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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

NOVEMBRE 2001

 

Giovedì 1 Novembre 2001

TUTTI I SANTI

Parola di Dio: Ap. 7,2-4.9-14; Sal. 23; 1 Gv. 3, 1-3; Mt. 5, 1-12

 

"NOI FIN D’ORA SIAMO FIGLI DI DIO, MA CIO’ CHE SAREMO NON E’ STATO ANCORA RIVELATO. SAPPIAMO PERO’ CHE QUANDO EGLI SI SARA’ MANIFESTATO, NOI SAREMO SIMILI A LUI, PERCHÉ LO VEDREMO COSI’ COME EGLI E’ ".

(1Gv. 3,2)

Come sempre il mese di novembre si apre con due celebrazioni: quella della festa di tutti i Santi e quella della Commemorazione dei defunti. Mi piace pensare che, al di là delle esagerazioni, dei tanti pregiudizi, del consumismo che si è abbondantemente impadronito anche di queste feste, la fede popolare cristiana ha unito intimamente queste due feste, infatti già oggi molti si recano ai cimiteri a deporre un fiore, a dire una preghiera, a volgere un pensiero a chi, compagno di parte del nostro cammino, non è più fisicamente con noi. Forse per molti non è a livello conscio, ma l’aver unito queste due celebrazioni che quasi si confondono, è in fondo il messaggio stesso che la Chiesa ci vuole dare col proporci questi momenti.

Provo allora a suggerire telegraficamente alcuni pensieri che possano aiutarci a vivere cristianamente questi momenti.

Per i cristiani oggi e domani sono due feste, certamente con sottolineature molto diverse, ma due feste perché entrambe ci ricordano che la morte non è la parola definitiva della vita. I santi e i nostri morti per noi infatti sono vivi, più vivi che mai, sono nel cuore e nella gioia di Dio.

Siamo anche in festa allora, perché non siamo piccoli esseri in cammino verso la morte e quindi solo preoccupati di sfruttare al massimo la vita, ma siamo già fin d’ora con Dio per poter stare con Lui per sempre, partecipi fin d’ora della sua santità che ci sarà manifestata in pienezza.

Siamo contenti perché scopriamo che la santità non è un qualcosa di esclusivo solo di certi personaggi. In tante cose hanno manifestato la santità di Dio anche i nostri morti e anch’io, oggi, posso esserne partecipe e testimone. Mi accorgo anche guardando ai santi e ai defunti che la santità non è solo questione di ascesi e di penitenze o sofferenze, ma è dono di Dio e può esercitarsi nella semplicità e nella gioia.

Mi accorgo poi di non essere solo nel cammino della vita: tanti mi hanno preceduto, tanti mi accompagnano, tanti mi seguiranno: siamo davvero la grande famiglia dei Figli di Dio santificati da Lui. Possiamo appoggiarci a vicenda. L’esempio dei santi ci aiuta, la loro intercessione ci conforta, la nostra preghiera unita alla loro ci mette ancor più facilmente davanti a Dio. E lo stesso accade nel rapporto con i nostri defunti: noi li ricordiamo e se vogliamo loro bene facciamo rivivere nella nostra vita i loro valori, noi preghiamo per loro e loro pregano per noi.

E oggi pensando ai Santi del paradiso mi accorgo che anche nel mondo ci sono tanti santi. Il mondo non è solo schifezza, egoismo, arrivismo… vivo anche in mezzo a tanta santità, donazione, sacrificio, testimonianza di speranza, solidarietà…

Chi mi conosce sa che ho sempre avuto un debole per le vite dei santi, e anche in questi mesi sto ricercando e rileggendo vite di Santi, Beati, Venerabili e servi di Dio che vissero nel nostro Piemonte, e sto facendo delle bellissime scoperte, però vi dico che mi piacerebbe tanto avere sempre gli occhi aperti non solo per cogliere il bene che personaggi della storia passata hanno compiuto, ma soprattutto per saper cogliere tutti i segni di santità presenti nel nostro mondo. Se avrò questa capacità saprò essere più ottimista e soprattutto saprò che anch’io, malgrado tutto ho da Dio la possibilità di manifestare un briciolo della sua immensa santità.

 

 

Venerdì 2 Novembre 2001

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

Parola di Dio: Gb. 19, 1.23-27; Sal. 26; Rm. 5, 5-11; Gv. 6, 37-40

 

"DOPO CHE QUESTA MIA CARNE SARA’ DISTRUTTA VEDRO’ DIO. LO VEDRO’ IO STESSO E I MIEI OCCHI LO CONTEMPLERANNO NON DA STRANIERO". (Gb. 19,26)

Oggi tutti noi, con fede, anche se con molta nostalgia, ricordiamo i nostri cari defunti. Sono molti i modi per farlo: la riflessione, la visita ai cimiteri, un fiore, un preghiera… Ma direi che per noi ha soprattutto significato celebrare la memoria dei defunti attorno all’Eucarestia di Gesù (e questo al di là delle offerte per le Messe dei defunti, dei nomi detti una o due volte, delle Messe singole o "condominiali").

L’Eucaristia è la sfida alla morte.

Gesù ci ha detto: "Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno, e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".

La morte è distacco. E noi sentiamo questo dolore, non vediamo più fisicamente i nostri morti, non ascoltiamo più la loro voce, i nostri affetti sono menomati.

L’Eucarestia, invece, è Comunione: unione con Cristo e il suo mistero e con tutti quelli che sono in Cristo vivi e defunti.

"Noi che mangiamo uno stesso pane e beviamo allo stesso calice non siamo forse un corpo solo?". Così Paolo domandava ai suoi fedeli invitandoli all’amore che unisce sulla terra ma che unisce anche la terra al cielo.

E’ questa comunione che ci fa sentire il dolore, la sofferenza degli altri ma che ci dà anche la possibilità della solidarietà e del conforto vicendevole.

E’ questa comunione che ci assicura che le nostre preghiere, i nostri suffragi raggiungono i nostri cari defunti, li confortano e li purificano qualora ce ne fosse bisogno.

E’ questa comunione che ci rende meno amaro il distacco sensibile dai nostri cari assicurandoci che qualcosa di profondo, di duraturo, di indistruttibile ancora ci lega a loro per l’eternità.

E’ questa comunione che ci fa in un certo senso pregustare la nostra beata dimora nel cielo, dove tutta la nostra famiglia, con alla testa Cristo, capo dei risorti, sarà ricomposta definitivamente.

Ed è ancora questa comunione che ci invita a camminare nella speranza della misericordia di Dio per noi e per chi ci ha preceduto.

 

 

Sabato 3 Novembre 2001

SAN MARTINO DE PORRES, Religioso; SANTA SILVIA

Parola di Dio: Rm. 11,1-2.11-12.25-29; Sal .93; Lc. 14, 1.7-11

 

"CHI SI ESALTA SARA’ UMILIATO E CHI SI UMILIA SARA’ ESALTATO" . (Lc. 14,11)

Gesù, da buon osservatore ha appena visto una cosa rivoltante: dei religiosi, benpensanti stanno ‘litigando’, tirandosi sgambetti, pur di sedere ai primi posti, pur di essere ‘onorati’ dal poter sedere vicino al capotavola, e vuol ricordare a loro e a noi che ciò che conta non è il posto che uno occupa, ma ciò che uno è. E questo, specialmente davanti a Dio che non si lascia ingannare dalle nostre ipocrisie, che non ragiona secondo le spesso false meritocrazie terrene, ma che vede il cuore di ognuno.

Ecco allora che l’invito all’umiltà, tutt’altro che essere un invito allo scomparire, a considerarsi meno di quello che uno vale, è mettere le cose e le persone al giusto posto, è cercare di vedere le cose come le vede Dio, è non giudicare gli altri per ciò che di essi appare o tentano di far apparire.

L’uomo davanti a Dio chi è?

Certamente siamo creatura. Le nostre capacità conoscitive, intellettive, affettive, sono grandi, ma davanti a Lui sono ben piccola cosa. Possiamo inorgoglirci di essere arrivati sulla luna, ma siamo un piccolo puntino davanti all’infinito. E’ una meraviglia che la medicina, la chirurgia, la tecnica riescano a salvare tante vite umane, ma i misteri che circondano la vita sono talmente tanti e grandi che non possiamo avere la presunzione di conoscerli… Quindi è verità: davanti a Dio siamo piccoli! Ma siamo anche creature amate da Dio. Noi crediamo ad una storia della salvezza intessuta da Dio con un popolo per dirci che Egli ci ama, noi crediamo al Figlio di Dio fatto uomo morto su una croce, per dimostrarci l’infinito amore di Dio verso di noi, sue creature, noi crediamo al dono dello Spirito e dei Sacramenti che ci permettono di essere in intima comunione con il nostro Dio…

La vera grandezza dell’uomo è allora la sua enorme piccolezza riempita dalla grazia di Dio. Diceva San Paolo in una delle sue lettere: "Di che cosa potrò vantarmi davanti a Dio? Mi vanterò delle mie debolezze". Noi valiamo perché Dio ci ha creati, perché ci ha salvati, perché ci ama. Se comincio ad avvolgere con questo sguardo la mia vita, il mondo in cui vivo, i miei fratelli, tutto cambia prospettiva: non contano le glorie di questa terra, i primi posti ai banchetti o in parrocchia, non contano le apparenze che altri vogliono farmi credere, conta che Dio mi ama come sono e ama te come sei e che allora siamo entrambi amati da Dio e quindi, pur con molte differenze, fratelli.

 

 

Domenica 4 Novembre 2001

XXXI^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  -  SAN CARLO BORROMEO, Vescovo

Parola di Dio: Sap. 11,22 - 12,2; Sal. 144; 2 Ts. 1,11 - 2,2; Lc. 19, 1-10

 

1^ Lettura (Sap. 11,22 - 12,2)

Dal libro della Sapienza.

Signore, tutto il mondo davanti a te, come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra. Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento. Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l'avessi chiamata all'esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, amante della vita, Per questo tu castighi poco alla volta i colpevoli e li ammonisci ricordando loro i propri peccati, perché, rinnegata la malvagità, credano in te, Signore.

 

2^ Lettura (2 Ts. 1,11 - 2,2)

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi.

Fratelli, preghiamo di continuo per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e porti a compimento, con la sua potenza, ogni vostra volontà di bene e l'opera della vostra fede; perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo. Di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente.

 

Vangelo (Lc. 19, 1-10)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: "É andato ad alloggiare da un peccatore!". Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto". Gesù gli rispose: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo; il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto".

 

RIFLESSIONE

 

Abbiate pazienza con me se la riflessione di oggi non sarà un predica ben articolata, ma tutte le volte che mi metto davanti a questo episodio del vangelo e scopro quel piccoletto del pubblicano Zaccheo ne resto sconvolto, meravigliato, gioioso, timoroso. Infatti trovo che questo piccolo commerciante borghese con tutti i suoi limiti ed anche con qualche pregio mi assomiglia in tante cose, assomiglia all’uomo di oggi

Zaccheo era un benestante, un arricchito con metodi non troppo onesti (lo ammetterà lui stesso), un "arrivato" come dicono oggi molti (ma "arrivato" a che cosa?). Molti oggi si accontentano di questo: quattro soldi conquistati da tenere ben stretti, quel ruolo pubblico di onore e di potere che crea qualche invidia negli altri e ti fa sentire pago, il poter indulgere alle mode per essere "a la page"…

Zaccheo ha tutto questo, ma nel momento in cui giunge al traguardo del guadagno, del benessere assicurato, scopre di essere ancora un infelice: è ricco, ma questo non gli dà le risposte ai misteri della vita, della gioia, della sofferenza e della morte, Ha raggiunto il suo scopo, ma ora capisce che lo scopo della vita era un altro, ha creato invidie attorno a sè ma avrebbe bisogno di amore, può guardare dall’alto al basso i suoi subalterni ma non riesce mai a scoprire uno sguardo di amore per lui, al massimo se c’è è lo sguardo di chi mira ai suoi soldi, non a lui.

Mi piace questo Zaccheo turbato, alla ricerca, non sazio. Spero e chiedo al Signore di aiutarmi ad essere così, a non sedermi mai sul mio mucchietto di letame e a sentirmene pago. Spero che il Signore ci scuota quando ci stiamo addormentando nelle apparenze, quando ci accontentiamo magari anche di una religione che ha una facile risposta per tutti i problemi ma che non ti coinvolge più.

Il grande merito di Zaccheo è quello di mettere in discussione se stesso, è cercare ancora con caparbietà, è essere attento a quello che gli succede intorno per ricercare in tutto e dappertutto la sua strada.

Ha sentito parlare di Gesù e adesso vuole vederlo.

