SCHEGGE E SCINTILLE
a cura di don Franco LOCCI
Lunedì 1 Ottobre 2001
SANTA TERESA DI GESÙ BAMBINO, Vergine; SAN REMIGIO
Parola di Dio: Zc. 8, 1-8; Sal. 101; Lc. 9, 46-50
"CHI E’ IL PIÙ PICCOLO TRA DI VOI, QUESTI E’ IL PIÙ GRANDE". (Lc. 9, 48)
Spesso mi sono chiesto se questa nostra epoca sia ancora capace di vera spiritualità. E’ una domanda in sé sciocca se serve solo a dire che una volta c’era la fede, la preghiera vera, l’umiltà ed oggi tutto questo è passato e non c’è più, ma può essere una domanda valida se mi aiuta a capire che gli unici metri per misurare il senso della vita, il rapporto con Dio, la scoperta dei valori e del prossimo non sono solo legati alla scienza che avanza, all’efficientismo sia pure religioso, alle realizzazioni siano pure in onore di Dio e della religione. Il Vangelo di oggi e la vita della santa che oggi festeggiamo possono lasciare degli interrogativi allo scafato uomo del 2000: il discorso dei piccoli non si addice al nostro mondo dove sono "i grandi" che comandano, e una santa che "spreca la sua vita" entrando ragazzina in un convento di clausura e che parla di gioia che nasce dalla sofferenza vissuta con amore, ci può sembrare anacronistica. Eppure nella mentalità di Dio è questo che conta. Vi lascio oggi una piccola preghiera di Santa Teresina. Subito può anche non piacerci, ma provate a leggerla, a rileggerla e forse anche noi scopriremo qualcosa di diverso…
"Gesù, non ho altro mezzo per provarti il mio amore che gettare fiori, vale a dire non lasciarmi sfuggire alcun piccolo sacrificio, alcuno sguardo, alcuna parola; approfittare di tutte le cose più piccole e compierle per amore. Voglio soffrire per amore e gioire per amore, e così getterò dei fiori davanti al tuo trono…Poi, mentre getto i miei fiori, canterò. Canterò anche quando mi sarà dato di cogliere i miei fiori in mezzo alle spine, E il mio canto sarà tanto più melodioso quanto più le spine saranno lunghe e pungenti."
Martedì 2 Ottobre 2001
SANTI ANGELI CUSTODI
Parola di Dio: Es. 23,20-23; Sal. 90; Mt. 18, 1-5.10
COSI’ DICE IL SIGNORE: "ECCO IO MANDO UN ANGELO DAVANTI A TE PER CUSTODIRTI SUL CAMMINO…". (Es. 23,20)
Per i piccoli, i semplici, i bambini, è facile ed è bello pensare al proprio Angelo custode. Alcuni anni fa fu indetto un concorso: "Cercasi storia di Natale". Vi propongo oggi un racconto scritto da una bambina, Giulia PAOLINI, che allora frequentava la terza elementare C alla scuola Kennedy di Torino. Mi sembra che, di là dei buoni sentimenti, possa essere uno stimolo per riscoprire con gioia e semplicità la presenza di coloro che Dio nella sua Provvidenza ci ha messo vicino.
"Lucia era una bambina orfana che viveva in un deposito di macchine sfasciate, alla periferia della città. Era una bambina sola e nessuno si occupava di lei. Erano i giorni che precedevano il Natale, e Lucia decise di andare in città. Per lei era un’avventura nuova vedere tutti quei negozi illuminati, i festoni di luci che addobbavano le vie della città, i cartelloni dai mille colori…Nell’attraversare una strada una macchina veloce stava per investirla, quando un cane la spinse da un lato con il muso e la salvò. Lucia, frastornata, abbracciò l’animale e volle portarlo con sé nella sua macchina-casa. Con grande stupore la bambina capì una cosa: poteva comunicare con il cane che aveva chiamato Lillo.
Un giorno Lucia disse a Lillo: "Per me Babbo Natale è già passato e mi ha lasciato te come regalo". Lillo le rispose: voglio fare anch’io un regalo a te: vieni, andiamo in città".I due amici si ritrovarono insieme in mezzo all’allegria festosa che precede il Natale: Lucia si sentiva sicura con il suo amico accanto ed era così felice che sorrideva ai passanti: Lucia e Lillo furono notati da una coppia di sposi. La signora chiese a Lucia se avrebbe gradito pranzare a casa loro: la bambina accettò con entusiasmo e la signora le comperò anche un abitino nuovo per sostituirle quello che indossava ormai corto e consumato. Poi la coppia volle che Lucia e Lillo si fermassero a dormire. Nella notte Lillo disse alla bimba: "Lucia cara, io sono il tuo Angelo Custode disceso sulla terra per aiutarti. Tu sei sempre stata molto buona e ora che ti ho trovato questa coppia che ti farà da mamma e papà, io posso tornare in Paradiso". Lucia, piangendo di commozione, abbracciò Lillo che restò con lei fino a che la bimba non si addormentò. L’indomani era Natale e Lucia trovò tanti regali tra cui un cucciolo di cane che, naturalmente, chiamò Lillo."
Mercoledì 3 Ottobre 2001
SAN GERARDO; SANT’EDMONDO
Parola di Dio: Ne. 2, 1-8; Sal. 136; Lc. 9, 57-62
"TI SEGUIRO’ OVUNQUE TU VADA!". (Lc. 9,57)
Ti ho incontrato nella freschezza della mia infanzia, e subito mi hai attratto, con le tue parole, con la tua gioia, con il tuo perdono, con il tuo entrare discreto, ma vivo nella mia vita quotidiana. Ti ho visto aver parte importante nella vita dei miei genitori e di tante persone umili e semplici e per me è stato semplice, istintivo, dirti: "Ti seguirò ovunque tu vada!". Ho scoperto i Sacramenti, la Liturgia con la sua solennità, la Chiesa ed ho detto : "Ti seguirò anche in questo". Sono nate le prime difficoltà: il tuo linguaggio duro, alcuni dei tuoi servi che si servivano di te per i loro interessi, il mio orgoglio, i tuoi silenzi… ed ho capito che seguirti non era così semplice…Sono venuti anche tanti presunti maestri e qualche volta ho preferito seguire qualcuno di loro, ma alla fine, la nostalgia, la paura di averti tradito o forse molto più banalmente la paura di perdere il tuo premio mi ha ricondotto a te. Te lo dico anche oggi che il mio desiderio è di seguirti ovunque tu vorrai condurmi, ma te lo dico con molta consapevolezza delle mie miserie. Ti seguirò se sarai tu a guidarmi, a condurmi perché con le mie forze non sono sicuro di farcela.
Giovedì 4 Ottobre 2001
SAN FRANCESCO D`ASSISI, Patrono d’Italia
Parola di Dio: Gal. 6, 14-18; Sal. 15; Mt. 11,25-30
"QUANTO A ME NON CI SIA ALTRO VANTO CHE NELLA CROCE DEL SIGNORE NOSTRO GESU’ CRISTO". (Gal. 6,14)
Mi sono sempre chiesto se su questa terra si possa davvero essere felici. Qualche volta sembra che la cosa sia possibile, altre volte pare di concludere che la felicità non sia di questo mondo. Credo però che questo non saper rispondere sia dovuto soprattutto al fatto che non abbiamo chiaro che cosa sia la felicità. Se per noi felicità è assenza d’ogni male, anche il più "fortunato" su questa terra incontra quotidianamente avversità, incomprensioni, difficoltà, malattia, morte…Se felicità è gioire e godere delle cose, degli affetti, delle persone, capita a tutti di fare esperienza che, ad esempio, la natura meravigliosa può essere altrettanto terribile, che gli affetti possono essere distrutti in mille modi diversi… Eppure ti capita di incocciare nella vita alcune persone che sembrano veramente felici, non dico i mattacchioni, gli incoscienti, gli sbandieratori di sorrisi per mestiere o per etichetta, ma persone tipo San Francesco, tipo qualche suora di clausura o qualche uomo di fede profonda. Non sono esenti dal male: pensate anche solo a Francesco: non era bello, era piccolo di statura e cagionevole di salute, aveva il ‘bel dono delle stimmate’ che lo facevano soffrire, nella sua vita ha provato che cosa volesse dire il tradimento dei propri ideali, l’abbandono dei propri cari e il silenzio di Dio, eppure questo "pazzerello di Dio" emanava, pur nelle lacrime, un senso di serenità che conquistava e conquista ancor oggi migliaia di persone… Per lui come per tutti gli altri santi aureolati o no la felicità era ed è la serenità di sapersi nelle mani di Dio; il gioire, il combattere, il soffrire, ma nelle mani di Dio… Forse noi non raggiungiamo la felicità perché l’abbassiamo semplicemente al tempo e alle cose dimenticando che "il nostro cuore non può essere felice finché non riposa in Lui".
Venerdì 5 Ottobre 2001
SAN PLACIDO
Parola di Dio: Bar 1, 15-22; Sal 78; Lc 10, 13-16
"CHI ASCOLTA VOI, ASCOLTA ME, CHI DISPREZZA VOI, DISPREZZA ME. E CHI DISPREZZA ME DISPREZZA COLUI CHE MI HA MANDATO". (Lc. 10,16)
Gesù identifica a sé i discepoli. Noi cristiani parliamo a nome di Gesù, agiamo a nome di Gesù, siamo la presenza di Gesù sulla terra. Qualcuno, giustamente potrebbe obbiettare: e gli errori, i peccati, i crimini commessi dai cristiani lungo i secoli sono anch’essi manifestazione dell’opera di Gesù? Certamente no! Anzi essi ci dicono quale grande responsabilità abbiamo noi cristiani nei confronti dei nostri fratelli e della storia. Noi non siamo onnipotenti, invulnerabili all’errore e al peccato. Nessuno di noi deve far passare le proprie povertà come parola di Dio, però abbiamo la garanzia dello Spirito sul fatto che Gesù si serve di noi per continuare la sua opera di salvezza, e proprio per questo dobbiamo conformarci sempre più a Cristo. "Che cosa farebbe Gesù, se si trovasse oggi nella mia situazione?" è una domanda che dobbiamo farci sovente, e se anche non sempre e subito avremo una chiara risposta a questo interrogativo, avremo confrontato la nostra vita con la sua ed eviteremo almeno gli errori più grossi.
Sabato 6 Ottobre 2001
SAN BRUNO, MONACO
Parola di Dio: Bar. 4, 5-12.27-29; Sal. 67; Lc. 10, 17-24
"RALLEGRATEVI PIUTTOSTO CHE I VOSTRI NOMI SONO SCRITTI NEI CIELI". (Lc. 10,20)
Quando i 72 discepoli tornano dalla missione a cui Gesù li aveva mandati, sono contenti. Fanno un bilancio, vedono che sono riusciti perfino a cacciare dei demoni, si sentono importanti. Gesù non sminuisce questo entusiasmo ma mette le cose nel loro giusto posto. Il successo della missione non si misura dal numero delle conversioni o dei miracoli, ma dalla gioia proveniente dal fatto di aver operato nel nome di Dio, sicuri che la fedeltà di Dio che vede tutto gioisce con noi tenendoci adesso e per sempre vicini a sé. Noi calcoliamo le nostre riuscite o i nostri insuccessi dai risultati. Dio non conta i risultati così. Anche nella religione siamo portati a quantificare, quasi che la fede aumenti o diminuisca a seconda del numero dei battesimi, della partecipazione alle messe, o peggio ancora dalle offerte raggranellate. Gesù ci insegna ad essere servi ma anche servi inutili che dopo che hanno fatto tutto quello che devono fare lasciano al Signore che faccia Lui. Noi siamo seminatori chiamati a buttare il seme a tempo opportuno e inopportuno, in terreno buono, sassoso o spinoso, ma chi fa crescere e raccoglie è Dio stesso. Qual è la nostra gioia? Hai fatto e fai di tutto per aiutare il tuo fratello? Operi per l’annuncio del Vangelo nella parrocchia? Non guardare ai risultati ma pensa a quanto sei benedetto da Dio nel poter svolgere questi compiti e ricordati che davanti a Dio nulla va perso, neanche "un bicchier d’acqua dato per amore".
