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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

SETTEMBRE 2001

 

Sabato 1 Settembre

SAN EGIDIO; SAN VITTORIO

Parola di Dio: 1 Ts. 4, 9-11; Sal. 97; Mt. 25, 14-30.

 

"A UNO DIEDE CINQUE TALENTI, A UN ALTRO DUE, A UN ALTRO UNO, A CIASCUNO SECONDO LE SUE CAPACITA’ ". (Mt 25,15)

Noi viviamo in un’epoca in cui va di moda in campo civile, sociale e qualche volta anche religioso, la cosiddetta meritocrazia, cioè: "a tanto corrisponde tanto". La parabola dei talenti invece ci dice chiaramente che essi non vengono guadagnati, non dipendono da meriti acquisiti, ma ricevuti. Tutti e tre i servi vengono accumunati in questa realtà del dono. Un dono diverso quantitativamente. Ma pur sempre dono per tutti.

Nella vita cristiana, dunque, il punto di partenza non è rappresentato dal nulla. Non si parte da zero. "Mi sono fatto da me", proclamano, abitualmente con tono di soddisfazione, alcuni grossi personaggi, "arrivati" nei campi più diversi a posizioni di prestigio. Nella ‘carriera’ cristiana, nessuno si è fatto da sé. L’esistenza viene costruita con materiale che ci è stato messo a disposizione, che ci è stato donato gratuitamente. Tutto è grazia. E l’impegno da parte nostra, è soltanto la risposta a un dono che ci siamo ritrovati nelle mani. E questa risposta dipende da diverse cose, ad esempio da quanto abbiamo capito, da quanto abbiamo il coraggio di fidarci, di buttarci, di aprirci al bene. Si parla tanto di amore, ad esempio, e tutti ne abbiamo ricevuto, ma non sempre sappiamo investirlo nel modo giusto. Può aiutarci nella riflessione questo duplice "esame di coscienza".

 

UN ESAME DI COSCIENZA PER I FIGLI

Quando un figlio si fa attendere dai genitori fino alle due o alle tre della notte, non ama i genitori.

Quando un figlio mangia fuori orario o in silenzio o guardando la televisione, non ama i genitori.

Costui, da grande depositerà i genitori in un ospizio, perché in casa saranno di peso: infatti chi si comporta così ama i genitori per quello che danno e non per quello che sono. E questo non è amore.

 

UN ESAME DI COSCIENZA PER I GENITORI

Un genitore che dice sempre di sì ai figli, anche quando le loro richieste sono capricci o evidenti egoismi, non ama i figli.

Un genitore che riempie i figli di cose inutili per giustificare il proprio disimpegno nel dare valori spirituali e morali, non ama i propri figli.

Un genitore che educa i figli alla concorrenza, al guadagno sfrenato, alla affermazione… senza mai parlare di sacrificio, di servizio, di carità, di altruismo… non ama i suoi figli.

Un genitore che trova tempo per le settimane bianche e vacanze estive, ma non trova una mezz’ora per la propria anima e per quella dei figli; un genitore che fa sacrifici per mandare i figli a girare il mondo, ma si guarda bene dall’accompagnarli a visitare un ospedale, o un qualsiasi altro luogo di dolore, non ama i propri figli.

Un genitore che dice ai suoi figli di andare in chiesa quando lui non ci va, questo genitore è maestro di ateismo o di indifferenza religiosa: non ama i suoi figli.

 

 

Domenica 2 Settembre

XXII^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  -  SAN ANTONINO; SAN ELPIDIO

Parola di Dio: Sir. 3, 17-18.20.28-29; Sal. 67; Eb. 12, 18-19.22-24; Lc. 14, 1. 7-14.

 

1^ Lettura (Sir. 3, 17-18.20.28-29)

Dal libro del Siracide.

Figlio, nella tua attività sii modesto, sarai amato dall'uomo gradito a Dio. Quanto più sei grande, tanto più umiliati; così troverai grazia davanti al Signore; e dagli umili egli è glorificato. Una mente saggia medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio. L'acqua spegne un fuoco acceso, l'elemosina espia i peccati.

 

2^ Lettura (Eb. 12, 18-19.22-24)

Dalla lettera agli Ebrei.

Fratelli, voi non vi siete accostati a un luogo tangibile e a un fuoco ardente, né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano che Dio non rivolgesse più a loro la parola. Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza.

 

Vangelo (Lc.14, 1. 7-14)

Dal vangelo secondo Luca.

Avvenne un sabato che Gesù era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo. Osservando poi come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola: "Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. Invece quando sei invitato, va’ a metterti all'ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato". Disse poi a colui che l'aveva invitato: "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti ".

 

RIFLESSIONE

 

Dopo aver ascoltato le letture di questa domenica, mi sembra abbastanza facile comprende a quale insegnamento esse vogliano condurci. Esse ci invitano all’umiltà, una virtù che sembra essere alquanto in disuso nel mondo odierno. Il libro sapienziale del Siracide infatti ci ha detto: "Figlio, nella tua attività sii modesto" e ancora "Quanto più sei grande tanto più umiliati". Nel Salmo abbiamo più volte ripetuto: "Sei tu Signore il padre degli umili" e le parabole del Vangelo e le parole dirette di Gesù ci hanno ancora ricordato che "chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà innalzato"

Partiamo proprio dalla scena riferitaci dal Vangelo. Gesù è stato invitato al pranzo solenne del sabato a casa di un ricco e importante fariseo. Qui, con il suo occhio attento, nota una scena di vanità, di boria, di esibizione: tutti vogliono il primo posto; è un onore sedersi a fianco del personaggio più importante, e poi, certamente, vicino al capotavola ci sono i bocconi migliori. E’ la scena comune anche ai giorni nostri, dove spintoni, bustarelle, falsi sorrisi e tante altre vigliaccherie vengono spudoratamente messe in atto pur di ottenere gloria, pur di poter apparire in quella situazione, pur di essere fotografati a fianco del personaggio importante, pur di poter ottenere qualche vantaggio… Gesù con la sua parabola è come se ci dicesse: queste cose ad un pranzo, in una ditta, nella vita, fanno pena, ma badate che per quell’altro Banchetto, quello del Regno dei cieli, che adesso è qui sulla terra, è tutt’altra cosa, lì i titoli non sono: Architetto, Dottore, Monsignore, Eminenza o Eccellenza, i titoli sono invece Piccolezza, Servizio, Umiltà, Nascondimento…

Ma quale sarà la vera umiltà? Questo termine che già di per sé è così ostico, difficile da mettere in pratica, spesso si presta anche ad interpretazioni che sono tutt’altro che evangeliche.

La parola umiltà deriva da ‘humus’, cioè terra. E’ allora umile chi ha i piedi per terra, chi riconosce le cose così come sono, senza gonfiarle o stravolgerle per ambizione o interesse. Ma attenzione alle contraffazioni dell’umiltà.

Umile è l’uomo dimesso, che non aspira che ad essere lasciato in pace, che non domanda nulla alla vita se non che passi senza troppe difficoltà: un passivo. Ma quest’uomo non è umile, è insignificante, è uno senza personalità, volontà, spina dorsale.

Qualche volta si dice o si pensa: umile è l’uomo che fugge ogni carica, ogni responsabilità, che preferisce essere comandato sempre. Ma questo uomo non è umile, è pigro, non ha spirito di servizio, ma animo di schiavo. E ancora, umile è l’uomo che si abbassa, proclama la sua indegnità, la sua nullità, che non ha fiducia in se stesso, si appoggia sugli altri. Ma quest’uomo non è umile, è ipocrita. Proclama la sua indegnità perché gli altri, reagendo, lo innalzino, proclamino le sue supposte virtù, lo stimino sempre di più con tutte le relative conseguenze pratiche. Ma la vera umiltà, in che cosa consiste? La vera umiltà è innanzitutto "verità". E verità è, prima di tutto, riconoscere che al primo posto di ciò che noi siamo, facciamo o diciamo c’è Dio.. E’ Lui il protagonista principale della nostra vita, non "io". La vera umiltà riconosce che tutto è dono di Dio, un dono che ci impegna a trafficare i talenti ricevuti in qualunque realtà noi ci troviamo, certi che di questo Dio ci domanderà conto. Ecco allora che l’umile è operoso, generoso, caritatevole, infaticabile. Egli prende su di sé le preoccupazioni e le necessità del suo prossimo, secondo le forze e i doni che Dio gli ha dato. Potremmo sintetizzare così la vera umiltà: nulla da me, tutto da Dio, nulla per me, tutto per gli altri. E a questo secondo aspetto ci riconduce anche la seconda parabola che Gesù ha raccontato: "Quando offri un pranzo o una cena non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario quando dai un banchetto invita poveri, storpi, zoppi e ciechi". Cioè Gesù dice: se al primo posto non ci sei tu, ma c’è Dio, al secondo non ci sei di nuovo tu, ma ci sono gli altri e soprattutto i poveri, coloro che la società elimina, nasconde, quelli a cui nessuno pensa. La vera umiltà ci porta a compiere opere di bene e di servizio non per ricevere un proprio vantaggio o contraccambio, ma unicamente per amore e per amore di Dio: umiltà e carità vanno di pari passo, non si staccano mai, si armonizzano.

Gesù stesso , non solo ci ha parlato dell’umiltà, ma tutto il suo essere ce ne parla continuamente: Lui per amore si è "abbassato fino a prendere la nostra condizione umana", Lui non ha "gridato sulle piazze", ma ha sempre detto la verità senza guardare in faccia nessuno. Lui ha operato grandi miracoli, guarigioni, moltiplicazioni di pani e pesci andandosene via di nascosto subito dopo, il cieco nato in un primo tempo non conosce neppure chi sia colui che gli ha ridato la vista, Non solo è sempre stato attento ai poveri, ma si sé fatto povero Lui, non ha "neanche un sasso su cui posare il capo", accetta di farsi carico della nostra miseria e del nostro peccato per poterlo inchiodare sulla croce e Lui, il Figlio di Dio Onnipotente, diventa l’ultimo, il reietto, il condannato.

E sua Madre, Maria Santissima, non è forse per noi un altro esempio profondo di umiltà. Dio l’ha scelta, semplice ragazza, in uno sperduto villaggio della Galilea. Come dirà Lei stessa: "Ha guardato l’umiltà della sua serva e ha fatto cose grandi in me". L’umiltà di Maria non è dabbenaggine. Maria è una che chiede, si informa dall’angelo, va a controllare quanto l’angelo le ha detto a proposito di Elisabetta, ma si fida, si abbandona, si "lascia fare da Dio". Maria e Giuseppe sono l’ombra del Padre per Gesù, ma vivono anche all’ombra di Gesù. Maria è sempre presente, ma sempre discreta; Maria ha difficoltà a comprendere il mistero di Gesù, ma è attenta a conservare tutto nel profondo del suo cuore, Maria potrebbe esaltarsi del suo ruolo, glorificarsi dei doni particolari ricevuti e invece è una che si mette sempre a servizio prima di tutto di Dio, dell'Angelo, di Elisabetta, di Gesù, di quegli sposi di Cana di Galea, degli apostoli, si mette a servizio nostro quando ai piedi della croce accetta di diventare nostra madre, madre di coloro che stanno mettendo in croce suo Figlio..

Pensiamo anche all’umiltà dei Santi ad esempio Francesco non si riteneva degno neppure di essere sacerdote, e morirà diacono. San Carlo Borromeo, ricchissimo di famiglia, cardinale a vent’anni perché parente del papa, dona ogni suo bene ai poveri e agli appestati e si oppone all’alterigia e alla sopraffazione dei ricchi. Don Bosco che per amore dei suoi ragazzi accetta di farsi saltimbanco e poi cuoco e poi sarto. Santa Bernardetta Soubirous che viene scelta da Maria per le sue apparizioni mentre ella, allora quasi analfabeta, abitava con la sua famiglia in una cella di una vecchia prigione abbandonata. Ci insegnino Gesù, la Madonna e i Santi, la strada dell’umiltà vera perché anche in noi, nonostante la nostra povertà, Dio possa essere glorificato.

 

 

Lunedì 3 Settembre

SAN GREGORIO MAGNO, Papa e Dottore della Chiesa

Parola di Dio: 1 Ts. 4, 13-18; Sal. 95; Lc. 4, 16-30.

 

"LO CACCIARONO FUORI DELLA CITTA’ E LO CONDUSSERO FIN SUL CIGLIO DEL MONTE SUL QUALE LA LORO CITTA’ ERA SITUATA, PER GETTARLO GIU’ DAL PRECIPIZIO". (Lc. 4,29)

Il fatto di essere stati mal ricevuti da qualcuno non ci sprona affatto ad invitarlo a nostra volta ed a trattarlo regalmente. Eppure è questo che ha fatto Gesù verso l’umanità.

Come è stato ricevuto?

venuto in casa sua, e i suoi non l’hanno ricevuto" (Giovanni 1,11).

Non c’era posto per Maria, Giuseppe ed il bambino Gesù nell’albergo di Betlemme (Luca 2,7).

Il Vangelo di oggi ci ricorda l’episodio di Nazaret dove i suoi concittadini che pur lo conoscono fin da ragazzo, non solo non lo accettano, ma cercano di ucciderlo.

Il suo popolo non ha voluto saperne di lui ed ha reclamato la sua morte a gran voce (Luca 23,23). Ha preferito risparmiare Barabba, un brigante, e mettere a morte Gesù.