Forse anche noi vorremmo vederlo Gesù, incontrarlo, parlargli, o anche solo capire qualcosa di più di lui. In teoria non dovrebbe essere così perché noi che portiamo il suo nome dovremmo già averlo incontrato più volte nel cammino della nostra vita, dovremmo essere addirittura suoi testimoni, ma è pur certo che Lui è Dio e noi poveri uomini, che Lui è la Sapienza, la Verità e noi invece brancoliamo più o meno al buio…

Si, nonostante ne abbia sentito parlare, ho bisogno di incontrare Gesù! La gente, specialmente i ‘suoi’ dovrebbero aiutarmi ad incontrarlo e invece essi mi si parano davanti, mi fanno da schermo e la mia piccolezza non mi permette, neanche saltellando sulle punte, di poterlo vedere.

Quante volte i credenti dovrebbero aiutare ad incontrare Gesù e invece gli fanno da paravento. Vedi spesso in giro certe imitazioni di Gesù che non hanno quasi più nulla dell’originale, volti che dovrebbero far intravedere la sua gioia che invece sono maschere di pietra, musi tirati, occhi indagatori, cipigli alteri, nasi adunchi come le mani che invece di donare si chiudono sul proprio e sull’altrui, dita puntate per condannare, non braccia aperte per accogliere ma sgraziati segnali di divieto di accesso, muri di schiene che si deridono della tua piccolezza, personaggi gonfi di sè che occupano tutti gli spiragli…E allora può venire la delusione: "Sa, io non credo, non per Gesù Cristo, ma per i cristiani, per la chiesa…". Non è giusto, è una scusa ma purtroppo tante volte succede proprio così.

Zaccheo non si arrende, Zaccheo dimostra di essere uomo di fantasia e di azione: "Non mi permettono di vedere Gesù, la natura mi ha pure dato l’impedimento della piccolezza, ebbene, non mi arrendo, non mi piango addosso, supero l’ostacolo da un'altra parte, salgo su una pianta!".

Quando qualcosa ti sta veramente a cuore non sei disposto a tutto per essa?

"Vadano a quel paese quelli che puntando il dito diranno che il sicomoro oggi ha fatto un frutto strano: il capo dei pubblicani!". Zaccheo non ha paura di perdere la faccia, vuole solo arrivare al suo scopo.

E finalmente arriva per Zaccheo (e anche per me e per te se abbiamo perseveranza, coraggio, fantasia) l’ora straordinaria in cui Dio passa accanto.

E Zaccheo si accorge che prima ancora che essere lui a cercare Gesù è Gesù che cerca lui. Gesù sta andando '‘decisamente'’ verso la sua sorte, ma non vuole arrivare a Gerusalemme a mani vuote, è venuto per salvare e Zaccheo, gli sta a cuore. E anche Gesù, scandalizzando i benpensanti e i religiosi che lo avrebbero voluto a casa loro per onore e per dotte dispute religiose, si invita a casa del capo dei pubblicani, a casa di un incallito e riconosciuto peccatore, collaborazionista con i romani, ladro, reietto dalla religione che chiedeva di non contaminarsi con personaggi di questa fatta.

Quel Gesù fa ancora oggi le stesse scelte di allora: egli lascia le novantanove pecorelle che sono o si credono salve, a lui interessa il peccatore.

Cristo più facilmente lo trovi vicino ai peccatori, sui bordi delle strade, in mezzo ai poveri che non a casa dei religiosi troppo tronfi di sé, o dei vari cavalieri di sante croci o di monsignori impomatati e fasciati con i colori di una chiesa che dice di rendere lode a Dio mentre esalta solo se stessa..

Gesù entra nella casa di Zaccheo.

Noi glielo vorremmo impedire, vorremmo consigliargli di essere più prudente, di non compromettersi con quelli che hanno il potere e che possono sempre farla pagare; siamo persino pronti a ricattarlo: "Guarda che un gesto del genere ti farà perdere tante persone per bene, tanti amici che potrebbero dare una mano alla tua buona causa".

Cristo va a casa di Zaccheo e se non entriamo anche noi in quella casa egli ci lascia fuori, sulla strada.

E in quella casa entra la grazia.

Zaccheo con la sua ricerca, con il suo coraggio e fantasia aveva aperto la porta a Gesù e Gesù ora lo ricolma di se stesso e del perdono di Dio e il peccatore diventa maestro dei credenti.

Zaccheo ha capito il dono di Dio, ha capito che cosa significa che Gesù abbia scelto Lui, la sua casa, che il Maestro per amor suo si è fatto ‘peccatore’, ha capito la redenzione gratuita e allora ecco con gioia la sua decisione: "Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato qualcuno gli restituisco quattro volte tanto" è come se dicesse serenamente : "Ho trovato quello che cercavo, quello che conta nella vita, di tutto il resto che mi importa?".

Chi sa come mai a noi certe decisioni costano tanto? Come mai siamo così attaccati alle nostre cose? Come mai cerchiamo tutte le scuse per non dare ("intanto i poveri hanno più soldi di noi, intanto quelle organizzazioni benefiche ci mangiano sopra…), Come mai facciamo così fatica a seguire Gesù nella casa di un pubblicano? Come mai è così difficile provare delle gioie profonde?

Lasciamo che quel piccoletto di Zaccheo, pubblicano che con gioia ha cambiato vita sia ancora oggi per noi una provocazione che ci permetta di vedere Gesù, di lasciarci guardare dal suo sguardo misericordioso e che permetta a noi e a Lui di gioire perché "Oggi la salvezza è entrata anche nella tua casa e il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto".

 

 

Lunedì 5 Novembre 2001

SANTI ELISABETTA E ZACCARIA

Parola di Dio: Rm. 11, 30-36; Sal. 68; Lc. 14, 12-14

 

"QUANDO DAI UN BANCHETTO, INVITA POVERI, STORPI, CIECHI, E SARAI BEATO PERCHÉ NON HANNO DA RICAMBIARTI". (Lc. 14,13)

Potremmo intitolare la parabola di oggi: "Il calcolo e l’amore", e questo titolo si presta, secondo le intenzioni di Gesù, a diverse applicazioni.

Se nella tua vita tutto è legato al calcolo, al dare per avere, prima o poi ti accorgerai che i conti non tornano: per i soldi basta un nonnulla, una piccola operazione di borsa sbagliata perché i tuoi piani vadano in fumo; per una vita affettiva basata sul dare e sull’avere, oltre che essere la vera morte dei sentimenti, basta un nonnulla a cui si crede di avere diritto che non viene dato, che subito si crea l’occasione per distruggere il tutto; nella vita dei rapporti con gli altri le regole del "do ut des" spesso non vengono rispettate perché trovi sempre chi vuol fare ‘il furbo’, e se per caso vuoi applicare questa regola alla vita della fede, ti accorgi della tua grettezza: prego perché così Dio mi protegge, faccio la carità così che Dio mi premi perché sono stato buono.

Gesù ci invita ad amare perché è bello amare. Lui non ha forse fatto così? Ha offerto la sua vita perché eravamo buoni? Ci dà l’Eucaristia perché sa che siamo santi? Ci perdona perché è sicuro che non peccheremo più? Gesù ci ama perché è amore.

Il Vangelo, proprio perché parte dall’amore concreto di Dio per gli uomini, oltre che ad indicarci norme di vita morale, racchiude indicazioni preziosissime di vita pratica. Noi, nella vita vorremmo incontrare sempre la riconoscenza del prossimo che pensiamo di aver beneficato e soffriamo enormemente a causa dell’ingratitudine: hai aiutato una persona? almeno ti dicesse grazie! Hai imprestato dei soldi? non solo non li hai più visti, ma è anche sparito l’amico... E l’ingratitudine ti amareggia, ti arrovelli sui perché, diventi pessimista, cominci a pensare che non vale far del bene.

Gesù, in pratica, ci dice: se ti aspetti qualcosa di immediato dal bene che hai fatto, non potrai che essere deluso in tutto o in parte, e allora? Impara a fare il bene perché è bene, non aspettarti nulla dagli uomini, sii contento di te stesso perché hai agito con coscienza e con carità e... "il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà".

 

 

Martedì 6 Novembre 2001

SAN LEONARDO

Parola di Dio: Rm. 12, 5-16; Sal. 130; Lc. 14, 15-24

 

"BEATO CHI MANGERA’ IL PANE NEL REGNO DI DIO". (Lc. 14,15)

Ad un commensale di Gesù quasi scappa di bocca questa esclamazione, questo desiderio: "Che bello poter essere commensali di Dio per sempre". Quante volte anche noi, pensando al nostro futuro ci auguriamo la beatitudine eterna! Facciamo bene; è la nostra meta. Ma Gesù, raccontando la parabola degli invitati alle nozze che con delle scuse declinano l’invito, ci mette in guardia. E’ in questa vita che ci viene fatto l’invito per l’eternità. Dio ha mandato Gesù a farci questo invito. Ma esso, spesso, non trova accoglienza e le scuse ci sono sempre: "Ho tanto da fare; devo curare i miei interessi; non ho tempo.. .".

Da una parte desideriamo il paradiso e poi quando ci viene data l’opportunità per accogliere Colui che ce ne apre le porte, nicchiamo, abbiamo sempre troppe altre cose da fare, sembra quasi che pensiamo che per accogliere Gesù dobbiamo rinunciare a tutto il resto. Ma l’invito di Gesù non è perché noi disprezziamo le sue creature, e ancor meno l’amore e gli affetti umani. Egli ci chiede solo che queste realtà create non diventino un ostacolo nel nostro cammino verso di Lui. Queste realtà sono fatte per rivelarci il Creatore, che in esse e al di là di esse rimane l’unica vera fonte della nostra felicità.

La stessa cosa vale per l’Eucarestia: "Beati gli invitati alla mensa del Signore" e noi spesso rinunciamo alla Messa perché "non ho tempo, non ho voglia, e poi c’è un prete talmente noioso…", oppure non andiamo a fare la comunione perché "non mi sento, non ho voglia di confessarmi… perché poi bisogna impegnarsi!". Gesù non ci forza, ma se i nostri no continuano, Egli, rispettando le nostre scelte, ci lascia a noi stessi e si rivolge ad altri.

 

 

Mercoledì 7 Novembre 2001

SAN VINCENZO GROSSI; SANT’ERNESTO

Parola di Dio: Rm. 13, 8-10; Sal. 111; Lc. 14, 25-33

 

"CHI NON PORTA LA SUA CROCE E NON VIENE DIETRO DI ME NON PUO’ ESSERE MIO DISCEPOLO". (Lc. 14,26)

"Caro don Franco, leggo volentieri le sue "Schegge" e l’ammiro per il suo tentativo di vedere la realtà sempre con ottimismo, di presentare la fede sempre come una buona notizia che non umilia i valori della vita…Ma è proprio così? Secondo me il Vangelo è una tragedia: un uomo buono (o per chi ci crede, addirittura il Figlio di Dio) che finisce in croce, uno che viene a salvarci (ma da che cosa?), uno che avrebbe il potere di liberarci da tante croci (che chissà poi perché devono esserci se Dio ci vuole bene?) e che sulla croce ci finisce Lui. Ma è una tragedia anche per noi perché dobbiamo perdonare sempre, perché dobbiamo umiliarci, perché tutto quello che nella vita può essere fonte di gioia deve passare attraverso la rinuncia… A me sembra che il Vangelo invece di essere una buona notizia sia il ricordarci una realtà già troppo ben conosciuta: la vita è una croce. Al massimo, per chi ci crede, c’è la speranza che nell’aldilà, quel Dio finalmente sazio delle nostre sofferenze, ci tratti un po’ meglio…".

Rispetto profondamente chi, con sincerità, ha scritto queste righe e tutti quelli che sono passati e passano attraverso questi dubbi e interrogativi. Li rispetto ancora di più quando so che nella loro vita non parlano di una croce più o meno ipotetica, ma che di croci ne hanno portate e ne stanno portando di veramente grosse, scomode, avvilenti. Non ho certamente la pretesa di rispondere a tutti questi interrogativi ma penso che Gesù quando è venuto, quando ha accettato fino alla fine la nostra realtà di gioia e di sofferenza, quando ci ha ricordato le croci, quando è salito sulla croce, lo abbia fatto per essere solidale con noi e per aiutarci a vincere la croce con la fede. Anch’io non credo in un Dio che voglia la sofferenza di suo Figlio o dei suoi figli per poterli poi o premiare o condannare, credo in un Dio che ci lascia liberi di scegliere di vivere nella tragedia senza speranza o, con il suo aiuto e il suo esempio, di trasformare la tragedia con la speranza. In fondo sono proprio le croci fisiche o morali che ci possono permettere di credere che il male non abbia la vittoria finale, che Dio ci sia e sia buono nonostante la sua apparente assenza. La cosa che auguro a chi mi ha scritto, a me stesso, e a tutti coloro che hanno dubbi e faticano sotto il peso delle croci è quella di far la stessa esperienza che fece un santo eremita che, dopo anni di vita stentata di penitenza e di preghiera nel deserto, pregava così:

"O Dio tu mi hai ingannato! Pensavo di trovare alla tua sequela croci pesanti da portare e giorni di penitenza da soffrire, e ne ho trovate tante di queste croci, ma ho anche trovato Te e allora anche le croci sono diventate cammino con Te e non provo che la gioia più viva e la consolazione più dolce".