Domenica 7 Ottobre 2001
XXVII^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
- BEATA MARIA VERGINE DEL ROSARIOParola di Dio: Ab. 1,2-3; 2, 2-4; Sal. 94; 2 Tm. 1,6-8.13-14; Lc. 17, 5-10
1^ Lettura (Ab. 1,2-3; 2, 2-4)
Dal libro del profeta Abacuc
Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido: "Violenza!" e non soccorri?
Perché mi fai vedere l'iniquità e resti spettatore dell'oppressione? Ho davanti rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese. Il Signore rispose e mi disse: "Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette perché la si legga speditamente. E` una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà". Ecco, soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede.
2^ Lettura (2 Tm. 1,6-8.13-14)
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo
Carissimo, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l'imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio. Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in Cristo Gesù. Custodisci il buon deposito con l'aiuto dello Spirito santo che abita in noi.
Vangelo (Lc 17, 5-10)
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: "Aumenta la nostra fede!". Il Signore rispose: "Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare ".
RIFLESSIONE
Cercando di ascoltare a fondo il messaggio della liturgia di oggi, in particolare due pensieri mi hanno colpito perché forse risentono di situazioni che sto vivendo e che, penso, la chiesa tutta stia vivendo in questi nostri tempi.
La prima è relativa alla fede e la seconda relativa al nostro modo di servire da cristiani.
Non colpisce forse quella esclamazione che gli apostoli rivolgono a Gesù: "Signore, aumenta la nostra fede!"? Non rispecchia anche la nostra situazione di vita odierna dove mantenere la fede è spesso una impresa difficile perché continuamente bombardata da mille prove e tentazioni?
Già il profeta Abacuc, nella prima lettura di oggi ci ricordava quanto è difficile in mezzo a situazioni di violenza che prendono il sopravvento su ogni voce di Dio, continuare a fidarsi di speranze che non solo non sembrano vedersi ma neppure prospettarsi all’orizzonte.
Il profeta leva il suo grido, denuncia una situazione di iniquità. Sembra però che Dio non lo ascolti, non risponda.
"Signore perché? Perché le stragi dovute alla violenza degli uomini? Perché la morte dell’innocente? Perché su quella famiglia sembrano abbattersi continuamente prove, una dopo l’altra?
Fino a quando, Signore? Perché chi cerca di operare la giustizia e la verità deve sempre soccombere? Perché tu che sei il Bene sembri lasciare che il bene venga schiacciato, distorto, svilito?
Signore, dormi? Anche nella tua chiesa spesso sembra che abbiano vita facile gli arrivisti, gli opportunisti, coloro che sminuiscono il valore del tuo messaggio, coloro che fanno della tua famiglia solo una merce per aumentare il proprio potere… e tu Signore, taci?"
Era lo stesso scandalo che provavano i fedeli contemporanei di Paolo che rischiavano di "scandalizzarsi" vedendo che lui, dopo tutto quello che aveva fatto per annunciare la gioia della Buona notizia, ora era in carcere e rischiava di rimetterci la testa:
"Perché Signore quell’uomo che ha dedicato tutta la sua vita agli altri, ora muore solo? Perché personaggi come Gandhi, come il vescovo Romero, sono dovuti finire vittime della violenza?"
E questi apostoli del Vangelo non chiedono forse un supplemento di fede perché non riescono a capire come mai Gesù, il Figlio di Dio, che ha dimostrato di avere potere, di comandare cose e natura, invece di compiere una marcia trionfale su Gerusalemme per conquistarla e liberarla dai Romani, non fa invece vita da povero ramingo e per di più annuncia che proprio in Gerusalemme Lui dovrà finire sulla croce?
Davanti agli interrogativi concreti della vita abbiamo bisogno che lo Spirito Santo ci confermi nella fede.
Ad Abacuc Dio assicura la sua presenza, anzi annuncia un suo imminente arrivo per dare senso e compimento alla storia. Si, la situazione che il profeta lamenta, avrà termine. Non è detto quando, ma è detto con forza che finirà, e allora il profeta commenta che, di fronte al tardare di Dio, "soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà di fede".
La fede è dunque questo fermo abbandonarsi nel Signore, questo confidare in Lui anche quando tutto sembra suggerire la sua lontananza, il suo silenzio.
Quante volte è successo questo nella storia, quante cose mostruose, ignominiose sono state perpetrate da uomini nei confronti di altri uomini, cose talmente cattive da rendere quasi impossibile anche solo pensare a Dio o pronunciare il suo nome. E tuttavia sono proprio questi i contesti nei quali si è resa manifesta la fede dei giusti, il loro abbandonarsi a Dio, contro ogni evidenza, il loro confidare in Lui contro ogni prova apparente della sua impotenza.
Provate a pensare all’Olocausto, eppure anche in quel deserto, in quella brutale dismissione di umanità, tanti uomini hanno mantenuto vivo il dono della fede.
San Paolo, a coloro che rischiavano di scandalizzarsi per la sua prigionia dice: "Non vergognarti, ma custodisci il buon deposito della fede con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in te", cioè fonda e rifonda ogni giorno, ogni ora la tua fiducia in Dio, anche se sembra che non ascolti, che non risolva i tuoi problemi. E il modo per far crescere la fede è fare un continuo riferimento alla Parola di Dio, e alla preghiera. E lì che trovi l’alimento perché la fede non inaridisca. Chiedi allo Spirito Santo che ti dia la forza di vedere con gli occhi di Dio, di pensare con il suo pensiero, e fidati che Lui possa farti questo dono.
Gesù sa che di fede gli apostoli e noi ne abbiamo poca: neanche come un granellino di senapa, ma sa anche che se sapremo mantenere quel poco, con l’aiuto dello Spirito Santo, riusciremo ad entrare un po’ nel cuore di Dio, e in Lui anche i misteri, i silenzi, le sconfitte, le croci possono avere un senso, e anche molto importante.
Se ogni giorno, ogni ora cercheremo di far crescere questa fede, allora comprenderemo che in Dio nulla, proprio nulla, neanche una virgola dolorosa della nostra vita, è perduta.
E allora riusciremo a capire anche meglio il senso del vero servizio cristiano che è far tutto, cercare di farlo bene e poi essere contenti di averlo potuto fare, senza esigere ricompense o pensare che, per quello che abbiamo fatto, siamo migliori di altri.
Cerco di tradurre questo pensiero con qualche esempio facile. In una famiglia ci possono essere tre figli, tutti ubbidienti, ma diversi tra loro. Il primo ubbidisce per paura: "Se non ubbidisco poi papà mi punisce", il secondo ubbidisce nella speranza di ottenere un premio: "Se ubbidisco, se vado bene a scuola poi papà deve darmi i soldi per il motorino". E poi c’è un terzo figlio che ubbidisce per amore e che pensa: "Chi fa parte di una famiglia, deve fare con amore la sua parte". Ecco, Gesù ci insegna a servire come questo ultimo figlio. Chi non serve per amore ha capito poco del messaggio di Gesù.
Gesù ci dice: "Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo".
Ancora un esempio preso dalla famiglia ci può aiutare: se in casa c’è una domestica essa di solito lavora perché ha bisogno del suo stipendio, una mamma invece, dopo avere preparato il pranzo e la cena, oppure dopo aver fatto il bucato, essere andata a far la spesa, messo in ordine la casa, chiede forse la paga ai componenti della casa? No, perché è una mamma, perché quella è la sua famiglia, perché ama gratuitamente.
E Gesù non ci ha forse amati in questo modo? Lui che era Dio si è fatto uomo per amore degli uomini, Lui ci ha servito e serve con amore, Lui il Maestro ha lavato e lava i piedi dei suoi discepoli, Lui il Signore è diventato nostro servo, Lui si è fatto e si fa pane per noi, per essere il sostegno del nostro cammino, Lui, l’Amore, ci ha amati fino a morire sulla croce per dirci quanto fosse concreto il suo volerci bene.
Quanto siamo assurdi anche come Chiesa quando pensiamo che tutto dipenda da noi! Grazie al cielo non sono io che salvo il mondo: Gesù lo ha già fatto per tutti noi. E se il Signore in qualche modo mi concede la grazie di poter testimoniare il suo nome, di poter partecipare a portare un po’ della sua gioia, del suo perdono, del suo amore ai miei fratelli, per questo devo sentirmi migliore degli altri, o non devo invece essere riconoscente? Per questo devo accampare dei diritti nei confronti di Dio, devo presentare il conto a Colui che non si fa mai battere in generosità?
Lunedì 8 Ottobre 2001
SANTA BENEDETTA; SAN GIOVANNI CALABRIA
Parola di Dio: Gio. 1, 1 - 2, 1. 11; Sal. da Gio. 2; Lc. 10, 25-37
"CHI E’ STATO IL PROSSIMO DI COLUI CHE E’ INCAPPATO NEI BRIGANTI?". (Lc. 10,36)
Gesù, attraverso la parabola del buon samaritano ci fa riflettere ancora una volta sul significato di "prossimo" e "farsi prossimo". Questo famoso racconto di Turgenev può aiutarci a continuare la riflessione di Gesù.
Passeggiavo per la via. Un mendicante, un vecchio cencioso mi fermò. Gli occhi infiammati, lacrimosi, le labbra violacee, le vesti a brandelli, ripugnanti ferite.., oh! come la miseria aveva laidamente conciato quell’essere infelice! Mi stese una mano rossa, gonfia, sudicia... Con un gesto mi chiese aiuto. Io mi misi a frugare per tutte le tasche... non avevo né il portamonete, né l’orologio, né il fazzoletto... Non avevo nulla indosso. E il mendicante se ne stava sempre lì, in attesa... Tendeva la mano ed era scosso da un fremito lieve. Turbato, confuso, afferrai vigorosamente quella mano lurida, tremula...: Abbi pazienza, fratello, non ho niente, fratello!
Il mendicante mi guardò con i suoi occhi infiammati: le sue labbra violacee si schiusero e sorrisero ed egli strinse a sua volta le mie gelide dita. Che importa, fratello, mormorò. Grazie lo stesso. Anche questa è un’elemosina, fratello. Io compresi che anch’io avevo ricevuto un’elemosina da quel fratello mio.
Martedì 9 Ottobre 2001
Santi DIONIGI, Vescovo e Compagni Martiri; SAN GIOVANNI LEONARDI
Parola di Dio: Gio. 3, 1-10; Sal. 129; Lc. 10, 38-42
"UNA DONNA DI NOME MARTA LO ACCOLSE NELLA SUA CASA". (Lc. 10,38)
Una delle esperienze più belle della vita (anche se estremamente rara) è avere degli amici veri. Ti trovi bene quando sei con loro, sai che se vai a trovarli sei bene accolto, non disturbi, sai di poter contare su di loro, sai che condividere con loro una gioia non significa sminuirla ma aumentarla e condividere un dolore significa portarlo tutti insieme, con più forza.
