perché noi cristiani ritrovando, anche attraverso la penitenza, il digiuno cioè il recupero dei valori cristiani al di là delle apparenze e la carità, i veri valori dell’insegnamento di Gesù, possiamo con Lui fare il passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla liberazione.

Fin dalle letture di questa prima domenica ci viene allora indicato Colui verso il quale dobbiamo guardare e che dobbiamo imitare.

Gesù, dopo il battesimo del Giordano, dopo che il Padre ha fatto sentire la sua voce su di Lui e ce lo ha indicato come Colui che noi dobbiamo "ascoltare", non inizia subito la sua vita pubblica con grandi miracoli, applaudito da tutti, ma viene spinto nel deserto dallo Spirito Santo. Perché questo? Perché Gesù nella sua umanità possa da una parte recuperare tutti i valori storici della storia della salvezza del suo popolo, e, attraverso la tentazione, aver chiaro il progetto di salvezza di Dio Padre nei suoi confronti e nei confronti della nostra umanità..

Gesù sperimenta nel deserto, come il popolo degli Ebrei fuggito dall’Egitto, il grande senso del Dio che libera, ma scopre anche la fatica della fedeltà, il bisogno continuo di purificazione, la tentazione degli idoli, il valore della Parola di Dio donata e operante, la necessità di una fiducia e di un abbandono totale a Dio per arrivare poi alla donazione totale.

Proprio guardando Gesù, vogliamo anche noi lasciarci guidare dallo Spirito Santo?

Lo Spirito che, ricordiamo Elia, non è forte come il vento gagliardo, ma soffia come una brezza dolce, non ci porta facili soluzioni ai nostri problemi di uomini, ma spinge anche noi, come Gesù nel deserto. Per trovare Dio, per capire l’amore di Gesù, per riscoprire il valore di essere Figli di Dio e il senso di eternità che è in noi, per provare a trovare una strada di comprensione della sofferenza umana, abbiamo, prima di tutto, bisogno di silenzio. Noi spesso ci stordiamo con le parole e le cose, abbiamo sempre qualcosa da fare, da dire, da sentire e alla fine è difficile capire un po’ più a fondo chi veramente siamo e dove andiamo. Solo quando riusciremo ad essere davvero presenti a noi stessi, lasciati gli orpelli e le cose, arriveremo ai valori essenziali della vita. Solo attraverso una attenta lettura della Parola di Dio possiamo riscoprirci popolo di Dio in cammino, rivalutando i fratelli come persone in marcia con noi, salvati come noi. Il deserto, il silenzio, con ogni probabilità faranno rinascere in noi la meraviglia, la scoperta di un Dio che davvero ci è Padre, che ha compiuto e compie opere grandi.

Ma nel deserto, con Dio, scopriremo anche un’altra presenza: quella del maligno che, come ha fatto con Gesù, cerca in tutti i modi di distoglierci dal piano di Dio e di tentarci di idolatria.

Prima di tutto non dobbiamo spaventarci davanti alle tentazioni. Essere tentati non è peccato. Tante volte mi è capitato di sentire in confessione: "Padre, sono sempre fortemente tentato". Non spaventarti anche Gesù è stato tentato nel deserto, nella sua vita pubblica, nell’orto degli ulivi, sulla croce. I santi sono stati tutti tentati.

Seconda cosa: non è Dio che tenta cioè non è Dio che ti mette trabocchetti sul cammino per farti cadere. Al massimo Dio, attraverso la prova, vuol farti crescere nella fedeltà, vuole avvicinarti a sé.

Chi è invece che tenta per far cadere? E’ il demonio che si serve di noi stessi cioè della nostra natura "inquinata dal peccato" e anche del ‘mondo’ inteso come mentalità che si oppone a Dio, quindi, come dice San Giovanni: "Il padre della menzogna", il diavolo, ci prova in mille modi diversi, ma facciamo attenzione, il fondo di ogni tentazione è sempre lo stesso: portarci a fare a meno di Dio.

La prima lettura ci ha riferito la tentazione di Adamo ed Eva: il diavolo fa apparire ancor più bello e allettante il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, gioca sulla voglia di "essere come Dio", si serve anche della seduzione della donna nei confronti dell’uomo… il tutto per condurre l’uomo da una parte a dire: "Che male c’è a fare questo" e dall’altra a dire: "Se io sono come Dio posso fare a meno di Lui"

La tentazione della fame che sia il popolo di Israele che Gesù hanno provato nel deserto è quella di risolvere i problemi appagando le necessità: hai fame? Risolvila mangiando. Hai desideri? Appagali. Il cibo, il denaro, le cose possono risolvere uno ad uno tutti i tuoi problemi: che bisogno hai ancora di Dio?

La tentazione del facile successo parte dal giusto desiderio che ognuno di noi ha di essere apprezzato, amato. Esasperando questo desiderio si arriva però a pensare che ogni felicità consista nell’essere importante, applaudito, riconosciuto. Nel deserto era stata la tentazione del Vitello d’oro: facciamoci un Dio visibile, come tutti gli altri popoli, non importa se sappiamo che è solo una statua fatta con il nostro oro: ci sarà come un segno di unità, alle cerimonie e al resto ci penseranno i sacerdoti che creeranno tradizioni e abitudini e noi avremo un Dio meno scomodo del Dio vivo.

