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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

LUGLIO 2001

 

DOMENICA 1

XIII^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO (C)  -  S. Aronne; S. Ester; S. Giulio

Parola di Dio: 1Re 19,16.19-21; Sal. 15; Gal. 5,1.13-18; Lc. 9,51-62

 

1^ Lettura (1 Re 19, 16. 19-21)

Dal primo libro dei Re.

In quei giorni, disse il Signore ad Elia: "Ungerai Eliseo figlio di Safàt, di Abel - Mecola, come profeta al tuo posto". Partito di lì, Elia incontrò Eliseo figlio di Safàt. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il decimosecondo. Elia, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. Quegli lasciò i buoi e corse dietro a Elia, dicendogli: "Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò". Elia disse: "Va’ e torna, perché sai bene che cosa ho fatto di te". Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con gli attrezzi per arare ne fece cuocere la carne e la diede alla gente, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elia, entrando al suo servizio.

 

2^ Lettura (Gal. 5, 1.13-18)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati.

Fratelli, Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge.

 

Vangelo (Lc 9, 51-62)

Dal vangelo secondo Luca.

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, egli si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: "Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?". Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio. Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: "Ti seguirò dovunque tu vada". Gesù gli rispose: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". A un altro disse: "Seguimi". E costui rispose: "Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre". Gesù replicò: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va e annunzia il regno di Dio". Un altro disse: "Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa". Ma Gesù gli rispose: "Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio".

 

RIFLESSIONE

 

In particolare la prima lettura di oggi e il brano di vangelo ci invitano a riflettere sul tema della chiamata e della sequela. Che cosa vuol dire seguire Cristo? Vuol dire cercare di fare le sue stesse scelte, camminare sulle sue orme. Luca, nel suo narrare del lungo viaggio di Gesù verso Gerusalemme, ci dice che Gesù si avvia "decisamente" verso il compimento del suo destino, verso il compiere la volontà del Padre donando la sua vita per noi. Il cristiano è coinvolto in quel "decisamente". Noi spesso ci lasciamo paralizzare dall’incertezza, dalla paura di comprometterci, di rischiare. Spesso desideriamo seguire Cristo, magari compiamo anche numerosi tentativi in varie direzioni senza però mai arrivare in fondo a nulla. Vorremmo avere sempre la corda di sicurezza, ci vogliamo sempre garantire un via di ritorno, saltabecchiamo tra mille esperienze senza mai fermarci a fondo in qualcuna di esse, collezioniamo emozioni più che accollarci responsabilità, vorremmo abbracciare tutto, senza mai dedicarci interamente a nulla. Con Gesù si tratta invece di prendere una decisione, di non tergiversare all’infinito, di fare una scelta precisa . Gesù ama chi è deciso a rompere con il passato ("chi pone mano all’aratro e poi si volge indietro non è degno di me", "lascia che i morti seppelliscano i morti"), chi gioca tutto sulla coerenza, chi, come Maria, si dà totalmente , si fida a occhi chiusi del progetto di Dio. A chi decide di seguirlo Cristo non promette vita facile, non assicura né casa, ne’ tana ("Il figlio dell’uomo non ha un sasso dove posare il capo") né itinerari fissi o programmi organizzati, non offre neanche sicurezze economiche o salute assicurata, offre invece libertà, prospettive ampie, possibilità di scoprire l’amore come unico scopo della vita, "fino a dare la vita per gli altri". Tutto questo, però viene presentato da Gesù come una proposta, non come una imposizione. Gesù è esigente, non intransigente. Egli non accetta quanto gli propongono Giacomo e Giovanni che davanti alla non accoglienza nei suoi confronti da parte di un villaggio di samaritani vorrebbero sentirsi autorizzati di poter pregare di far scendere fuochi e fulmini dal cielo per incenerire coloro che si sono permessi tanto nei confronti di Gesù.

Il dono di accogliere e di seguire Gesù è presentato liberamente e liberamente va accolto. Non c’è bisogno di invocare maledizioni o punizioni: la punizione è già insita nel fatto di essersi persi l’occasione di stare con Gesù. Non servono le intolleranze. Non servono i fanatismi. Quanto dovremmo riflettere su questo in quanto il pericolo del fanatismo, dell’intransigenza sono sempre presenti nella vita dei cristiani e rischiano di sviare completamente da quella che è la prospettiva di Gesù. La scelta di Gesù è la mitezza, cosa totalmente diversa dalla debolezza e tanto meno dalla rassegnazione, ma il modo più vero e più giusto di essere forti. Gesù ha chiamato beati i miti, i pacificatori, i perseguitati. Gesù non vuole vendette anzi invita a perdonare "settanta volte sette", sempre. Un grande papa che molti di noi hanno amato, Papa Giovanni XXIII° nel suo ‘Giornale dell’anima’ scriveva così: "La bontà vigilante, paziente, longanime arriva ben più in là e ben più rapidamente che non il rigore ed il frustino. Non soffro illusioni o dubbi su questo punto".

Un'altra grande scelta per chi vuole seguire Cristo è la povertà. Non si può pensare di seguire Cristo e contemporaneamente le ricchezze. Gesù "da ricco che era si fece povero per noi", ha scelto l’umiltà di Betlemme, non ha sicurezze, vive alla giornata con l’aiuto di qualche amico e delle donne, con semplicità, e sembra dirci: "Non ho cose da darti ma ti prometto come dono Dio stesso".

Ci vuole fede per capire questo ma Paolo, ad esempio, quando lo ha capito può dire con sincerità e gioia: "Quello che poteva essere considerato da me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le reputo come spazzatura, al fine di guadagnare Lui…".

Questa povertà raggiunge anche il campo degli affetti e li orienta in modo completamente nuovo. Abbiamo sentito ancora nel Vangelo di oggi di quel tale che Gesù aveva chiamato a seguirlo e che gli domanda di poter prima provvedere alla propria famiglia. Gesù non proibisce l’espressione della devozione verso il padre, ma, in forma paradossale ("Lascia che i morti seppelliscano i morti"), ricorda che anche la famiglia non deve assorbire al punto tale da diventare un ostacolo per amare Dio. E’ Dio lo scopo della vita e la famiglia sarà sempre un mezzo per rispondere a Dio. Gesù non rinnega il valore della famiglia, ma invita a vivere la famiglia con un orientamento nuovo. Ma queste esigenze di Gesù non ci scoraggiano?

Si direbbe, a prima vista, che Gesù faccia di tutto per scoraggiare i tre che intendono seguirlo. Sembra quasi che sia sua intenzione più di respingere che di attirare. In realtà Gesù non spegna l’entusiasmo, spegne le illusioni. Chi vuole andare dietro a Gesù deve essere cosciente delle difficoltà dell’impresa, dei sacrifici che questo comporta. L’entusiasmo può ‘incendiarci’, ma anche ‘bruciarci’ in cinque minuti. Se vuoi seguire Cristo devi mettere in conto la possibilità (quasi sempre reale) del rifiuto, delle opposizioni, delle ostilità, magari anche proprio all’interno della tua stessa famiglia o del gruppo stesso dei cristiani. Se Gesù non è stato accolto, respinto, osteggiato, accusato ingiustamente, ucciso, che cosa succederà al seguace di Cristo? "Se hanno fatto così al legno verde che cosa non faranno al legno secco?"

Gesù non ci illude mai, ci parla sempre con un realismo che qualche volta può sembrarci persino esagerato, Gesù non vuole persone che lo seguano per forza, non vuole illusi che davanti alle prime difficoltà si ritirino. Come Lui ci accetta così come siamo, anche con i nostri limiti e con il nostro carico di peccato, desidera che anche noi accettiamo liberamente e ‘decisamente’ il suo cammino. Chiediamoci però ancora un ultima cosa: che cosa vuol dire, oggi, seguire Cristo?

Gesù passa ancora in mezzo alle nostre strade. Forse però è più difficile riconoscerlo, ma Egli ancora oggi ha una voce che coloro che hanno fede non possono far a meno di conoscere. E’ la voce che ci invita ad amare ad oltranza, che ci invita a perdonare sempre, che ci chiama a sperare in noi stessi e nel nostro prossimo anche quando la speranza sembra morta, è la voce che ci parla di gioia che deriva dal sacrificio, che ci invita alla povertà per essere liberi, che ci chiede di fare cose a prima vista impossibili… Da questi segni sapremo riconoscere la sua voce e se liberamente accetteremo di seguirlo il suo Regno prenderà forma in noi e sarà ancora e sempre una proposta per gli uomini che incontreremo sul nostro cammino.

 

 

LUNEDI’ 2

S. Ottone; S. Bernardino Realino; S. Blandina

Parola di Dio: Gn. 18,16-33 ; Sal. 102; Mt. 8,18-22

 

"MAESTRO, TI SEGUIRÒ OVUNQUE TU ANDRAI". (Mt. 8,19)

Di una cosa certamente non si può accusare il Vangelo ed è quella di ingannarci con false promesse. Gesù non ci dice che sia facile il seguirlo. Ha appena detto che chi vuol seguire Lui non deve fare affidamento su sicurezze umane: "Il Figlio dell’uomo non ha neppure un sasso dove porre il capo", ed ora davanti ad un entusiasmo velleitario smorza i troppo facili slanci di chi fa promesse più grandi di quello che è capace. Sembra addirittura un atteggiamento controproducente, scostante. Di certo molti preti cattolici, quando propongono ad un ragazzo o ad un giovane la strada del sacerdozio o della consacrazione non usano questo metodo, ma cercano in tutti i modi di far vedere solo gli ‘onori’, le gioie di questa chiamata. Così succede anche quando proponiamo il cristianesimo: tendiamo a presentarlo solo per gli aspetti positivi, ma se è vero che la fede cristiana è il senso completo della vita, se è vero che attraverso Cristo possiamo gettare uno sguardo sull’eternità di cui abbiamo promessa, è anche altrettanto vero che bisogna seguire Cristo, e la sua strada di non violenza, di amore verso tutti, di perdono passa inevitabilmente attraverso le tante croci quotidiane che il mondo ha preparato per coloro che non la pensano come lui. Per di più Gesù non ha promesso ai suoi seguaci di liberarli da ogni forma di mali, di essere immuni dal dolore e dalle malattie, non ci ha promesso un cammino agevolato su una corsia preferenziale, ci ha solo assicurato la sua presenza nell’ordinario tessuto della quotidianità. Sarà per la mia innata insicurezza o sarà perché mi conosco bene, ma è da tanto tempo che ho smesso di fare promesse al Signore. Non mi sento di affermare davanti al Signore: "Non peccherò mai più", al massimo arrivo a dirgli: "Ci provo, col tuo aiuto"; non gli dico: "Ti seguirò ovunque tu vada" perché so che le sue mete sono sempre grandi e non corrispondono spesso con le aspirazioni della mia vita, al massimo gli dico: "So che mi vuoi bene, e anch’io te ne voglio e vorrei sempre stare con te, ma se non mi prendi per mano, se non hai pazienza dei miei passi incerti, non so fino a che punto ti seguirò". E se guardo indietro nella mia vita, vedo che il Signore è sempre stato fedele con me. Mi ha portato non dove volevo io, ma per strade che assolutamente non avrei pensato di frequentare, però non mi ha neanche mai abbandonato. Mi ha fatto passare attraverso croci, ma non mi ha mai fatto mancare la serenità del rapporto con Lui... perciò concludo che se di me non ci si può fidare, di Lui sì.

 

 

MARTEDI’ 3

San Tommaso

Parola di Dio: Ef. 2,19-22; Sal. 116; Gv. 20,24-29

 

"TOMMASO, UNO DEI DODICI, CHIAMATO DIDIMO…" (Gv. 20,24)

S. Giovanni nel suo vangelo ci dice che Tommaso aveva un soprannome: Didimo, che significa "Gemello". La tradizione vuole che fosse chiamato così non tanto perché "fratello gemello di Gesù" ma perché assomigliava molto a Gesù e non solo fisicamente, ma perché cercava, come vero apostolo, di imitarlo in tutto. Giovanni con questa indicazione ci ricorda che chi vuol essere seguace di Gesù, deve essere "gemello", somigliante a Gesù. Ciò non toglie che Tommaso abbia le sue debolezze, abbia un cammino di fede da fare prima di arrivare ad abbandonarsi totalmente al Risorto dicendo: "Mio Signore e mio Dio". Il Signore non ci astrae dalla realtà, non vuole che il credente perda la sua identità, non si spaventa neppure dei nostri errori e peccati, ma invita ciascuno di noi a "diventargli somigliante". Davanti a certi santi di ieri e di oggi è facile dire: "E' stato come Gesù", pensate a un Francesco, a Madre Teresa di Calcutta o a Papa Giovanni XXIII°; chissà se chi mi vede sul lavoro, in casa può dire: "Quel cristiano nel suo modo di agire, di pensare somiglia a Gesù"? Tommaso, da uomo legato al concreto, ha messo un po’ di tempo per arrivare alla fede nella risurrezione, ma quando ci è arrivato, lo ha fatto nel modo più completo. Come sarebbe bello e liberante potersi abbandonare nelle mani di Gesù, riconoscere la sua forza e potenza, imparare a cogliere i suoi segni, smetterla di voler sempre e a tutti i costi sapere tutto, lasciarci amare senza opporre ostacoli, smetterla di giudicare per accogliere i fratelli. Tommaso, fratello somigliante a me nei dubbi, rendimi simile a te nella fede perché anch’io possa essere un ‘gemello’ somigliante di Gesù.

 

 

MERCOLEDI’ 4

Santa Elisabetta del Portogallo; Beato Piergiorgio Frassati

Parola di Dio: Gn. 21,5.8-20; Sal. 33; Mt. 8,28-34

 

"PREGARONO GESU’ DI ALLONTANARSI DAL LORO TERRITORIO". (Mt. 8,34)

Gesù e gli affari economici non convivono bene insieme.

Gesù ha a cuore la salvezza del corpo e dell’anima di due indemoniati, gli abitanti di quella regione pensano ai soldi che hanno perso nella strage dei loro maiali che si sono buttati nel lago. Il diavolo, che sapeva persa la battaglia con Gesù, ha ancora giocato la sua ultima carta sapendo che per gli uomini gli interessi economici hanno la prevalenza: "Questo Gesù, i suoi miracoli vada a farli da un’altra parte e ci lasci con i nostri maiali che ci danno ricchezza".

Provate a pensare se non è sempre così: gli interessi delle grandi case farmaceutiche sono in pericolo perché i paesi poveri non possono dare loro lo stesso guadagno rilevante dei paesi ricchi? E allora lasciamo morire mezza Africa di A.I.D.S.!

