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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

 AGOSTO 2001

 

MERCOLEDI’ 1 AGOSTO

SAN ALFONSO MARIA DE` LIGUORI.

Parola di Dio: Es. 34, 29-35; Sal. 98; Mt. 13, 44-46.

 

 "IL REGNO DEI CIELI E’ SIMILE AD UN TESORO NASCOSTO IN UN CAMPO; UN UOMO LO TROVA E LO NASCONDE DI NUOVO, POI VA, PIENO DI GIOIA E VENDE TUTTI I SUOI AVERI E COMPRA QUEL CAMPO". (Mt. 13,44)

Gesù parla del Regno dei cieli. Questo è il centro di tutta la sua predicazione, è davvero la Buona notizia attraverso la quale gli uomini scoprono di essere figli di Dio, chiamati nel sangue del Redentore e attraverso l’opera dello Spirito Santo, a far parte del progetto di amore di Dio che dà senso al nostro vivere qui sulla terra e per l’eternità. Gesù non ci ha spiegato un tema così importante con un documento ufficiale, una lettera pastorale o un discorso programmatico in cui Egli ci ha detto che cos’è il Regno, come si può fare per entrarvi a far parte, quali sono i fini del Regno, quali gli incarichi, in quali tempi si realizzerà e cosi via, invece, già dal modo con cui sceglie di parlarne ci dice tutto del Regno. Non dice: "Il Regno dei cieli è: " ma "Il Regno dei cieli è come…". Infatti ogni definizione chiarisce ma, contemporaneamente pone dei confini, dei limiti. La parabola, l’esempio ti danno possibilità molto più ampie di pensiero.

Le quattro righe delle due parabole di oggi suggeriscono una infinità di cose. Provo ad accennarne qualcuna.

Il Regno non è un progetto politico ma un tesoro, anzi, il tesoro.

L’uomo sente che la sua vita ha bisogno di essere ancorata ad un valore, ad un tesoro. C’è chi pensa: mio primo valore è la salute, quando ho questa, ho tutto. Con essa affronto la mia giornata, risolvo i miei problemi. E fa tutto il possibile per difenderla, conservarla.

C’è chi dice: mio tesoro è la ricchezza, il denaro, il possedere. Con questo posso fare tutto ciò che voglio, tutto è ai miei piedi, ai miei ordini, tutto mi è possibile, tutte le porte mi si aprono. E spende la sua vita, la sua intelligenza, il suo lavoro, tutto quello che ha, per raggiungere questo tesoro. Sogna di poter dire, come nella parabola evangelica: "Godi, anima mia, hai tutto ciò che ti serve, i tuoi granai sono pieni...". C’è chi segue altri sentieri: mio tesoro è il sapere, il lavoro, la professione, il successo...

Un tesoro, qualunque esso sia, è qualcosa di appetibile, desiderabile. Per ottenerlo si è disposti anche a sacrifici grandi. In un tesoro non difficilmente si incappa per caso ma lo si cerca. Trovarlo significa provare una grande gioia…

Il Regno dei cieli è il tesoro perché è senso della vita, valorizzazione del nostro essere e del nostro rapportarci con gli altri, riscoperta di un Dio vicino, compagno di cammino, è avere una meta che giustifica anche il sacrificio, è riscoprire la dimensione dell’eternità.

Chiediamoci: Per noi il Regno dei cieli è il tesoro più importante? Che cosa siamo disposti a vendere pur di acquistarlo? Perché, se diciamo di essere già nel Regno dei cieli, cerchiamo ancora altro?

 

 

GIOVEDI’ 2 AGOSTO

SAN EUSEBIO DI VERCELLI, Vescovo

Parola di Dio: Es. 40, 14-19. 32-36; Sal. 83; Mt .13, 47-53.

 

IL REGNO DEI CIELI E’ SIMILE AD UNA RETE GETTATA NEL MARE, CHE RACCOGLIE OGNI GENERE DI PESCI… VERRANNO GLI ANGELI E SEPARERANNO I CATTIVI DAI BUONI". (Mt. 13, 47. 49)

Specialmente nel corso dell’anno del Giubileo, ma un po’ sempre, ci è capitato di vedere il Papa, Giovanni Paolo II°, operare infaticabilmente in varie parti del mondo. Si può essere d’accordo o meno sui suoi tanti viaggi pastorali, sul suo carattere, si può giudicare politicamente o meno il suo lungo papato, di una cosa, certo, non si può far a meno di rendergli testimonianza: è stato un ottimo pescatore, un instancabile pescatore e ancora oggi, nell’epoca in cui molti gli consiglierebbero di tirare i remi in barca, lui si organizza per andare ad annunciare Cristo in qualche altro posto del mondo. Aveva come motto Benedetto Cottolengo: "La carità di Cristo ci brucia dentro". Giovanni Paolo II°, proprio sulle orme del pescatore Pietro, morirà probabilmente continuando a gettare la rete. In fondo, la parabola che abbiamo letto oggi ci ricorda proprio questo nostro compito. In essa noi vediamo due azioni distinte. La prima è la rete che raccoglie tutto e la seconda è la cernita. Lasciando a Dio questa seconda fase, fermiamoci un momento sulla prima. La rete va buttata. Un cristiano non è un buon discepolo se non butta la rete. Se la fede rimane nascosta non è fede, se la gioia del Vangelo non si comunica vuoi dire che il Vangelo non è arrivato al cuore. E non bisogna scoraggiarci di gettarla anche se, almeno all’apparenza, sembra non prendere granché o raccogliere alghe e pietre e, qualche volta, spazzatura. Dobbiamo soprattutto evitare di selezionare troppo, fare la cernita. Occorre piuttosto tirare a riva tutto ciò che c’è nella rete. Non sappiamo veramente ciò che arriverà sulla sponda dell’eternità e quali saranno i criteri adottati dagli angeli. Dobbiamo, perciò, stare attenti a non anticipare la cernita finale che implica una sapienza divina. E, ricordiamoci, la testimonianza cristiana non è fatta soltanto di parole o di prediche, quindi da relegare a qualcuno ‘esperto’ di queste cose, ognuno di noi ha mille occasioni, ogni giorno, di "gettare le reti", cioè di seminare un buon esempio, un atto di carità, un gesto di giustizia, una parola di benevolenza, un riferimento alla fede. Ma, sarà il momento giusto? E’ opportuno o meno? Come verrò giudicato?… Non preoccupiamoci neppure troppo: buttiamo la rete, Dio farà il resto.

 

 

VENERDI’ 3 AGOSTO

SANTA LIDIA

Parola di Dio: Lv. 23, 1, 4-11.15-16.27.34-37; Sal. 80; Mt. 13,54-58.

 

"MA GESU’ DISSE LORO: UN PROFETA NON E’ DISPREZZATO SE NON NELLA SUA PATRIA E IN CASA SUA". (Mt. 13,57)

"Beato te che sei cristiano! E’ comodo per voi: avete una risposta per tutti gli interrogativi! Vi capita una malattia? E’ la volontà di Dio che passa attraverso la sofferenza! Guarite da una malattia? Ringraziate il buon Dio che ha fatto questo miracolo! E, avanti di questo passo trovate sempre nel Vangelo una parola che giustifichi il vostro modo di vivere e, qualche volta, anche i vostri errori e peccati". E’ una frase che mi sono sentito dire da un amico non credente che, senza peli sulla lingua, mi accusava di aver ridotto Gesù e la fede ad una specie di sonnifero o ad una medicina valida per tutti, sani e malati. No! Gesù non è venuto sulla terra per risolvere tutti i problemi dell’uomo, la fede non è risposta semplice e addormentante davanti alle problematiche esistenziali di ogni giorno. Gesù è un vero profeta. Le sue parole sono di conforto, ma sono anche fiamma che brucia; la sua persona non è quella dell’uomo per tutte le stagioni, ma uno che ci disturba nella nostra presunta tranquillità. Gesù è il Salvatore ma, proprio perché tale, segno di contraddizione, la pace che Lui viene a portare non è un facile "facciamo finta che" per andare tutti d’accordo, ma una pace che crea delle divisioni nella società e addirittura nella propria famiglia. Spesso, poi, noi confondiamo la fede e il Regno di Dio con manifestazioni esteriori, con qualcosa di clamoroso che si imponga e non riusciamo a riconoscere che il Regno è come quel piccolo seme che sembra insignificante ma che ha in sé tutta la potenza della pianta. Cerchiamo "profeti" che ci facciano provare emozioni forti e non sappiamo vedere che Dio è umile, presente in casa nostra. Andiamo a cercare i vari "santoni" e ci dimentichiamo della potenza dell’Eucaristia, non sappiamo neppure vedere tutto il positivo che già c’è nelle nostre famiglie, ci lamentiamo delle incomprensioni, delle difficoltà, con la fantasia corriamo lontano e non apprezziamo la presenza di un genitore, di un marito, di un figlio. Gesù, il Salvatore, non è stato riconosciuto dai suoi contemporanei, ma, oggi, è riconosciuto così come Egli è dai cristiani? Spesso la Chiesa, il cinema, la letteratura ci hanno presentato la figura di Gesù, e noi, guidati anche da mode imperanti, abbiamo scelto quel modello che più confaceva al modo comune di interpretarlo. Hai mai provato a rileggere per conto tuo i Vangeli, dimenticando per un momento tutto quello che ti hanno detto su di essi, dimenticando luoghi comuni e mode, per scoprire chi sia Gesù? Ti assicuro, per esperienza personale, troverai tante sorprese, tanti dubbi, tanti interrogativi, tanti aspetti completamente nuovi della persona del Cristo, ti sentirai forse spaesato come d’altra parte lo furono i contemporanei di Cristo, ma nello stesso tempo, come gli apostoli ti metterai al suo seguito non più per trovare solo una facile soluzioni ai tuoi problemi vitali ma per riscoprire un po’ più da vicino Dio, con tutti i problemi che suscita per un piccolo uomo entrare a contatto con il mistero più grande di tutta la creazione.

 

 

SABATO 4 AGOSTO

SAN GIOVANNI MARIA VIANNEY

Parola di Dio: Lv. 25,1. 8-17; Sal. 66; Mt. 14, 1-12

 

"ERODE AVEVA FATTO ARRESTARE GIOVANNI E LO AVEVA FATTO INCATENARE E GETTARE IN PRIGIONE PER CAUSA DI ERODIADE, MOGLIE DI SUO FRATELLO FILIPPO". (Mt. 14,3)

Il Vangelo di oggi ci mette davanti a due personaggi: Erode e Giovanni il Battista.

Se guardiamo con gli occhi della nostra umanità, noi vediamo un re dotato di potere di vita o di morte nei confronti di altri, sontuosamente vestito, che può soddisfare alle sue mire e prendersi anche la moglie di suo fratello, un potente della terra. In Giovanni invece vediamo un uomo rude, vestito sommariamente con pelli di cammello, un uomo che non parla ma urla, che viene gettato nel buio di una prigione, che ci rimetterà la testa.

Ma, chiediamoci: dov’è la verità e dove la vera libertà?

E’ libero Erode che pensa di fare ciò che vuole, ma che è schiavo della sua stessa politica, che è un re fantoccio nelle mani dell’invasore romano, che vive di continue paure di perdere il suo piccolo potere o è libero Giovanni legato con catene nella sua prigione, ma che dice la verità, che obbedisce a Dio?

E oggi la libertà sta di casa nelle ricchezze che permettono di "fare ciò che voglio" magari anche sulle spalle di altri, sta di casa nei vari palazzi dei poteri politici, religiosi, economici, sta di casa dai divi e dagli uomini "di successo", la libertà e la verità abitano nella casa del "grande fratello" o nelle telenovela che vengono presentate come modello di vita o nella vita di chi sta lottando per la liberazione propria e dei propri fratelli dal potere economico delle multinazionali, da certi poteri politici e religiosi che vogliono tenere l’uomo sottomesso per ottenere maggiori profitti? La verità sta di casa dal "Cavaliere di Santa Croce" che ha comprato l’onorificenza con donativi abbondanti alla chiesa o sta di casa da quel povero cristiano che cerca di essere onesto nonostante tutto e che condivide il suo povero stipendio con quel padre di famiglia in cassa integrazione da parecchi mesi proprio nella fabbrica dello stesso "Cavaliere di Santa Croce"?

Quanti uomini anche oggi asseriscono di essere liberi, dicono di fare ciò che vogliono ma poi dipendono dall’ultima corrente politica, dalla moda, sono schiavi delle loro passioni. Esaminiamoci: qual è la mia libertà? Vivo veramente per dei valori scelti? In che modo mi lascio condizionare? La mia testimonianza cristiana si ferma davanti alle prove che incontro nel mondo?

 

 

DOMENICA 5 AGOSTO

XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

DEDICAZIONE DELLA BASILICA DI S. MARIA MAGGIORE

Parola di Dio: Qo. 1, 2;2, 21-23; Sal. 94; Col. 3, 1-5. 9-11; Lc. 12, 13-21

 

1^ Lettura (Qo. 1, 2; 2, 21-23)

Dal libro del Qoelet.

Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità, tutto è vanità. Perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare i suoi beni a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e grande sventura. Allora quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questo è vanità!

 

2^ Lettura (Col. 3, 1-5. 9-11)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi.

Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria. Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. Qui non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti.

 

Vangelo (Lc. 12, 13-21)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: "Maestro, dì a mio fratello che divida con me l'eredità". Ma egli rispose: "O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?".

E disse loro: "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni". Disse poi una parabola: "La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio".