C’è poi ancora per il diavolo la sempre attuale tentazione del potere: il potere sia esso grande, sia piccolo nella tua famiglia, nel tuo ufficio, nella comunità cristiana, ti fa sentire forte, puoi fare quello che vuoi, puoi sfruttare gli altri, ti senti pago: non hai più bisogno di Dio perché sei arrivato tu al suo posto.

Gesù risponde a queste tentazioni in modi diversi, ma lo stile è unico: Gesù si fida di Dio e della sua Parola. Se mi fido di Dio il pane del necessario non mi mancherà mai. Mi darò da fare, faticherò personalmente, condividerò il pane dei fratelli e con i fratelli, ma il senso essenziale della vita non mi verrà mai a mancare, neanche davanti alla morte. L’essere apprezzati, la fama può essere una cosa gradevole, ma più che essere apprezzati dagli uomini è importante essere nel cuore di Dio. I piccoli poteri della terra si pagano estremamente cari e non danno poi nessuna sicurezza: quando ne hai conquistato un pezzetto devi combattere tutta la vita per cercare di mantenertelo. L’unico vero potere è sapere che siamo Figlio di Dio, amati da Lui, salvati dalla sua misericordia.

In questi giorni di Quaresima, abbiamo voglia di lasciarci portare dallo Spirito nel deserto per riscoprire questi valori? Se faremo questo, credo che scoprire che la fatica del sacrifico, della vigilanza e la lotta contro la tentazione non solo non saranno una cosa "da musi lunghi", ma la scoperta gioiosa di noi stessi e Dio che ci vuole bene e che cammina con noi verso la nostra totale redenzione.

 

 

Lunedì 18

San Simeone; San Flaviano; San Claudio; B. Geltrude C.

Parola di Dio: Lv. 19,1-2.11-18; Sal.18; Mt. 25,31-46

 

"SIGNORE, QUANDO TI ABBIAMO VISTO AFFAMATO, ASSETATO, FORESTIERO, NUDO, AMMALATO O IN CARCERE?". (Mt.25,44)

Ma è possibile che Gesù si metta a "giocare a nascondino" con le persone? Specialmente per chi pensa di trovare Dio nelle parole della teologia, nella solennità del tempio, nelle norme di codici morali, è difficile capire questo "trasformismo" di Gesù che ha fame, sete, è ammalato o in carcere. Eppure l’essenza del Vangelo è proprio qui: il Dio del tempio, della morale, della teologia è il Dio incarnato in ogni uomo; l’ossequio, la lode, la preghiera hanno il loro valore sia nel tempio sia nel servizio, Il nostro Dio profuma di incenso ma anche odora di povertà. In questo racconto, poi, del giudizio universale noi ci aspetteremmo dei giusti più consapevoli, dei giusti che amano e servono il povero vedendo in lui Gesù e, invece, ci troviamo davanti a delle persone che hanno visto il povero, ne hanno avuto compassione, hanno condiviso con lui il pane. Non sono giusti molti "spiritualisti" ma piacciono al Signore e finiscono nella vita eterna. E’ giusto e bello (e qualche volta gratificante) riuscire a riconoscere Gesù nel fratello che ha bisogno, ma è già eroico e santo riconoscere il fratello, farsi fratello. L’importante non è mettere al fratello la maschera per poterlo riconoscere, è, anzi, togliere il nostro paraocchi perché il nostro cuore possa vederlo ed incontrarlo. Non è importante fare la carità per andare in paradiso, è importante amare e basta.

 

 

Martedì 19

San Corrado Confalonieri; San Tullio; San Mansueto

Parola di Dio: Is. 55,10-11; Sal. 33; Mt. 6,7-15

 

"PADRE NOSTRO". (Mt. 6,9)

Che bello, alzarsi al mattino e poter dire: "Padre nostro".

Tu non sei un’entità strana capitata per caso nel corpo di un uomo: tu sei tu e Lui è Lui. Dio non è una idea, non una invenzione degli uomini per rispondere a degli interrogativi che non hanno risposta, non è un motore immobile che ha dato il via ad una enorme macchina perfetta, ma che non lo scalfisce, non lo interessa, Dio non è una entità minacciosa, sempre pronta ad adirarsi, non è uno che prima ti fa vedere cose belle gradevoli e poi te le impedisce in nome di una morale, non è neanche il sadico costruttore di inferni, sempre pronto a lanciar saette e punizioni… Dio è Padre, con tutte le caratteristiche dei padri, e di quelli buoni. E’ un Padre felice della propria paternità, oserei quasi dire che la sua paternità è nella sua essenza al punto che essa sola lo realizza pienamente.

E’ un Padre che desidera solo il bene e la felicità dei suoi figli. E’ un Padre che desidera vederci crescere nella libertà ma che sa anche dell’uso smodato che noi possiamo farne e desidererebbe evitarci tanti errore e prove che noi invece spesso ci procuriamo.