Quel lavoratore onesto ci è di impiccio perché la nostra industria faccia affari redditizi ma non troppo puliti? Facciamo di tutto per stancarlo, per isolarlo, per costringerlo alle dimissioni. E’ meglio una globalizzazione dei mercati economici a favore di pochi che interessarsi al bene dei popoli in via di sviluppo. Se le emissioni di gas sono nocive per la salute del pianeta, ci pensino i paesi più poveri a ridurle, noi, grande e avanzata nazione leader del mondo, dobbiamo pensare agli affari delle nostre industrie!Nelle comunità cristiane è più importante avere una chiesa bella ma vuota, o povera ma calda di testimonianza di amore e di accoglienza? Anche oggi quando la preoccupazione maggiore sono gli affari, i soldi, non c’è spazio per Gesù e per un vero interesse al prossimo. Qualche volta ci lamentiamo di Dio che sembra essere assente e lontano ma ti sei mai chiesto se non lo hai sfrattato con tutte le tue preoccupazioni materialiste?

 

 

GIOVEDI’ 5

Sant’Antonio Maria Zaccaria; Santa Filomena

Parola di Dio: Gn. 22,1-19; Sal. 114; Mt. 9,1-8

 

"CORAGGIO, FIGLIOLO, TI SONO RIMESSI I PECCATI". (Mt. 9, 1)

Il miracolo del Paralitico prima perdonato dei suoi peccati e poi guarito ha certamente come scopo principale quello di portarci alla fede in Gesù Figlio di Dio, capace sia di guarire che di perdonare, due cose proprie di Dio. Questo racconto, però, ha anche tanti altri significati; ad esempio, mi piacciono estremamente queste parole rivolte al paralitico che sento dette anche a me. Prima di tutto questa parola: "Coraggio". Ho bisogno di qualcuno che mi dia fiducia specialmente quando comincio a perderla in me stesso, quando prometto e non mantengo, quando i miei limiti e i miei peccati sembrano insuperabili, quando ho perso fiducia nella vita, quando non riesco più a vedere nel mio prossimo dei fratelli ma solo dei concorrenti pericolosi… Ed è bello anche quel "figliolo" perché mi fa apparire Dio non lontano da me, non giudice intoccabile dei miei peccati, ma Padre che, se mi richiama alle mie responsabilità e mi invita a farmene carico, allo stesso tempo mi ama, mi dà la sua mano, mi mette a mio agio. E poi la parola della misericordia: "Ti sono rimessi i tuoi peccati". Spesso, quando sento queste parole dette a me da un sacerdote o quando dico queste parole al termine di una confessione, penso alla meraviglia di un Dio che ama, che cancella, che dimentica e alla grazia e responsabilità che hanno i sacerdoti nell’amministrare questo dono reale di Cristo. Dio ci perdona davvero, siamo risanati dalla passione, morte e risurrezione di Cristo: è un miracolo! Noi, a volte, corriamo dietro a facili miracolismi e ci dimentichiamo del miracolo del perdono che è sempre a nostra disposizione. E noi preti ci impegniamo tanto per far correre dei bambini dietro ad un pallone, o spendiamo tanto tempo in riunioni che sono fiumi di chiacchiere senza costrutto e facciamo fatica a trovare tempo per confessare qualcuno che ce lo chiede. Certo è un sacramento difficile sia per chi lo riceve che per chi lo amministra, c’è chi non lo usa mai e chi lo banalizza usandolo troppo, ci sono ancora troppi preti che lo considerano unicamente un tribunale di cui loro sono giudici insindacabili a base di norme e di codici... ma non è forse il caso di ripensare a questo miracolo di un Dio che mi perdona davvero, che dimentica il mio peccato, che, nonostante tutto, continua ad aver fiducia in me?

 

 

VENERDI’ 6

Santa Maria Goretti; Sant’Isaia

Parola di Dio: Gn. 23,1-4.10.19;24,1-8.62-67; Sal. 105; Mt. 9, 9-13

 

"VIDE UN UOMO CHIAMATO MATTEO, SEDUTO AL BANCO DELLE IMPOSTE E GLI DISSE: SEGUIMI! ED EGLI SI ALZO’ E LO SEGUI’ ".(Mt. 9,9)

Quando io sono entrato in seminario molti anni fa (e quindi oggi le cose spero saranno certamente cambiate) vi erano alcuni requisiti fissi per poter diventare sacerdote: bisognava superare certi esami di cultura, di teologia (c’erano persino gli esami per esercitare la confessione), bisognava essere integri nella salute (pensate ad esempio che chi avesse perduto o il pollice o l’indice non poteva essere sacerdote in quanto erano le dita che si usavano per l’elevazione dell’ostia consacrata), non bisognava appartenere a certe categorie (ad esempio fino ad inizio del secolo scorso non potevano essere ordinati i figli dei macellai perché erano continuamente a contatto col sangue). Vediamo, nella politica, nell’industria che chi sceglie i propri collaboratori cerca con cura persone fidate, di buon nome, che, almeno esternamente, la pensino come lui, che aiutino davvero e non creino imbarazzi. Gesù invece non bada ad etichette: tra i suoi futuri rappresentanti ci sono pescatori, zeloti, peccatori. Matteo non era certamente ben visto sia per il suo mestiere, esattore delle tasse, sia per il fatto che, proprio per questo, era considerato un pubblico peccatore. Gesù guarda alla persona, non al ruolo che essa ricopre; guarda al peccatore non alla norma che indica il peccato; all’uomo, non all’apparenza che uno può avere, e anche oggi non sceglie i suoi collaboratori tra i migliori, i più furbi, i più intelligenti, i più ‘buoni’, anche oggi Gesù compie scelte apparentemente strane e a prima vista controproducenti: tra i suoi cristiani, i suoi testimoni, i suoi ministri ci sono peccatori, il Vangelo è affidato a persone spesso ignoranti, non troppo pie... eppure è la logica di Gesù e del Vangelo. Il suo regno non è per i potenti, per i sapienti, per i "santi" ma per gli umili, i poveri, i deboli. Se c’è una predilezione di Gesù è per i peccatori. Se ciascuno di noi guarda alla propria vita, quali sono i nostri meriti personali per aver ricevuto il Battesimo, per accostarci all’Eucaristia? Con quale autorità nostra abbiamo il compito di testimoniare? Eppure se sono cristiano, qualunque sia il mio modo di vivere, la mia intelligenza, le mie capacità umane, sono stato scelto per seguire Cristo e per essere mandato ad annunciarlo. Tutto questo ci aiuta a non guardare troppo a noi stessi, ma solo a Lui.

 

 

SABATO 7

San Claudio; San Ampelio

Parola di Dio: Gn. 27,1-5.15-20; Sal. 134; Mt. 9,14-17

 

"POSSONO FORSE GLI INVITATI A NOZZE ESSERE IN LUTTO MENTRE LO SPOSO E’ CON LORO?". (Mt. 9,15)

Avessimo davvero capito che cosa vuol dire Gesù con queste sue parole! E’ finito il tempo del digiuno, il tempo dell’attesa. Dio ha compiuto il suo progetto mandando Gesù che con il dono della sua vita ci ha portato la liberazione. Tutto questo non può che essere festa e gioia. Ma oggi i cristiani la vivono e la manifestano questa gioia? E’ vero, un cristiano non vive fuori dal mondo, non sfugge alle difficoltà, ai problemi, alle prove e anche alle tristezze della vita, ma credendo nel Risorto può dare un tono nuovo a tutto, può recuperare ogni momento, anche negativo, può trasformare il banale in eterno. Scrive M. L. Monferini: "A me piace pensare che quando Dio alitò sulla creta sorridesse di gioia. La gioia è quel sorriso di Dio che, nonostante tutto, ognuno di noi ha nel suo cuore. Essere gioia è saper accettare anche senza capire, è l’abbandono e la fiducia in Qualcuno che provvederà a noi. Noi non potremmo vedere senza il suo aiuto. Essere gioia è vedere gli altri oltre noi stessi, i nostri egoismi, le nostre illusioni; è saper guardare in noi stessi, il saperci cambiare per poter cambiare e migliorare il mondo attorno a noi. E’ sapere che quanto facciamo agli altri lo facciamo a noi stessi perché chi inganna sarà ingannato e chi dona riceve. Essere gioia è essere noi stessi nella nostra essenza, al di là della creta che ci ricopre".

 

 

DOMENICA 8

XIV^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C  -  Santi Aquila e Priscilla; San Adriano III

Parola di Dio: Is. 66,10-14; Sal. 65; Gal. 6,14-18; Lc. 10,1-12.17-20

 

1^ Lettura (Is. 66, 10-14)

Dal libro del profeta Isaia.

Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa quanti la amate. Sfavillate di gioia con essa voi tutti che avete partecipato al suo lutto. Così succhierete al suo petto e vi sazierete delle sue consolazioni; succhierete, deliziandovi, all'abbondanza del suo seno. Poiché così dice il Signore: "Ecco io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la prosperità; come un torrente in piena la ricchezza dei popoli; i suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati. Come una madre consola un figlio così io vi consolerò; in Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saran rigogliose come erba fresca. La mano del Signore si farà manifesta ai suoi servi ".

 

2^ Lettura (Gal. 6, 14-18)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati.

Fratelli, quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l'essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l'Israele di Dio. D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

 

Vangelo (Lc. 10, 1-12. 17-20)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi". Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città. I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: "Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome". Egli disse: "Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli".

 

RIFLESSIONE

 

Quando sentiamo leggere brani di Vangelo come quello di oggi, quasi automaticamente scatta in noi il pensiero che riguardino gli addetti ai lavori, missionari, sacerdoti, religiosi, consacrati: sono loro gli autori della missione, i professionisti della predicazione, gli incaricati autorevoli della gerarchia. Proprio il brano odierno, invece, ci fa capire che Gesù affida sì la missione ai dodici apostoli, ma anche a 72 discepoli ( e non lasciamoci neppure trarre in inganno dal numero 72 in quanto esso sta ad indicare il numero delle nazioni conosciute nel mondo ebraico e quindi indica che la missione è proprio rivolta a tutti, senza alcuna esclusione). Dunque, ogni cristiano è missionario, dunque questo discorso missionario di Gesù è rivolto anche a me personalmente. Io da una parte ho bisogno di essere evangelizzato, di cogliere sempre più vitalmente l’annuncio della buona novella ma nello stesso tempo la gioia che essa suscita in me deve diventare motivo di testimonianza e di trasmissione agli altri. E non ci sono scuse: "Ma io non ho ancora una fede matura, perfetta", "Io non so parlare", "Io ho paura"… Gesù ha mandato i settantadue senza far loro prima l’esame di teologia, senza pretendere che fossero già santi; Gesù non ha cambiato il carattere di quegli uomini: si è fidato di loro e dello Spirito che ha dato loro, e li ha mandati. Proviamo, dunque, seguendo passo passo il Vangelo di oggi a scoprire quale può essere la missione della Chiesa e mia. La missione parte dalla preghiera. "Pregate il padrone della messe…" E la preghiera non è tanto dire delle cose a Dio, insegnare a Dio con i nostri imperativi che cosa debba fare perché la missione riesca, è, prima di tutto, rendersi conto che Dio è il padrone della messe e che quindi è Lui per primo ad interessarsi della messe; è poi renderci conto che la missione non parte da noi, da un mio pallino o da un comando della Chiesa, ma è Dio stesso a chiamare e mandare. Se mi rendo conto di queste cose mi rassereno subito. Non sarò allora io con le mie povere parole o con una testimonianza non perfetta a salvare il mondo. A questo ci ha già pensato Dio, per questo Gesù è già morto sulla croce e risorto, per questo lo Spirito Santo sta operando nel mondo con fantasia e forza, io devo solo cercare di rientrare in questo programma di Dio, devo cercare di essere al massimo disponibile a ciò che Lui può volere da me. La preghiera, poi (e se volete, pensate al Padre nostro che Gesù ci ha insegnato), ci aiuta a capire a chi siamo indirizzati. Dio è Padre che mi riempie di gioia ed è anche Padre di ogni uomo a cui sono inviato. Gli altri non sono "infedeli", "cattivi", "nemici", sono miei fratelli, figli dello stesso Padre che ama tutti e ciascuno.