 

RIFLESSIONE

 

Anche in questa domenica è relativamente facile capire dove le tre letture della parola di Dio vogliano condurre la nostra riflessione: quali sono i veri valori della vita? I beni della terra sono da ritenere importanti? E’ giusto pensare alle cose della terra o vivere solo in funzione del futuro paradiso?

Proviamo, guardando alla realtà della vita, al modo comune di comportarsi degli uomini e alle indicazioni della parola di Dio, a cercare qualche risposta.

Ognuno di noi, nella sua quotidianità, fa esperienza di quanto le cose terrene occupino spazio nella vita. Certe volte sono diventate talmente importanti che sembra siano esse a determinare la nostra vita, la nostra felicità. Oltretutto il mondo sembra pensarla proprio così presentandoci la vita come una frenetica corsa verso il successo che viene misurato sulla quantità delle cose e delle possibilità che si hanno.

Se volete un modo concreto di pensare del nostro mondo e i valori che esso ci propone, basta guardare a quanto ogni giorno ci presenta la pubblicità: quali sono i modelli per cui veniamo invogliati a spendere? La bellezza fisica (è ben difficile che ci venga proposto qualcosa da personaggi non "belli" o "famosi") la ricchezza, il successo. I modelli di riferimento sono infatti gli uomini di successo, delle cui gesta sono pieni rotocalchi e T.V., gente che viene presentata come qualcuno che nella propria vita ha la possibilità di avere tutto, di consumare tutto, anche le persone che possono essere scelte o ripudiate a seconda del momento e degli interessi. Essi vengono offerti come punti di riferimento per l’uomo comune, che si vede schiacciato tra una ridda di messaggi che invitano ad avere di più, altrimenti non si "è", e l’impossibilità per la maggioranza delle persone di "essere" come questi modelli.

Ecco allora che nel proprio piccolo ognuno cerca il successo, l’apparenza, il culto dell’immagine, che si realizza col far vedere quante e quali cose si hanno. In questo modo di intendere si arriva addirittura a cercar di far vedere le proprie buone azioni allo scopo di arricchire la propria immagine non tanto per beneficare l’altro. Tutto diventa così mercificato e il bisogno non ha mai fine: Quando hai ottenuto qualcosa non ti basta più, c’è subito qualcos’altro da conquistare per poter "essere felci". Non importa, poi, se per arrivare in alto bisogna vendere se stessi e trattare gli altri come cose di cui servirsi per emergere, per poi lasciarle come si fa con le cose usate che si buttano nella pattumiera.

Eppure l’uomo è felice? Mai come in questo periodo della storia, l’uomo, pur circondato da tante ricchezze, si sente solo, abbandonato a se stesso, incapace di gioire, mai come in questo periodo sono aumentati tanto i suicidi nei paesi ricchi.

La principale causa di tanta infelicità sta proprio nel modo errato di concepire la vita, tutta protesa all’al di qua, all’essere qualcuno su questa terra e nel vedere l’altro, in questa corsa al successo, come un concorrente da sconfiggere.

Questa, grosso modo, è la visione dell’uomo contemporaneo: Ma la Parola ascoltata oggi che cosa ci dice?

Nella prima lettura, Qoelet pesa il valore delle cose del mondo e arriva a questa conclusione: "Tutto è vanità!" Potremmo dire: "Bel pessimista!", ma il suo modo di ragionare è questo: noi, qui sulla terra, non possediamo nulla in maniera piena infatti tutto passa da una mano all’altra. Come si può dire: "Questo è mio", oppure: "Questo è tuo" se oggi io tengo questa cosa, ma domani non sarà più mia? In fondo è estremamente vero quel detto dei nostri vecchi che dice: "noi, qui, siamo solo di passaggio", non siamo padroni, siamo solo affittuari.

Ma Qoelet non si accontenta di questo, si chiede ancora: "Possibile che la vita umana sia allora senza scopo?" e risponde in questo modo: "Tutto è estremamente vano e fluido ma esiste una roccia che non passa ed è Dio".

San Paolo, nella seconda lettura, grazie all’esperienza cristiana, va avanti e dice: "Fate attenzione ad attaccarvi troppo alle cose perché sono la forma attuale dell’idolatria". Per capire meglio che cosa voglia dirci, proviamo ad aprire un dizionario a questo termine: "Per idolatria si intende letteralmente parlando, l’adorazione degli idoli, ovvero di false divinità; in senso derivato, merita il nome di idolatria anche il culto, l’amore eccessivo ad una persona o ad una cosa". Il risultato è sempre lo stesso. Vi sono uomini per i quali il dio da odorare è il dio-denaro; davanti a questo dio sono disposti anche a sacrificarsi e morire (sarà un mafioso, un sequestratore di persone, un usuraio, un rapinatore, uno spacciatore di droga, o anche un semplice uomo che per denaro è disposto a vendere se stesso). Oppure l’idolo potrà essere rappresentato dal potere, dal sesso, dall’ambizione, dalla vanagloria, in ogni caso questi idoli finiscono sempre per non rendere liberi come fa il Dio vero, ma per schiavizzare.

"Ma allora Dio che cosa ne pensa delle cose?" Il Vangelo ci dà una risposta. Qualcuno era andato da Gesù per un litigio a proposito di una eredità. Uno dei tanti litigi in cui quasi tutte le nostre famiglie prima o poi vengono coinvolte. Per quel tale era un problema serio, infatti per chi crede solo nel denaro, il denaro è un problema estremamente serio. Ma Cristo risponde: "Vieni da me per dei problemi di denaro. Questi problemi sono già risolti: l’eredità non è ne tua, ne sua. La lascerete a vostra volta tutti e due. Andate piuttosto alla radice del problema: non riducete la vita alla lotta e alla preoccupazione per il denaro. C’è un’altra ricchezza"

Certamente quel tale rimase meravigliato, come forse rimaniamo meravigliati anche noi che vorremmo rispondere: "Ma quei soldi mi sarebbero serviti per…"

E Gesù allora continua e si spiega con una veloce parabola: "Un uomo aveva tanti beni". Voi direte: "Fortunato lui! Potessi essere come lui! Ma le ricchezze toccano sempre agli altri non a chi fatica o a chi prega!". Ma io vi dico: "Il ricco morì e che cosa ci fece dei suoi beni? La vita di un uomo non dipende da quanto ha, ma da quanto dà, non da quanto possiede, ma da quanto ama".

Non è che Gesù ci insegni il disprezzo delle cose. Egli vede la natura, le cose come doni preziosi di Dio di cui gioire e da usare rettamente. La vita non dipende dalle cose che hai. Gli uomini di valore vero e i santi hanno saputo essere felici anche con pochissime cose. La sicurezza non ti è data dalle cose che hai accumulato ma da ciò su cui hai impostato la tua esistenza.

"Cercare le cose di lassù" come ci ricorda ancora Paolo oggi, non è vivere disincarnati, non è non sapere che qui sulla terra anche il necessario ha un prezzo, è vivere sapendo che la mia vita viene da Dio, è in Dio e cammina verso Dio. Gesù ci ha amato ed ha amato questa vita fino al punto di prendere corpo come noi e per noi, ma ci ha anche ricordato che non tutto finisce qui.

Il cristiano diventa dunque un segno per il nostro mondo. Vive nel mondo ma con lo sguardo già pieno di speranza e di eternità e questo sguardo gli permette di vivere in pieno il suo tempo e le cose, ma totalmente libero dalla schiavitù di esse.

 

 

LUNEDI’ 6 AGOSTO

TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE

Parola di Dio: Dn. 7,9-10.13-14; Sal. 96; 2 Pt. 1,16-19; Lc. 9, 28-36

 

"APPENA LA VOCE CESSO’, GESU’ RESTO’ SOLO". (Lc. 9,36)

Nel pieno del periodo estivo ci viene presentata la festa della Trasfigurazione di Gesù su cui, tra l’altro, abbiamo già meditato nella seconda domenica di quaresima. Questa "gita in montagna" di Gesù con i suoi discepoli, questo momento di gloria per Gesù e di consapevolezza della sua missione, ma soprattutto questo rimanere meravigliati, pieni di stupore, quasi inebetiti davanti all’evento da parte dei tre apostoli non esclude, anzi prepara alla finale del brano di Vangelo: Gesù rimane da solo e si tratta di scendere dalla montagna per riprendere la quotidiana lotta della vita.

Pietro aveva cercato di catturare il momento con un tentativo goffo: "Facciamo qui tre tende", quasi a dire stiamocene qui per sempre, arriviamo subito al paradiso senza fare la strada del quotidiano. Non è così né per Gesù né per noi. Non per niente la Trasfigurazione e la morte di Cristo avvengono su un monte: Tabor e Calvario vanno insieme. Se vuoi salire a Dio con Gesù devi salire entrambe le montagne.

Anche una equilibrata spiritualità deve tener conto di questi due aspetti inscindibili.

Il cristianesimo non è solo croce ("soffri qui, per gioire nell’aldilà") e non è neanche solo gita amena al seguito di uno che dà soltanto soddisfazione a tutti i tuoi desideri. Dio non è solo un Dio che perdona sempre, è anche un Dio giusto ed esigente. Cristo non lo si può prendere o accettare solo per quello che "ci piace", Gesù è rivelazione e mistero, felicità e fatica, gloria e croce. Per capire a fondo gli eventi della nostra vita e della nostra storia bisogna viverli tutti e pienamente. Non pensiamo che la vita sia solo il gustare appieno i momenti felici. Ogni momento di gioia o di tristezza ha il suo messaggio e non solo per il futuro ma anche per il senso che tu riesci a dargli oggi.

 

 

MARTEDI’ 7 AGOSTO

Santi. SISTO II, Papa, e Compagni, Martiri; SAN GAETANO

Parola di Dio: Nm. 12, 1-13; Sal. 50; Mt. 14, 22-36

 

PIETRO SI MISE A CAMMINARE SULLE ACQUE, MA PER LA VIOLENZA DEL VENTO SI IMPAURI’ E COMINCIO’ AD AFFONDARE". (Mt. 14,29- 30)

Il racconto di Gesù che cammina sulle acque e dei discepoli che prima stentano a riconoscerlo e di Pietro che vuole anche lui fare come il Maestro, si presta ad una serie di indicazioni di una attualità sorprendente. Dato il breve spazio ne indico alcuni telegraficamente.

"Gesù congedata la folla, salì sul monte a pregare". Dunque anche per il più attivo dei testimoni del Vangelo c’è un momento in cui bisogna congedare la folla. E’ giusto darsi, lasciarsi mangiare dagli altri, ma non bisogna perdere di vista il perché della nostra carità e del nostro agire. Occorre trovare spazio per Dio. Siamo quasi tutti in un periodo di vacanza, non sarà forse l’occasione propizia per incontrare Dio? Non è forse il caso di riscoprire qualche intenso e personale momento di preghiera?

"Ordinò ai discepoli di precederlo sull’altra sponda". Gesù ci indica la strada, la meta, ma poi lascia alla nostra libertà il raggiungerla. Non ti obbliga, non ti sta sulla schiena continuamente, si fida delle tue capacità. Se noi prendiamo quella direzione e lottiamo con tutte le nostre forze contro "l’avversità del vento" per evitare il nostro naufragio, stiamo sicuri che poi arriverà Lui: Gesù è a pregare suo Padre ma con un occhio alla nostra povera barca che sta arrancando in mezzo alle tempeste.

"E’ un fantasma!". Come è facile confondere Gesù con un fantasma. Per moltissimi, oggi, Gesù è un fantasma, non il Figlio di Dio, Salvatore, ma un personaggio più o meno vago di una storia lontana che ci ha dato dei suggerimenti (più o meno come le norme di un galateo) per cercare di vivere senza ammazzarci vicendevolmente. Per molti Gesù si confonde e si perde dietro il fantasma delle religioni, per altri è il fantasma di un possibile Dio che viene a toglierci tutto quello che è bello della vita e che è sempre pronto a condannarci per i nostri peccati.

"Se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque". Sento una simpatia particolare per il Pietro di questo brano di Vangelo. Mi assomiglia. Ha avuto paura della tempesta, ha avuto paura dei fantasmi, vuole delle prove, pensa di farcela da solo ma rimane buggerato dalla sua paura. Pietro si è trascinato dietro, invece che la fede, il peso di se stesso, dell'ambizione, che lo portava a primeggiare, a distinguersi dagli altri, e ne è stato trascinato in basso, fino a sprofondare.

La scena sul lago finisce con un fatto; i discepoli si prostrano davanti a Gesù e fanno il loro atto di fede: ecco il segreto della leggerezza. Nessuno ci chiede di camminare sulle acque, ma è necessario, doveroso, che anche in mezzo alle tempeste più furibonde, troviamo la forza di piegare le ginocchia. Soltanto allora potremo azzardare qualche passo sulle strade degli uomini, nella volontà di Dio, senza che ci manchi la terra sotto i piedi.

 

 

MERCOLEDI’ 8 AGOSTO

SAN DOMENICO; SAN CIRIACO

Parola di Dio: Nm. 13, 1-2.35-14, 1. 26-30.34-35; Sal. 105; Mt. 15, 21-28

 

"DONNA DAVVERO GRANDE E’ LA TUA FEDE! TI SIA FATTO COME DESIDERI". ( Mt. 15,28)

Anche oggi, come ieri, provo a sottolineare alcuni punti per una riflessione personale sul racconto della donna Cananea che chiede a Gesù la guarigione della figlia. La Cananea è una donna di fede perché è disposta a tutto pur di ottenere la grazia desiderata. Supera le barriere della "buona educazione religiosa" che prevedeva che una donna, per di più straniera, non dovesse non solo non importunare, ma neppure parlare con un Rabbì.