 

 

Giovedì 8 Novembre 2001

SAN GOFFREDO

Parola di Dio: Rm. 14, 7-12; Sal. 26; Lc. 15, 1-10

 

"I FARISEI E GLI SCRIBI MORMORAVANO: COSTUI RICEVE I PECCATORI E MANGIA CON LORO". (Lc. 15,2)

Spero di non scandalizzare nessuno, ma se lo farò credo di essere in buona compagnia perché anche Gesù scandalizzava certi personaggi di allora. Voglio provare a raccontare la parabola della pecorella smarrita in un altro modo. Spero che questo ci aiuti a riflettere.

Un pastore, la sera, riportava a casa il suo gregge e ad un certo punto si accorse che c’era qualcosa che non andava: le pecore le conosceva tutte, una per una, ma ora che le vedeva sfilare all’ingresso dell’ovile si accorse che ne mancava una. Si disse: "E’ possibile che io sia stato così sbadato da non essermi accorto della sua mancanza?", poi, guardando le altre pecore si disse ancora: "Ed è possibile che queste novantanove non si siano accorte della pecora scomparsa, è possibile che pensino solo a brucare, a camminare con la testa bassa al punto di non accorgersi che una loro compagna ha preferito andarsene?". Chiuse la porta dell’ovile e con animo seriamente preoccupato, ma anche con un po’ di speranza si mise sulla traccia della perduta.

Quando la ritrovò, la pecorella era impigliata in mezzo ai rovi e belava, aveva freddo, tremava forse anche di paura, ma quando si avvicinò per prenderla ebbe ancora un fremito di paura e un movimento di ribellione per quelle mani che la districavano dai rovi, ma poi quando fu sulle sue spalle si calmò e si sentì al sicuro. Mentre tornava, stanco ma felice, il pastore pensava: "Sarà più felice questa pecorella o le altre novantanove?".

Mi chiedo: Gesù è contento dei 99 dell‘ovile? o qualche volta non c’è il rischio che il Signore che torna con la pecorella perduta sulle spalle debba mettersi le mani nei capelli guardando un ovile dove non c’è unità, dove le pecore si sono tramutate in lupi che si azzannano tra loro, dove ci sono pecore - leader con tante pecore che a testa bassa vanno dietro a coloro che ormai pensano di fare a meno del Pastore? Dove le novantanove sono indifferenti al fatto che la centesima è stata riportata a casa?

Chissà, se Gesù, buon Pastore, qualche volta non avrà pensato: "Ma, non saranno più perdute queste, piuttosto di quella che si è lasciata riprendere dopo essere scappata sui monti?".

 

 

Venerdì 9 Novembre 2001

DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE

Parola di Dio: 1Re 8,22-23.27-30 (1Pt. 2,4-9); Sal. 94; Gv. 4,19-24

 

"E’ GIUNTO IL MOMENTO, ED E’ QUESTO, IN CUI I VERI ADORATORI ADORERANNO IL PADRE IN SPIRITO E VERITA’ ".

(Gv. 4,23)

Mi piace essere sincero e quindi dico che celebrazioni come quella di oggi per ricordare il giorno della consacrazione di una grande Chiesa di Roma, non mi hanno mai commosso molto. Certo una Basilica come quella Lateranense mi ricorda la fede di tanti uomini che l’hanno voluta, l’hanno costruita, vi hanno pregato, mi ricorda che il mio essere cristiano deve essere in comunione con la fede di tanti altri, sotto la guida del Vicario di Cristo, ma, onestamente pensare a quei marmi che con la scusa di onorare Dio tante volte hanno anche nascosto tante mire di potere terreno, non mi aiutano più di tanto nel cammino della fede, tanto più meditando le parole che Gesù, nel Vangelo di oggi, dice alla Samaritana.

Gesù, dicendo che dobbiamo adorare Dio in Spirito e Verità non voleva escludere il valore del tempio, del luogo dove pregare: lui stesso andava ogni sabato alla preghiera nella sinagoga e nelle grandi feste si recava al Tempio di Gerusalemme. Gesù voleva indicarci il modo valido di incontrare Dio in ogni momento, sia nel quotidiano, sia quando andiamo in chiesa. Dio è ovunque, in Lui "viviamo, ci muoviamo, siamo". Dio lo trovi nel profondo del tuo cuore, Dio lo puoi incontrare adesso che stai leggendo questa pagina; oggi, facendo la spesa come in ufficio, domenica partecipando con i tuoi fratelli all’Eucarestia di Gesù. Dio è libero, non è prigioniero di nessuno e di nessuna istituzione, neanche religiosa. L’importante, però, è essere disponibili a cercarlo, a vederlo, a incontrarlo.

 

 

Sabato 10 Novembre 2001

SAN LEONE MAGNO, Papa e Dottore della Chiesa

Parola di Dio: Rm. 16, 3-9.16.22-27; Sal. 144; Lc. 16, 9-15

 

"DIO CONOSCE I VOSTRI CUORI". (Lc. 16,15)

Questa frase di Gesù può spaventarci o riempire il cuore di speranza e di tenerezza. Può spaventarci se siamo falsi, ipocriti, insinceri. Possiamo nasconderci davanti agli uomini, farci apparire diversi da quello che siamo, falsare la realtà, in certi casi possiamo perfino cercare di ingannare noi stessi, ma Lui conosce il cuore, le intenzioni e "tutto quello che dite nel segreto sarà conosciuto da tutti".

Ma Dio conosce anche che, nonostante la mia poca buona volontà, gli voglio bene, che anche se spesso cado nel giudizio del mio prossimo, non vorrei mai vederlo soffrire, che nonostante il caratteraccio che mi ritrovo vorrei sempre essere in pace con tutti, che tante volte mi lascio condizionare dagli avvenimenti ma nello stesso tempo vorrei essere capace di amare tutti in ogni situazione.

Un vecchio si guadagnava da vivere vendendo cianfrusaglie varie. La gente lo considerava un po’ stupido perché talvolta lo si pagava con monete false e lui le accettava senza protestare, oppure gli si diceva di aver pagato quando non era vero e il vecchio si fidava sulla parola.

Sul letto di agonia pregò Dio così: "O Signore, ho accettato tante monete false dalla gente, ma non ho mai potuto giudicarla nel mio cuore; mi sono limitato a pensare che non si rendevano conto di quello che facevano. Anch’io sono una moneta senza valore, ti prego, non giudicarmi!". Si udì una voce celeste che disse: "Com’è possibile giudicare qualcuno che non ha giudicato gli altri?".

 

 

Domenica 11 Novembre 2001

XXXII^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  -  SAN MARTINO DI TOURS, Vescovo

Parola di Dio: 2 Mac. 7, 1-2. 9-14; Sal. 16; 2Ts. 2, 16 - 3, 5; Lc. 20, 27-38

 

1^ Lettura (2 Mac. 7, 1-2. 9-14)

Dal secondo libro dei Maccabei.

In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re a forza di flagelli e nerbate a cibarsi di carni suine proibite. Il primo di essi, facendosi interprete di tutti, disse: "Che cosa cerchi di indagare o sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le patrie leggi". Allora il re irritato comandò di mettere al fuoco padelle e caldaie. Diventate queste subito roventi, il re comandò di tagliare la lingua, di scorticare e tagliare le estremità a quello che era stato loro portavoce, sotto gli occhi degli altri fratelli e della madre. Quando quegli fu mutilato di tutte le membra, comandò di accostarlo al fuoco e di arrostirlo mentre era ancora vivo. Mentre il fumo si spandeva largamente all'intorno della padella, gli altri si esortavano a vicenda con la loro madre a morire da forti, esclamando: "Il Signore Dio ci vede dall'alto e in tutta verità ci da  conforto, precisamente come dichiarò Mosè nel canto della protesta: Egli si muoverà a compassione dei suoi servi". Venuto meno il primo, in egual modo traevano allo scherno il secondo e, strappatagli la pelle del capo con i capelli, gli domandavano: "Sei disposto a mangiare, prima che il tuo corpo venga straziato in ogni suo membro?". Egli rispondendo nella lingua paterna protestava: "No". Perciò anch'egli si ebbe gli stessi tormenti del primo. Giunto all'ultimo respiro, disse: "Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna". Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani e disse dignitosamente: "Da Dio ho queste membra e, per le sue leggi, le disprezzo, ma da lui spero di riaverle di nuovo"; così lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza del giovinetto, che non teneva in nessun conto le torture. Fatto morire anche costui, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: "É bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l'adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te la risurrezione non sarà per la vita".

 

2^ Lettura (2 Ts. 2, 16 - 3, 5)

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi.

Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore si diffonda e sia glorificata come lo è anche tra voi e veniamo liberati dagli uomini perversi e malvagi. Non di tutti infatti è la fede. Ma il Signore è fedele; egli vi confermerà e vi custodirà dal maligno.E riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore, che quanto vi ordiniamo già lo facciate e continuiate a farlo. Il Signore diriga i vostri cuori nell'amore di Dio e nella pazienza di Cristo.

 

Vangelo (Lc 20, 27- 38)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, si avvicinarono poi alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e posero a Gesù questa domanda: "Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie". Gesù rispose: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui".

 

RIFLESSIONE

 

La letture di oggi ci ripropongono e ci aiutano a far luce su uno dei temi che maggiormente ci attraggono, ci incuriosiscono, ci dividono: è il tema della resurrezione, della vita dopo la morte, dell’aldilà.

Oggi, come ieri, gli uomini si sono divisi in coloro che dicono che tutto quello che ci spetta sono gli anni della vita terrena, e coloro che in mille modi diversi pensano ci sia un'altra vita dopo la morte. Questo, chiaramente coinvolge il modo di vivere quotidiano, da chi si preoccupa quasi esclusivamente del benessere terreno, a chi dice che la vita devi spremerla al massimo per ottenere da essa tutto quello che ti può soddisfare, da chi giustifica quindi che il benessere mio è un valore superiore anche ai diritti degli altri, fino a chi in vista della vita futura si dimentica del dono presente e arriva a disprezzare cose, tempo, corporalità.

Prima di tutto non stupiamoci di questo: già gli uomini della Bibbia (il libro della rivelazione di Dio) avevano visioni molto diverse su questo argomento. In pratica, fino a pochi secoli prima della venuta di Gesù, essi credevano che la vita terrena fosse l’unico dono dato agli uomini e che tutto si risolvesse nella materialità. Qualcuno parlava di un mondo di nebbia e di tenebre (lo scheol) in cui c’era una certa sopravvivenza delle anime dei defunti, ma era una visone talmente vaga e poco allettante che non attirava nessuno. Ma poco per volta il popolo, specialmente in momenti di prova, (come ci ha testimoniato la prima lettura raccontandoci il martirio dei fratelli Maccabei), proprio partendo dalla propria fede era arrivato a credere ad una vita dell’aldilà. In fondo i ragionamenti erano abbastanza semplici: Dio è fedele alle sue promesse e se esse non si realizzano nel tempo della vita terrena perché in esso c’è la persecuzione ed anche la morte del giusto, ci sarà un aldilà in cui Dio realizzerà il suo pieno rapporto con il fedele, come ci sarà pure una giustizia divina che colpirà chi ha operato ingiustamente.

Anche all’epoca di Gesù, l’aldilà e la risurrezione erano tra i temi più dibattuti. Il popolo e i farisei credevano fermamente alla vita eterna mentre i nobili sadducei riducevano tutto alla vita terrena. Ecco perché sono proprio questi sadducei che si rivolgono a Gesù con aria di beffa proponendo una caso estremamente improbabile: una donna dopo aver perso il marito viene sposata per la legge del Levirato (cioè per dare discendenza ad ogni costo al parente morto), uno dopo l’altro dagli altri sei fratelli del morto che non hanno più fortuna del primo e muoiono tutti. "Questi sette fratelli nell’aldilà – dicono beffardamente i sadducei – dovranno lottare tra di loro per avere la moglie, oppure si accontenteranno tutti della stessa?" "O -potremmo aggiungere noi con altrettanta ironia - se ne staranno tutti alla larga da essa visto il risultato precedente?"

Chiaramente Gesù non abbocca a questo tipo di domanda già inficiato in partenza, ma approfitta dell’occasione per dirci alcune cose chiare sulla risurrezione e sull’aldilà. Fermiamoci un momento ad esaminare le parole di Gesù, anche perché non sono molto facili e spesso si è rischiato e si rischia di non capirle nel loro vero senso.