Dobbiamo ricorrere sovente alla preghiera perché senza di essa anche l’apostolato diventa solo mestiere. Gesù dice: "Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi". Qui Gesù non ci fa nessuno sconto, ci dice la difficoltà della testimonianza. Il nemico, il diavolo e quelli che sono con lui, faranno di tutto per crearci difficoltà. Il missionario sa benissimo che non va a fare un viaggio trionfale, che non troverà facili soluzioni a tutti i problemi, che non verrà capito, che per seminare dovrà farlo irrigando il seme con tanto sudore e qualche volta anche con il sangue. Provate a pensare se non è vero. Ad esempio se vuoi essere onesto in un mondo in cui il concetto di onestà è spesso ridotto al fare i propri interessi, passerai per stupido e molti cercheranno di camminare sulla tua testa; se cercherai di dire la tua gioia per la fede, facilmente troverai sorrisi di compassione; se affermerai la verità del Vangelo molti ti diranno come a San Paolo: "Su questo ti ascolteremo un'altra volta". Ma non ci spaventiamo: per questa strada c’è passato prima Gesù ed è proprio Lui, l’Amore incompreso, il Salvatore sofferente, il Crocifisso che perdona i crocifissori che ci dà la forza davanti alle difficoltà. Quali saranno i mezzi per la nostra missione? Noi ci attrezziamo di piani pastorali, di programmi a lungo e medio termine, "studi di mercato", indagini sociologiche, ci equipaggiamo dei più recenti mezzi di comunicazione sociale, scimmiottiamo magari certi predicatori televisivi americani, facciamo conto sull’ ‘audience’, su indici di ascolto, costruiamo case, cattedrali, oratori, che poi il più delle volte rischiano di rimanere vuoti per mancanza sia di personale che di persone interessate davvero alla cosa… "Non portate borsa, né bisaccia, ne sandali". Non è che Gesù ci dica che non dobbiamo pensare a ciò che facciamo, che non dobbiamo cercare di progettare il nostro lavoro, che non dobbiamo usare i mezzi che tutti usano per comunicare, Gesù ci dice che la missione non sono i mezzi. Quanto più uno è carico tanta più è la fatica del camminare. Un saggio prete mi diceva: "Tu preparati, informati, fai di tutto per essere all’altezza del tuo compito, ma poi lasciati portare da Dio dove vuole. La predica preparala nella preghiera nella lettura, nella meditazione… ma poi lascia che Dio ti faccia dire quello che vuole Lui e non quello che vuoi tu". "Non salutate nessuno lungo la strada". Gesù non ci insegna a mancare alla buona educazione, ci dice di non perderci in chiacchiere inutili o in convenevoli stucchevoli e non necessari. La buona notizia non la si porta con le chiacchiere religiose. Spesso noi pensiamo che si convertano le persone con le parole, no! Quella può essere una forma di ipnotismo, ma passa presto, il vero dialogo di fede avviene da cuore a cuore. Non si fa aumentare la fede discutendo di sesso degli angeli, di equilibrismi morali per mettere insieme norme della Chiesa con comportamenti correnti, non fanno crescere la fede i salotti religiosi televisivi dove si parla (spesso uno sull’altro) di tutti gli argomenti della religione o dove si discute, sempre in teoria, di Dio, dei miracoli, del soprannaturale facendo spesso un gran intruglio religioso che alla fine non dà risposta a chi davvero è alla ricerca. Ma cosa devo fare allora come missionario del Vangelo? Prima di tutto portare la pace e la pace di Dio: "Prima dite: pace a questa casa!". Gesù non è venuto a portare tristezza, ma gioia, non è venuto ad annunciare castighi o punizioni, ma redenzione e salvezza. Io sono chiamato a portare la pace; le parole di un cristiano non dividono mai, ma cercano tutto il possibile per unire; il cristiano che pur vede il negativo cerca sempre il positivo. La fede non la si annuncia con il muso lungo, il volto di Dio che dobbiamo manifestare non è quello del Dio irato sempre pronto a castigare, ma del Dio "misericordioso, lento all’ira, grande nell’amore e nella compassione". "Guarite i malati". Prima ancora di dire qualcosa devo farmi prossimo di mio fratello. Il Cristianesimo è prima di tutto liberazione dell’uomo: se mio fratello ha fame, prima del pane Eucaristico devo dargli il pane materiale; se mio fratello è schiavo prima devo fare di tutto per affrancarlo; se mio fratello si è addormentato nella noia e nell’apatia (e penso che oggi siamo mandati soprattutto a tanti di questi fratelli), devo fare di tutto per svegliarlo, per suscitare in lui qualche interesse, per fargli capire che può essere ancora capace di gioia e di entusiasmo. "Dite: il Regno dei cieli è vicino!". Che bella predica. Breve, essenziale. Una predica che tutti noi possiamo essere in grado di fare: Anche coloro che non sanno parlare possono farlo capire… Ma è così? Se un non credente entrasse in questo momento in chiesa e ci vedesse qui riuniti, capirebbe che per noi il Regno di Dio è qui? I nostri volti lo trasmettono adesso e domani mattina in ufficio e in fabbrica? E lo scuotere la polvere davanti a coloro che non accolgono la buona notizia che cosa vorrà dire? E’ un altro modo per dire l’urgenza della conversione. Non è un giudicare il fratello è un dirgli che noi non vogliamo lasciarci cambiare se non da Dio. Ma penso anche che Gesù volesse dire che il missionario deve scuotere da sé la ricerca dei battimani, dei facili applausi, dei consensi per forma, delle adesioni per convenienza perché davvero e sempre appaia la sostanza del Vangelo. La felicità del missionario e mia non sta poi nel vedere i risultati che certamente ci saranno anche se non nella maniera immaginata o voluta da noi, ma è essere sicuri di potere essere collaboratori di Gesù. La parola di Gesù: "I vostri nomi sono scritti nei cieli" non è una speranza solo futura, è una realtà presente e come vorremmo che insieme al nostro nome ci fossero scritti anche i nomi di tutte le persone a cui ciascuno di noi quotidianamente è mandato!

 

 

LUNEDI’ 9

Santa Veronica Giuliani

Parola di Dio: Gn. 28,10-22; Sal. 90; Mt. 9,18-26

 

"GIUNSE UNO DEI CAPI CHE GLI SI PROSTRO’ INNANZI E GLI DISSE: MIA FIGLIA E’ MORTA PROPRIO ORA; MA VIENI, IMPONI LA TUA MANO SOPRA DI LEI ED ESSA VIVRA". (Mt. 9,18)

Ci sono alcuni momenti difficili della nostra vita in cui siamo disposti a tutto, cadono le remore, le paure, le apparenze… Quando nella vita succedono fatti come quello che è capitato all’uomo del vangelo, la morte di sua figlia, si ricorre a tutto, senza ritegno. Noi ci chiediamo: perché sarà andato da Gesù? Per fede? Quale tipo di fede sarà stata la sua? Pensava a Gesù come il Figlio di Dio o come un guaritore? Anche quell’altra donna del Vangelo odierno che voleva toccare il mantello di Gesù pensando che solo con questo gesto sarebbe stata guarita, non aveva forse una fede molto superstiziosa? Domande perfettamente inutili le nostre sia per il fatto che noi non possiamo entrare nel cuore di questi personaggi; ma inutili anche perché sembra che a Gesù non importi molto, almeno all’inizio, la qualità della fede. Lui vede delle persone concrete che hanno una sofferenza e che sono andate a Lui, che hanno fiducia che Lui possa fare qualcosa per loro e le accoglie: sono persone che sono al buio e cercano la luce e Lui è la luce, sono persone che sono malate, cercano salute, vivono le angosce della morte e Lui è la vita. L’importante, sempre, in ogni occasione, è andare da Gesù. Non aspettare di avere la fede pura, non preoccuparti troppo se non conosci il modo giusto di pregare, se non conosci la teologia a menadito o se non conosci tutti i canoni religiosi. Comincia ad andare da Gesù, portagli te stesso, le tue gioie, le tue pene, i tuoi desideri. Invitalo a casa tua e poi lascia che faccia Lui. In ogni caso Egli comincerà a mandar via i cantori della morte e poi, anche se forse non risolverà tutti i tuoi problemi materiali così come tu vorresti, anche se in quel momento ti chiederà poi di purificare la tua fede, stai tranquillo: non ti manderà via, non ti guarderà corrucciato perché non sei ancora perfetto, non ti abbandonerà perché sei ancora peccatore, ma se lascerai che i suoi occhi ti avvolgano con il suo sguardo d’amore, se lascerai che il tuo cuore cominci a battere con il suo, allora vorrà dire che stai già guarendo, stai già risorgendo.

 

 

MARTEDI’ 10

Sante Rufina e Seconda; S. Antonio Pecierskij

Parola di Dio: Gn. 32, 23-32; Sal. 16; Mt. 9,32-38

 

"SCACCIATO IL DEMONIO, QUEL MUTO COMINCIO’ A PARLARE". (Mt. 9,33)

Far parlare i muti non è solo un miracolo concreto che Gesù compie nei confronti di un malato, è uno dei segni messianici che già i profeti avevano annunciato come imminenza della venuta del Salvatore e del Regno definitivo di Dio. Questo muto che comincia a parlare è segno di quella umanità che dopo il peccato non aveva più saputo parlare con il suo Dio. (Ricordate la bella immagine di Dio che, la sera, scendeva nel giardino di Eden per passeggiare e parlare con la sua Creatura?). L’uomo ha perso la comunicazione con Dio. Da solo fa semplicemente delle chiacchiere, anche i suoi gesti rituali in sé dicono poco. Dio, invece, non ha mai smesso di parlare all’uomo e gli ha parlato attraverso la creazione, attraverso la storia della salvezza ed ora gli parla attraverso la sua stessa Parola Incarnata, Gesù, e in Lui si riaprono anche le labbra dell’uomo: Zaccaria, incredulo, rimane muto fino a quando, compiuta la promessa, può parlare per dire il nome nuovo di suo figlio e per glorificare Dio. Noi possiamo parlare, non chiacchierare, ma parlare di Dio e parlare a Dio. Grazie a Gesù è riaperta in maniera piena la nostra comunicazione con Dio: possiamo addirittura chiamarlo: "Padre!". Il miracolo è fatto, ma noi cristiani, siamo consapevoli di averlo ricevuto? Oh, non che non parliamo! Anche di fede, di religione, di morale parliamo, chiacchieriamo, discutiamo, ragioniamo perfino troppo! Qualche volta ci parliamo addosso, ci stordiamo con le parole, ma quante volte ci riscopriamo ancora cristiani muti davanti alle ingiustizie, incapaci di difendere il povero, chiusi nelle nostre case, nei nostri averi, incapaci di vera accoglienza del fratello, cristiani che per paura, per individualismo preferiscono tacere, non compromettersi, non rischiare di testimoniare, rassegnati e con poca speranza; quante volte, anche con Dio incapaci di dialogo, cristiani che preferiscono ancora rifugiarsi nelle formule di preghiera o nel ritualismo ripetitivo piuttosto che capaci di "dare del tu" a Dio e di ascoltare ciò che Lui ci dice negli avvenimenti della nostra vita. Eppure il Signore ci ha già aperto il cuore ed anche la bocca perché riconoscendolo siamo capaci di parlare di Lui e con Lui.

 

 

MERCOLEDI’ 11

San Benedetto, Santa Olga; San Savino

Parola di Dio: Prov. 2,1-9; Sal. 111; Gv.15,1-8

 

"CHI RIMANE IN ME ED IO IN LUI FA MOLTO FRUTTO, PERCHE’ SENZA DI ME NON POTETE FAR NULLA". (Gv. 15,5)

La nostra vita ha un senso? Da dove veniamo? Dove finiremo? C’è qualcosa dopo la morte? La scienza esplora lo spazio, ha condotto l’uomo sulla luna, ma è incapace di darci la minima spiegazione sulla nostra origine e sul nostro destino. Dio, il solo che conosce il cuore umano e tutte le domande che lo agitano, non ha voluto lasciarci senza risposta. Anche se la terra che abitiamo non è che un granello di polvere che pare disperso nell’infinito, non siamo affatto per Lui degli esseri insignificanti. Nelle sue prime pagine, la Bibbia ci insegna che Dio creò l’uomo alla propria immagine. Gli ha dato un’intelligenza capace di sondare i misteri dell’universo, una volontà capace di decidere fra il bene e il male, uno spirito suscettibile di riconoscere il Creatore nelle meraviglie della creazione. L’uomo si è servito magnificamente della propria intelligenza. Ha esplorato la materia, disintegrato l’atomo, raggiunto il cosmo; ma, ricondotto alle dimensioni che gli sono proprie, ignora ancora l’essenziale di ciò che dovrebbe sapere: la vera ragione per cui è sulla terra e il suo avvenire eterno. Più si istruisce, più si perde nei suoi propri problemi. Sa dirigere i suoi missili, ma non sa dirigere se stesso. Per riuscire a fare questo dovrebbe ricominciare ad ascoltare Dio, dovrebbe ricordarsi delle proprie origini, dovrebbe lasciar scorrere in sé la linfa vitale che gli viene da Cristo. E’ solo con Lui che la conoscenza e la scienza assumono il loro vero significato, è solo con Dio che l’uomo può avvicinarsi in punta di piedi al mistero della vita, ma sentendosene parte viva. L’uomo con tutta la sua scienza rischia di essere un piccola formichina nello spazio, ma se si accorge di essere una formichina amata da Dio, in Lui può raggiungere ogni cosa.

 

 

GIOVEDI’ 12

San Giovanni Gualberto

Parola di Dio: Gn. 44, 18-21.23-29: 45,1-5; Sal.104; Mt.10,7-15

 

"NON PROCURATEVI ORO, NE' ARGENTO, NE' MONETA DI RAME NELLE VOSTRE CINTURE, NE' BISACCIA DA VIAGGIO, NE' DUE TUNICHE, NE' SANDALI, NE' BASTONE". (Mt. 10,9)

"E’ possibile – mi diceva un cristiano- che tutte le domeniche, andando a Messa debba sentire il mio parroco chiedere soldi? E’ vero, i poveri sono sempre tanti, ed è un bene che lui ci stimoli ad essere attenti verso loro. E’ vero, la nostra chiesa sta invecchiando e c’è bisogno di ristrutturazioni ma, oggi la giornata del Seminario, domani quella della stampa cattolica, quella del sostentamento clero, e le offerte deducibili, e la cooperazione diocesana, e i calcio-balilla dell’oratorio, e i soldi per il nuovo organo…insomma sembra quasi che solo con i soldi si possano risolvere tutti problemi dell’evangelizzazione e della carità!". Non mi sento di dar torto a questo amico. Spesso noi preti, soli e alle prese con miriadi di problemi amministrativi per tenere in piedi opere nate in altri tempi e con esigenze diverse dalle attuali, ci sentiamo persi davanti ad esigenze più grandi delle nostre possibilità e rischiamo di impiegare gran parte delle nostre forze per le strutture e le cose, ne diventiamo quasi schiavi e allora ci sembra di poter risolvere tanti problemi solo con i soldi. Ma quanto è triste che la Chiesa, il desiderio dell’evangelizzazione, si riducano a questo. Gesù sa benissimo come stanno le cose e chiede ai suoi discepoli di andare in missione armati… di niente! Non è detto che i mezzi moderni della pastorale non servano, non è detto che una chiesa accogliente non sia un buon segno e un buon mezzo per trovarsi a celebrare la propria fede, non è detto che la buona stampa sia inutile… è detto semplicemente che l’annuncio cristiano deve essere fatto da persone deboli che portano però con gioia un messaggio più grande di loro, un messaggio che li supera. E per fare questo bisogna essere liberi, leggeri. Faccio un esempio che mi riguarda: io amo i libri, penso che la lettura di tanti libri mi sia giovata molto nella vita ma in uno degli ultimi traslochi mi sono accorto quanto pesano e quanto spazio ci vuole per sistemarli. La gente, da me prete, vorrà vedere quanti libri posseggo o vorrà vedere trasparire da me il messaggio gioioso e misericordioso di Gesù? Se allora sono riconoscente ai libri, essi non dovranno mai essere un peso, un impiccio alla semplicità del mio annuncio di Cristo. Avessimo tutti il coraggio di liberarci da certe strutture ormai inutili, superate, avessimo noi preti il coraggio di affidare la conduzione materiale di certe istituzioni ai laici che lo sanno fare meglio di noi, quanta più libertà per aver tempo per i fedeli, per annunciare e predicare Gesù e non le cose! La povertà in sé può essere una cosa brutta, ma se la scegli cristianamente, quanto ti senti più leggero e libero!