E oggi, non è ancora così? In quanti posti e da quanti cuori Gesù non è riconosciuto né accolto.

Ora, ascoltiamo come Lui risponde a questo rigetto: "Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; io vado a prepararvi un posto; e v’accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi" (Giovanni 14,2-3). Questo posto Egli l’offre a tutti i suoi, presso di sé, nella casa del Padre suo.

È venuto a visitare il nostro mondo, e che accoglienza vi ha ricevuto? Una mangiatoia e una croce. Ora ci invita a casa sua: e che accoglienza ci prepara? Un trono con lui.

Ecco come l’amore di Gesù risponde alla malvagità degli uomini. Noi gli faremo posto, oggi, nella vostra vita? Sarà questa la risposta migliore che gli potremo dare.

Vicino al castello di Balmoral in Scozia, una signora, vestita semplicemente, sorpresa da un temporale, si rifugiò in una fattoria.

— Buon giorno, signora, disse alla fattoressa; sono stata sorpresa dalla pioggia durante la passeggiata. Mi farebbe la cortesia di prestarmi un ombrello per tornare a casa?

La donna, visibilmente seccata, guardò la visitatrice e le disse: — Ho due ombrelli, uno è di seta, tutto nuovo, ma non glielo presto, perché non sono sicura che me lo restituirà. Ecco, prenda l’altro!

E offerse un vecchio ombrello malridotto alla signora che le rispose: — Grazie, signora, meglio questo che niente!

Il giorno seguente la contadina vide arrivare un valletto che riportava l’ombrello con i ringraziamenti della regina.

— Quella era dunque la regina! esclamò la contadina costernata. Se avessi saputo, le avrei prestato il mio bell’ombrello nuovo!

Un Re infinitamente più grande della regina d’Inghilterra bussa oggi alla porta di casa tua, e per di più non ti chiede niente, non ti porta via nulla, ma viene solo per donare se stesso: accoglilo con gioia!

 

 

Martedì 4 Settembre

SANTA ROSA da Viterbo; SANTA ROSALIA; SANTA IDA

Parola di Dio: 1 Ts. 5, 1-6. 9-11; Sal. 26; Lc. 4, 31-37

 

"NELLA SINAGOGA C’ERA UN UOMO CON UN DEMONIO IMMONDO E COMINCIO’ A GRIDARE FORTE: BASTA! CHE ABBIAMO A CHE FARE CON TE GESU’ NAZARENO? SEI VENUTO A ROVINARCI? SO BENE CHI SEI: IL SANTO DI DIO". (Lc. 4,34)

Oggi e domani sentiremo nel vangelo di guarigioni di indemoniati. Questo mi dà occasione di tornare su un argomento sul quale, nella mia vita di prete, mi sono sentito interrogare tante volte (non vi immaginate quante). Prendo a prestito le parole che vi offro da un bel libro sull’argomento scritto da un esorcista: Raul Salvucci, Indicazioni pastorali di un esorcista – parole chiare su una realtà oscura – Edizioni Ancora, Milano.

 

In che modo si concretizza l’opera di satana nella nostra società? Ci sono livelli più o meno forti attraverso i quali si esprime?

R. — La sua presenza è come un torrente impetuoso di mali, di distruzione, di odio, di perversioni di ogni genere che hanno gradazioni diverse. Potremmo semplificare il discorso riducendo i livelli a tre:

1° livello: disturbi di forma leggera:

torniamo alle nozioni del catechismo: ci sono angeli buoni che con la loro presenza invisibile e le loro ispirazioni spirituali ci stimolano a operare il bene. Dice il salmo 90:

«Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi» (SaI 90, 11).

Nel Vangelo di Matteo Gesù, raccomandando di non scandalizzare i bambini, dice: «I loro angeli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 1 8, 10).

Ci sono anche angeli cattivi, cacciati dal cielo per la loro ribellione, che girano sulla terra per stimolare l’uomo al male. È una presenza generica, continua. Dice la prima lettera di san Pietro: «Siate temperanti e vigilate, il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare» (1 Pt 5, 8).

Nella basilica superiore di san Francesco di Assisi, il quarto affresco di Giotto che si trova sulla parte destra entrando, illustra la visione che san Francesco ebbe dei demoni che si stavano addensando sulla città di Arezzo.

Quando si diceva ancora la Messa in latino, i sacerdoti al termine della Messa dicevano una preghiera a san Michele: «Respingi nell’inferno satana e gli altri spiriti maligni che vanno vagando per il mondo».

2° livello: disturbi di forma più forte:

l’uomo, può entrare in contatto con gli spiriti cattivi e servirsene per colpire i suoi simili. Fatture o malefici, filtri, opere di magia, feticci e fatturati o papocchio, come dicono i romani, polveri e altre cose simili possono colpire gravemente la salute, gli affetti, gli affari. Così si riscontrano strane malattie, dolori, sfascio di famiglie, rovina di attività e di affari, persone che muoiono in modo inspiegabile. Effetti simili si possono conseguire partecipando alle sedute spiritiche, in ognuna delle più svariate forme; con la differenza che quando uno riceve un maleficio, ne è vittima involontaria; quando uno pratica spiritismo, il male se lo procura da solo, come colui che si droga.

3° livello: disturbi di forma fortissima:

si verificano quando gli spiriti del male non solo attaccano la persona dall’esterno, ma prendono completamente possesso dell’uomo. E’ la possessione o ossessione diabolica. E’ quello che esprimiamo con il termine: indemoniato. La personalità dell’uomo scompare, al suo posto subentra un’altra entità che ne prende il corpo, i sensi, le facoltà, e parla, agisce, si muove, si esprime per mezzo del corpo umano.

Quando avviene la liberazione, la persona ha due sensazioni:

— la prima è che non ricorda niente di quanto ha detto e di quanto è avvenuto, come se fosse stato in anestesia per un’operazione chirurgica.

— la seconda è che sente un’enorme spossatezza per la violenza che le è stata fatta per mettere fuori uso la sua personalità, perché fosse sostituita dallo spirito del male.

Per quale motivo alcune persone possano essere così crudelmente colpite e come si arrivi a questa paurosa forma dell’ossessione è difficilissimo dirlo.

 

 

Mercoledì 5 Settembre

SAN LORENZO GIUSTINIANI; SAN VITTORINO

Parola di Dio: Col. 1, 1-8; Sal. 51; Lc. 4, 38-44

 

"DA MOLTI USCIVANO DEMONI GRIDANDO: TU SEI IL FIGLIO DI DIO". (Lc. 4,41)

Come vincere il male, il demonio in tutte le sue forme? Risponde ancora l’esorcista Raul Salvucci.

Sul Calvario Gesù ha sconfitto Satana definitivamente. Questa è la prima verità. Riuscire a portare le persone sofferenti davanti a Gesù Crocifisso, educarle a fermarsi lì, per assorbire lentamente, attraverso la fede e la preghiera, i raggi benefici di salvezza che scaturiscono dalla croce, non è facile, anche perché le persone colpite da queste oppressioni cercano affannosamente la liberazione magica e immediata. Ma questo lavoro di convinzione va decisamente affrontato se vogliamo riportare nella serenità dei figli di Dio i fratelli tormentati da satana. Fermiamoci un momento nella contemplazione della passione e morte di Gesù che si consuma sul Calvario. Su quel monte è avvenuto il più colossale scontro della storia, quello definitivo: Gesù ha vinto per sempre, satana è stato sconfitto per sempre. La vittoria di Gesù ha segnato la salvezza completa dell’uomo. L’uomo d’oggi, nel paniere degli ingredienti che possono costituire la sua salvezza, ci mette tante cose: denaro, successo, macchine, ville, piatti speciali, vestiti firmati e altro, ma la cosa più importante gli sfugge, la salvezza che Gesù ci ha donato. Quando ricevo persone nel mio studio per queste situazioni, le invito a guardare il grosso crocifisso dietro la mia scrivania e dico: «Non verrai fuori da questa situazione finché non capirai che lui solo ti può salvare». Mi guardano con gli occhi smarriti come se parlassi di un atterraggio di dischi volanti nel cortile attiguo al mio studio. Eppure chi è colpito dalle invisibili forze del male non ha scelta: o riscopre la salvezza che ci viene dall’incontro con Gesù o va di male in peggio. Spiegata la prima verità fondamentale che «solo Gesù ci salva», passiamo alla seconda verità, anche essa fondamentale, che «maghi e affini» non sfasciano, ma confermano il male delle presenze spiritiche.

DOMANDA

Si sa che è costume molto diffuso ormai ricorrere a maghi, cartomanti, parapsicologi e compagnia. Quando si è convinti d’essere colpiti da fatti strani e inspiegabili, si cerca la salvezza rivolgendosi a costoro. Essi spiegano che è stato fatto a loro del male, ma danno garanzia di essere in grado di liberarli.

Si fanno pagare somme a volte veramente rilevanti e assicurano che sono quelli che sfasciano le fatture, ma non le fanno e confermano l’asserzione dando anche acqua o sale benedetti, qualche santino o medaglietta. E’ vero che hanno questa facoltà di liberare da ogni influsso malefico o è un imbroglio?

R. — In effetti è un colossale imbroglio che frutta miliardi, nella gran parte dei casi al di fuori di ogni controllo fiscale e i malcapitati stanno peggio di prima.

Ci può aiutare a capire questa situazione una composizione sceneggiata.

Siamo in una bella piazza con colonnati laterali: sulla destra sostano due ragazzi innamorati. Per aiutare la memoria diamo loro due nomi che iniziano con la prima lettera dell’alfabeto: Armando e Anna.

Si vogliono bene, stanno bene insieme.

Dall’altra parte nella piazza c’è un giovane solitario, Zeno, che è triste, senza amore, e guarda con invidia Armando e Anna. Un giorno Zeno prova ad avvicinare Anna, poi ci riprova con insistenza. Anna entra in crisi, dichiara ad Armando di voler prendere qualche tempo di libertà per riflettere, poi un giorno Armando la vede uscire serena e felice con Zeno.

Alla disperazione di Armando viene incontro un’amica con la quale si è confidato. In una via adiacente alla piazza c’è il Mago d’Oriente: «Va’ da lui — gli suggerisce l’amica — ha dei poteri magici ed è capace di far tornare Anna da te. Lo ha fatto con molti altri, lo può fare anche con te».

Il Mago d’Oriente chiede un milione per l’operazione: «Io spero — dice — di far tornare Anna da te, quantomeno la farò star male talmente da non andare più con Zeno, poi con il tempo potrà tornare da te». In effetti Anna incomincia a soffrire di fenomeni stranissimi, tanto che i medici non ci capiscono niente e le medicine non servono a nulla.

Un’amica le dà un suggerimento: «All’angolo della piazza c’è la Maga Sibilla. Ti debbono aver fatto qualcosa di male e lei è capace di liberartene». La Maga Sibilla riceve Anna e le spiega subito: «Armando il tuo ex ragazzo, ti ha fatto una fattura perché l’hai lasciato. lo sono una che le fatture non le fa, ma le sfascia. Mi dai un milione e mezzo, ti metti addosso negli indumenti intimi questa bustina di plastica, io poi farò degli scongiuri e tu sarai liberata».

Lasciamo gli innamorati alla loro vicenda e ci poniamo la domanda fondamentale: ce la farà veramente la brava Maga Sibilla a liberare Anna?

Proviamo a ragionare: i poteri che ha Sibilla provengono dalla stessa fonte dalla quale provengono i poteri del Mago d’Oriente, cioè dal commercio con gli spiriti del male. Anche Gesù nel Vangelo dice che ogni regno in sé diviso finisce nella rovina. Non è possibile che chi ha ottenuto dei poteri con le forze del male ci possa fare del bene, nuocendo all’altro che è a servizio degli stessi padroni.

Spiego ai miei pazienti: se tu ricevi la Comunione dal tuo parroco, Gesù ti fa dono del suo amore, se tu la ricevi da me, anche se non conosco il tuo parroco, Gesù ti ripete il suo dono, se vai al Santuario di S. Antonio di Padova e un religioso che non conosciamo ti dà la Comunione, Gesù ti dà ancora il suo dono di vita e di amore: perché noi sacerdoti siamo tutti ministri dell’amore di Cristo, dovunque ci troviamo. Così è per gli operatori del male: dovunque si trovino e comunque operino, sono sempre ministri di satana, che non può fare altro che il male.

 

 

Giovedì 6 Settembre

SAN ZACCARIA; SAN UMBERTO

Parola di Dio: Col. 1, 9-14; Sal. 97; Lc. 5, 1-11

 

"LA FOLLA GLI FACEVA RESSA INTORNO PER ASCOLTARE LA PAROLA DI DIO". (Lc.5,2)

Gesù, con il suo modo di fare, con le sue parole decise, con i segni che compiva riusciva ad attirare attorno a sé parecchia gente.

Mi chiedo se oggi vi sia altrettanto desiderio di ascoltare la Parola di Dio.

Certo, il desiderio del bello e del buono, del giusto e del soprannaturale c’è nel cuore di ogni uomo, ma la fonte a cui dissetarsi spesso non è la Parola di Dio.

Si ha desiderio di infinito e si vanno a scomodare i morti e gli spiriti.

