SCHEGGE E SCINTILLE
PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI
DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA
a cura di don Franco LOCCI
GIUGNO 2001
VENERDI’ 1
San Giustino; B. Annibale di Francia
Parola di Dio: Atti 25,13-21; Sal. 102; Gv. 21,15-19
"DISSE GESU’ A PIETRO: SIMONE DI GIOVANNI, MI AMI?". (Gv. 21,17)
Quello che abbiamo letto oggi è uno degli episodi più belli raccontati da Giovanni ed esprime, insieme all’amore di Gesù, alla sua misericordia, alla seconda chiamata di Pietro, anche il metodo pedagogico che Gesù usa con Pietro ma anche con noi ogni volta che il nostro peccato ha creato una barriera nei suoi confronti.
Che Pietro ami Gesù è indubbio, ma Pietro ha anche un carattere deciso e angoloso e se da una parte è un generoso, dall’altra ha anche momenti di orgoglio che spesso lo portano ad esagerare in tutto, anche nella codardia. Tra Pietro e Gesù sta l’episodio del rinnegamento, e questo certamente pesa sul cuore di Pietro che pur avendo già pianto amaramente su quanto successo sente profondamente la sua indegnità davanti al Crocifisso-Risorto. Gesù avrebbe potuto averne basta di Pietro. Non aveva capito molto, spesso si era messo al posto del maestro, aveva promesso e non aveva saputo mantenere, lo aveva rinnegato: c’è ancora da fidarsi di una persona del genere? Si può affidare la Chiesa nascente in simili mani? Non sarebbe meglio affidarla a Giovanni che almeno fino ai piedi della croce era arrivato?
Gesù non nasconde il peccato di Pietro, ma fa sì che Pietro lo trasformi.
Il peccato è vinto dall’amore. Gesù si fida che l’amore e il perdono riescano a cambiare anche il cuore di Pietro, anzi, Gesù sa che proprio grazie al perdono, Pietro imparerà sempre meglio che cosa vuol dire perdonare settanta volte sette, amare e servire fino al dono del proprio sangue.
Gesù continua ad agire così anche con noi.
Noi lo abbiamo capito poco il Cristo; noi abbiamo ascoltato il Vangelo ma abbiamo modificato poco la nostra vita su di esso; abbiamo promesso tante volte di cambiare ma ci troviamo sempre allo stesso punto se non sempre più in giù...
Gesù potrebbe averne basta di noi, eppure continua a bussare alla porta del nostro cuore per perdonarci, per dirci che ci ama. Non si può non essere conquistati da un amore così grande. E questo amore, se accolto, genera amore anche in noi e questo amore vince il male.
Anche a noi Gesù chiede una cosa sola:
"Mi ami, tu?".
"Lo sai Signore che desidero davvero amarti, ma sono un peccatore…".
"Mi ami, tu?".
"Signore sai che non posso neanche prometterti di riuscire a risolvere quella mia situazione di peccato…".
"Mi ami, tu?".
Solo se ci arrenderemo totalmente a questa richiesta di amore, allora anche noi sentiremo, e non solo a parole, l’invito e il comando di Gesù che ci renderà capaci e forti: "Seguimi!".
SABATO 2
Santi Marcellino e Pietro; Sant’Erasmo
Parola di Dio: Atti 28,16-20.30-31; Sal. 10; Gv. 21,20-25
"VI SONO ANCORA MOLTE ALTRE COSE COMPIUTE DA GESU’, CHE SE FOSSERO SCRITTE UNA PER UNA, PENSO CHE IL MONDO STESSO NON BASTEREBBE A CONTENERE I LIBRI CHE SI DOVREBBERO SCRIVERE" . (Gv. 21,25)
Gesù, la sua storia, i suoi amici, il mistero dell’uomo-Dio, gli anni della sua formazione umana… quante cose interesserebbe conoscere di Gesù!
Lo sapete che nel mondo dei libri, Gesù è il personaggio più "gettonato", nel senso che sulla sua storia sia a livello scientifico che storico, che fantasioso è il personaggio di cui più si è parlato e ancora oggi quello di cui maggiormente si parla e si scrive?
Non esagero, ho letto centinaia di libri su di Lui, alcuni molto seri, altri pieni di fantasie, alcuni anche se magari scritti da personaggi che vanno per la maggiore o da sedicenti santi e visionari, pieni di melense quanto improbabili parole e gesti suoi, altri che esprimono una ricerca vera attorno all’uomo-Dio, mistero d’amore. Io stesso, più di una volta ho avuto la tentazione di riscrivere la vita di Gesù, di rileggere, secondo i miei canoni o i miei desideri, la sua figura.
Tutti noi abbiamo parlato e parliamo di Lui… eppure il volto completo di Cristo, il racconto più esatto e veritiero della sua vita, la lettura più approfondita del suo mistero non l’abbiamo ancora.
Giovanni, finendo di scrivere il suo Vangelo e forse rileggendone le pagine si trova deluso: ha detto così poco di Gesù.
Gesù è il Figlio di Dio e noi qui sulla terra lo conosciamo "come attraverso un velo". Ma questo mistero più grande di noi, questo non conoscere perfettamente, invece che deluderci ci apre ad un’altra prospettiva: Gesù, ogni giorno ha da rivelarci qualcosa di nuovo di Se stesso. Le pagine del Vangelo, anche quelle che conosciamo a memoria hanno sempre la possibilità di aprirci squarci nuovi, possibilità nuove.
Il Vangelo, quello scritto, è più che sufficiente così. Ci dà l’annuncio del Figlio di Dio morto e risorto per la nostra salvezza. Piuttosto le pagine da scrivere non riguardano tanto la vita temporale di Gesù, ma la sua vita in noi. Siamo noi che, con la nostra scelta di seguire Gesù, dovremmo ogni giorno scrivere una nuova pagina di Vangelo. Siamo noi che, seguendo Gesù e diventando ogni giorno "l’altro Cristo", dovremmo continuare il suo annuncio, i suoi miracoli di perdono, la sua gioia nella nostra quotidianità.
DOMENICA 3
DOMENICA DI PENTECOSTE (ANNO C)
Ss Carlo Lwanga e compagni; S. Clotilde; S. Olivia
Parola di Dio: Atti 2,1-11; Sal. 103; Rm 8,8-17; Gv. 14,15-16.23-26
1^ Lettura (At. 2, 1-11)
Dagli Atti degli Apostoli.
Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: "Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio".
2^ Lettura (Rm. 8, 8-17)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.
Fratelli, quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete. Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!". Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Vangelo (Gv 14, 15-16. 23-26)
Dal vangelo secondo Giovanni.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti".
Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, gli rispose Gesù: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto".
RIFLESSIONE
Qualcuno, parlando dello Spirito Santo lo definiva come "l’illustre sconosciuto". Se infatti ci può essere abbastanza facile riconoscere nel Padre di Gesù il Padre nostro, buono e misericordioso, o anche il Dio Creatore e Signore, se ci è ancor più facile riconoscere nell’umanità di Gesù il fratello, colui che ci ha amato fino a dare se stesso per noi, dello Spirito ci è più difficile trovare una definizione. Già il termine stesso ‘spirito’ può suonare ambiguo: spesso gli uomini parlando di spiriti, parlano di spettri, di fantasmi dove realtà e fantasia sembrano incontrarsi o scontrarsi, parlando poi di spirito si pensa poi subito a qualcosa contrario alla materia per cui è perfino difficile pensare allo Spirito come a una Persona della Trinità. Però lo Spirito non è inconoscibile. Un grande aiuto ci viene proprio dalle letture dell’odierna festa. Innanzitutto lo Spirito promesso da Gesù è imprevedibile. Arriva quando e dove vuole. Non lo puoi comandare a bacchetta, non viene alla fine di una novena, non arriva solo nelle chiese, non è obbligato da nessuno, neppure dai preti. "Venne all’improvviso" in quel cenacolo pieno di preghiera, ma anche pieno di paura. Quando vedo certe persone o certi gruppi che pensano di avere l’esclusiva dello Spirito Santo, quando sento anche personaggi illustri della Chiesa che si arrogano il diritto di parlare in nome dello Spirito, sorrido, come penso sorrida lo Spirito Santo che è libero di parlare ora attraverso la voce del Papa come attraverso la voce di un bambino, di uno straniero, di un illustre sconosciuto.
Lo Spirito è come un "vento gagliardo".
Già Gesù parlando del vento aveva detto : "Il vento tu non sai da dove venga e dove vada" e lo Spirito è inafferrabile. Non puoi costringerlo nei tuoi schemi, non puoi inscatolarlo, devi invece lasciarti lambire, sconvolgere, spingere. Lo spirito è quella forza che ha scombinato la vita di tante persone: Agostino cambia vita, Francesco si fa povero, i martiri si lasciano sbranare con gioia dalle belve feroci, Domenico Savio riesce a farsi santo a dodici anni, papa Giovanni scompagina una vecchia Chiesa con il soffio dello Spirito del Concilio Ecumenico. Quanto siamo piccoli noi che pensiamo di poter chiudere lo Spirito in pochi codici pieni di norme morali che abbiamo la presunzione di applicare nella stessa maniera a tutte le persone del mondo!.
Il vento poi è anche inarrestabile. I cristiani hanno spesso cercato di creare delle barriere per difendere le proprie tranquillità dalla forza dello Spirito, Egli le abbatte, le supera, ti coglie alle spalle. Quante volte abbiamo pensato di essere intoccabili nel nostro castello di perbenismo, di osservanze formali e poi è bastato un attimo, un ritorno di coscienza, una parola per renderci conto di quanto ipocrita fosse il nostro modo di vivere la fede! Lo Spirito scende sugli apostoli come "lingue di fuoco". Il fuoco lo sappiamo è vivo, riscalda, illumina, ma anche brucia, consuma, e lo Spirito Santo è proprio tutto questo. Egli illumina: Gesù ci ha ricordato che lo Spirito ci insegnerà tutto quello che Lui ci ha detto e che ci farà ricordare le sue parole. Lo Spirito illumina la nostra intelligenza, ci apre alla conoscenza, ci dà se stesso, Sapienza del Padre, ci fa pregare: "E’ attraverso lo Spirito che noi possiamo dire: Abbà, Padre", come ci ricorda Paolo. E’ lo Spirito che può rinnovare l’uomo, è il soffio dello Spirito che può "cambiare il cuore di pietra in un cuore di carne", è lo Spirito che al momento giusto ci fa ricordare le parole e i gesti di Gesù, è ancora lo Spirito che rende vivi e vitali i Sacramenti. Lo Spirito è ancora quell’amore che ci brucia dentro, che non ci lascia mai tranquilli, che ci aiuta a capire che siamo un popolo in cammino, non ancora arrivato, che ci fa sentire "che non c’è pace finché non riposeremo in Dio" Ma lo Spirito è soprattutto quello che cambia la vita. Ripercorriamo il brano degli atti degli apostoli. Neppure la Pasqua era riuscita a far si che gli undici cambiassero totalmente. Il passaggio dalla paura al coraggio, dalla tristezza alla gioia, dal dubbio alla fede piena, non era ancora avvenuto totalmente in loro. Lo Spirito fa far loro questa Pasqua: uomini incolti e timorosi di tutti parlano adesso liberamente del Cristo morto e risorto, del peccato, del bisogno di conversione per tutti, del rischio che corre l’uomo quando rifiuta la salvezza di Dio, e per di più ne parlano con un linguaggio comprensibile da tutti non tanto per il dono della traduzione simultanea quanto perché parlano un linguaggio che tocca il cuore di ogni uomo a qualunque popolo o cultura appartenga. Pensiamo a quanto noi abbiamo bisogno di coraggio oggi. Spesso noi cristiani ci siamo chiusi nelle catacombe da soli, siamo timorosi di manifestarci e di manifestare la nostra fede. Ci siamo lasciati soffocare dal paganesimo e dal materialismo e ci siamo rassegnati a vivere quasi nell’ombra. Abbiamo delegato i missionari, i preti a parlare di Gesù, a dire la fede al mondo, a fare le opere di carità. Raramente un "cristiano della domenica" arriva a sentire il dovere di portare la notizia di Dio. Se siamo tutti pronti a vedere i mali del nostro mondo e a rifugiarci nei luoghi comuni per dire che oggi non c’è più religione, che non c’è più morale, che l’uomo va alla perdizione da solo, poi, molto raramente, contestiamo con gesti e scelte concrete per noi e per gli altri l’immoralità, il disimpegno, la leggerezza di costumi, la frivolezza della vita. Ci rassegniamo e spesso ci adattiamo al male della società invece di convertirla alla novità di Cristo. Siamo lontani dallo Spirito di Pentecoste. Se ci manca il coraggio della fede… siamo poveri di Spirito Santo e quindi siamo poveri di fede in Cristo.
Proprio grazie alla ventata dello Spirito gli apostoli trovano il coraggio di parlare e trovano la forza di testimoniare il Vangelo e la loro testimonianza diventa la dimostrazione di qualcosa che non si vede, fatta attraverso gesti che si vedono. Cristo risorto non si vede ma si vedono undici persone che sono disposte a finire davanti al Sinedrio, che sono disposte a farsi considerare eretiche dalla loro stessa religione ufficiale, pur di parlare di Cristo.