 

 

VENERDI’ 13

Sant’Enrico; Sant’Anacleto; S. Clelia Barbieri

Parola di Dio: Gn. 46,1-7,28-30; Sal. 36; Mt.10,16-23

 

"SIATE SEMPLICI COME COLOMBE, PRUDENTI COME SERPENTI". (Mt. 10, 16)

Tante pagine del Vangelo ce lo ricordano: Gesù non inganna nessuno, non indora la pillola, dice sempre pane al pane anche quando, come in questo caso, manda i suoi discepoli in missione: "Non troverete vita facile. Sarete come agnelli in mezzo ai lupi (e di solito non è una bella situazione). Il fratello darà alla morte il fratello. Vi consegneranno davanti ai tribunali (e saranno soprattutto tribunali religiosi, quindi vi accuseranno di ateismo e di bestemmia)".

Qual è allora il modo di atteggiarsi davanti a queste difficoltà? "Siate semplici come colombe e prudenti come serpenti". Ancora un contrasto tipico del Vangelo o una forma di sano equilibrio? Come si può essere prudenti e semplici? Gesù certamente non vuole insegnarci il "buon senso del mondo" anzi proprio in questi brani del discorso missionario mette in guardia i discepoli e noi nel confronto di un mondo che nel nome di "sani equilibri" si adagia nel benessere, svende profezie e profeti, toglie di mezzo tutti quelli che non la pensano con una mentalità terrena.

E poi, troppo spesso, si è confusa semplicità con stupidità, perdono con debolezza di carattere, purezza di cuore con mancanza di concretezza, non violenza con debolezza e si è fatto del cristiano uno che vivendo in un "altro mondo" non ha i piedi sulla terra. Gesù, nel Vangelo, ci insegna la semplicità come strada per incontrare Dio e i valori fondamentali della vita, ma ci invita anche ad essere accorti, a saperci difendere, a saper cogliere con furbizia le occasioni di bene; ci insegna a perdonare ma a dire sempre la verità, a porgere l’altra guancia ma a chiedere le motivazioni, a offrire sempre un’altra possibilità ma non a diventare conniventi con il male. La fede cristiana non si fonda sull’abdicare alla realtà umana, ma nell’incarnare nell’umanità una realtà che la supera e la porta al suo vero essere.

 

 

SABATO 14

San Camillo del Lellis; San Ciro

Parola di Dio: Gn. 49,29-33;50,15-24; Sal. 104; Mt. 10,24-33

 

"NON VI E' NULLA DI NASCOSTO CHE NON DEBBA ESSERE SVELATO E DI SEGRETO CHE NON DEBBA ESSERE MANIFESTATO". (Mt. 10,26)

Non so se anche a voi piace, ogni tanto, riguardare i vostri vecchi album di fotografie. L’altro giorno, ne ho sfogliati parecchi; questo mi ha ricordato molti bei momenti passati in famiglia, i paesaggi della mia infanzia, le tante persone care incontrate, i tanti con cui ho potuto percorrete un tratto di strada della vita...In generale, amiamo conservare un ricordo fotografico dei migliori istanti della vita, ma nessuno avrebbe mai l’idea di farsi fare una fotografia quando ciò non risulta vantaggioso e di conservare traccia dei propri momenti negativi: un accesso d’ira, per esempio. Vi piacerebbe che un album vi rimettesse sotto gli occhi tutti i peccati che avete commesso? Non lo guardereste spesso e ancora meno lo mostrereste agli altri. Ebbene, Dio registra le nostre vite per intero. Conosce tutte le nostre azioni, le nostre parole e persino i nostri pensieri. Si ricorda di ogni dettaglio e tutto questo starà con chiarezza davanti a noi e a tutti nel momento del giudizio. Fortunatamente tutto il nostro passato colpevole può essere cancellato. Quelle colpe che abbiamo dimenticato, ma che pesano sulla nostra coscienza, come quelle il cui ricordo ci affligge tanto tempo dopo, possono essere tolte completamente. Dio non si ricorderà più di nessuna di esse. Com’è possibile questo? Mediante il sangue di Cristo. Eravamo condannati, ma il Figlio di Dio è morto sulla croce per noi peccatori. La sua vita offerta ha risposto alla giustizia e alla santità di Dio. "Egli ha fatto la pace mediante il sangue della sua croce" (Col. 1,20). Ora Dio perdona e riceve tutti coloro che vengono a Lui mediante Gesù Cristo. Se noi, dunque, ci affidiamo alle braccia misericordiose di Cristo e in Lui e da Lui desideriamo davvero di essere perdonati, e con Lui ce la mettiamo tutta per ricominciare una vita nuova, siamo davvero e totalmente perdonati e i nostri peccati vengono cancellati definitivamente.

 

 

DOMENICA 15

XV^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C  -  San Bonaventura; S. Vladimiro di Kiev

Parola di Dio: Dt. 30,10-14; Sal. 18; Col. 1,15-20: Lc. 10,25-37

 

1^ Lettura (Dt. 30, 10-14)

Dal libro del Deuteronomio.

Mosè parlò al popolo dicendo: "Obbedirai alla voce del Signore tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge; e ti convertirai al Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima. Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica ".

 

2^ Lettura (Col. 1, 15-20)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi.

Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.

 

Vangelo (Lc 10, 25-37)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, un dottore della legge si alzò per mettere alla prova Gesù: "Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?". Gesù gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?". Costui rispose: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso". E Gesù: "Hai risposto bene; fa questo e vivrai". Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: "E chi è il mio prossimo?". Gesù riprese: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?". Quegli rispose: "Chi ha avuto compassione di lui". Gesù gli disse: "Va’ e anche tu fa’ lo stesso".

 

RIFLESSIONE

 

"Chi è il mio prossimo?".

Direi che è la domanda fondamentale del brano del vangelo odierno.

Quel dottore della legge va da Gesù non tanto per chiedere chi sia Dio, presumeva già di saperlo: aveva la Legge i profeti, gli insegnamenti dei rabbini. Dio, in fondo, lo aveva già inquadrato, chi gli fa difficoltà è il prossimo. Nella legge ci sono diversi comandamenti, quello dell’amore verso tutti, quello dell’amore verso i propri connazionali, e c’è anche la legge del taglione sia per il male che per il bene nei confronti del prossimo. Allora, come la pensa Dio? Per entrare nel Regno che cosa devo fare? Chi è questo prossimo che devo amare per andare in paradiso?

Spesso anche noi siamo come quel dottore della legge. Vorremmo avere delle norme precise, vorremmo sapere con esattezza fino a che punto amare.

Come al solito Gesù non dà una risposta precisa e diretta alla domanda, non stabilisce i limiti in cui si riconosca quale sia il prossimo da amare e il come e il quando dell’amore verso di lui, ma racconta una parabola.

Prima di cadere nel solito luogo comune del dare una interpretazione moralistica alla parabola, proviamo a chiederci un'altra cosa: in questo racconto non si parla direttamente di Dio, di Gesù, ma il Buon Samaritano non sarà prima di tutto proprio Gesù?

Provo a raccontare la parabola in un altro modo:

L’uomo creato da Dio percorreva la strada della vita serenamente, ma, allontanandosi da casa incappò nel diavolo e nel male che gli misero addosso il tarlo dell’egoismo e del possesso, lo spogliarono dei doni che Dio gli aveva dato e lo abbandonarono solo e ferito, incapace da solo di farcela a salvarsi.

Ma Dio non lo abbandonò, l’uomo aveva ancora l’intelligenza per poter trovare Dio, infatti vennero gli uomini di pensiero e di scienza e passarono accanto a quell’uomo ferito, gli dissero, da lontano, che l’uomo era tutto e che l’uomo era niente, gli fecero vedere le cose che la scienza avrebbe fatto, ma la filosofia non curò le ferite e la scienza era troppo orgogliosa di se stessa per fermarsi davanti ad un piccolo uomo ferito e moribondo.

Passarono anche di lì le religioni. Esse erano nate da Dio ed a Dio avrebbero dovuto portare l’uomo, ma le religioni avevano cominciato a lottare tra di loro per dire le une alle altre: "Io sono migliore di te", avevano mistificato e codificato Dio in norme umane che facevano passare per divine, avevano ridotto il rapporto dell’uomo con Dio a formule di preghiera, avevano ammantato la propria ricerca di potere dietro riti misteriosi e approfittavano della paura che incutevano agli uomini. Esse si presero ben guardia di fermarsi davanti all’uomo ferito e umiliato, anzi più esso era peccatore, più era eventuale preda del loro possesso.

Dio allora decise di mandare su Figlio Gesù. Egli non solo provò compassione per l’uomo, ma si fece Lui uomo; non solo diede una formula per curare le ferite ma versò Lui il suo sangue per curarle; non solo non ebbe paura di contaminarsi con il putrido dell’uomo, ma si fece Lui peccato per liberare noi peccatori; non solo tirò fuori qualche moneta ma Lui, venduto per trenta monete, si fece moneta per il nostro riscatto. Ecco, il buon Samaritano è prima di tutto Gesù che non sta a chiedersi se siamo di questa o di quella razza, di questo o di quel partito, se siamo più o meno osservanti, più o meno meritevoli. Non si chiede chi sia suo prossimo, si fa prossimo a ciascuno. Non viene dall’uomo con parole da imbonitore, con filosofie alienanti dalla realtà, con religioni sdolcinate o misteriche dall’effetto placebo, non viene col presupposto di guadarci qualcosa da quello che fa, viene dall’uomo per con -patire tutto, per donare tutto. Ed è proprio attraverso questo modo di leggere la parabola che noi troviamo la risposta di Gesù su chi sia il nostro prossimo. Per Gesù il prossimo non può rientrare in schemi preconcetti: "Vede don Franco, io amo tutti, ma non gli albanesi che sono tutti ladri e stupratori". Il prossimo non serve al cristiano per andare in paradiso: "Io a quello gli tirerei il collo, ma se non lo faccio, poi Dio mi premierà". Il prossimo non è un qualcosa da quantificare nei libri di morale: "Io porgo l’altra guancia, ma se poi la cosa continua ho finito le mie guance e… comincio con le sue". Il prossimo è qualcuno. E’ l’incontro tra due soggetti. E il prossimo non è sempre qualcuno bello, desiderevole, simpatico: è il viandante all’angolo della strada che ti ricorda che in giro ci sono dei briganti che forse vogliono fare la festa anche a te, è quello che magari ti fa perdere tempo, ti toglie dalle tue anche giuste preoccupazione, ti fa spendere tempo e soldi e il più delle volte non ti dà neanche la soddisfazione di dirti un grazie. Il prossimo non è sempre qualcuno che ti viene incontro, spesso è qualcuno che ti trovi inaspettatamente tra i piedi. E se non ci credi prova anche a pensare solo alla tua prima esperienza: la tua famiglia di origine non te la sei scelta tu ma te la sei trovata già preconfezionata nel bene e nel male. La strada più semplice davanti al prossimo è quella dell’indifferenza. Provate a pensare come in fondo sia facile oggi: viviamo in un mondo così grande, così impersonale che è facile nascondersi. E’ facile nascondersi negli alveari delle nostre case ed è facile far finta di non vedere le storie e i problemi di chi ci abita vicino. E’ facile nascondersi nelle nostre scatole con quattro ruote e tirare diritto davanti ai problemi di chi è fermo lungo la strada. E’ facile guardare alla televisione gli immensi problemi dell’umanità e girare canale dicendo: "Ma, intanto, io che cosa ci posso fare?" Il prossimo diventa vicino solo quando noi riusciamo ad avvicinarci a lui. E’ questo quello che fa il buon Samaritano: vede, prova compassione, dimentica se stesso, si fa vicino. Amare vuol dire abolire le distanze. Vuol dire smetterla di dire: "Ma perché tocca proprio a me", o "Fin dove sono obbligato", ma cominciare a chiederci: "Che cosa si aspetta da me quella persona", vuol dire smetterla di pensare a se stessi, alla propria salvezza, ai propri codici morali, e cominciare a vedere l’altro, brutto fin che si vuole, ma persona che mi chiede qualcosa. L’egoista vede le barriere che dividono, si pone mille interrogativi sul modo di "fare la carità" e non riesce a vedere l’uomo che intanto sta morendo. Quanto siamo bravi, anche nei nostri gruppi caritativi a codificare i nostri interventi verso gli altri: "Quelli son meritevoli, quelli no", "Quello è un povero pulito, a lui possiamo dare di più mentre quell’altro… beh, togliamocelo dai piedi il più in fretta possibile e senza tante storie" "Chi è il mio prossimo?" ha chiesto il dottore della legge e chiediamo noi. Gesù capovolge la domanda: "Chi è stato prossimo per l’uomo incappato nei briganti" e non ci si può tirare indietro, non si può mettersi a fare discussioni, accademie, perché Gesù ci dice: "Va’ e fa’ lo stesso". Un po’ come se ci dicesse: "Adesso sai, hai capito che non si tratta di aggiungere uno schema in più per definire il prossimo, non si tratta neanche di un dovere per andare in paradiso, si tratta di aprire gli occhi, e se vuoi questo puoi farlo, puoi toglierti gli occhiali scuri, puoi provare a guardare negli occhi il tuo prossimo, anche se non è esattamente secondo le tue prospettive, puoi far cadere le barriere che la tua paura e il tuo egoismo hanno innalzato e finalmente puoi incominciare a muoverti verso lui per fare quello che puoi.

E, guarda la sorpresa, mentre finalmente hai messo al centro il tuo prossimo ti accorgi anche che lui ed Io siamo la stessa persona".