Gesù ha provato questa gioia. Quella casa di Betania era sempre aperta per Lui e i suoi apostoli. Con Lazzaro si poteva parlare liberamente, Maria pendeva dalle labbra di Gesù, Marta era sempre pronta a farsi in quattro perché l’ospitalità fosse gradevole e gli invitati, oltre che a trovarsi a proprio agio, potessero gustare anche un buon pranzo. Gesù, l’amico di tutti, ha avuto degli amici in particolare. Gesù mi ama così come sono. Bussa alla porta di casa mia. Ha desiderio di trovarsi con me e con te. Ma mi chiedo se Gesù si trova bene da me. Anzitutto, quando viene, mi trova in casa o sono perennemente fuori a sfarfallare tra mille cose? Sono poi disponibile ad accoglierlo con gioia in casa mia? E’ uno che non disturba mai? Condivido con Lui le mie gioie e le mie pene? Sto ad ascoltarlo? Gioisco a mia volta della sua amicizia?
Mercoledì 10 Ottobre 2001
SAN DANIELE
Parola di Dio: Gio. 4, 1-11; Sal 85; Lc. 11, 1-4
"QUANDO PREGATE DITE: PADRE…". (Lc. 11,2)
Quando una persona vuole diventare discepolo di un maestro, la prima cosa che fa è quella non tanto di sentire solo ciò che il maestro dice, ma di osservare come il maestro si comporta.
Gli Apostoli sono ammirati davanti a Gesù, ascoltano il suo messaggio e cercano di capirlo, anche se per loro non è tanto facile, ma soprattutto osservano i suoi comportamenti, e non possono non rimanere stupiti davanti a questo Messia che dedica tanto tempo della sua vita a Dio; lo vedono alzarsi presto al mattino per ritirarsi in luoghi deserti a pregare, lo vedono nel tempio a meditare e annunciare la Parola della Bibbia, sentono che le sue parole ispirate hanno un retroterra profondo, che viene da lontano, ecco perché chiedono a Gesù di insegnare loro la preghiera: hanno capito che per Gesù tutto dipende da questo rapporto profondo con il Padre. Gli apostoli, però, pensano che per stabilire questo basti qualche formula. Gesù va oltre: insegna il Padre Nostro, ma nel Padre nostro ci dà soprattutto la chiave della preghiera.
L’atteggiamento della preghiera deve essere quello del figlio nei confronti del Padre. Noi siamo creature, quindi piccoli, poveri, peccatori, ma siamo figli amati di Colui che non solo è Signore e Creatore e Giudice, ma soprattutto Padre Misericordioso, Padre che ama, Padre che desidera vederci crescere, che vuole farci scoprire la profondità del suo cuore. Sono convinto che se noi dedicassimo, prima di pregare, due minuti di orologio a renderci conto di essere figli che si rivolgono al Padre, non avremmo più tante distrazioni o problemi sul cosa dire nella preghiera.
Giovedì 11 Ottobre 2001
SANTA EMANUELA; SAN FIRMINO
Parola di Dio: Ml. 3, 13-20; Sal. 1; Lc. 11, 5-13
"CHIEDETE E VI SARA’ DATO, BUSSATE E VI SARA’ APERTO". (Lc. 11,9)
Gesù, dopo averci regalato la preghiera del Padre Nostro, invita ad una preghiera perseverante.
Qualcuno dice che la preghiera non è necessaria, è inutile; qualcun altro dice di non aver tempo di pregare... Perché Gesù, invece, ci chiede di pregare incessantemente? Dio ha forse bisogno della nostra lode, delle nostre parole? No! Siamo noi che abbiamo bisogno di Lui e la preghiera ci aiuta a rendercelo presente, a scoprire la nostra indigenza e la sua Provvidenza. Il "chiedere", allora, non è il semplice questuare grazie e aiuti ma è riconoscere Dio attraverso la fede, incontrarlo, informare la nostra vita di Lui, lodarlo per i suoi benefici, affidarci alla sua volontà...
Ma Gesù afferma che la nostra preghiera giunge a Dio e trova una risposta. Eppure, questa è la nostra esperienza, molte volte abbiamo pregato, ma non abbiamo ricevuto risposta e forse ci siamo sentiti anche più abbattuti di prima e con la fede scossa dal dubbio. La nostra preghiera di domanda deve essere, se è fatta bene, una preghiera che ci fa entrare nella mentalità di Dio e in noi stessi per scoprire i nostri veri bisogni. Dio non può essere considerato un distributore automatico di grazie e non può esaudire le domande inutili o ingiuste. Anche con Gesù, Dio si è comportato così: non ha staccato suo Figlio dalla croce. Quella croce è conseguenza di una scelta responsabile di amore di Gesù e del peccato degli uomini. Se Dio non mi esaudisce o non mi concede quella grazia, ci saranno ben dei motivi. Io non li conosco, ma se credo che Lui è un Padre che vuole il mio bene, anche se a denti stretti perché nella mia piccola presunzione di uomo vedrei le cose risolversi facilmente in altro modo, devo fidarmi di Lui. Se prego in questo modo, può anche darsi che non ottenga la grazia così come l’avevo chiesta, ma certamente ho ottenuto la cosa più importante: Dio.
Venerdì 12 Ottobre 2001
SAN SERAFINO
Parola di Dio: Gl. 1,13-15; 2,1-2; Sal. 9; Lc. 11, 15-26
"CHI NON E’ CON ME E’ CONTRO DI ME; CHI NON RACCOGLIE CON ME, DISPERDE". (Lc. 11,23)
Oggi si parla di radicalismo religioso solo perché vediamo le esasperazioni di certi radicalismi (o di persone che con essi si mascherano) che sono: guerre di religione, imposizioni, coartazioni di libertà, esaltazioni, forme di pazzia… Quando Gesù diceva: "O siete con me o siete contro di me", non intendeva certamente queste esasperazioni, se no, dove sarebbe la buona notizia del Vangelo che libera l’uomo nel suo interno e lo aiuta, attraverso il comandamento dell’amore, a stabilire giusti rapporti con Dio e con gli uomini? Gesù chiede a noi di essere radicali in un altro senso, quello delle scelte. Noi siamo maestri di compromessi, di mezzi impegni, del "salviamo capra e cavoli". Noi sovente diciamo: "Voglio bene al Signore ma devo badare ai miei interessi!". "Andrei a messa, la domenica, ma i miei mille impegni.., e poi il Signore lo si può amare in mille altri modi !". "Amare, voler bene, perdonare.., sì ma non nella giungla del mondo del lavoro: lì devi tirar fuori le unghie, far vedere che sei forte, se no ti mangiano vivo!". "Signore fino a quando devo perdonare, fino a sette volte? (mi sembra già tanto)". Gesù è intransigente: per Lui non c'è spazio al compromesso: non si può tenere il piede in tante staffe diverse. Bisogna seguirlo e totalmente, bisogna avere il coraggio di comprometterci con Lui sapendo che la sua via conduce al paradiso ma che prima passa da un posto che noi vorremmo aggirare volentieri ma che è inevitabile: la croce.
Sabato 13 Ottobre 2001
SAN TEOFILO; SAN ROMOLO; SAN EDOARDO Confessore
Parola di Dio: Gl. 4, 12-21; Sal. 96; Lc. 11, 27-28
"BEATI QUELLI CHE ASCOLTANO LA PAROLA DI DIO E LA OSSERVANO". (Lc. 11,28)
Può sembrare una barzelletta ma, purtroppo, è un fatto realmente accaduto: Alessandro (10 anni) trascorreva più tempo davanti al televisore che chino sui libri. Al padre che, seccato, lo rimproverava per questo dicendogli: "Ma, insomma, non ti capita mai di ascoltare la voce della coscienza?", il bambino rispondeva senza malizia: "Papà non lo so, è su quale canale?". C’è anche una voce che spesso gli uomini cercano di non ascoltare, di far finta che non ci sia o che sia difficile da intendere: è la voce di Dio.
Dio è sempre stato ed è dialogo con gli uomini. La creazione, la natura, la coscienza che ognuno di noi ha, anche se magari facciamo di tutto per tacitarla, ci parlano di Lui. Lui stesso, poi, ci ha parlato lungo la storia della salvezza e soprattutto attraverso suo Figlio. Noi abbiamo la sua parola nella Bibbia che non è un libro di mitologie lontane o di storia passata e interpretata in certo modo, è il libro della mia storia, è la parola che oggi Dio rivolge a me perché mi vuole bene, perché mi vuole salvo oggi e per sempre. Ma io lo ascolto? Spesso abbiamo tempo per i giornali, per la televisione, magari anche per l’ultimo romanzo alla moda ma per la parola di Dio abbiamo sempre qualche scusa: il tempo, la difficoltà di comprensione… Per comprendere nel suo vero senso la Parola di Dio, bisogna mettersi sulla giusta lunghezza d’onda. E Gesù, nel Vangelo di oggi, indirettamente ci mette davanti ad una persona che ha realizzato questa comunione intensa, Maria. Lei è una che ascolta: l’angelo, Gesù, il suo prossimo, ma è anche una che si chiede che cosa voglia Dio da Lei e poi, anche quando non capisce tutto, si fida, si abbandona, dice il suo sì concreto. Ascoltare e capire la parola, allora, non è solo questione di lettura, di ascolto, di intelligenza, è questione di incontrare Qualcuno che è vivo in mezzo a noi, è provare la gioia di poterlo seguire.
Domenica 14 Ottobre 2001
XXVIII^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
- SAN CALLISTO I, Papa e MartireParola di Dio: 2 Re 5, 14-17; Sal. 97; 2 Tm. 2, 8-13; Lc. 17, 11-19
1^ Lettura (2 Re 5, 14-17)
Dal secondo libro dei Re.
In quei giorni, Naaman Siro scese e si lavò nel Giordano sette volte, secondo la parola dell'uomo di Dio, e la sua carne ridivenne come la carne di un giovinetto; egli era guarito. Tornò con tutto il seguito dall'uomo di Dio; entrò e si presentò a lui dicendo: "Ebbene, ora so che non c'è Dio su tutta la terra se non in Israele". "Ora accetta un dono dal tuo servo". Quegli disse: "Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò". Naaman insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò. Allora Naaman disse: "Se è no, almeno sia permesso al tuo servo di caricare qui tanta terra quanta ne portano due muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dei, ma solo al Signore".
2^ Lettura (2 Tm. 2, 8-13)
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.
Carissimo, ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo, a causa del quale io soffro fino a portare le catene come un malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti, perché anch'essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Certa è questa parola: Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, anch'egli ci rinnegherà; se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso.
Vangelo (Lc. 17, 11-19)
Dal vangelo secondo Luca.
Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: "Gesù maestro, abbi pietà di noi!". Appena li vide, Gesù disse: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?". E gli disse: "Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!".
RIFLESSIONE
Se abbiamo un minimo di autocoscienza, molte volte nella vita ci saremo chiesti: "Dove sto andando? Che senso ha il tempo della mia vita? Chi ho incontrato, chi spero di incontrare?", Perché davvero la nostra vita è un cammino e se non ha una meta è un cammino a vuoto, e se sbagliamo la meta rischiamo di non trovarci più. Il Vangelo che abbiamo appena letto ci fa vedere il cammino di Gesù che ci viene incontro sulle vie della nostra vita e il cammino di dieci lebbrosi che nel loro doloroso cammino incontrano Gesù. Vorrei anch’io, con voi, oggi mettermi in cammino e ripercorrere la strada di quei dieci lebbrosi per scoprire insieme se anche noi non siamo malati, se abbiamo intenzione di incontrare Gesù che ci viene incontro, se sappiamo davvero pregare, se abbiamo un briciolo di fede che permetta a Gesù di operare in noi e se questa nostra fede porta davvero alla gioia, alla lode, alla riconoscenza.