Cristo risorto non si vede ma si vedono persone disposte a lasciare le proprie ricchezze invidiate da tutti per farsi poveri nel nome del Signore. Cristo risorto non si vede, ma si vede una famiglia che prega, che lavora, che perdona, che non specula, che soccorre il prossimo e tutto il prossimo: si vede e fa pensare. Il risorto è salito al cielo ma si vedono gli apostoli che corrono per il mondo, che affrontano le battiture, le umiliazioni, le percosse e "restano lieti per aver sofferto qualcosa in nome di Gesù". Così si potrebbe dire di tutti i santi, di tutti coloro che sono veri cristiani: sono coloro che hanno la forza di far vedere ciò che è invisibile. Invochiamolo spesso questo Spirito di Dio perché venga su di noi, ma poi, per carità, non corriamo ai ripari, abbiamo almeno una volta il coraggio di lasciarci portare dal vento là dove Egli vuole. Chiediamoli quei doni dello Spirito Santo che secondo Isaia sono: lo spirito di sapienza, di conoscenza e timore del Signore e che nella lettera ai Galati sono indicati come "amore, gioia, benevolenza, bontà, fedeltà e dominio di se", ma poi non nascondiamoli, non sotterriamoli negli schemi, nelle abitudini e nelle tradizioni.
Se accogliere lo Spirito è entrare in comunione più profonda con il Cristo, vuol dire che anche la nostra carità cresce, urge, si dilaga, diventa ‘terremoto’. Gli occhi si aprono, cadono le squame che ci impedivano di vedere, il cuore si disgela e si diventa testimoni dell’Amore, mandati nel mondo ad annunciare l’Amore. Ed è proprio qui e solo qui che può nascere e rinascere continuamente la Chiesa.
LUNEDI’ 4
S. Quirino; S. Francesco Caracciolo
Parola di Dio: Tb. 1,1-2; 2,1-9 (1,3;2,1-8); Sal. 111; Mc. 12,1-12
"UN UOMO PIANTO’ UNA VIGNA, VI POSE ATTORNO UNA SIEPE, SCAVO’ UN TORCHIO, COSTRUI’ UNA TORRE, POI LA DIEDE IN AFFITTO A DEI VIGNAIOLI E SE NE ANDO’ ". (Mc. 12,1)
Quando Gesù racconta una parabola, il modo giusto per capirla è certamente, anche guardando il contesto in cui la racconta, chiederci quale sia il suo significato fondamentale. E la parabola di oggi vuol dire che Dio ha affidato il suo regno ad Israele. Questo popolo non ha saputo accoglierlo nonostante le tante attenzioni di Dio, allora il Regno passerà ad un altro popolo. La stessa parabola invita noi ad essere attenti perché se non rispondiamo alle aspettative di Dio anche noi siamo a rischio di perdere il Regno.
Però è anche bello, quando leggiamo una parabola, fermarci ai particolari e il versetto che meditiamo oggi ce ne suggerisce almeno due bellissimi.
Il primo è che Dio ha avuto una attenzione, una cura tutta particolare per noi. Quando Dio fa le cose le fa bene! La sua alleanza con noi è stata curata nei particolari: non solo la vigna è piantata con vitigni scelti, curati, ma è anche difesa dagli assalti degli animali, c’è una siepe; all’interno vi è tutto il necessario perché i vignaioli possano non solo raccogliere l’uva ma anche operare per fare il vino: c’è un frantoio, c’è una torre di avvistamento per difendere la vigna… Quando Dio ci offre qualcosa ed, in particolare, quando ci dona Se stesso, ci dà il meglio affinché possiamo operare nella sua volontà.
Ma quello che stupisce e ci lascia perplessi è che Dio, dopo aver fatto tutto questo per noi, "se ne vada". Eppure è proprio questa apparente assenza di Dio che garantisce la libertà e il lavoro degli uomini.
Il Dio di Gesù non è un Dio paternalista o uno che vuole dettarci tutti i particolari del lavoro, uno che non ci lascia fiato, che non si fida della nostra iniziativa, un controllore che vuole a tutti i costi che facciamo come vuole Lui o peggio un Dio sempre pronto, fucile alla mano, a sparare contro le mancanze degli uomini. Egli ha fatto col suo popolo un patto, in cui dà e chiede e quindi rispetta l'uomo proprio lasciandolo libero di essere fedele a questa amicizia. Non è quindi un Dio che deresponsabilizza l'uomo, ma lo immerge più profondamente nella storia. L'assenza di Dio significa soltanto che Dio ci lascia campo libero, che ci prende sul serio. E' un segno d'amore.
Dio si fida di me e di te. Gesù, ci affida il suo regno conoscendo le nostre debolezze. Lo Spirito, nonostante tutto, continua ad aver fiducia negli uomini ed è sempre pronto a rinnovarci dal di dentro, purché noi lo accogliamo.
E’ vero che a noi, qualche volta farebbe più comodo un Dio che ci dica per filo e per segno che cosa fare, un Dio dalle norme chiare a cui poter opporre tutte le nostre eccezioni, un Dio solutore di problemi, ma se fosse così, saremmo schiavi. Dio invece ci vuole liberi: liberi per capire il suo amore e liberi nel rispondervi.
MARTEDI’ 5
San Bonifacio; Santa Valeria
Parola di Dio: Tb. 2,10-23 (2,9-14); Sal. 111; Mc.12,13-17
"E’ LECITO O NO DARE IL TRIBUTO A CESARE?". (Mc. 12,14)..."PORTATEMI UN DENARO CHE IO LO VEDA". (Mc. 12,15)
Anche oggi, prima fermiamoci sul senso generale del racconto, poi cogliamo qualche particolare. La domanda dei farisei e degli erodiani è insidiosa e ipocrita: se Gesù accetta di pagare le tasse, lo faranno passare agli occhi del popolo come collaborazionista; se le rifiuta, lo denunceranno all’autorità romana come sovversivo. Però la domanda è sempre attuale: che posto dare all’imperatore, alla politica, alle cose? La risposta di Gesù va a monte del problema: non ci sono solo i diritti di Cesare, ci sono anzitutto quelli di Dio. Chi gli dà il primo posto, saprà trovare il giusto posto da dare agli uomini. Ma quello che impressiona di più, in quella domanda è quel : "E' lecito?" perché tante volte anche noi ce lo chiediamo. Dove c’è una legge c'è quello che è lecito e quello che non lo è. Ma noi sappiamo anche che "trovata la legge, trovato l'inganno" per cui per i furbastri, proprio grazie al legalismo, quello che è illecito per altri diventa lecito per loro.
Gesù lo sa benissimo. Ed è proprio per questo che non ci darà delle ricette precise. Il cristiano, guardando a Gesù, per le scelte morali non dovrà più chiedersi: "E' lecito?" ma è secondo l'amore di Dio e del prossimo?". E, un altro particolare: erano andati da Gesù per prenderlo in trappola, per parlargli di denaro, di potere, per vedere da che parte stava, quale tessera di partito aveva e trovano uno che in tasca non ha neppure una moneta, che per rispondere deve farsela dare. E la prima risposta di Gesù è proprio questo gesto. Chiedendo di portargli una moneta, dimostra di non averne. lnvece coloro che si premuravano di essere "puri davanti alla legge", portandogli la moneta dimostrano chiaramente di essere persone che non esitano per i loro interessi a sporcarsi le mani con monete che recano incise l'immagine dell'Imperatore e una frase (Tiberio, Cesare, figlio del divino Augusto) che erano per lo meno blasfeme nei confronti della religiosità ebraica. E qui c’è davvero materiale per fare un ampio esame di coscienza: anche noi vorremmo una chiesa povera, non attaccata al denaro e al potere e qualche volta ci scaldiamo per questo, ci scandalizziamo davanti ad un uso un po’ troppo facile e mondano del denaro da parte di istituzioni cattoliche…ma noi siamo tra quelli che hanno tutto il necessario, e ancor di più. Ricordo la vergogna che provai tanti anni fa quando, invitato ad un congresso di una grande associazione caritativa, vidi arrivare automobili da sogno, personaggi vestiti da sarti prestigiosi, gente con il letto prenotato al più lussuoso albergo della città che parlavano di milioni di morti di fame nel mondo. Chi ha diritto di parlare di povertà? Gesù che non ha in tasca neppure una moneta dell’imperatore!
MERCOLEDI’ 6
S. Norberto; S. Paolina; San Gerardo; S. Marc. Champagnat
Parola di Dio: Tb. 3,1-11.24-25 (3,1-11.16-17); Sal.24; Mc.12,18-27
"VENNERO DA GESU' DEI SADDUCEI I QUALI DICONO CHE NON C'E' RISURREZIONE". (Mc.12,18)
Di fronte alla risurrezione, sadducei e farisei si dividevano: i primi la negavano, i secondi la sostenevano, ma ne avevano una concezione grossolana messa qui in ridicolo dai sadducei con la storia della donna dai sette mariti. Risponde Gesù: non rimanete nei vostri gretti schemi e ragionamenti se no vi allontanate dalla verità. La risurrezione non è una favola perché Dio è il Vivente ed è il Dio dei viventi: Egli ama l’uomo e non può abbandonarlo in potere della morte e anche la risurrezione non è soltanto una riedizione della vita presente, ma vita totalmente nuova in Dio. Lo schematismo e la grettezza di ragionamenti di farisei e sadducei di tutti i tempi mi ha fatto ripensare a questa favola:
C’era una volta una rana che viveva in un pozzo.
Ci abitava già da tantissimo tempo. Anzi, vi era nata e vi era stata allevata.
Era una piccola, festosa rana.
Ma, un giorno, ci fu una visita imprevista. Si trattava di un’altra rana, che aveva sempre vissuto sui bordi del mare.
La piccola abitatrice del pozzo non si lasciò sfuggire l’occasione per scambiare quattro chiacchiere con la nuova venuta.
--- Da dove vieni?
— Vengo dal mare — disse la sconosciuta.
— Il mare? E’ molto grande il mare? — domandò incuriosita.
— Oh, certo! Molto grande — rispose la visitatrice.
— Il mare è grande così? — si informò la piccola rana allargando e tendendo il più possibile le sue gambette.
— Ma vuoi scherzare? E’ molto, molto più grande — replicò, quasi scandalizzata, l’ospite.
— Non sarà per caso grande come il mio pozzo? — insistette con petulanza la piccola rana.
— Via, cara amica, — tagliò corto la rana pellegrina — come puoi paragonare il mare con il tuo pozzo?
Corrucciata, stizzita, offesa, la piccola rana reagì:
- Ma no, non può esistere nulla di più grande del mio pozzo. Tu ti dai un fracco di arie. Sei afflitta da manie di grandezza e mentisci spudoratamente. Vieni a casa mia a contarmi delle bubbole e pretendi che io ci creda? Sarà bene che sloggi immediatamente da qui.
La rana pellegrina se ne andò saltellando allegramente verso il suo mare.
E la piccola, graziosa rana rimase finalmente tranquilla a spaziare nel suo grande pozzo...
Una cosa del genere avviene di tutti gli uomini dallo spirito ristretto. Seduti placidamente in fondo al loro piccolo pozzo, si immaginano che il mondo intero non possa essere più grande di quello.
Dio ci annuncia cose grandi e noi preferiamo i nostri piccoli ragionamenti. Dio ci parla di risurrezione e di vita per sempre e noi non riusciamo ad andare oltre all’oggi… e forse al domani.
GIOVEDI’ 7
S. Antonio M. Giannelli
Parola di Dio: Tb. 6,10-11;7,1.9-17 (7,1.8-17); 8,4-10; Sal.127; Mc. 12,28-34
"AMERAI DUNQUE IL SIGNORE DIO TUO CON TUTTO IL TUO CUORE, CON TUTTA LA TUA MENTE E CON TUTTA LA TUA FORZA E AMERAI IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO". (Mc. 12,30-31)
Questo scriba pone a Gesù una delle domande classiche della scuola rabbinica, dove si arrivava a contare ben 613 precetti di cui 365 (come i giorni dell’anno) proibizioni e 248 imposizioni. Dov’è l’originalità della risposta di Gesù? Più che nell’idea dell’intima connessione tra l’amor di Dio e quello del prossimo (idea non del tutto sconosciuta alla tradizione giudaica), l’originalità di Gesù va probabilmente vista nell’annuncio che il Regno che è tutto centrato sull’amore non è un ideale lontano, ma una realtà alla portata di mano di tutti: "Non sei lontano dal Regno di Dio" dirà Gesù a questo scriba, cioè la novità del comandamento dell’amore, più che nel suo contenuto, va vista nella sua possibilità. Questa storia vera ci aiuta forse a comprendere meglio questo concetto:
C’era una bambina che aveva bisogno di una trasfusione di sangue. Il medico spiegò che la ragazza aveva contratto la stessa malattia da cui il fratellino era guarito due anni prima. L’unico modo per salvarsi era di ricevere del sangue trasfuso da un soggetto che avesse sconfitto quel male. Visto che i due ragazzi avevano lo stesso gruppo sanguigno, fra l’altro molto raro, il suo fratellino era il donatore ideale. "Ti va di donare il tuo sangue a Maria?" gli chiese il dottore.
Giovanni esitò un attimo. Il labbro inferiore iniziò a tremare. Poi il ragazzino sorrise e disse: "Certo, per mia sorella". I due vennero portati subito in una sala di trasfusione. Maria era pallida e magra, Giovanni florido e sano. Nessuno dei due parlò, e quando i loro occhi si incontrarono Giovanni sorrise alla sorella. Quando l’infermiera gli inserì l’ago nel braccio, il sorriso di Giovanni svanì. Con lo sguardo fisso, osservava il sangue riempire il tubicino. A supplizio ormai quasi concluso, la voce di Giovanni, leggermente incrinata, ruppe il silenzio. "Dottore, quand’è che muoio? ".