E’ Padre mio e Padre nostro. Io riscopro di essere figlio di Dio e riscopro di essere in cammino con dei fratelli. Il mio prossimo in Lui non mi è estraneo, nemico, ostile, gli altri non sono solo il piedistallo su cui io posso crescere, sono fratelli e se è vero che anche da fratelli spesso si litiga, è anche vero che dovrebbe esserci qualcosa che ci unisce profondamente. Dio è mio e nostro padre perché è Padre di Gesù, il Dio fatto uomo, il mio fratello maggiore: è allora il Dio che Lui ci ha fatto conoscere: il Padre misericordioso, lento all’ira pieno di grazia e di amore, il Buon pastore che viene a cercarci, che ci difende, che ci conduce a pascoli di acque fresche e a prati rigogliosi, è il Padre che aspetta con trepidazione il ritorno del prodigo e lo accoglie con gioia, è colui che fa sorgere il suo sole sopra i buoni e i cattivi, è colui che pazienta davanti ai vignaioli che non lo riconoscono Signore, è Colui che ci prende per mano, è "mio scudo, mia difesa, mia fortezza", è Colui nel quale io posso confidare e abbandonarmi totalmente: "Nelle tua mani affido il mio spirito". E’ il Padre di Colui che per amore suo e amore nostro si è fatto peccato inchiodando per sempre il male a quella croce, è il Colui che come ci ha detto Gesù ci aspetta, non con il bastone in mano per punirci dei nostri peccati, ma con le mani aperte se noi appena accenniamo di correre a Lui, e ci aspetta per una eternità dove ci mostrerà per sempre il suo volto, dove, ormai passate le cose di questa terra, non ci sarà più ne pianto né lutto. Se mi alzo pensando e quindi pregando sul serio queste cose, come potrà la mia giornata passare nell’oblio, nella tristezza, come se fosse soltanto uno dei tanti giorni di una vita senza senso?

 

 

Mercoledì 20

Sant’Eleuterio; Sant’Ulrico; Sant’Eucherio

Parola di Dio: Giona 3,1-10; Sal. 50; Lc. 11,29-32

 

"QUESTA GENERAZIONE E’ UNA GENERAZIONE MALVAGIA, ESSA CERCA UN SEGNO MA NON LE SARA’ DATO NESSUN SEGNO SE NON QUELLO DI GIONA". (Lc. 11,29)

I contemporanei di Gesù avevano visto con i loro occhi storpi che camminavano, ciechi che riacquistavano la vista, avevano mangiato il pane e i pesci che Gesù aveva moltiplicato, sembra strano che questa folla cerchi ancora portenti per dare fiducia a Lui.

Eppure ieri e oggi è sempre così. E’ più facile una religione miracolistica: quando hai qualche problema, un formula di preghiera, una visita ad un santone, qualche gesto rituale e tutto è risolto. C’è poi sempre il desiderio di qualcosa di straordinario, di miracolistico, quando si fonda la fede unicamente sull’esteriorità. Pensate a noi che ancora oggi corriamo dietro ai "miracoli" del santo tal dei tali, o che partecipiamo a quel gruppo di preghiera perché lì avvengono portenti e guarigioni. E non ne abbiamo mai basta.

Gesù chiama "malvagia" la generazione che cerca i segni per i miracoli e non riesce a vedere Colui che è il miracolo dell’amore di Dio. Perché il miracolo, il segno che Dio ci ha dato e ci da non è altri che Gesù e Gesù crocifisso

Il vero credente, pur non misconoscendo il ruolo del miracolo, non richiede altri segni, poiché scopre nella stessa persona di Cristo, uomo - Dio, la presenza discreta e l’intervento di Dio.

Non ci sono per noi altri segni fuorché il segno di Gesù, poiché Dio ha scelto di non costringere l’uomo, ma di guadagnarne l’amore morendo per lui. E questo segno dovrebbe portaci, come gli abitanti di Nininve, davanti alla predicazione di Giona, alla conversione. Cioè al riconoscere che solo con Dio noi realizziamo pienamente noi stessi e il suo progetto.

"Se vedessi un bel miracolo mi convertirei!" Non è detto! Anzi i miracoli, spesso, portano ad uno scetticismo ancora più esasperato. Comincia a compierlo tu il miracolo, cioè quello di convertirti, di indirizzare la tua vita nell’ordine di Dio e allora riuscirai a vedere anche il miracolo continuo della tua vita e dell’amore di Dio che la colma in continuazione.

 

 

Giovedì 21

San Pier Damiani; Sant’Eleonora

Parola di Dio: Ester 4,1.3-5.12-14; Sal. 137; Mt 7,7-12

 

"CHIEDETE E VI SARA’ DATO" (Mt. 7,7)

Si racconta di un sacerdote africano che parlava così ai suoi fedeli: "Siete venuti oggi in chiesa a pregare il Signore perché ci mandi la pioggia: ma dov’è il vostro ombrello?"