Anche la Chiesa interessa ma troppo spesso solo per i suoi aspetti esteriori. Vanno di moda i preti televisivi ma spesso ci si ferma alle storie più o meno vere che essi interpretano; magari interessa anche una "buona predica" e la si va a sentire come si andrebbe ad un teatro... Chiaro! non per tutti è così ma la maggioranza preferisce palliativi alla sostanza.

E la sostanza è che il nostro Dio ha parlato con parole raccolte dagli uomini (la Bibbia) e con Se stesso (Gesù, la parola incarnata). E’ Lui la nostra fonte di acqua pulita per conoscere Dio e noi stessi. E’ vero che leggere la Bibbia è faticoso, è vero che spesso da soli non la capiamo, però se non si parte di lì, da Lui, si costruisce sulla sabbia. Ogni giorno un po’ di Parola di Dio, magari anche solo una piccola frase, come stiamo facendo ora con queste piccole riflessioni quotidiane, poi chiedere allo Spirito che ci illumini, poi lasciare che la sua parola risuoni in noi durante la giornata e si trasformi in piccoli gesti quotidiani e, poco per volta, a piccole dosi la Parola diventa il cibo del nostro cammino.

 

 

Venerdì 7 Settembre

SAN GRATO d’Aosta ;SANTA REGINA

Parola di Dio: Col. 1, 15-20; Sal. 99; Lc. 5, 33-39

 

"NESSUNO STRAPPA UN PEZZO DA UN VESTITO NUOVO PER ATTACCARLO AD UN VESTITO VECCHIO; ALTRIMENTI EGLI STRAPPA IL NUOVO E LA TOPPA PRESA DAL NUOVO NON SI ADATTA AL VECCHIO". (Lc. 5,36)

Mi diceva il mio professore di latino, mettendo la sua manona sulla mia testa: "E’ inutile, in zucche come la tua il latino non può entrarci, facci almeno entrare un po’ di italiano, in quello puoi cavartela". Aveva ragione almeno nel dire che certi recipienti possono contenere solo determinate cose se no si rischia di perdere sia il recipiente che il contenuto.

Non basta cambiar la facciata e rimanere "nel vecchio". Sarebbe ipocrisia bella e buona.

Gesù, vuol metterci in guardia contro un certo atteggiamento religioso che non sa conoscere il piano di Dio e che confonde religiosità e tradizioni con fede. La religiosità è una buona cosa se ci aiuta a manifestare la fede; diventa invece un controsenso quando non ci permette di vedere più il progetto di Dio, legandoci solo ad atti formali che impediscono di trovare la vera fede.

Così pure è sbagliato e rischioso voler semplicemente rattoppare insieme fede e tradizioni, in quanto, spesso, una elimina l’altra: provate a pensare, ad esempio, a certe processioni che ormai sono diventate spettacolo folcloristico e null’altro, o la partecipazione di certe persone a matrimoni e sepolture che è tutto fuorché di fede. Gesù è la grande novità, non si può mettere il Figlio di Dio sullo stesso piano di certe tradizioni o ciarlatanate.

 

 

Sabato 8 Settembre

NATIVITA’ DELLA BEATA VERGINE MARIA

Parola di Dio: Mic. 5,1-4 (Rom. 8,28-30); Sal. 86; Mt. 1,1-16.18-23

 

"GENEALOGIA DI GESU’…". (Mt. 1,1)

Nel giorno in cui la liturgia ci ricorda la nascita di Maria, leggiamo questa lunga genealogia di Gesù. San Matteo non era un esperto di araldica, più che cercarne la veridicità storica possiamo leggere in essa un richiamo alla concretezza dell’amore di Dio lungo i secoli e della fedeltà della sua promessa che, concretamente, si incarna in Gesù. Gesù non apparso improvvisamente, a caso, non è un marziano piombato sulla terra o un dio delle mitologie mandato a compiere una ispezione tra gli uomini, è una persona concreta che viene in una storia concreta.

Così, fin dall’inizio della storia della salvezza si comincia a scorgere il volto di una donna che è come trasparenza dell’amore di Dio, Colei che nel pensiero di Dio fu sempre associata al disegno della redenzione e fu trovata degna di essere la porta di ingresso di Gesù nel mondo.

Maria è dunque la concretezza di Gesù ma contemporaneamente è anche la prima risposta positiva totale che Dio trova nell’umanità, quindi anche noi, tramite Lei, possiamo accedere a Dio.

Nella festa della nascita di Maria noi festeggiamo anche la nascita dell’umanità nuova e la possibilità della nostra rinascita. Se noi rinasciamo, accettando il Figlio di Maria, anche noi, come Lei, possiamo diventare risposta positiva all’amore del Padre e con Lei entrare nel suo Regno.

 

 

Domenica 9 Settembre

XXIII^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  - SAN PIETRO CLAVER

Parola di Dio: Sap. 9, 13-18; Sal. 89; Fm. Versetti 9-10. 12-17; Lc. 14, 25-33.

 

1^ Lettura (Sap. 9, 13-18)

Dal libro della Sapienza.

"Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente dai molti pensieri. A stento ci raffiguriamo le cose terrestri, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi può rintracciare le cose del cielo? Chi ha conosciuto il tuo pensiero, se tu non gli hai concesso la sapienza e non gli hai inviato il tuo santo spirito dall'alto? Così furono raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono ammaestrati in ciò che ti è gradito; essi furono salvati per mezzo della sapienza".

 

2^ Lettura (Fm. 1, 9-10. 12-17)

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Filemone.

Carissimo, io Paolo, vecchio, e ora anche prigioniero per Cristo Gesù; ti prego dunque per il mio figlio, che ho generato in catene. Te l'ho rimandato, lui, il mio cuore. Avrei voluto trattenerlo presso di me perché mi servisse in vece tua nelle catene che porto per il vangelo. Ma non ho voluto far nulla senza il tuo parere, perché il bene che farai non sapesse di costrizione, ma fosse spontaneo. Forse per questo è stato separato da te per un momento perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello carissimo in primo luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo, sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri come amico, accoglilo come me stesso.

 

Vangelo (Lc 14, 25-33)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, siccome molta gente andava con lui, Gesù si voltò e disse: "Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo ".

 

RIFLESSIONE

 

Credo che ciascuno di noi, pur avendo letto tante volte il brano di vangelo che ci è stato proposto oggi, sentendo che Gesù ci chiede di andare a Lui "odiando" gli affetti precedenti, rimane perplesso per una richiesta così sconvolgente che ci sembra andare addirittura contro tutto l’insegnamento della Bibbia e soprattutto contro il comandamento dell’amore insegnatoci da Gesù.

Proviamo allora, come sempre, ad analizzare il brano di vangelo non dimenticandoci di chiedere, come abbiamo fatto nel salmo responsoriale: "Donaci, o Signore la sapienza del cuore".

Per capire ciò che uno dice bisogna vedere in quale situazione lo dice e a quali persone si rivolge.

Gesù aveva predicato, aveva fatto miracoli. Attorno a Lui erano nate tensioni. A qualcuno sembrava che Gesù scegliendo i poveri, si fosse chiaramente messo contro i ricchi e i potenti di allora, a qualcun altro sembrava che Gesù fosse contro il potere religioso costituito, qualcun altro lo vedeva come un potente segno di coesione del popolo per una rivolta contro i Romani usurpatori, qualcun altro lo pensava un millantatore, qualcuno lo spiava per poi poter andare a riferire, qualcuno era curioso di vedere come sarebbe andata a finire, qualcun altro lo seguiva nella speranza di vedere miracoli, qualcuno azzardava il pensiero che potesse essere il Messia, ma c’erano tante idee diverse su chi dovesse essere e come dovesse manifestarsi l’inviato di Dio. Per cui ecco che al seguito di Gesù c’erano apostoli, discepoli, curiosi, persone che lo studiavano per prenderlo in castagna, esaltati religiosi, gente interessata solo alle esteriorità, ai miracoli… E allora, Gesù che non vuole ingannare nessuno chiarisce le condizioni di chi desidera essere vero discepolo.

Se si vuole seguire Gesù, per prima cosa, bisogna riconoscere Lui al di sopra di tutto e di tutti: del padre e della madre, dei fratelli e delle sorelle, dei propri beni e perfino della propria vita. E qui viene fuori quella parola che a noi può creare fastidio, la parola ‘odiare’. Se pur noi possiamo comprendere le esigenze di Gesù, come può Cristo parlare di odio?

Ci troviamo qui davanti ad un problema di linguaggio.

In aramaico, la lingua che parlava Gesù, come in tutte le lingue semitiche, i vocaboli usati sono pochi e quindi chi parla quella lingua deve usare degli estremismi. Diventa allora evidente che il verbo "odiare" va tradotto in linguaggio moderno con "amare di meno" o "mettere al secondo posto", San Matteo, infatti, riferisce queste stesse parole di Gesù così: "Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me".

Chiarito questo, però, le parole di Gesù non sono meno inquietanti: può un uomo arrivare a mettere Cristo prima del padre, prima dei figli, prima di tutto? Non chiede un po’ troppo Gesù? Ci sembra quasi che Dio diventi un concorrente dei nostri affetti, quasi un ostacolo alla vita, ai sentimenti.

Proviamo a capire che non è così.

Perché Cristo ci chiede di amarlo più dei genitori, della moglie dei figli?

Perché solo amando Dio è possibile davvero amare il padre e la madre, lo sposo e la sposa, i figli, la vita.

Noi infatti spesso non siamo capaci di amare, prendiamo dell’amore solo quello che ci sembra, rischiamo di ridurlo ad un amore possessivo, siamo fedeli all’amore solo fino a quando non riusciamo a giustificare anche le nostre infedeltà, confondiamo l’amore con un generico voler bene o con il sesso, vogliamo un amore senza sacrificio. Gesù ci dice: solo mettendo Dio al primo posto, Lui stesso ci insegna che cosa sia il vero amore del prossimo.

E mettere Gesù al primo posto che cosa significa?

Significa volergli talmente bene da cominciare a pensare come Lui, a ragionare con la sua logica, riconoscerlo come scopo e attesa della propria vita. Amando Dio si recupera l’amore del prossimo, tutto il prossimo, si rivaluta in pieno il valore della vita, si scopre che l’uomo non è fatto solo di cose e che ha un suo destino che va al di là della materia.

Comprendiamo, allora, anche le altre due esigenze espresse da Gesù per essere discepoli: "Chi non porta la sua croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo" e "Chi non rinunzia a tutti i suoi avere non può essere mio discepolo" cioè: "Chi ha trovato me e mi ha scelto, riesce perfino ad affrontare la persecuzione, sa che se io sono passato attraverso la croce, potrà passarci anche Lui, sa che il sacrificio, anche se brutto, e duro, può essere un valore, può portare frutti di amore. Sa che amare non è solo riempirsi la bocca di belle parole o il cuore di buoni sentimenti, è arrivare a dare la vita per l’altro. Il cristiano poi che mi ha messo al primo posto, in qualunque situazione si trovi, usa dei beni di questa terra non nella prospettiva dell’avere e del possesso, ma nella lode e nella condivisone, sa che le cose possono essere belle, ma sa che c’è qualcosa di ancora più importante".

Ma queste scelte riusciremo a farle solo se le avremo pensate, riflettute, ponderate attentamente. In questo senso Gesù racconta le parabole della torre e del re che va alla guerra.

Se non si vuole rischiare la sconfitta o il non giungere al termine della propria impresa, bisogna pensare bene a quello che Cristo ci propone.

Il discepolo di Cristo deve essere un lottatore, un guerriero, un atleta; ha da affrontare un nemico molto più intelligente e furbo di lui, il diavolo. Seguire Gesù, di conseguenza non può essere solo una decisione presa in un momento di entusiasmo, di euforia. Per seguire Gesù bisogna avere coscienza della propria fragilità, ma anche della forza che Cristo stesso ci dà.

Decidere per Cristo bisogna farlo con costanza. Siamo in un campo in cui le cose non sono consentite a metà. Quante volte ho incontrato dei credenti che in un momento di entusiasmo, a parole, si dicevano i più amanti del Signore, i più disposti a morire per Lui: Pietro insegna!

Per seguire Cristo ci vuole anche realismo (vedere le cose come sono, le forze quali sono) ma anche audacia cioè non ridurre la fede alle "solite cose", ad un po’ di preghiera, a qualche sporadico atto di carità, ad una liturgia stantia e ripetitiva, ma aprire la fede ad orizzonti più ampi. E’ vero che il realismo ci dice la nostra pochezza, ma se davvero hai Cristo, con Lui puoi correre avventure dagli ampi orizzonti. Con Lui nulla è banale, con Lui anche un ladro può arrivare al paradiso e una peccatrice può diventare discepola, con Lui un bambino può diventare un santo, una piccola Madre Teresa può conquistare il cuore del mondo per i poveri, un Giovanni XXIII° può fare la ‘pazzia’ di indire un Concilio Ecumenico.

Con Lui perfino io, perfino tu, possiamo aspirare a cose più grandi noi, possiamo perfino diventare capaci di amare in maniera piena.

 

 

Lunedì 10 Settembre

SAN NICOLA da Tolentino

Parola di Dio: Col. 1,24 - 2,3; Sal. 61; Lc. 6, 6-11.