Il medico comprese solo allora perché Giovanni aveva avuto quel momento di esitazione, il perché di quel tremolio del labbro quando aveva accettato di donare il suo sangue. Giovanni pensava che donare il sangue alla sorella volesse dire donarle la propria vita. In quell’attimo, aveva preso la sua grande decisione.
VENERDI’ 8
San Medardo
Parola di Dio: Tb. 11,4-17 (11,5-18); Sal. 145; Mc. 12, 35-37
"E LA NUMEROSA FOLLA LO ASCOLTAVA VOLENTIERI". (Mc. 12,37)
In tre anni di vita pubblica chissà quanta gente ha ascoltato le parole di Gesù! Sappiamo di folle (pensate ai cinquemila uomini della moltiplicazione dei pani), pensiamo alla gente che si accalca attorno a Gesù al punto che Egli deve parlar loro dalla barca di Pietro… E dove è finita tutta questa gente il giorno della condanna a morte di Gesù se si trova solo gente facilmente condizionabile che chiede a gran voce la morte del Cristo?
E’ facile ascoltare un buon parlatore.
Ho letto ultimamente la storia di uno di quei tanti predicatori televisivi americani e mi è sembrato facile capire i motivi del suo successo: un certo ascendente personale, il saper giocare su sentimenti e predisposizioni della gente, il saper toccare i loro problemi concreti, una buona conoscenza della Bibbia per adattarla ad ogni necessità, un tono di voce ed un gestire suadenti… e si fa tanta "audience", ma poi… hai trasmesso davvero il messaggio?
E se questa domanda può far parte dell’esame di coscienza del predicatore anche da parte degli uditori c’è da farsi almeno una domanda: come ascolto?
Si può ascoltare per curiosità e poi lasciar scorrere le parole su di noi come fa l’acqua che scorre su una pietra impermeabile. Si può ascoltare unicamente per trovare una risposta immediata ad un problema, si può ascoltare per cercare conferme o per poter criticare, ma la parola di Dio non ha bisogno di questi uditori.
La parola di Dio va ascoltata "come parola di Dio e non come parole di uomini".
La Parola di Dio va accolta non come un lenitivo ma "come una spada tagliente, a doppio taglio, che penetra fino alla divisione delle ossa".
La parola di Dio va accolta come un "seme che cade in terra buona e muore e porta frutto ora del 30, ora del 60, ora del 100 per uno".
La parola di Dio "è viva, efficace", se accolta con amore ha il potere di trasformarci.
Non basta andar dietro alla Parola di Dio perché piace, oppure a questo o quel predicatore perché dicono ciò che io voglio sentire.
Dio parla a me. Dio si svela a me. Dio non risolve i miei piccoli problemi e non risponde in diretta alla mie piccole domande, ma mi dona Se stesso e se l’accolgo, io cambio.
SABATO 9
S. Efrem; B. Anna M. Taigi
Parola di Dio: Tb. 12,1.5-15.20; Cant. Tb 13,2.6-8; Mc. 12,38-44
"E OSSERVAVA COME LA FOLLA GETTAVA MONETE NEL TESORO". (Mc. 12,41)
La giornata di discussioni e di controversie causate dagli scribi e farisei termina per Gesù con l'osservazione di alcuni gesti di religiosità e con l'esaltazione di una povera vedova che nella sua fede semplice, bisognosa di tutto, manifesta la sua sconfinata fiducia in Dio.
Gesù osserva ma vede al di là delle cose. Gettare denaro nelle cassette del tempio era un atto di religiosità (e notiamolo bene: Gesù non condanna questo gesto, non sta a chiedersi se è giusto, se il denaro verrà usato bene o no). Esteriormente, però, si vedono i ricchi ostentare la propria ricchezza, ma la contabilità per Gesù non è secondo le regole della matematica, ma secondo quelle del cuore.
"Padre, se il Signore mi fa andare bene quell'affare, vedrà che bella offerta faccio alla Chiesa!". Se l'offerta è per riconoscere la grandezza di Dio a cui dobbiamo tutto ed è per venire incontro a necessità di altri è gradita a Dio; se è per comprarsi il Padre Eterno, Egli non ci sta; se è per farsi vedere, la ricompensa è già immediata e quindi non gradita a Dio.
Due piccoli esempi presi dalla vita dei bambini possono aiutarci a capire il "fuori" e il "di dentro".
Il nonno si chinò sul nipotino di cinque anni e gli diede il bacio della buona notte. Subito dopo il bambino si strofinò la faccia. "Perché fai così?" gli chiese la mamma. "Quando qualcuno ti bacia non c’è bisogno di strofinare via il bacio". "Mamma", spiegò il bambino, "non lo strofinavo via. Lo strofinavo dentro".
Una mamma in viaggio era disturbata dal bambino sempre in movimento. "Adesso siediti! ".
Ma il bambino pareva non sentirla e continuava a rizzarsi in piedi sul sedile per guardare fuori dal finestrino. Infuriata, la mamma prese il bambino per le spalle e lo costrinse a sedersi accanto a lei. Il bambino la guardò orgogliosamente e disse: "Di fuori sono seduto, ma dentro sono in piedi!". Perché, quello che abbiamo "dentro" conta molto di più del "di fuori".
DOMENICA 10
SANTISSIMA TRINITA’ (ANNO C)
San Maurino; B. Enrico da Bolzano
Parola di Dio: Pro.8,22-31; Sal 8; Rm 5,1-5; Gv 16,12-15
1^ Lettura (Prov. 8, 22-31)
Dal libro dei Proverbi.
La Sapienza di Dio parla:
"Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin d'allora. Dall'eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra. Quando non esistevano gli abissi, io fui generata; quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d'acqua; prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io sono stata generata. Quando ancora non aveva fatto la terra e i campi, né le prime zolle del mondo; quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull'abisso; quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell'abisso; quando stabiliva al mare i suoi limiti, sicché le acque non ne oltrepassassero la spiaggia; quando disponeva le fondamenta della terra, allora io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a lui in ogni istante; dilettandomi sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo."
2^ Lettura (Rm. 5, 1-5)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.
Fratelli, giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio. E non soltanto questo: noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Vangelo (Gv.16, 12-15)
Dal vangelo secondo Giovanni.
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà".
RIFLESSIONE
Un giorno ero andato a fare una gita in montagna con un gruppo di famiglie.
La giornata era splendida, c’era davvero da riempirsi gli occhi delle bellezze del creato: dall’azzurro del cielo, al verde dei prati, a quel piccolo gioiello di laghetto alpino incastonato tra costoni di roccia che rifletteva cime innevate e cielo. Erano un gruppo di famiglie cristiane, abituate a trovarsi settimanalmente e a fare anche lunghe riflessioni tra loro. Ad un certo momento uno di loro mi disse: "Parlaci di Dio". Ero ancora molto giovane, mi sembrava che la mia testimonianza dovesse essere fatta soprattutto di parole, e allora mi raccolsi un momento e cominciai a chiedermi se dovevo parlare di Gesù e del suo Regno, della misericordia del Padre, della forza dello Spirito Santo o di quanto Dio aveva fatto per noi o desiderava da noi. Ma poi, forse proprio grazie allo Spirito Santo che non ama farsi raccontare con piccole parole, allargai le braccia e dissi: " Siamo Figli di Dio, sua famiglia, siamo davanti a Dio, siamo immersi in Dio e nelle sue opere, credete che le mie parole possano dirvi qualcosa di più di ciò che i nostri occhi, il nostro respiro, il nostro cuore percepisce in questo momento?" Di Dio si può parlare, e di solito si balbetta qualcosa di Lui o si possono dire delle gran stupidaggini su Dio o si arriva anche al culmine di far dire delle stupidaggini a Dio stesso.
Dio lo si può ricercare come si ricerca una verità su un libro, in una intelligenza e di solito non ci alza di molto ma ci si ferma all’uomo al suo pensiero e si rinchiude Dio in stantii libri di una polverosa libreria. Ma Dio lo si può incontrare: noi siamo dentro Lui, viviamo immersi nella sua presenza; forse è proprio per questo che è difficile tradurre in parole un mistero così grande: siamo un po’ come un pesce che vive nel mare ma non può parlare dell’acqua o come noi, uomini, che respiriamo ma troviamo difficile parlare dell’aria. Alcuni grandi ci hanno provato; ecco alcune loro frasi: Isaac Newton ha lasciato questo scritto: "Questa notte mi sono assorto nella meditazione della natura. Ammiravo il numero, la disposizione, la corsa di quei globi infiniti. Ma ammiravo ancor più l’Intelligenza infinita che presiede a questo vasto meccanismo. Dicevo a me stesso: bisogna essere ciechi per non restare estasiati a questo spettacolo, sciocchi per non riconoscerne l’autore, pazzi per non adorarlo". Diderot, che certamente non eccelleva per spirito religioso, ha confessato:
"L’occhio e l’ala di una farfalla bastano per annientare un ateo".
Il grande botanico Linneo aggiungeva: "Il Dio eterno, il Dio immenso, sapientissimo, onnipotente è passato dinanzi a me. Io non lo ho veduto in volto, ma ho visto le tracce del suo passaggio".
E Boris Pasternak scriveva: "Lo spazio, qui sulla terra, è come l’interno di una cattedrale. Dalle finestre mi è dato di sentire l’eco di un coro lontano e celestiale".
Nonostante tutto questo, Dio ci sarebbe ancora estraneo se Lui stesso "in molti modi e in molti tempi ed ora nel suo Figlio Gesù" non ci fosse venuto incontro.
Infatti noi crediamo che il nostro Dio è un Dio che per amore si rivela, un Dio che ci è venuto incontro e che si è fatto incontrare dall’uomo. Crediamo che Dio è venuto a dirci qualcosa di sé. E questa non è una pia favola, è la storia di Gesù Cristo, una storia che tutti possono verificare.
E Dio, l’eccelso, colui che è il totalmente Altro, l’Inaccessibile, perché noi potessimo entrare in Lui, si è fatto conoscere proprio come famiglia, quella famiglia che è l’esperienza fondamentale della vita dell’uomo..
L’uomo da solo si sente perso. Ha bisogno di comunicare, di crescere con gli altri di manifestare con gesti, parole, sensibilità, sessualità, il suo rapporto costruttivo e creativo.
L’uomo ha bisogno dell’altro come ha bisogno di Dio e la famiglia materiale può essere una prima risposta storica a questo bisogno.
La famiglia, infatti, è un insieme di tante cose: è rapporto, relazione, sentimenti, creatività, senso della vita, risposta ad esigenze personali e sociali… è un qualcosa di non completamente definibile, ma vitale. E il Dio di Gesù si presenta a noi proprio così: Dio è famiglia dove c’è un Padre, un Figlio e uno Spirito di Amore, dove c’è relazione, obbedienza, partecipazione, donazione totale e vicendevole dove c’è soprattutto Unità, dove pur essendoci ruoli apparentemente diversi in relazione con noi uomini, c’è unità totale.
Mi riempie il cuore di gioia pensare che il Creatore dell’universo non sia il Dio solo, il Principio, motore immobile di tutte le cose, il Dio barbogio di filosofi o di tristi teologi, ma il Dio che è famiglia, che continua a creare ogni giorno, il Dio preoccupato dei suoi figli, di tutti i suoi figli e di ciascuno di loro, il Dio che nonostante gli errori degli uomini continua a rinnovarli con il suo Spirito, il Dio che si ama, ma proprio per questo ama noi. E se Dio è famiglia scopro anche che noi siamo famiglia di Dio. Siamo stati pensati e creati a sua immagine. Portiamo dentro di noi la capacità di Dio, per dirla in termini materiali i cromosomi di Dio, il suo Dna sono parte costituente del nostro essere. Siamo davvero e non solo per figura fratelli di Gesù. Maria, sua Madre è davvero nostra Madre. Siamo tempio dello Spirito Santo. Egli abita in noi, ci sostiene in ogni momento di vita, ci apre a prospettive di eternità. Dio allora non è solo il Padrone da cui fuggire o di cui avere paura, Egli non cerca la morte del peccatore, non è solo e sempre pronto a scagliare fulmini e saette, è mio Padre, posso avere con Lui un rapporto sì di rispetto, ma anche di confidenza: Un Dio Padre non può volere la mia sofferenza e anche quando la permette essa è per una gioia maggiore. Come ci ha detto Gesù "Dio non dà al figlio che chiede un pane, uno scorpione o se chiede un pesce, un serpente".
Gesù non è un fratello che si mette in concorrenza con me, non c’è pericolo che voglia rubarmi qualcosa o portarmi via l’eredità, anzi è proprio il fratello che è venuto a donarmi la possibilità di crescere nella famiglia di Dio, di riceverne tutti i doni, il fratello che per riconciliarmi col Padre è disposto a darmi la sua vita, è il Buon Pastore che lascia le novantanove pecorelle per venire a cercarmi quando mi perdo, è Colui che resta sempre con noi, che si fa Pane per darmi la forza del cammino.