Quei dieci lebbrosi erano più che consapevoli della loro malattia: quando la lebbra li aveva colpiti non solo avevano visto crescere croste sui loro corpi, avevano visto la loro pelle e la loro carne cadere a brandelli, ma avevano provato ciò che la società manifestava nei confronti del lebbroso: una paura viscerale che allontanava, emarginava e che al massimo relegava alla carità fatta da distante da parte di qualcuno. Avevano provato che cosa volesse dire perdere ogni diritto civile e religioso, perdere famiglia e affetti, non essere più considerati uomini, ma ‘lebbrosi’. Da lebbrosi non conta neppur più essere Giudei o Samaritani, si può vivere tranquillamente insieme, si è tutti emarginati allo stesso modo da quella malattia.
Questi dieci però hanno sentito parlare di Gesù, quel maestro che parla ai poveri, che dà da mangiare a chi ha fame, che guarisce sordi e muti e paralitici, quel Gesù che molti dicono essere addirittura il Messia. "Non potrà anche guarire noi?" E si sono messi in cammino per cercarlo. Mi chiedo: io sono sano o malato?
Se mi ritengo sano, se credo di essere a posto perché battezzato, se penso di poter accampare crediti davanti a Dio per le mie opere buone, se nascondo la mia lebbra, il mio egoismo dietro vesti di perbenismo e di religiosità, non partirò mai alla ricerca di Gesù che mi guarisca.
Se invece mi accorgo che nonostante i miei sforzi, la mia fede è piccola, se mi accorgo che a Gesù voglio bene, ma spesso non mi comporto come Lui mi ha indicato, se mi accorgo che da solo certi difetti, certi peccati, certi egoismi non sono capace a vincerli, forse allora posso rendermi conto che Lui è già in cammino verso di me, proprio per aiutarmi, per liberarmi: "Io da solo non ce la faccio, il peccato mi ha segregato, mi ha consumato e mi consuma… ma Lui può tutto, Lui desidera salvarmi, Lui ha già versato il suo sangue per me!"
Ed ecco che i dieci lebbrosi, rispettando la legge che li fa tenere a distanza, gridano a Gesù: "Gesù Maestro, abbi pietà di noi" E scopro ancora una volta che la preghiera non è biascicare formule, dire lodi che non rendono Dio più grande di quanto Egli già sia, non è neppure ricordargli cose che Egli già sa o imporgli la nostra volontà, è vedere la sua realtà e la nostra realtà, è sapere che Lui è tutto e può tutto, è capire che senza di Lui noi siamo soli, emarginati, incapaci, è fidarsi che Lui possa guarirci non solo dalle malattie, ma soprattutto dentro. E’ gridare questo nostro desiderio e questa speranza, è fare un atto profondo di fede. Ed infatti è proprio questo che Gesù chiede ai dieci lebbrosi: un grande atto di fede. Non li guarisce subito, e chiede loro che, mentre sono ancora lebbrosi, facciano un altro po’ di cammino per andare dai sacerdoti incaricati di garantire la loro guarigione e la riammissione ai diritti civili e religiosi. Ce l’ho io questa fede? Sono disposto a giocarmi tutto, reputazione, amicizie, su una parola di Gesù? Continuo a credere anche quando si tratta di camminare al buio, anche quando apparentemente non è cambiato nulla della mia situazione? Eppure il miracolo, la grazia può avvenire solo se io mi rendo disponibile a riceverla. Quante volte se dopo aver chiesto nella preghiera un dono importante per me o per i miei fratelli, mi domandassero: "Ma credi davvero che questo dono ti possa essere dato?", che cosa risponderei? E per quei dieci la guarigione arriva: pensate che momento gioioso dovrà essere stato veder la carne ricresce "come quella di un giovinetto", come già era successo a Naaman il Siro di cui abbiamo sentito nella prima lettura. Ciascuno avrà pensato subito a che cosa significasse questa guarigione: smetterla con l’emarginazione, ritrovare la propria famiglia, riavere la possibilità di riprendere i propri affari, potersi "vendicare" di tutti i soprusi subiti a causa della mentalità della gente, essere riammessi alla religione ufficiale, anzi sentirsi ancor più importanti perché beneficati da Dio…E Gesù?
Uno solo, uno straniero, uno "scomunicato" che, mentre era malato era come gli altri e che ora guarito ritorna ad essere "samaritano", si rende conto che tutto quello che essi hanno ottenuto o otterranno è dovuto a Gesù e allora torna gioioso per dire il suo grazie, per esprimere a Colui che glielo ha permesso, tutta la sua gioia di vivere. Questo Samaritano si è ricordato che il dono ricevuto non era ‘dovuto’, ma gratuito, non era ‘meritato’ ma regalato e allora se tutto è grazia, tutto deve diventare rendimento di grazie. Gesù non si aspetta da noi i ringraziamenti della buona educazione, i ringraziamenti come succede con i benefattori che si gloriano del grazie di coloro a cui con superiorità hanno lasciato scorrere qualche dono.
La gioia stessa per ciò che abbiamo ricevuto è il nostro grazie. E’ grazie lo stupore, l’ammirazione, il celebrare la vita, il far funzionare il dono ricevuto. E’ non perdere la memoria dell’incontro che ci ha salvato. E anche qui mi chiedo: "Sono capace di gioire per tutto quello che ho ricevuto? Sono consapevole che nulla mi è dovuto ma che tutto mi è regalato? Mi accontento di dire "Gloria al Padre…" o sono talmente gioioso da voler subito mettere in atto i doni ricevuti perché anche altri ne possano gioire? Vado all’Eucarestia perché essa è un rito o davvero per me è "memoria" e "rendimento di grazie"?
Ci si può alzare al mattino dicendo: "Uffa, un altro giorno!"?
Si può solo e sempre vedere tutto quello che ci manca, le negatività del tempo, degli uomini, della società? Può il cristiano essere pessimista? Posso dire : "sono sfortunato" solo perché le cose non sono andate alla perfezione come progettavo, mentre magari sono "fortunato" perché ho la vita, la salute, gli affetti e magari anche un po’ di sofferenza che mi aiuta a ricordare che non tutto mi è dovuto, che non tutto dipende da me?
Per essere persone come quel samaritano che torna a dir grazie bisogna essere prima di tutto capaci a superare la distrazione che non ci permette più di stupirci quotidianamente davanti al miracolo della vita, bisogna essere capaci di cercare le tracce del passaggio di Dio nei fatti del quotidiano, bisogna non dare mai per scontato quello che ci viene offerto, e allora la nostra vita stessa con tutto quello che comporta sarà davvero la gioiosa gratitudine a Colui che ogni momento continua a donarcela.
Lunedì 15 Ottobre 2001
SANTA TERESA D`AVILA Vergine e Dottore della Chiesa
Parola di Dio: Rm. 1, 1-7; Sal. 97; Lc. 11, 29-32
"QUESTA GENERAZIONE CERCA UN SEGNO" (Lc. 11,29)
Gesù di segni ne aveva fatti tanti, miracoli di misericordia, segni di potenza, guarigioni per confermare la sua possibilità di salvare l’uomo dal di dentro con il perdono, eppure la gente vuole da Lui ancora altri segni, altri miracoli, altre conferme. Non è solo quella dei contemporanei di Gesù la generazione che cerca dei segni, ma anche noi continuamente cerchiamo segni. Vorremmo che il Signore si facesse vedere, risolvesse Lui (a modo nostro) i problemi sia personali che della nostra società. Corriamo poi volentieri dietro l’ultimo santone di turno, leggiamo gli oroscopi o addirittura frequentiamo maghi per sapere il nostro futuro, ci lasciamo avvincere dall’ultimo presunto miracolo, andiamo a pregare in quella chiesa perché lì c’è quel determinato prete che "guarisce i malati", e ci dimentichiamo dell’unico vero segno che è Gesù Cristo, morto e risorto per noi. E’ Gesù la salvezza, il perdono, la guarigione vera, suoi segni sono la Parola e i sacramenti. Non fidiamoci troppo delle religioni fenomeno...da....baraccone, dei predicatori televisivi che sorridono troppo, parlano continuamente di miracoli e di conversioni strabilianti, o di chi, fermandoci per la strada, vuole metterci addosso la paura di un Dio pronto finalmente a "mettere a posto il mondo"… In tutte queste cose il piccolo segno appariscente rischia di far scomparire Gesù Cristo o di ridurlo al toccasana delle nostre necessità mentre, invece, il grande segno è solo Lui.
Martedì 16 Ottobre 2001
SANTA MARGHERITA MARIA ALACOQUE, Vergine; SANTA EDVIGE
Parola di Dio: Rm. 1, 16-25; Sal 18; Lc. 11, 37-41
"PIUTTOSTO DATE IN ELEMOSINA QUEL CHE C’E’ DENTRO, ED ECCO PER VOI TUTTO SARA’ MONDO". (Lc. 11,41)
Gesù invita il fariseo osservante, che però lo aveva subito giudicato, a non fermarsi alle esteriorità, ma ad imparare ad andare al nocciolo delle cose e credo che in fondo gli dica più o meno così: "Quando uno sta morendo dalla fame, guarda al piatto oppure a ciò che vi è dentro? Quando uno bussa alla tua porta per chiederti aiuto bada alle belle parole che tu puoi dirgli o a ciò che concretamente tu puoi fare per lui? La Chiesa mostra il suo vero volto perché tanti cristiani parlano o perché qualcuno si sforza di fare le stesse scelte che Gesù ha fatto?".
La purezza di cuore non è legata alle esteriorità formali della legge, anche se queste potrebbero essere di aiuto, ma è legata al dare agli altri ciò che vi è dentro. Dio non si lascia ingannare dalle apparenze e dalle maschere che noi mettiamo per apparire più buoni di quello che siamo. Gesù in pratica ci dice: "Liberatevi dalla preoccupazione di voler apparire perfetti, dalla tentazione del voler raggiungere le vette di una virtù disincarnata, e rendetevi disponibili con semplicità, all’incontro con ogni persona; liberatevi dalla religiosità della fredda osservanza, da quella della paura e lasciate che il vostro cuore ripieno di Dio debordi e vi conduca per strade nuove con la fantasia dello Spirito Santo che abita in voi". Ma, ancora una piccola ma importante osservazione: anche Dio può essere oggetto e desidera essere oggetto della nostra "elemosina". Dio aspetta che io gli doni i miei peccati, il mio egoismo, le mie paure… aspetta questa ‘elemosina’ per potermi perdonare.
Mercoledì 17 Ottobre 2001
SAN IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Vescovo e Martire; SAN RODOLFO
Parola di Dio: Rm. 2, 1-11; Sal. 61; Lc. 11, 42-46
"GUAI A VOI CHE CARICATE GLI UOMINI DI PESI INSOPPORTABILI, E QUEI PESI VOI NON LI TOCCATE NEMMENO CON UN DITO". (Lc. 11,46)
Nella liturgia, per tre giorni consecutivi, sentiremo il ’buon e dolce’ Gesù che lancia pesantissime invettive contro i ‘buoni’ di allora, gli scribi e i farisei. Gesù se la prende con loro non per il loro tentativo di concretizzare e mettere in pratica la legge di Dio, quanto per l’arroganza ,la supponenza e l’ipocrisia di sentirsi capaci di "appropriarsi di Dio" e di sfruttarlo per i propri interessi e di essere quindi capaci nel nome dello stesso Dio di far pesare sugli altri ciò che poi, con maschera di legalità, si riesce ad eludere.