 

"I FARISEI FURONO PIENI DI RABBIA E DISCUTEVANO FRA LORO PER QUELLO CHE AVREBBERO POTUTO FARE A GESU’". (Lc. 6,11)

Il Vangelo di oggi ci parla della guarigione di un uomo che aveva la mano rattrappita. Lui era un malato, ma la figura delle mani rattrappite, chiuse indicano spesso l’avarizia, la grettezza di cuore. E questa è tipica dei farisei. Ma mentre Gesù può operare la guarigione della mano malata, Gesù non può guarire il cuore rattrappito di questi fanatici osservanti della legge.

La rabbia degli scribi e dei farisei nella sinagoga è dovuta alla loro incapacità di vedere nell’opera di Gesù l’opera stessa di Dio. Stanno a recriminare la non osservanza di un precetto e non riescono a lodare Dio per un uomo guarito da Gesù.

Quando la fede non è più un rapporto d’amore diventa solo osservanza di leggi, commercio (se osservo quel comandamento, merito un premio), oppure diventa un dimenticarci dei fratelli e si arriva all’assurdo di pensare che per una legge religiosa un malato debba rimanere tale, quando non amiamo veramente, questo rischio c’è anche per noi!

Quando il nostro cuore non sa più commuoversi davanti al dolore di un altro, quando non sentiamo la gioia per il bene che qualcuno ha ricevuto, quando solo il calcolo conta per noi, diventiamo inguaribili. Neanche Gesù può nulla con un cuore rattrappito, chiuso in se stesso.

 

 

Martedì 11 Settembre

Santi PROTO E GIACINTO

Parola di Dio: Col. 2, 6-15; Sal. 144; Lc. 6, 12-19.

 

"NE SCELSE DODICI AI QUALI DIEDE IL NOME DI APOSTOLI". (Lc. 6,13)

Davanti alla chiamata degli apostoli possono nascere diverse domande: Perché proprio quei dodici e non altri? Perché da parte di Gesù la scelta cade su persone che in fondo non avevano poi grandi doti ma erano semplici popolani? Oggi dicono che il Signore chiama ancora, ma come mai ci sono così poche risposte alle sue chiamate? Non ho mai sentito in diretta la sua voce! In fondo, la vocazione non è altro che un insieme di indirizzi che la vita suggerisce: sei nato in quella famiglia, sei stato educato in quel modo, hai incontrato quella persona … in fondo non poteva andare diverso siamo un po’ tutti burattini in mano ad una serie di situazioni. Guardando la chiamata degli apostoli vedo che essi sono giunti a Gesù in modi diversi: qualcuno è stato chiamato direttamente da Gesù (ma anche in questo caso, per decidere di andargli dietro dovevano almeno averne sentito parlare prima), qualcun altro è stato portato a Gesù dai primi apostoli. In ogni caso prima di sceglierli Gesù prega il Padre. Allora capisco che la chiamata è dono, che può arrivare in mille modi diversi, che Dio si serve anche di situazioni, di incontri, di sentimenti che ci sono nel nostro cuore per parlarci, che il modo migliore per capire che cosa Dio voglia da noi sia quello di metterci in ascolto, della coscienza, delle situazioni che viviamo, della Scrittura, ma che soprattutto il modo migliore per capire quale sia la volontà di Dio su di noi sia quello di pregarci sopra. Non penso di essere un burattino, penso di essere una persona amata da Dio con il meraviglioso ma terribile dono della libertà. Se nella mia vita riesco a capire che cosa Dio voglia da me e riesco a rispondergli liberamente, nonostante tutti i limiti e i peccati che posso avere, allora ho risposto davvero alla sua chiamata, allora ho realizzato la mia vocazione.

 

 

Mercoledì 12 Settembre

SANTISSIMO NOME DI MARIA; SAN GUIDO

Parola di Dio: Col. 3, 1-11; Sal. 144; Lc. 6, 20-26

 

"BEATI VOI, POVERI…". (Lc. 6,20)

Capita che proprio oggi, nella festa del Santo nome di Maria, noi leggiamo il Vangelo delle beatitudini. E chi, meglio di Maria ha realizzato queste beatitudini?

Maria è la povera di Dio, abituata a mangiare dalla sua mano. Dio ha guardato alla "povertà della sua serva" e si è ricordato di Lei per colmarla di ogni dono. Maria ci dice quale sia la vera ricchezza: avere Dio per Padre e rimanere nelle mani della sua Provvidenza. Maria non è una ragazza sprovveduta, passiva nelle mani di Dio. La vediamo chiedere, informarsi, darsi da fare, ma poi anche fermarsi, "conservare" dubbi, interrogativi, meraviglie nel suo cuore, abbandonarsi fiduciosa alla volontà del Padre, di suo Figlio, dello Spirito Santo.

Maria sa godere dei doni di Dio, è una che non se ne sta mesta a contemplarsi, ma gioisce nel portare Colui che è la gioia, non è la beghina da collo torto, ma una che fa propria la gioia degli sposi ad un banchetto di nozze e vuole che nulla, neanche la mancanza di un bicchier di vino, possa guastare la loro felicità.

Maria è beata perché sa piangere nel modo giusto. Non nasconde i suoi sentimenti, non li maschera. Ama e quindi soffre della sofferenza dell’Altro; la sofferenza di Gesù e di ogni uomo è la sua, le nostre lacrime sono le sue, ma non sono le lacrime della disperazione. Sono vero dolore, ma pieno di fiducia e di speranza e Lei maledetta come può esserlo la madre del condannato a morte per bestemmia, diventa la consolatrice di ogni nostra sofferenza.

Penso che quando Gesù ha proclamato le beatitudini, avesse davanti il volto di sua madre, ma che in quel momento pensasse anche a ciascuno di noi, certamente non capaci di vivere con pienezza, come Maria, ma desiderosi di dire a noi stessi e al mondo che solo Dio è la nostra ricchezza, che la nostra fame e sete di vero e di bello troverà ristoro in Lui, che il nostro soffrire e il nostro piangere non sono senza speranza, che, nonostante i nostri peccati, ci fidiamo della sua misericordia.

 

 

Giovedì 13 Settembre

SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Vescovo e Dottore della Chiesa

Parola di Dio: Col. 3, 12-17; Sal. 150; Lc. 6, 27-38.

 

"MA IO VI DICO: AMATE I VOSTRI NEMICI". (Lc. 6,27)

Ciascuno di noi vorrebbe vivere in un mondo di pace e di serenità: che bello se gli uomini non si facessero più guerre, se non ci fossero più divisioni all’interno delle famiglie! Che meraviglia poter cercare tutti il progresso comune senza l’ansia del possesso, l’idolo del denaro! Che bello se le sofferenze degli uomini, almeno quelle in nostro potere, fossero evitate, se nessuno morisse di fame, se tutti avessero la possibilità di cure mediche adeguate, se la solitudine fosse vinta, se i bambini e la vita rispettati, se gli anziani valorizzati e aiutati a vivere bene il tempo della vecchiaia!…Da sempre l’uomo ha vagheggiato questo ed ha cercato in molti modi di realizzare questo sogno. Si può dire che le ideologie e le politiche che si sono susseguite lungo i secoli, almeno in partenza avevano questi ideali: ogni rivoluzione ha sempre sognato un mondo migliore più giusto…Eppure nel duemila dall’era cristiana siamo ancora molto lontani da questo, al punto che molti credono sia un’utopia irrealizzabile. Chiediamoci con serietà: è possibile la pagina di Vangelo di oggi? Possiamo amare i nostri nemici, porgere l’altra guancia, lasciarci derubare del mantello e della tunica, non pretendere la restituzione di quello che hai imprestato? Possiamo essere benevoli verso gli ingrati e i malvagi?

Da come rispondiamo a queste domande noi possiamo capire se crediamo davvero alla possibilità dell’uomo di cercare un mondo di serenità e di pace o meno.

Non è facile credere alla rivoluzione di Gesù perché non è una rivoluzione che parte dal cambiamento delle cose esterne, non è una rivoluzione che deve destituire potere e potenti per stabilire altri poteri ed altri potenti, ma è una rivoluzione che parte dall’interno di ciascuno di noi, che vuol cambiare il nostro atteggiamento interiore, che vuol renderci simili a Dio che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi, che ama il figlio dilapidatore di patrimoni, che vuol dare la stessa paga a quelli che hanno lavorato 10 ore come a quelli chiamati all’ultima ora. Non è facile credere alla rivoluzione di Gesù guardando ai risultati che Lui ha ottenuto: la croce… Eppure, o ci rassegniamo a dire che l’uomo non cambierà e continuiamo ad accettare la lotta, la prepotenza come mezzo di sopraffazione, il denaro e il benessere come scopo, oppure crediamo all’assurdo della pagina di Vangelo odierno. Quante scuse, scappatoie per sfuggire questa indicazione del Vangelo! Ma se mi metto a cuore scoperto, senza difese davanti a questa affermazione di Gesù, devo rendermi conto che è compito mio sgombrare il cuore dalla collera, dall’odio, dal risentimento, dal livore, dalla grettezza, dall’istinto polemico. Sono io che devo rinfoderare gli artigli, deporre la mentalità vendicativa. Sono io che devo perdonare, donare senza calcoli, amare i nemici, pregare per i persecutori, desiderare per i malvagi tutto il bene possibile, salutare coloro che mi mostrano un volto feroce o girano la faccia dall’altra parte, incontrare quelli che vorrei scansare, beneficare chi non se lo merita o mi ha procurato parecchi guai, voler bene a quelli che non amano nessuno e che nessuno ama. Se parto da dentro il mio cuore non tanto fidandomi delle mie forze, ma di quelle di Dio che può tutto, allora forse i miei occhi cominceranno a vedere diversa la vita, il prossimo, e man mano che comincerò a pensare come Gesù anche le sconfitte, le incomprensioni, i soprusi, avranno un modo diverso di presentarsi e anche la croce comincerà a sapere di risurrezione.

 

 

Venerdì 14 Settembre

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

Parola di Dio: Num. 21,4-9 (Fil. 2,6-11); Sal. 77; Gv. 3,13-17

 

"BISOGNA CHE IL FIGLIO DELL’UOMO SIA INNALZATO PERCHE’ CHIUNQUE CREDE IN LUI ABBIA LA VITA ETERNA". (Gv. 3,16)

Sovente mi fermo davanti alla croce di Gesù. Su di essa si possono fare le riflessioni più diverse: si può pensare all’assurdo della croce: può un Dio morire in modo così crudele condannato da uomini che Lui è venuto a salvare e che invece lo considerano un bestemmiatore? Può Dio Padre volere che suo Figlio soffra così tanto? Si può pensare alla forza ed al coraggio dell’uomo Gesù che accetta per amore questa sofferenza. Si può pensare ai tanti crocifissi che oggi ci sono nel mondo. Si può pensare ai nostri peccati che in fondo sono la causa di quella croce. Si può pensare alla cattiveria degli uomini che hanno studiato e studiano simili strumenti di tortura. Si può aver compassione di Gesù fino quasi a sentire le sue sofferenze nella nostra carne…Penso che ciascuno di noi prima o poi, davanti alla croce abbia sperimentato questi o altri sentimenti, ma oggi, in questa festa da un titolo umanamente assurdo: "Esaltazione della croce", ringrazio Dio che mi ha fatto giungere quest’altro pensiero. Gesù è il Re dell’universo, ma non ha un trono. Il suo trono è una croce. Nel ‘Credo ‘ noi diciamo che Egli verrà a giudicare i vivi e i morti, ma ci giudicherà dal suo trono, dalla croce, non per niente coloro che lo hanno visto risorto lo hanno visto con le piaghe della passione. "Il Figlio non è venuto a giudicare il mondo, ma a salvare il mondo". E allora, se ai piedi di quella croce riconosco il peccato e il male che è in me, se sento compassione per le sue sofferenze e per quelle degli uomini, se accetto la sua croce come un atto di amore totale nei miei confronti e nei confronti di tutti gli uomini, allora scopro che il segno di croce del mio Battesimo mi ha salvato, che quello della confessione mi ha redento, che quello dell’ultima unzione mi unirà totalmente a Lui e allora quella croce non potrà condannarmi ma solo salvarmi.

 

 

Sabato 15 Settembre

BEATA MARIA VERGINE ADDOLORATA

Parola di Dio: Eb. 5,7-9; Sal. 30; Gv. 19,25-27 (Lc. 2,33-35)

 

"GESU’ VEDENDO LA MADRE E LI ACCANTO IL DISCEPOLO CHE AMAVA, DISSE ALLA MADRE: DONNA, ECCO TUO FIGLIO. POI DISSE AL DISCEPOLO: ECCO LA TUA MADRE". (Gv. 19,26-27)

La Chiesa, presentandoci Maria ai piedi della croce non vuole solo suscitare in noi sentimenti dì compassione per la Madre del Figlio di Dio che muore sulla croce, ma vuol metterci davanti il modello di Maria che ha condiviso in tutto la strada di Gesù. Il discepolo, infatti, è colui che partecipa alla vita del Maestro in tutto. Sente la sua voce, si affida totalmente a Lui ("avvenga di me quello che hai detto"), sa di essere un povero servo ("sono la serva del Signore"), ascolta la sua parola ("meditava in cuor suo tutte queste cose"), sa che Dio non lo abbandona ("fate quello che vi dirà"), esalta e loda Dio per le sue opere ("L’anima mia magnifica il Signore"), va discretamente dietro a Gesù ("c’è tua Madre che ti cerca"), partecipa alla passione ("ai piedi della croce c’era Maria") e alla risurrezione e alla missione ("E Maria pregava con loro"). Maria, dunque, come prototipo del cristiano che come dice S. Paolo: "Porto sempre in me i segni della passione e morte di Cristo perché appaia anche il segno della risurrezione. Siamo infatti tribolati da ogni parte ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi". Pensando al mistero della croce siamo sempre portati a pensare che in quell’ultimo momento della sua vita Gesù ci ha fatto ancora il regalo di sua Madre. Proviamo oggi a pensare anche ad un’altra cosa: Gesù ci ha anche affidato sua Madre, cioè noi poveri uomini abbiamo il compito di portare nella nostra vita Maria, in Lei noi portiamo la sua maternità, perché Cristo nasca al mondo, portiamo la sua umiltà perché il Vangelo sia il gioioso annuncio ai poveri, portiamo il suo dolore perché ogni dolore venga redento, portiamo la sua purezza perché il male sia vinto. Maria porta noi a Gesù ma noi dobbiamo portare Maria, e in Lei il mistero di Cristo, al mondo intero. Portare Maria non è certo un peso ma una gioia. Ai piedi della Croce, nel dolore, Maria ci ha generati ma proprio per questo, essendo suoi figli, noi dobbiamo manifestare al mondo i tratti di nostra Madre.