E lo Spirito Santo non è soltanto l’Amore immobile ed eterno tra Padre e Figlio o il Sigillo dell’Unità di Dio, è la forza, la fantasia, la presenza, il coraggio, l’amore donato che ci fa crescere, che ci rende capaci di scienza, di intelligenza, di sapienza, che ci rende capaci di Dio stesso. E’ vero che in ogni famiglia possono esserci anche incomprensioni, divergenze, differenze, ma, nonostante questo (e in un modo o nell’altro è sempre un grande dolore), il rapporto anche se qualche volta umanamente è spezzato, rimane sempre.
Anche nella famiglia dei figli di Dio possono esserci momenti di dubbio, di incomprensione, divisioni tra i fratelli, mancanze di riconoscenza verso i doni ricevuti, anche fughe.
Possiamo anche essere infedeli, ma Dio rimane fedele.
Non si spaventa neanche davanti al nostro peccato, ci viene a cercare attraverso Gesù, attraverso lo Spirito e non c’è gioia più grande per Lui di poter far festa per un figlio perduto e ritrovato, scappato ma tornato.
Di Dio forse si può dire poco ma non si può non sentirne la presenza, si può forse e giustamente rimanere perplessi davanti alla Trinità e Unità di Dio, perché è un mistero troppo grande per noi, ma non si può far a meno di respirare il suo amore di Padre, la sua fratellanza, e non possiamo fare a meno di sentire aleggiare il suo Spirito nel mondo e in noi. Mi sembra allora che la festa della Trinità possa essere per noi una festa di famiglia nella quale più che voler sapere come è fatto Dio, più che cercarlo solo con la nostra piccola ragione, riconosciamo di essere la sua seppur squinternata, ma amata famiglia.
LUNEDI’ 11
San Barnaba
Parola di Dio: Atti 11,21-26; 13,1-3; Sal. 97; Mt. 10,7-13.
"E, STRADA FACENDO, PREDICATE CHE IL REGNO DI DIO E’ VICINO". (Mt. 10,7)
Oggi, festa dell’apostolo san Barnaba abbiamo sentito ancora una volta leggere alcune frasi del discorso missionario attraverso il quale Gesù manda gli apostoli e noi nel mondo a portare il lieto annuncio del Regno di Dio. Vedendo come va il mondo saremmo tentati di dire che il Regno di Gesù non solo non è vicino, ma sempre più lontano: dov’è la giustizia quando impunemente si ammazza, si calunnia? Dov’è la fede quando unico dio di questo mondo sembrano essere il denaro e i suoi derivati? Eppure il Regno dei cieli è vicino perché Gesù, seme di questo regno, è già stato seminato da Dio, perché il suo sangue ha già irrigato la terra, perché il suo perdono è sempre a nostra disposizione, perché Dio è fedele al suo amore. Il Regno dei cieli è sempre più vicino perché in questo mondo ci sono tanti santi che bruciano la loro vita per il bene degli altri, perché sono in tanti che pregano e testimoniano. Anche oggi posso incontrare i segni di questo regno nei sacramenti di Gesù, in quella vecchietta che prega, in quella mamma che non ha perso la speranza nonostante i suoi continui insuccessi con il figlio drogato, negli occhi di quel bambino che ha rinunciato a qualche dolcetto per i bambini che hanno fame. No! Il Regno dei cieli è vicino, e non perché qualcuno continua a paventare l’imminente fine del mondo ma perché Cristo sta operando concretamente in noi e attorno a noi.
Ecco allora dove si fonda la nostra missionarietà: spesso siamo convinti che predicare il Vangelo richieda doti particolari, sia un incarico riservato a preti e missionari. A me piace molto la frase di Gesù che meditiamo oggi: "Strada facendo, predicate il Vangelo". Ognuno di noi ha la sua strada, la strada del quotidiano della vita ed è lì che noi realizzando noi stessi, è lì che siamo chiamati a testimoniare la fede. Si può e si deve essere cristiani sul tram, in macchina, in casa, in ufficio, nelle corsie di un ospedale come nella gioia di una vacanza, nella missione più sperduta dell’Amazzonia come nel nostro borgo. "Strada facendo": nei giorni felici e in quelli duri, nell’incontro fortuito di un compagno di viaggio, come con i tuoi parenti.
Gesù vuole continuare la sua incarnazione in tutte le strade, vuole portare gioia nei cuori, salvezza e liberazione e mi chiede se "Strada facendo" mi faccio accompagnare da Lui e se "strada facendo" lascio trasparire da me Lui perché anche altri possano di Lui gioire.
MARTEDI’ 12
S. Onofrio; S. G. Bretoni; S. Paola Frassinetti;
Parola di Dio: 2Cor. 1,18-24; Sal. 1; Mt. 5,13-16
"COSI’ RISPLENDA LA VOSTRA LUCE DAVANTI AGLI UOMINI PERCHE’ VEDANO LE VOSTRE OPERE BUONE". (Mt. 5,16)
Sovente i vangeli usano la simbologia della luce. Noi viviamo grazie alla luce, noi grazie alla luce conosciamo, ci muoviamo, vediamo. La luce illumina le cose, ci dà il colore, la dimensione, la prospettiva. Per vedere occorre la luce giusta. Troppa luce acceca, poca luce non permette di vedere. Gesù è la luce di Dio che viene nel mondo. Gli ebrei antichi avevano paura di vedere direttamente il volto di Dio: troppa luce li avrebbe uccisi! Ed ecco Dio manda suo Figlio fatto uomo, riveste l’immensa luce della divinità con la finitezza dell’umanità, perché la luce di Dio possa venire nel mondo per illuminare il mondo senza accecarlo. Lui puoi guardarlo: è la luce di Dio che brilla nella nostra umanità, è come un raggio di luce che riesce, da una fessura a penetrare in una stanza abbandonata e mette in risalto tutto quanto in essa è contenuto, soprattutto il disordine e la polvere. Ma se la luce del sole non può cambiare ciò che illumina, la luce di Cristo può cambiare noi, può darci il coraggio di uscire allo scoperto, può illuminarci sui valori che abbiamo sotterrato in mezzo alla polvere, può darci la voglia di fare lo sgombero delle cose vecchie, di aprire le finestre, di cambiare aria… E oltretutto la luce di Cristo ci rende capaci di riflettere ciò che abbiamo ricevuto. Anche noi possiamo e dobbiamo essere portatori di luce. Non tanto la nostra che spesso è tenebra, ma la sua che ci ha illuminati. Tutte le volte che nella mia vita ho incontrato un prete triste ripetitore di riti, un cristiano abbarbicato alla morale delle norme, ho avuto qualcosa da dire alla religione e non sono cambiato, tutte le volte che ho incontrato un credente innamorato della sua fede, uno che pregava con gioia, uno che sapeva soffrire senza per questo essere senza speranza, uno che sapeva condividere con gioia, uno che sapeva sorridere, ho sentito voglia di amare come amava Lui, di conoscere Colui che gli aveva illuminato il cuore.
MERCOLEDI’ 13
Sant’Antonio da Padova; S. Alice;
Parola di Dio: 2Cor. 3,4-11; Sal.98; Mt. 5,17-19
"NON SONO VENUTO AD ABOLIRE LA LEGGE O I PROFETI, MA A DARVI COMPIMENTO". (Mt. 5, 17)
Dio, durante l’Esodo, aveva fatto dono ad Israele della Legge. Essa non era un giogo che il Padrone metteva sulla schiena del suo servo per poterlo comandare, era invece una grazia che permetteva al popolo di realizzarsi come popolo di Dio. I comandamenti, anche oggi, più che un’imposizione, sono una legge di libertà. Ma come sempre, quando ci sono delle leggi c’è il pericolo che anche una legge buona, nella sua interpretazione e applicazione diventi una legge pesante.Le leggi di Dio erano state appesantite dalle tradizioni degli uomini al punto tale che si era perso il genuino senso della Legge. Gesù viene non per modificare la Legge, vanificarla, dare leggi nuove, ma per purificarla, farla ritornare alla sua origine, motivarla: i comandamenti non hanno senso se non sono vissuti nella dimensione dell’amore, un amore che viene da Dio, che è risposta dell’uomo, che è rispetto di se stessi e dei propri valori.
Ai tempi della Chiesa primitiva ci si poneva una domanda: per essere cristiani bisogna continuare ad osservare le prescrizioni della legge giudaica? Gesù non supera ogni forma di legalismo? Oggi ci possono essere altre domande: per essere cristiani bisogna tener conto e osservare le tradizioni che si sono accumulate lungo il corso degli anni della vita della Chiesa? Qual è l’osservanza a cui sono tenuto davanti alle norme della Chiesa che spesso mi sembrano più frutto del tempo in cui viviamo che norme divine?
Gesù è l’uomo più libero che sia esistito ed ha insegnato a noi uomini il cammino della libertà vera. Eppure dice di non essere venuto ad abolire neanche il minimo precetto della legge antica. Sembra un controsenso ma questo è dovuto al falso concetto di libertà che spesso noi abbiamo. Mi è capitato spesso sentire definire la libertà come: "Fare ciò che voglio". Libertà per Gesù è invece realizzare il progetto di uomo secondo la volontà di Dio. Il piano di Dio è un piano amorevole nei nostri confronti. Egli desidera che noi, individualmente e come comunità di suoi figli, troviamo il senso della vita e incontriamo Lui, pienezza della nostra realizzazione. Per questo la Bibbia racconta la sua e la nostra storia della salvezza. La legge di Dio, allora, non è un peso, il vincolo di un padrone che per tener buoni i suoi schiavi, impone norme e pene, è la strada della vera libertà. Gesù, come uomo libero, accetta la legge di Dio e la osserva perchè è in essa che realizza la volontà del Padre. Io sarò perfettamente libero e aiuterò i miei fratelli nella libertà se accetterò la legge di Dio non come imposizione ma come dono di Dio per giungere liberamente a Lui. La legge del peccato ci rende schiavi del peccato, la legge di Dio ci rende capaci di Dio stesso.
GIOVEDI’ 14
Santi Rufino e Valerio; Sant’Eliseo
Parola di Dio: 2Cor. 3,15 – 4,1.3-6; Sal. 84; Mt. 5,20-26
"SE DUNQUE PRESENTI LA TUA OFFERTA SULL’ALTARE E LI’ TI RICORDI CHE TUO FRATELLO HA QUALCHE COSA CONTRO DI TE, LASCIA LI’ IL TUO DONO E VA PRIMA A RICONCILIARTI CON IL TUO FRATELLO, POI TORNA AD OFFRIRE IL TUO DONO".
(Mt. 5, 23-24)Il perdono fa del bene a chi lo pratica, prima ancora che al destinatario. Lo psicologo Monbourquette nel suo libro "L’arte di perdonare", ha questo racconto che può essere significativo: Ai margini di un piccolo paese tranquillo, abitato da benestanti e da qualche commerciante, si erge una fattoria con la facciata dipinta di fresco, circondata da campi colorati percorsi da canali ben squadrati. È la fattoria di Alfredo, un uomo fiero, integro e un po’ presuntuoso. Alto, magro, con il mento affilato e il naso aquilino, è rispettato ma anche temuto dalla gente. Non è molto loquace ma, quando parla, lo fa per pronunciare proverbi sul valore del lavoro e sul senso della vita. Sua moglie, Adele, si presenta sempre con un sorriso accattivante e una parola gentile. La gente sta bene in sua compagnia.
Adele soffre in silenzio accanto a un marito avaro di parole e di carezze. Nel suo cuore rimpiange di aver sposato questo "grande lavoratore" che aveva entusiasmato il suo defunto padre. Certo, Alfredo la fa vivere bene e non la tradisce ma, tutto preso com’è dal lavoro, le riserva ben poco tempo.