Gesù ci dice di chiedere e ci sarà dato, ma la nostra fede è dubbiosa, piena di scetticismo; la nostra preghiera non si basa sulla fiducia. Non dubitiamo della onnipotenza di Dio, ma non abbiamo abbastanza fede nel suo amore per noi; dubitiamo dell’amore di Dio. Quale offesa per un Padre! Quando un genitore vede che il figlio non ha fiducia nel suo amore, ne è rattristato; che cosa penserà allora di noi il nostro Dio che è anche Padre nostro, vedendo quanta poca fede abbiamo in Lui? Se solo lo amassimo quanto un figlio ama il proprio padre (e Dio meriterebbe ben di più) ricorreremmo a Lui più spesso, con maggior fiducia e amore. E potremmo essere certi almeno di una cosa: che Egli ci ascolta, è pronto sempre ad aiutarci, attende solo che glielo chiediamo per starci vicino e colmarci di doni.

E il momento migliore per dimostrargli il nostro amore filiale, disinteressato, è proprio quando Lui ci sembra nascosto. Dovremmo avere il coraggio e la fiducia di sfidare Dio. Egli sarebbe ben contento di arrendersi al nostro amore fiducioso, umile, tenace. Se sapessimo opporre a quello che sembra il suo silenzio un amore così, il nostro Padre celeste alla fine ci prenderebbe in braccio come si fa con un figlio piccolo, debole, amatissimo.

 

 

Venerdì 22

Cattedra di San Pietro; S. Papia

Parola di Dio: 1Pt. 5,1-4; Sal.22; Mt.16,13-19

 

"TU SEI PIETRO E SU QUESTA PIETRA EDIFICHERO’ LA MIA CHIESA". (Mt. 16.18)

Oggi, festa della cattedra di Pietro voglio proporvi una meditazione insolita.. La fece, proprio in questa festa quel piccolo grande Vescovo, appassionato di Dio e degli uomini che fu don Tonino Bello:

"Gesù ci ha fatto capire che anche Pietro è povero. Noi non ce ne accorgiamo più perché a forza di difendere la tesi del primato di Pietro, abbiamo perso di vista che egli è il capostipite di quell’ultimato di poveri verso cui Gesù ha sempre espresso un amore preferenziale. Sta di fatto che a Pietro, benchè gli accoliti gli lavino ostentatamente le mani nei pontificali solenni, i piedi, però, non glieli lava nessuno. O almeno, sono rimasti in pochi quelli che riservano per lui l’amoroso gesto del Signore, dettato da amicizia senza lusinghe e suggerito da tenerezza senza adulazioni.

Povero Pietro. Forse sta scontando ancora gli effetti di quella iniziale resistenza quando disse a Gesù: "Non mi laverai mai i piedi".

Oggi non si vuole molto bene a Pietro. Come se non bastasse il peso del mondo, gli incurviamo le spalle pure noi sotto il fardello delle nostre risse fraterne. Anche se in teoria non viene discusso il suo prestigio, la sua parola non viene sempre accolta con l’attenzione e con l’obbedienza che merita Colui che ha ricevuto da Cristo l’incarico di "confermare i fratelli" nella fede.

Cadiamo una buona volta ai piedi di Pietro. Non per adorarlo, come fece il centurione Cornelio, ma per lavargli quei piedi specialmente oggi che sono così stanchi per il tanto camminare nel mondo. Facciamogli sentire il tepore dell’acqua. Aiutiamolo a rinfrancarsi dalle sue fatiche. Stiamogli vicini a questo "fratello ultimo" che forse più di ogni altro ha bisogno della nostra carità.

Forse, mentre l’acqua tintinnerà nel catino, egli proverà tanto ristoro dalla nostra appassionata premura, che ci mormorerà all’orecchio, come quella sera fece con Gesù: "Non solo i piedi, ma anche le mani e il capo". (Gv. 13,9)

 

 

Sabato 23

San Policarpo; Santa Romana da Todi

Parola di Dio: 1Pt. 5,1-4; Sal. 22; Mt. 16,13-19

 

"SE AMATE QUELLI CHE VI AMANO, QUALE MERITO NE AVETE?". (Mt. 5,46)

Siamo davanti ad un pagina a prima vista ‘impossibile’ del Vangelo. Gesù ci chiede di amare come ha amato Lui, di amare i nostri nemici e i nostri oppressori, di diventare perfetti come è perfetto il Padre nostro celeste. Cioè Gesù ci chiede l’amore totale. Quello che ha avuto Lui per noi, quello di dare la vita.

Ecco allora alcune caratteristiche di questo amore verso cui dovremmo continuamente puntare.

Deve essere un amore disinteressato, perché se amiamo con un secondo fine non è vero amore, ma egoismo; se amiamo per averne un utile, non è amore, ma interesse; se amiamo perché abbiamo paura, non è amore, ma timore.

L’amore deve essere sincero perché nel prossimo amiamo la paternità di Dio, la presenza di Gesù. Possiamo ingannare gli uomini fingendo di amarli, ma Dio legge nel cuore e scoprirà la falsità.

L’amore deve essere coerente: non possiamo essere fratelli, perché figli di Dio, solo in chiesa, quando preghiamo insieme; siamo fratelli anche fuori, anche nel lavoro, anche nei contatti quotidiani.