 

 

Domenica 16 Settembre

XXIV^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  -  Santi CORNELIO E CIPRIANO, Martiri

Parola di Dio: Es. 32, 7-11. 13-14; Sal. 50; 1 Tm. 1, 12-17; Lc. 15, 1-32

 

1^ Lettura (Es. 32, 7-11. 13-14)

Dal libro dell'Esodo.

In quei giorni, il Signore disse a Mosè: "Va’, scendi, perché il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d'Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Si son fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: Ecco il tuo Dio, Israele; colui che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto". Il Signore disse inoltre a Mosè: "Ho osservato questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione". Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: "Perché, Signore, divamperà la tua ira contro il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande forza e con mano potente? Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto questo paese, di cui ho parlato, lo darò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre". Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo.

 

2^ Lettura (1 Tm. 1, 12-17)

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.

Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al mistero: io che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. Al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

Vangelo (Lc 15, 1-32)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: "Costui riceve i peccatori e mangia con loro". Allora egli disse loro questa parabola: "Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte". Disse ancora: "Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: E tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato ".

 

RIFLESSIONE

 

Molti dicono che quella che abbiamo letto è una delle pagine più belle del Vangelo. Concordo anch’io. E’ bello scoprire un amore così intenso da parte di Dio nei nostri confronti, un amore che lo mette alla nostra ricerca, che gli fa far festa per il nostro ritrovamento o per il nostro ritorno a casa, ma credo che questo vangelo sia anche il più ostacolato infatti più scopriamo la bontà di Dio e più, se non ci lasciamo conquistare dalla sua misericordia, sentiamo bruciarci dentro il nostro egoismo.

Gesù ha raccontato queste parabole perché "si avvicinavano a Gesù i pubblicani e i peccatori. Ma i farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro", cioè Gesù scandalizzava per il suo amore e la sua attenzione ai peccatori e qualche volta anche noi arriviamo all’assurdo, come il figlio maggiore della parabola, di scandalizzarci perché Dio è misericordia, perché Dio fa festa per un balordo che torna a casa a mani vuote dopo aver sperperato un’intera eredità. Non abbiamo paura di confrontare la misericordia di Dio con la nostra cattiveria, e se questo ci fa star male c’è una soluzione unica: proprio meravigliandoci e fidandoci del perdono ricevuto, imparare da questo anche noi la strada della misericordia.

E allora guardiamo a Dio. Il pastore non ragiona con i numeri, non pensa che gli sono rimaste novantanove pecorelle, Egli parte alla ricerca della pecora volutamente sfuggita alle sue premure. Dio guarda alle singole persone. Dio davanti al peccato reagisce raddoppiando il suo amore. Come si fa a perderci d’animo davanti al male se pensiamo che il peccato quasi accende in Dio una fiamma di amore che lo spinge a mettersi alle nostre calcagna, alla nostra ricerca? E come si fa ad essere così drastici nei nostri giudizi nei confronti di chi ha sbagliato da volerli subito escludere, allontanare, "tagliare i rami secchi", quando vediamo la benevolenza di Dio che rischia tutto per andare a cercare chi si è allontanato?

E la seconda parabola non presenta forse l’uomo come il tesoro di Dio che Egli vuol custodire gelosamente nella sua casa? Dio non si rassegna a perdere l’uomo, non dice: "Ce ne sono tanti miliardi!" fa come quella donna che persa la moneta, butta per aria tutto, sposta mobili e suppellettili pur di arrivare a ritrovare la moneta perduta. Se la filosofia ci ha consegnato la figura di Diogene che con il suo lanternino cercava l’uomo, il Vangelo ci dà l’immagine di Dio che in ogni modo viene pazientemente a cercarci: siamo preziosi ai suoi occhi!

La terza parabola, quella che noi chiamiamo del Figlio prodigo ma che dovremmo più giustamente chiamare del Padre misericordioso, è il culmine della rivelazione dell’amore di Dio. Questo Padre accetta la sfida del figlio che se ne va, come accetta anche di avere in casa un secondo figlio che ha capito molto poco del suo amore. Dio non frena la libertà dell’uomo. Ma proprio questo amore che lascia liberi diventerà la nostalgia del figlio che, dopo aver consumato tutto, si ricorderà di suo Padre e inizierà il suo cammino di ritorno.

La nostalgia, il dolore, le prove, le insoddisfazioni, tutto ci ricorda la fragilità della nostra esistenza lontani da Dio: solo Lui è proporzionato al cuore umano.

Ma questo bisogno di Dio da parte dell’uomo corrisponde anche al bisogno dell’uomo da parte di Dio. Il figlio, ciascuno di noi, è importante per Dio, importante di ricerche ostinate, di preoccupazioni, di sollecitudini infinite e di attese pazienti : se possiamo usare un paragone umano che le parabole stesse ci suggeriscono: Dio aumenta la sua gioia quando può riversare il suo amore, il suo perdono su di noi.

Quando il figlio ritorna scopre che il Padre lo sta spettando. E non per castigarlo! Il Padre gli corre incontro, lo abbraccia, fa festa.

Dio non è il Padre che tira un sospiro di sollievo quando si accorge di essersi liberato da un figlio incapace di amore, piantagrane. Impazzisce invece di gioia, quasi obbliga tutti alla festa quando può riavere quel figlio che si era perduto.

Ma come? E il peccato?, l’offesa, il denaro perduto?

Tutto è dimenticato. Dio fa festa.

Dovremmo ricordarcelo specialmente quando andiamo a confessarci. Non è l’elenco dei nostri peccati che conta, quello facciamo bene a farlo per ricordaceli noi e per cercare di non caderci più, ma conta il dono smisurato da parte di Dio che ci restituisce la dignità di figli e conta anche il dono che noi facciamo a Lui: gli restituiamo noi stessi, la nostra comunione con Lui.

Quando chiediamo perdono sinceramente noi riceviamo la misericordia di Dio, ma diamo anche a Dio la gioia di vedersi restituito un figlio amato che si era perso.

Davanti a questa gioia vicendevole a questo amore misericordioso si pone però un ostacolo: l’altro figlio.

Certo poteva avere anche dei diritti validi da accampare: un’eredità già divisa col fratello che ora vede a rischio con padre così buono e così contento, il vitello grasso che viene dilapidato per un dilapidatore, la gelosia di chi vorrebbe avere la bontà del Padre solo per se.

Questo figlio tanto ligio non ama il Padre e tanto meno il fratello. Questi è scappato ma poi è tornato in umiltà a casa, il fratello maggiore invece sta col Padre ma il suo cuore è lontano: non accetta lo stile, il pensiero del Padre, non capisce la sua misericordia, ha paura del Padre. E stato obbediente ma questo non lo ha appagato, lo ha fatto per forza; arriva addirittura a rimproverare il Padre di non avergli mai dato un capretto per far festa con gli amici (mi domando se aveva mai avuto la confidenza di chiederglielo) di conseguenza è uno che non sa sperimentare la gioia e la fratellanza.

Questo figlio maggiore ci assomiglia tutte le volte che pur avendo sperimentato un così grande amore del Padre, noi siamo invece calcolatori, misuriamo il perdono con il centimetro, ci sentiamo già abbastanza bravi se, magari brontolando, abbiamo fatto il nostro dovere.

E’ vero che la strada del perdono è una strada difficile, è vero che ci sembra impossibile che un uomo possa perdonare a chi gli ha ucciso un figlio, è vero che il perdono qualche volta viene usato da chi lo riceve per continuare a fare il male, è vero che da solo non riesco a provare sentimenti di bontà nei confronti di chi mi ha offeso… Da soli, possiamo dire che certi perdono sono ‘disumani’.

Ma davanti a Dio che mi ama così tanto, davanti a Lui che non si rassegna di avermi perso e che mi viene a cercare, davanti a Gesù che muore sulla croce per me, davanti al Padre che non solo mi perdona ma mi ringrazia se ritorno a casa pentito, non riuscirò anch’io a trovare la strada del perdono del fratello?

 

 

Lunedì 17 Settembre

SAN ROBERTO BELLARMINO Vescovo e Dottore della Chiesa

Parola di Dio: 1 Tm. 2, 1-8; Sal. 27; Lc. 7, 1-10

 

"SIGNORE, NON STARE A DISTURBARTI, IO NON SONO DEGNO CHE TU ENTRI SOTTO IL MIO TETTO". (Lc. 7,6)

Il Vangelo non finisce mai di sorprenderci. In uno scritto del genere ci aspettiamo che i buoni esempi vengano dai pii, magari dagli apostoli, gli eletti, i prescelti, o dai professionisti della religione come i farisei, e invece è un centurione romano che ci viene proposto da Gesù come esempio di fede. Ma questo, invece che scandalizzarmi, mi riempie di gioia perché capisco che davvero il Regno di Dio è per tutti e arriva a tutti, anche al di là degli schemi e delle formazioni religiose che ne vogliono avere l’esclusiva. Questo centurione che forse non conosceva neanche le radici della fede ebraica, che certamente non conosce Gesù, ne ha solo sentito parlare, invece di approfittare del suo ruolo è uno che "si interessa al popolo", è uno che ha aiutato la costruzione della sinagoga, è una persona che sa chiedere e che motiva le sue richieste in modo umano corretto e rispettoso, è uno che ama il suo servo e non lo tratta affatto da schiavo anche se ha una precisa idea di ciò che vuol dire comandare e ubbidire.

E sono anche felice che la Chiesa cattolica abbia preso proprio le parole di questo centurione e ce le faccia ripetere prima di accostarci all’Eucarestia. Se davvero le facciamo nostre, queste parole esprimono il giusto atteggiamento davanti al mistero e al dono di quel Pane.

Noi non siamo degni che Gesù venga ad abitare in noi. Prima di tutto non siamo degni perché come può la nostra piccola umanità accogliere in se stessa la divinità? Anche il più grande santo o il più grande mistico è indegna dimora del Dio Creatore, Salvatore, Onnipotente. Per un ebreo, entrare in casa di un pagano era contaminarsi; a noi, ad entrare in Comunione con Gesù, sembra quasi di contaminare Lui. Poi non siamo degni anche perché siamo peccatori, incapaci di vivere con equilibrio, con decisione, con costanza la sua parola, egoisti incapaci di amore… E allora? Non andremo più a fare la Comunione, ci priveremo del pane del cammino per la nostra indegnità?

Ricordiamoci sempre che se noi siamo indegni e abbiamo quasi timore di accostarci a Gesù, è invece Lui che vuole venire a noi. La distanza tra noi e Lui non siamo noi a superarla, è Lui a venirci incontro, è Lui che ci chiede di fare memoria di quanto ha fatto per noi per entrare in comunione di salvezza con Lui. Ricevere il pane della vita significa infatti essere salvati senza alcun merito da parte nostra, ma unicamente attraverso la Grazia che ci viene donata.

Ripetere la frase del centurione prima di accostarci all’Eucarestia, è allora constatare, con umiltà e quindi con verità che noi non solo non abbiamo nessun merito per ricevere Gesù, ma è anche riconoscenza assoluta per Colui che ci ama e ci salva "mentre siamo peccatori" e diventa anche il momento in cui, come il centurione, abbiamo il coraggio di chiedere e sul suo amore siamo anche certi che Lui in qualche modo ci ascolterà.

 

 

Martedì 18 Settembre

SAN GIUSEPPE da Copertino; SAN LAMBERTO

Parola di Dio: 1 Tm. 3, 1-13; Sal. 100; Lc. 7, 11-17

 

"GESU’, VEDENDOLA, NE EBBE COMPASSIONE E LE DISSE: NON PIANGERE". (Lc. 7,13)

Eccoci davanti ad un miracolo che va ben oltre il semplice racconto di un fatto eccezionale che comprova la divinità di Gesù. E’ un miracolo che ci fa riflettere e se da una parte sembra confortarci nel farci vedere la misericordia, la compassione di Gesù nei confronti del dolore, d’altra parte ci apre degli interrogativi che solo una fiducia profonda in Dio ci permettono di affrontare.

Gesù è profondamente partecipe delle sofferenze umane, Dio non è un estraneo alle vicende della nostra vita, non è un semplice spettatore, soffre con noi...