Non parla ma grida. E’ talmente insistente che gli apostoli arrivano ad intercedere per lei, purché si tolga dai piedi il più in fretta possibile.

"Ho chiesto una grazia al Signore, ma si vede che Lui non mi ascolta", diciamo noi. Ma come l’abbiamo chiesta? Siamo disposti a lottare per questa grazia? Siamo disposti a lasciarci coinvolgere personalmente nella realizzazione di questo dono? Siamo disposti a perdere un po’ la faccia purché la nostra richiesta venga esaudita? Siamo disposti a "tentarle tutte" o ci arrendiamo davanti ai primi presunti ‘no’?

Anche davanti ad una risposta dura, questa donna non perde la sua dignità e risponde con altrettanta fermezza e proprio in questo dimostra di aver fiducia in Gesù. Una certa mentalità religiosa ci ha fatto pensare l’umiltà come uno star sempre zitti, un subire, e la fede come un qualcosa di passivo. Ma non è così, non siamo burattini in mano a qualcuno che tira i fili. Dio ci vuole persone, decise, pronte, dignitose, fiduciose. In un altro brano del Vangelo, Gesù ci dice che domandiamo e non otteniamo perché non sappiamo chiedere. Non vorrà forse Gesù farci capire che la nostra preghiera deve essere più sincera, più dignitosa, più sicura in Colui che sempre ci ascolta? Questa donna, oltre a manifestare una grande fede, ci aiuta a capire il valore delle briciole, delle piccole cose. Siamo troppo abituati alle pagnotte (magari buttate via) per accorgerci delle briciole.. Anche nella fede, abbiamo tutto. Abbiamo l’Eucaristia e non la apprezziamo, abbiamo abbondanza della Parola di Dio ma essa, spesso, scorre su di noi... Se vogliamo ricominciare ad apprezzare le cose bisogna partire dalle briciole. La limpida giornata può essere una briciola ma ti parla della vita, del tempo che ti è regalato. Il sorriso che puoi ricevere o regalare è una briciola ma ti parla della possibilità di un mondo migliore. Quella "Ave Maria" detta passando davanti alla immagine di Maria dipinta su un muro, è una briciola, ma può metterti in comunione con l’Eterno. Forse imparando ad apprezzare le briciole impareremo di nuovo a gustare il pane.

 

 

GIOVEDI’ 9 AGOSTO

SAN ROMANO

Parola di Dio: Nm. 20, 1-13; Sal. 94; Mt. 16, 13-23

 

"PIETRO TRASSE GESU’ IN DISPARTE E COMINCIO’ A PROTESTARE" . (Mt. 16,22)

Lo dico sorridendo: "La prima protesta nella storia della Chiesa è stata quella di Pietro". Una protesta certamente dettata da amore per Gesù, ma completamente sballata. Essa è eco delle tante nostre proteste: "Signore, perché la croce quando tutto si potrebbe risolvere più facilmente?", "Perché la vita non potrebbe essere una bella passeggiata in questo bel mondo per arrivare senza traumi alla gioia dell’eternità?", "Perché tu stesso hai dovuto salvarci attraverso la sofferenza della croce, quando avresti potuto farlo in mille altri modi non cruenti?"

I teologi, lungo i secoli hanno cercato in mille modi di rispondere a queste domande, ci hanno detto che la sofferenza è causata dal peccato e che è mezzo per vincere il peccato, ci hanno detto che l’amore che offre e soffre è il modo più completo di amare, ci hanno ricordato che "per crucem ad lucem", cioè attraverso la croce si raggiunge la luce. E certamente queste risposte hanno tutte una loro parte profonda di verità, ma il mistero del dolore, della sofferenza del giusto, della croce, rimane ancora mistero. Eppure il Vangelo di oggi ci ricorda che davanti alla domanda di Gesù: "Chi dite che io sia?", non basta rispondere teologicamente esatto, e non basta neppure arrivare a dire che Gesù è il Messia, bisogna accettarlo così come Egli è : il Messia sofferente. Anche Gesù non ha amato la croce in se stessa ma l’ha accettata e abbracciata nella volontà del Padre, fidandosi di Lui e amando noi.

Davanti al mistero della croce nella mia vita e in quella degli uomini l’unica strada è quella di guardare a Gesù e fidarsi di Lui. E’ bene non dimenticare che Lui si è messo davanti lungo quella strada, sta in testa all’interminabile processione, e sulle spalle porta la sua e le nostre croci.

Risulta difficile e imbarazzante discutere di croce con uno esperto come Lui. Ed è inutile protestare. Pietro, quella famosa volta ci ha provato e si è guadagnato un titolo poco lusinghiero: "Satana", pietra di inciampo, divisore dalla volontà di Dio.

 

 

VENERDI’ 10 AGOSTO

SAN LORENZO, Diacono e Martire

Parola di Dio: 2Cor. 9,6-10; Sal. 111; Gv. 12,24-26

 

"SE IL CHICCO DI GRANO CADUTO IN TERRA NON MUORE, RIMANE SOLO; SE INVECE MUORE, PRODUCE MOLTO FRUTTO". (Gv. 12,24)

La frase del Vangelo di oggi, nella commemorazione del santo diacono martire Lorenzo, ci aiuta ad approfondire ancora meglio quanto meditavamo già ieri. Ci sono alcune parole cristiane che ci spaventano: croce, sacrificio. Noi sentiamo il bisogno e il piacere di affermare noi stessi, di afferrare tutto dalla vita senza nulla rifiutare e a nulla rinunciare. La parola mortificazione sembra una parola triste che restringe, che amputa mentre noi invece sentiamo il bisogno di svilupparci, di espanderci. Eppure se noi guardiamo la realtà della vita ci accorgiamo che per avanzare verso una meta bisogna staccarsi da un'altra, che non si sale senza sforzo, che non si è liberi senza strappi. Ci accorgiamo che se vogliamo vedere il campo di grano prima bisogna aver il coraggio di buttare il seme. Ci accorgiamo allora della verità del Vangelo: ogni vita si salva offrendosi ad una vita più alta, ogni essere si eleva morendo a se stesso per vivere per gli altri. Scopriamo che in noi albergano il bene e il male, che possiamo essere egoisti o altruisti, schiavi delle cose o liberi da esse, scopriamo che la carne può soffocare lo spirito, oppure lo spirito dare senso e vita alla carne. Vogliamo dunque continuare a vivere? Allora occorre morire. Se evitassimo questo non solo non eviteremmo la morte, ma sarebbe per noi la morte totale. Gesù anche in questo ci è stato di esempio: Lui, il Figlio di Dio fatto uomo, accetta per amore la povertà, l’umiltà, la mortificazione, il sacrificio, la morte sulla croce non perché gli piacciano, ma perché sa che per donare bisogna rinunciare a qualcosa di nostro, che per salvare non bastano belle parole ma occorre un amore totale, occorre dare la vita. E Dio accetta questo; da Gesù seminato nel sepolcro, al terzo giorno rinasce la vita e non solo per Lui, ma anche per noi.

 

 

SABATO 11 AGOSTO

SANTA CHIARA, Vergine

Parola di Dio: Dt. 6, 4-13; Sal. 17; Mt .17, 14-20

 

"DISSE GESU’: O GENERAZIONE INCREDULA E PERVERSA! FINO A QUANDO STARO’ CON VOI? FINO A QUANDO DOVRO’ SOPPORTARVI?". (Mt. 17,17)

Quanta gente va dal Signore solo per chiedere grazie e miracoli!

Non dico che questo non vada fatto; Gesù stesso ci ha insegnato a chiedere per ottenere e ci ha anche detto di chiedere con insistenza, ma Gesù stesso non può fare a meno di reprimere un gesto di sfogo davanti ai suoi contemporanei, mai contenti, sempre alla ricerca di facili miracoli e mai disposti alla fede e alla conversione. Spesso, con certi atteggiamenti, rischiamo di rendere Gesù, Maria e i santi, fenomeni da baraccone, mentre invece il Signore vorrebbe esaudirci ma cambiandoci, convertendoci. "Padre, mi benedica la macchina perché non abbia incidenti". "Io benedico te, perché tu possa essere un onesto guidatore e possa comportarti un po’ più da credente quando guidi, rispettoso della tua e dell’altrui vita, non solo per paura degli incidenti". "Ma, allora, lei non crede alle benedizioni, ai miracoli". Io credo ai miracoli, ne vedo tanti tutti i giorni: vedo delle coppie che avrebbero avuto tutti i motivi per dividersi che con pazienza e amore sono riuscite a ritrovare l’armonia, vedo ragazzi che perduti nella droga, con fatica enorme sono riusciti a venirne fuori, vedo peccatori incalliti che con la grazia di Dio sono cambiati, vedo gesti di condivisione che commuovono…, e questi miracoli mi convincono più di tante madonne piangenti o di soli che girano su se stessi o di miracoli a comando che avvengono tra persone esaltate. Mi commuove e mi anima molto il miracolo di un tentativo di una nuova conversione nonostante i tanti insuccessi precedenti, una coppia di coniugi che adotta una coppia di anziani inabili, un giovane che rinuncia alla discoteca per passare una serata con un disabile. Per me è miracolo il sorriso di un ammalato di cancro. Credo nelle benedizioni, quando queste portano non solo la benedizione di Dio (che se è Padre ci protegge sempre) ma portano alla conversione... Poi se Dio, nella sua bontà, si serve di benedizioni, formule o se dà a sua Madre di apparire per condurci a Lui non posso che gioirne con tutto il cuore e comprendere che anche questo vuol semplicemente portare il nostro cuore ad essere maggiormente riconoscente e disponibile verso Colui che tanto ci ama.

 

 

DOMENICA 12 AGOSTO

XIX^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - SANT’ERCOLANO

Parola di Dio: Sap. 18,3. 6-9; Sal. 32; Eb. 11, 1-2.8-19; Lc. 12, 32-48

 

1^ Lettura (Sap.18, 6-9)

Dal libro della Sapienza.

La notte della liberazione, desti al tuo popolo, Signore, una colonna di fuoco, come guida in un viaggio sconosciuto e come un sole innocuo per il glorioso emigrare.Quella notte fu preannunziata ai nostri padri, perché sapendo a quali promesse avevano creduto, stessero di buon animo. Il tuo popolo si attendeva la salvezza dei giusti come lo sterminio dei nemici. Difatti come punisti gli avversari, così ci rendesti gloriosi, chiamandoci a te. I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina: i santi avrebbero partecipato ugualmente ai beni e ai pericoli, intonando prima i canti di lode dei padri.

 

2^ Lettura (Eb. 11, 1-2.8-19)

Dalla lettera agli Ebrei.

Fratelli, la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza. Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare. Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città. Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo.

 

Vangelo (Lc. 12, 32-48)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno. Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro! Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate". Allora Pietro disse: "Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?". Il Signore rispose: "Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più ".

 

RIFLESSIONE

 

Dopo aver ascoltato pagine di Vangelo come questa sembra facile dare superficialmente ragione a Gesù e a quanto dice, ma se approfondiamo un po’ di più, ci troviamo non del tutto concordi e imbarazzati davanti a certe affermazioni come ad esempio: "Vendete ciò che avete e datelo in elemosina", "Tenetevi pronti e vigilate, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate".

Proviamo, come sempre chiedendo aiuto allo Spirito Santo, a chiederci quale sia il senso complessivo di quanto Gesù ci ha proposto oggi.

Molti di voi che hanno una certa età, da piccoli hanno studiato il catechismo di Pio X, quello, tanto per intenderci, fatto di domande e risposte. Una delle prime domande era: "Per qual fine Dio ci ha creati?" E la risposta: "Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, per poi goderlo in Paradiso".

Oggi questa risposta può sembrare una semplificazione perfino esagerata, però essa ha permesso a molti di noi di impostare correttamente la propria vita valorizzando appieno il tempo e i doni che in essa ci sono dati ma anche avendo una tensione verso una vita più piena e più totale con Dio.

Gesù nel Vangelo di oggi, in altri termini, suggerisce esattamente la stessa cosa: ci invita a vivere pienamente ma nell’attesa della sua venuta definitiva. Ci dice: "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno".

Dicendo questo Gesù ripete ancora una volta quello che è stato il suo messaggio fin dall’inizio della sua predicazione: "Il Regno di Dio è qui!".

Questo Regno ci è stato dato, noi ne facciamo parte anche se in modo non ancora pieno e definitivo sia perché possiamo perderlo con una nostra scelta di peccato, sia perché non siamo ancora entrati nella sua gloria celeste

E davanti al dono di Gesù e del suo Regno a cui siamo chiamati, tutte le altre cose impallidiscono, ecco perché Gesù può anche invitarci a "vendere ciò che abbiamo e a darlo in elemosina", "a farci borse che non invecchiano, un tesoro nei cieli dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma".

Gesù non ama la povertà per la povertà, ma vede nella donazione un valore più grande che non il possesso e ci ricorda che il criterio è: "Là dove è il tuo tesoro sarà anche il tuo cuore". Se quindi le cose hanno il sopravvento su di noi, sono esse che schiavizzano il nostro cuore, se invece il nostro cuore desidera "riposare in Dio" esso sarà totalmente libero. Insomma se hai scoperto Dio, il suo amore, il suo Regno, tutto il resto si relativizza e prende senso in confronto ad esso.

L’attesa, la vigilanza, allora, non sono l’essere continuamente in tensione perché la morte può coglierti in qualunque momento e Dio può condannarti.

Non è una attesa paurosa. Il Padre non può volere il nostro male, Gesù ha dato la sua vita per salvarci, lo Spirito è amore che vuol farci sentire in comunione con Dio.