L’amore deve essere generoso. L’amore è vitalità, è azione. Chi ama solo a parole, prende in giro con le chiacchiere. L’amore vero deve invece tradursi in atti, soprattutto verso coloro che sono meno favoriti, che si sentono soli, che soffrono.

Molte volte, però ci capita di incontrare persone che secondo noi non meritano il nostro aiuto, eppure Gesù ci ha detto "Quello che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avrete fatto a me". Se qualcuno ha veramente bisogno di essere aiutato, non stare a guardare se lo merita. Purchè il tuo amore non sia un incentivo al male, sii generoso, pensa che Gesù in ogni caso merita il nostro amore.. E ricordiamoci che l’amore per il prossimo non si limita all’aiuto materiale, ma si manifesta anche solo con un sorriso, con una buona parola, purché venga dal cuore. Non lesiniamo dunque il nostro amore per i fratelli perché Gesù non lo lesina affatto con noi.

 

 

Domenica 24

2^ Domenica di Quaresima - San Sergio di Cesarea

Parola di Dio: Gen. 12,1-4; Sal.32; 2Tim 1,8-10; Mt 17, 1-9

 

1^ Lettura (Gn. 12, 1-4)

Dal libro della Genesi.

In quei giorni, il Signore disse ad Abram: "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra ". Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.

 

2^ Lettura (2 Tm. 1, 8-10)

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.

Carissimo, soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall'eternità, ma è stata rivelata solo ora con l'apparizione del salvatore nostro Cristo Gesù, che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l'immortalità per mezzo del vangelo.

 

Vangelo (Mt 17, 1-9)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: "Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia ". Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo". All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: "Alzatevi e non temete". Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo. E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: "Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti ".

 

RIFLESSIONE

 

In questa seconda tappa del nostro cammino verso la Pasqua, lo Spirito Santo vuol farci scoprire un’altra realtà essenziale della nostra vita.

A me sembra, dopo aver ascoltato le letture di oggi, che potremo chiamare questa secondo movimento quaresimale, quello della "voce": voce del Dio che chiama, ma anche voce dell’uomo che risponde: "Eccomi!"; voce del testimone che soffre e che offre per il Vangelo, e voce misteriosa del Padre che rende testimonianza al Figlio: "Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo".

Nella prima lettura la voce di Dio irrompe come un lampo improvviso e richiede un cambiamento totale: "Il Signore disse ad Abramo: Vattene dal tuo paese…"

E’ un comando secco che non ammette repliche. Se Abramo accetta Dio deve lasciare il suo paese, la sua patria, la casa di suo padre. Non ci sono sconti, non scappatoie: Abramo deve perdere le sue sicurezze, la sua identità. Come unica contropartita, una promessa: la promessa di un Dio ancora sconosciuto, proiettata in un futuro non ancora precisato e in una terra lontana e senza nome. Eppure tanto basta ad Abramo: "Abramo partì, come gli aveva ordinato il Signore".

Nella seconda lettura la voce del Signore è solo evocata: Paolo è in catene, teme che i suoi amici possano vergognarsi di lui, sa che la testimonianza richiede una forza che può solo venire da Dio e allora ricorda la voce della sua chiamata: "Egli ci ha chiamati con una vocazione santa": la Parola di Dio, la sua voce non solo chiamano ma danno anche il coraggio della lotta; la forza del Vangelo vince la morte e fa risplendere la vita.

Il vangelo, poi ci presenta l’episodio della trasfigurazione di Gesù, un anticipo della sua risurrezione. Anche qui c’è la voce di Dio che conferma Gesù nella sua missione e che invita noi ad ascoltarlo.

Proviamo a domandarci: "Che cosa può voler dire, nella nostra vita di ogni giorno spesso ripetitiva, banale, spenta, ascoltare la voce del Signore?"

Bisogna prima di tutto fare attenzione ad una cosa: la voce di Dio non è una voce che ti parla nell’orecchio e che ha una risposta per tutte le domande e per tutti i problemi della vita. Un giorno un ragazzino rimase molto stupito davanti alla mia risposta ad una sua domanda. Lui mi aveva chiesto: "Quand’è che Dio ti ha parlato e ti ha detto che dovevi farti prete?" Io gli avevo risposto di non avere né una linea privata di telefono né un indirizzo Internet per comunicare in diretta con Dio. "Ma, allora, avrai aperto a caso la Bibbia e avrai trovato delle indicazioni precise". Gli dissi che neanche quella, per me, era una strada facile e che quando avevo cercato quella via spesso avevo trovato pagine che non avevano niente a che fare con le mie situazioni concrete.

La voce di Dio è una voce non semplice da ascoltare; spesso, in mezzo alle molteplici voci rumorose della nostra vita non è neanche facile riconoscerla, eppure la voce del Signore c'è e risuona nell’intimo della coscienza, nel profondo del cuore, dove si prendono le decisioni ultime e si gioca la vita. Essa non si sostituisce alla responsabilità personale, non elimina il rischio, non si impone in maniera automatica, ma si offre alla nostra libertà.