Un giorno Alfredo decide di finire prima la sua giornata. Invece di lavorare fino a notte, se ne torna a casa prima del previsto. Con suo grande stupore, sorprende Adele in flagrante adulterio con un vicino, nel letto coniugale. L’uomo fa appena in tempo a fuggire dalla finestra, mentre Adele, tutta confusa, si getta ai piedi di Alfredo per implorare il suo perdono. Questi rimane rigido come una statua: pallido per l’indignazione, le labbra livide per la rabbia, riesce a malapena a contenere il torrente di emozioni che lo assalgono. Scoprirsi tradito suscita in lui sensazioni che vanno dall’umiliazione alla collera, passando attraverso una sofferenza profonda. Lui, che non è un gran parlatore, non sa che cosa dire. Si rende però ben presto conto che il trattamento del silenzio sottomette Adele a una tortura più grande di ogni parola o gesto di violenza. Non si sa bene come la faccenda di Adele si sia risaputa in paese, ma le cattive lingue corrono in fretta. Si prevede che Alfredo chiederà la separazione. Ma sfidando i pettegolezzi, ecco che alla messa grande della domenica Alfredo compare a testa alta nella navata centrale in compagnia di Adele, che trotterella dietro di lui. Da buon cristiano, sembra aver capito le parole del Pater, il precetto: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Ma la gloria del perdono di Alfredo si nutre segretamente della vergogna di Adele. A casa, Alfredo continua ad attizzare il fuoco del suo rancore, fatto di mutismo e di sguardi fuggitivi, pieni di disprezzo. Tuttavia il cielo non si lascia abbindolare dalle apparenze della virtù. Perciò viene inviato un angelo per raddrizzare la situazione. Tutte le volte che Alfredo posa il suo sguardo duro e scuro su Adele, l’angelo gli fa cadere nel cuore un sasso grosso come un bottone. Alfredo sente ogni volta una stretta che gli strappa una smorfia. Il suo cuore si appesantisce così tanto da costringerlo a camminare curvo e a stirare penosamente il collo per guardare meglio davanti a sé. Un giorno, mentre sta tagliando il grano, Alfredo scorge, appoggiato al recinto, un personaggio luminoso che gli dice: «Alfredo, mi sembri affranto». Sorpreso nel sentir pronunciare il suo nome da uno straniero, Alfredo gli domanda chi è e di che s’impiccia. L’angelo gli dice: «So che sei stato ingannato da tua moglie e che l’umiliazione ti tortura. Però continui a esercitare una sottile vendetta che finisce col deprimerti». Alfredo si sente scoperto, abbassa la testa e confessa: «Non posso togliermi dalla mente questo pensiero maledetto: come può aver ingannato uno come me, un marito così fedele e generoso? Ha infangato il letto coniugale!». Nel pronunciare queste parole, Alfredo fa una smorfia di dolore. L’angelo si offre allora di aiutarlo, ma Alfredo è convinto che nessuno è in grado di liberarlo dal suo peso: «Per quanto potente tu possa essere, straniero, non potrai mai cancellare quanto è successo». «Hai ragione, Alfredo, nessuno può cambiare il passato, ma tu hai il potere, fin da questo momento, di vederlo in modo diverso. Renditi conto della tua ferita, accetta la tua collera e la tua umiliazione. Quindi, a poco a poco, comincia a cambiare il tuo modo di guardare Adele. E’ solo lei la colpevole? Ricordati della tua indifferenza nei suoi confronti. Mettiti nei suoi panni. Hai bisogno di occhi nuovi per vedere la tua disgrazia sotto una nuova luce».
Alfredo non riesce a capire bene, ma si fida dell’angelo. Non potrebbe fare diversamente, con quel peso che gli brucia nel cuore. Non avendo idea di quello che deve fare, domanda al suo interlocutore come potrebbe modificare il suo sguardo. L’angelo gli suggerisce: "Prima di guardare Adele, distendi le pieghe della fronte, le rughe intorno alla bocca e gli altri muscoli del tuo viso. Invece di vedere in Adele una donna malvagia, guarda la sposa che ha avuto bisogno di tenerezza. Ricordati con quale freddezza e durezza l’hai trattata; ricordati della sua generosità e del suo calore che ti piacevano tanto agli inizi del vostro amore. Per ogni sguardo nuovo ti toglierò un sasso dal cuore". Alfredo accetta il patto, ammettendo apertamente la sua goffaggine di carattere. Si sforza di guardare Adele con gli occhi nuovi. A poco a poco il suo dolore al cuore cessa. Adele sembra trasformarsi a vista d’occhio: da donna infedele diventa la persona dolce e amabile che aveva conosciuto nella primavera del loro amore. Questo cambiamento tocca la stessa Adele che, sollevata, ritrova il suo buon umore. il suo sorriso e la sua rotonda giovialità. A sua volta, Alfredo si sente completamente cambiato. Il suo cuore si lascia invadere da una profonda tenerezza. L’emozione nuova che lo sommerge gli fa ancora paura ma, una sera, piangendo e senza dire una parola, prende Adele fra le braccia. Il miracolo del perdono si è compiuto.
VENERDI’ 15
San Vito; S. Germana Cousin;
Parola di Dio: 2Cor. 4,7-15; Sal. 115; Mt. 5,27-32
"CHIUNQUE GUARDA UNA DONNA PER DESIDERARLA, HA GIA’ COMMESSO ADULTERIO CON LEI NEL SUO CUORE". (Mt. 5,7)
Se prendiamo alla lettera questa frase di Gesù penso che, specialmente al giorno d’oggi nessuno potrebbe salvarsi. Sovente mi chiedo se mia nonna fosse viva oggi e dovesse vedere anche solo per qualche ora la televisione probabilmente ne sarebbe talmente scandalizzata da dire: "In che mondo sono capitata? Non c’è più né morale né religione!". E pensare che Gesù dice frasi come questa per liberarci dalla paura e dalla schiavitù della legge! Gesù non vuole negare la natura umana, sa benissimo di che pasta siamo fatti. Se ad un bambino goloso di dolci tu metti davanti una bella torta è automatico che gli venga l’acquolina in bocca. Questo non è nè male nè bene, è fisiologico. Se però tu, adulto, hai criterio e una scala di valori, allora indirizzerai, magari con fatica, i tuoi istinti verso quei valori. Quando vedo una bella donna o un bell’uomo, non posso non sentire un’attrattiva o un interesse, ma se credo ai valori del rispetto dell’altro, della famiglia, delle mie scelte, allora saprò indirizzare anche il mio cuore. Se riesco a fare questo, allora nulla mi scandalizzerà più. Se aldilà del sesso vedo la mia e l’altrui persona non come oggetto di possesso ma come un fratello o una sorella, figli di Dio, amati da Lui, tempio dello Spirito, ecco che nasce in me la forza per superare l’istintuale ed anche la morale non è più: "non devi mangiare la torta", "devi sacrificarti perchè c’è un divieto", ma diventa: "gioisco per i doni che ho e che Dio ha fatto al mio fratello e alla mia sorella e liberamente e gioiosamente mi costruisco su questi doni". Gesù ci insegna il rispetto profondo di noi stessi, il rispetto dell’altro sesso, la nobiltà dell’amore. Per Lui la morale coniugale, la morale sessuale, non sono prima di tutto una lista di atti permessi o di atti vietati, esse sono prima di tutto una attitudine interiore, molto più esigente che richiede un continuo ripensamento ma che può donare anche una profonda libertà interiore.
SABATO 16
Ss. Quirico e Giulitta; S. Aureliano; S. Maria Teresa Scherer
Parola di Dio: 2Cor. 5,14-21; Sal.102; Mt. 5,33-37
"SIA IL VOSTRO PARLARE SI’, SI’; NO, NO; IL DI PIU’ VIENE DAL MALIGNO". (Mt. 5,37)
Come è difficile incontrare delle persone sincere. E’ molto più facile trovare persone che ci fanno vedere una faccia e poi sono completamente diversi, persone che ti parlano con parole suadenti, che sono accattivanti, ma che lo fanno per loro interessi particolari, persone che ti dicono mezze verità per portarti dalla loro parte…E se è vero che quando andavamo a confessarci da ragazzi, uno dei peccati più facilmente individuabile erano le famose "bugie", è altrettanto vero che da grandi, se siamo corretti nel nostro esame di coscienza, dovremmo ancora confessarci per aver attentato tante volte alla verità in modi magari ben più gravi: per averla nascosta agli altri o a noi stessi; per aver insinuato cose che a base di "forse", "ma", "mi pare", hanno portato altri su giudizi non veri; per non averla cercata la verità perché poi ci sarebbe costata troppo; per aver mascherato dietro parole di vana cultura la nostra povertà e vuotezza interiore...Con questa frase, poi, Gesù non solo ci invita alla sincerità, all’evitare le bugie, ma anche ad usare bene del nostro modo di parlare e di porci davanti agli altri. Vi sono parole che sono proiettili, altre che sono carezze; parole che sono pietre, altre che danno la scossa all’anima. Una parola può uccidere, deludere, portare tristezza, oppure può essere una golata di aria buona, di speranza, di fiducia in Dio e nel mondo. Ci sono alcune parole che portano felicità di cui noi spesso, chissà perché, siamo avari. Perché non dire, con sincerità, qualche volta: "Ti voglio bene; mi sei simpatico; mi piaci quando ridi; come ti senti?; raccontami; andiamoci a prendere un gelato; cosa ne pensi?; puoi dire tutto quello che vuoi; mi piaci come sei; che cosa ti ha fatto arrabbiare?; dimmi se ho sbagliato; non prendertela; coraggio; la prossima volta andrà meglio...". Prendiamo esempio da Gesù stesso: le sue sono sempre parole di Verità, anche quando questo gli costa la morte, sono parole a volte molto esigenti nei nostri confronti, ma sono sempre anche parole di serio incoraggiamento, di presenza consolante, di impegni dati sulla fiducia.
DOMENICA 17
SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO C)
Sant’ Imerio; Santi Nicandro e Marciano; S. Adolfo;
Parola di Dio: Gn. 14,18-20; Sal. 109; 1Cor. 11,23-26; Lc. 9,11-17
1^ Lettura (Gn. 14, 18-20)
Dal libro della Genesi.
In quei giorni, Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: "Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici". Abram gli diede la decima di tutto.
2^ Lettura (1 Cor. 11, 23-26)
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga.
Vangelo (Lc. 9, 11-17)
Dal vangelo secondo Luca.
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: "Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta". Gesù disse loro: "Dategli voi stessi da mangiare". Ma essi risposero: "Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente". C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai discepoli: "Fateli sedere per gruppi di cinquanta". Così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti. Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste.
RIFLESSIONE
Per cercare di esprimere qualche pensiero e riflessione sulla festa del Corpo e del Sangue del Signore che ci sono donati, partiamo proprio dal racconto della moltiplicazione dei pani che abbiamo sentito nel Vangelo di oggi. Questo episodio, infatti anticipa e introduce molti di quelli che sono i segni del dono eucaristico.
Gesù sta insegnando e guarendo.
Egli sa quali sono le esigenze fondamentali della gente: la salute del corpo e l’insegnamento che permetta di dare un senso compiuto alla vita. L’Eucaristia è parola del Signore che ci salva ed è pane che ci guarisce e ci da forza per camminare.
Gli apostoli invitano Gesù a congedare la folla.
Meglio stare in pace. Meglio non farsi troppo carico degli altri. Che ognuno si arrangi. Meglio chiudere gli occhi sul mondo e sulla gente e rintanarci nel gruppo. E’ questo l’atteggiamento completamente opposto all’Eucaristia.
Ma Gesù spiazza questo modo di pensare: "Dategli voi da mangiare".
Gesù fa i miracoli, potrebbe pensarci da solo a questa folla e, invece, interpella proprio loro. L’Eucaristia è un pane per noi, ma un pane che ci mette in movimento, che ci apre alle necessità degli altri.
"Non abbiamo che cinque pani e due pesci".
E’ la constatazione della nostra povertà. Senza di Lui non possiamo nulla, abbiamo solo la possibilità di condividere il poco e di amare, ed è questo che vuole Gesù da noi. A questo punto Egli può fare il miracolo per noi e per tutti: "Alzati gli occhi al cielo, benedisse i pani, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla". Il pane diventa il segno misterioso della vita di Cristo, donata, moltiplicata, spezzata, condivisa.
Ultima notazione: "Ne portarono via dodici ceste". Prima si domandavano che cosa fare, adesso, più stupiti che mai, raccolgono gli avanzi. Così capita anche a noi quando, presa sul serio l’Eucaristia cominciamo a condividere. Pensiamo di regalare e alla fine sono gli altri ed è Cristo stesso ad arricchirci.
Con questi spunti evangelici pensiamo adesso al grande dono del Corpo e Sangue di Cristo. Noi spesso pensiamo che Dio si trovi in un luogo lontano e sconosciuto. E non ci accorgiamo che vive vicino a noi, cammina per le nostre strade, affronta con noi i problemi di ogni giorno. L’Eucaristia è il modo privilegiato di Gesù per stare con noi. Non un Dio lontano, ma vicino, Uno con cui si può entrare in intimità; non un giudice tremendo ma un fratello; non un Dio solitario ma un amico. L’Eucaristia è il Sacramento della presenza è la concretizzazione delle parole di Gesù: "Non vi lascerò soli, sarò con voi per tutti i giorni, per sempre".
L’Eucaristia è un banchetto tra amici. Nel mondo in cui viviamo ci sono troppe divisioni, troppe intolleranze, troppi lutti inutili, troppe tristezze che si potrebbero evitare. Il ritmo stesso delle nostre città è fatto per le macchine più che per gli uomini. Nell’Eucaristia noi mangiamo il Corpo di Gesù per testimoniare la nostra solidarietà con tutti gli uomini. Mai un gesto religioso ha affermato in maniera così chiara e forte la grande verità dell’uguaglianza umana. Tutti ricevono lo stesso pane, lo stesso identico Cristo. Da parte di Dio l'affermazione dell'uguaglianza è perfetta, ma noi ci accostiamo a Dio con la volontà di eliminare barriere, distanze, privilegi, ingiustizie? In ogni Messa noi riceviamo una bruciante consegna, una spinta apostolica per la realizzazione di un mondo in cui nessuno sia disprezzato, ma ognuno sia amato e rispettato. L’Eucaristia è dunque il sacramento della fratellanza.
Ma è anche il cibo adatto per il cammino. Arrivano per tutti i momenti della stanchezza, della delusione, dello sconforto, quando le cose vanno male, perché ci si spaventa del futuro, perché si incontra l’inimicizia e il tradimento.
Veniamo alla mensa perché sentiamo che dentro di noi c’è un’inquietudine che solo Dio può risolvere. Pubblicamente, con la Messa riconosciamo che solo Dio può sfamare l’uomo, solo Dio è proporzionato al bisogno dell’uomo. Nell’Eucaristia Dio è forza, Cristo è il pane che ci dà la capacità di tirare avanti, è il pane che ci mette dentro il seme della gioia, è il pane che ci mette davanti la luce della speranza, è il sacramento del perdono e dell’energia nuova.