La vigilanza, l’attesa, sono espressione della nostra speranza.

Noi speriamo in Dio in questa terra e speriamo in Dio per l’eternità. Il cristiano, tutt’altro che essere uno alienato dalla vita terrena è uno che annuncia speranza per oggi e per domani.

Il cristiano è colui che gioisce della natura, la difende per sé e per i suoi posteri, è uno che crede ed opera per il progresso dell’umanità, è uno che vive al cento per cento sentimenti e rapporti e valori della vita, è uno profondamente incarnato nel suo tempo perché sa che è qui ed ora che il regno viene, ma è anche uno che non si lascia schiavizzare dalle cose neanche quando queste sono rappresentate da norme religiose che hanno dimenticato la loro origine in Dio, è uno che riesce ad amare persone e cose perché le vede nella loro giusta realtà e nella loro giusta prospettiva, quella dell’eternità.

Attendere, nel suo significato vuol dire: tendere verso.

Noi credenti non tendiamo verso il nulla e neppure verso un futuro imprecisato.

Il nostro futuro ha un volto preciso: il volto di Gesù Cristo. E proprio perché Gesù è già venuto, la vita presente non è una sala di attesa, un tempo di poco valore nei confronti dell’eternità, nello stesso tempo però non è neanche il tutto, il definitivo.

Non so se ci avete mai pensato: la fede cristiana è una fede "storica". Dio ha parlato nel tempo. Dio ci dà il tempo. E’ nel tempo che noi veniamo salvati da Lui, quindi il cristiano non potrà mai essere un imboscato della storia o un disertore dei suoi impegni terreni.

E’ uno che guarda in alto, ma con i piedi bene ancorati sulla terra, Per lui non si tratta di scegliere tra il cielo e la terra, ma si tratta di accettare la luce che dal cielo è venuta e viene ad illuminare i valori e le scelte che sulla terra avvengono. Ecco perché, per tornare alla frase di Gesù che ci faceva difficoltà, possiamo dire che il cristiano può anche arrivare a rinunciare a delle cose se sa che queste cose possono essere utilizzate per amare i propri fratelli.

Non fa questo per fanatismo o esaltazione religiosa. Se lo fa è perché ha capito che l’amore è ancora più importante di ciò che le cose possono dargli, per cui pur vigilando e attendendo la venuta definitiva di Cristo egli cerca in tutti i modi di mettere in pratica e di testimoniare con i fatti la concretezza dell’amore di Gesù.

Sono convinto che una delle cose più belle della nostra fede in Gesù sia proprio questa: Gesù ama la vita e ci fa amare la nostra vita. In essa non c’è un attimo che non abbia un valore, un senso. Con Gesù tutto può essere amore e gioia, tanto la ricchezza come la povertà, i momenti gioiosi e perfino il dolore ed anche la morte. Se io vivo, cercando di uniformarmi a Lui, tutto ha senso per me e per gli altri e neppure una goccia di tempo andrà perduta.

Non conquista il mondo chi pensa di possederlo, lo conquistano coloro che sanno leggerlo e viverlo con gli occhi dell’eternità.

"Beato quel servo che il padrone arrivando troverà al suo lavoro" e potremo aggiungere: "Beato quel servo che sa gioire nel lavorare quotidianamente nel Regno del Signore" perché, in fondo, le lampade accese per attendere la venuta del Signore servono soprattutto per illuminare il tanto da fare che il Signore stesso ci ha chiamato a compiere, qui sulla terra.

 

 

 LUNEDI’ 13 AGOSTO

Santi PONZIANO Papa e IPPOLITO Sacerdote, Martiri

Parola di Dio: Dt. 10, 12-22; Sal. 147; Mt. 17, 22-27

 

"IL VOSTRO MAESTRO NON PAGA LA TASSA PER IL TEMPIO?".(Mt. 17,24)

Gesù ha appena preannunziato ai suoi che dovrà dare la vita, versare il suo sangue per la salvezza di tutti, ed ecco che si comincia a parlare di tasse per il Tempio. Da una parte c’è la donazione assoluta di se stessi e dall’altra il gretto discorso di religione su come sostenere le attività del Tempio e sentirsi nello stesso tempo osservanti.

Gesù, pur pagando non solo per sé ma anche per Pietro, "per non scandalizzarli", prende le distanze da questo modo di intendere fede e religione. Esse non devono mai essere una tassa pagata a Dio.

Dio non solo non chiede tasse fatte di preghiere, di buone azioni, o di offerte per sostenere la religione, ma viene Lui stesso a pagare per le nostre manchevolezze.

Tra cristiani non dovrebbe mai esserci il discorso delle tasse da pagare a Dio: "Devo pagare la tassa della Messa domenicale", "Devo dare in carità la decima dei miei guadagni per fare una cosa meritevole di grazie", "Con la mia ingiustizia mi sono appropriato indebitamente di cento milioni, ma ne ho dati venti per la costruzione di quel santuario dove, tra l’altro, metteranno il mio nome su una lapide, all’ingresso della chiesa".

Con Dio non ci sono tasse, con Dio non si contratta né con soldi, né con elemosine, né con buone azioni. Queste, se si fanno, è solo perché abbiamo capito l’amore gratuito di Dio, è perché abbiamo capito che vale di più condividere i beni che tenerseli, donare che accumulare.

 

 

MARTEDI’ 14 AGOSTO

S. MASSIMILIANO MARIA KOLBE, Sacerdote e Martire; SANT’ALFREDO

Parola di Dio: Dt. 31, 1-8; Sal. da Dt. 32; Mt. 18,1-5.10.12-14

 

"SI AVVICINARONO I DISCEPOLI A GESU’ E GLI CHIESERO: CHI E’ IL PIU’ GRANDE NEL REGNO DEI CIELI?". (Mt. 18,1)

Nel brano di Vangelo che la liturgia ci propone oggi abbiamo diverse indicazioni chiare circa il modo di intendere del mondo e quello di Dio e di coloro che vogliono far parte fin d’ora del Regno dei cieli.

La domanda degli Apostoli è tipica del modo di ragionare degli uomini: chi e il più forte? chi il più bravo? chi il primo della classe? chi è che ha più potere?

Nel regno dei cieli che Gesù ha già portato sulla terra, queste graduatorie non contano. Non ci sono concorsi, non meriti, benemerenze, spinte e bustarelle, c'è l'amore di Dio che guarda al cuore dell'uomo e, donando, sa leggervi la disponibilità e l'affetto. Quando due persone sono veramente innamorate l'una dell'altra non fanno graduatorie del bene: ogni gesto è atto di donazione, di amore completo e totale.

Il nostro mondo dice: i bambini e i vecchi non contano, conta chi produce, chi rende.

Come al solito, invece, davanti a Gesù i criteri terreni non contano, anzi Egli si schiera chiaramente dalla parte dei piccoli, e il termine include: bambini e fanciulli sprovveduti e trascurati dai grandi, poveri, umili di condizioni, semplici, bisognosi di ogni genere, peccatori. Davanti a Dio valgono di più questi che i potenti, i ricchi, i forti, Il Regno di Dio è loro, quindi se la comunità vuole essere cristiana, deve farsi come loro: perdere la propria sicurezza, fidarsi sempre meno della propria organizzazione e delle proprie strutture, rendersi disponibile, umile, semplice, senza pretese, fiduciosa e deve avere verso i piccoli gli atteggiamenti di Dio: soccorrere in ogni modo i bisognosi, preservare dal male bambini e fanciulli, mostrare comprensione, bontà, sollecitudine di ricupero verso i peccatori.

Ancora: il nostro mondo guarda alla quantità, al numero, e se per il gran numero si deve sacrificare qualcuno: pazienza!

Gesù, raccontando la parabola del Buon pastore, invece, dice che per Dio conta ogni singola persona. Dio ci vuole davvero bene: non si rassegna a perdere nessuno di noi. Non si contenta di dire: "Peccato, ne ho perso uno ma ne ho ancora miliardi", oppure: "Se l’è voluta, si arrangi!". Parte alla ricerca della pecora perduta, la chiama, affronta Lui il lupo, è disposto a dar la propria vita pur di salvarla.

 

 

MERCOLEDI’ 15 AGOSTO

ASSUNZIONE DELLA B. V. MARIA

Parola di Dio: Ap. 11, 19;12,1-6.10 Sal. 44; 1 Cor. 15, 20-26; Lc. 1, 39-56

 

1^ Lettura (Ap. 11, 19; 12, 1-6.10)

Dal libro dell’Apocalisse,

Si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve nel santuario l'arca dell'alleanza.Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita.Allora udii una gran voce nel cielo che diceva: <<Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo.

 

2^ Lettura (1 Cor. 15, 20-26)

Dalla prima lettera ai Corinti,

Fratelli, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte.

 

Vangelo (Lc. 1, 39-56)

Dal Vangelo secondo Luca,

In quei giorni, Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore". Allora Maria disse: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre". Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

 

RIFLESSIONE

 

Forse, qualcuno di voi si sarà chiesto come mai, nella festa dell’Assunzione al cielo di Maria Santissima, si legga il Vangelo della Visita di Maria Santa Elisabetta. Semplicemente perché l’assunzione di Maria non è raccontata direttamente né nei Vangeli né in altri libri della Bibbia, ma è testimoniata solo dalla tradizione cristiana poi confermata dal dogma della Chiesa. Ma a me sembra che il brano evangelico letto ci dia sufficienti indicazioni sul nostro modo di rapportarci con Maria e di comprendere il senso di questa celebrazione. Quando Maria entra nella casa di Elisabetta, "appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò in grembo ed Elisabetta fu piena di Spirito Santo". Dunque Maria porta ciò che ha. Maria è stata, "adombrata dallo Spirito Santo" e quindi dona lo Spirito di Dio. Maria ha in sé Gesù e lo porta e quando arriva Gesù arriva la Buona notizia del suo Regno, e quindi la gioia.

Il pensare oggi a Maria assunta al cielo con il suo corpo, quindi significa avvicinarci a comprendere che cosa pensi Dio di questa nostra umanità, della nostra storia, della nostra materialità. Dio ci ha creati con un corpo, anzi, se stiamo al racconto biblico Dio prima ha formato il corpo e poi vi ha soffiato l’anima. La nostra creaturalità, corporeità è dunque dono di Dio. Smettiamola anche come cristiani di sminuire la nostra concretezza.

Un certo modo di intendere della filosofia, assunto come modo di espressione anche da San Paolo, ha fatto sì che, spesso, si svilisse il nostro essere corporeo a favore della spiritualità. Basti a sfatare questo modo di pensare il fatto che Gesù per salvarci assume un corpo e che, attraverso la sofferenza del corpo di Gesù offerto per amore, avviene la nostra salvezza e che il corpo glorioso del Cristo risorto, assunto in cielo alla destra del Padre, porta concretamente i segni delle ferite della sua donazione totale a noi. Dunque il corpo non è da disprezzare, ma da rispettare come luogo concreto dei doni di Dio e come luogo in cui avviene la nostra risposta al suo amore per noi. Ma come lungo la storia ci sono stati i detrattori della corporeità, così ci sono quelli che si fermano esclusivamente ad essa.

Proprio in questi giorni di Ferragosto noi assistiamo all’estrema esaltazione del corpo e di tutto ciò che è legato ad esso.

Il corpo di uomini e donne viene esaltato, manifestato in tutti i modi divenendo segno di bellezza, di sensualità, di godimento; la grande abboffata che molti oggi faranno o il dedicarsi ai più pazzi divertimenti per il culmine del periodo estivo, per molti significa fermare le aspirazioni dell’uomo solo ed esclusivamente a quello che è godimento terreno. Dio è bellezza, quindi ama e manifesta tutto ciò che è bello. Anche la bellezza della nostra corporeità viene da Dio, ma certamente non si ferma a quelle che la moda hanno fissato come categorie standard della bellezza fisica (pensate che ciò che è bello in una cultura o in una etnia, per altre è estremamente sconveniente e non accettato). La vera bellezza per Dio è qualcosa di estremamente più profondo di ciò che può appagare l’occhio o i sensi.

Dio vuole ridare alla nostra corporeità la sua caratteristica essenziale: noi siamo fatti "ad immagine e somiglianza" di Dio e solo quando avremo davvero, corpo e anima, riassunto il nostro ruolo di figli di Dio, saremmo arrivati a trovare l’essenza dell’uomo. L’assunzione al cielo di Maria Santissima ci ricorda proprio questo: il nostro corpo, dono di Dio, sede del suo Spirito, luogo in cui, come Lei noi possiamo dare la nostra risposta di fede a Lui, è destinato, con la nostra anima, a partecipare alla pienezza della gloria di Dio. Ma per arrivare a questo abbiamo una strada da percorrere: guardiamo ancora a Maria. Prima di tutto c’è una lotta da compiere. Abbiamo sentito questo raccontato in immagini molto vivide nel libro dell’Apocalisse: la donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi sta per partorire. E’ certamente Maria nella sua maternità divina ma, nella visione di Giovanni, è anche la Chiesa che deve generare Gesù al mondo. Questo parto è insidiato dal ‘drago’ che aspetta per divorare il bambino, e il drago con tutte le sue corna e la coda che fa precipitare le stelle è certamente il male, il diavolo che si è opposto in tutti i modi a Gesù e che insidia l’agire di colui che vuole essere suo testimone. Maria ci dice che la vita è dunque una lotta contro il male e che il male è estremamente potente anche quando sembra solo aspettare. Ma come ha combattuto Maria il male?