Per poterla riconoscere occorre prima di tutto fare silenzio nel cuore e nella mente, creare uno spazio di ascolto, un terreno preparato ad accogliere il seme della parola. Occorre anche realizzare nella nostra vita l’abitudine alla preghiera, e uso il termine abitudine, che in sé può anche essere negativo, perché pregare deve essere una attività quotidiana semplice, umile e insieme indispensabile, come lavorare, andare a scuola, fare le pulizie di casa. Essa è come parlare con i propri familiari; quando ti accorgi che non c’è più dialogo tra genitori e figli, fra marito e moglie è sempre troppo tardi vuol dire che si è persa l’abitudine al dialogo, e se non ci si parla più è molto difficile riprendere a farlo e trovare le parole giuste. Finché, invece si continua a parlare, il dialogo non si interrompe e l’armonia può sempre essere ricostituita, nonostante le crisi. E’ molto meglio litigare piuttosto che ignorarsi, meglio urlare che tacere. Così dovrebbe essere anche la nostra preghiera; l’importante è, in qualunque momento, anche quando sembra che Dio non ci ascolti, non interrompere il dialogo con Lui, non chiudere il cuore, non dimenticarlo. Non corriamo il rischio di Pietro che "non sa quello che dice" quando vuol fare tre tende sul Tabor e fermarsi per sempre là. La trasfigurazione è un anticipo di una meta, ma la vita reale, anche quella della preghiera quotidiana la trovi ai piedi di quella montagna, nel banale e nel difficile di ogni giorno.

Ecco, allora, l’altra condizione importante per scoprire la voce di Dio e per poterla ascoltare e mettere in pratica: la volontà, il coraggio, la concretezza.

Non è il coraggio degli eroi sovrumani quello che ci viene chiesto, ma il coraggio delle piccole cose, quello di rimetterci in gioco ogni mattina. Quello di ricominciare sempre, nonostante le prove e la nostra debolezza. Il coraggio ad esempio, come dice Paolo di "non arrossire per il Vangelo" di "non vergognarsi per la testimonianza da rendere al Signore".

Non occorre immaginare situazioni fuori del comune che forse non si presenteranno mai nella nostra vita; in realtà dovunque, in ufficio, a scuola, per strada dobbiamo confrontarci con il Vangelo ed è proprio lì che si manifesta la voce di Dio e che Dio desidera ascoltare la nostra voce di risposta.

Ci siamo mai chiesti, ad esempio, che cosa ci dica e ci chieda la voce di Dio a proposito della educazione dei nostri figli: per loro riteniamo più importanti i corsi di danza o di judo o una seria formazione cristiana? Preferiamo il nostro benessere e la nostra realizzazione sul piano professionale o scegliamo di stare con loro?

Nei rapporti con i colleghi di lavoro, cerchiamo la collaborazione e l’amicizia o ci preoccupiamo soprattutto della nostra carriera? Rinunciamo alla piccole vendette e alle ripicche? Evitiamo di dare giudizi impietosi sugli altri? Ci sforziamo di essere sempre dalla parte dei più deboli, in nome della giustizia o preferiamo essere amici dei potenti per ottenerne dei vantaggi?

Nel momento della grande manifestazione gloriosa di Dio si può essere gioiosi ma inebetiti, sicuri della propria fede fondata sulla Parola di Dio, sulla legge e sui profeti, ma intorpiditi, come Pietro sul Tabor, ma è solo scendendo da quella montagna, pieni di speranza, che possiamo misurare la nostra fede nel reale quotidiano. Tutta la mistica parla di ascesi cioè di salita verso l’alto: verissimo! I nostri occhi e il nostro cuore devono essere pieni di Dio, ma direi che la vera mistica è saper scendere concretamente verso il basso portando nel concreto i doni che Dio ci ha fatto. San Filippo Neri a chi si rivolgeva a lui per intraprendere la strada della mistica consigliava: "Va piuttosto a rifare il letto ad un mendicante" e diceva che "chi vole a volar senz’ali, bisognava pigliarlo per i piedi e tirarlo in basso". In fondo, per renderci conto della verità di queste cose, basta guardare la logica di Dio nel suo comportarsi: Lui "da ricco che era si è fatto povero per noi", Dio si è incarnato, è sceso al nostro livello per parlarci, per indicarci la strada, per salvarci.

Se vogliamo davvero incontrarlo, ogni momento concreto del nostro cammino è buono.

 

 

Lunedì 25

San Cesario

Parola di Dio: Dn 9,4-10; Sal 78; Lc. 6,36-38

 

"SIATE MISERICORDIOSI COM'E' MISERICORDIOSO IL PADRE VOSTRO. NON GIUDICATE E NON SARETE GIUDICATI". (Lc. 6,36-37)

Quattro righe di Vangelo quelle che ci vengono lette nella liturgia di oggi, ma importanti perché, se come dicevamo sabato, a volte ci sembra impossibile amare come ci ha indicato Gesù, ecco che Egli stesso ci suggerisce alcune strada da cui cominciare a purificare il nostro amore. E una strada importante, proprio guardando a come Dio si comporta nei nostri confronti, è quella di far prevalere la misericordia sul giudizio. Ma se volete facciamo ancora un passo indietro: perché spesso non siamo misericordiosi? Perché spesso siamo giudici insindacabili del nostro prossimo?