 

 

LUNEDI’ 16

Beata Maria Vergine del Monte Carmelo; Santa Elvira

Parola di Dio: Es. 1,8-14.22; Sal. 123; Mt. 10,34-11,1

 

"E CHI AVRA’ DATO ANCHE SOLO UN BICCHIER D’ACQUA AD UNO DI QUESTI PICCOLI PERCHE’ E’ MIO DISCEPOLO, NON PERDERA’ LA SUA RICOMPENSA". (Mt. 10,42)

"Che cosa ci posso fare io davanti ai milioni di uomini che muoiono di fame? E’ triste che nel mondo di oggi ci siano ancora migliaia di lebbrosi che muoiono per una malattia che può essere facilmente debellata, ma che posso farci io? Non spetta a me! E’ ben triste vedere bambini ai semafori per chiedere un’elemosina sapendo che sono trattati da schiavi, ma io che posso fare? La mia è una goccia d’acqua in confronto al mare…". Eppure Gesù per sfamare le folle si è servito del dono di un ragazzino che gli ha dato i suoi pochi pani e pesci; nel Vangelo di oggi parla di un bicchier d’acqua: un bicchier d’acqua è una piccola cosa. Non ti tocca neppure nel portafoglio. Eppure, nel Vangelo, anche un bicchier d’acqua ha il suo significato. Tutto ciò che è amore ha senso profondo, nulla va perso nell’immensità di Dio. Davanti al bisognoso di qualunque cosa non conta se hai la possibilità di risolvergli tutti i suoi problemi o se puoi risolvere problemi più grandi delle tue possibilità, conta la disponibilità, il sentirsi coinvolti, il dare con amore anche le piccole cose. E’ molto incoraggiante per me che nel Vangelo si parli del bicchier d’acqua perché se mi trovo sempre spiazzato di fronte ai gesti di amore e di carità dei grandi santi, almeno davanti al bicchier d’acqua non posso esimermi. E sono tanti i "bicchier d’acqua" che ogni giorno posso offrire: un sorriso invece di una faccia truce, una cortesia invece di uno sbuffo, un silenzio invece di una rispostaccia, una parola di incoraggiamento invece di un rimprovero, un interessamento al posto di un freddo burocratismo… Coraggio, un "bicchier d’acqua" possiamo offrirlo tutti.

 

 

MARTEDI’ 17

Sant’Alessio; Santa Marcellina

Parola di Dio: Es. 2, 1-15; Sal. 68; Mt. 11,20 –24

 

"GESU’ SI MISE A RIMPROVERARE LE CITTA’ NELLE QUALI AVEVA COMPIUTO IL MAGGIOR NUMERO DI MIRACOLI". (Mt. 11,20)

L’ingratitudine è una di quelle cose che maggiormente ci fanno soffrire, eppure noi con Dio, qualche volta, ci comportiamo così. Spesso le nostre giornate passano senza neppure che noi siamo consapevoli che esse sono un dono gratuito di Dio. Eppure, se io non fossi nel pensiero di Dio, anche solo per un istante, io non ci sarei più. Ci lamentiamo dei piccoli ‘bubù’ o di quelle cose che ci mancano e invece ci dimentichiamo di avere in dono un cuore che batte, l’aria che respiriamo, il sole che sorge… Anche nei confronti diretti di Dio ci lamentiamo della sua misteriosità, del suo apparente essere lontano dalla vicende terrene, imputiamo spesso a Lui la colpa della morte dell’innocente, della sofferenza del giusto, della fame, delle pestilenze e non ci accorgiamo della sua continua, paterna, non invadente presenza; non ci rendiamo conto che Lui è l’innocente che è stato condannato, che è Lui che ha sofferto e che soffre per dare senso alla nostra sofferenza. Chiediamo segni e miracoli quando noi stessi, il mondo in cui viviamo, le persone che incontriamo sono un segno e un miracolo continuo. Noi siamo irriconoscenti perché non siamo consapevoli. Ecco come Antony de Mello ci invita a risvegliarci, a prendere coscienza e di conseguenza a diventare consapevoli e riconoscenti per tutti i doni ricevuti: "Spiritualità significa risveglio. La maggior parte delle persone, pur non sapendolo, sono addormentate. Sono nate dormendo, vivono dormendo, si sposano dormendo, allevano i figli dormendo, muoiono dormendo, senza mai svegliarsi. Non arrivano mai a comprendere la bellezza e lo splendore di quella cosa che chiamano esistenza umana. Sapete, tutti i mistici — cattolici, cristiani, non cristiani, quale che sia la loro teologia, la loro religione — concordano su una cosa: che tutto va bene, tutto va bene. Sebbene regni il caos, tutto va bene. Certo, è uno strano paradosso. Purtroppo però la maggior parte della gente non arriva mai a capire che tutto va bene, perché è immersa nel sonno. Ha un incubo. Svegliatevi, svegliatevi! Siete adulti. Siete troppo grandi per dormire. Svegliatevi! Smettete di trastullarvi con i vostri giocattoli. La gente vuol soltanto aggiustare i propri giocattoli rotti. «Ridatemi mia moglie. Ridatemi il mio lavoro. Ridatemi i miei soldi. Ridatemi la mia reputazione, il mio successo». Svegliarsi è spiacevole, sapete. Uno se ne sta lì nel letto, bello comodo. E irritante essere svegliato... ma è anche solo svegliandoci che comprenderemo chi siamo, che cosa abbiamo e forse impareremo anche noi che "tutto va bene".

 

 

MERCOLEDI’ 18

Sant’Arnolfo; San Federico; S. Marina

Parola di Dio: Es. 3, 1-6.9-12; Sal. 102; Mt. 11,25-27

 

"TI BENEDICO, O PADRE, PERCHE' HAI TENUTO NASCOSTE QUESTE COSE AI SAPIENTI E AGLI INTELLIGENTI E LE HAI RIVELATE AI PICCOLI". (Mt.11,25-26)

E’ bello vedere come Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, sa stupirsi e meravigliarsi dell’opera di Dio e il suo stupore diventa lode. Chi è abituato a vedere nella natura e nella storia l’opera di Dio non ha bisogno di entrare in una chiesa per lasciare sgorgare dal proprio cuore la preghiera e la lode. Gesù loda il Padre perché si rivela ai piccoli, ai poveri. L’enormemente grande si manifesta all’enormemente piccolo, il potente si serve dell’impotenza, il Santo è riconosciuto dai peccatori. E’ lo stesso stupore adorante di Maria che vede abbassati i potenti e innalzati i miseri, che ringrazia Colui che ha fatto cose grandi in Lei, guardando alla povertà della sua serva.

 

Un uomo aveva sempre il cielo dell’anima coperto di nere nubi. Era incapace di credere alla bontà. Soprattutto non credeva alla bontà e all’amore di Dio. Un giorno mentre errava sulle colline che attorniavano il suo villaggio, sempre tormentato dai suoi scuri dubbi, incontrò un pastore. Il pastore era un brav’uomo dagli occhi limpidi. Si accorse che lo sconosciuto aveva l’aria particolarmente disperata e gli chiese: «Che cosa ti turba tanto, amico?». «Mi sento immensamente solo». «Anch’io sono solo, eppure non sono triste». «Forse perché Dio ti fa compagnia...». «Hai indovinato». «Io invece non ho la compagnia di Dio. Non riesco a credere al suo amore. Com’è possibile che ami gli uomini uno per uno? Com’è possibile che ami me?». «Vedi laggiù il nostro villaggio?» gli disse il pastore. «Ne vedi ogni casa? Vedi le finestre di ogni casa?». «Vedo tutto questo». «Allora non devi disperare. Il sole è uno solo, ma ogni finestra della città, anche la più piccola e la più nascosta, ogni giorno viene baciata dal sole, nell’arco della giornata. Forse tu disperi perché tieni chiusa la tua finestra».

 

Se avessimo capito anche noi fino in fondo la logica del modo di operare di Dio, quanto saremmo più semplici e più felici!

Perché correre fino a sfiancarci per cose che passano; perché fidarci unicamente della nostra intelligenza limitata e del nostro potere senza senso? Mosè era balbuziente, Davide un pastore, Gesù un uomo morto in croce, Pietro un peccatore, Don Bosco un contadino, Domenico Savio un bambino... eppure Dio ha fatto cose grandi in loro e attraverso loro!

 

 

GIOVEDI’ 19

Santa Macrina; Sant’Epafra

Parola di Dio: Es. 3,13-20; Sal. 104; Mt. 11,28-30

 

"VENITE A ME VOI TUTTI CHE SIETE AFFATICATI E OPPRESSI E IO VI RISTORERO’". (Mt. 11,28)

Quanti motivi per essere "affaticati e oppressi"! Non solo la vita, specialmente quella odierna è una corsa continua che spesso ti lascia spossato ma è sempre più facile essere angariati dai potenti, delusi dalle persone e dalle cose… perfino nella fede ci sono momenti di stanca in cui non sai più quale sia la strada.

E’ soprattutto duro sopportare l’incertezza. Lo sa chi aspetta da parecchio tempo notizie di parenti o di amici che vivono lontano. E’ altrettanto duro quando si deve aspettare l’esito di un’analisi medica. Le preoccupazioni ci colpiscono così facilmente e a volte abbiamo anche a che fare con la paura vera e propria. Che cosa ci può meglio aiutare in queste situazioni di paurosa attesa?

La fiducia nel Signore e nella sua Parola.

Lui solo può calmare i nostri cuori con il dono di se stesso e con le promesse che ci fa nella Bibbia. Se ci appoggiamo sulla dichiarazione del Signore che Egli vuoI essere con noi ogni giorno e che non ci lascerà mai, né ci trascurerà, allora scompare la paura dell’ignoto che sta dinanzi a noi.

Dobbiamo anche tener presente, per la fede, che Dio pensa solo a farci del bene, perché siamo i suoi figli. Perciò Egli terrà la sua mano protettrice su di noi.

La nostra fiducia in Dio deve riguardare sia le cose note della nostra vita sia quelle che ci sono ancora sconosciute. Il domani può portare quello che vuole, il nostro Dio è anche il Dio del domani. E’ il Dio che conosce il nostro futuro insicuro e ne sta al di sopra. In qualunque situazione veniamo a trovarci, Egli non ci abbandona.

Gesù ci invita ad andare a Lui, a riscoprire la sua presenza, a rispolverare la gioia liberante del vangelo, a riscoprire l’avventura esaltante della vita giocata per Lui. Riposarsi in Cristo significa tutt’altro che addormentarsi, è invece ritrovare energie nuove che ci vengono da Lui, è "fare il pieno" per ripartire sempre come se fosse il primo giorno in cui abbiamo scoperto l’amore di Dio per noi.

 

 

VENERDI’ 20

Sant’Elia; S. Aurelio di Cartagine

Parola di Dio: Es. 11,10 -12,14; Sal. 115; Mt. 12,1-8

 

"SE AVESTE CAPITO CHE COSA SIGNIFICHI: MISERICORDIA IO VOGLIO E NON SACRIFICIO, NON AVRESTE CONDANNATO PERSONE SENZA COLPA".

(Mt 12,7)

Ci diciamo persone civili. Chissà come mai nel mondo allora, e anche nella Chiesa di Gesù, ci sono ancora tante lotte e guerre di religione! Dovremmo aver capito tutti, ormai, che Dio è un Dio di Amore, che non siamo noi, poveri uomini, a dover "difendere" la religione, che è più importante l’uomo che non l’etichetta religiosa che porta, che l’intransigenza religiosa ha fatto e fa danni incalcolabili, eppure siamo ancora alle divisioni, alle contrapposizioni, alle guerre di religione (per Dio o per il potere?).

"Misericordia io voglio e non sacrificio" ci dice Gesù. Vale di più una Messa detta perché gli altri si convertano alla mia religione o un cattolico e un protestante che pur mantenendo il loro credo, solidarizzano, magari per aiutare un extracomunitario che ha una fede ancora diversa dalla loro? Vale di più allontanare definitivamente certe persone nel nome di un codice di diritto canonico, o cercare di comprendere il problema di chi ti sta davanti cercando di non spegnere quella "piccola fiammella esitante"? E in famiglia, vale di più la rottura per presunti motivi di intransigenza religiosa o la mitezza e la pazienza che prova ogni giorno a ricostruire valori comuni?

Sapete perché viviamo ancora in mezzo a queste intransigenze, legati a queste norme? Sia perché non abbiamo ancora scoperto Dio e la sua libertà, sia perché preferiamo ancorarci a ciò che conosciamo piuttosto di andare avanti. Ecco un racconto che può sembrare una barzelletta, ma che, se ci pensiamo bene, ha molto da insegnarci.

Un giorno i vicini di casa di Mullah, lo videro più che mai intento a cercare qualcosa, a cercare per terra. Guardava… guardava, ma sembrava non trovare quello che cercava. Qualcuno gli si avvicinò e gli disse: "Mullah, è un po’ di tempo che ti osservo; vedo che stai cercando qualcosa che non trovi. Ti serve un aiuto?".

Mullah non rispose e continuò la sua ricerca, sempre più concentrato ed anche sempre più scocciato… Le ore passavano e il poveretto continuava a cercare frugando invano tra le pietre che formavano il cortile di casa mentre la ricerca si spostava sempre più verso il terreno sabbioso circostante.

Un altro amico gli chiese: "Senti Mullah! Si può almeno sapere che cosa stai cercando? ". "La chiave di casa!", fu la risposta appena borbottata da Mullah. "La chiave di casa? E’ una cosa seria allora…", soggiunse l’amico; e piano piano si raccolse una folla di gente, di vicini, di curiosi, di passanti, e ognuno esplorava un pezzetto di terra, nella speranza che questa benedetta chiave saltasse fuori.

Il Muezzin, dall’alto del minareto, chiamò il popolo alla preghiera di mezzogiorno, mentre i risultati della ricerca continuavano ad essere ancora nulli. Pian piano le ore passavano… Mullah, a testa bassa, procedeva nella sua ricerca, ma chi lo aiutava cominciò a stancarsi. Alla fine rimase soltanto un amico con lui, che con pazienza e ostinazione voleva dare un aiuto al povero Mullah.

Il Muezzin chiamò alla preghiera del pomeriggio e il sole radente si avvicinava al momento del tramonto. Le ombre si erano notevolmente allungate e la fatica di quella ricerca senza frutti si faceva ormai sentire sempre più.

Era l’imbrunire, quando l’amico alzandosi a stento in piedi, con la schiena rotta dalla fatica, gli disse: "Senti Mullah…, ma sei proprio sicuro di aver perso la chiave di casa proprio qui fuori?". Mullah si fermò improvvisamente in quella ricerca ossessiva, alzò la testa, e con un’espressione un po’ stranita disse: "La chiave? No, non l’ho persa qui fuori, l’ho persa dentro casa!!!"

L’amico rimase senza fiato e sbalordito soggiunse soltanto: "Ma allora, perché l’abbiamo cercata per tutto questo tempo qui fuori?".

"Perché dentro casa è molto buio" - rispose Mullah.

E’ un racconto che mi ha sempre fatto riflettere molto. E’ vero, è difficile cercare dentro di noi, perché quando provi a frugare tra le cose del cuore, beh, inevitabilmente trovi delle grandi zone d’ombra e, in maniera un po’ sciocca e un po’ banale, si preferisce cercare là dove tutto sembra più semplice, anche se quella ricerca non andrà a buon fine, perché non è quella la zona in cui cercare.