Partiamo da noi. Quante domande abbiamo sull’argomento! Provo ad enumerane alcune:

Tutto sembra dire che la vita finisce con la morte; non è un ultimo tentativo di illusione credere a qualcosa di cui abbiamo così poche prove concrete?

Se è vero il principio che in natura nulla si crea e nulla si distrugge potremo anche credere ad un proseguio di vita, ma non certamente ad una risurrezione dei corpi.

Se c’è un'altra vita come sarà? Sarà una trasmigrazione di anime in copie di vita simili alla presente? Con quale corpo risorgeremo con quello dell’età in cui siamo morti o con quello della pienezza della giovinezza? Gli affetti e i sentimenti ci saranno ancora? Ritroverò i miei morti? Saremo puri spiriti? Non ci sarà forse da stancarsi in un paradiso fatto solo di contemplazione di Dio?…

Gesù non risponde alle nostre curiosità. Gesù ci propone di credere all’aldilà, non di immaginarcelo e nemmeno azzardarci a descriverlo.

Gesù ci da la gioia di poter credere a questa realtà sulla sua parola e sull’esempio di quanto successo a Lui, non viene a spiegarci per filo e per segno un mistero. Ogni immagine che io posso farmi dell’altra vita non è altro che una proiezione di esperienze passate e di desideri legati ad esse. Ho bisogno di un Dante che mi descriva un "noioso" paradiso o posso fidarmi della fantasia di Dio? Quindi smettiamola con questi salotti sull’aldilà, su morti che vengono a descrivercelo, su fiamme troppo brucianti o su paradisi troppo artificiali.

Paolo ci ha ricordato che "Dio è fedele", e questo dovrebbe bastarci: la fedeltà di Dio non è a tempo limitato, ma è per sempre e la mia fede sulla risurrezione si basa allora sul "Dio amante della vita" che, come ci ha detto Gesù, è "il Dio dei vivi e non dei morti". Qui è proprio il concetto che cambia: non c’è un Dio della vita terrena, del tempo, un Dio che si diverte a metterci alla prova, un Padre - padrone che gioca con noi al gatto e al topo per poterci poi premiare o castigare con qualcosa in una visione di un altro Dio, dopo la morte. Dio è sempre lo stesso fedele ora e fedele per sempre, oserei dire che se esiste la morte, non esistono "i morti" perché Dio è per tutti il Dio della vita. Ecco allora che, invece di contrapporsi, vita terrena e vita eterna fanno entrambe parte di quel filo di amore che Dio ha intessuto fin dall’eternità e per l’eternità con ciascuno di noi. Questo dovrebbe riempirci di gioia e bastarci. Ma se vogliamo ancora stare alle parole di Gesù abbiamo ancora altre indicazioni sull’aldilà. Esso non sarà una ripetizione in altro formato della attuale vita terrena ma un compimento di essa.

Ma allora i nostri morti li rivedremo? Ci saranno ancora i nostri affetti per cui tanto abbiamo gioito e lottato su questa terra? Gesù dice chiaramente di sì: la vita terrena non solo non sarà cancellata, ma ne porteremo traccia per l’eternità, i sentimenti non solo non spariranno ma saranno esaltati e portati a compimento. Lo stesso giudizio di Dio non sarà altro che una conferma delle scelte fatte già nel cammino terreno.

Gesù, quando dice : "Non ci saranno ne moglie né marito" non intende dire che non ci conosceremo più, che i nostri interessi saranno altri, ma che il nostro rapporto sarà privo di possessività, privo di egoismo che spesso in questa terra rende difficile la vita anche tra le persone che maggiormente si vogliono bene.

D’altra parte se vogliamo un esempio concreto guardiamo a Gesù risorto.

Gesù risorto ha tutti i segni della vita precedente, gli apostoli vedono la su fisionomia, vedono in lui le tracce della sua passione, possono toccare le sue ferite, vedono la sua concretezza perché cucina e mangia con loro, ma nello stesso lo vedono glorioso, lo riconoscono per i suoi segni, appare e sparisce, sta contemporaneamente il luoghi diversa, entra nel cenacolo a porte chiuse. Ecco, Gesù, il risorto è colui che continua la sua vita concreta dopo la morte, continua la sua missione, è reale e concreto, ma è anche diverso. I segni della passione ci sono e ci saranno per sempre, ma sono gloriosi, la sua presenza si dilata al di là dello spazio e del tempo. E se volete anche l’Eucaristia è segno di questa vita eterna, vera, concreta, toccabile, mangiabile, ma anche eterna, misteriosa, gioiosa. E per di più proprio Gesù ci ha detto a questo proposito: "Chi mangia questo pane vivrà per sempre".

Allora davvero possiamo dire:

"Grazie Gesù, perché il nostro cuore si riempie di gioia al pensiero della tua fedeltà e del tuo amore eterno.

Grazie, perché pensare all’aldilà, invece che disaffezionarci al nostro tempo ce lo fa valutare in pieno.

Grazie per la speranza e la forza che ci viene quando passiamo attraverso le prove e le sofferenze.

Grazie perché fin da adesso in Te siamo certi che il nostro rapporto con i fratelli defunti continua.

Grazie, perché se ci scopriamo fragili, deboli e peccatore, con Te possiamo anche pensarci perdonati, e felici per sempre."

 

 

Lunedì 12 Novembre 2001

SAN GIOSAFAT, Vescovo e Martire; SAN RENATO; SANT’AURELIO

Parola di Dio: Sap. 1, 1-7; Sal. 138; Lc. 17, 1-6

 

"E’ INEVITABILE CHE AVVENGANO GLI SCANDALI, MA GUAI A COLUI PER IL QUALE AVVENGONO. STATE ATTENTI A VOI STESSI". (Lc. 17,1.3)

"Dare scandalo". Oggi sembra che vi facciamo molto meno caso di tempi andati. Ce ne sono talmente tanti di scandali: scandali della politica, dell’economia, dei ricchi, del sesso propinato in tutti i modi, degli egoismi… Al massimo davanti agli scandali si ha un moto di stizza: "E’ possibile che vada sempre bene agli altri e mai a me?". Ci siamo abituati anche agli scandali e, quello che è peggio, spesso non ci accorgiamo neanche degli scandali che noi stessi diamo. Non è uno scandalo che nel nome della religione ci si divida, ci si odi? Non è uno scandalo che sulla terra siano ricchi i cosiddetti "paesi cristiani" mentre ci sono milioni di uomini che stentano a vivere? Non sono forse persona di ‘scandalo’ quando propongo ai miei figli solo i valori del denaro, del successo, del potere? Non continuo ad ingrandire lo scandalo quando mi accodo a mentalità comuni, quando rubo quel poco perché intanto tutti lo fanno, quando ‘parlo male’ perché è di moda.. e poi che male fa?

Gesù ha perfettamente ragione quando ci dice: "State attenti a voi stessi" perché la cosa più facile oggi, è vivere senza un senso, senza sapere che cosa sia bene e male, vivere cullati da luoghi comuni senza sforzare il cervello, vivere senza gustare la vita con i suoi chiari e scuri, con le sue gioie, i suoi misteri e le sue pene.

Gesù ci invita a svegliarci e a stare in guardia: il migliore amico e il peggior nemico che abbiamo siamo noi stessi. infatti in noi sta il bene e il male; il dono prezioso e terribile della libertà ci mette nella situazione di poter indirizzare in un modo o in un altro tutta la nostra vita.

Se abbiamo il coraggio di affidare la nostra libertà alle mani del Signore e della sua legge, siamo sicuri che Lui, il Dio della vita e dell’amore, farà emergere in noi solo il suo bene; se ci affidiamo al nostro orgoglio e ai nostri interessi, da noi uscirà il male che ucciderà la nostra vita e avvelenerà quella degli altri.

 

 

Martedì 13 Novembre 2001

SAN OMOBONO; SAN DIEGO

Parola di Dio: Sap. 2, 23 - 3, 9; Sal. 33; Lc. 17, 7-10

 

"QUANDO AVRETE FATTO TUTTO QUELLO CHE VI E’ STATO ORDINATO, DITE: ABBIAMO FATTO QUANTO DOVEVAMO FARE ". (Lc. 17,10)

Ci sono dei momenti in cui è facile sentirsi "servi inutili", quando scopriamo il nostro essere peccatori, le nostre incapacità o quando collezioniamo insuccessi nel campo dei rapporti umani o della testimonianza, ma ci sono anche momenti in cui ci sentiamo buoni, ci sembra di aver fatto tutto bene, pensiamo di aver dato buona testimonianza. Ed è proprio in questi ultimi momenti che rischiamo di inorgoglirci, di pensare di poter accampare diritti nei confronti di Dio. Ad esempio, in certe riunioni di cristiani o di preti, o anche in certi "sinodi", capita di sentire certi credenti che dicono: "Lasciate fare a me e vedrete come vi organizzo la Chiesa!". E’ la solita tentazione del servo che, con il passare del tempo, si dimentica di essere servo e comincia a sentirsi lui padrone. Ci sono poi persone che pensano di fare cose eccezionali solo perché fanno il loro dovere. Ci sono dei cristiani che in parrocchia, perché muovono un po’ l’aria con le tante parole che dicono, pensano di aver salvato parroco, parrocchia e mondo intero. Gesù ci ridimensiona. Siamo servi, anzi amici, che hanno il compito di lasciare che il Regno cresca e di collaborarvi e per questo dobbiamo impegnare i talenti ricevuti. Ma non sta a noi metterci al posto di Dio. Posso e devo cercare tutti i modi pastorali perché il Regno sia annunciato ma alla fine devo sempre avere la consapevolezza che è Dio che salva gratuitamente quando e come vuole. Se sono consapevole della mia importanza nel cuore di Gesù ma anche della mia inutilità di servo, quanto abbandono fiducioso a Dio in più, e quante preoccupazioni inutili in meno.

 

 

Mercoledì 14 Novembre 2001

SAN GIOCONDO

Parola di Dio: Sap. 6, 1-11; Sal. 81; Lc. 17, 11-19

 

"NON SI E’ TROVATO CHI TORNASSE A RENDER GLORIA A DIO, ALL’INFUORI DI QUESTO STRANIERO?". (Lc. 17,18)

Nella nostra "cultura" dell’utilitarismo ci sono delle cose che possono sembrarci inutili, ad esempio dire a Dio: "Quanto sei grande". Lui lo sa già. Se anche glielo dico, di certo non accresco la sua grandezza. O anche dire: "Grazie". In fondo tutto mi è dovuto.

I nove lebbrosi avevano chiesto la grazia, l’hanno ottenuta. Adesso hanno da pensare al loro reinserimento nella società, devono pensare a come poter riprendere i loro affari dopo il periodo forzato di esclusione da essi. Tornare indietro a dir grazie è una perdita di tempo. Meno male che ce n’è uno che ha ancora il "gusto dell’inutile" ma il senso della gioia che diventa grazie e lode. Ed è proprio questo "inutile" che lo apre ad un’altra grazia, quella fondamentale per la quale Gesù ha fatto il miracolo: la fede.

Come è difficile provare gratitudine in questo mondo duro ed egoista in cui viviamo. Tutto sembra essere comprabile solo da parte di chi ha denaro. Ma esistono beni che restano fuori da ogni valutazione e da ogni tariffa. Con il denaro possiamo procurarci una casa, ma non una famiglia felice; un’assicurazione sulla vita, ma nulla contro il timore della morte; dei tranquillanti ma non la pace interiore; un avvocato, ma non un Salvatore; un posto al cimitero, ma non un posto nel cielo. Ma se è vero che i valori veri non possiamo acquistarli, lo sappiamo che possiamo averli gratuitamente? La salvezza dell’anima, il perdono dei peccati, la pace con Dio, la vita eterna ci sono offerte senza alcun prezzo. Dio non ha prezzi, è totalmente gratuito. E noi, siamo riconoscenti?

 

 

Giovedì 15 Novembre 2001

SAN ALBERTO MAGNO, Vescovo e Dottore della Chiesa

Parola di Dio: Sap. 7, 22 - 8, 1; Sal. 118; Lc. 17, 20-25

 

"IL FIGLIO DELL’UOMO DOVRA’ SOFFRIRE E VENIRE RIPUDIATO DA QUESTA GENERAZIONE". (Lc. 17,25)

Ma perché Gesù deve soffrire? Perché noi dobbiamo soffrire? Ma dov’è la Salvezza se noi soffriamo ancora? Perché Dio che può tutto non ci evita la sofferenza?