Perché non sappiamo guardare con occhio benevolo e perché spesso siamo invidiosi. La Bibbia chiama l’invidia: "La carie delle ossa" (Pr. 14,10) infatti essa poco per volta ci mangia il fegato e il cervello e ci impedisce di amare: la moglie del vicino è sempre migliore, i figli dei vicini: "Quelli si che vanno bene a scuola, quelli sì che sono bravi...", c’è sempre qualcuno che lavora meno di me e guadagna molto più di me. Per cercare di superare l’invidia che porta al giudizio, che uccide la misericordia vi propongo questa preghiera che ho trovato su un libro:

"Oggi sul tram ho incontrato una ragazza bionda. Ho invidiato la sua allegria e bellezza. Quando si è alzata per scendere, ho visto che aveva una gamba sola. Perdonami, Signore, quando invidio. Almeno io ho due gambe.

Sono entrato in un negozio per comprare dei dolci. Il commesso era simpatico e gentile. Mi sono messo a parlare con lui. Uscendo mi ha ringraziato dicendo: "E’ bello parlare con gente come lei. Io sono cieco". Perdonami, Signore quando invidio. Almeno io ho due occhi che vedono.

Per la strada ho incontrato un bambino con degli occhi blu che guardava correre i compagni. "Perché non vai a giocare con loro?". Silenzio. Era sordo. Perdonami, Signore. Quando invidio. Almeno io ho due orecchie per sentire.

Con i piedi che mi portano ovunque, gli occhi che vedono, le orecchie che sentono… chi è più fortunato di me? Perdonami, Signore, quando invidio".

 

 

Martedì 26

San Nestore; Sant’ Alessandro di Alessandria

Parola di Dio: Is. 1,10. 16-20; Sal 49; Mt. 23,1-12

 

"QUANTO VI DICONO, FATELO E OSSERVATELO, MA NON FATE SECONDO LE LORO OPERE PERCHE’ DICONO E NON FANNO". (Mt. 23,2)

Padre Nazareno Rocchi è stato missionario per oltre 40 anni in Giappone. Viveva a Enzai, una cittadina di circa 40.000 abitanti. I cattolici di Padre Nazareno non sono più di 100. Lui dice: " I Giapponesi leggono molto il Vangelo, ma si convertono difficilmente. Però quando si convertono sono cristiani esemplari. Prendono tutto molto sul serio." E qui aggiunge un racconto. Un giovane professore universitario aveva chiesto a Padre Rocchi se poteva andare la sera a trovarlo per discutere con lui di temi religiosi e di Vangelo. Per più di un anno si era recato una o due volte la settimana da lui approfondendo la fede in Cristo. Padre Rocchi pensava fosse a buon punto per la conversione, ma ad una sua precisa domanda, se intendeva chiedere il Battesimo ed entrare nella Chiesa, il professore rispose con un gentile rifiuto. Poi non si fece più vedere.

"Dieci mesi dopo", racconta padre Nazareno, "quando mi ero perfino dimenticato di quelle conversazioni, quel professore viene di nuovo a trovarmi e mi dice: Padre, mi ha convinto, sono pronto a ricevere il Battesimo e ho preparato anche mia moglie e i miei figli".

Che cosa era successo? Lo spiegò il professore stesso a padre Rocchi. "In tutti questi mesi, senza farmene accorgere ho voluto vedere come vivevi tu. Mi avevi detto che tutte le mattine celebri la Messa da solo, in Chiesa, alle sette. Ebbene quella è l’ora in cui io vado a prendere il treno per andare a Tokyo a insegnare. Così spesso passavo vicino alla tua cappella, e mi fermavo un momento a guardare dentro, dalle finestre. Ho visto che infallibilmente tu eri in cappella a pregare, quasi sempre solo e alle sette celebravi la Messa con molta devozione. Poi mi sono informato di tanti altri aspetti della tua vita. Beh, ho visto che tu ci credi davvero a tutto quello che mi hai detto. Se ci credi tu, debbo crederci anch’io. Intellettualmente ero già convinto della verità del Vangelo, ma volevo vedere se almeno tu lo vivi davvero".

Non è difficile predicare il Vangelo, difficile è viverlo pur nei limiti e nelle debolezze della nostra natura umana, ma la prima testimonianza della fede è quella della vita. Ci sono dei genitori che dicono ai figli di andare in chiesa, ma poi essi non ci vanno mai; che dicono ai figli di essere buoni ma poi danno esempi di egoismo, sono duri di cuore, non disponibili alle necessità del prossimo. Che cosa volete chiedere a questi ragazzi?