Apparentemente sembra che non abbia fatto niente: non ha fatto esorcismi, non ha gridato, non ha bandito crociate. Unicamente si è fidata di Dio: "Avvenga di me secondo la tua parola". Il compito della Chiesa e dei cristiani è principalmente questo: fidarsi di Dio, renderci disponibili perché Lui, attraverso la nostra povertà. possa operare. Maria nel suo canto di ringraziamento, riconosce la propria "miseria" ma sa anche che "Dio ha fatto cose grandi in Lei".

Maria poi vive il tempo della sua corporeità terrena "servendo". Ecco l’altro modo di combattere il male e di far emergere la bellezza dei doni di Dio: metterli a servizio degli altri. Maria, la Regina degli angeli e dei Santi serve la sua cugina Elisabetta che è anziana e che aspetta un bambino; Maria serve Dio donandogli il suo corpo perché attraverso esso il Figlio di Dio possa avere un corpo; Maria serve Gesù perché si offre a Lui come Madre; Maria è attenta alle necessità di chi avvicina (pensate alle nozze di Cana e a quel "non hanno più vino" detto a Gesù); Maria serve noi con il suo silenzio e il suo dolore che la fa diventare corredentrice della nostra salvezza. Maria, ancora, realizza la sua lotta contro il male pensando ed agendo con gli stessi pensieri e criteri di Dio.

Ce lo proclama chiaramente nel "magnificat" quando dice che Dio travolge e confonde le false sufficienze di coloro che credono di poter fare a meno di Lui, di coloro che nutrono pensieri superbi, di chi con il proprio potere, in mille modi, opprime gli uomini. Maria crede profondamente nel Dio che, con suoi tempi a volte diversi dai nostri, abbatte i potenti dai troni e innalza gli umili, che non tollera coloro che spadroneggiano, sostiene coloro che servono il bene degli uomini e dell’umanità, senza alcuna discriminazione razziale o culturale. Essa crede nel Dio che colma di beni i bisognosi che si affidano a Lui, rimanda a mani vuoti i ricchi e coloro che unicamente si sono fidati delle cose e delle ricchezze terrene. Maria è sicura, per esperienza personale, che "Dio si è ricordato" di Lei, di ciascuno di noi. Dio non dimentica niente e nessuno, Dio non tradisce i suoi progetti e la sua misericordia, Dio nel ricordare soccorre e salva. Se dunque anche noi daremo questa disponibilità a Dio, avremo questa capacità umile di servirlo nelle sue opere e nei fratelli, questo desiderio di pensare e di agire come Lui, certamente raggiungeremo la bellezza e anche il nostro corpo, bello o brutto che sia fisicamente, troverà la sua bellezza definitiva nel cammino di carità e servizio nel tempo della vita, e nella gloria dell’eternità dei cieli.

 

 

GIOVEDI’ 16 AGOSTO

SANTO STEFANO DI UNGHERIA; SAN ROCCO

Parola di Dio: Gs. 3, 7-10.11.13-17; Sal. 113; Mt. 18, 21 - 19, 1

 

"SIGNORE, FINO A QUANTE VOLTE DOVRO’ PERDONARE A MIO FRATELLO?". (Mt. 18,21)

Se il Vangelo ci richiama così spesso sulla esigenza di perdonare e se noi ne parliamo così sovente significa che saper perdonare fa parte dell’essenza dell’essere cristiano e che, essendo una delle cose più difficili, richiede tanta riflessione e soprattutto tanto allenamento.

"Io vorrei perdonare, ma non ci riesco". "Io so che il perdonare farebbe un gran bene anche a me stesso, so che Dio mi ha perdonato tante volte… ma tutte le volte che ripenso al male che mi è stato fatto, provo una rabbia e una voglia di vendicarmi, fosse anche solo per non passare proprio da stupido".

Credo che tutti abbiamo provato in mille modi la strada del perdono e, al di là del carattere che ognuno si trova, abbiamo forse sperimentato che spesso non basta la volontà di perdonare per riuscirvi. Allora può arrivare lo scoraggiamento: "Non ce la farò mai!"

E se invece capissimo che il perdono è una strada fatta di tante piccole tappe?

Ecco come un autore ci propone alcune di queste tappe. Non dico che siano tutte lì, non dico che questo sia il toccasana del perdono, ma, forse, se cominciassimo, senza scoraggiarci da qualcuna di queste tappe…

Ecco qui un elenco di compiti da svolgere in vista di un perdono autentico:

• Decidere di non vendicarsi e far cessare i gesti offensivi.

• Riconoscere la propria ferita e la propria povertà interiore.

• Condividere la propria ferita con qualcuno.

• Individuare bene la propria perdita per rinunciarvi.

• Accettare la propria collera e la voglia di vendicarsi.

• Perdonare a se stessi.

• Cominciare a capire chi ci ha offeso.

• Scoprire il significato della ferita nell’ambito della propria vita.

• Sapere di essere degni di perdono e già graziati.

• Smettere di accanirsi a voler perdonare.

• Aprirsi alla grazia di perdonare.

• Decidere se porre fine al rapporto o rinnovarlo.

 

 

VENERDI’ 17 AGOSTO

SAN GIACINTO

Parola di Dio: Gs. 24, 1-13; Sal. 135; Mt. 19, 3-12

 

"SE QUESTA E’ LA CONDIZIONE DELL’UOMO RISPETTO ALLA DONNA, NON CONVIENE SPOSARSI". (Mt. 19,10)

Questa obiezione che fanno a Gesù, a proposito del matrimonio è quanto mai attuale oggi. Infatti oggi molti giovani pur avendo come aspirazione la formazione di una famiglia propria la concepiscono a propria misura.

La famiglia tradizionale si basava più o meno su queste regole:

I rapporti sessuali sono consentiti solo tra marito e moglie;

Il matrimonio è una unione che dura tutta la vita;

La coppia coniugale è soprattutto orientata verso i figli, e attribuisce molta importanza al ruolo di genitori;

I ruoli tra l’uomo e la donna sono distinti e si basano sulla diversità dei sessi;

La coppia prima, e i figli poi mantengono rapporti con i parenti e si sentono legati alla parentela.

La famiglia contemporanea, che è ancora alla ricerca di se stessa, ha messo in discussione tutte e cinque le regole ricordate.

La maggior parte dei giovani si aspetta molto dall’amore, dal rapporto di coppia e dalla vita sessuale, tutto questo in una dimensione esclusivamente privata in cui né la società né la Chiesa hanno diritto di accesso.

Ma pur con tutto il rispetto di questa mentalità ci chiediamo: l’amore potrà durare a lungo in un matrimonio che nessuno riconosce o nessuno aiuta?

L’insicurezza del lavoro, la sfiducia nelle istituzioni sociali, Chiesa compresa e il timore che il loro progetto di amore non duri porta spesso molti a dire: "Prendiamo la vita per quello che ci può dare oggi, domani si vedrà", ma si può amare senza proiettarsi nel futuro? Impegnarsi con la riserva di mollare o di rimettere tutto in discussione non significa perdere l’occasione di amare fino in fondo e in pienezza?

Gesù riporta la famiglia al suo ideale primitivo, quello per cui Dio l’ha voluta. Se si comincia a pensare solo a se stessi, alle difficoltà, quell’unità voluta all’inizio dei matrimonio può incrinarsi e allora il cuore si inaridisce.

Non puntiamo il dito contro nessuno, ma specialmente nei momenti di crisi o di difficoltà ritorniamo all’inizio: "lo non sono più io, siamo noi". Io non posso volermi amputare di una parte della mia carne solo perché non mi piace più, non posso dire: non mi piace la faccia che mi ritrovo, mi è venuta in uggia: tagliamola!, commetterei un attentato contro la mia integrità. Il marito e la moglie non sono solo insieme perché si piacciono, finché vanno d’accordo... sono una cosa sola: io non sono più mio, sono tuo, tu non sei più tua, sei parte di me. Questo è il principio a cui fare riferimento sempre, anche quando ci sono grandi difficoltà. Poi ci saranno mille situazioni diverse per cui nessuno al di fuori di Dio e degli interessati potranno giudicare situazioni di separazioni e divisioni, ma il principio dell’unità sta nella volontà di Dio e nella sacralità dell’unione.

 

 

SABATO 18 AGOSTO

SANTA ELENA

Parola di Dio: Gs. 24, 14-29; Sal. 15; Mt. 19, 13-15

 

"LASCIATE CHE I BAMBINI VENGANO A ME PERCHE’ DI QUESTI E’ IL REGNO DEI CIELI".  (Mt. 19,14)

Spesso abbiamo guardato a questa scena del Vangelo con spirito romantico: fa sempre effetto vedere un personaggio importante che distribuisce carezze ai bambini.

Gesù accoglie e benedice i bambini non per attirarsi la simpatia dei genitori, compie un gesto profetico: ricorda che per entrare nel suo Regno occorre diventare "piccoli" cioè semplici, bisognosi di tutto, deboli.

In fondo questo gesto è nient’altro che la proclamazione delle sue Beatitudini.

Il Regno non lo si "rapisce" con l’intelligenza e la scienza, anche se bisogna essere "semplici come colombe, ma astuti come serpenti"; il Regno non è dei potenti perché "Egli abbassa i potenti dai troni e innalza gli umili"; il Regno non lo si fa avanzare con la spada perché "chi di spada ferisce, di spada perisce"; la giustizia non la si ottiene portando gli altri davanti al giudice, ma "porgendo l’altra guancia"; la misericordia e il perdono lo si ottiene "essendo misericordiosi"; la verità non è questione di sapienza umana ma di accostarsi a Cristo "via, verità e vita"; la legge non è osservanza di norme per paura ma "amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze il prossimo nostro come noi stessi"…

E tutte queste cose riusciremo a realizzarle se ci buttiamo tra le braccia di Gesù come dei bambini semplici, anche se birichini; bisognosi di tutto, anche se un po’ petulanti; capaci di ricevere e di donare, anche se egocentrici di natura; capaci di vedere e di aver fantasia proprio perché curiosi.

Il bambino è innanzitutto speranza di vita; poi è necessità di tutto; poi ancora è semplicità non ancor troppo contaminata. Il Regno può accoglierlo solo chi ha speranza nel futuro, chi, non legato troppo alle cose del presente, non è pessimista, chi si apre con semplicità e meraviglia al dono della vita, chi sa di non avere in sé forze sufficienti ma contemporaneamente si fida dell’amore degli altri.

 

 

DOMENICA 19 AGOSTO

XX^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  -  SAN GIOVANNI EUDES, Sacerdote

Parola di Dio: Ger. 38,4-6.8-10; Sal. 39; Eb. 12, 1-4; Lc. 12, 49-57

 

1^ Lettura (Ger. 38,4-6.8-10)

Dal libro del profeta Geremia.

In quei giorni, i capi allora dissero al re: "Si metta a morte questo uomo, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché questo uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male". Il re Sedecìa rispose: "Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi". Essi allora presero Geremia e lo gettarono nella cisterna di Malchia, principe regale, la quale si trovava nell'atrio della prigione. Calarono Geremia con corde. Nella cisterna non c'era acqua ma fango, e così Geremia affondò nel fango. Ebed-Mèlech l'Etiope, un eunuco che era nella reggia, sentì che Geremia era stato messo nella cisterna. Ora, mentre il re stava alla porta di Beniamino, Ebed-Mèlech uscì dalla reggia e disse al re: "Re mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremia, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame sul posto, perché non c'è più pane nella città". Allora il re diede quest'ordine a Ebed-Mèlech l'Etiope: "Prendi con te da qui tre uomini e fa’ risalire il profeta Geremia dalla cisterna prima che muoia ".

 

2^ Lettura (Eb. 12, 1-4)

Dalla lettera agli Ebrei.

Fratelli, circondati da un gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci intralcia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato

 

Vangelo (Lc. 12, 49-57)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D'ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera". Diceva ancora alle folle: "Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? ".

 

RIFLESSIONE

 

Se abbiamo ascoltato con attenzione le letture di questa domenica non possono non essere nate in noi alcune domande.

Davanti al profeta Geremia che, per essere fedele alla verità e alla sua missione, viene gettato ad affondare e affogare nel fango di una cisterna semivuota; davanti a Gesù, il giusto che sa benissimo che per la verità annunciata finirà sulla croce, non può non nascere la domanda: perché il giusto deve soffrire? Perché Dio accetta che il male, almeno apparentemente, abbia il sopravvento su chi opera il bene?

Leggendo poi le parole dure e taglienti di Gesù nel Vangelo di oggi dove parla di fuoco che deve bruciare, di battesimo di sofferenza, di verità che crea divisione, ci viene spontaneo chiederci: ma dov’è la Buona notizia del Vangelo, la gioia, la serenità che Dio è venuto ad annunciarci e a portare sulla terra, se Gesù parla di fuoco che divampa e di divisione che avverrà nel suo nome? Non è una contraddizione augurare la pace e portare la divisione?

Una prima riflessione per cercare di inquadrare e rispondere a queste domande deve partire proprio dalla nostra esperienza di vita che ci fa dire che il mondo in cui noi viviamo, è un mondo meraviglioso, in cui non si può fare a meno di stupirsi per la bellezza, la varietà, il senso delle cose, dalle più grandi alle più piccole, ma è anche un mondo fragile, tutt’altro che perfetto.