Questa estate, dei cari amici mi hanno mandato sul computer questa bellissima storia corredata di splendide fotografie. Le fotografie non posso mandarvele ma la storia sì perché mi sembra accenni qualche risposta alle tante domande che spesso ci facciamo.

Un giorno apparve un piccolo bruco in un bozzolo; un uomo che passava per caso, si mise a guardare la farfalla che, per varie ore, si sforzava di uscire da quel piccolo buco.

Da molto tempo sembrava che essa si fosse arresa ed il buco fosse sempre della stessa dimensione.

Sembrava che la farfalla avesse fatto ormai tutto quello che poteva, e che non avesse più la possibilità di fare nient’altro.

Allora l’uomo decise di aiutare la farfalla: prese un temperino ed aprì il bozzolo. La farfalla uscì immediatamente. Però il suo corpo era piccolo e rattrappito e le sue ali erano poco sviluppate e si muovevano a stento.

L’uomo continuò ad osservare perché sperava che, da un momento all’altro, le ali della farfalla si aprissero e fossero capaci di sostenere il corpo e che essa cominciasse a volare.

Non successe nulla! In quanto la farfalla passò il resto della sua breve esistenza trascinandosi per terra con un corpo rattrappito e con le ali poco sviluppate. Non fu mai capace di volare.

Ciò che quell’uomo, con il suo gesto di gentilezza e con l’intenzione di aiutare non capiva, era che il passare per lo stretto buco del bozzolo era lo sforzo necessario affinché la farfalla potesse trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali, così che esse potessero volare.

Era la forma con la quale Dio la faceva crescere e sviluppare.

A volte lo sforzo è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra vita. Se Dio ci permettesse di vivere la nostra esistenza senza incontrare nessun ostacolo, saremmo limitati. Non potremmo essere così forti come siamo. Non potremmo mai volare.

Vivi la vita senza paura. Affronta tutti gli ostacoli e dimostra che puoi superarli.

 

 

Venerdì 16 Novembre 2001

SANTA GELTRUDE; SANTA MARGHERITA DI SCOZIA

Parola di Dio: Sap. 13, 1-9; Sal. 18; Lc. 17, 26-37

 

"MANGIAVANO, BEVEVANO, COMPRAVANO, VENDEVANO, PIANTAVANO, COSTRUIVANO… COSI’ SARA’ NEL GIORNO IN CUI IL FIGLIO DELL’UOMO SI RIVELERA’ ". (Lc. 17,29-30)

Siamo stati testimoni, anche in questi ultimi tempi di cose che non pensavamo dovessero accadere: in pochi momenti la vita di migliaia di persone è finita. Non c’è forse neppur stato il tempo di accorgersene. Qualcuno nei primi attimi non si è neanche reso conto: "E’ successo qualche guaio, ma non a me, continuiamo il nostro lavoro!" ma poi…

Diciamocelo con sincerità: lo sappiamo che la nostra vita è precaria, che basta un attimo. Lo sappiamo che nel mondo anche oggi migliaia di persone che si sono alzate non termineranno la giornata, sono a rischio i soldati sotto le bombe nemiche come sei a rischio tu sulla tua automobile o tu che stai bene di salute ma che non ti accorgi che dentro di te quel virus, quella cellula, quella vena stanno concludendo il tuo cammino terreno.

E allora? Dobbiamo fare suonare le trombe del giudizio, rivestirci di sacco, cospargerci il capo di cenere?

Non credo che Gesù volesse dirci questo, che volesse terrorizzarci. Gesù voleva e vuole solo svegliarci. Non è che, nascondendo la morte, la si elimini. Il guaio più grosso è che noi, spesso, non ci accorgiamo neanche del dono del tempo che è il momento in cui noi possiamo accogliere i doni di Dio e, donandogli una risposta, anche giocarci la nostra eternità. Gesù, mettendoci in guardia, non fa del terrorismo psicologico o religioso, ci ricorda solo, nella precarietà del nostro vivere, di costruire su qualcosa che duri. Se io so che il mio affannarmi, che il denaro, che il successo non possono comprarmi la vita e se invece capisco di poter già anticipare in tante cose la mia eternità, mi verrà più facile, anche tra le corse della giornata di oggi, fare una scala di valori e imparare anche ad aspettare il "diluvio" non come la fine, ma come il passaggio definitivo all’eterno.

 

 

Sabato 17 Novembre 2001

SANTA ELISABETTA DI UNGHERIA, Religiosa

Parola di Dio: Sap. 18,14-15; 19,6-9; Sal. 104; Lc. 18, 1-8

 

"QUANDO IL FIGLIO DELL’UOMO TORNERA’, TROVERA’ ANCORA LA FEDE SULLA TERRA?". (Lc. 18,8)

Sono davvero misteriose queste parole con cui Gesù conclude la parabola della vedova insistente che, grazie alla sua preghiera, riesce ad ottenere giustizia dal giudice iniquo.

In certi momenti, specialmente davanti al male trionfante, ci viene il dubbio che per la nostra umanità non ci sia scampo, che neppure Dio ce l’abbia fatta, se dopo duemila anni di cristianesimo siamo ancora così barbari. C’è davvero il rischio che l’umanità possa escludere del tutto la fede, che l’amore di Dio, il sacrificio di Gesù, la forza dello Spirito Santo non ce la facciano a conservare almeno un granello di fede?

Non so rispondere per tutta l’umanità e allora guardo dentro di me e scopro la precarietà della mia fede, mi accorgo che spesso il materialismo, il benessere, tendono a farmela dimenticare, che le prove della vita possono rinforzarla o mandarla in crisi. Dunque, c’è la possibilità di perdere la fede! Oppure, rischio ancora più grande si può soffocarla poco per volta, relegandola in angoli sempre più bui, soffocandola per mancanza di preghiera e di carità.

Ma mi accorgo anche che io e l’uomo, se pur avessimo tutto senza una fede, saremmo nulla. Allora penso di poter rispondere alla domanda di Gesù, così:

"Quando tu tornerai, Gesù, certamente in me e nell’umanità non troverai quello che ti saresti aspettato: ti avremo deluso. Eppure nonostante tu sapessi già questo, sei andato lo stesso a morire sulla croce proprio per noi e questo per dirci la tua fiducia in noi. Non sei riuscito a convertire a te l’umanità, ma un ladro pentito lo hai portato in paradiso! Dunque un po’ di fede la troverai ed è proprio su quel granellino che potrai far leva, nella tua misericordia, per poter far cadere ancora su di noi i tuoi doni e, guardando in fondo al nostro cuore, pur non trovando una fede da spostare le montagne, troverai per lo meno quel desiderio, quel bisogno che ti permetterà di amarci per sempre".

 

 

Domenica 18 Novembre 2001

XXXIII^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

DEDICAZIONE DELLE BASILICHE DEI SANTI PIETRO E PAOLO

Parola di Dio: Ml. 3, 19-20; Sal. 97; 2 Ts. 3, 7-12; Lc. 21, 5-19

 

1^ Lettura (Ml 3, 19-20)

Dal libro del profeta Malachia.

Così dice il Signore:

"Ecco, sta per venire il giorno rovente come un forno; allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno venendo li incendierà dice il Signore degli eserciti in modo da non lasciar loro né radice né germoglio. Per voi invece, cultori del mio nome, sorgerà il sole di giustizia".

 

2^ Lettura (2 Ts 3, 7- 12)

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi.

Fratelli, sapete come dovete imitarci: poiché noi non abbiamo vissuto oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darvi noi stessi come esempio da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace.

 

Vangelo (Lc. 21, 5-19)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse: "Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta". Gli domandarono: "Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?". Rispose: "Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: "Sono io" e: "Il tempo è prossimo"; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine". Poi disse loro: "Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Questo vi darà occasione di render testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime".

 

RIFLESSIONE

 

Quando scrivo queste piccole riflessioni è metà del mese settembre, quando voi le leggerete sarà novembre inoltrato, quindi alcuni fatti di cui oggi mi chiedo ragione alla luce della parola che la liturgia di questa domenica ci ha suggerito, potranno essere ancora cambiati, ma davanti a Gesù che ci invita proprio nel Vangelo di oggi a leggere i fatti della storia alla luce di Dio non posso fare a meno di chiedermi anch’io come gli apostoli: "E’ questo il tempo della fine? Sono questi di oggi i segni che devo leggere come un mutamento totale dell’ordine delle cose?"

Dopo i fatti delle torri gemelle di New York, dopo le paure di forme di terrorismo, di guerre chimiche, di guerre di "giustizia suprema" dichiarate, dopo aver sentito risposte contraddittorie anche da parte di uomini di chiesa che cercano in tutti i modi di conciliare guerra con giustizia, non possiamo non interrogarci sul senso del tempo e della storia che stiamo vivendo, ma non vogliamo farlo da politici, da storici, da fondamentalisti che leggono il Vangelo a senso unico e che se ne fanno una maschera per le proprie idee, vogliamo semplicemente chiedere a Gesù che ci aiuti a capire quanto il vangelo ci dice alla luce dei fatti successi e delle paure e desideri che stiamo vivendo. Prima di tutto Gesù sta parlando del tempio di Gerusalemme, giusto orgoglio di ogni ebreo. E’ il tempio restaurato da Erode il Grande, è una delle meraviglie architettoniche dell’epoca, è un simbolo della fede religiosa di Israele, è il segno della alleanza tra Dio e un popolo e quindi, per molti, è anche un segno di potere politico-religioso. Davanti all’ammirazione di alcuni per questo monumento religioso Gesù dice: "State attenti perché presto di questo segno non rimarrà pietra su pietra" E chi scrive il Vangelo, certamente dopo il 70, ha potuto constatare che la profezia di Gesù era vera. E’ bastata una sommossa un po’ più grave delle altre e i Romani, che non aspettavano altro, hanno mandato le legioni. Esse sono piombate su Gerusalemme e l’hanno rasa al suolo e il segno della religiosità e del potere politico di quel popolo è stato distrutto, calpestato E’ rimasto in piedi solo un muro, quello che ancora oggi viene chiamato muro del pianto. Ma, naturalmente, insieme alle mura del tempio sono cadute tante vittime innocenti ed ecco che a chi non vive una dimensione superiore alla religiosità delle norme e della esteriorità, nascono anche tanti dubbi: "Dio allora ci ha abbandonato!" oppure: "Ecco i segni della fine del mondo: Dio si è stancato di questa umanità. Verrà la fine! Sarà Lui la giustizia definitiva…"Ma, secondo voi Gesù voleva dire questo? I primi cristiani che avevano letto la venuta definitiva di Cristo come imminente avevano sonoramente sbagliato. Lo stesso Paolo, lo abbiamo sentito nella seconda lettura, li invita a non essere "in continua agitazione senza far nulla", ma a continuare a lavorare in pace mangiando il proprio pane"Quante volte è successo nella storia degli uomini che avvenimenti tristi dovuti alle forze della natura o alle cattiverie degli uomini sono stati letti come l’inizio della fine del mondo: le persecuzioni dei cristiani, le guerre, i terremoti, la bomba atomica, i campi di concentramento…

Eppure non erano questo! Ma tutti questi fatti non avrebbero invece dovuto insegnarci qualcosa?Ad esempio la precarietà della vita. Noi sappiamo che la nostra vita è sospesa ad un filo, che basta una scossa un po’ più decisa della terra, che basta un uomo impazzito magari nel nome di Dio o un semplice virus per distruggerla, eppure viviamo come se fossimo eterni su questa terra. Costruiamo torri di potere che come Babele vogliono toccare il cielo con un dito e che invece non riescono ad unire gli uomini ma li dividono in linguaggi diversi, mettiamo da parte ricchezze che non riusciremo mai a consumare in una vita e assistiamo, quasi stufi di sentircelo ripetere, alla fine di milioni di persone che non hanno nulla, costruiamo imperi sul sangue nella certezza che dureranno, ci crediamo civiltà superiori ad altre solo perché abbiamo un po’ più di tecnica o sappiamo sfruttare meglio i tesori e il petrolio dei popoli più poveri, e magari in umanità valiamo zero, parliamo dei nostri piccoli o grandi progetti come se fossero eterni. Gesù ci dice: "Ricordati che tutto nasce e tutto muore, ricordati che il tempo è un dono prezioso, non un diritto, non un qualcosa che si può comprare da parte di chi ha più soldi, ricordati che anche questa piccola terra, questa meravigliosa e terribile terra finirà" Gesù questo non ce lo dice per metterci addosso paura, non lo dice come certe religioni che spesso della paura approfittano per i propri interessi non sempre religiosi, lo dice per ricordarci la nostra realtà fatta di cose che finiscono, che muoiono ma anche che si trasformano. Perché il messaggio cristiano della fine dei tempi sta proprio nel fatto che come ci ricordava già il profeta Malachia non è solo un "forno rovente" quello che noi aspettiamo, ma anche il "sole di giustizia", non solo quella di uomini che per ottenerla rischiano di creare tante altre ingiustizie, ma quella di Dio stesso, unico Giudice. Un secondo messaggio molto chiaro che ci viene dal Vangelo di oggi e dai fatti di cui siamo protagonisti in questi anni è: "Questo vi darà occasione di essere miei testimoni", magari anche pagando caro e di persona per questa testimonianza.