Ma sono poi sempre questi i nostri sentimenti? E se siamo convinti di questo perché a tante messe restiamo senza Comunione?
L’Eucaristia è il nodo dell’amore.
Ci ricorda San Paolo nella lettera agli Efesini: "Voi che una volta eravate lontani, siete diventati vicini mediante il sangue di Cristo". Molte volte non ci sediamo vicini agli altri per ascoltarli, ma per giudicarli. Non ci sforziamo di capire chi ha sbagliato, di asciugare le lacrime di chi piange, di essere lieti con chi è allegro.
Fare l’Eucaristia significa vedere Cristo nel mio vicino. Ricevere Cristo significa capire e perdonare. Accostarsi all’Eucaristia è dare testimonianza dell’amore perché l’Eucaristia è un pane da spezzare insieme.
Gesù ha detto : "ho avuto fame e tu mi hai dato da mangiare": non puoi mangiare il pane che Dio spezza con te se a tua volta non senti il desiderio di dividere il tuo pane con chi ha fame.
L’Eucaristia, poi garantisce il mondo futuro.
Gesù ha detto: "Padre Santo, io ho dato loro la gloria che Tu mi hai dato, affinché essi siano una cosa sola come noi siamo uno" Nell’Eucaristia Dio vuol fare di noi un unico popolo, il suo popolo, un'unica famiglia, la sua famiglia, l’Eucaristia è dunque anche promessa di futuro e quindi sacramento di speranza.
Ma l’Eucaristia è soprattutto fare memoria di Gesù.
Questo pane ci è stato dato come testamento da parte di Gesù proprio "nella notte in cui stava per essere tradito". E’ il mistero dell’amore di Cristo, è la sua passione, morte e risurrezione vissuta e offerta per noi, è Dio dentro di noi, è il cielo che già comincia sulla terra, è il sacramento che ci rende simili a Dio e diventa dunque per ogni cristiano, l’affermazione di uno stile di vita: la vita come servizio, come dono volontario di se stessi. Certamente chi non crede vuole fare da padrone ai suoi fratelli; Cristo, invece propone il servizio.
Chi non crede vuol dominare; Cristo invece cerca l’ultimo posto. Chi non crede vuole tutto quaggiù; chi crede, invece sa calarsi nel solco della pazienza e della croce con la certezza che il Calvario è la via della risurrezione
LUNEDI’ 18
San Gregorio Barbarigo; San Calogero
Parola di Dio: 2Cor. 6,1-10; Sal. 97; Mt. 5,38-42
"AVETE INTESO CHE FU DETTO: OCCHIO PER OCCHIO, DENTE PER DENTE; MA IO VI DICO:… (Mt. 5,38—39)
Non solo prima di Gesù o ai suoi tempi ma ancora oggi, nella vita quotidiana e alla base del diritto penale sta il fatto che la pena sia proporzionata alla colpa. Pensiamo, ad esempio, come anche noi, davanti a certi fatti, pur non invocando la vendetta, siamo però disposti ad accettare città bombardate per rappresaglia, lotte razziali, nazionali, sociali dove si applica con rigore la "escalation"... si parla pudicamente e ipocritamente di "rapporti di forze", ma è sempre il vecchio adagio violento: "occhio per occhio", quando non si arriva addirittura a chiedere due occhi per uno. Gesù mette in dubbio questo principio in nome di una giustizia più alta. Al posto di una vendetta regolamentata che rischia sempre di innescare la spirale della violenza, Gesù predica la non violenza che rinuncia a rispondere al male con le stesse armi. All’odio istintivo poi, Gesù oppone l’amore, un amore operante che si esprime attraverso gesti concreti: l’ospitalità offerta allo straniero, la preghiera per i persecutori. Ingenuità, utopia? A noi sembra impossibile poter realizzare questo e allora, vedendoci tanto lontani da questo ideale ci sentiamo di voltar pagina e accusare Gesù di essere un sognatore. Eppure la strada proposta è vera liberazione. Restituire bene per male, senza per questo diventare conniventi con il male, amare gli altri malgrado la loro malevolenza, amare a fondo perduto è l’amore più grande e autentico, quello che Cristo praticò e ci insegnò, l’amore che rende credibile il Vangelo.
Invece di perderci d’animo, si tratta allora di cominciare. Se ti accorgi che non riesci subito a perdonare, se sai quanto sia difficile superare l’istinto del vendicarsi, se non hai troppa fiducia in te stesso nel riuscire a fare passi di perdono, comincia per lo meno a guardare al Crocifisso, comincia magari a dire una preghiera per il tuo ‘nemico’… fidati! Gesù può fare cose impossibili perfino in tipi come me e te!
MARTEDI’ 19
San Romualdo; S. Giuliana F; Santi Protasio e Gervasio
Parola di Dio: 2Cor. 8,1-9; Sal.145; Mt. 5,43-48
"AMATE I VOSTRI NEMICI… PERCHE’ SIATE FIGLI DEL PADRE VOSTRO CELESTE, CHE FA SORGERE IL SUO SOLE SOPRA I MALVAGI E SOPRA I BUONI, E FA PIOVERE SOPRA I GIUSTI E GLI INGIUSTI". (Mt. 5,44-45)
Ancora una volta riprendiamo la riflessione sul perdono, e oggi ci viene offerta una possibilità in più per fare un altro passo su questa strada. Gesù ci ricorda che la controprova di essere figli di Dio ci è data dal fatto di comportarci come Lui.Quindi l’essere figli non è un fatto acquisito una volta per sempre, è un titolo che viene guadagnato cercando di rassomigliare al Padre nella sua generosità verso tutti, compresi i nemici, nella sua benevolenza verso gli «ingiusti» e i «malvagi».Io posso considerarmi figlio del Padre celeste, solo se lo imito nel perdono, e nell’amore verso i nemici, i cattivi, i mascalzoni che mi offendono. Oserei dire che non si nasce figli. Lo si diventa. Il Padre ci riconosce come figli allorché sul nostro volto, nelle nostre azioni, appaiono i tratti caratteristici della sua bontà sconfinata. Essere figli è una cosa stupenda, ma anche una grossa fatica, un impegno interminabile. Inutile cullarci in facili illusioni. Il Padre non ci perde di vista Solo se gli lanciamo regolari segnali di presenza sulla strada ardua, impossibile, della «rassomiglianza», ma contemporaneamente se noi cerchiamo di percorrere le sue strade scopriamo la gioia di essere capaci a compiere cose normalmente impossibili e a provare gioie che nessuna vendetta o astio nei confronti del nemico ci avrebbero mai procurato.
MERCOLEDI’ 20
San Silverio
Parola di Dio: 2Cor.9,6-11; Sal. 111; Mt. 6,1-6.16-18
"GUARDATEVI DAL PRATICARE LE VOSTRE OPERE BUONE DAVANTI AGLI UOMINI PER ESSERE DA LORO AMMIRATI". (Mt. 6,1)
L’ipocrisia è una malattia terribile che si insinua ovunque, si comincia da piccoli raccontando bugie per farci vedere superiori a quello che siamo e si continua nella vita mascherandoci continuamente.
Anche nel bene vogliamo sembrare migliori di quello che siamo. Perfino con Dio, tentiamo la carta dell’ipocrisia: "Signore ho fatto bene tutto, quindi tu mi devi..."
Ma serve l’ipocrisia? Questo raccontino può suggerirci qualcosa:
Un cavallo selvaggio incontrò un cavallo domestico e cominciò a rimproverarlo per la sua condizione di schiavitù. La bestia domata replicò sostenendo di essere libera come il vento.
«E allora», disse l’altro, «spiegami un po’ a cosa serve quell’arnese che hai in bocca».
«È ferro», fu la risposta, «uno dei tonificanti più efficaci».
«Sì, ma cosa vogliono dire quelle redini che ci sono attaccate?».
«Servono a impedire che mi caschi dalla bocca quando sono troppo pigro per tenerlo stretto».
«E che mi dici della sella?».
«Mi risparmia molta fatica: quando sono stanco ci monto sopra e vado a cavallo».
Non c’è nessuno peggiore dello schiavo che bacia le proprie catene e dell‘uomo che scusa le cattive abitudini che lo tengono prigioniero. Nessuno è libero se non è padrone di se stesso.
Come combattere l’ipocrisia: Gesù ci indica la strada della verità, della semplicità, della consapevolezza di chi è Dio e di chi siamo noi.
GIOVEDI’ 21
San Luigi Gonzaga
Parola di Dio: 2Cor. 11,1-11; Sal. 110; Mt. 6,7-15
" SIA FATTA LA TUA VOLONTA’ ". ( Mt. 6,10 )
Diciamocelo con onestà: questa frase ci è difficile. Il più delle volte la pronunciamo o la sentiamo pronunciare come una frase di rassegnazione di chi va incontro ad una sventura immeritata e ingiusta. E’ capitata una disgrazia? Non posso fare diversamente?… Allora: sia fatta la Sua volontà. Qualche volta in questa frase c’è addirittura del rancore contro quel Dio alle cui leggi non si può sfuggire! E’ ben diverso lo spirito con cui Gesù insegna ai suoi discepoli a pronunciare queste parole. Sia fatta la tua volontà perché se Tu sei un Dio Padre, amoroso nei confronti dei tuoi figli, se tu sei giusto, se tu non puoi volere il nostro male, se tu vuoi la nostra salvezza e non la dannazione, allora questa volontà deve davvero essere la miglior cosa che poteva capitarmi anche se non la capisco, anche se mi costa, anche se stento a sorridere nel dirti di sì… Se tu sei davvero un Padre che gioisci nel provvederci il pane, nel perdonare i nostri debiti, nell’aiutarci nella lotta contro il male e il maligno, allora non posso pensare che se anche arriva la prova non sia che per il mio bene e che non ci sia anche la tua forza per affrontarla e superarla.
VENERDI’ 22
SACRO CUORE DI GESU’
San Paolino da Nola; Santi Giovanni Fisher e Tommaso More
Parola di Dio: Ez. 34,11-16; Sal. 22; Rm. 5,5-11; Lc. 15,2-7
"I FARISEI E GLI SCRIBI MORMORAVANO: COSTUI RICEVE I PECCATORI E MANGIA CON LORO". (Lc. 15,2)
La festa odierna del Cuore di Gesù vuol ricordarci che noi siamo nel cuore di Dio, qualunque sia la nostra situazione di bontà o di cattiveria. Siamo figli amati da un cuore immenso che ha dato la sua vita per noi. E’ solo partendo da questo amore che noi possiamo davvero esprimere la nostra fede in Lui. Come riflessione vi offro oggi i pensieri di un cappellano del carcere, don Nico Ambrogio, che ci dice il perché della sua fede.
Credo in Gesù Cristo
—perché amava la vita e divideva tutto con gli altri;
—perché diceva davanti a tutti ciò che pensava nel suo intimo;
—perché ha sempre rifiutato la menzogna, l’adulazione, l’ipocrisia;
—perché non si è lasciato condizionare da nessuna autorità civile o religiosa;
—perché ha parlato con semplicità di ciò che ci sta veramente a cuore: del senso della vita e della morte, dell’amore, della bellezza del mondo e dell’avvenire;
—perché ha affermato che c’è un solo modo per essere capi, cioè quello di servire gli altri;
—perché ha dichiarato che Dio e il denaro non possono essere messi alla pari;
—perché ai suoi occhi un banchiere, un capo di stato, un lebbroso ripugnante, una prostituta, un contadino, un bambino, avevano tutti il medesimo valore, lo stesso cuore, la medesima sete di essere amati e di vivere;
—perché ha avuto paura quando si è sentito tradito e quando si avvicinava la morte;
—perché non si è lasciato vincere da sentimenti di odio e di vendetta;
—perché ci ha invitati ad essere liberi, a non preoccuparci del cibo, del vestito, della casa, a non legarci a tutte queste cose;
—perché ha cambiato la vita di Andrea, di Pietro, di Paolo, di ogni persona che lo ha cercato con cuore sincero;
—perché ci ha detto che Dio non è solitario nei cieli altissimi, non è sordo al grido di sofferenza dell’umanità, ma ci ha detto che Dio è amore;
—perché Lui non ha creduto al diritto del più forte, al linguaggio delle armi e alla potenza dei potenti, ma al diritto dell’uomo, alla mano aperta e alla forza dei non violenti;
—perché la sua fronte fu bagnata dal sudore del lavoro e le sue mani acquistarono i calli del mestiere di operaio;
—perché ha conosciuto i nostri punti deboli e ci ha fatto capire che nessun dolore è vano, che nessuna pena è inutile;
—perché la sua religione ha un’originalità: non è l’uomo che va alla ricerca di Dio, ma Dio che si mette alla ricerca dell’uomo;
—perché mi ha insegnato che il mondo intero è la mia casa e l’umanità intera la mia famiglia;
—perché ha creduto nell’amicizia fino ad inventare un mondo nuovo in cui essa fosse la legge, e per questo ha dato la vita;
—perché senza la sua Risurrezione i nostri progetti crollerebbero e le nostre speranze si trasformerebbero in amara disperazione;
—perché né i tribunali romani, né la nostra comune vigliaccheria, né le guerre di religione, né le nostre incoerenze sono riuscite a far tacere la sua voce;
—e perché al termine della sua storia ha scritto la parola: «continua».