Anche l’uomo nella sua essenza ha addirittura sembianze divine, ha desideri che superano il semplice materiale e temporale, è capace di amore, ma nello stesso tempo è capace di odio, di vendetta, di distruzione... Senza paura di essere tacciato di essere retrogrado e medioevalista, mi pare di poter affermare con semplicità che nel mondo e nella mia vita vedo la presenza concreta del bene, del bello, del giusto, del vero che continuamente vengono attaccati dal male, dal brutto, dall’ingiusto, dal falso. Anzi mi sembra proprio di constatare a tutti i livelli che quando il bene si manifesta, ecco che subito il male lo assale, si accanisce contro di lui, cerca di estirparlo, di soffocarlo, e il più delle volte sembra avere il sopravvento. Di questo abbiamo esempi a non finire lungo la storia, ma credo che ciascuno di noi potrebbe ampiamente testimoniarlo nella propria storia personale: il più delle volte nelle quali abbiamo cercato di fare il bene, di dire la verità, di comportarci con onestà, siamo stati subito osteggiati, beffati, azzittiti…

Eppure, lo sappiamo, scegliere il bene significa scegliere Dio e questo dovrebbe garantirci la vittoria finale, ma non ci garantisce alcuna vittoria immediata, anzi se scegli Dio, il suo nemico si accanisce contro di te. Non per niente Gesù ci ha insegnato nel Padre nostro a chiedere al Padre: "Non ci indurre in tentazione", e questo, lo sappiamo, non significa che Dio si diverta a metterci alla prova o a lasciarci in balia del male, ma è un’invocazione affinché il male non sia superiore alle nostre povere capacità, è un chiedere a Dio che combatta con noi, che non ci lasci soccombere davanti alle prove.

Il cristiano che vuol operare il bene nella verità, nell’onestà, nella giustizia è dunque consapevole di ingaggiare una lotta che, almeno nella sua immediatezza, non ha di per sé l’assicurazione di una vittoria.

Per avere il coraggio di questa lotta, per essere pronti anche alla sofferenza, ci ha ricordato la lettera agli Ebrei, l’unico modo è quello di guardare Cristo.

Gesù è consapevole della sua sorte. Sa benissimo che aver scelto di stare dalla parte dei poveri, che aver detto certe cose chiare contro le fonti del potere usurpato per i propri interessi, che aver parlato contro i capi religiosi e le tradizioni (umane mascherate di religioso) del suo popolo ha scatenato contro di sé tutte le forze del male, dal diavolo in persona che si sente cacciato, al potere politico e religioso che non vuol accettare di convertirsi. Sa che la sua storia umanamente non può che concludersi con una croce e una sconfitta. Ma Gesù sa che Dio non lo abbandonerà. Sente angoscia davanti al dolore, suderà addirittura sangue prima di accoglierlo, ma non fugge, non cerca una via più facile, carica sulle sue spalle la croce fidandosi che Dio può trasformare la croce in salvezza e il dolore in amore profondo.

La sofferenza del giusto sarebbe la più grande ingiustizia se non ci fosse dietro questa fede e questa speranza. Il giusto non sceglie la sofferenza, sceglie la giustizia, ma proprio perché ama la giustizia è disposto a dare la vita perché essa trionfi.

L’annuncio di Gesù è la gioia e la liberazione dell’uomo, ma proprio perché l’uomo spesso non ama essere libero ma preferisce la schiavitù delle cose, ecco che l’annuncio di pace, di gioia non è capito, spesso osteggiato, anche perché la gioia di Gesù non è quel godimento esteriore che spesso il mondo contrabbanda con la gioia, è qualcosa di estremamente più interiore, più profondo, non è la gioia del possesso delle cose che passa subito, è la gioia di aver ritrovato il senso di se stessi e della vita, è aver ritrovato la strada verso Dio.

E allora, comprendiamo anche meglio anche altre affermazioni di Gesù:

"Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso"

La fede che Gesù ci propone non è qualcosa per addormentare l’uomo, per dargli un contentino in mezzo alle difficoltà della vita, è un qualcosa che scombina gli ordini costituiti, che fa saltare i codici morali preesistenti, che sveglia dal torpore di una religione dove tutto è già previsto, ordinato, dove si ha persino la presunzione di sapere tutto su Dio e di pretendere che Lui faccia secondo i nostri schemi.

E qui mi chiedo? Noi cristiani, cattolici, come stiamo a fede, a questo tipo di fede?

Quando vedo cristiani amorfi, indifferenti che si barcamenano tra una messa e un po’ di carità nelle grandi occasioni, che annacquano la fede con la mentalità di questo mondo, che pensano di cavarsela con il Padre eterno perché: "Vede, Padre, vengo a confessarmi dopo sette anni in occasione della Cresima di mio figlio, ma io non ho nessun peccato", allora sono tentato di dire che siamo ancora molto lontani dal Regno di Gesù.

Non si tratta di diventare o integralisti o fissati della fede, non si tratta di pensare di cambiare il mondo da soli, ma la fede ci urge dentro fino ad arrivare a farci fare qualche scelta concreta controcorrente?

La fede facilmente diventa per alcuni un rifugio per i giorni tristi, o un tranquillante per le ansie, o un alibi all’impegno mentre essa dovrebbe essere per ciascuno di noi risposta al Vangelo, presa di posizione per Cristo, luogo di continua conversione. Ricordiamoci che Gesù ci ha detto che "Se qualcuno non mi riconoscerà davanti agli uomini, sappia che anch’io non lo riconoscerò davanti al Padre mio" e ancora: "Voi siete il sale della terra, ma se il sale perde il suo sapore, non serve ad altro che ad essere calpestato dagli uomini".

I primi cristiani piuttosto di sacrificare agli idoli si facevano sbranare dalle belve, noi cristiani di oggi spesso conviviamo con idoli costruiti da noi stessi (pensate alle cose o a certi personaggi dello sport e del cinema dei quali anche una vita non certamente troppo morale diventa modello).

E non sarà forse proprio anche in questo senso che Gesù ci invita a leggere i segni dei tempi ? Non si tratta tanto di leggere le disgrazie attuali (ad esempio A.I.D.S., droga) come castighi di Dio quanto piuttosto di riflettere sul fatto che se l’uomo perde la sua dimensione di figlio di Dio, si autodistrugge. E per noi cristiani di oggi il segno dei tempi da leggere concretamente non sarà forse la sfida che il male ci butta davanti di veder crescere un mondo che non combatte quasi più Dio perché lo ha già eliminato disinnescando il suo messaggio?

Portare un po’ di fuoco in mezzo al mondo e in mezzo ad una Chiesa addormentata non sarà certo un’impresa facile, e portando fuoco un po’ bruciacchiati ne usciremo anche noi, ma forse è proprio questa la strada che Gesù ci chiede di percorrere, perché certamente questa è stata la sua strada.

 

 

LUNEDI’ 20 AGOSTO

SAN BERNARDO, Abate e Dottore della Chiesa; SAN SAMUELE

Parola di Dio: Gdc. 2, 11-19; Sal. 105; Mt. 19, 16-22

 

"IL GIOVANE SE NE ANDO’ TRISTE POICHE’ AVEVA MOLTE RICCHEZZE". (Mt. 19,22)

Ci troviamo davanti ad un’altra pagina del Vangelo a prima vista assurda.

Questo giovane era andato da Gesù pieno di speranze. Sapeva di essere onesto, osservante, forse anche pio e si aspettava al massimo che Gesù gli desse qualche norma o formula ancora migliore per realizzare una sana ascesi che lo portasse alla perfezione. Gesù, invece non solo non gli chiede di fare qualcosa di più, ma lo invita a liberarsi delle sue ricchezze per essere più leggero e poterlo così seguire.

Il nostro mondo ci grida: "Beato se stai bene, se hai soldi, se ti diverti", qualche volta gioca addirittura a stuzzicarci: "Se avessi tanti soldi chissà quanto bene potresti fare!". E noi qualche volta ci crediamo!

Eppure questo giovane, se ne va triste perché ha troppi soldi, mentre se "fosse andato e avesse venduto tutto e dato ai poveri sarebbe stato felice perché avrebbe avuto un tesoro in cielo e avrebbe potuto essere libero per seguire Gesù".

E quello che è un assurdo per la mentalità degli uomini, non lo è affatto per lo spirito dell’uomo. Infatti l’uomo nel suo intimo sa benissimo che nulla di materiale potrà colmargli la fame di infinito a cui anela il suo cuore. Sa anche che le cose materiali troppo spesso lo deviano da quelle che sono le sue aspirazioni e lo legano a tal punto da non lasciargli più respiro. Se volete un esempio concreto provate a pensare a ciò che molte persone stanno proprio sperimentando in questi giorni. Si vive magari tutto l’anno agognando questo tempo di vacanza perché uno sente il bisogno di essere più libero, di avere tempo per se stesso, di godere di più di un contatto con la natura, eppure le vacanze se sono state solo l’occasione in cui abbiamo speso, bruciato tutto noi stessi secondo le mode, finite, lasciano tristezza e amaro in bocca; se sono servite per ricreare il nostro corpo e il nostro spirito ci lasciano gioiosi e pronti a ricominciare con spirito nuovo. Non è sfruttando le cose, possedendole che si ottiene ciò di cui abbiamo veramente bisogno, perché alla fine sono le cose stesse a possedere noi.

 

 

MARTEDI’ 21 AGOSTO

SAN PIO X, Papa

Parola di Dio: Gdc. 6, 11-24; Sal. 84; Mt.19, 23-30

 

"CHI SI POTRA’ SALVARE?". (Mt. 19,25)

"Mi potrò salvare?" La domanda quella volta giungeva al termine di una lunga confessione che raccoglieva le tante miserie di una vita difficile fatta d’amore e di peccati, di speranze, di promesse e di tante delusioni. Un'altra volta ho sentito la stessa domanda dopo un corso di esercizi spirituali dove una suora cercava a tutti i costi i modi e le norme per "salvar la propria anima". "Mi potrò salvare?", "Mi salverò?", mi chiedo sovente nelle mie riflessioni, ma ormai, tutte le volte che succede di pormi questa domanda subito la modifico: "Mi salverà?". Sì, perché non sono io a salvarmi. Se guardo alle mie povere forze mi rendo subito conto che la mia volontà è debole e non mi esime dalle colpe, che il male è forte e da solo non so resistergli, che facilmente prometto ma stento a mantenere, che non ci sono regole fisse, norme precise per salvarmi, che se devo diventare "perfetto come è perfetto il mio Padre celeste" con le mie forze non ci arriverò mai. E’ Dio che salva. Dio è mio padre e vuole salvarmi. Dio, per salvarmi ha mandato Gesù. Gesù per salvarci ha accettato la croce: noi valiamo il sangue del Figlio di Dio!

E io penso che a salvarmi siano le buone azioni, le preghiere! Se cerco di fare il bene e di evitare il male non è perché questo mi salva. Io dovrei fare il bene ed evitare il male perché, amando Dio che mi salva, amo il bene e odio il male. La cosa che dipende da me, grazie a Dio, non è il darmi o il non darmi la salvezza, ma solo non chiudere la porta a Dio che mi salva.

 

 

MERCOLEDI’ 22 AGOSTO

BEATA VERGINE MARIA REGINA; SAN FABRIZIO

Parola di Dio: Gdc. 9, 6-15; Sal. 20; Mt. 20, 1-16

 

"SEI INVIDIOSO PERCHE’ IO SONO BUONO? ". (Mt. 20, 15)

Leggendo la parabola degli operai chiamati a diverse ore della giornata che alla fine ricevono tutti lo stesso salario, avvertiamo una certa difficoltà perché essa non è secondo la nostra logica retributiva. Eppure la parabola mette a nudo la falsa pretesa dell’uomo di considerare privilegio ciò che invece è puro dono, sia la chiamata che la retribuzione che il periodo di ‘lavoro’ che intercorre tra l’una e l’altra. Il messaggio centrale della parabola resta sempre lo stesso: i rapporti che il Signore stabilisce con l’uomo non sono secondo la giustizia retributiva, ma secondo il mistero della sua imprevedibile generosità. Noi viviamo in un mondo che ragiona con la logica dei soldi, dei costi, dei prezzi, ma se noi applichiamo questo al nostro rapporto con Dio rischiamo, come dicevamo ieri, di credere di essere noi gli autori della nostra salvezza attraverso l’osservanza di determinate norme. In questo caso Dio diventerebbe soltanto una specie di datore di lavoro o di controllore che alla fine pesa, paga, e tutto è a posto. Ragionando in questo modo finiamo di essere noi a dettare a Dio ciò che deve fare "se vuol essere giusto". E questo sarebbe il peccato più grave. Dio non è riducibile ai nostri schemi e pensieri. Dio agisce secondo il criterio della gratuità; egli non è tanto colui che "paga" secondo la logica della retribuzione e del guadagno, ma colui che dona al di sopra e al di fuori di ogni contratto. Questa gratuità non nega la giustizia, ma imprevedibilmente la supera per cui non aspettarsi niente come dovuto significa con Lui passare da una meraviglia all’altra; aspettarsi una paga precisa vuol dire sperimentare l’insoddisfazione. Vi lascio una frase che forse può anche sconcertare qualcuno, ma che certamente può portarci a riflettere: alla fine della nostra vita che cos’è che ci darà speranza, incontrare un Dio giusto o un Dio misericordioso?

 

 

GIOVEDI’ 23 AGOSTO

SANTA ROSA DA LIMA, Vergine

Parola di Dio: Gdc. 11, 29-39; Sal. 39; Mt. 22, 1-14

 

"IL RE ENTRO’ PER VEDERE I COMMENSALI E SCORSE UN TALE CON NON INDOSSAVA L’ABITO NUZIALE". (Mt. 22,11)

L’uomo entrato al banchetto regale pensava che "bastava esserci" e invece viene cacciato perché non c’era nella maniera giusta.

Molti ‘cristiani’ pensano che l’essenziale sia ‘esserci’, ma rischiano di esserci nella maniera sbagliata.