 

 

SABATO 21

San Lorenzo da Brindisi; Santa Prassede

Parola di Dio: Es. 12,37-42, Sal. 135; Mt. 12,14-21

 

"NON CONTENDERA', NE' GRIDERA'… LA CANNA INCRINATA NON SPEZZERA', NON SPEGNERA' IL LUCIGNOLO FUMIGANTE". (Mt. 12,19-20)

San Matteo legge la storia di Gesù alla luce delle profezie, ed è veramente facile applicare queste parole del profeta Isaia al Messia; diventa forse un po’ più difficile applicarle ai cristiani che oggi nel mondo dovrebbero continuare a rappresentarlo. Gesù non ha incentrato tutto il suo operato sulle parole: Egli è la Parola, le parole con cui comunica non sono altro che la manifestazione di ciò che Egli è. Gesù non cerca il battibecco, la diatriba, la discussione per la discussione e, anche quando i Giudei lo invischiano in chiacchiere, problemi, pur rispondendo (magari anche con molta ironia) riporta sempre la discussione su scelte pratiche di vita, sull’annuncio delle opere del Signore e non su sterili discussioni che dividono solo gli animi e non costruiscono un bel nulla. E noi cristiani, su che cosa fondiamo la nostra fede e la nostra testimonianza? Siamo uomini di parole o gli uomini della Parola? Chiesa, annunci te stessa o Gesù Cristo? Sono più importanti le norme o le persone? Ci interessano di più i salotti religiosi televisivi dove si discute di tutto, ci si sente ‘teologi’ e ci si alza senza aver cambiato di una virgola nel nostro modo di vivere la fede, che non una ricerca magari faticosa, ma vissuta nella quotidianità, della presenza del Cristo vivo in mezzo a noi? Preferiamo discutere di religione o cercare di manifestare concretamente la fede?

Gesù non è venuto per condannare ma per salvare, non è venuto per coloro che si ritengono giusti ma per i peccatori, non ha cercato la fede pura, si è accontentato per poter operare anche di una fede magari un po’ superstiziosa. Quante volte noi, invece di seguire Gesù, vogliamo passargli davanti e decidiamo noi di essere giudici della fede altrui. Quante volte si tranciano giudizi decretando che la fede di certe persone che frequentano santuari e ceri votivi, è solo superstizione. Gesù, invece, guarda un po’, gli unici che giudica ipocriti sono i maggiorenti della religione, ed anche in questo caso lo dice con speranza di conversione da parte loro. Non sarebbe giusto che anche noi la smettessimo di giudicare la fede altrui, e invece ci dessimo da fare per far emergere il bene e la fede che c’è in ciascuno? Quanto è facile stroncare un uomo, uccidere la speranza! Quanti ragazzi avrebbero voluto sentirsi dire dai genitori: "Riprova ancora. Nonostante tutto lo sai che ci sono io e ti voglio bene", e invece sono stati delusi da un: "Non vali proprio niente... sei sempre il solito.., lascia perdere, non ci si può mai fidare di te, faccio io, tu non sei capace". E anche nella confessione quante persone avrebbero capito la misericordia del Signore se invece di sentirsi tuonare addosso le fiamme dell’inferno, avessero trovato nel sacerdote l’invito all’impegno che nasce dal perdono di Dio paziente e misericordioso.

Gesù non stroncava se non coloro che pensavano di essere già dei super—giusti. Gli è bastato uno sguardo e un invito all’amore per recuperare Pietro, gli basta un po’ di fede per operare miracoli. Ed anche oggi, nonostante tutto, è disposto ad aver ancora fiducia in me e in te.

 

 

DOMENICA 22

XVI^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C  -  Santa Maria Maddalena

Parola di Dio: Gn. 18,1-10; Sal. 14; Col 1,24-28; Lc. 10, 38 - 42

 

1 ^ Lettura (Gn. 18, 1-10)

Dal libro della Genesi.

In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: "Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l'albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo". Quelli dissero: "Fa’ pure come hai detto". Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: "Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce". All'armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l'albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: "Dov'è Sara, tua moglie?". Rispose: "E` là nella tenda". Il Signore riprese: "Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio".

 

2^ Lettura (Col. 1, 24-28)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi.

Fratelli, sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di realizzare la sua parola, cioè il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi, speranza della gloria. E` lui infatti che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con ogni sapienza, per rendere ciascuno perfetto in Cristo.

 

Vangelo (Lc. 10, 38-42)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa.

Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: "Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". Ma Gesù le rispose: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta ".

 

 

RIFLESSIONE

 

La prima lettura e il Vangelo di questa domenica ci aiutano a riflettere sul tema caro specialmente ai popoli antichi e particolarmente caro a noi cristiani, il tema dell’accoglienza.

Abramo accoglie con tipica premura orientale questi tre misteriosi personaggi che sono Dio stesso, la casa di Betania diventa il luogo di gioiosa accoglienza di Gesù e dei suoi amici.

Dio si trova bene, sotto la tenda di Abramo, Gesù nella casa di Lazzaro, Marta e Maria, ha un oasi di amicizia vera e profonda nel suo peregrinare. Dio cerca la nostra intimità, Dio continua a bussare alla porta del nostro cuore, è suo desiderio donarci se stesso in momenti di comunione profonda.

Ma c’è modo e modo di accogliere.

Si può essere accoglienti per dovere o per spontaneità.

Oggi è già un gran gesto quello di aprire la porta di casa, ma non basta per essere accoglienti, siamo noi che dobbiamo aprirci all’altro, che dobbiamo abbandonare le maschere, le difese, che dobbiamo essere disponibili davanti all’altro.

Oggi qualcuno pensa che l’accoglienza sia un modo per avere rapporti sociali di un certo livello e pensa allora che un buon padrone di casa, per fare la sua bella figura, per essere all’altezza dei tempi, deve essere uno che ha da offrire e da esibire delle cose; però, proprio per mantenere una certa superiorità sull’altro lo si tiene quasi a distanza, difficilmente ci si lascia andare, c’è una certa diffidenza, una paura a comunicare veramente.

Questa non è accoglienza vera perché manca di genuinità, di spontaneità ed anche di gratuità, infatti quando si strumentalizza l’altro per i propri fini, quando si vuol ‘guadagnare’ qualcosa da lui, non lo si rispetta nel suo essere ma lo si considera per quello che ci interessa. In questo l’altro entra in casa nostra, ma non è al centro del nostro interesse, è accolto per quello che penso di ottenere da lui e non per quello che egli è.

Proviamo a rileggere l’episodio di Betania per comprendere come Gesù si sia posto davanti all’accoglienza delle due sorelle.

Primo aspetto: Gesù desidera e accetta di essere accolto da Marta e Maria.

Per la nostra mentalità non sembra esserci nulla di straordinario, per la mentalità dei contemporanei di Gesù, apostoli compresi, era scandaloso. Vi ricordate come i discepoli "rimasero meravigliati" quando al pozzo di Giacobbe videro Gesù dialogare con la Samaritana e come questa donna, stupita da questo dialogo inatteso, rimbecca Gesù dicendogli: "Come mai tu Giudeo chiedi da bere a me che sono una donna e una samaritana?".

A Betania Gesù non va solo per parlare con Lazzaro, va anche per stare con Marta e con Maria. L’episodio di oggi poi ci fa vedere Maria nell’atteggiamento tipico del discepolo: è in ascolto, seduta ai piedi di Gesù. Se pensate che i rabbini di allora dicevano che "è meglio bruciare la Torà (la legge) piuttosto che insegnarla a una donna", capite quanto straordinario doveva essere per quel tempo l’atteggiamento di Gesù.

Secondo aspetto: Marta (il nome significa: "Signora della casa") fa di tutto per accogliere bene Gesù. E’ una che si dà da fare. Non per motivi egoistici o di apparenza vuol fare bella figura ma ama, è riconoscente a Gesù che è entrato in casa sua e quindi si preoccupa di offrirgli il meglio sia di cose che di pranzo.

Andiamoci piano a stigmatizzare la figura di Marta. In fondo basta ricordare il Vangelo di domenica scorsa per capire che Marta è una di quelle persone che ha capito che la fede non è fatta solo di parole, che l’amore è "andare e fare lo stesso", come il buon samaritano. Gesù non rimprovera di certo a Marta il suo agire e il suo amore che si trasforma in fatti. Le rimprovera la fretta.

Anche oggi Gesù non ci rimprovera se abbiamo desiderio di fare, di mettere in pratica, di trasformare in azioni ben precise il nostro amore. Ci rimprovera invece per la nostra fretta.

Il mondo di oggi corre sempre più in fretta.

Prova a pensare: sei mesi fa hai comprato un computer e ti sembrava con questo di essere entrato in un mondo fatto di progresso, di velocità, un mondo che senza questo mezzo ti stava sfuggendo di mano, ora, come dicono, quel computer è ‘obsoleto’ cioè vecchio, superato. Sono bastati pochi mesi eppure una cosa nuova che magari hai imparato solo in parte ad usare, se vuoi essere aggiornato, deve ormai lasciare spazio alle "macchine della nuova generazione". Anche come cristiani, qualche volta sembriamo rincorre il mondo: il catechismo fatto come si faceva dieci anni fa non va più bene; la nuova evangelizzazione deve prendere il posto della vecchia (quasi che la buona novella di una volta sia un po’ meno buona di quella di adesso, quasi che Gesù dipenda non tanto dal dono di se stesso che ci ha fatto una volta per tutte, ma dalle mode dei preti dell’ultima generazione), la preghiera se vuol essere tale deve essere solo come quella che fanno in quel determinato convento, in quel gruppo, con quel prete, pregando con le mani in quella posizione si ottiene davvero lo Spirito Santo. "Fermati!" dice Gesù al mondo di oggi e al cristiano super impegnato di oggi. Non è correndo che cresci più in fretta. Non è rinnovando in continuazione che fai crescere con armonia la tua personalità o la tua fede.

A Dio non importano le mode (lui ti ha creato nudo) e neppure quelle religiose (Lui guarda alla fede e non tanto alle apparenze religiose). Non importa che l’uomo sia arrivato a camminare sulla luna e che forse nel giro di qualche decennio arriverà a Marte se poi si è dimenticato di come si fa a scendere nella propria anima. L’uomo che corre sempre rischia di correre dietro alle cose dimenticandosi di se stesso, dei propri valori, degli altri e dell’Altro, il cristiano, il prete, il vescovo che vuole fare il "prezzemolino" cioè essere presente a tutto, rischia di esserci fisicamente ma di non combinare nulla né di portare nulla perché porta solo il suo vuoto addobbato di parole. Non basta essere efficientisti se poi si è perso lo spirito, se non sai più ascoltare, contemplare, adorare, pregare. Non serve a nulla il tuo correre verso un futuro se non sai gustare il presente, non serve a nulla inebetirsi delle cose se poi non sai gioire per il canto di un uccello, per un giorno di sole o di pioggia che ti è donato. Stai correndo… ma solo verso un infarto. Non basta aumentare il numero di conoscenze (un dischetto da computer conosce più nozioni di quante tu possa accumularne in una vita) se poi hai perso la tua coscienza. Fermati, cristiano super impegnato in mille attività e accorgiti che il fratello prima di cose, anche belle, ha bisogno di trovare te. Fermati perché Gesù è in casa tua, ma tu lì non ci sei mai. Impara di nuovo a meravigliarti, a lasciarti sorprendere dalle cose semplici, a capire che l’essenza delle cose non sta nell’involucro delle parole in cui le avvolgi. Abbi il coraggio di "perdere tempo", di metterti ai piedi di Gesù, come Maria, per ascoltare gioioso e meravigliato quello che Lui ha da dirti. Forse all’inizio, non più abituato, ti sembrerà di non sentirlo, di non capirlo, ma se ha i un po’ di costanza comincerai a sentire parlare anche il silenzio. E non preoccuparti, Gesù non vuole farti diventare come una suora di clausura. Dopo che ti avrà parlato ti manderà a fare cose meravigliose, ma questa volta il tuo agire non sarà più solo un correre, ma un portare. Porterai te stesso, la tua coscienza, i tuoi valori, saprai accogliere gli altri per quello che sono e non per quello che vorresti fossero, porterai soprattutto Colui che ti ha riempito il cuore: Gesù

 

 

 

LUNEDI’ 23

Santa Brigida; Sant’Apollinare

Parola di Dio: Es. 14,5-18; Cant. Es 15,1-6; Mt. 12,38-42

 

"MAESTRO, NOI VORREMMO CHE TU CI FACESSI UN SEGNO". (Mt. 12,38)

Quando scribi e farisei chiedono a Gesù un segno, Egli aveva già compiuto molti miracoli. Ma davanti ai miracoli c’era chi aveva creduto e chi ancora di più aveva preso Gesù per un millantatore, per un impostore.

La fede non si fonda sui miracoli ma sulla accettazione di una persona. I miracoli, al massimo, possono confermare la fede.

Chiedono a Gesù dei segni ed Egli non dà altro segno che quello della sua croce.

Oggi, spesso, la croce è diventato un segno abitudinario e ornamentale. Portiamo croci d’oro o di legno (a volte secondo la moda), spesso ci facciamo il segno di croce senza neppure pensare a che cosa significhi "segnarci" con la croce.

Eppure la croce è anzitutto segno di sofferenza, di cattiveria, di morte, è una triste invenzione sadica degli uomini.

In Gesù la croce diventa segno di amore sofferente donato.

Per gli uomini è segno di salvezza: "Guarderanno a colui che hanno trafitto".

Segnarci con la croce significa adorare colui che ha dato la vita per noi, accettare di unire le nostre croci alla sua, riconoscere il nostro peccato che lo ha crocifisso e accettare con umile gioia il perdono che dalla croce Gesù ci ha donato. Non è allora tanto importante spargere in tutti i luoghi il segno esteriore della croce di Gesù (certamente può essere un forte richiamo) quanto manifestare nella nostra vita la salvezza che questa croce ci ha donato.

 

 

MARTEDI’ 24

Santa Cristina di Bolsena

Parola di Dio: Es. 14,21-31; Cant. Es 15,8-10.12.17; Mt. 12,46-50

 

"ECCO MIA MADRE ED ECCO I MIEI FRATELLI; POICHE' CHIUNQUE FA LA VOLONTA' DEL PADRE MIO CHE E' NEI CIELI, QUESTI E' PER ME FRATELLO, SORELLA E MADRE". (Mt. 12,50)

Gesù, più volte, aveva sottolineato che per essere discepoli bisogna staccarsi dal passato, "bisogna lasciare padre e madre" e aveva insistito ancor di più quando aveva detto di non esser venuto a portare la pace come la intende il mondo ma, anzi, che a causa del suo nome "i padri insorgeranno contro i figli e i figli contro i padri".