Dare testimonianza a Gesù significa credere che sia la sua croce a salvare il mondo e non la potenza delle armi, è ricercare una giustizia che non sia una vendetta, è far capire che l’uomo non è tutto materia, è non sfruttare il male di altri per farsi i propri interessi, è non essere pecore belanti che si accodano a chi fa la voce più grossa, è dimostrare che sappiamo ancora pregare e per davvero anche se ci ridono in faccia dicendoci che preghiamo un Dio sordo, è continuare con pazienza e con amore a tessere reti di pace intorno a noi, è superare ogni tentativo di intolleranza, è scegliere di essere minoranza disprezzata, ma onesta piuttosto che massa che ha venduto il proprio cervello e la propria fede, è non lasciarci vincere dalle tante forme di intransigenza, anche religiosa che nel nome di presunte verità cercano di farci sentire gli unici detentori della verità e che portano poi, poco per volta, a non vedere più né Dio né i fratelli.

No! Il Vangelo di oggi non ci dice né date né modi della fine del mondo, non ci dà una pasticca di sonnifero per farci assorbire meglio una realtà che non ci piace, non è neanche la spiegazione per filo e per segno di ciò che è successo o che potrà ancora succedere, è invece un invito ad essere uomini degni del proprio nome, che da una parte sanno vergognarsi del male a cui l’uomo può giungere quando dimentica Dio e il proprio fine e chiedono perdono per se stessi e per l’umanità di cui fanno parte, ma anche uomini che sanno prendersi le proprie responsabilità con umiltà ma con fermezza, che sanno, in qualunque situazione personale o mondiale, brutta o bella, essere annunciatori di speranza, non solo fondata su luoghi comuni o belle parole ma fondata sulla fiducia in un Dio che non è uno che gode della morte dei suoi figli, ma che è già andato a morire per loro e con loro per ricordare che solo l’amore vero dura per sempre.

 

 

Lunedì 19 Novembre 2001

SAN FAUSTO

Parola di Dio: 1 Mac. 1, 10-15.41-43.54-57.62-64; Sal. 118; Lc. 18, 35-43

 

"MENTRE GESU’ SI AVVICINAVA A GERICO, UN CIECO ERA SEDUTO A MENDICARE LUNGO LA STRADA". (Lc. 18,35)

Deve essere ben triste non vedere la luce, i colori, gli ostacoli, i volti amati... ma è ancora più triste vivere senza vedere la verità, l’amore, la giustizia, il prossimo, Dio.

Solo sabato scorso meditavamo su quel briciolo di fede che Gesù spera di trovare in noi per salvarci. Ci hanno insegnato che la nostra fede dipende dal vedere: conoscere Dio e riconoscerlo; dal sentire: la sua parola, la sua storia d’amore per noi, dall’accettare i suoi doni; dal seguire ciò che Lui ci ha insegnato.

Nel racconto del cieco di Gerico, noi vediamo un uomo che ha dei limiti: non ha il dono della vista ma in compenso ci sente bene, sa gridare forte, sa chiedere, sa alzarsi e andare da Gesù e, dopo la guarigione, è disposto a seguirlo. Anche noi possiamo avere dei limiti: forse possiamo non vedere troppo bene nella vita la presenza di Dio, possiamo forse non conoscere approfonditamente la sua parola, possiamo in certi casi non capire perché Dio ci faccia passare attraverso certe strade... Ma Gesù passa nella nostra vita come è passato sulla strada di Gerico e passa proprio per me: vuole stimolare la mia fede, vuole riempire i miei vuoti, vuole donarmi la sua misericordia e quindi la sua gioia. Posso essere cieco, zoppo, peccatore ma non posso permettermi di lasciarlo passare inutilmente se no rischio di rimanere seduto sul mio mantello ad elemosinare per tutta la vita. Se davvero sono disposto ad alzarmi e ad incontrarlo, se sentirò con profondità il desiderio di "vedere", mi dirà con semplicità e disponibilità come ha detto al cieco: "Che vuoi che io faccia per te?".

 

 

Martedì 20 Novembre 2001

SAN FELICE; SAN OTTAVIO; SAN EDMONDO

Parola di Dio: 2 Mac. 6, 18-31; Sal. 3; Lc. 19, 1-10

 

"ZACCHEO VOLEVA VEDERE GESU’, MA NON CI RIUSCIVA A CAUSA DELLA FOLLA, POICHÉ ERA PICCOLO DI STATURA".

(Lc. 19,3)

Una riflessione, quella di oggi che potrà sembrare strana a qualcuno di voi. Ma come sapete lo scopo che mi prefiggo con questi piccoli commenti è proprio solo quello di stimolare una riflessione.

L’impedimento che Zaccheo si trova sulla strada per incontrare Gesù è la folla. Sembra strano, perché spesso gli uomini cercano la folla: giudichiamo la riuscita o meno di un incontro dal numero di partecipanti, l’applauso della folla sembra convincerci della bontà delle idee che abbiamo propinato loro, persino a livello di cristiani diciamo: "Quella Messa è affollata all’inverosimile, quella trasmissione religiosa ha un audience molto alto, quel predicatore è bravo perché le folle vanno ad ascoltarlo…". Eppure, lo sappiamo, la folla, la gente, le maggioranze, sono tra le cose più labili che esistano sulla terra; basta pensare alla vicenda di Gesù, l’ "Osanna" della domenica della Palme diventa l’ "A morte " del venerdì santo. Per di più, se ci ragioniamo sopra un momento: una cosa non è più vera o più falsa solo perché la maggioranza della gente la professa. E allora scopriamo che qualche volta la folla, la gente invece di aiutarci a vedere meglio ci impedisce, ci fa da muro, come al povero piccolo Zaccheo che vuol vedere Gesù ma si trova davanti un muro di schiene. Gesù, invece, passa in mezzo alla folla, ma il suo sguardo cerca la persona e la sua voce si rivolge ad un uomo ben definito: Zaccheo.

Proviamo a pensare a certe prospettive di pastorale ecclesiale: dove vogliamo arrivare? Alle folle plaudenti e convertite? Puntiamo al consenso delle masse? O vale la pena giocare magari anche tutta la vita per quella persona particolare, senza per questo dimenticare gli altri?

Qualche volta il filtro delle masse ci impedisce di vedere bene, ci riempie di orgoglio, magari di successo, ma ci fermiamo lì e rischiamo di non vedere più Gesù che passa e che viene a chiamare ciascuno con il suo nome.

 

 

Mercoledì 21 Novembre 2001

PRESENTAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

Parola di Dio: Ap. 3,1-6.14-22; Sal. 14; Mc. 3, 31-35

 

"ECCO MIA MADRE E I MIEI FRATELLI! CHI COMPIE LA VOLONTA’ DI DIO, COSTUI E’ MIO FRATELLO, SORELLA E MADRE". (Mc. 3,34-35)

Immaginatevi una Madre che ha fatto più di cento chilometri a piedi per vedere suo Figlio. Arrivano, la annunciano a Lui e Lui non solo non si muove ma dice anche: "Chi è mia madre? Sono tutti coloro che fanno la volontà di Dio".

Impertinenza di Gesù? Delusione di Maria?

Né uno né l’altro. E perché? Perché entrambi ragionano non con le ripicche, i risentimenti, i piccoli egoismi familiari, ma con la mentalità di Dio che supera i rapporti familiari contingenti con un rapporto nuovo.

Maria è "beata" non tanto perché ha generato Gesù (questo è un dono) ma perché è discepola di Gesù.

"Beato te che hai un figlio sacerdote!".

Ho sentito un giorno un papà che davanti a questa affermazione, rispondeva:

"Sono beato ed è beato mio figlio prete se entrambi facciamo la volontà di Dio".

Non dovremmo mai finire di ringraziare Dio per l’incarnazione di Gesù. Gesù per venire al mondo si è scelto una Madre meravigliosa: Maria. Ma, una volta incarnato attraverso Lei nella famiglia umana, ha fatto di ogni uomo un suo fratello.

Se accettiamo Gesù, siamo la sua famiglia, i suoi fratelli, abbiamo per Madre Maria a cui ci ha affidato proprio nel momento della croce, abbiamo per fratelli i santi e soprattutto riconosciamo in Dio il nostro Padre misericordioso! Bisogna, allora, entrare nello stile di vita di questa nuova famiglia, e lo stile del cristiano è avere a cuore la volontà di Dio.

 

 

Giovedì 22 Novembre 2001

SANTA CECILIA, VERGINE E MARTIRE

Parola di Dio: 1 Mac. 2, 15-29; Sal. 49; Lc. 19, 41-44

 

"GESU’ ALLA VISTA DI GERUSALEMME, PIANSE SU DI ESSA". (Lc. 19,41)

Gesù, nel Vangelo, non ha paura dei sentimenti, piange diverse volte, ma il pianto su Gerusalemme non ci dice solo la sua sensibilità ma soprattutto l’amore di un Dio incompreso che ha amato il suo popolo ma non è stato capito.

Anche umanamente una delle più grandi sofferenze è quella di amare, di donare se stessi e di non essere capiti e riamati. Dio ha amato il suo popolo, quella città, Gerusalemme, è la storia del suo amore e adesso Gesù vede questa città ostile, indifferente, pronta ad espellere ancora una volta la proposta di Dio, pronta ad uccidere il suo Dio.

Gesù ha visitato la tua e la mia vita, ci offre gratuitamente la salvezza, ci dà i suoi segni, spezza il suo pane con noi, e noi, troppo indaffarati e miopi, non lo accogliamo.

Qualche esempio: un povero ha bisogno di noi e noi non abbiamo tempo e cuore per lui. Gesù mi invita alla sua mensa domenicale e io non sento il bisogno del suo pane. I nostri occhi e il nostro cuore vogliono trovare pace, serenità, amore e preferiamo fidarci delle cose piuttosto che accogliere, grati, questi doni da Gesù che ce li offre. Il velo del pessimismo e dell'egoismo ci impedisce di vedere il regno di Dio che sta già venendo.

Speriamo che anche davanti a noi, Gesù non debba piangere per tanta miopia e ingratitudine.

 

 

Venerdì 23 Novembre 2001

SAN CLEMENTE I, Papa e Martire – SAN COLOMBANO, Abate

Parola di Dio: 1 Mac. 4,36-37.52-59; Sal. da 1Cr. 29, 10-12; Lc. 19, 45-48

 

"GESU’, ENTRATO NEL TEMPIO COMINCIO’ A SCACCIARE I VENDITORI DICENDO: STA SCRITTO: LA MIA CASA SARA’ CASA DI PREGHIERA. MA VOI NE AVETE FATTO UNA SPELONCA DI LADRI ". (Lc. 19,45)

Come mai il dolce Gesù diventa violento? Gesù non vuole male a nessuno, anzi, anche in questo gesto c’è tutto il suo amore per il Padre, per il Tempio di Gerusalemme, ed anche per gli uomini che con i loro commerci hanno dimenticato Dio. Gesù compie questo gesto nella speranza che i venditori e noi capiamo. Gesù vuole purificare il tempio e noi.

E’ il grande rischio delle religioni quello di trasformare la fede in una specie di commercio. La religione e la religiosità dovrebbero essere la logica conseguenza della fede, la manifestazione di essa, però spesso non succede così.L’uomo, abituato ad approfittare di tutto, ha usato la religiosità per manipolare la fede e per ridurre Dio alle sue necessità. Si è "venditori del tempio" non solo vendendo immaginette sacre o candele, ma tutte le volte che pensiamo di comprare Dio con delle preghiere fatte o fatte fare, quando approfittiamo della religione per giudicare il nostro prossimo, per apparire giusti. Gesù vuole liberarci dalla falsa religiosità che è ipocrisia. La religiosità dovrebbe essere il linguaggio, la manifestazione della fede. Ma è ancora la fede la base di certe religiosità? Quando vado a chiedere il Battesimo per mio figlio come fosse solo un segno di buon augurio o una convenzione sociale, quando vado a sposarmi in chiesa perché la cerimonia è più bella di quella del comune e le foto vengono meglio? Non è forse falsa religiosità certa pseudo mistica che fa della preghiera e delle sue formule un rifugio e una fuga dalla concretezza dell’impegno?Abbiamo bisogno di ritrovare una religiosità che esprima fede e non esteriorità, abbiamo bisogno di smetterla con l’ipocrisia religiosa: essa è la più stupida delle ipocrisie. Dio non lo puoi ingannare!