Per capirci faccio l’esempio dell’Eucaristia domenicale.

Molti pensano che andare a Messa sia un dovere, un fare qualcosa di gradito a Dio per cui poi Lui ti premia e assistiamo a persone che entrano in chiesa, si appoggiano a qualche pilastro, controllano magari l’abbigliamento degli amici e delle amiche, sono pronti a drizzare le orecchie quando il parroco dice qualche strampalata o chiede dei soldi, guardano l’orologio perché il tempo deve essere quello "e non esageriamo!", se ne escono tronfi di essere dei buoni cristiani… e fino a domenica prossima non se ne parla più.

Quel cristiano c’era, ma non ha capito niente, non ha partecipato a nulla, non ha comprato Dio e, forse, era più redditizio per lui starsene a casa a dormire. Era un cristiano senza l’abito da festa, senza la gioia, senza il desiderio della partecipazione, incapace di condividere.

Sì, perché il vestito bianco non è tanto l’andare alla messa senza peccati, l’essere dei perfetti osservanti della religione, è soprattutto aver capito il dono che ti viene fatto, è aver desiderio di pregare con gli altri, è il bisogno di ascoltare una parola che ci rinnova, è accettare la comunione con Dio, ricevere il suo perdono, è desiderare con la forza del suo pane di cambiare la propria vita.

 

 

VENERDI’ 24 AGOSTO

SAN BARTOLOMEO, Apostolo

Parola di Dio: Ap. 21, 9-14; Sal. 144; Gv. 1,45-51

 

"FILIPPO INCONTRO’ NATANAELE E GLI DISSE: ABBIAMO TROVATO IL MESSIA… VIENI E VEDI!". (Gv. 1,45-46)

Oggi festa di San Bartolomeo (il Natanaele del Vangelo) ci viene proposta la sua chiamata. Essa avviene ad opera di Filippo il quale sente di dover comunicare all’amico la sua scoperta del Messia.

Il cristiano dovrebbe essere uno che, incontrato Gesù, non può fare a meno di dirlo agli altri, di comunicare la sua gioia perché anche altri facciano questa esperienza.

Vedete, noi, uomini di Chiesa, spesso impieghiamo molto tempo a chiederci: "Come si fa ad essere missionari?", "Quale sarà il modo migliore di dire Cristo agli uomini del nostro tempo?", "Quale dovrà essere la nuova evangelizzazione?", e questa nostra preoccupazione di comunicare Cristo denota che abbiamo capito che è proprio di ogni cristiano essere testimone di Gesù. Però poi, spesso ci perdiamo in mille cose, stiliamo progetti e piani pastorali infiniti che rischiano di diventare fini a se stessi, ci nascondiamo dietro a false paure: "Ma chi sono io per annunciare Gesù… Non sono capace di parlare… Perché proprio io a fare il catechista?", vediamo le difficoltà sociali, personali, ecclesiali e… torniamo a casa ancor prima di esserne usciti.

Filippo con Natanaele ha usato un altro metodo: gli ha detto la sua esperienza e, davanti alle obiezioni dell’altro gli ha semplicemente detto: "Vieni e vedi".

L’annuncio sta tutto qui.

La difficoltà forse risiede in altro: che cosa riusciamo a far vedere di Gesù agli altri?

Se posso esprimere un pensiero personale, a me sembra che gli uomini di oggi abbiano particolarmente desiderio di Dio, di fede; forse proprio perché il mondo ha cercato di addormentarci con le cose, queste spesso non bastano più. L’annuncio della Buona notizia, dell’amore di Gesù, della sua liberazione vengono a rispondere a tante domande dell’uomo di oggi ma egli ha bisogno di vedere più che di sentire, ha bisogno di vedere una Chiesa che non pensa e parlo troppo di se stessa, ma che parlando di Cristo opera a favore dell’uomo; ha bisogno di vedere dei cristiani non troppo attaccati ai soldi e alle cose, non troppo uniformati al mondo; ha bisogno estremo di vedere sul mio volto la gioia della mia fede, ha bisogno di trovare non una serie di norme ma persone che con libertà e grande coraggio fanno delle scelte anche difficili; ha bisogno di trovare dei segni, i Sacramenti, che non addormentano in liturgie stantie, ma che indicano davvero e concretamente ciò che significano.

Quante volte nella mia esperienza di parroco ho incontrato persone desiderose di fare l’esperienza di Cristo, ma spesso davanti al "Vieni e vedi" ho con amarezza dovuto vedere queste stesse persone recedere, non perché non fossero venute, ma perché non si sono sentite accolte da chi c’era, perché hanno trovato preti buoni predicatori ma privi di umanità, perché hanno visto comunità litigiose per un pezzetto di potere.

Filippo poteva essere sicuro di dire a Natanaele: "Vieni e vedi", perché lo portava da Gesù in persona; anche noi ci fidiamo di Gesù, ma Gesù può fidarsi di ciò che noi facciamo vedere di Lui?

 

 

SABATO 25 AGOSTO

Santi LUDOVICO E GIUSEPPE CALASANZIO, Sacerdoti

Parola di Dio: Rt. 2,1-3.8-11; 4,13-17; Sal. 127; Mt. 23, 1-12

 

"SULLA CATTEDRA DI MOSE' SI SONO SEDUTI GLI SCRIBI E I FARISEI. QUANTO VI DICONO, FATELO E OSSERVATELO, MA NON FATE SECONDO LE LORO OPERE PERCHE’ DICONO E NON FANNO". (Mt. 23, 1-2)

Può stupire che Gesù, sempre buono e misericordioso con tutti sia così duro proprio con i rappresentati della sua religione. Penso che tutti sappiamo che gli scribi e i farisei non erano i "cattivi", ma coloro che cercavano di mantenere la purezza della religione. Il rischio per loro era però di sentirsi troppo ‘buoni’ e di utilizzare la religione per i propri fini e per il proprio potere.

Ma non puntiamo il dito solo su loro, c’è da fare un profondo esame di coscienza per il nostro mondo e per noi stessi! Quanti capi e responsabili delle nostre comunità civili e religiose dicono e non fanno! Come è facile riempirsi la bocca di moralismi per gli altri e vivere da immorali, come è facile dire: "Si dovrebbe fare così…", e non muovere un dito.

Gesù però non fa di tutt’erba un fascio, come spesso può capitare a qualcuno che magari avendo incontrato un cattivo prete butta via con esso anche tutta la religione e, peggio ancora, la propria fede. Gesù ci invita a meditare ed accogliere l’insegnamento anche quando non è suffragato dalla testimonianza, ma soprattutto ci invita alla coerenza.

E, allora, se cercassimo di scandalizzarci di meno per le vere o presunte colpe degli altri, per le tante immoralità della nostra epoca e cominciassimo magari ad usare un po’ più moralmente il nostro denaro, non sarebbe già un piccolo, ma significativo tentativo di coerenza?

E’ troppo facile impalcarsi sulla cattedra di Mosè o sui cadreghini del nostro piccolo potere familiare, sociale, religioso, per lamentarci degli altri, del mondo che non va più come una volta, della mancanza di fede, di religione, di morale…Le prediche che facciamo agli altri proviamo oggi a farle a noi stessi e forse allora scenderemo dalla cattedra per scoprire che la cattedra di Gesù e del cristiano non è quella del comando, ma quella del servizio.

 

 

DOMENICA 26 AGOSTO

XXI^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – SAN ALESSANDRO

Parola di Dio: Is. 66, 18-21; Sal. 116; Eb. 12, 5-7.11-13; Lc. 13, 22-30

 

1^ Lettura (Is. 66, 18-21)

Dal libro del profeta Isaia.

Così dice il Signore: "Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle genti, ai lidi lontani che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunzieranno la mia gloria alle nazioni. Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutti i popoli come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari al mio santo monte di Gerusalemme, dice il Signore, come i figli di Israele portano l'offerta su vasi puri nel tempio del Signore. Anche tra essi mi prenderò sacerdoti e leviti".

 

2^ Lettura (Eb. 12, 5-7.11-13)

Dalla lettera degli Ebrei.

Fratelli, avete già dimenticato l'esortazione a voi rivolta come a figli: Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio. E` per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite e raddrizzate le vie storte per i vostri passi, perché il piede zoppicante non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.

 

Vangelo (Lc. 13, 22-30)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù passava per città e villaggi, insegnando, mentre camminava verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?". Rispose: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi ".

 

RIFLESSIONE

 

Viviamo in una società dove tutto è calcolato, programmato, fatto con le statistiche. Anche quel tale che va da Gesù a chiedergli: "Sono pochi coloro che si salvano?" sembra quasi un giornalista in vena di rispondere ad una legittima curiosità pronto così a stabilire una statistica, una classifica. Una curiosità questa alla quale, penso, anche noi non ci siamo lasciati sottrarre, ma anche una curiosità che può portarci lontano dal vero centro di interesse di Gesù e nostro. Infatti le statistiche riguardano sempre gli altri, la società nel suo insieme, i numeri; sono sempre qualcosa di impersonale, di freddo che in fondo non tocca noi personalmente. E poi c’è sempre il rischio dell’interpretazione: alla domanda: "Sono molti o sono pochi che si salvano?" si può rispondere a seconda dell’idea che ciascuno di noi si è costruita di Dio. Coloro che vedono Dio come giudice tremendo dei tanti peccati e del male che c’è nel mondo, minacciano inferni danteschi e coloro che vedono Dio come misericordia poco per volta escludono che Egli possa permettere l’esistenza di un luogo come l’inferno. Allora capiamo perché Gesù non dà una risposta diretta a questa domanda. La fede non risponde a tutti gli interrogativi, a tutte le curiosità. La fede dà certezza, ma non sempre a tutto dà chiarezza, anzi, proprio perché è fede è un atto di fiducia in Dio, pertanto in nome della fede non posso pretendere di capire tutto, al punto da sostituirmi a Dio.

Gesù non rispondendo alla domanda, sposta il centro di interesse: non sono gli altri, la statistica che conta: conti tu e il tuo modo di rispondere alla proposta cristiana. La fede non è curiosa infarinatura su alcuni argomenti: Dio, il dopo morte, la dannazione e così via, questo è chiacchiera, salotto. La fede è una chiamata rivolta a ciascuno in particolare, è un rapporto con Dio, è uno "scoprirsi" per quello che si è realmente, un "guardarsi dentro". L’istinto attuale invece è guardare "fuori", a quello che fanno gli altri, al comportamento della maggioranza, spesso pilotata dalla pubblicità o dagli interessi. Nella statistica ci sei anche tu, ma non compari direttamente, in prima persona: la fede ti chiede di non "andare nel mucchio" di non diventare massa amorfa, ma una Chiesa di volti precisi.

Gesù ci invita dunque ad una conversione e ci parla di una "porta stretta" attraverso cui passare. Questa porta stretta non è necessariamente simbolo delle più disumane fatiche o delle penitenze più laceranti. La porta stretta può voler dire numerose cose, ad esempio, una condotta di vita più modesta, una generosità maggiore, una disponibilità a spendersi per gli altri. Vuol dire non aspettarsi, per il fatto che si è cristiani, una via comoda, un arco di trionfo. In fondo, la porta stretta non è altro che la croce attraverso cui è passato Gesù e il più delle volte questa croce la trovi nelle piccole cose quotidiane. Non è forse vero che a volte ci è ben difficile fare un lavoro poco gratificante, come magari spazzare la casa senza che nessuno ci di neanche "grazie", e farlo con il sorriso sulle labbra o accettare umilmente quello che il Signore ci mette davanti, giorno per giorno, riconoscendo la nostra mediocrità e affidandoci semplicemente a Lui, senza pretese?

Gesù, infatti, insiste ancora proprio su questi atteggiamenti che fondano poi il nostro essere vigilanti, cioè l’essere sempre pronti a rendere conto della speranza che Gesù stesso ha seminato in noi, ben consci che non serviranno scuse, che non ci sarà da accampare diritti.