Non è che Gesù ci dica di non amare la nostra famiglia o voglia sminuire ogni rapporto familiare: Gesù non ha abrogato il quarto comandamento, anzi lo ha portato a compimento nella legge dell’amore più puro e il primo prossimo sono proprio coloro che ci sono particolarmente vicini. Non è neppure che Gesù non ami profondamente Maria, ma per Lui, ora, non è importante sottostare alla volontà della sua famiglia ma fare la volontà di Dio; ed esaltando coloro che cercano di fare come Lui, fa il grande elogio di sua Madre che per tutta la vita ha realizzato il suo: "Avvenga di me secondo la tua parola".

Rivelazione straordinaria! Il discepolo è un "parente di Gesù", io sono parente di Gesù. Gesù offre la calda intimità della sua Famiglia agli uomini. Tra Dio e gli uomini non ci sono più solamente freddi rapporti di obbedienza e sottomissione come tra un padrone e gli schiavi. Al seguito di Gesù noi entriamo nella Sacra Famiglia e la caratteristica che ci distingue è quella di cercare e di compiere la volontà di Dio.

Cercare e fare la volontà di Dio è entrare in intima comunione con Lui e allo stesso tempo entrare in comunione con gli innumerevoli fratelli e sorelle che anch’essi cercano di fare questa stessa volontà. Cercando la sua volontà, in tutti gli atti della mia giornata, io sono unito a tutti i "santi" della terra, a tutti i discepoli di Gesù che sono sparsi in tutti i paesi del mondo. E Maria, che fa la volontà di Dio alla perfezione, è allora davvero nostra Madre.

 

 

MERCOLEDI’ 25

San Giacomo; San Cristoforo

Parola di Dio: 2Cor. 4,7-15; Sal. 125; Mt. 20,20-28

 

"COLUI CHE VORRA’ DIVENTARE GRANDE FRA VOI, SI FARA’ VOSTRO SERVO E COLUI CHE VORRA’ ESSERE IL PRIMO TRA VOI SI FARA’ VOSTRO SCHIAVO, APPUNTO COME IL FIGLIO DELL’UOMO". (Mt. 20, 27-28)

Ieri abbiamo riscoperto che essere discepoli di Gesù significa entrare a far parte della sua Famiglia, sentirsi ed essere veramente Figli di Dio e perciò fratelli di ogni uomo. Oggi ci vien detto che in questa famiglia pur essendoci ruoli diversi non ci sono però gerarchie onorarie: i Figli maggiori e quelli minori hanno tutti la stessa dignità, siamo tutti gratuitamente salvati, non ci sono cristiani di prima e di seconda classe, in paradiso non si entra per gradi acquisiti, per raccomandazioni curiali, per cumuli di buone azioni o di denaro passato alla Chiesa, qui in terra anche il Papa, il Cardinale hanno la stessa dignità davanti a Dio dell’ultimo cristiano peccatore. Ruoli diversi, sì, ma la differenza ci è indicata chiaramente da Gesù: "Colui che vorrà diventare il più grande, tra voi, si farà vostro servo". Non per niente i Papi in mezzo ai tanti titoli onorifici che si sono accumulati sulle loro spalle per il lungo scimmiottamento della Chiesa gerarchica con il potere civile, ne hanno mantenuto uno che, se messo in pratica, è l’unico vero titolo onorifico per il successore di Pietro: "Servo dei servi di Dio".

Quale meraviglia: nella Chiesa è grande quel Vescovo che si interessa concretamente dei suoi preti e del suo popolo, e che magari non facendo troppa carriera, riesce però a testimoniare che anche un Vescovo può ancora essere un buon cristiano; è grande quel missionario che magari nella sua vita ha convertito pochi alla propria religione, ma che ha dato testimonianza concreta di una vita spesa per il bene concreto degli altri, è grande quell’uomo che, preso in giro da molti, passa i suoi pomeriggi e le sue serate a fare un po’ di alfabetizzazione ai marocchini della città, è grande quella madre che ha sempre servito la propria famiglia, anche in momenti difficili, ed ha ancora trovato il tempo di fare qualcosa per gli altri. Nella Chiesa c’è posto per tutti: per un San Giacomo che festeggiamo oggi, per un San Pietro, per un San Paolo, per una Santa come Giovanna d’Arco o per una come Santa Maria Goretti, per Santa Marta e per Santa Maria, per una mamma, per un papà, perfino per uno come me, purché cerchiamo la volontà di Dio e abbiamo imparato da Gesù che il servizio è l’unico motivo di gioia e diciamolo, anche di gloria, che possiamo avere.

 

 

GIOVEDI’ 26

Santi Gioacchino ed Anna

Parola di Dio: Es. 19,1-2.9-11.16-20; Cant. da Dn. 3,52-56; Mt. 13,10-17

 

"PERCHÉ PARLI LORO IN PARABOLE? GESU’ RISPOSE: PERCHÉ A VOI E’ DATO DI CONOSCERE I MISTERI DEL REGNO DEI CIELI, MA A LORO NON E’ DATO". (Mt 13,10-11)

Gesù nel suo modo di esprimersi era molto semplice; sulla scia dei profeti Egli comunica dei misteri attraverso gesti e parole che i suoi contemporanei potevano facilmente comprendere. Con un popolo formato prevalentemente da pastori, pescatori, contadini, piccoli artigiani e commercianti usa termini, esempi e parabole che partono dalla loro esperienza quotidiana per annunciare il regno dei cieli.

Le parabole sono racconti semplici che partono dalla realtà della vita. Sono dunque facili messaggi per chi è semplice e sa leggere e interpretare con cuore disponibile e aperto il messaggio di Dio sulla vita, ma diventano astruse e difficili per chi, sentendosi "culturalmente superiore", ha la presunzione di conoscere tutto, di avere già la verità in tasca, di voler vivisezionare parole e fatti a proprio uso e consumo, di voler fare filosofia e accademia su parole così semplici. E così le parabole sono luce per i semplici e confusione per coloro che si ritengono sapienti.

Anche oggi sono spesso stupito davanti alla forza della fede di certe persone umili e all’estrema complicazione e frammentarietà della fede dei "teologi".

Come mai, ad esempio, se sentite parlare un cardinale come Ersilio Tonini, uomo di enorme cultura, voi riuscite a comprendere subito che cosa dice e, concordi o meno, restate anche affascinati dal suo entusiasmo, mentre se sentite parlare certi teologi o predicatori che vanno per la maggiore in campo cattolico fate una fatica enorme a seguirli e alla fine non vi hanno lasciato molto? Come mai una vecchietta riesce a parlare a Dio con serietà e familiarità, mentre il sapiente viene a dire: "Non so che cosa dire nella preghiera, mi insegni qualche formula buona"?

Vi posso suggerire un piccola esperienza personale?

Quando, dopo troppa confidenza con libri di pensatori o di teologi, mi trovo imbarazzato, incapace di comprendere, troppo serioso, quando scopro che i dubbi cominciano ad essere superiori di numero alle semplici verità del vivere, ho scoperto esserci un antidoto prezioso: rifugiarsi in qualcosa di semplice e allora letterariamente mi rileggo qualche pagina di don Camillo e mi riconcilio con una teologia concreta fatta magari di qualche scazzottatura, ma di grandi valori umani, e per ritrovare la semplicità provo a rileggere qualche pagina di Vangelo (e non se l’abbiano a male Giovanni o Paolo se certe loro pagine le salto) immaginandomi di essere un bambino che non le ha mai ascoltate e lasciando che l’ammirazione e la fantasia facciano il resto.

 

 

VENERDI’ 27

San Raimondo Zanfogni; Santa Natalia; S. Celestino I

Parola di Dio: Es. 20.1-17; Sal. 18; Mt. 13,18-23

 

"INTENDETE LA PARABOLA DEL SEMINATORE". (Mt. 13,18)

Ieri dicevamo che per capire le parabola bisogna diventare un po’ bambini e lasciare che la nostra fantasia, l’intuizione semplice e l’ammirazione facciano il resto. Proviamo ad applicare questo alla parabola del seminatore.

Una prima cosa mi colpisce: il seminatore non sono io, non siamo noi, il seminatore è Dio che nella sua immensa bontà e sapienza semina dove e quando vuole. Posso fidarmi di Lui. Lui sa quello che fa. Quindi concludo che è inutile il nostro preoccuparci troppo, quasi che l’evangelizzazione dipendesse unicamente da noi, dalle nostre prediche o dai nostri piani pastorali.

Seconda cosa: il seme non siamo noi.

Il seme è ancora Lui, è Gesù che come il chicco di frumento muore per rinascere e portare il suo frutto, è la parola potente di Gesù che ha in sé tutta l’esplosività da "poter cambiare i cuori di pietra in cuori di carne, capaci di amare".

L’unica cosa che noi possiamo e dobbiamo essere è "la terra buona". La terra in sé non ha molto da fare. Suo compito è accogliere, ricevere il seme e donare al seme le sue proprietà, affinché il seme possa trasformarsi in pianta. Non pensiamo di essere noi a salvarci o a salvare il mondo. Impariamo invece ad accogliere tutto ciò che Dio gratuitamente ci dona, lasciamoci lavorare da Dio, offriamo al seme le nostre proprietà e le nostre povertà, lasciamoci trasformare. In un primo tempo ci sembrerà, forse, di perdere qualcosa, ci sembrerà di concludere poco, ma guadagneremo il frutto. Non è forse bello sentirsi amati così? Dio si serve della mia povertà, del mio essere terra per far nascere in me il seme del Figlio di Dio! Non sarà forse questo stesso pensiero ad aver accompagnato Maria nei suoi nove mesi di gravidanza?

 

 

SABATO 28

Santi Nazario e Celso

Parola di Dio: Es. 24,3-8; Sal. 49; Mt. 13,24-30

 

"PADRONE, NON HAI SEMINATO DEL BUON SEME NEL TUO CAMPO? DA DOVE VIENE DUNQUE LA ZIZZANIA?… VUOI CHE ANDIAMO AD ESTIRPARLA?". (Mt. 13,27 - 28)

Ecco un’altra parabola, ed ecco che, ancora una volta, se mi metto davanti ad essa solo con la mia presunta intelligenza, posso dire che è un padrone ben strano quello che permette che le erbacce rischino di soffocare il buon grano.

Noi, diciamolo con sincerità, siamo di quelli che partirebbero in quarta per fare un po’ di pulizia in questo mondo: "Se fossi io Dio, le cose andrebbero meglio, certa gente cattiva, certi seminatori di dubbi, di violenze, di maldicenze, certe cattiverie e ingiustizie li estirperei subito, altro che aspettare che facciano ancor più danno!".

La tentazione è sempre la stessa: giudicare ciò che è bene e ciò che è male e nel nome del bene partire in crociata per estirpare il male.

Non è così per Dio: Dio ha tempo. Dio dà tempo. Dio ha bisogno di tempo. Dio sa aspettare. La presenza del male non rappresenta un fatto eccezionale. E’ la norma. Nella Chiesa, come nel mondo. Dappertutto. L’uomo non ha il diritto di "anticipare" il giudizio finale. Questo spetta a Dio, in esclusiva. E’ il compito suo. Noi non riusciamo a delimitare i territori del bene e del male. Ci sono modi diversi anche per guardare il campo. C’è chi vede nel mondo esclusivamente sporcizia, corruzione, violenza, cattiveria, falsità. Ma c’è chi senza ignorare quei prodotti, riesce a scorgere anche il bene, la generosità, la pulizia, l’onestà, la coerenza.

Dio è paziente, ama tutti, ha fiducia nel seme buono. I semi buoni crescono, crescono ugualmente, forse con più fatica ma inesorabilmente, senza nulla perdere della propria natura e delle proprie qualità. Dio "pazienta" anche con noi e ci invita ad essere pazienti, tolleranti, ad aver fiducia nel bene. Proprio pensando alla pazienza di Dio con noi, proviamo oggi, nei nostri giudizi e atteggiamenti verso gli altri a vedere il bene e le possibilità di bene che ci sono nelle persone che ci circondano, e lasciamo che il bene che c’è in noi abbia il sopravvento sulla zizzania che scopriamo ogni giorno nella nostra vita.

 

 

DOMENICA 29

XVII^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

Santa Marta; Santa Beatrice; Santa Lucilla

Parola di Dio: Gn. 18,20-21.23-32; Sal. 137; Col. 2,12-14; Lc. 11,1-13

 

1^ Lettura (Gn.18, 20-21. 23-32)

Dal libro della Genesi.

In quei giorni, disse il Signore: "Il grido contro Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!".

Allora Abramo gli si avvicinò e gli disse: "Davvero sterminerai il giusto con l'empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lungi da te il far morire il giusto con l'empio, così che il giusto sia trattato come l'empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?".

Rispose il Signore: "Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città".

Abramo riprese e disse: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere... Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?". Rispose: "Non la distruggerò, se ve ne trovo quarantacinque". Abramo riprese ancora a parlargli e disse: "Forse là se ne troveranno quaranta". Rispose: "Non lo farò, per riguardo a quei quaranta". Riprese: "Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta". Rispose: "Non lo farò, se ve ne troverò trenta". Riprese: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti". Rispose: "Non la distruggerò per riguardo a quei venti". Riprese: "Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola; forse là se ne troveranno dieci". Rispose: "Non la distruggerò per riguardo a quei dieci ".

 

2^ Lettura (Col. 2, 12-14)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi.

Fratelli, con Cristo siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per i vostri peccati e per l'incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i peccati, annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.

 

Vangelo (Lc. 11, 1-13)

Dal vangelo secondo Luca.

Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli". Ed egli disse loro: "Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore, e non ci indurre in tentazione". Poi aggiunse: "Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti; e se quegli dall'interno gli risponde: Non m'importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza. Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono! ".

 

RIFLESSIONE

 

Certamente, ascoltando queste letture, tutti ci siamo resi conto che la Parola di Dio di oggi ci invita alla preghiera: è una bellissima preghiera quella di Abramo che, da buon commerciante arabo, si mette a contrattare con Dio per la salvezza di Sodoma e Gomorra e ci dimostra così la confidenza con cui rivolgerci a Dio e la potenza e della preghiera di intercessione; è l’assoluta fiducia della comunione con Dio che permette a Paolo di dire che noi siamo morti e risorti con Cristo ed è la semplicità e la profondità del Padre nostro insegnato da Gesù a dirci che la preghiera ci manifesta Dio e manifesta noi a Lui.