"Belle parole, don Franco, ma se gli dispiacciono le nostre sofferenze, perché non interviene? Perché, se si commuove davanti ai bambini che muoiono di fame o di malattia, la sua compassione non si manifesta in salvezza concreta per loro? Gesù ha fatto risorgere il figlio di questa vedova, ma quante mamme piangono senza speranza i propri figli!".

Rispondere a queste domande è praticamente impossibile. Di una cosa siamo certi: Dio non interviene continuamente con miracoli per modificare il corso della natura o l’egoismo degli uomini proprio perché rispetta la libertà dell’uomo ma la sua compassione e la sofferenza del Giusto Gesù ci dicono che tutto ha un senso nel cuore di Dio anche se umanamente è difficile da capire.

Quel: "Non piangere" che Gesù dice alla vedova di Naim, in fondo è l’indicazione preziosa che Gesù dà a tutti noi, quando viviamo il momento del dolore.

Non piangere. Cioè non perderti d’animo neanche davanti al dolore e alla malattia, non lasciarti vincere dalla sfiducia, prova ad entrare nel pensiero di Dio che ti dice che c’è ancora qualcosa più importante perfino della tua salute.

Non piangere. Anche quando ti sembra ingiusto che una persona muoia giovane e ricorda che non è il numero degli anni che dà più valore alla vita, ma la qualità della vita che dà valore agli anni.

Non piangere. Cioè fidati di Dio, proprio nel momento del buio, buttati sul suo cuore e piangi in Lui le tue lacrime, e anche se esse sono talmente grevi da non potersi tramutare in sorriso, per lo meno non ti impediranno di non avere più speranza.

 

 

Mercoledì 19 Settembre

SAN GENNARO, Vescovo e martire

Parola di Dio: 1 Tm. 3, 14-16; Sal. 110; Lc. 7, 31-35

 

"VI ABBIAMO SUONATO IL FLAUTO E NON AVETE BALLATO; VI ABBIAMO CANTATO UN LAMENTO E NON AVETE PIANTO". (Lc. 7,32)

Sono molte, nella vita, le persone che potremmo dire appartengono alla categoria dei "mai contenti". Li incontri ovunque: sul lavoro non sono mai contenti di ciò che fanno, i padroni in ogni caso sono tutti ladri, il governo è fatto di "gente che mangia sulle nostre spalle", i sindacalisti fanno solo i loro interessi, agli altri va sempre meglio che a loro. Ci sono persone che, anche avessero vinto un miliardo a un concorso saprebbero piangere ancora perché: "Se avessi azzeccato quel pronostico in più di miliardi ne avrei vinti due". Gesù nota questo atteggiamento non solo nel gioco di alcuni ragazzini, ma anche nei suoi contemporanei che vedono il negativo in tutto e intanto si sono lasciati sfuggire l’occasione di conversione che era stata loro presentata da Giovanni il Battista, e non sanno accogliere il dono stesso di Gesù. Anche per noi: non sarebbe ora di cambiare occhiali? E’ vero che nel mondo ci sono tante cose che non funzionano, ma è anche vero che in esso è seminato molto bene. E’ vero che aver fede non è sempre facile, ma è anche vero che Gesù è già morto e risorto per noi. E’ vero che vivere con il prossimo è estremamente arduo, ma è anche vero che c’è tanta gente che nel cammino della nostra vita ci ha dato molto. In una delle tante riviste che arrivano nelle nostre buche ho trovato queste semplici regole che non mi sembrano poi tanto sbagliate per non diventare anche noi degli incalliti "borbottoni".

SORRIDI nella monotonia del dovere quotidiano per non rattristare il tuo prossimo.

TACI quando ti accorgi che qualcuno ha sbagliato per non umiliarlo, lo correggerai dopo.

ELOGIA sempre chi opera il bene e imitalo.

STRINGI gentilmente la mano a chi è nella tristezza.

GUARDA con affetto chi nasconde un dolore.

RICONOSCI umilmente il tuo torto, la tua debolezza, rammaricandoti sinceramente se hai fatto soffrire qualcuno.

SALUTA affabilmente tutti specialmente quelli che vedi tristi o che non ti salutano affatto.

PARLA con dolcezza, con calma a tutti.

AGISCI in modo che ognuno sia sempre contento di te.

SEMINA sorrisi nel prato del tuo vicino e li vedrai fiorire nel tuo.

 

 

Giovedì 20 Settembre

SANTI ANDREA KIM, PAOLO CHONG e Compagni; SANTA CANDIDA

Parola di Dio: 1 Tm. 4, 12-16; Sal. 110; Lc. 7, 36-50

 

"TI SONO PERDONATI I TUOI PECCATI". (Lc.7,48)

E’ facile capire la scena raccontata dalla pagina odierna del vangelo ed è anche comprensibile lo stupore e lo scandalo che essa suscita. Un fariseo, un notabile, una persona religiosa, ha organizzato un pranzo: tutto è pronto, buone portate, invitati accuratamente scelti tra i notabili. Sono tutti curiosi chi per un motivo, chi per un altro di conoscere Gesù e… improvvisamente, fa irruzione in quella casa una prostituta, una "poco di buono". E Gesù, non solo non si scandalizza, ma prende le sue parti e addirittura le dice che è perdonata.

Gesù conosce le persone non per quello che appaiono ma riesce a leggere nel cuore e a trovare sempre motivi perché la sua misericordia possa manifestarsi e rigenerare.

Noi etichettiamo, giudichiamo, condanniamo secondo i nostri schemi preconcetti. Per Gesù è la persona intera che conta. Gesù non dice che questa donna non ha peccato, anzi, le dice che i suoi peccati sono molti, ma nello stesso tempo riesce a vedere in lei il suo molto amore, ed è proprio in grazia di questo amore che la donna può aprire il suo cuore e quindi ricevere la misericordia di Gesù.

 

 

Venerdì 21 Settembre

SAN MATTEO, Apostolo ed Evangelista

Parola di Dio: Ef. 4,1-7.11-13; Sal. 18; Mt. 9,9-13

 

"IO NON SONO VENUTO A CHIAMARE I GIUSTI, MA I PECCATORI". (Mt. 9,13)

San Matteo che festeggiamo oggi, lo sappiamo, era un "pubblico peccatore", un esattore delle tasse che, secondo la legge ebraica si contaminava toccando soldi che recavano effigi di imperatori, che, come tutti gli esattori di allora (solo di allora?), era esoso; era poi un collaborazionista con i Romani. Eppure Gesù lo ama e lo chiama. Questo ci dice molto a proposito del regno che Gesù predica e inaugura.

Il regno di Gesù non è un regno di potere, è il regno di Dio che viene a ridare non solo la liberazione ma la dignità ad ogni uomo. Noi, davanti a Dio non valiamo per quello che i denari, le apparenze sociali, gli incarichi ci hanno definito, noi valiamo perché siamo persone amate, figli di Dio.

Il regno di Gesù non è un regno che ha come fine la conquista di terre. Non è un regno che si mette in concorrenza con i regni di questa terra, se no Gesù avrebbe cercato, da buon politico, di attorniarsi di personaggi ben più importanti che non semplici pescatori o esattori delle tasse.

Il regno di Dio non è esclusiva di nessuno, tanto meno dei ‘religiosi’ o di coloro che si ritengono giusti, è per tutti, e se c’è una attenzione particolare, questa è per i peccatori perché proprio per coloro che sono tali e tali si ritengono è venuto Gesù.

E oggi non è cambiato nulla per il regno di Dio.

Tutte le volte che la Chiesa si è ritenuta un potere, si è messa alla pari con i poteri terreni, la fede non ne ha affatto guadagnato né nell’immediato né nel futuro. Tutte le volte che ancora oggi noi pensiamo di conquistare qualcosa "per onore della Chiesa di Gesù" che non siano anime, noi non onoriamo affatto Gesù. Tutte le volte che noi discriminiamo e facciamo graduatorie di persone, di valori religiosi, di apparenze sociali, noi disprezziamo Dio che è Padre di tutti. Tutte le volte che noi non riconosciamo con verità il nostro essere poveri, egoisti, peccatori, annulliamo il dono della misericordia e del perdono che Gesù è venuto a portarci e che ci ha testimoniato con il suo sangue versato.

Prova a pensare: oggi, mentre sei impegnato nel tuo lavoro, nella tua fabbrica o nel tuo ufficio, nel preparare da mangiare o spazzare la casa, nel tuo studiare, Gesù passa. Non guarda se sei il migliore dei cristiani, se osservi tutte le norme, guarda te, come persona, come fratello amato. E se io e te sappiamo riconoscerlo, per noi oggi può iniziare un cammino nuovo, un’avventura straordinaria in quel regno dove c’è spazio per tutti, anche per un povero diavolo come te e come me.

 

 

Sabato 22 Settembre

SAN MAURIZIO

Parola di Dio: 1 Tm. 6, 13-16; Sal. 99; Lc. 8, 4-15

 

"IL SEMINATORE USCI' A SEMINARE LA SUA SEMENTE". (Lc. 8,5)

Nella mia vita ho incontrato molti genitori delusi. Qualche volta perché raccoglievano in seguito a quello che avevano seminato, e quando si semina solo fumo ed apparenza non si può poi pensare di raccogliere grano, ma altre volte delusi anche perché avendo cercato di seminare con parole e con l’esempio cose buone, valori, si sono poi ritrovati con dei figli completamente estranei, diversi da come avrebbero voluto vederli crescere. Un esempio per tutti: "Siamo sempre stati una famiglia di credenti, abbiamo testimoniato la nostra fede anche con scelte abbastanza precise, abbiamo indirizzato i figli alla Chiesa, ai Sacramenti, adesso nostra figlia vive con un convivente. E’ buona, ma in chiesa non va più. Nostro figlio ci dice addirittura che siamo ipocriti e che ci è comodo farci prendere in giro da preti che neppure loro ci credono… eppure proprio dai preti lo abbiamo fatto studiare!".Ma non solo i genitori possono trovarsi in imbarazzo. Spesso anch’io, prete, facendo il mio esame di coscienza mi trovo deficitario di risultati: ho sempre cercato di seminare e di seminare con abbondanza, quante volte posso dire anch’io di aver parlato "a tempo e fuori tempo", di aver dedicato energie a favore di determinate persone, ma con quali risultati? Certe scelte della mia vita fatte per cercare di essere coerente con il Vangelo come sono state capite ed interpretate?… Non basta però piangerci addosso. L’esame di coscienza deve continuare su due linee in particolare:

Il seme che ho buttato era buon seme? Ho seminato davvero valori e Vangelo oppure ho seminato solo me stesso? E la seconda linea è quella che deve riempirci di fiducia: se il seme è buono, se lo hai gettato con fiducia, se lo hai bagnato con il sudore della tua fatica prima o poi porterà il suo frutto. Magari non con i tempi che tu vorresti, magari non proprio nella maniera che avresti desiderato, ma certamente porterà il frutto. Anche Dio ci tiene ai tuoi figli, anche Dio desidera il bene delle persone, di tutte le persone.

 

 

Domenica 23 Settembre

XXV^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  -  SAN LINO

Parola di Dio: Am. 8, 4-7; Sal. 112; 1 Tm. 2, 1-8; Lc. 16, 1-13;

 

1 ^ Lettura (Am. 8, 4-7)

Dal libro del profeta Amos.

Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: "Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo le misure e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano". Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: certo non dimenticherò mai le loro opere.

 

2^ Lettura (1 Tm. 2, 1-8)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.

Carissimo, ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità. Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l'ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto banditore e apostolo dico la verità, non mentisco , maestro dei pagani nella fede e nella verità. Voglio dunque che gli uomini preghino, dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese.

 

Vangelo (Lc. 16, 1-13)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli:

"C'era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d'olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona ".

 

RIFLESSIONE

Oggi parliamo di denaro!

Qualcuno potrebbe dire: "Bella novità, nelle nostre chiese quasi tutte le domeniche si parla di denaro: c’è quasi sempre da fare quella spesa, da provvedere a quella manutenzione, da partecipare a quell’opra di bene…"

Non intendevo questo, ma mi pare che le letture di oggi ci indichino invece che cosa ne pensa il Signore dei beni di questa terra, e questo giudizio penso debba interessarci per tante ragioni infatti la nostra vita personale e la vita umana in generale è in gran parte impegnata nell’attività economica, ossia nella produzione, accumulazione, amministrazione della ricchezza. Da come Dio vede questo nostro agire l’uomo può realizzare la sua vocazione nel mondo o anche fallire totalmente sul piano religioso e morale. Inoltre un certo uso dei beni terreni e delle ricchezze non ha forse in sé il rischio della idolatria?

Partiamo dalla prima lettura.

Amos è un profeta che vive nel regno di Samaria in un momento di grande espansione economica. Egli vede che la corsa al denaro, la febbre degli affari, la speculazione non sopportano limitazioni. Pur di far soldi si passa sopra anche alla salute fisica delle persone ("venderemo anche lo scarto"), alla vita familiare e religiosa ("quando sarà finito il sabato per poter fare affari?"). L’uomo è preso, divorato dagli affari. Arricchirsi è l’unica preoccupazione della gente e per questo tutto è permesso, corruzioni, frodi, aumento fraudolento dei prezzi…

A leggere Amos sembra di leggere il giornale di oggi. Nonostante frammezzo ci sia stato Gesù Cristo e duemila anni di cristianesimo, le lamentele del profeta sono attualissime, anzi forse le situazioni si sono fatte ancora più gravi perché dal piano individuale i ‘furti’, magari in guanti bianchi, si sono diffusi su piano internazionale, nei rapporti tra le nazioni, tutto a scapito delle nazioni più povere, chiamate "in via di sviluppo", uno sviluppo che non si vede mai soprattutto a causa della disonestà nei rapporti commerciali internazionali.Ma il male che vediamo nel mondo, la corruzione che troviamo tra i pubblici amministratori, gli sfruttamenti della natura e degli uomini che constatiamo, e davanti ai quali è giusto in qualche maniera ribellarsi, non eliminano il fatto che spesso anche nella nostra vita ci troviamo a dover amministrare dei beni. Che cosa ci dice Gesù?