 

 

Sabato 24 Novembre 2001

SAN ANDREA DUNG LAC; SANTA FIRMINA; SANTE FLORA E MARIA

Parola di Dio: 1 Mac. 6, 1-13; Sal. 9; Lc. 20, 27-40

 

"I FIGLI DI QUESTO MONDO PRENDONO MOGLIE E PRENDONO MARITO, MA QUELLI CHE SON GIUDICATI DEGNI DELL’ALTRO MONDO E DELLA RISURREZIONE DAI MORTI NON PRENDONO MOGLIE NE’ MARITO E NEMMENO POSSONO PIÙ MORIRE, PERCHÉ SONO UGUALI AGLI ANGELI, E, ESSENDO FIGLI DELLA RISURREZIONE, SONO FIGLI DI DIO". 

(Lc. 20,34-36)

Tra le affermazioni del nostro "Credo" ce n’è una che noi speriamo, desideriamo essere vera, ma che è anche difficile da accettare: "Credo la risurrezione dei morti".

Da sempre l’uomo spera nella vita eterna ma stenta a crederci. Pensate che anche un mondo religioso come quello della Bibbia per secoli ha stentato a credere a questo e ancora molti all’epoca di Gesù affermavano che la vita finiva con la morte. Così non ci stupisca che molti dei cristiani che affermano la domenica di credere nella risurrezione, vivono come se tutto dovesse terminare con la morte terrena.

La risposta al nostro interrogativo non ce la dà la scienza (anche se essa ci ricorda che la morte non è distruzione ma mutazione), non ce la dà la filosofia (che pur con il suo ragionare arriva ad un 50%), non ce la danno neppure certe religioni che parlano (ma con quali prove?) di trasmigrazioni di anime.

Ci vuole fede, infatti noi desideriamo l’immortalità ma vediamo che la morte ha il sopravvento sulla vita, desideriamo la pace ma ogni giorno attorno a noi e in noi la vediamo insidiata e spesso sconfitta, desideriamo e cerchiamo il bene, la verità, il bello ma il male riesce a mettere il suo zampino e a rovinare anche le cose più buone.

Come credere alla vita eterna, alla verità conosciuta e amata, alla giustizia perfetta? C’è solo la risurrezione di Cristo a darci questa fede, ma anche qui il dubbio può attaccarci: devo fidarmi di ciò che hanno detto gli Apostoli? In mezzo a tutti questi dubbi ci sta solo una domanda che Gesù continuamente ci pone: "Credi che io sia Figlio di Dio?"

Che lo Spirito Santo ci aiuti sempre a rispondere con sincerità: "Credo, Signore! Da chi altri andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!".

 

 

Domenica 25 Novembre 2001

XXXIV^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO: CRISTO RE  -  SANTA BEATRICE

Parola di Dio: 2 Sam. 5, 1-3; Sal. 121; Col. 1, 12-20; Lc. 23, 35-43

 

1^ Lettura (2 Sam 5, 1-3)

Dal secondo libro di Samuele.

In quei giorni, tutte le tribù d'Israele da Davide in Ebron e gli dissero: "Ecco noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: Tu pascerai Israele mio popolo, tu sarai capo in Israele". Vennero dunque tutti gli anziani d'Israele dal re in Ebron e il re Davide fece alleanza con loro in Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re sopra Israele.

 

2^ Lettura (Col 1, 12-20)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi.

Fratelli, ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E` lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.

 

Vangelo (Lc 23, 35- 43)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, il popolo stava a vedere, i capi invece schernivano Gesù dicendo: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto". Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!". Ma l'altro lo rimproverava: "Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male". E aggiunse: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Gli rispose: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso".

 

RIFLESSIONE

 

Le tre letture che abbiamo ascoltato oggi, ultima domenica dell’anno liturgico che ci presenta in Cristo Re e Signore dell’universo Colui che in sé ricapitola tutta la storia della salvezza, si sono presentate a noi con toni molti diversi.

Il libro di Samuele ci ha raccontato l’investitura di Davide a Re: tutte le tribù di Israele si riconoscono "carne della sua carne", tutti desiderano Davide come re, stringono un patto con Lui, sono disposti a seguirlo, a lasciarsi guidare da Lui: insomma, un re eletto all’unanimità.

La seconda lettura ci ha parlato di Cristo Re, così come Egli è nel progetto di Dio: Egli è l’immagine visibile di Dio, è Colui per il quale tutto è stato creato, tutto sussiste, ed è Colui che ha salvato questa umanità con il suo sangue, stabilendo la nuova alleanza tra Dio e l’uomo. Gesù dunque, nella sua realtà è re per Dio Padre e per ogni creatura da lui redenta.

Diversissima scena è invece quella che ci ha presentato il Vangelo.

Qui non siamo in una assemblea di popoli plaudenti, non siamo neppure nella solennità di una investitura divina, siamo su una collinetta appena fuori della mura di Gerusalemme e assistiamo ad una scena barbara e disumana, l’uccisione da parte della "giustizia umana" di tre condannati a morte attraverso la crocifissione. Eppure è proprio questa scena raccapricciante, dolorosa, ingloriosa che ci dice quale sia la vera regalità di Gesù Cristo. Qui tutto sembra avvenire nella beffa e nel dolore, ma nell’amore di Gesù tutto assume un ruolo diverso.

C’è gente radunata intorno a quello strano trono della croce. Qualcuno è venuto a piangere la morte di un uomo buono: sua Madre, l’apostolo Giovanni, le donne. Qualcuno è lì per gloriarsi del suo potere che finalmente è riuscito a togliere di mezzo questo piantagrane, questo millantatore, questo bestemmiatore: sono i sacerdoti, e non si accorgono che con la loro presenza esercitano proprio il compito sacerdotale, quello di offrire l’Agnello Immolato. Ci sono scribi e farisei, coloro che si considerano i puri della legge, gli studiosi e l’intelligenza del paese, e non si accorgono che sono nella mani del diavolo che si serve di loro per la sua ultima, terribile tentazione a Gesù: "Se sei Figlio di Dio scendi da quella croce e ti crederemo!".

Ci sono i curiosi, come dappertutto, incapaci di vedere il dolore o l’amore ma solo desiderosi di colpi di scena o di aver motivo per poi poter chiacchierare sulla morte di un uomo e di poter dire: "Io c’ero. Io ho visto. Io ho sempre pensato che…".

C’è anche la voce della giustizia e del potere civile e militare rappresentata dai soldati e da quel cartello che Pilato, forse più per disprezzo dei Giudei che di Gesù stesso, ha fatto mettere su quella croce. E’ la tanto invocata giustizia degli uomini che ha creato ‘lo strumento di giustizia della croce’ e che lo gestisce attraverso il potere! E allora, come oggi, chi comanda si accontenta di ordini, si corazza di leggi e di approvazioni e mentre manda a morte se ne sta protetto e al sicuro, magari non rinunciando neanche al week end settimanale.

Strana scena per l’investitura di un re, eppure questa scena di tragica beffa nei confronti di un uomo che sta atrocemente morendo è la vera investitura di Gesù.

Gesù è sul trono. Non ci sta seduto, ve lo hanno inchiodato perché non scappi. Ha scelto di amare gli uomini e a questo amore vi resterà, per suo volontà, inchiodato per sempre e ancora oggi io vedo quella croce su cui Cristo si lascia inchiodare dal mio egoismo per dirmi: "Guarda che sono qui perché ti voglio bene, non me ne vado quando stai soffrendo, non me ne vado quando sei indifferente e neanche quando mi bestemmi, sono qui per dirti la misericordia di Dio, per darti il conforto, la speranza, per regalarti il perdono. Sono qui fino alla fine per te, perché ti amo!"

C’è una corona regale: quella corona di spine che ha strappato carne e sangue dal capo di Gesù. Non è la corona del comando, del potere, è la corona dell’ingratitudine umana da una parte e del servizio dall’altra è, in fondo, ancora la voce di Gesù che ci dice: "Guarda che io non sono venuto nel mondo per portarti via qualcosa, per chiederti cose impossibili, sono venuto a servire la tua vita, a portarti i miei doni affinché tu possa viverla pienamente, sono venuto a portare con te e per te il peso del quotidiano".

C’è la firma del Padre: quel Dio che sembra assente, lontano mille miglia dalle sofferenze del Cristo e nostre è lì, e quel cartello che Pilato ha fatto mettere sulla croce e che dice Gesù re dei Giudei, è la stessa voce di Dio che si era fatta udire il giorno della Trasfigurazione : "Questi è il mio figlio, l’eletto: Ascoltatelo!"

Lì c’è il male, il nemico che sta sferrando la sua ultima tentazione a Gesù. Quel male che Gesù ha combattuto per tutta la sua vita, che ha guarito, che ha allontanato è qui e non si accorge che è proprio lui che garantisce maggiormente la regalità di Cristo. Diventa tentazione: "Se lasci la croce, se distruggi chi ti ha messo in croce, se fai un bel miracolo: ti crederemo, di batteremo le mani, ti faremo davvero re, per te ci sarà un trono vero, con del potere vero! Perché scegliere la strada della sofferenza quando ti si può aprire la strada dell’onore, dell’accoglienza, del facile successo?"

Ci sono anche i due testimoni ufficiali che comprovano il fatto. Per gli Ebrei infatti ogni testimonianza doveva avvenire sulla base di almeno due testimoni. Nella trasfigurazione erano stati Mosè ed Elia, qui ci sono due condannati a morte, altri due inchiodati dai loro misfatti e da una legge garantista di giustizia al patibolo della croce. E sono tanto più validi come testimoni perché non vanno neppure d’accordo tra di loro. Uno bestemmia e cerca, se caso mai fosse possibile, di essere liberato dalla croce, l'altro si abbandona a Gesù, riconosce la propria colpa ma afferma la bontà di Gesù, e il Re gli dona la vita eterna e diventa il primo frutto eterno dell’amore di Cristo.

"Perché Gesù hai accettato e vissuto questa strada di dolore per dirci che sei il nostro re?."

"Perché nell’ordine delle cose di questo mondo è l’unica strada per dire amore vero. Se il potere lo si combatte con un nuovo potere, si ottiene la guerra e il male ha il sopravvento e si innesca una spirale di potere che non finirà mai. Se si pensa di comprare il mondo con i soldi, essi ti otterranno qualcosa ma poi ti accorgi che è polvere che ti sfugge dalle mani. E la strada del successo? Le mani si battono finché fa comodo, l’entusiasmo spesso come nasce muore, la curiosità accontentata ne crea delle altre… L’unico modo per amare è servire fino in fondo, fino a dare la vita, fino a restare inchiodati per non potere più scappare dall’amore…"

Davanti a questa risposta di Gesù, allora, mi accorgo di quanto come persone e come Chiesa siamo ancora lontani dal suo Regno. Ogni volta che noi pensiamo di essere gli unici detentori della verità e non serviamo la verità del Cristo che continua ad essere crocifisso in ogni uomo sulla terra, noi non siamo nel regno di Gesù. Ogni volta che pensiamo, con le nostre forze e le nostra capacità, di "salvare il mondo", ripudiamo Colui che sulla Croce ci ha già salvati e che vuole arrivare al cuore di ogni uomo. Ogni volta che ci affidiamo ai poteri di questa terra o che nelle nostra comunità imitiamo gli schemi e i valori di questi poteri, delle ricchezze, dei successi umani, noi stiamo tradendo il Regno che viene senza far rumore, che non spegne la fiamma esile, che non è come una canna sbattuta dal vento ora qui e ora là nelle mani di chi parla più forte o di chi ha l’esercito più bene attrezzato. Ogni volta che ricerchiamo anche come Chiesa la verità e la giustizia con la forza, sentendoci autorizzati da Dio ad innalzare croci, noi non solo non siamo nel Regno ma siamo atei perché ci mettiamo al posto di Dio, ci riteniamo più veri di Lui, più giusti di Lui.

Se davvero amiamo il Regno di Gesù, se davvero riconosciamo in Lui il nostro Re crocifisso per amore, ci fidiamo di Lui, facciamo posto a Lui nella nostra vita e in quella dei fratelli con umiltà, con fiducia e allora, lasciandoci amare totalmente dal nostro re forse impareremo un po’ di più a restare inchiodati nel servizio della carità che, se spesso può essere una croce, è però l’unico modo per dire che abbiamo ancora fede sia in Dio che nell’uomo.