 

 

Mercoledì 27

San Gabriele dell’Addolorata; Sant’Onorina; San Leandro

Parola di Dio: Ger 18,18-20; Sal. 30; Mt. 20,17-28

 

"IL FIGLIO DELL’UOMO SARA’ CONSEGNATO AI SOMMI SACERDOTI E AGLI SCRIBI CHE LO CONDANNERANNO A MORTE E LO CONSEGNERANNO AI PAGANI PERCHE’ SIA SCHERNITO E FLAGELLATO E CROCIFISSO". (Mt 20,19)

Gesù parla della sua imminente passione, morte, risurrezione ma il suo discorso sembra cadere nel vuoto. I discepoli, pur avendo imparato a camminare con Lui, fanno orecchie da mercante perché questo discorso non rientra nei loro schemi: il Messia, per loro, è un trionfatore, è la carta vincente delle loro aspirazioni; essi entreranno trionfalmente in Gerusalemme con Gesù, sederanno alla sua destra e alla sua sinistra, e poi, vogliono bene a Gesù e forse preferiscono per Lui e per se stessi non pensare a flagellazioni, croci, morte.

Anche noi vogliamo bene a Gesù, amiamo la sua Parola, abbiamo bisogno che ci dia conforto e speranza, ma ci sono pagine di Vangelo che sono insopportabili, ci danno fastidio, rompono i nostri piani, scombinano progetti che noi giudichiamo giusti, "intoccabili". Va bene voler bene al prossimo, ma amare i nostri nemici! Va bene perdonare una volta, ma settanta volte sette! E poi, come si fa ad essere perfetti come il padre celeste, o ad essere beati quando non hai nulla e tutti ne approfittano di te!… E allora, saltiamo la pagina, cerchiamo scuse, ci sforziamo di annacquare. Ma Gesù è uno solo: è quello del Natale gioioso come quello sanguinante della Croce, è Colui che ci perdona sempre ma che ci chiede di prendere la nostra croce e di seguirlo, è Colui che ci accoglie ma che ci manda, è Colui che ci consola ma che non ci toglie dalle prove. Darà forse fastidio in certi momenti, ma Gesù o lo accetti tutto o rischi di non incontrarlo affatto.

 

 

Giovedì 28

Sant’Osvaldo di Worcester; San Romano di Condat

Parola di Dio: Ger. 17,5-10; Sal. 1; Lc. 16,19-31

 

"C’ERA UN UOMO RICCO…. UN MENDICANTE DI NOME LAZZARO GIACEVA ALLA SUA PORTA". (Lc. 16,19-20)

Una parabola di estrema attualità, quella del ricco e di Lazzaro, direi una parabola sulla incomunicabilità. Il racconto, infatti, non ci dice che il ricco sia cattivo e che Lazzaro sia buono, ci dice semplicemente che questo ricco nella sua vita è talmente preso dalle sue cose che non si accorge di Lazzaro. Sa che c'è, conosce anche il suo nome, infatti nell’aldilà chiederà ad Abramo di mandare Lazzaro a dargli un po’ di sollievo, ma la ricchezza e la povertà non permettono l’incontro, non comunicano tra loro. E la stessa cosa succede nell’aldilà: c’è un "grande abisso" che divide coloro che hanno scelto Dio e la sua via da coloro che hanno scelto se stessi e la ricchezza.

Provate un po’ a pensare se ancora oggi non è così: passi tra le vetrine piene di luci e di ogni ben di Dio a prezzi vertiginosi di Via Roma e riscopri sotto i portici i cartoni su cui dorme il barbone con il suo cane. Nello stesso telegiornale vedi in successione gli orrori della guerra e della fame e senti che per quel calciatore si sarebbe disposti ad un ingaggio di cento miliardi…Incomunicabilità!

Quanti "Lazzaro" ci sono alla porta di casa nostra. Gli affamati, gli esclusi, gli orfani, i mutilati dalle guerre... e forse proviamo vergogna per un mondo che riesce ancora far tanti Lazzaro, magari facciamo un'offerta... e poi passa, fino alla prossima volta. Altri li incontriamo; extra comunitari, questuanti, barboni, alcolisti, tossicodipendenti e non possiamo fare a meno di provare un senso di fastidio, magari proviamo ad aiutarne qualcuno ma spesso con fatica ed anche con senso di delusione e di impotenza ed ergendo attorno a noi una serie di steccati che ci proteggono dalla loro invasione. Di altri forse non ce ne accorgiamo neppure; magari è tuo figlio che invece del solito rimbrotto ha bisogno di una parola di incoraggiamento, magari è la famiglia della porta accanto che senti spesso alzare la voce ma con la quale non hai mai parlato, magari è tua zia a cui non hai più telefonato da un anno perché "intanto lei non telefona mai"... Lazzaro vivi, presenti, ma nascosti, non visti cui si lasciano magari cadere le briciole ma che non sono mai commensali del tuo cuore. Quell’abisso va superato! E se come uomo non ce la fai guarda a Gesù che "mentre eravamo peccatori" andò a morire per noi, che "da ricco che era si fece povero per farci ricchi di se stesso". Chiediamo proprio a Lui di poterlo riconoscere e amare in mezzo ai tanti Lazzaro. Lui non chiede nulla ma è lì. Lui non viene a prenderti nulla ma ad insegnarti che c’è più gioia nel dare che nel ricevere.

     
     
 

Archivio