Gesù racconta una parabola davvero strana e difficile. Egli descrive ed elogia, l’abilità con la quale un amministratore disonesto si cava d’impiccio , giusto nel momento in cui il suo principale lo coglie in fallo. E' lecito chiedersi: Gesù vuole esaltare l'astuzia del protagonista del racconto e additarlo ad esempio? Oppure intende trarne una lezione diversa? Se non leghiamo la parabola con le frasi conclusive di Gesù, probabilmente la parabola vuol solo dire: fate attenzione che davanti a Dio anche voi vivete in una situazione critica, anche voi avete tutti delle magagne, per cui avete un tempo brevissimo per fare la scelta giusta e mettervi in salvo. L’amministratore diventa così esempio non per la sua disonestà ma per la decisione con cui ha provveduto per il suo avvenire. Ma Luca ha legato la parabola con alcune frasi di Gesù sull’uso dei beni, dunque anche la parabola vuole parlarci di questo. Una prima frase dice che i cristiani devono imparare dai "figli del mondo" la scaltrezza che porta al successo. Ma quale successo? Quello dei soldi? O quello del Regno? Il credente ha anche lui dei doni: la vita, l’intelligenza, la fede, la famiglia, le cose: la sua scaltrezza sarà di utilizzare di tutti questi beni in funzione del suo fine ultimo. Il secondo detto prende spunto dal comportamento concreto dell’amministratore disonesto. Egli si è fatto degli amici con le ricchezze che amministrava. Analogamente deve fare il cristiano: le cose che ti sono date non sono tue, ma tu puoi amministrarle a favore degli altri; in questo modo tu compi la volontà di Dio che è fare tutti partecipi dei suoi doni. La solidarietà, l’amore, la condivisione sono i modi migliori di investire le ricchezze e i doni ricevuti. Un'altra applicazione della parabola avviene con il terzo detto: "Chi è fedele nell’amministrare il poco è meritevole di ricompensa anche negli affari grandi (il molto)". Cioè la ricchezza vera è il Regno di Dio ed esso sarà dato a chi è stato fedele nel poco, cioè nell’amministrazione solidale dei beni di questa terra. C’è ancora un ultimo detto che contrappone il denaro ("mammona") a Dio cioè: fa attenzione che il denaro, le cose di questa terra non diventino il tuo idolo portandoti via Dio.

Proviamo allora a tirare qualche conclusione pratica tenendo presente anche il magistero della Chiesa che ripetutamente negli ultimi anni ci ha parlato di questi argomenti. Le ricchezze, i beni della terra, tutt’altro che essere un male, sono un bene per l’uomo. Sono un dono di Dio, sono un valore, ma non sono il fine assoluto dell’uomo, sono un mezzo per la sua realizzazione.

Quando le ricchezze, i beni terreni, diventano il fine dell’uomo, viene compiuto un furto, poiché le cose prendono il posto stesso di Dio. Questi doni anche se sono nelle mani di alcuni devono essere per il bene di tutti. Ci dimostra che ne siamo solo amministratori il fatto che quando ce ne andiamo noi queste cose le lasciamo, non sono nostre per sempre.

Se le cose terrene vengono allora usate a vantaggio di tutti possono diventare mezzi di salvezza. Questa è la furbizia che possiamo imparare da quel ladro di amministratore disonesto della parabola.

E noi, a proposito di soldi, affari, beni terreni che direzione abbiamo preso? Chi è davvero il "Signore" della nostra vita? Quale la molla che guida le nostre azioni? Siamo abbastanza intelligenti, astuti, fantasiosi da scegliere il Signore che salva respingendo l’idolo che inganna?

Mentre si moltiplicano le forme di guadagno, mentre ci viene propinato dalla politica che il guadagno è la molla della società, del potere, mentre gli uomini si combattono per il dannoso superfluo, mentre si arriva ad uccidere anche i propri familiari per accaparrare denaro in più, quanto è bello schierarsi dalla parte della sapienza di Dio e dire con libertà, senza falsi pietismi, con realismo: beati i poveri!

Mentre le famiglie si dividono per una eredità, mentre gli anziani vengono emarginati perché non producono, mentre gli handicappati vengono rifiutati perché sono un peso e non un reddito, quanto è coraggioso ripetere: L’uomo non vale per quello che possiede, l’uomo non vale per quello che produce, l’uomo vale per quello che è e per quello che può diventare se segue il progetto di Dio! L’uomo vale perché è figlio di Dio, vale perché è stato salvato col sangue di Gesù. Il suo tesoro è avere un cuore degno di Dio: un cuore colmo di carità. La vera furbizia è dare con gioia ad un Dio che in fatto di generosità non si lascia mai battere.

 

 

Lunedì 24 Settembre

BEATA VERGINE MARIA DELLA MERCEDE; SAN PACIFICO

Parola di Dio: Esd. 1, 1-6; Sal. 125; Lc. 8, 16-18

 

"NESSUNO ACCENDE UNA LAMPADA E LA COPRE CON UN VASO O LA PONE SOTTO IL LETTO, INVECE SU UN LAMPADARIO, PERCHÈ CHI ENTRA VEDA LA LUCE". (Lc. 8,16)

Gesù, più di una volta dichiara di essere la luce del mondo. Quindi è venuto per illuminarci su chi sia Dio, sul suo Regno, sul nostro modo di comprendere a fondo e di vivere pienamente la nostra realtà umana. Aver fede in Gesù è dunque lasciarci illuminare dalla sua luce. Qualcuno allora può dire: "Ma se Gesù è luce come mai ci sono ancora così tanti misteri, ad esempio quello della sofferenza innocente?".

Provo a rispondere: "Quando io mi lascio illuminare dal sole mi rendo visibile agli altri e contemporaneamente vedo ciò che è illuminato. Se vedo una casa, per me è facile identificarla come casa, ma se la luce illumina una cosa a me sconosciuta, riesco a vederne le apparenze, i contorni, i colori, ma non riesco a identificarla, a comprenderla totalmente".

Gesù è venuto a rivelare cose molto più grandi di noi, e grazie a Lui noi entriamo nel mistero di Dio, ma proprio perché Dio è più grande di noi, noi non possiamo comprendere tutto per filo e per segno, ma ci fidiamo di Lui, cioè, io credo in Gesù, e tutto quello che Egli mi ha detto per me è luce, ma non ho la pretesa di ‘sapere tutto’: quello che mi supera lo accetto proprio perché "mi fido" di Lui.

La religione per aiutare l’uomo deve dunque, sulla base di Gesù ( e solo su Lui) illuminarci ma nello stesso tempo anche ricordarci che noi viviamo in mezzo a misteri più grandi di noi che solo la fede può farci accettare..

La stessa cosa dovrebbe succedere ad ogni cristiano. Illuminato dalla luce di Cristo deve rifletterla, trasmetterla non con la supponenza di chi sa tutto o ha una risposta a tutto, ma con l’umiltà di chi vive nel mistero con la gioia della fede.

 

 

Martedì 25 Settembre

SAN CLEOFA; SANTA AURELIA

Parola di Dio: Esd. 6, 7-8.12.14-20; Sal. 121; Lc. 8, 19-21

 

"ANDARONO A TROVARE GESU’ LA MADRE E I FRATELLI, MA NON POTEVANO AVVICINARLO A CAUSA DELLA FOLLA". (Lc. 8,19)

Gesù, nella sua vita terrena "si fa mangiare dalla folla". Molti, per tanti motivi diversi, vanno da Gesù e Lui li accoglie tutti. Qualcuno dice: grande successo di Gesù, qualcun altro giustifica con questo le grandi parate e le folle oceaniche alle manifestazioni della Chiesa. Qualcuno dice: Gesù si fa tutto a tutti e qualche volta giustifica il super attivismo. Qualcuno si chiede: ma perché queste folle vanno da Gesù? ci vanno per fede, per curiosità, per speranza di miracoli? Qualcuno, poi, diffida delle folle che spesso sono mutevoli. Certamente Gesù non si faceva di questi problemi. Gesù è venuto per amore di Dio e degli uomini e si spende totalmente per questo suo amore per noi.

Ma c’è talmente tanta gente che neanche Maria, sua Madre, riesce ad avvicinarlo.

Mi piace questa Madre del Figlio di Dio che si mette in coda con tutti quelli che vanno da Gesù e non fa valere le sue prerogative. Maria segue Gesù da lontano, non interferisce, chiede permesso per poter parlare con suo Figlio. E Gesù loda sua Madre, non per il merito di averlo generato, ma per il fatto che ascolta con umiltà e mette in pratica la sua parola.

Quanto avrebbero da imparare da Maria certe mamme tutt’altro che discrete nei confronti dei figli sposati o certi cristiani che hanno sempre da insegnare a tutti, al parroco, al vescovo, al papa, o altri cristiani che si impongono senza alcuna attenzione ad altri, si mascherano da persone pie e vorrebbero che gli altri fossero a loro misura. Chiediamo a Maria che ci aiuti ad essere discreti nei confronti degli altri, a bussare e non a sfondare le porte, ad ascoltare piuttosto che avere sempre da dire, a rincuorare piuttosto che stroncare.

 

 

Mercoledì 26 Settembre

Santi COSMA E DAMIANO, Martiri

Parola di Dio: Esd. 9, 5-9; Sal. da Tb. 13; Lc. 9, 1-6

 

"IN QUEL TEMPO GESU’, CHIAMO’ A SE’ I DODICI E DIEDE LORO POTERE E AUTORITA’ SU TUTTI I DEMONI E DI CURARE LE MALATTIE, E LI MANDO’ AD ANNUNZIARE IL REGNO DI DIO E A GUARIRE GLI INFERMI". (Lc. 9,1)

Noi viviamo in una società che è piena di contraddizioni, ad esempio, siamo dei materialisti, dei razionalisti acerrimi e mai come in questa generazione si va alla ricerca di tutto ciò che è esoterico, miracolistico. Da una parte ci si dichiara "laici", magari volendo escludere tutto quello che abbia riferimento al religioso e poi si cerca lo straordinario. Perfino la Chiesa, nel processo di canonizzazione dei suoi santi ha bisogno di miracoli certi… Ma i cristiani, come i primi apostoli non dovrebbero essere tutti in grado di fare miracoli? Se Pietro e Giovanni alla porta del tempio si accorgono di non avere in tasca neanche una moneta da regalare a quello storpio che chiede l’elemosina, hanno però la capacità di dirgli: "Nel nome di Gesù alzati e cammina!", noi perché non riusciamo a fare altrettanto?

Capitemi bene, non sono un facile credulone alla ricerca di altrettanto facili miracolismi, anzi sono molto perplesso davanti a quei gruppi che sbandierano troppe e facili guarigioni e conversioni (tutte da controllare nel tempo), dico semplicemente che noi cristiani abbiamo il compito di "guarire" e di "liberare".

Se guardo attorno alla vita dei santi, al di là dei pochi o tanti miracoli straordinari che possono avere compiuto con la grazia di Dio, vedo sempre dei fatti di amore e di liberazione. Attorno al Cottolengo vengono liberati dei malati, dei soli sono aiutati, degli ultimi ritornano ad essere considerati persone… attorno a Don Bosco, dei ragazzi che non contano nulla trovano una possibilità educativa, attorno ad una Madre Teresa sono tanti coloro che sono rinati ad essere uomini, attorno a tanti missionari non solo ci sono state conversioni, ma gruppi, e popoli che hanno acquistato una dignità, che costruiscono un domani per sé e per i propri figli. Ecco quali sono i miracoli di cui, se crediamo davvero e se abbiamo la gioia di impegnarci a fondo, siamo capaci noi cristiani.

Se anche materialmente non sono in grado di guarire un malato di cancro, posso offrirgli Gesù e me stesso, se anche non so come andrà a finire posso offrire ad un giovane sbandato dei valori che lo possano aiutare e delle forme di solidarietà forte e costruttiva, se non posso guarire degli anziani dalla loro vecchiaia posso però farli sentire concretamente amati e rispettati per i valori che essi rappresentano e, in un mondo che sembra interessarsi solo all’efficientismo, al denaro, non sono forse grandi miracoli?

 

 

Giovedì 27 Settembre

SAN VINCENZO DE’ PAOLI, Sacerdote

Parola di Dio: Ag. 1, 1-8; Sal. 149; Lc. 9, 7-9

 

"ERODE CERCAVA DI VEDERE GESU’". (Lc. 9,9)

A prima vista ci sentiamo quasi ammirati da questa figura di Erode che cerca di vedere Gesù. Sarà un uomo alla ricerca della verità?