Tutti noi siamo disposti a battere le mani a questi "Guai" di Gesù, perché anche oggi in tutti i campi, da quello sociale a quello religioso, vediamo tante ipocrisie, tanta gente che cerco di "fare i furbi" tante persone "arrivate" che hanno costruito se stessi sull’inganno e sulle spalle di altri. Ma, attenzione: questi "Guai" possono essere anche per noi. Proviamo a tradurre il Vangelo di oggi mettendo noi stessi nel banco degli accusati: "Guai a te, che pensi di essere un buon cristiano perché fai la tua offerta in chiesa, firmi l’otto per mille, e una volta l’anno ti intenerisci davanti ad un povero, magari facendolo mangiare a casa tua il giorno di Natale, ma che poi approfitti del tuo ruolo per angariare gli altri, per sfruttarli, che bari sul peso della merce, che per combinare i tuoi pasticci dici "intanto nessuno mi vede". Guai a te che fai di tutto per apparire tra i maggiorenti della parrocchia, che nelle grandi occasioni ci sei sempre, che sai dare consigli agli altri su quello che non stai facendo tu, guai a te che arruffi le penne per sembrare più grande e più bello, ma sotto sei solo un pallone gonfiato, guai a te che ostenti di essere uno che prega, mentre invece parli solo con te stesso. Guai a te che ti senti sempre pronto a giudicare gli altri, che avresti sempre la soluzione per risolvere tutti i problemi politici e sociali del mondo. Guai a te che pensi di poter quasi suggerire a Dio il modo migliore per governare il mondo e poi non sai stare neppure nella tua famiglia, e poi cerchi le scusanti per seguire la via più facile e più comoda".
Giovedì 18 Ottobre 2001
SAN LUCA, Evangelista
Parola di Dio: 2Tim. 4,10 -17; Sal 144; Lc. 10,1-9 (Lc. 11,47-54)
"GUAI A VOI CHE AVETE TOLTO LA CHIAVE DELLA SCIENZA. VOI NON SIETE ENTRATI E A QUELLI CHE VOLEVANO ENTRARE LO AVETE IMPEDITO".
(Lc. 11,52)
Il Vangelo ci presenta anche oggi degli altri "Guai!". Proviamo di nuovo a tradurli pensando concretamente se Gesù non voglia rimproverare un po’ anche noi per invitarci alla conversione. "Guai a voi che pensate di vivere nella migliore delle società e ve la prendete con il passato vedendo in esso solo errori e colpe che giustificano certi vostri atteggiamenti odierni. Guai chi pensa che la colpa sia sempre degli altri e non si accorge che enumerando le colpe altrui dice le proprie. Guai a te per tutte le volte che non hai saputo cogliere il bene che ti era testimoniato, guai a te che, facendoti forte della tua cultura, hai fatto tacere chi con umiltà manifestava il Vangelo. Guai a te che hai le mani sporche di denaro e ti dici per la povertà evangelica, guai a te che hai costruito i tuoi averi non "con le tue mani" ma con il sudore e le lacrime di tanti, guai a te che approfitti della religione e del religioso per farti i tuoi affari. Guai a te quando pensi di sapere tutto, di avere una risposta a tutti gli interrogativi della vita e imponi agli altri te stesso impedendo loro di arrivare dove Dio voleva portarli, ti sei messo al posto di Dio e non sai trovare la strada per te e la impedisci ai fratelli…". E i "Guai!" potrebbero continuare a lungo e nessuno di noi può dire che in qualche modo queste parole non li riguardino. Davanti a questo si aprono due strade: quella di far finta di niente dicendo: "In fondo ce ne sono tanti peggio di me" oppure quella del riconoscere con verità le nostre povertà e mancanze per cercare, con l’aiuto di Dio, di ripartire ancora una volta.
Venerdì 19 Ottobre 2001
SAN PAOLO DELLA CROCE
Parola di Dio: Rm. 4, 1-8; Sal. 31; Lc. 12, 1-7;
"NON C’E’ NULLA DI NASCOSTO CHE NON SARA’ SVELATO NE’ DI SEGRETO CHE NON SARA’ CONOSCIUTO". (Lc. 12,2)
Qualche volta questa frase è stata usata quasi in modo terroristico e occhi di Dio sono stati dipinti nei luoghi più impensati per ricordarci che a Dio nulla sfugge. Gesù, quando ha detto questa frase voleva soltanto aiutarci a capire che non è con le apparenze, le maschere, l’ipocrisia che si può costruire l’uomo ed anche il suo rapporto con gli altri e con Dio stesso. Allora sovente mi sono immaginato la presenza di Dio non tanto come quella del giudice che osserva, segna nel suo libro, quasi per dirti "Questa volta ti ho beccato e me la pagherai!", ma come il richiamo amorevole di un padre che vede il proprio figlio con i suoi meriti e con le sue difficoltà e che cerca con la sua presenza di aiutarlo nel difficile cammino della vita. E così, con fantasia, mi immagino anche il giudizio finale non tanto come Dio che dice: "Tu a destra nel paradiso e tu a sinistra nell’inferno" ma quanto piuttosto non essendoci più nulla di nascosto a nessuno, l’uomo stesso o che fidandosi della misericordia di Dio corre a rifugiarsi tra le sue braccia o che desidera nascondersi, non farsi vedere così com‘è in realtà, insomma una specie di Adamo che ritrovandosi nudo cerca un cespuglio quasi potesse nascondersi. Se ci pensassimo un po’ più spesso che un giorno qualunque cosa sarà svelata, intanto saremmo più umili, poi avremmo più fiducia nella misericordia di Dio e poi cercheremmo di essere meno falsi, ipocriti, in cerca di false apparenze. Ricordiamocelo: in quei giorni la foglia di fico sarà seccata e il cespuglio sarà trasparente come la lastra di vetro e noi scopriremo in noi stessi se alla fine ha vinto la paura oppure la fiducia nella Misericordia.
Sabato 20 Ottobre 2001
SANTA ADELINA
Parola di Dio: Rm. 4, 13. 16-18; Sal. 104; Lc. 12, 8-12
"CHI BESTEMMIERA’ LO SPIRITO SANTO NON GLI SARA’ PERDONATO". (Lc. 12,10)
Quando sentiamo la parola bestemmia ci vengono subito in mente certe parole rivolte contro Dio, contro la Madonna che, purtroppo, sentiamo sempre più in bocca a tante persone che il più delle volte non sanno neppur cosa dicono in quanto la bestemmia è davvero un assurdo, perché se non ci credi è inutile prendersela con qualcuno che non c’è e se ci credi perché offenderlo? Ma qui Gesù parla di una bestemmia che il più delle volte non è neppur fatta di parole. Si bestemmia contro lo Spirito Santo quando il nostro atteggiamento di vita esclude a Dio e al suo Spirito ogni possibilità di agire in noi e attorno a noi, quando in pratica ci si organizza esclusivamente da soli senza lasciare spazio a Dio, quando si esclude la speranza per noi e per il prossimo, quando troppo pieni di se stessi e dei propri peccati si pensa che Dio non abbia più fiducia in noi e non possa perdonarci. E’ allora che anche quel "non gli sarà perdonato" diventa reale, non perché Dio non possa perdonarci, ma perché io gli ho chiuso la porta e non permetto che il suo perdono mi raggiunga e faccia di me un uomo nuovo.
Domenica 21 Ottobre 2001
XXIX^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO -
SANTA ORSOLA; SAN GASPARE DEL BUFALOParola di Dio: Es. 17, 8-13; Sal. 120; 2 Tm. 3, 14 - 4, 2; Lc. 18, 1-8
1^ Lettura (Es. 17, 8-13)
Dal libro dell'Esodo.
In quei giorni, Amalek venne a combattere contro Israele a Refidim. Mosè disse a Giosuè: "Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalek. Domani io starò ritto sulla cima del colle con in mano il bastone di Dio". Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalek, mentre Mosè, Aronne, e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek. Poiché Mosè sentiva pesare le mani dalla stanchezza, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l'altro dall'altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. Giosuè sconfisse Amalek e il suo popolo.
2^ Lettura (2 Tm. 3, 14 - 4, 2)
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.
Carissimo, rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto, sapendo da chi l'hai appreso e che fin dall'infanzia conosci le sacre Scritture: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona. Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina.
Vangelo (Lc. 18, 1-8)
Dal vangelo secondo Luca.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: "C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi". E il Signore soggiunse: "Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?".
RIFLESSIONE
E’ facile comprendere il tema di riflessione che la Parola di Dio ci offre nella liturgia di oggi, infatti tutte e tre le letture, con un linguaggio diverso, riprendono lo stesso tema.
La prima lettura ci ha presentato una scena grandiosa. Amalek, questo forte popolo si oppone a Israele e allora, mentre Giosuè combatte, Mosè prega, innalza le mani vuote a Dio; e mentre fa questo il popolo vince. E’ chiarissima l’affermazione che la preghiera è il sostegno dell’azione e che la pretesa di cambiare il mondo con le nostre sole forze non risolve assolutamente nulla. La lettera di San Paolo ci ha ripetuto con forza di star saldi nella fede, di resistere attraverso ciò che fin da piccoli abbiamo imparato, quel dialogo semplice ma fiducioso con un Dio che ci è Padre misericordioso. Il Vangelo poi, riporta una parabola, a prima vista non facile, che ritorna sul tema della preghiera incessante. La vedova (e lo sappiamo che le vedove nella Bibbia sono sempre personaggi che indicano chi è povero e solo, abbandonato e indifeso) chiede giustizia a chi dovrebbe garantirgliela. Gliela chiede con insistenza, e proprio per questa sua insistenza riesce ad ottenerla forzando i tempi. Ma ogni volta che noi parliamo di preghiera dobbiamo fare attenzione a tutta una serie di pregiudizi o di modi di intendere che ci portiamo dietro. Ad esempio qualcuno intende la preghiera come la lavanderia a gettone: tu hai il tuo carico di guai, di problemi, metti il gettone della preghiera (anzi la serie delle formule di preghiera) e dovresti ottenere il risultato e se non lo ottieni è perché o non hai detto bene le preghiere, oppure te la prendi con Dio che non ha funzionato come doveva. Un altro pregiudizio è che la preghiera sia il rifugio dei deboli, di coloro che rinunciano a lottare scaricando tutti i problemi su Dio. Per altri ancora la preghiera è inutile, noiosa, superata. Eppure personaggi di azione a favore dei poveri come Mons. Elder Camara o Madre Teresa di Calcutta avevano ben presente il valore della preghiera. Il primo diceva: "Due mani giunte ottengono molto più di due pugni chiusi", e la seconda: "Se non pregassi non farei niente". E davanti a chi gli diceva che la preghiera era una debolezza vergognosa il premio Nobel della medicina e della biologia Alexis Carrel rispondeva: "In verità il pregare non è più vergognoso di quanto lo sia il respirare o il bere. L’uomo ha bisogno di Dio come ha bisogno di acqua e di ossigeno. La preghiera manca agli uomini, e questa mancanza li impoverisce anche fisicamente, mentre, se fosse presente, li arricchirebbe non solo come salvezza, ma anche come salute".
Perché allora tanti cristiani non pregano o pregano poco o pregano solo in certe circostanze disperate? Perché non hanno fede o ne hanno troppo poca. Ma perché non hanno fede o ne hanno troppo poca? Perché non pregano.
E’ un circolo: fede e preghiera o stanno insieme o insieme cadono: la fede si nutre di preghiera e la preghiera si nutre di fede.