SABATO 23
SACRO CUORE IMMACOLATO DELLA BEATA VERGINE MARIA
San Giuseppe Cafasso; S. Lanfranco;
Parola di Dio: Is. 61,10-11; Cant. 1Sam. 2, 1.4-8; Lc 2,41-51
"NON COMPRESERO LE SUE PAROLE". "SUA MADRE SERBAVA TUTTE QUESTE COSE NEL SUO CUORE" . (Lc. 2,50.51)
Quello che a prima vista ci colpisce nel racconto del ritrovamento di Gesù tra i dottori del Tempio, è la straordinaria normalità di questa storia: la "sacra famiglia" è una delle tante famiglie fedeli ai valore del pellegrinaggio; Gesù è come un ragazzino di scuola media, vivace e intraprendente, ubbidiente ma anche ispirato; Maria e Giuseppe come genitori qualunque, distratti quanto basta per accorgersi solo a sera dell’assenza del Figlio e angosciati più di quanto farebbe pensare la loro familiarità con il divino, dolci eppure fermi nel rimprovero, e soprattutto inadeguati nel capire. Ma se da una parte "essi non compresero le sue parole", dall’altra scopriamo che "sua Madre conservava queste parole nel suo cuore. Maria è proprio il fondamento dell’umanità di Gesù. Per questo il Vangelo ce la presenta così umana, perfino nel suo limite che è il nostro limite, infatti ogni madre può capire e condividere l’angoscia di quei tre giorni di ricerca, lo stupore nello scoprire un aspetto sconosciuto del proprio figlio, nel vederlo più maturo e più colto mentre lo si considerava ancora un bambino. Anche noi, quando i figli ci sorprendono e ci rattristano, domandiamo: "perché?", e ci sentiamo in colpa anche senza volerlo dire. E soprattutto, non riusciamo a capire i nostri figli, quando incominciano a staccarsi da noi e a cercare la loro strada. L’insegnamento, la novità, è in questo "serbare nel cuore": far tesoro delle esperienze dei figli, non considerarle ragazzate, rifletterci sopra, perché anche i bambini hanno qualcosa da insegnarci; attribuire loro importanza, anche quando ci sembrano sciocchezze, perché per loro non lo sono mai; dedicare tempo ai loro problemi. Ma per fare questo ci vuole un "cuore immacolato", cioè libero da preoccupazioni per falsi problemi: se siamo assillati dal lavoro, dal guadagno, dalla carriera, dal desiderio di "dare tutto ai figli" in termini di "cose" e non di attenzione, di tempo, pazienza, continueremo a non capire e non ci sarà posto per loro nel nostro cuore.
DOMENICA 24
NATIVITA’ DI SAN GIOVANNI BATTISTA
Parola di Dio: Is. 49,1-6; Sal. 138; Atti 13,22-26; Lc. 1,57-66.80
1^ Lettura (Is 49, 1-6)
Dal libro del profeta Isaia
Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all'ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. Mi ha detto: "Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria". Io ho risposto: "Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio". Ora disse il Signore che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele, poiché ero stato stimato dal Signore e Dio era stato la mia forza mi disse: "E` troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Ma io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra".
2^ Lettura At 13, 22-26
Dagli Atti degli Apostoli,
In quei giorni, Paolo diceva: "Dio suscitò per Israele come re Davide, al quale rese questa testimonianza: Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri. Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio trasse per Israele un salvatore, Gesù. Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di penitenza a tutto il popolo d'Israele. Diceva Giovanni sul finire della sua missione: Io non sono ciò che voi pensate che io sia! Ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di sciogliere i sandali. Fratelli, figli della stirpe di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi è stata mandata questa parola di salvezza".
Vangelo (Lc 1, 57-66. 80)
Dal Vangelo secondo Luca,
Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: "No, si chiamerà Giovanni". Le dissero: "Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome". Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta, e scrisse: "Giovanni è il suo nome". Tutti furono meravigliati. In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: "Che sarà mai questo bambino?" si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui. Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
RIFLESSIONE
La festa della nascita di San Giovanni Battista per noi, qui a Torino, è sempre stata una solennità, proprio per il fatto che questa nostra città si è posta sotto il patrocinio di questo Santo, precursore di Gesù. Ma quest’anno, capitando il 24 giugno di domenica, la Chiesa universale celebra la festività di Giovanni Battista come solennità che supera addirittura la liturgia domenicale. Come mai tanta attenzione alla figura di questo Santo?
Giovanni Battista, prima di tutto è il personaggio che sta a cavallo e collega l’Antico e il Nuovo Testamento. E’ l’ultima grande figura di profeta dell’Antica Alleanza e ne assume tutte le caratteristiche al punto di rientrare, sia nella mentalità dei contemporanei di Gesù che nelle affermazioni di Gesù stesso, nell’epico ritorno sulla terra del profeta Elia che, secondo la tradizione, era stato assunto al cielo su un carro di fuoco per ritornare alla vigilia della venuta del Messia, sia perché ha tutte le caratteristiche degli antichi profeti: è chiamato da Dio ad una missione particolare, parla, anzi, spesso urla, a nome di Dio, ha una vita austera corrispondente a quanto annuncia, è umile ed è disposto a giocare la propria vita per quanto testimonia.
Ma Giovanni, lasciando da parte Maria, è anche la prima figura ufficiale del Nuovo Testamento in quanto il suo messaggio è non solo un generico invito alla conversione, ma il suo richiamo è rivolto per poter accogliere la Buona novella e Colui che la porta, Gesù.
"Che sarà mai questo bambino?", si chiedevano i suoi contemporanei alla sua nascita, e anche noi vogliamo guardare ad alcune caratteristiche di questo Precursore di Gesù per chiederci come possiamo accogliere il Cristo nella nostra vita.
Giovanni ha accettato la vocazione che Dio gli ha rivolto ed è diventato con la sua parola e con la sua vita colui che ha preparato la venuta di Cristo.
Ciascuno di noi è amato da Dio. A ciascuno di noi Dio chiede qualcosa e affida qualcosa. Proprio perché ci stima, ci apprezza nonostante i nostri limiti, ciascuno di noi ha un compito, un ruolo da svolgere nella propria vita. Tante volte noi non sappiamo neppure quale sia il nostro compito specifico, eppure se Dio ha permesso che noi seguissimo una certa strada, che noi ci trovassimo in una certa situazione, che incontrassimo determinati compagni di viaggio, certamente c’è un motivo. Noi abbiamo il compito, o con le nostre parole o soprattutto con i gesti e le scelte della nostra vita di annunciare qualcosa, o meglio Qualcuno alle persone con cui viviamo e che quotidianamente incontriamo.
Una mamma ed un papà non avranno il compito di annunciare l’amore di Dio ai propri figli?. Sarà solo un caso se io mi trovo in quella particolare situazione, con quei particolari personaggi o il Signore non avrà previsto di farmi suo mezzo, proprio in quel caso perché io testimoni il perdono del Signore, o la sua misericordia o la fede in Lui? Dio si è servito di Giovanni Battista perché alcuni suoi discepoli potessero diventare discepoli di Gesù, Dio si è servito di Anania, un oscuro cristiano anche pauroso perché, dopo la caduta da cavallo, Paolo potesse conoscere la fede cristiana ed essere battezzato in essa, Dio si è servito di don Bosco perché Domenico Savio potesse raggiungere la santità a dodici anni, Dio si è servito di Massimiliano Kolbe perché un uomo potesse essere salvato dalla camera della morte e perché anche nel dolore e nell’oscurità dei lager ci fossero testimonianze di fede e di carità.
Nessuno di noi sa bene il come e il perché, ma Dio ha una richiesta, o forse tante richieste da fare a ciascuno di noi, e ciascuno è unico nel poter rispondere a questa richiesta. Come Giovanni bisogna essere pronti a capire la propria chiamata e a rispondervi con generosità, sapendoci amati al punto da essere considerati collaboratori di Dio stesso.
Giovanni Battista è uno che ha parlato non di sé ma dell’Altro, è uno che ha avuto la giusta dimensione del suo compito, è uno che ha indicato l’Agnello di Dio, che ha saputo diminuire e sparire per far posto a Gesù.
Davanti a questo faccio l’esame di coscienza in particolare per me prete, per la Chiesa e per tutti i cristiani.
Chi annunciamo noi?
Sentendo certi preti predicare sembra che annuncino se stessi o le attuali strutture di chiesa. E’ facilissimo far passare per Verità le proprie verità, far passare per assoluto quello che fa comodo, annunciare se stessi invece di Cristo. Quando il discorso è solo più sulla Chiesa, staccandola da Cristo e vedendola come potere religioso, noi non indichiamo Gesù, ma noi stessi. Quando in certi gruppi parrocchiali si guarda più alla propria sopravvivenza, al ruolo di certi personaggi, ai ruoli di potere per condurre una comunità, ci si è dimenticati di Cristo, si annuncia solo se stessi; quando in una diocesi i documenti curiali diventano più importanti del vangelo, non si annuncia più Gesù Cristo, ma se stessi. "Bisogna che io diminuisca, sparisca, perché lui cresca". Si va dietro ad un prete, magari anche scegliendolo al posto di un altro, ma solo perché mi porta a Gesù, non perché mi lega a se stesso. Giovanni, quando è sicuro che Dio gli abbia indicato chi è il Cristo ha addirittura il coraggio di rinunciare ai discepoli più cari per mandarli a Lui.
E c’è un ultimo aspetto nella figura di Giovanni che non solo mi colpisce ma che sembra coronare l’operato di quest’uomo. Giovanni è coerente fino alla fine, ci rimette la testa per quello che ha annunciato e così anticipa e prefigura anche quello che capiterà a Cristo.
Giovanni non ferma le sue parole davanti ai grandi di questa terra: come ha avuto il coraggio di chiamare "razza di vipere" i farisei e i sadducei, così ha il coraggio di gridare la verità davanti a quel re fantoccio di Erode e tocca così nell’orgoglio e nel potere una donna che gliela farà pagare; e Giovanni, innocente, come Gesù, darà in sacrifico la propria vita per testimoniare ciò che ha annunciato.
La verità, l’amore, la giustizia, la buona novella, hanno bisogno di parole per essere annunziate, ma la parola più vera non è quella più suadente, è quella di chi sa dare la vita per ciò che crede. Mi chiedo: se oggi qui in Italia avvenisse una persecuzione religiosa (cosa capitata in altri paesi!) e se il dichiararci cristiani significasse dover andare in galera o essere uccisi, quanti del 95 per cento dei battezzati italiani (preti e vescovi compresi) avrebbero il coraggio di continuare a dichiararsi tali? Ma anche senza arrivare a questo estremo, quanti di noi oggi sono disposti magari anche solo nel proprio posto di lavoro a subire ironia o a rinunciare a un po’ del proprio ruolo di potere, dichiarandosi apertamente cristiani o a favore di scelte cristiane?
Ci aiuti Giovanni Battista ad accogliere Gesù, ma anche a sentirci incaricati da Gesù per essere nel nostro mondo persone che con semplicità ed umiltà, ma con fede e coerenza sanno indicarlo come unico Salvatore.
LUNEDI’ 25
San Guglielmo di Montevergine; San Massimo di Torino
Parola di Dio: Gn.12, 1-9; Sal 32; Mt. 7, 1-5
"NON GIUDICATE! CON LA MISURA CON CUI MISURATE SARETE MISURATI… PERCHE’ OSSERVI LA PAGLIUZZA NELL’OCCHIO DEL FRATELLO, MENTRE NON TI ACCORGI DELLA TRAVE CHE HAI NEL TUO OCCHIO?". (Mt. 7,1-3)
Sii ottimista sempre, fratello. Non vedere solo il male: c’è il bene! Non credere solo alle tenebre: c’è il sole! Non temere solo la tempesta: c’è anche la calma! Le tenebre si cambiano in luce; l’uragano si placa In bonaccia; dal male Dio produce anche il bene. Credilo!
Abbi fiducia in tutti: nel Padre che è nei cieli, nei fratelli qui in terra, e anche in te, credi, fratello.
Il cristianesimo è questo: ottimismo ad ogni costo, sempre!
Le persone pessimiste e tristi sono un disagio per ogni comunità.
Bisogna compensare il loro danno, la loro tristezza, sviluppando in noi la gioia.
Semina gioia chi evidenzia più il bene che il male degli altri, gli aspetti buoni anziché i difetti.
Un uomo, colpito da una sventura, non seppe reagirvi. Sempre più chiuso in se stesso, prima ripiegò la propria anima, poi il proprio cuore ed infine il proprio corpo. Parve precocemente invecchiato, al punto che un caro amico, un giorno, quasi non lo riconobbe.
— Che cosa ti è successo? — gli chiese. L’uomo gli parlò della sua sventura e di come, da allora, non fosse più riuscito a vedere nella vita neppure un palpito di senso, un chiarore di luce.