Erode è soprattutto un uomo timoroso e curioso. Oggi molti uomini sono "curiosi" di verità. Si cerca lo straordinario ma non per trovare la fede ma per possedere qualche capacità in più di altri. Quante mode moderne: maghi (sono più di 11 mila solo in Italia), sette, esoterismi... Ma perché? E il bello è che ci sono cristiani che coniugano bellamente comunione eucaristica e amuleti, fattucchiere e sacramenti. Erode aveva avuto nella sua vita molte occasioni per vedere la volontà di Dio su di lui. Il fatto stesso di essere re lo inseriva direttamente nell’alleanza tra Dio e il suo popolo. Giovanni Battista gli aveva parlato a nome di Dio, ma lui per paura di una donna lo aveva fatto uccidere. Ora sente parlare di Gesù, dei suoi miracoli, ma, anche in questo caso, il suo interesse si ferma alla curiosità, al desiderio di vedere miracoli.

Nella nostra società ci sono tanti Erodi alla ricerca di segni che però, spesso, degradano nella curiosità e nella superficialità. Provate a prendere in mano un quotidiano qualsiasi o un settimanale. Si può dire che non ci sia numero nel quale non si parli di Chiesa, di miracoli. Ma l’interesse dov’è? Curiosità, fantastico, sensazionale, scandali... Sembra interessi di più un "miracolo di Padre Pio" che non la fede nel Dio in cui Padre Pio credeva. Interessa e incuriosisce di più il messaggio di qualche "veggente" che non il Regno di Dio annunciato nel Vangelo.

Non c’è da stupirsi se questi vari Erode al momento buono arriveranno a condannare Gesù.

 

 

Venerdì 28 Settembre

SAN VENCESLAO, Martire

Parola di Dio: Ag. 1,15-2,9; Sal. 42; Lc. 9, 18-22

 

"VOI CHI DITE CHE IO SIA?".(Lc. 9,20)

Gesù pone la domanda fondamentale sulla sua persona in un momento di preghiera.

Noi, spesso, portati ad essere persone di azione, dimentichiamo che Gesù, nella sua vita pubblica ha dedicato molto tempo alla preghiera, ha insegnato agli apostoli a pregare, ha fatto fare esperienza di preghiera con Lui.

Anche nel Vangelo di oggi vediamo Gesù che vive una di queste esperienze di preghiera con i suoi amici. Sa che perché essi arrivino a riconoscerlo come Messia, Figlio di Dio, c’è bisogno del dono dello Spirito.

La preghiera, infatti, non è soltanto dire delle parole a Dio, è entrare in comunione con Lui, è abbandonarsi con fiducia e accettare l’opera dello Spirito in noi. Infatti è solo con lo Spirito di Gesù che noi possiamo arrivare a dire: "Gesù è Signore".

Se prima di ogni azione o di ogni scelta importante della nostra vita imparassimo a incontrare Dio, non tanto perché con una serie di preghiere Lui ci risolve i problemi, quanto per lasciarci guidare dallo Spirito nella sua volontà, allora saremmo più sereni, più attenti, più propositivi nel nostro agire.

 

 

Sabato 29 Settembre

Santi Arcangeli MICHELE, RAFFAELE E GABRIELE

Parola di Dio: Dan. 7,9-10.13-14 (Ap. 12,7-12); Sal. 137; Gv. 1,47-51

 

"VEDRETE IL CIELO APERTO E GLI ANGELI DI DIO SALIRE E SCENDERE SUL FIGLIO DELL’UOMO". (Gv. 1,51)

Gabriele Adani, il frate giornalista che alcuni anni fa curò la rubrica radiofonica: "un minuto per te" un giorno raccontò questa specie di parabola. Mi piace riportarla nella festa dei Santi Arcangeli, quasi a ricordare che questi misteriosi amici di Dio e degli uomini ci sono vicini anche loro per suggerirci di guardare in alto e di dare un senso alla nostra esistenza.

Vorrei ricordare quel bimbo che i genitori avevano tenuto all’oscuro di tutto, perché volevano che imparasse da solo le grandi verità che potevano riguardare la vita. Non volevano che credesse in Dio perché altri glielo avevano insegnato: doveva arrivarci da solo senza essere influenzato da nessuno.

Il bimbo crebbe secondo le leggi della convivenza civile e iniziò gli studi per imparare a leggere e a scrivere. Nessuno però doveva parlargli dell’anima, dello spirito, di Dio. Il bimbo era sereno e cresceva in una casa con i genitori, studiando, giocando e passeggiando per il giardino. Ma egli osservava il mondo che lo circondava: giocava con gli animali, guardava i fiori, le piante e gli piaceva studiare le stelle, la luna. Perché esiste un mondo così bello? Chi l’ha fatto? Lo chiese anche ai suoi cari, ai suoi insegnanti. Ma nessuno gli rispose. Allora il bimbo cominciò a parlare con se stesso. Era possibile che nessuno avesse fatto quelle cose? Anche per mantenere il giardino e per curare gli animali ci volevano il giardiniere e il contadino, altrimenti tutto sarebbe rimasto nel disordine e nell’incuria. Nessuno gli parlava di queste cose, ma i fiori avevano qualcosa da dirgli con i loro colori ed il loro profumo. Gli animali non erano come lui, anche se erano pieni di vita. Ed il bimbo sentì il bisogno di parlare con quel qualcuno che non poteva vedere, che non sapeva dove abitasse, ma che sentiva vicino attraverso la natura e gli esseri viventi. Questo bimbo scoprì da solo il creatore di tanta vita e di tanta bellezza.

 

 

Domenica 30 Settembre

XXVI^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  -  S. GIROLAMO, Sacerdote e Dottore della Chiesa

Parola di Dio: Am. 6, 1.4-7; Sal. 145; 1 Tm. 6, 11-16; Lc. 16, 19-31

 

1^ Lettura (Am. 6, 1.4-7)

Dal libro del profeta Amos.

Così dice il Signore onnipotente: "Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Essi su letti d'avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell'arpa, si pareggiano a David negli strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l'orgia dei buontemponi ".

 

2^ Lettura (1 Tm. 6, 11-16)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo.

Carissimo, tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni. Al cospetto di Dio che da  vita a tutte le cose e di Gesù Cristo che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e signore dei signori, il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile; che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere. A lui onore e potenza per sempre. Amen.

 

Vangelo (Lc .16, 19-31)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: "C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi".

 

RIFLESSIONE

 

Il tema della ricchezza e della povertà deve essere stato particolarmente a cuore a Gesù se San Luca, nel suo Vangelo, ne parla così spesso ed anche a lungo. Già domenica scorsa ci veniva detto che i beni di questa terra non sono in sé una cosa negativa, anzi, sono doni di Dio, ma anche che sono solo mezzi per servire l’uomo in una prospettiva ben più ampia e non devono diventare mai idoli che allontanano da Dio.

Oggi, Gesù, attraverso una parabola, approfondisce ancora l’argomento dando un respiro di eternità alla vita dell’uomo e ci invita a vedere attraverso esso l’uso dei doni ricevuti e delle ricchezze. Ma, se volete, partiamo per questa riflessione attraverso le parole di Amos il profeta che abbiamo ascoltato nella prima lettura che, rivolgendosi ad un popolo ricco e gaudente, ricorda a coloro che hanno risposto ogni loro aspirazione nel denaro e nelle crapule che questi tempi d’oro finiranno e che le stesse persone abituate a lussi sfrenati saranno le prime a soffrire nel giorno della deportazione. Qui non è solo un annuncio di sventura ma è sottolineare una cosa: la ricchezza porta in sé il rischio di addormentare, di rendere ciechi, incapaci di vedere la storia e le persone. E per di più disabitua al sacrificio e alle durezze della vita.

Lo stesso succede al ricco della parabola. Gli occhi gli permettono di vedere Lazzaro, lo dimostra il fatto che quando sarà nell’‘inferno’ lo riconoscerà e lo chiamerà per nome, ma la sua vista non gli permette di vedere i reali bisogni del fratello.

La ricchezza, i beni della terra rispondono a certe nostre esigenze umane: chi ha fame, ha bisogno di cibo per rispondere ad una sua esigenza, il malato sente il bisogno di guarire, l’uomo sente il bisogno di felicità e cerca qualcosa che lo appaghi, l’uomo in sé sente il bisogno di infinito… Ma ecco, spesso, man mano che le ricchezze risolvono i bisogni materiali dell’uomo si corre il rischio di addormentare i suoi bisogni spirituali. Risolto il problema della fame, si crede che la ricchezza possa anche risolvere il problema della felicità e spesso passando da un bene all’altro ci si dimentica dei valori dello spirito, o si è talmente abbagliati, affascinati dalle cose, da pensare che alla fine siano esse a darci delle risposte totali e definitive. Ed ecco allora che gli occhi si chiudono anche in confronto degli altri. Non è che non si veda il prossimo, ma il cuore non riesce più a raggiungerlo, in fondo il prossimo è qualcuno che può attentare al mio benessere, è un qualcuno che io posso sfruttare per aumentare i miei beni; le sofferenze altrui danno fastidio perché mettono in crisi il mio benessere, sono magari disposto anche a dare qualcosa purché il dolore altrui venga cancellato e non disturbi il mio star bene. Potremmo dire:" il ricco: povero cieco!" Ma Dio dov’è in tutta questa situazione? Per molti Ebrei la ricchezza era considerata come benedizione di Dio nei confronti del giusto e la povertà come maledizione nei confronti del peccatore. Gesù non solo non è di questa opinione ma vede la ricchezza come un ulteriore difficoltà per l’uomo al Regno dei cieli che è per i piccoli, per i poveri. Gesù nel racconto della parabola, ci dice che per conoscere il giudizio di Dio sui due personaggi bisogna attendere il momento della morte la quale arriva inesorabilmente per l’uno e per l’altro. Infatti un giorno, il povero muore ed è portato dagli angeli là dove vive Abramo, felice per sempre. Muore anche il ricco e viene sepolto in una tomba lussuosa come il palazzo che aveva abitato nella sua esistenza terrena. Ma è la sua anima? Essa piomba all’inferno tra i tormenti, per sempre. Questo modo, anche se perfino troppo semplificato, di rappresentare le cose sta a dire che né la ricchezza in sé è una benedizione, né la povertà una maledizione Ma, facciamo ancora una riflessione, prima di andare avanti. Chi è il ricco e chi è il povero per il Vangelo? Ricco non è solo colui che ha soldi e beni in abbondanza, ma soprattutto chi guarda solo a se stesso e non si accorge di chi sta alla sua porta, chi è egoista. I soldi, pertanto costituiscono la più forte tentazione all’egoismo; essi possono suscitare anche le brame del povero il quale, sognando la ricchezza, si illude anche lui di poterne ricavare la felicità. Povero, d’altro canto non è chi non ha nulla, ma chi sa valutare la ricchezza per quello che è: strumento e non fine, chi vuole uscire dalla condizione di bisogno, ma senza perdere di vista il cielo cui tutti dobbiamo tendere, chi opera affinché le ricchezze della terra siano equamente distribuite, e non per prendere il posto dei ricchi che riesce a scalzare. In tutto questo che cosa c’entra l’inferno, si chiederà qualcuno. "Anzi – potrà obiettare qualcun altro – ma come può Dio mandare all’inferno qualcuno, Lui che è eterna misericordia?". L’inferno esiste ed espressione del rispetto di Dio per la nostra libertà. Dice Louis Evely che "senza l’inferno il cielo sarebbe solo un campo di concentramento. Dio rispetterà in eterno la volontà dell’uomo. Ognuno andrà dove è il suo tesoro e il suo cuore. Dio non punisce né condanna nessuno". Ora, questo ricco, finito all’inferno, ha ancora un sentimento di solidarietà nei confronti dei suoi fratelli e chiede ad Abramo per loro una bella apparizione di un morto che in qualche modo li spaventi e li riconduca ai valori della fede. Ma Abramo risponde che: "Se non ascoltano Mosè e i profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi". E questo ci dice ancora una volta che la ricchezza, purtroppo, rende soddisfatti e insensibili, ciechi dinanzi a tutto: i poveri, le Scritture e anche davanti a Colui che. senza spaventarci, è però davvero risorto: Gesù. Provate a pensare se tutto questo non è un forte richiamo per noi. Il tempo della vita scorre inesorabilmente. Anche per noi si avvicina quella "livella" che è la nostra morte. Essa può spaventarci oppure può diventare maestra della nostra vita. Quando ci spaventiamo di essa noi la nascondiamo, preferiamo drogarci con le cose per far finta di non vederla, riponiamo la nostra fiducia in esse o al massimo diciamo che dobbiamo "cogliere l’attimo" per spremere dalla vita quanto si può, ma è illusione: è come se volessimo soddisfare uno che ha fame facendolo passare davanti a vetrine di gastronomie dove vede ogni ben di Dio, senza poter portare alla bocca nulla.

Oppure, il renderci conto del ‘tempo breve’ e della morte può portare a svegliarci per considerare, come ci ha detto San Paolo nella seconda lettura che si può ancora combattere un "buona battaglia per la fede". E, allora, fratelli, alziamoci dai divani della spensieratezza e con semplicità, con gioia, ancora ascoltando Paolo, tendiamo "alla giustizia, alla pietà , alla fede, alla carità, alla pazienza e alla mitezza". Se il nostro cuore tende a queste cose noi arriveremo al ‘Paradiso’, ma perché lo avremmo già costruito con queste scelte un po’ anche sulla terra.

     
     
 

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