Non basterà pensare di essere stati familiari di Gesù, non basterà dire: "Ma io sono andato a Messa tutte le domeniche"; guai a trasformare la nostra esperienza ecclesiale in biglietto di prenotazione per il paradiso. Ci verrà chiesto che cosa abbiamo fatto per gli altri, quale è l’atteggiamento di fondo che abbiamo assunto nella nostra vita. Troppe volte, l’abitudine, la ripetitività, la ritualità, ci hanno portato ad addormentare la nostra fede. Ci ricordiamo di essere cristiani a momenti. Teniamo la nostra fede in un cassetto e siamo disponibili a tirarla fuori in certe occasioni solenni, o come pronto soccorso in momenti di particolare difficoltà, ma essa stenta ad entrare nella vita e nelle scelte quotidiane. Gesù invece ci chiede una fede viva, combattiva, che magari corra anche il rischio di sbagliare, ma sempre pronta a sporcarsi le mani, pronta anche a dare fastidio agli altri, a provocarli, umile, capace di gioire per il fatto che in questo Regno la misericordia di Dio ha chiamato tante gente: "Verranno da occidente e da Oriente" ci ha ripetuto Gesù facendo eco alla prima lettura di Isaia che abbiamo ascoltato. Questo dovrebbe ancora più farci uscire dai nostri piccoli e a volte gretti schemi: Dio non sopporta gli integralismi. Non c’è nessuno che detiene l’assoluto della salvezza. Dio non si lascia né imprigionare né comprare da alcuno. Dio non sopporta barriere riduttive e allarga orizzonti sorprendenti

Aprirsi ad una visione universalistica richiede in ciascuno di noi la capacità di vedere largo, di imparare a scoprire il bene presente oltre i nostri confini religiosi, di cercare il dialogo con tutti, di superare i pregiudizi, di aprirsi allo straniero nel rispetto vicendevole, del saper cogliere il bello, il buono e il vero che si possono trovare ovunque, senza per questo rinunciare ai propri valori. E’ bello scoprire un Dio così libero da aver seminato ovunque. Il cristiano allora pur sapendo di doversi misurare su una porta stretta, deve avere anche Lui come Dio un orizzonte largo, anzi, direi che se per entrare per la porta stretta bisogno farsi piccoli, rinunciare a portare con se tante cose ingombranti, il modo migliore per entrarvi è di farlo in compagnia, far passare qualcuno prima di noi, con noi, preparare lo spazio perché qualcuno possa entrare anche dopo di noi. A Betlemme, alla basilica della Natività c’è una porticina di ingresso molto piccola, scavata nella pietra della chiesa: Per entrare si deve passare uno alla volta e abbassandosi. Le guide locali la spiegano in molti modi diversi: qualcuno dice che è fatta apposta perché gli asinelli non entrino in chiesa, qualcun altro spiega storicamente che era un modo per controllare chi entrava in chiesa; chi ci fa sopra della esegesi dice che è Gesù che è entrato nelle strettezze della nostra umanità, chi la interpreta attraverso le parole del Vangelo che abbiamo letto oggi… a me piace leggerla così: Gesù, Il Figlio di Dio, per salvarci si è fatto piccolo, poi ha servito i piccoli, poi è morto come l’ultimo dei deboli e dei poveri, poi lo hanno messo in un piccolo sepolcro con una pietra davanti, ma proprio lì Dio ha spalancato quella tomba perché il Cristo potesse arrivare a tutti i piccoli del mondo. Allora non è più il caso di continuare a chiederci: "Chi si salverà?", "Chi andrà in paradiso?", e neanche: "Io mi salverò?", si tratta solo di farci piccoli per accogliere l’immenso grande, scoprendo gioiosamente che facendoci piccoli si fa posto anche ai tanti altri piccoli che Gesù è venuto a salvare.

 

 

LUNEDI’ 27 AGOSTO

SANTA MONICA

Parola di Dio: 1 Ts. 1,2-5.8-10; Sal. 149; Mt. 23, 13-22

 

"GUAI A VOI SCRIBI E FARISEI IPOCRITI, CHE CHIUDETE IL REGNO DEI CIELI DAVANTI AGLI UOMINI; PERCHE’ COSI’ VOI NON VI ENTRATE, E NON LASCIATE ENTRARE NEMMENO QUELLI CHE VOGLIONO ENTRARCI". (Mt. 23, 13)

Continua anche oggi l’invettiva di Gesù contro l’ipocrisia religiosa degli scribi e dei farisei. Proviamo a vedere i motivi di questi rimproveri che Gesù rivolge ai religiosi di tutti i tempi e quindi anche a noi. Gesù accusa queste persone di impedire ad altri l’accesso al Regno. I farisei con tutte le loro norme da osservare per essere religiosi, impedivano ai poveri e ai semplici, già oberati dal peso concreto delle vita quotidiana, di poter partecipare con serenità alla vita religiosa. Con il loro proporsi a modello e con il loro essere casta di puri, non accoglievano tra loro se non quelli della loro stessa razza, avevano ridotto la fede ad una religione dove contava la gerarchia e basta. Questi peccati possono ancora essere presenti nella Chiesa di oggi quando ad esempio invece di sentirci tutti partecipi e responsabili del regno deleghiamo volentieri certi compiti ad altri: "Alle missioni ci pensino i missionari", "Alla preghiera ci pensino i preti e le suore: loro ne hanno di tempo!", "Perché devo essere io catechista di mio figlio? Sono disposto a pagare purché si possa arrivare in fretta a questa benedetta festa di prima comunione". Si rischia di chiudere la porta del Regno di Dio quando si pensa che possa giungere alla fede solo chi ha fatto un cammino di conoscenza teologica, quando si dividono i cristiani e i parrocchiani in quelli di prima classe, gli intelligenti, i vicini al parroco, i notabili del consiglio parrocchiale e gli altri (pensate alla bruttezza di questi termini che qualche volta con disinvoltura vengono usati: i "messalizzanti", i "natalini" e i "pasqualini"…). Ma il rischio più grosso è che certi "cristiani arrivati" pretendono che gli altri, se vogliono entrare nel Regno, devo fare ed essere come loro. Ci si è dimenticati che il Regno è di Gesù, che è Lui che salva, che è Lui da imitare. Ecco perché l’ipocrisia religiosa spesso porta all’ateismo (Dio non c’entra più, c’entra solo più il clan religioso) e all’idolatria (si adorano le norme, si adorano i personaggi, si adora il potere, e Dio è stato esautorato e sbattuto fuori).

 

 

MARTEDI’ 28 AGOSTO

SANT`AGOSTINO, VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA

Parola di Dio: 1 Ts. 2, 1-8; Sal. 138; Mt. 23, 23-26

 

"GUIDE CIECHE CHE FILTRATE IL MOSCERINO E INGOIATE IL CAMMELLO". (Mt. 23,24)

Quando alla guida di un autobus, di un treno, di una comunità, di una nazione c’è una persona cieca, si è sicuri che succederanno guai. Gesù accusando in questo modo i farisei dice che sono proprio loro, i cosiddetti buoni, la causa maggiore dell’irreligiosità della gente.

Quanto fariseismo c’è ancora in mezzo a noi! Vediamo ancora oggi persone che vivono una religione mercificata senza entusiasmo, senza gioia. Questo è un culto vuoto che onora Dio con le labbra mentre il cuore è lontano. Ci si aggrappa alla sicurezza di "ciò che si è sempre fatto" e non si dà ascolto alla voce dei tempi per paura di dover cambiare. Ci si aggrappa a codici morali che hanno per secoli garantito un certo potere, non tanto per il valore delle norme in essi contenute, quanto per la paura che se non ci fossero questi il potere sarebbe diminuito. Quanto fariseismo c’è ancora in chi propugna il valore della povertà o anche fa il voto di povertà, quando è sicuro che, sì, non avrà tutto, ma non gli mancherà mai niente fino alla fine della vita. Quanta ipocrisia in chi vede peccati da tutte le parte, se ne dichiara scandalizzato, evoca punizioni più adeguate e poi al peccato ci sguazza dentro, magari trovando per se stesso molte giustificazioni. Quanto siamo ipocriti e falsi quando, per paura di scandalizzare qualcuno, raccontiamo la storia della Chiesa come se fosse tutta bella, senza peccato, oppure imponiamo dei gioghi a persone che già fanno fatica solo per paura che altri ‘benpensanti’ debbano ‘contaminarsi’ a stare con loro. Gesù non si spaventa di questi errori, ma ce li mette davanti. I guai che Gesù dice non sono per mandare i peccatori a bruciare nell’inferno, ma perché rendendocene conto troviamo la strada della luce, della sincerità, dell’onestà e della coerenza.

 

 

MERCOLEDI’ 29 AGOSTO

MARTIRIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA; SANTA SABINA

Parola di Dio: 1 Ts. 2, 9-13; Sal. 138; Mt. 23, 27-32

 

"GUAI A VOI SCRIBI E FARISEI IPOCRITI". (Mt. 23,27)

Nella sezione ‘uccelli’ di un museo di scienze naturali, ammiro un picchio su un ramo d’albero. La testa reclinata in avanti, sembra voler, ad ogni istante, martellare la corteccia dell’albero. Ma non accade niente. Resta immobile in questa posizione da mesi e da anni. Perché questo? Eppure ha le sue piume, le ali e la coda e anche gli artigli. Esteriormente non gli manca nulla. Ma interiormente, l’uccello non ha né cuore, né sangue, né vita. In lui vi è solo paglia! Molte persone possono prendere l’apparenza di veri credenti. Esse partecipano alla Messa domenicale, fanno magari parte di uno o più gruppi parrocchiali, sembrano essere i principali artefici della vita comunitaria, aprono il loro portafoglio quando si tratta di dare l’obolo, sono amabili con tutti...però c’è davvero cuore in quello che fanno? Cercano davvero la gloria di Dio o se stessi?

La Bibbia dice che queste persone hanno la forma della pietà, ma ne rinnegano la potenza. Dietro l’apparenza, non vi è alcuna vita divina. L’involucro non è vuoto, ma ripieno di cose contrarie alla pietà. Queste persone sono simili ai capi d’Israele che il Signore Gesù stesso trattava da ipocriti.

È disgraziatamente possibile che anche un cristiano pur essendo passato da una vera nuova nascita lasci degenerare la sua vivente pietà iniziale in forme religiose, e allora il mondo entra nel suo cuore per riempirlo di tutto ciò che soffoca la pietà. È questo un sonno simile alla morte.

 

 

GIOVEDI’ 30 AGOSTO

SANTA FAUSTINA; SAN FELICE

Parola di Dio: 1 Ts. 3, 7-13; Sal. 89; Mt. 24, 42-51

 

"VEGLIATE PERCHE’ NON SAPETE IN QUALE GIORNO IL SIGNORE VOSTRO VERRA’". (Mt. 24,42)

Se vi è capitato di dover passare qualche notte ad un malato, forse vi è più facile comprendere che cosa voleva dire Gesù invitandoci alla vigilanza. Vegliare un malato significa stare attenti, essere disponibili, essere pronti, saper cogliere dai segni le necessità dell’altro, saper prevenire, mettersi a servizio con molta pazienza e umiltà, avere nel cuore l’ansia, il desiderio di salute e di serenità per chi vive la sofferenza. Gesù ci dice di vegliare nell’attesa della sua venuta non per metterci addosso la paura ma proprio per essere attenti al regno che sta venendo. Provate a pensare alle nostre esperienze quotidiane: il giorno comincia, frettolosamente si ascoltano le notizie bevendo il caffè. Per quasi tutte le persone, la vita attuale non sarebbe possibile se non fossero tenute al corrente degli avvenimenti, grandi o piccoli. Secondo il mestiere che si esercita, si ha anche bisogno di conoscere il tempo che farà, i corsi monetari del giorno, le misure concernenti la circolazione ed il rifornimento dei viveri, le leggi nuove e tutto ciò che è indispensabile sapere. Eppure i detentori delle notizie più felici ed importanti, non sono i giornalisti, ma siamo proprio noi, i credenti. Dio ci ha affidato il suo messaggio di gioia di liberazione, di figliolanza divina e noi non solo tacciamo ma sembriamo quasi dimenticarcene. Quando apriamo un giornale o accendiamo il nostro transistor, dovremmo dirci: questo strumento sta per insegnarmi qualche cosa del mondo che passa, ma io devo fare conoscere le cose concernenti la vita eterna; sta per parlarmi dei fatti e dei gesti compiuti dalle persone che non fanno altro che soggiornare sulla terra e passare. Ma io devo annunciare le virtù di Colui che può condurre uomini e donne dalle tenebre alla sua meravigliosa luce. Il regno è in mezzo a noi, Gesù è presente nei fratelli, i suoi sacramenti agiscono nella comunità cristiana, la storia ha bisogno di riscoprire la presenza di Cristo, il mondo ha sete di speranza. Ecco alcuni segni per cui vale la pena di vegliare, di pregare e di agire. Non aspettiamo una troppo facile fine del mondo fatta di tuoni e lampi ma aspettiamo Colui che essendo già venuto sta operando in mille modi per salvare l’uomo: a noi il riconoscerlo e il metterci a sua disposizione.

 

 

VENERDI’ 31 AGOSTO

SANT`ARISTIDE

Parola di Dio: 1 Ts. 4, 1-8; Sal. 96; Mt. 25, 1-13

 

"IL REGNO DEI CIELI E’ SIMILE A DIECI VERGINI CHE, PRESE LE LAMPADE USCIRONO INCONTRO AL LORO SPOSO…". (Mt. 25,1)

Gesù ci parla anche oggi di vigilanza. Ma parlandoci di sposalizio, di festa, Gesù ci ricorda che il suo ritorno non ha niente di inquietante o di terrificante.

Siamo in attesa di uno sposalizio! Gesù è lo sposo che attende di unirsi alla sua comunità, e questa deve attenderlo in ogni tempo nella vigilanza. L’olio della fede non dovrà mancare se vogliamo essere "saggi". Quand’è che un cristiano rischia di essere "senz’olio?" Un cristiano è "senz’olio" quando per lui la messa, i sacramenti sono dei doveri e non più momenti di gioiosa festa e di ricarica. Un cristiano è "senz’olio", quando passa vicino ai fratelli ma li considera solo come potenziali nemici e disturbatori della sua quiete e non riesce a scoprire in essi il volto di Cristo Signore. Ancora siamo "senz’olio" tutte le volte che ci addormentiamo, che perdiamo l’entusiasmo, che ci accontentiamo della mediocrità... e allora a che serve avere la lampada se non possiamo accenderla per andare alla festa? Le nozze sono gioia. L’uomo, come le dieci ragazze invitate alla festa, ha solo un compito, quello di sentire la gioia di queste nozze e prepararsi per poter partecipare a questa festa. Tutte e dieci hanno le lampade. Ognuno di noi ha i suoi doni e non c’è nessuno che non possa rispondere a questo invito. Poi occorre saper aspettare; noi vorremmo vedere subito i risultati, invece occorre solo non perdere la speranza e la fiducia nello Sposo che sta per arrivare. Ci si può anche addormentare ma occorre essere sempre pronti "a rendere conto della speranza che è stata seminata in noi" per non farci cogliere di sorpresa e impreparati e per non trovare la porta chiusa.

     
     
 

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