 

 

Lunedì 26 Novembre 2001

SAN CORRADO

Parola di Dio: Dn. 1, 1-6. 8-20; Sal. da Dn. 3; Lc. 21, 1-4

 

"VIDE UNA VEDOVA, POVERA, CHE GETTAVA DUE SPICCIOLI NEL TESORO DEL TEMPIO". (Lc. 21,2)

Quante volte nella Chiesa, nelle parrocchie, nelle istituzioni, contano e si dà spazio ai "munifici donatori". Li si invita al Consiglio degli affari economici, li si fa priori delle feste, si ‘filano’ ricche vedove nella speranza lascino una buona eredità "per farsi dei meriti e per fare il bene della comunità" mentre, invece, certi poveri che non hanno da dare che il loro poco e che anzi qualche volta chiedono, magari li facciamo passare dalla porta secondaria o sono guardati con estrema aria di sufficienza.

Anche davanti al Tempio di Gerusalemme succedeva qualcosa del genere. Si facevano le offerte al Tempio e, mentre si buttava l’offerta nelle "trombe" (le bussole di allora), se ne proclamava la quantità per la propria vanagloria. Di certo gli ultimi spiccioli di quella povera vedova non hanno arricchito un Tempio già ricco e non hanno fatto sgranare gli occhi di meraviglia di coloro che ascoltavano l’esigua quantità della cifra, anzi qualcuno, forse, avrà sorriso di compassione. Ma Gesù vede il cuore. Sa di che cosa sono frutto i soldi offerti. Sa di che cosa priva l’offrirli. Sa che cosa c’è dietro all’offerta. I soldi a volte declamati hanno in se stessi il loro premio, o magari grondano rapina, gli spiccioli della vedova hanno il suono cristallino della fede di chi umilmente e con fiducia estrema declama con tutta se stessa: "Ti do il mio niente, perché mi fido totalmente di Te".

Dio non è un contabile, misura le offerte non dall’entità ma dal cuore di chi offre. Non è come gli uomini che qualche volta si lasciano irretire dalle esteriorità. Questa vedova ha dato più degli altri con i suoi pochi spiccioli perché si è fidata di Dio, ha dato del suo essenziale e non del superfluo. Per Gesù, chi non mette a disposizione degli altri ciò che possiede è da condannare come "ricco"; chi vede in ciò che possiede un dono di Dio da spendere per il prossimo, è da imitare come "povero".

Gesù cerca persone generose e disponibili, capaci di dare tutto, anche se stesse, infatti il nostro "capitale" non sono solo i denari ma anche giovinezza, tempo, fede, l'intelligenza, il sorriso...

Gettare questo capitale nelle mani di Gesù significa fidarsi di Lui, riscoprire di essere vuoti di noi stessi per lasciarci riempire da Lui.

 

 

Martedì 27 Novembre 2001

SAN VIRGILIO

Parola di Dio: Dn. 2, 31-45; Sal. da Dn. 3; Lc. 21, 5-11

 

"VERRANNO GIORNI IN CUI, DI TUTTO QUELLO CHE AMMIRATE, NON RESTERA’ PIETRA SU PIETRA CHE NON VENGA DISTRUTTA". (Lc. 21,6)

Il principe di Bismarck, uno dei principali artefici della potenza tedesca, giudicava così la sua propria vita alla fine della sua carriera: "Non ho reso nessuno felice, né me stesso, né i miei cari, né qualunque altro. Viceversa, quanti infelici ho fatto nel corso della mia vita! Senza di me, tre grandi guerre non avrebbero avuto luogo. Ottantamila uomini non sarebbero morti, i loro genitori, le loro mogli, i loro figli non sarebbero stati precipitati nel dolore e nel lutto. Anche se ho regolato questa questione davanti a Dio, mi rimane il profondo rimpianto di avere alle mie spalle, con la poca gioia che i miei successi mi hanno procurato, tutta una vita di preoccupazioni, di contrarietà e di pene".

Questa confessione può sembrare sorprendente nella bocca di un uomo coperto di onori. Durante trentasei anni di attività politica, egli si era consacrato interamente alla grandezza della Prussia e all’unità tedesca. Arrivato alla fine della sua vita, egli scopre con tristezza i risultati deludenti della sua opera.

Ma è dunque necessario attendere la fine della propria esistenza per accorgersi del proprio fallimento? Quando Paolo ha incontrato Gesù sulla via di Damasco, ha scoperto che tutto ciò che egli aveva fino ad allora ricercato non aveva alcun valore e non era altro che una perdita.

Non lavoriamo per ciò che perisce, ma per ciò che permane fino alla vita eterna. Prendiamo contatto con Gesù Cristo; Egli rimetterà ordine nelle nostre vite per la nostra eterna felicità.

 

 

Mercoledì 28 Novembre 2001

SAN GIACOMO DELLA MARCA

Parola di Dio: Dn. 5, 1-6.13-14.16-17. 23-28; Sal. da Dn. 3; Lc. 21, 12-19

 

"CON LA VOSTRA PERSEVERANZA SALVERETE LE VOSTRE ANIME". (Lc. 21,19)

Qualche volta noi pensiamo che la fede sia un qualcosa che una volta acquistato divenga nostro possesso. E’ l’errore di molti che riducono la fede ad una serie di riti e di abitudini.

Ecco un aneddoto che può illuminarci.

Tutte le volte che andava a casa di un suo compagno, il figlio dello scrittore Sinclar Lewis, trovava la nonna assorta nella lettura della Bibbia.

Non resistendo alla curiosità domandò un giorno all'amico:

"Mi vuoi dire perché tua nonna legge sempre la Bibbia?".

" Non so"- rispose l'altro e poi sentendosi molto spiritoso disse: "Forse si prepara agli esami anche lei".

La battuta di questo ragazzo americano può essere più profonda di quanto appaia a prima vista. Un giorno ci saranno degli esami finali per ciascuno di noi e ci verrà domandato conto se nella nostra vita abbiamo cercato la volontà di Dio, se abbiamo accolto la sua Parola e se abbiamo cercato di metterla in pratica. Dunque non è male studiare, ripassare, comprendere la parola di chi ci chiederà conto di tutta la nostra vita.

 

 

Giovedì 29 Novembre 2001

SAN SATURNINO

Parola di Dio: Dn. 6, 12-28; Sal. da Dn. 3; Lc. 21, 20-28

 

"LE POTENZE DEI CIELI SARANNO SCONVOLTE" . (Lc. 21,26)

Leggendo queste pagine apocalittiche del Vangelo corriamo il rischio di cadere nella tentazione di dire: "Ecco, ci siamo". Ma non è questo che voleva dirci Gesù. I segni che dobbiamo leggere non sono quelli della fine del mondo ma quelli che possono farci cambiare. Vi propongo un racconto che ho trovato sul sito di una parrocchia di Torino in Internet e che era semplicemente firmato: Paola.

 

"Se c’è qualcosa che non ho mai sopportato sono i ragni. Dite quello che volete, ma a me quelle zampette allungate, quel corpo sproporzionato, quel loro guardare il mondo perpetuamente al contrario, il loro calarsi ovunque, silenziosi…mi fanno rabbrividire. Ho anche protestato con le guardie di turno: la prima mi ha riso in faccia, dicendomi: "Dove credi di essere, bello? Il Grand Hotel non è di tuo gusto?"; la seconda si è almeno sforzata di essere comprensiva e mi ha trattato come un bambino recalcitrante. Mi ha guardato e "Porta sfortuna ucciderli - ha mormorato - e poi la loro presenza indica che l’edificio è asciutto!". Magra consolazione. Per me quell’essere lassù è un mostro.

Lo so, lo so: anche voi storcete il naso. Se sono finito qui dentro significa che ho avuto il coraggio di fare ben altro da solo che uccidere un ragno. Posso aver rubato, mentito, magari ucciso…o chissà cos’altro. Ma non ve lo dirò. Non di questo mi sono messo a raccontare. Vi voglio dire invece che con quel mostro sul soffitto, da una settimana non riesco più a dormire. Tre giorni fa pensavo fosse sparito, e allora con un panno, saltando e allungandomi, ho distrutto tutte le ragnatele che ho trovato. Deserte, naturalmente: lui, non riuscirei mai a toccarlo.

Ma il giorno dopo c’era un’altra tela, nell’angolo a destra, sul lato della finestra. Mi è costato una gran fatica arrivarci e spazzarla di nuovo: ho perfino dovuto spostare il letto per raggiungerla, visto che la sedia non bastava e il tavolo è troppo fragile per arroccarmici sopra. Almeno ne fosse valsa la pena! Ieri invece ero da capo: l’ho anche visto mentre tesseva la sua casa, con movimenti febbrili e incomprensibili per me quaggiù.

Ormai è guerra aperta tra di noi…Ho rinnovato le mie proteste con le guardie e non ho ottenuto altro risultato se non quello di essere finito nelle barzellette degli altri carcerati. Così, ieri ho ancora distrutto la sua opera, approfittando delle perlustrazioni del mio nemico lungo il soffitto.

Ma oggi non ce la faccio più. E’ di nuovo lì che tesse, tesse, tesse. Sono arrivato alla conclusione che una pazienza simile nel ricominciare da capo può averla solo una femmina. Io, per lo meno, non ce l’ho. Così ho dovuto darle un nome: Penelope…mi pare possa andare bene. Credo fosse una ditta di filati lombardi, o forse mi ricorda qualcos’altro…non so…tuttavia credo si adatti bene alla sua pazienza di ricominciare a tessere. Ma sto divagando. In realtà volevo dirvi la cosa strana che mi è accaduta oggi: ebbene, da quando si chiama Penelope non mi fa più così ribrezzo. Forse tutti i mostri quando hanno un nome fanno un po’ meno paura. E così, al rientro dall’ora d’aria nel cortile ho perfino spiato i quattro angoli del soffitto per vedere dove lei avesse deciso di accasarsi, stavolta. Non ridete: penso che sarei rimasto deluso se non l’avessi più vista. Invece è lì. Ha scelto un angolo eccellente, quello che riceve il sole fino alle otto e mezza in questa stagione. Ha scelto bene. La luce rossa, calda, di fine estate. Piace tanto anche a me.Non so, vedere Penelope lavorare così, ricominciare dopo che le avevo spazzato via inesorabilmente ogni opera costata tanta fatica mi ha fatto riflettere. Possibile che abbia un senso anche per me ricominciare? Ricostruire qualche cosa che è fragile, che sembra inutile, che tutti quanti possono spazzare via? Iniziare ancora ciò che non sono mai riuscito a terminare? Non lo so. Però ve lo voglio dire: erano anni che non prendevo più in mano una penna e un foglio di carta, ed ora l’ho fatto. Sapete, penso che appena avrò terminato di raccontarvi queste cose, prenderò un altro foglio. E questa volta, forse, riuscirò a scrivere a mio figlio la lettera che aspetta da tanti anni.

 

 

Venerdì 30 Novembre 2001

SAN ANDREA, Apostolo

Parola di Dio: Rom. 10,9-18; Sal. 18; Mt. 4,18-22

 

"E GESU’ DISSE LORO: SEGUITEMI, VI FARO’ PESCATORI DI UOMINI". (Mt. 4,19)

Oggi, festa di Sant’Andrea, ancora una volta sentiamo, nel brano di Vangelo una chiamata di Gesù. Gesù che dice: "Venite, lasciate, seguite". Altre volte invece troviamo che è lo stesso Gesù a dire: "Andate". Da come uno legge e interpreta certe pagine del Vangelo può cambiare la propria vita. Ad esempio i verbi andare e restare così presenti nel vocabolario di Gesù, come vanno intesi? Spesso ci sembrano quasi in contraddizione. Gesù invita ad andare da Lui, a stare con Lui, a rimanere legati a Lui come il tralcio alla vite, dice a Maria di Betania che ha scelto la parte migliore nello stare ai suoi piedi a sentirlo; ma poi Gesù è sempre in viaggio, manda, non si accontenta di orizzonti ristretti, invita ad uscire dai piccoli gruppi, pretende che chi ha scelto Lui sia libero come il vento e si lasci trasportare là dove lo Spirito vorrà, anche se la cosa non è proprio secondo i propri gusti.Certamente Gesù e il Vangelo non ci chiedono di "restare" ancorati alle abitudini, alle tradizioni, non ci chiedono di difendere solo diritti, di arroccarci nei privilegi, di ridurre la fede unicamente a religione. Il restare uniti a Gesù non è qualcosa che ci rende statici, è averlo nel cuore, è fidarsi di Lui, è far dipendere la nostra vita da Lui, ma proprio per questo è anche sentirsi mandati, essere liberi, innovativi, avere occhi che facciano scoprire fratelli ovunque, non lasciarci impressionare dalle nostre piccolezze e povertà e neppure dai nostri peccati. E nell’andare non è neppure importante seguire strade ufficiali, precostituite. Puoi "andare" rimanendo nel tuo ufficio, nella tua fabbrica, nella tua forzata solitudine di anziano. Se hai Gesù nel cuore in qualunque situazione riuscirai a trovare il modo di trasmetterlo con qualche parola, con qualche gesto, con la preghiera…

     
     
 

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