E’ necessario pregare, ci dice Gesù nella parabola di oggi, infatti noi, suoi discepoli ci troviamo nelle condizioni di quella vedova che deve lottare contro un avversario prepotente che l’ha defraudata di ciò che è suo e che le è necessario. Povera donna, non ha nessuno che possa aiutarla: sente perciò tutta la precarietà della sua situazione e si rivolge a quel giudice con forza e con insistenza.
Ebbene, se siamo sinceri, anche noi avvertiamo con realtà la presenza del nostro avversario, il diavolo, lo avvertiamo addirittura in noi a causa della nostra estrema debolezza e per il fascino che le sue opere creano in noi.
Da soli non ce la facciamo a vincerlo.
Nessuno può aiutarci a vivere dignitosamente da figli di Dio se non lo stesso Dio, nessuno può farci giustizia se non Lui.
La povera vedova non si stanca: sa che il giudice non teme Dio e non ha riguardo per nessuno, tanto più per una donna senza difesa come lei: Però insiste, ripete all’infinito la sua richiesta, perché sa che gli uomini anche cattivi, molto spesso accettano di fare un servizio per evitare ulteriori seccature. Ed infatti, proprio perché la vedova è così molesta, il giudice si decide a farle giustizia.
Ebbene, dice Gesù, un giudice ateo si arrende alla preghiera insistente di una donna; ma Dio è Buono, è Padre, ama immensamente chi si rivolge a Lui, non farà dunque giustizia ai suoi figli che lo invocano con insistenza? Questa insistenza non è forse credere ad oltranza all’amore di Dio per noi? E’ un fidarsi di Lui, un cercare di leggere la nostra storia e la storia del mondo con i criteri di Dio
La prontezza di Dio nel far giustizia allora non può essere misurata sul quadrante dei nostri orologi che misurano il tempo, bensì sul quadrante dell’eternità e dell’amore infinito del Padre.
Perciò la preghiera non è tanto una richiesta immediata di intervento, non è la formula magica che risolve, non è nascondere le proprie responsabilità di azione. Il credente non è uno che vuol piegare Dio a fare la sua volontà, non è comprarlo con delle formule per utilizzarlo per i propri fini, ma ottenere la grazia di conformare la propria volontà alla sua. E’, in fondo, ancorare e far crescere la propria fede.
"Ma il Figlio dell’uomo quando verrà, troverà fede sulla terra?"
E’ l’interrogativo inquietante con cui termina il brano di vangelo di oggi.
Si, perché Dio può esaudirci solo quando c’è fede in Lui. Ma noi spesso siamo distratti, non riusciamo neppure a riconoscere la presenza di Gesù nel cammino della nostra vita, siamo spesso i sordi che non riescono più a percepire la sua voce. Che cos’è fede per noi mendicanti di verità dai maghi e dagli astrologi, per noi cui piace una religione che ci dia sempre ragione, per noi che corriamo dietro a tutte le teorie esoteriche e ci dimentichiamo di abbeverarci alla Parola del Signore e ai suoi sacramenti? Per noi in cerca di maestri che dimenticano che l’unico Maestro è Gesù? Per noi che abbiamo la gioia di essere salvati, amati, e che la manifestiamo con tristezza e a volte con disgusto della vita?
Aver fede è abbandonarsi, consegnarsi nelle mani di Dio con totale fiducia. Credere non significa più contare su noi stessi, ma contare sull’Altro per questo la più bella preghiera di richiesta consiste nel dire con forza: "Si!".
E’ la preghiera di Maria: "Eccomi sono la serva del Signore. Avvenga di me secondo la tua parola".
E’ la preghiera di Gesù: "Padre, nelle tue mani io consegno il mio spirito".
E’ la preghiera di quel pubblicano di cui sentiremo domenica prossima: "Signore, abbi pietà di me peccatore"
La nostra preghiera deve puntare in questa direzione: ancora in noi ci sono tante debolezze, tanti dubbi, vanità, pretese… ma la direzione della preghiera è una sola: fare un passo verso la volontà di Dio, abbandonarsi a Lui, perché solo Lui può guarire la nostra povertà.
Lunedì 22 Ottobre 2001
SAN DONATO
Parola di Dio: Rm. 4, 20-25; Salmo da Lc. 1,69-75; Lc. 12, 13-21
"STOLTO, QUESTA NOTTE STESSA TI SARA’ RICHIESTA LA TUA VITA E QUELLO CHE HAI PREPARATO DI CHI SARA’?". (Lc. 12, 20)
Mi colpisce la parola con cui nella piccola parabola che Gesù racconta viene chiamato quel ricco accaparratore di beni che pensa di aver risolto tutti i problemi della sua vita con il denaro, viene chiamato: stolto! Qualcuno lo avrebbe chiamato volentieri: fortunato, qualcun altro: furbo! E qualcuno addirittura: previdente! Gesù lo chiama stolto, cioè uno che non ha saputo capire il senso della vita, uno che si è lasciato gabbare dalle cose, uno che si è bruciato ciò che aveva nell’attesa di un qualcosa di migliore e che stupidamente non si è accorto di non essere padrone di nulla ma di essere schiavo di ciò che ha accumulato. No, questa non è una parabola terrorista per metterci paura, è la saggezza di Dio che ci invita a capire la vita nel suo vero senso.
La vita ci sembrerà bella soltanto quando smetteremo di correre dietro a speranze fatue di possederne una migliore e quando avremo imparato a gustarla in tutto quello che ci propone ogni giorno, così com‘è. La smania di possedere sempre di più, inculcataci con tanta scaltrezza dal mondo consumistico moderno è in realtà un virus che ci toglie il piacere di accontentarci di quanto abbiamo. Un uomo non guadagna mai abbastanza, e per sete di guadagno si perde magari gli affetti della sua famiglia, la crescita dei figli, la gioia di vivere in comunione con la natura; una donna non è mai abbastanza bella e spesso non si accorge che la bellezza così come viene proposta è solo frutto di luoghi comuni e di norme imposte dalla società che oggi seguono certi canoni, domani altri, e, sotto maschere e ceroni, perde la sua vera genuinità; gli abiti non sono mai abbastanza alla moda ma solo per fare la ricchezza di stilisti e bottegai; la casa non è mai abbastanza arredata e quando lo è troppo spesso diventa invivibile per le troppe cose che contiene; quel che mangiamo non è mai abbastanza gustoso però non ci accorgiamo che per la ricerca del meglio spesso abbiamo perso il limite del necessario e ci rimettiamo pure di salute. La vera saggezza sta nel saper dire a un certo punto: "Basta! Quel che ho è sufficiente e quel che ne faccio dipende solo da me".
Martedì 23 Ottobre 2001
SAN GIOVANNI DA CAPESTRANO, Sacerdote
Parola di Dio: Rm. 5, 12. 15. 17-19. 20-21; Sal. 39; Lc. 12, 35-38
"BEATI QUEI SERVI CHE IL PADRONE AL SUO RITORNO TROVERA’ ANCORA SVEGLI; IN VERITA’ VI DICO, SI CINGERA’ LE SUE VESTI, LI FARA’ METTERE A TAVOLA E PASSERA’ A SERVIRLI". (Lc. 12,37)
Continua anche oggi l’insegnamento di Gesù sulla vera saggezza, attraverso una parabola che a prima vista è difficile, se non assurda. Gesù ci invita ad essere vigilanti, ci ha appena detto che il Signore arriverà quando meno ce lo aspettiamo e adesso ci dice che se noi saremo vigilanti non solo il Padrone che arriva non si metterà ad esigere cose da noi, ma si metterà lui stesso a servirci. Per capire meglio questa parabola mi permetto un’applicazione sulla linea di quanto già meditavamo ieri: io posso vivere la mia vita pensando che essa sia il fine ultimo del mio essere, cercando di cavarci tutti i piaceri, accumulando per essere ricco, onorato, per avere "un domani sicuro", e sono uno stolto perché per tutte queste preoccupazioni, mi perdo la vita e divento schiavo delle cose. Posso invece ‘vigilare’ cioè cercare con tutte le mie forze di cogliere i segni che mi permettono di passare in mezzo alle gioie e sofferenze del mio vivere, sereno, capace di vivere le gioie e di dare un senso alle sofferenze e pronto anche ad accogliere quotidianamente la presenza di Dio nella mia vita. Ecco perché, se io riesco a vivere in questa linea, il Signore si mette già in questa terra "a servirmi", prima di tutto perché non ho più paura di Lui, dei suoi misteri, compreso quello della mia morte corporale: lo vedo come un mistero, ma un mistero aperto alla speranza; poi il Signore mi serve offrendomi la possibilità, con Lui, di non soccombere al male; mi offre di vivere i miei sentimenti non legandoli al possesso ma al rispetto delle persone, delle cose, della natura; mi serve offrendomi la possibilità di poter collaborare nientemeno che con Lui all’instaurarsi del suo Regno; mi dà la gioia di poter vivere quotidianamente con Lui nell’attesa di essere con Lui per sempre. Per il "saggio" secondo Gesù, Dio non è più il padrone sempre pronto a castigare, non è il Dio di cui aver terrore perché se sbagli una virgola ti strafulmina, non è il Dio che si mette in concorrenza con le cose o con le gioie e i sentimenti della vita, non è il Dio che viene per prenderti qualcosa di tuo, è il Dio, invece, che ti offre la possibilità non solo di pensare ad una vita futura beata, è il Dio che è già venuto, che già si è cinto i fianchi di un asciugamano e che sta passando a lavarti i piedi, è il Dio che ogni giorno se lo vuoi si offre compagno del tuo cammino per farti gustare i doni che Lui stesso ha messo sul tuo cammino e per farti trasformare con la sua Grazia anche le prove e le sofferenze.
Mercoledì 24 Ottobre 2001
SAN CLAUDIANO; SAN ANTONIO MARIA CLARET
Parola di Dio: Rm. 6, 12-18; Sal. 123; Lc. 12, 39-48
"A CHIUNQUE FU DATO MOLTO, MOLTO SARA’ RICHIESTO; A CHI FU AFFIDATO MOLTO, SARA’ RICHIESTO MOLTO DI PIU’ ". (Lc. 12,48)
Ancora una volta Gesù con le sue parabole sulla vigilanza e con la sua saggezza ci spiazza dai nostri comuni modi di pensare. Sulla terra c’è la rincorsa ai primi posti (anche quelli religiosi) come potere, onore, ricchezza. Si parla del parente "onorevole" o "monsignore" come a un titolo di vanto. Si considerano assolute cose che invece sono relative…per Gesù chi è arrivato a ruoli importanti è solo uno che ha ricevuto di più e quindi uno che ha maggiore responsabilità e che maggiormente dovrà rendere conto del suo operato. Noi siamo talmente stupidi e assurdi quando diciamo: "Mi sono fatto tutto da solo!". Ma è forse tua la vita? Te la sei data tu? Sei tu che hai fatto il sole, la terra, l’acqua e l’aria? Tu, con tutta la tua scienza, la tua medicina puoi essere sicuro di un istante di vita? E se poi hai un ruolo nella tua famiglia, nella società, nella Chiesa, se hai ricevuto un incarico per il bene degli altri questo non implica forse che è un incarico affidato, che dunque sei responsabile nei confronti di chi ti ha dato questo incarico e impegnato nei confronti di coloro verso i quali devi esercitare questo servizio? . Non puoi tirarti indietro come Caino che dice: "Sono forse responsabile di mio fratello?". Non puoi lavartene le mani come Pilato dicendo: "Vedetevela voi". Tu hai dei precisi doveri nei confronti di Dio e nei confronti dei fratelli ed hai anche delle grazie sufficienti per svolgere i compiti che Dio ti ha affidato. E quando ti sembra di non farcela rivolgiti a Lui che ti ha mandato.