Quante cose si potrebbero dire e lungo i secoli sono state dette sulla preghiera!, ma più che metterci al seguito di una o di un'altra "scuola di preghiera" vorrei con voi brevemente mettermi alla scuola di preghiera di Gesù. Perché Gesù ha pregato nella sua vita terrena ed ha pregato molto. San Luca inizia il brano che abbiamo letto oggi dicendoci che: "Gesù si trovava in un luogo a pregare" e che la domanda che i discepoli gli rivolgono circa la preghiera parte proprio da questo loro vedere sovente Gesù in preghiera.

Tutti gli evangelisti, infatti, ci presentano più volte Gesù in preghiera, ad esempio Luca ci dice che Gesù prega prima dei pasti, passa notti intere in preghiera, per pregare meglio si ritira nel deserto, recita a memoria le preghiere che ogni buon ebreo ripeteva cinque volte al giorno, va alla preghiera della sinagoga al sabato, partecipa alle preghiere liturgiche delle Festività religiose ebraiche, prega prima di ricevere il battesimo e di compiere i miracoli, prega prima di scegliere gli apostoli e prima della sua passione, prega, addirittura urlando per dolore, sulla croce, prega ancora, dopo la sua risurrezione quando ritorna tra i suoi nel cenacolo.

Per Gesù, dunque la preghiera è essenziale. Per Lui, la preghiera, prima ancora di essere parole o gesti, è la sua vita stessa, il suo stesso atteggiamento; la preghiera cioè manifesta ciò che Gesù è e che Gesù arriverà ad esprimere quando dirà: "Io e il Padre siamo una cosa sola".

Nasce di qui il primo insegnamento di Gesù sulla preghiera: prima di essere preghiere, formule, riti, cerimonie, la preghiera è una profonda amicizia con Dio, è un sentire Dio presente nella propria vita, è un farsi presenti a Dio, il tutto in tono di vera amicizia, rispettosa, ma anche spontanea. Prima ancora di essere richiesta, presentazione dei nostri bisogni la preghiera è profonda intesa con Lui, è rapporto. E’ proprio questo che ha colpito gli apostoli. Essi erano abituati alla preghiera formale, liturgica, a quel cerimoniale ripetitivo inteso quasi come l’obbligo di devozione del suddito verso il suo re. Scoprono invece in Gesù uno che crede, che vive profondamente questo rapporto con Dio.E’ un po’ come può succedere a noi quando, abituati alle solite formule liturgiche, ci troviamo per caso coinvolti in una celebrazione dove si ‘sente’ che il prete non recita, dove si percepisce che la gente ascolta per davvero, dove il canto non è delegato a qualcuno, ma preghiera di tutti, dove non si ha paura di infrangere qualche tabù liturgico per esprimere solidarietà, fraternità, desiderio di vivere quanto pregato. Scopriamo improvvisamente che pregare non è un dovere, che la liturgia non è solo un rito, che parole come amore, fratellanza, solidarietà, non sono solo vaghi suoni che vanno bene sulla bocca di un predicatore.Gli apostoli, però, non sono riusciti a fare d’un colpo tutti questi passi, e chiedono ancora a Gesù un formula di preghiera.

E Gesù li accontenta consegnando loro la preghiera del Padre nostro, ma li aiuta a progredire in quanto questa non è solo una formula di preghiera ma è anche l’insieme degli atteggiamenti della preghiera stessa.Dire: "Padre" infatti è, prima di tutto, riconoscere una realtà nuova: Dio non è più il lontano, lo sconosciuto di cui avere paura, il Dio castigamatti a proprio arbitrio, il Dio Supremo, ente amorfo, è il Padre di Gesù, ma anche il Padre mio; io sono suo figlio, amato personalmente da Lui. Mio Padre si interessa al mio vivere quotidiano, è attento alle nostre necessità, sa delle nostre preoccupazioni. Quindi dicendo : "Padre" io mi riempio di fiducia in Lui. Gesù lo spiega bene: "Quale Padre tra voi se il figlio gli chiede un pesce, gli darà, invece, una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà invece uno scorpione? Se dunque voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste".

E siccome "Padre" lo dico io, ma lo dici anche tu, come può dirlo a pieno titolo ogni uomo sulla terra, e siccome Gesù è morto sulla croce per me, per te e per ogni uomo, dicendo "Padre" io scopro anche tutti i miei fratelli. E’ allora nel fatto dell’essere figli di Dio che possiamo trovare la forza di perdonarci a vicenda, di condividere lo stesso pane, di pregare insieme.

"Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno"

So benissimo che non sono io a rendere più grande la gloria di Dio o, come dice una preghiera di prefazio: "Non sono le nostre azioni di lode a rendere più grande la tua grandezza", ma sono io, siamo noi, meravigliati della potenza, della santità, della grandezza, della misericordia di questo Padre a desiderare che tutti lo conoscano e lo manifestino perché solo nel suo nome c’è salvezza. Ecco allora che la sua santità deve riflettersi anche sul mondo e su di me: sul mondo perché il creato col il suo esistere è la lode concreta del Creatore e su di me perché io ho l’impegno "di essere santo, perché Lui è santo". E allora invoco per me e per il mondo che il Regno inaugurato nella morte e risurrezione di Gesù, venga e venga presto, in maniera totale e definitiva, perché solo in quel regno troveremo la vera pace, la giustizia, la verità e chiedo ogni giorno a Gesù di insegnarmene la via, rinnovo la mia disponibilità a lasciarmi coinvolgere da questo regno in cammino, chiedo a Dio di darmi la forza di esserne testimone.

E’ per questo che chiedo per me, per i miei fratelli le cose concrete che sono raffigurate dal pane "di ogni giorno", chiedo il necessario non per l’accumulo, ma per il viaggio di oggi, chiedo il pane della condivisione che mi porti fino al passo del perdono del fratello che può avermi offeso. Questo è difficile, ma non impossibile se penso che Dio ha perdonato me. E proprio perché non sempre è facile. allora chiedo a Dio di non indurci in tentazione, cioè di non permettere che noi siamo messi in prove che superino le nostre forze.

Ci rendiamo dunque conto che la preghiera che Gesù ci ha consegnato non è solo una formula è la sintesi del Vangelo, è il nuovo modo di sentire, il nuovo modo di parlare, il nuovo modo di valutare, il nuovo modo di vivere.

Questa preghiera infatti ci permette non solo di chiedere a Dio (e Gesù ci invita a farlo con insistenza nella certezza che il Padre ci ascolta sempre) ma ci permette anche di capire ciò che Dio vuole da noi e alla fine constatiamo che le due richieste coincidono: Dio mi dona, si dona a me, ma i suoi doni per poter portare frutto richiedono anche che io mi doni a Lui e ai fratelli e allora, se la preghiera è vera, se il mio abbandono a Lui è sincero ecco che mentre la preghiera viene esaudita (magari non a modo nostro, ma a modo suo), essa mi trasforma e mi fa entrare nel grande progetto di salvezza di Dio.

Pregare allora non è tanto trovare la formula giusta, rispettare tutti i canoni liturgici, moltiplicare a iosa parole che Dio conosce già bene prima ancora che vengano formulate, è invece incontrare Lui, sentire il bisogno di Lui, avere fiducia in Lui, chiedere con profondità e insistenza, essere sicuri di essere esauditi da Lui nella maniera giusta per noi, è avere la disponibilità di ascoltare Lui, di lasciarci trasformare da Lui. Una preghiera, allora, sarà tale se dopo di essa ci vedrà trasformati perché arricchiti di nuovi doni da Dio, ma anche perché più decisi a cercare di realizzare quelle stesse cose per cui abbiamo pregato.

 

 

LUNEDI’ 30

San Pietro Crisologo; Santa Donatella

Parola di Dio: Es. 32,15-24.30-34; Sal. 105; Mt. 13,31-35

 

"IL REGNO DEI CIELI SI PUO' PARAGONARE AD UN GRANELLINO DI SENAPA" . (Mt. 13,31)

Lasciando da parte oggi il significato fondamentale di queste piccole parabole, mi soffermo con voi sul valore delle piccole cose che in esse ci viene insegnato.

Proviamo a partire proprio dalla realtà odierna.

Ti è stato regalato un nuovo giorno. Che ne farai?

Se non farai il bene sarà un giorno perduto. Sarà un giorno di esistenza inutile. Inutile per te e per il mondo, e anche un'offesa a chi te lo ha regalato. Perché solo se farai il bene avrai senso tu e la tua vita, solo se fai il bene il mondo riceve qualche cosa, si arricchisce e solo se fai il bene realizzi il progetto di chi ti ha dato il tempo. Se ne userai male sarà un vero e proprio tradimento, un po’ come se qualcuno ti avesse offerto del denaro e tu avessi acquistato un’arma contro di lui.

Abbiamo così pochi giorni e quanti ne abbiamo già sprecati della nostra vita, cerchiamo almeno di salvare oggi.

Non lasciamo cadere questa giornata senza un gesto d’amore. Presto sarà notte e il tempo perduto non torna più.

Non è il destino, ma siamo noi a dare un volto con le nostre azioni alla nostra vita.

E, altra piccola ma importante cosa, il bene si può farlo come un dovere, con il muso lungo o anche giocando. In un libro di Sandro Maggiolini: "Scommettere su Dio" ho trovato il brano che vi riporto:

Sapessimo giocare un po’. Anche da adulti. Soprattutto da adulti. Ci sbloccheremmo e riusciremmo a essere maggiormente incidenti, produttivi... Ricordo una pagina d’uno psicologo il quale raccontava di due sorelline che giocavano, indovinate a che cosa? giocavano a far le sorelline! Recuperando così l’esistenza in chiave di spontaneità, di immediatezza.

Ecco, se io, vescovo, sapessi giocare un poco a fare il vescovo, ma con passione, con amore; se tu casalinga sapessi giocare a far la casalinga; se tu, impiegato o tornitore ecc., sapessi giocare a fare l’impiegato o il tornitore ecc., saremmo in un mondo meno complicato e meno tetro. Non meno capace di speranza.

Fossi papa — e Giovanni Paolo II° mi scusi la battuta — metterei per i cristiani un precetto della Chiesa che potrebbe suonare così: ogni giorno cercherai i motivi per ringraziare il Signore (ne devi trovare almeno sette, perché ce ne sono di più) e canticchierai qualche volta per la strada.

Non ditemi che queste sono considerazioni utopistiche o soltanto umane. Son temi religiosi. E al mondo ci fu almeno uno che seppe vivere così, pur soffrendo: si chiamava Gesù.

 

MARTEDI’ 31

Sant’Ignazio di Loyola

Parola di Dio: Es. 33,7-11;34,5-9.28; Sal. 102; Mt 13,36-43

 

"SPIEGACI LA PARABOLA DELLA ZIZZANIA NEL CAMPO". (Mt. 13,36)

La spiegazione della parabola del buon grano e della zizzania ci rivela alcuni modi di comportamento di Dio nei nostri confronti. Anche perché stimolato da alcuni genitori ho provato, partendo dal modo educativo di Dio, a tirare fuori alcuni consigli per un buon rapporto educativo nei confronti dei figli:

Dio si dona interamente alla sua creatura.

Il tuo primo e massimo impegno è per tuo figlio, cerca di vivere con lui tutto il tempo disponibile. Non credere che giocattoli o la TV sempre accesa, possano supplire alla tua presenza e al tuo affetto.

Dio è "paziente, lento all’ira pieno di misericordia e benevolenza".

Accetta i suoi "capricci" senza perdere la pazienza per ogni sciocchezza che commette. Non è ancora responsabile dei suoi comportamenti e il tuo nervosismo si ripercuote dannosamente sulla sua persona.

Dio è materno nei nostri confronti, ma non è un mammone.

Non coprirlo di baci, carezze, moine; non esaltarlo davanti agli altri come un piccolo "prodigio". Cerca di essere attento alle sue necessità, ai suoi piccoli problemi.

A Dio piace la nostra serenità.

Il giuoco è la cosa più importante e impegnativa finché è piccolo; serve a conoscere le sue preferenze, a saggiare le sue capacità e quando puoi cerca di parteciparvi anche tu, oltretutto imparerai a divertirti.

Dio non ci dà tutte le cose, ci dà se stesso.

Non caricarlo di giocattoli, finirebbe per annoiarsi, non sapendo cosa scegliere. I più utili e graditi sono quelli in cui può sviluppare le sue qualità: fantasia, attività, creatività, con oggetti semplici, non sofisticati.

Dio parla il nostro linguaggio, a seconda di quello che possiamo capire.

Non presumere che abbia capito quello che desideri da lui. Il suo modo di pensare e agire si sviluppa con gradualità. Impara molto più facilmente per imitazione che con il ragionamento.

Dio è fedele alle sue promesse.

Non fare mai promesse che non potrai mantenere. Spiegagli sempre i motivi per cui hai dovuto cambiare idea.

Dio desidera la nostra risposta libera e matura.

Quando devi proibirgli qualcosa, fagli conoscere i motivi che ti obbligano ad agire così.

E’ importante possa comprendere le ragioni delle decisioni che prendi nei suoi riguardi, sempre per il suo vero bene, aumenterà così la stima e la fiducia te.

Dio rimprovera, ma allo stesso tempo propone.

Non sgridarlo o castigarlo per mancanze e guai che combina, se non sono dovuti a cattiveria, e fagli capire i motivi per cui deve comportarsi in un dato modo, per evitare guai e pericoli a sé e agli altri.

10. Dio ci educa all’amore.

Aiutalo a frenare l’egoismo, profondamente radicato nella natura umana, per aprirsi all’amore, alla carità verso gli altri, particolarmente i più poveri, sottraendo magari qualcosa del molto superfluo che lo circonda.

Dio è Padre di tutti.

L’educazione religiosa, iniziata fin dai primi anni, è fondamentale nella vita. Ogni bimbo appartiene a Dio che lo ha affidato ai genitori perché ha avuto fiducia in voi. Davanti a lui siete responsabili della sua riuscita o del suo fallimento. E, nei momenti di gioia, come in quelli di difficoltà, specialmente quando non sapete che strade scegliere, o quando vi sentite impotenti davanti a certi avvenimenti, ricordatevi che Dio è genitore per voi come per vostro figlio.

     
     
 

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