— Anche a me capitò così anni fa — lo consolò l’amico. — Sino a che un giorno, mentre guardavo un quadro in una pinacoteca, mi si avvicinò uno strano vecchio che mi disse: "La sto osservando da un pezzo e ho la sensazione che di ogni quadro lei cerchi i difetti più che i pregi. Non sarebbe meglio, trattandosi di opere d’arte, godere della loro bellezza?". "Mi è difficile riuscirvi", gli confessai. Allora quell’uomo mi guardò nel fondo degli occhi e mi disse: "La vita ha un lato chiaro e un lato oscuro, perché è fatta di luci e di ombre. Se permettiamo che i nostri pensieri si soffermino sul male, anche noi diventeremo brutti. Se invece di ogni cosa cerchiamo di scoprire il bene e il bello, assorbiremo noi stessi le qualità della bellezza e della bontà". Detto questo, scomparve. Ed io mi rimisi a contemplare il quadro secondo i suoi principi. Ebbene, quel quadro parve animarsi e inviarmi messaggi che prima mi erano sfuggiti: agganciai il mio cuore a quelle luci, a quei colori, a quei riflessi che prima guardavo senza vedere. E fu di lì che iniziò la mia rinascita interiore.
— Andiamo subito nel più vicino museo — disse l’uomo precocemente invecchiato; — mi farai tu da guida. E col tuo sguardo correggerai il mio; mi presterai i tuoi occhi. Insieme non si vede forse meglio?
L’amico assentì. E un altro uomo risorse alla vita grazie alla bellezza della luce e alla luce della bellezza.
In realtà noi siamo il prodotto dei nostri pensieri. Sono essi che determinano i nostri stati d’animo, i nostri comportamenti, la nostra gioia di vivere, la nostra serenità o viceversa.
A pensieri tenebrosi, uomini tenebrosi; a pensieri luminosi, uomini luminosi; a pensieri sereni, uomini sereni...
MARTEDI’ 26
Santi Giovanni e Paolo; San Vigilio;
Parola di Dio: Gn. 13,2.5-18: Sal. 14; Mt. 7, 6.12-14
"ENTRATE PER LA PORTA STRETTA, PERCHE’ LARGA E’ LA PORTA E SPAZIOSA LA VIA CHE CONDUCE ALLA PERDIZIONE". (Mt. 7,13)
Spesso i cristiani hanno paura di questa porta stretta. Perché? Perché per loro questa porta significa rassegnazione, rinuncia, sottomissione, perché considerano il cristianesimo come una religione dalle leggi moraleggianti, da cui sono escluse gioia e libertà. Eppure Gesù non è un padrone duro, che esige dall’umanità un cammino di sofferenza. Lui ha amato tanto sia noi personalmente che la nostra umanità che ha dato la sua vita. San Paolo, nella lettera agli Efesini dice: "L’amore di Cristo sorpassa ogni conoscenza". Per mezzo di questo amore Gesù vuol liberare l’uomo dal male e dargli la sua gioia e la sua pace. La porta stretta, dunque, non è un invito alla sofferenza per la sofferenza ma un invito a capire l’amore vero che richiede di essere accolto e di essere donato. Per far questo occorre cambiare mentalità, modo di vivere, in cui la solitudine diventa essere con Dio, la superficialità profondità di vita, l’indifferenza scelte concrete in favore dell’altro, il disprezzo rispetto, il rancore si cambia in perdono .
Sottomettersi a un Dio perfetto, piuttosto che rimanere schiavo dell’uomo e delle sue imperfezioni, è veramente un triste cristianesimo? Abbiamo facoltà di decidere se la porta e la via che conducono alla vita sono troppo anguste e strette per noi, o se accettiamo di lasciarci guidare dalla mano di Gesù. Non ci ha forse Egli preceduto in questa via?
MERCOLEDI’ 27
San Cirillo d’Alessandria
Parola di Dio: Gn. 15,1-12.17-18; Sal. 104; Mt. 7,15-20
"GUARDATEVI DAI FALSI PROFETI CHE VENGONO A VOI IN VESTE DI PECORE MA DENTRO SONO LUPI RAPACI. DAI LORO FRUTTI LI RICONOSCERETE." (Mt. 7,15-16)
Se apri la Bibbia trovi, accanto ai profeti che guidati da Dio parlano a suo nome, tanti altri personaggi che si spacciano per profeti del Signore, ma che non solo non sono stati incaricati da Lui, ma cercano in mille modi di fare i propri interessi. Anche nel Nuovo Testamento, appena nascono le comunità primitive, attorno ad esse si aggirano subito personaggi pronti a portare eresie per interessi personali e forse mai come oggi siamo attorniati, subissati da falsi profeti, in tutti i campi. Dalla televisione che, occultamente o meno, cerca di venderti prodotti e idee, fino ai mille "profeti religiosi" che con voce suadente propinano religioni o fantasie ammantandole di frasi di Vangelo.
Oggi, poi, per disamore verso le religioni tradizionali, e forse anche per colpa dei rappresentanti di queste che vendono riti e tradizioni senza troppa convinzione, c’è tutto un ‘mercato’ che offre religioso ed esoterico per cui è facile essere confusi.
"Padre, è da un po’ di tempo che un amico mi ha fatto conoscere un gruppo di persone. Si trovano, dicono, per cercare la verità, per entrare in contatto con entità superiori, per fare degli esercizi che, dicono, liberano l’uomo e danno salute. Ci sono cose che mi sembrano buone ma non so, sono un po’ turbato... Parlano anche di Gesù come di un grande maestro, ma ci sono cose che vanno oltre al Vangelo... Come fare a capire se è cosa buona o no?".
E’ Gesù che nel Vangelo di oggi ce ne dà il criterio: "Li riconoscerete dai loro frutti". Cioè è come se Gesù ci dicesse: "Non fermarti alle parole, alle esteriorità; ci sono frutti belli a vedersi ma velenosi. Guardali alla luce della tua fede, quella fondata sui testimoni e sui martiri; guardali nella loro vita; non correre dietro al vento ma radicati nella tua fede, conoscila a fondo, non lasciarti ingannare dalle chiacchiere". Il criterio indicato da Gesù è sempre valido. La bontà del frutto la possiamo giudicare solo con Lui. Quando una nuova esperienza ti porta a Gesù, quando è riconosciuta da coloro a cui Gesù ha affidato la Chiesa, quando ti dà serenità e ti aiuta a migliorare, allora è buona; ma se ti confonde Gesù con salvezze parziali, se la Chiesa ti invita ad essere cauto, se vedi persone più interessate a soldi che a Dio, più al culto di se stessi che all’amore per Dio e per il prossimo, se vedi che non migliori interiormente o per lo meno sei turbato, non aver paura di scappare: quello è vero eroismo.
GIOVEDI’ 28
Sant’Ireneo;
Parola di Dio: Gn. 16,1-12.15-16; Sal. 105; Mt. 7,21-29
"CHIUNQUE ASCOLTA QUESTE MIE PAROLE E NON LE METTE IN PRATICA, E’ SIMILE AD UN UOMO STOLTO CHE HA COSTRUITO LA SUA CASA SULLA SABBIA. CADDE LA PIOGGIA, STRARIPARONO I FIUMI, SOFFIARONO I VENTI E SI ABBATTERONO SU QUELLA CASA , ED ESSA CADDE, E LA SUA ROVINA FU GRANDE". (Mt. 7,26-27)
Racconta una leggenda bretone di una piccola cappella in riva la mare, situata in un affossamento del terreno tra le dune. Durante numerosi anni i pescatori dei paesini vicini andavano regolarmente alla cappella e si faceva in modo che il sentiero che vi conduceva fosse sgombro dalla sabbia. Ma col tempo gli interessi cambiarono. Non si fece più la festa annuale, si cessò di frequentare quella piccola casa di preghiera che rimase chiusa. Le tempeste che si susseguirono sollevarono la sabbia tanto che cappella e sentiero finirono per essere coperti e oggi non se ne conosce neppur più l’ubicazione esatta.
Quante persone che, avendo conosciuto Gesù e i suoi sacramenti nella giovinezza, avevano dichiarato di appartenere a Lui, si sono poi gradualmente dimenticate di questo amore, lasciando che le sabbie del mondo, i turbinii della vita soffocassero la loro fede di modo che oggi non è più possibile capire se sono o non sono più cristiani! Pur non avendo rinnegato apertamente Cristo queste persone non lo seguono più, confondono la sua parola con le parole suadenti degli uomini… la sabbia li ha soffocati.
Se, come ci diceva la parabola di Gesù, è stolto costruire la casa sulla sabbia, perché si corre il rischio che, non avendo fondamenta, alle prime intemperie cada, così pure c’è il rischio che non frequentando con serietà la fede questa prima o poi svanisca in mezzo alle sabbie dell’egoismo, della vanità, del perseguimento dei nostri interessi piuttosto di quelli di Dio.
VENERDI’ 29
SANTI PIETRO E PAOLO
Parola di Dio: Atti 12,1-11; Sal. 33; 2Tim. 4,6-8.17-18; Mt. 16,13-19
"TU SEI PIETRO E SU QUESTA PIETRA EDIFICHERO' LA MIA CHIESA E LE PORTE DEGLI INFERI NON PREVARRANNO CONTRO DI ESSA." (Mt.16,18)
Storie diverse quelle di Pietro e di Paolo. Pietro, il pescatore irruente della Galilea, il generoso, l'impulsivo, l'uomo capace di guidare gli altri ma debole e pauroso, colui che sa piangere come comandare. Paolo, l'intellettuale, lo studioso, l'intransigente e l'integralista, l'uomo senza mezze misure con se stesso e con gli altri, lo scaltro, il coraggioso, il testimone.
Due storie diverse ma basate su un incontro.
Cercavano Dio e sulla loro strada hanno incontrato Gesù.
Pietro, stanato dalla sua barca e dalle sue reti, Pietro, ripescato da Gesù dopo il suo tradimento. Paolo, buttato giù da cavallo nel pieno del suo vigore, lui, che cercava la luce nella scienza e nelle scritture diventa cieco, lui che viene guarito da un discepolo di Gesù che era andato a cercare per imprigionarlo e forse ucciderlo. E questi due così diversi tra loro, sono stati chiamati a fondare e guidare la Chiesa di Gesù.
Se Pietro avesse detto: "Signore, tu mi chiedi troppo! Intanto mi cambi il nome e mi chiami roccia. Forse ti sei sbagliato. Io non sono una roccia, sono molto fragile, alle volte tradisco quelli che si fidano di me. E poi ho una famiglia da mantenere, ho anche una suocera… lasciamo perdere!"; e se Paolo avesse detto: "Proprio Tu mi parli! Lo sai che io perseguito i tuoi discepoli, li porto in prigione dove forse saranno uccisi! Scegli qualcun altro…", come il Regno di Dio e la buona novella di Gesù si sarebbero potuti espandere? Dio si serve di materiali ben strani per costruire il suo Regno, ma Dio allora come oggi ha bisogno di uomini, ha bisogno di me e di te, non perché siamo indispensabili per la nostra intelligenza, per la fede integerrima, per la bontà totale, ha bisogno di noi così come siamo, ma gioiosi nel testimoniarlo. Non deludiamo l’amore di Dio in Cristo e pur conoscendo i nostri limiti lasciamoci "portare là dove Lui vorrà" per il bene nostro e per poter offrire a Gesù un po’ di noi stessi.
SABATO 30
Santi Primi Martiri Chiesa Romana; San Marziale
Parola di Dio: Gn. 18, 1-15; Cant. Lc. 1,46-55; Mt 8,5-17;
"GLI VENNE INCONTRO UN CENTURIONE CHE LO SCONGIURAVA ". (Mt. 8,5)
Gesù accoglie un nemico del suo popolo; Gesù si "contamina" con un militare dell'esercito di occupazione: grande scandalo! Ma Gesù accoglie un uomo che gli chiede aiuto.
Gesù è venuto per tutti, al di là di ogni distinzione. Però il Signore rispetta la nostra libertà: per poterci dare i suoi doni bisogna che noi, riconoscendo in Lui colui che può, glieli chiediamo.
Le persone non possono essere giudicate buone o cattive solo per la loro appartenenza a questo o a quel gruppo, o per quello che appaiono, siamo tutti figli di Dio e Gesù è venuto proprio per tutti. Quindi più che dividere il mondo in buoni e cattivi, impariamo a vedere in ogni uomo un fratello amato da Dio.
E poi questo centurione romano ci insegna a pregare. Egli non spreca parole. Espone semplicemente e con fiducia la situazione. Descrive il male. Non chiede per se stesso ma per un altro, per un suo servo verso il quale di per sé non ha nessun dovere. Ha una profonda umiltà. E’ un pagano ed è perfettamente cosciente di essere un reietto per la religione giudaica. Ne soffre ma non vuol mettere Gesù in una situazione di imbarazzo di fronte agli altri e per delicatezza dice a Gesù di non andare nella sua casa.
La vera preghiera non è fatta di molte parole, ma di concretezza, di delicatezza e di forza, di umiltà e di fiducia: "So di non poter pretendere niente, so che tu puoi tutto, so che nonostante tutto tu mi vuoi bene, mi fido che qualunque cosa farai è un bene per me, mi consegno nelle tue mani". E’ così anche quando vado a ricevere l'Eucarestia. Di una cosa sola sono sempre consapevole: io non sono degno. Ci vado non perché dall'esame di coscienza risulto "buono", o perché "mi sono confessato tre minuti prima", ci vado solo perché Gesù me lo ha detto: "Prendete e mangiate…Prendete e bevetene tutti", e perché ho bisogno di Lui. So di non potergli offrire molto e gli do l'unica cosa che è veramente mia: il mio peccato. Non gli faccio neppure delle grandi promesse perché non sono così sicuro di me stesso nel mantenerle. Non posso far altro, se non, con stupore e meraviglia, dire: "Grazie!" davanti alla sua misericordia che gratuitamente viene a trovarmi.