Giovedì 25 Ottobre 2001
SANTA DARIA; SAN MINIATO
Parola di Dio: Rm. 6, 19-23; Sal. 1; Lc. 12, 49-53
"SONO VENUTO PER PORTARE IL FUOCO SULLA TERRA, E COME VORREI CHE FOSSE GIA’ ACCESO" . (Lc. 12, 49)
Gesù sente bruciare dentro se stesso il desiderio forte e prepotente di donare agli uomini ciò che Dio gli ha consegnato per loro. Quando uno ama non usa mezze misure, è disposto a tutto, e Gesù è Dio che ci ama. In questo suo atteggiamento mi pare di poter cogliere la sua voce accorata ma decisa che ci richiama in questo senso: "Caro amico, cari cristiani, sono venuto sulla terra per dirvi che Dio vi vuole bene, che è un Padre misericordioso, e per farvi capire questo mi sono messo contro a mentalità e religioni che riducevano Dio o che ve lo facevano solo temere, ma per molti di voi non sembra una buona notizia. Per molti, Dio è solo Colui che dovrebbe intervenire quando c’è qualcosa che non va; per altri è il Dio della domenica, da tirar fuori come il vestito buono di certe circostanze e da riporre in armadio, ben chiuso, mi raccomando, nei giorni feriali. Caro amico, cari cristiani, sono venuto sulla terra e vi ho amati fino a versare il mio sangue perché il perdono giungesse fino a voi, e molti fanno di tutto per dire che il peccato non esiste, è solo un errore, e molti riducono la confessione (altri bellamente la escludono) ad un sentimento, a un elenco studiato di peccatucci, a una lavanderia a gettone.
Caro amico, cari cristiani, ho visto le vostre fami di buono, di bello, di giusto e non vi ho dato pane secco, mi sono fatto io vostro schiavo, vostro pane per il cammino, e voi trascurate questo pane, avete ridotto l’Eucarestia ad un rito, al massimo ad un simbolo, per andare a cibarvi di tanti pani che non tolgono la fame. Caro amico, cari cristiani, ho acceso un fuoco e vi ho messo nelle mani delle capacità tali da trasformare voi e il mondo e avete fatto di tutto per spegnere questo fuoco, per ridurre la fede a chiacchiere da sacrestia, per rintanarvi in tradizioni trite, per addormentare le coscienze. Dovreste gridare e sussurrate, dovreste essere splendenti di gioia e siete musoni, siete liberi e vi comportate da schiavi, avete in mano i sacramenti che vi danno una grazia continua e la forza di vincere il mondo e li avete ridotti a celebrazioni noiose. Insomma, è possibile che non sentiate dentro di voi, almeno il desiderio di cambiare un po’!".
Venerdì 26 Ottobre 2001
SAN LUCIANO; SAN EVARISTO
Parola di Dio: Rm. 7, 18-25; Sal. 118; Lc. 12, 54-59
"SAPETE GIUDICARE L’ASPETTO DEL CIELO E DELLA TERRA, COME MAI QUESTO TEMPO NON SAPETE GIUDICARLO?". (Lc. 12,56)
Ancora un altro invito di Gesù alla "saggezza" (e in questo mese ne abbiamo sentiti tanti): "Tu vivi in questo mondo, ma come vi leggi la tua storia, la storia degli altri?". Se noi stiamo alla mentalità dei giornali, dei politici, dei sapientoni della televisione che sanno tutto di tutti e di tutto, noi avremo una serie di risposte fatte di luoghi comuni a seconda dell’indirizzo politico e sociale di chi ce li propone, ci diranno che il mondo sta andando verso il meglio grazie alla sua scienza e alle sue conoscenze, o che tutto va male e presto l’uomo arriverà alla propria autodistruzione. Grazie tante! Ma queste risposte non ci servono proprio a nulla! E allora, magari, cerchiamo qualcosa che riguardi noi, e qualcuno trascorre la vita a prendere cura del proprio corpo, magari utilizzando tutte le risorse che la natura o la medicina offre per rallentare il processo di invecchiamento e per sentirsi sempre giovani e baldanzosi. Altri si rifugiano nelle cose e nel denaro che permette alla gente di fuggire alla miseria, nei vestiti che proteggono dal freddo e che denotano la classe sociale a cui appartieni, nei divertimenti che possono distrarre dalle preoccupazioni. E così ognuno avanza nella vita fino al momento in cui tutto viene a mancare simultaneamente e crolla: basta un nulla! Gesù ci invita a giudicare il nostro tempo non perché sia più bello o più brutto, più giusto o ingiusto dei tempi passati, Gesù ci invita a porre un giudizio che dia senso al tempo. Ci crediamo davvero che non siamo in cammino verso la morte ma verso la vita? Diciamo che le cose non fanno la felicità dell’uomo, ma è proprio vero che la pensiamo così se siamo ancora così tanto attaccati alle cose da bruciare il nostro tempo per un po’ di ricchezza o un po’ di divertimento in più? Siamo convinti che Dio è vivo in mezzo a noi se poi viviamo come se Lui non esistesse o non si interessasse del nostro quotidiano? Ciò che Dio si aspetta da noi è che svegliandoci dal nostro "sonno" accogliamo con gioia e voglia di vivere la salvezza che ci viene offerta. Egli si aspetta che ognuno di noi sia attaccato a Gesù che ci ha salvato e che ciascuno mostri in tutta la sua condotta di avere trovato in Lui la risposta ai bisogni del suo cuore. Dio cerca tali testimoni per poterli mostrare a coloro che sono scoraggiati e stanchi della vita, per dire loro: "Il mio Figliolo può fare per voi ciò che ha fatto per loro."
Sabato 27 Ottobre 2001
SAN FRUMENZIO
Parola di Dio: Rm. 8, 1-11; Sal. 23; Lc. 13, 1-9
"SI PRESENTARONO A GESU’ ALCUNI A RIFERIRGLI CIRCA QUEI GALILEI, IL CUI SANGUE PILATO AVEVA MESCOLATO CON QUELLO DEI LORO SACRIFICI". (Lc. 13,1)
Molti di noi hanno l’abitudine di leggere tutti i giorni un quotidiano o di vedere almeno uno o due Telegiornali per "tenersi informati" di quanto accade nel nostro mondo. Penso non sia sbagliato, in fondo è anche un modo per renderci conto che al mondo non siamo soli e che abbiamo delle responsabilità nei confronti degli altri e della storia. Anche nel Vangelo c’è qualcuno che va da Gesù per portagli le ultime notizie di cronaca: le uccisioni perpetrate da Pilato nel Tempio e il crollo della Torre di Siloe. Queste persone erano ‘informate’, anzi direi di più, persone che cercavano di capire i fatti di cronaca alla luce della Parola di Dio. Possono esserci modi molto diversi di "leggere il giornale". Si può leggere per curiosità: si sanno le ultime novità, se ne può chiacchierare, si può far bella figura in una discussione, ma tutto ti lascia come prima. Si può leggere per giudicare e allora a seconda del nostro modo di vedere dividiamo il mondo in due categorie i buoni, cioè noi, e i cattivi, magari "quei disgraziati che bisognerebbe mettere al muro". Ma si possono leggere le notizie anche per cogliervi i segni di Dio e i bisogni dei fratelli. I segni di Dio non sempre sono evidenti, come dice Gesù nel Vangelo di oggi, non basta dare delle risposte facili o comuni a certi avvenimenti, non sempre sono i cattivi quelli a cui capitano delle disgrazie. Ma sempre, in qualunque avvenimento posso leggere un qualcosa attraverso cui Dio mi chiama, mi avvisa, mi propone, posso in ogni storia bella o brutta, gioiosa o dolorosa rendermi partecipe all’altro, fosse anche solo con una preghiera. Lo consiglio a tutti: provate una mattina a lasciar da parte le solite preghiere e provate a leggere il giornale con Gesù: se fatto in questo spirito, certamente ci saranno tante cose da meditare che illumineranno la nostra giornata.
Domenica 28 Ottobre 2001
XXX^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
SS. SIMONE E GIUDA, Apostoli
Parola di Dio: Sir. 35, 12-14.16-18; Sal. 33; 2 Tm. 4,6-8.16-18; Lc. 18, 9-14
1^ Lettura (Sir. 35, 12-14.16-18)
Dal libro del Siracide.
Il Signore è giudice e non v'è presso di lui preferenza di persone. Non è parziale con nessuno contro il povero, anzi ascolta proprio la preghiera dell'oppresso. Non trascura la supplica dell'orfano né la vedova, quando si sfoga nel lamento. Le lacrime della vedova non scendono forse sulle sue guance e il suo grido non si alza contro chi gliele fa versare? Chi venera Dio sarà accolto con benevolenza, la sua preghiera giungerà fino alle nubi. La preghiera dell'umile penetra le nubi, finché non sia arrivata, non si contenta; non desiste finché l'Altissimo non sia intervenuto, rendendo soddisfazione ai giusti e ristabilendo l'equità.
2^ Lettura (2 Tm 4,6-8.16-18)
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.
Carissimo, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione. Cerca di venire presto da me, perché Dema mi ha abbandonato avendo preferito il secolo presente ed è partito per Tessalonica; Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero. Ho inviato TIchico a Efeso. Venendo, portami il mantello che ho lasciato a Troade in casa di Carpo e anche i libri, soprattutto le pergamene. Alessandro, il ramaio, mi ha procurato molti mali. Il Signore gli renderà secondo le sue opere; guardatene anche tu, perché è stato un accanito avversario della nostra predicazione. Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Non se ne tenga conto contro di loro. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Vangelo (Lc 18, 9-14)
Dal vangelo secondo Luca.
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: "Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato"
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RIFLESSIONE
Quante volte, nella mia vita di prete, ho sentito gente rivolgersi a me più o meno con queste parole: "Reverendo, lei che è più vicino a Dio, preghi per me".
Di solito accetto volentieri di pregare per gli altri, penso sia un compito del prete quello di portare Dio il cuore di tanti fratelli, ma anche penso al grande valore di appoggiarci gli uni agli altri nella fede e nella preghiera, eppure qualche volta, scandalizzando un po‘ i miei interlocutori, non ho potuto fare a meno di rispondere: "Pregherò se pregherà anche lei, perché non vorrei che quando il Signore decidesse di concederle quella grazia, lei non sia in casa pronto a riceverla, e poi, lei è proprio sicuro che un prete, un prelato, un vescovo, preghino meglio di un poveraccio?"
Ecco un primo senso della parabola che abbiamo letto nel Vangelo di oggi. Non è una parabola che riguarda altri, riguarda me, il mio modo di credere, di comportarmi di agire. Non devo essere io che, come spettatore, mi metto ad osservare il comportamento in chiesa degli altri, sono io che devo chiedermi se sono fariseo o pubblicano. Sono io che devo rendermi conto che non basta andare la tempio per essere automaticamente buoni.
Proviamo dunque ad osservarli un po’ più da vicino i personaggi di questa parabola che si svolge nella maestà del Tempio.
Il Fariseo è "una persona per bene", è un "religioso", ama addirittura sentirsi chiamare fariseo, separato, puro. Il compito dei farisei è di preservare la legge di Dio dalle eresie, è interpretare con autorevolezza e codificare gli insegnamenti, è essere osservante allo scrupolo delle tante leggi che la tradizione umana e religiosa ha affiancato ai comandamenti di Dio. Il fariseo è uno che spicca in mezzo agli altri, ha un vestito speciale che lo distingue, porta filatteri lungo le braccia, sulla sua fronte è legata la scatoletta in cui c’è un foglio con una frase o preghiera della Bibbia che egli inchinandosi e dondolandosi mostra a Dio in continuazione, assume anche il ruolo tipico della liturgia: sta in piedi, davanti a Dio, per dialogare con Lui…
Un religioso e un brav’uomo dunque? All’apparenza sì… ma attenzione a come apre la bocca!
Anche qui potremmo, in un primo momento, rimanere ingannati, infatti inizia la sua preghiera rivolgendosi con rispetto, ma con familiarità a Dio e la sua è una preghiera di ringraziamento. Che bello! Finalmente uno che non è sempre lì a chiedere, ma uno che riconosce la grandezza di Dio, che lo loda, lo ringrazia…"O Dio, Ti ringrazio che non sono come gli altri". E qui ci accorgiamo che quest’uomo è ateo.
A parola si rivolge a Dio, ma di fatto lo esclude. Non ha bisogno di Dio, si serve di Dio, la maschera della religiosità gli serve per apparire buono davanti agli altri, per dare lustro a se stesso, per metterlo in una posizione inattaccabile dalla quale poter giudicare il suo prossimo. E’ un uomo pieno di sé, ha la presunzione di sapere tutto, si permette di dettare legge anche al Padre Eterno, crede addirittura di avanzare qualcosa anche da Dio. E’ uno che compie opere buone, ma queste non hanno nessun valore perché partono da un cuore orgoglioso e presuntuoso: esse servono solo a farlo sentire buono e a suscitare l’ammirazione altrui. Anche la sua preghiera puzza di falsità, infatti non dialoga con Dio, ma con se stesso e il suo orgoglio lo porta al disprezzo degli altri. Non è uno che non vede, anzi, durante la sua preghiera i suoi occhi scrutano gli altri che sono nel tempio, vede quindi quel ‘lurido e infame’ esattore delle tasse, ma non solo non ha per lui alcuna compassione, non si avvicina a lui, anzi sta ben attento a non averne contatto perché rischierebbe di contaminarsi. Il pubblicano gli serve solo per sentirsi "a posto", migliore degli altri.
Proviamo a chiederci se qualche volta non ci comportiamo un po’ così anche noi.
Quando prego Dio e non amo il prossimo, ho sbagliato tutto. Dio non può ascoltare una preghiera che non sia filtrata dall’amore concreto.
Quando la mia preghiera è l’esecuzione meccanica di formule di preghiera, io sono un ateo: non ho parlato con Dio, ma col mio orgoglio.
Quando mi scopro a dire o a pensare: "Ma in fondo che cosa vuole Dio da me? Io non ho ammazzato, non ho rubato…", vuol dire che escludo a Dio la prerogativa del giudizio e che sono io stesso a giudicarmi e ad assolvermi.
Eppure, se ci penso bene, non basta non fare il male: che cosa faccio per gli altri? Se rispondo che "Io penso a me" mi accorgo facilmente che questa non è una virtù, ma una colpa. Non basta vedere che nel mondo c’è tanto male, tanto peccato: che cosa sto facendo di concreto per questi miei fratelli?
Non basta neanche tutto un apparato religioso per mascherare davanti a Dio un cuore. Egli vede dentro, sa, aldilà dei bei vestiti e delle belle parole, chi siamo veramente. Il pubblicano "che uscì dal tempio giustificato" chi è?
E’ un peccatore e sa di esserlo. E’ uno che è andato al tempio non per enumerare le proprie benemerenze, ma per dare ragione a Dio riconoscendo il proprio peccato e sapendo di avere una sola possibilità che però non dipende da lui, ma unicamente dalla misericordia di Dio, e questa invoca, e ad essa si affida. Dà cioè a Dio la possibilità di intervenire perché, come ci diceva la prima lettura, "Dio ascolta gli umili". L’umile che non è pieno di se stesso, si dimostra disponibile a Dio. L’umile riconosce che Dio è Tutto e lui un Nulla, riconosce che quanto egli può aver di buono non è per meriti propri ma per dono di Dio. Si riconosce imperfetto ma desideroso di percorrere un cammino di un progressivo perfezionamento, per compiere il quale riconosce la sua debolezza, la sua incostanza, la sua incapacità a superare tutti gli ostacoli che vi si frappongono, ostacoli che sono fuori di lui, ma anche in lui. Il pubblicano ha incontrato Dio e gli ha dato la possibilità di cominciare ad operare in Lui la conversione. Se vogliamo un altro esempio di tutto questo ritorniamo alla seconda Lettura. Paolo si trova in prigione e per di più è stato abbandonato da tutti quelli che ha beneficato, ma chiede che non se ne tenga conto e li perdona. Paolo era stato un fariseo. Talmente pieno di sé che non riusciva a vedere il suo prossimo, anzi vedeva i cristiani come eretici dell’ebraismo e con un metodo purtroppo ancora in auge oggi, pensava che l’unico modo per estirpare l’eresia fosse quello di estirpare gli ‘eretici’. Dall’alto del suo cavallo, sulla strada di Damasco il Fariseo Paolo non vedeva che se stesso, la sua giustizia, il suo zelo, il suo integralismo. Ma Gesù lo aspetta e lo fa cadere da cavallo, lo acceca, proprio lui che vedeva bene ogni cosa e per guarirlo si serve di un povero vecchio cristiano timoroso. Quando il Fariseo Paolo si accorge di essere diventato il pubblicano peccatore Paolo, allora Dio può operare in Lui e il persecutore diventa il testimone. E Paolo, perdonato, arriva anche lui ad essere uomo di perdono. Paolo conosce la disgrazia del peccato e della lontananza da Dio: per questo ha compassione di chi fa del male. Paolo sa di essere salvato, per questa guarda i suoi fratelli con occhi di misericordia. Facciamo frutto dell’insegnamento di oggi ricordando, per avere un giudizio veritiero su noi e sul nostro prossimo, che gli steli grano ben dritti normalmente sono quelli vuoti, mentre quelli che portano frutto, si piegano.
Lunedì 29 Ottobre 2001
SANT’ONORATO; SANTA ERMELINDA
Parola di Dio: Rm. 8, 12-17; Sal. 67; Lc. 13, 10-17
"GESU’ REPLICO’: IPOCRITI!". (Lc. 13,15)
Lo abbiamo detto tante volte: una delle cose che Gesù non può proprio digerire è l’ipocrisia, specialmente quella religiosa. L’ipocrisia non è soltanto qualcosa contro Dio, è anche un male che allontana i fratelli. Ma, attenti, che l’ipocrisia degli altri non diventi una maschera per nascondere la nostra poca voglia di impegnarci!Non molto tempo fa una persona mi diceva: "Da tanto tempo sarei cristiano se fra quelli che pretendono di esserlo, non vi fossero tanti ipocriti". Provai a fargli capire che era un argomento abbastanza fuori luogo il suo e gli dissi: "Tu nella vita imiti solo quello che ha valore! Hai mai sentito di un falsario che faccia banconote da 45.000 lire? Questi biglietti non si imitano perché non esistono nella realtà, al massimo il falsario farà il biglietto da 50.000 nella speranza che il pubblico lo confonda con quello vero. Se tanta gente si sforza in tutti i modi di sembrare cristiana, questo al massimo è prova che nel cristianesimo qualcosa di buono c’è". Quello allora mi rispose: "D’accordo, ma non voglio far parte di una categoria di persone così diverse da quanto ci si aspetta da loro". Anche qui provai a rispondergli: "Forse tu non sei più italiano a causa dei cattivi italiani? Se Gesù sembra avere pochi amici fedeli, questo è proprio il motivo per dichiararsi più apertamente per Lui, per raddoppiare l’impegno e la gioia nei suoi confronti".
Martedì 30 Ottobre 2001
SAN GERMANO
Parola di Dio: Rm. 8, 18-25; Sal. 125; Lc. 13, 18-21
"IL REGNO DEI CIELI E’ SIMILE AD UN GRANELLO DI SENAPE". (Lc.13,19)
Ancora una volta nelle nostre riflessioni sulla Parola siamo chiamati a fare un confronto tra la mentalità del mondo e quella di Dio. Per il mondo conta tutto quello che è grande, che appare, che riluce, che è forte, che schiavizza gli altri. Per Dio (Colui che è Onnipotente) conta invece tutto quello che è piccolo, che è inerme, che è debole. L’uomo nella sua mania di grandezza vorrebbe diventare Dio, ebbene Dio si fa uomo per amore dell’uomo. L’uomo vorrebbe fondare un regno in cui potere e denaro diano autorità, dove tutti rispettino l’autorità fondata sulla forza. Gesù parla di un regno che viene sì con potenza, ma senza armi, senza imposizioni, di un regno che si fonda sulla morte e sulla donazione totale del suo fondatore. Il suo Regno di Dio non è nato dalla forza ma dalla povertà. Non si fonda sulle inquisizioni, sulla salvaguardia a tutti i costi dell’ortodossia ma sulla non—violenza. E’ un regno che ne ha passate di tutti i colori per le persecuzioni ma soprattutto a causa delle infedeltà dei suoi aderenti ma che dopo duemila anni è ancora vitale, grazie proprio ai piccoli, ai poveri, ai semplici che si appoggiano solo su Dio e sulla sua misericordia. Anche nella tua vita, se vuoi cogliere i segni di questo regno cercali nei giorni feriali, in fondo alle cose familiari, nella debolezza... lì troverai ancora quell’albero cresciuto "dove gli uccellini del cielo possono fare il nido", e anche un ramo su cui appoggiarti per poter cantare.
Mercoledì 31 Ottobre 2001
SAN QUINTINO
Parola di Dio: Rm. 8, 26-30; Sal. 12; Lc. 13, 22-30
"SIGNORE, SONO POCHI QUELLI CHE SI SALVANO?". (Lc. 13,23)
Una domanda "teologica" quella che vien fatta a Gesù. E di solito chi fa di queste domande dà per scontato il fatto di appartenere già al numero degli eletti. Si mostra curioso di sapere se la compagnia sarà numerosa, lasciando intendere che gradirebbe presenze selezionate. Ma, domande del genere, prima o poi ce le siamo poste tutti: "Signore, come sarà il paradiso?" "Ma ci sarà poi proprio l’inferno?" "Ritroveremo i nostri cari?". "E se un mio caro sarà all’inferno come potrò io essere felice in paradiso?" Giustamente noi ci preoccupiamo della nostra eternità, ma se ci pensiamo bene tutte queste domande hanno poco senso. Gesù, ancora una volta non si lascia invischiare da questo tipo di problematica fasulla. E, dopo aver fatto entrare in scena uno "scandaloso" corteo di inattesi, vorrei dire di intrusi ("verranno da oriente e da occidente..."), sposta il dibattito su un altro piano. Il paradiso non è un posto dove si affittano gli appartamenti, magari a equo canone e neanche il luogo dove prenotare villetta con piscina. L’eternità è Dio e Dio è perfetto, quindi: lasciamo fare a Lui che le cose le fa bene. Piuttosto, l’importante è andarci. E la strada non è che una: se noi vogliamo essere in comunione con Dio per l’eternità, dobbiamo essere in comunione con Lui già nell’aldiquà. Il nostro giudizio universale non sarà solo "alla fine dei tempi" e non dipenderà neanche unicamente dal Giudice: dipende da noi oggi. Sono le mie scelte odierne che firmano oggi la mia eternità. Se sono nell’odio, nell’odio resterò, se sono nell’Amore, nell’Amore resterò.