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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

MAGGIO 2001

 

 

MARTEDI’ 1 MAGGIO

San GIUSEPPE LAVORATORE

Parola di Dio: Gen. 1,26-2,3 (Col 3,14-15.17.23-24); Sal 89; Mt. 13,54-58

 

"NON E’ EGLI FORSE IL FIGLIO DEL CARPENTIERE?". (Mt. 13,55)

Non so se sia stato voluto, ma a me piace molto che il mese di maggio, dedicato alla Madonna inizi con una festa di San Giuseppe e con una festa che lo glorifica proprio nella sua qualifica di artigiano, di lavoratore. E anche la frase del Vangelo che meditiamo e che richiama quasi un senso di disprezzo nei confronti del Maestro da parte dei suoi compaesani che non riescono a conciliare la sapienza di Gesù con le sue umili origini, sta ad indicare la concretezza dell’Incarnazione. No! Gesù non è venuto per finta nel nostro mondo, non è la figura del Dio che viene, compie qualcosa di grandioso da tramandare ai posteri e se ne va al suo Olimpo pacifico tra gli applausi di adepti adoranti. Gesù è venuto, figlio di una donna comune, in una comunissima famiglia di credenti ebrei come ce n’erano tanti, in una casa dove il cibo quotidiano dipendeva dal lavoro del padre. La salvezza dell’uomo che culminerà nell’atto di amore della croce e nella risurrezione del Salvatore si realizza già pienamente in quella oscura e abituale vita quotidiana di una famiglia che cerca di vivere secondo i voleri di Dio nella semplicità, nella preghiera e nel lavoro quotidiano. Sono questi valori umili ma essenziali, valori da proporre nella nostra società. Troppe volte giornali, televisioni, forme di educazione propongono unicamente divertimento, denaro, primeggiare a tutti i costi, e poi ci lamentiamo che non c'è più morale, senso di famiglia, gusto del lavoro...Giuseppe si è santificato con la fede in Dio, con la fedeltà alla sua famiglia, con il suo lavoro, sapendo apprezzare nel sacrificio, la gioia delle piccole cose del quotidiano; perché cercare la felicità in chimere lontane e non saper più gustare persone e momenti della nostra vita, perché vedere sempre e solo ciò che ci manca e non apprezzare il molto che abbiamo? Perché non sentirci anche noi parte del mistero di quella Santa famiglia vivendo il dono della salvezza attraverso il nostro impegno quotidiano?

 

 

MERCOLEDI’ 2

Sant’ATANASIO; B. MAFALDA

Parola di Dio: At 8,1-8; Sal. 65; Gv. 6,35-40

 

"IO SONO IL PANE DELLA VITA; CHI VIENE A ME NON AVRA’ PIU’ FAME E CHI CREDE IN ME NON AVRA’ PIU’ SETE". (Gv. 6,35)

Quella che vi propongo oggi più che una meditazione è una testimonianza che forse ancor meglio ci fa pensare al senso della fede e al valore enorme del dono dell’Eucaristia. Padre Amelio GROTTI del PIME, missionario in Cina racconta:

"Da cinque giorni vivevo la dura vita di carcerato, quando a notte fonda sento il pianto straziante di una bimba e subito dopo la voce soffocata della madre che l’esorta a quietarsi. Era Siao Mei, la piccola di tre anni e mezzo da me battezzata un anno prima. La mamma era stata incarcerata con la figlia, perché con altre nove persone si era opposta alla polizia che aveva arrestato il Vescovo, vittima di una provocazione delle guardie rosse. Incominciava così l’agonia della bambina e la disperazione della mamma. Un’agonia fatta di pianto, di digiuno, d’insonnia.Tutti in carcere n’erano addolorati e sdegnati. Forse anche il direttore. Per questo al quinto giorno disse alla mamma:

"Non hai cuore per la tua piccola? Perché non ti decidi? Basta che tu prometta di affermare che non sei più cristiana e che non andrai più in chiesa che potrò liberare te con la tua bambina".

La donna, disperata, promise e fu scarcerata.

Dopo due settimane dovette salire su un palco e di fronte a diecimila persone fu costretta a proclamare: — "Io non obbedisco più al Vescovo, non sono più cristiana". La piccola Siao Mei disse: — "Mamma andiamo a casa, non ci voglio più stare qui". A casa la bambina disse: — "Mamma, Gesù oggi non è contento di te".

Enorme fu l’imbarazzo della mamma che volle giustificarsi: — "Piccola mia, tu in carcere non ci vuoi stare, piangi! Per amor tuo ho dovuto dire quelle parole! " — E Siao Mei: "Mamma te lo prometto se è per Gesù io in carcere non piangerò più". La mamma, scoppiando in pianto, si strinse al cuore la figlia. Correndo andò a trovare un padre ancora libero, P. Giovanni Carbone, per confessare la sua apostasia. Assolta andò a consegnarsi al direttore del carcere: — "Tu, per amore della mia bambina, mi hai indotto a dire cose che non potevo dire, ma la mia bambina è più forte di me".

Così furono di nuovo gettate in prigione. Siao Mei ora non piangeva più. Il Direttore intenerito dal coraggio della piccola, le consentiva di passeggiare liberamente per il carcere.

Un giorno, Tu Cio Yuen una giovane di 18 anni che a turno con altre cristiane si recava davanti al carcere per cercare di dare aiuto ai fratelli di fede imprigionati, la vide attraverso un’inferriata e la chiamò.

"Ciao zia" rispose prontamente la piccola, intelligentissima per la sua età, e che ben sapeva che chi la chiamava non era né zia né parente.

"Siao Mei, aspetta che ora la zia ti va a comperare qualche cosa". Poco dopo Tu Cio Yuen le consegnò un fazzoletto pieno di noccioline dicendole: — "Portale alla mamma che te ne dia un po’ alla volta". Così fece!

La mamma trovò in un guscio un bigliettino:

"Preparare la bambina perché vogliamo portarvi l’Eucaristia".

Subito la mamma istruì la figlioletta come si doveva regolare perché Gesù non fosse profanato.

"So che nell’ostia c’è Gesù e se la guardia tenterà di prendermelo, lo mangerò io" - Assicurò la piccina. Due giorni dopo Tu Cio Yuen ritorna con il solito fazzoletto, ma stavolta c’erano tre panini cotti al vapore. Bisogna sapere che in Cina il pane è sempre cotto al vapore, per cui non fa crosta ma una leggera pellicina che si può agevolmente sollevare e rimettere a posto.

"Prendi Siao Mei, è per te!" La bambina, che già sapeva tutto, prese e andò via di corsa, tanto che insospettì una guardia che inseguì la bricconcella. Fu facile alla mamma dimostrare che si trattava di tre innocui panini di cui la figlia aveva bisogno. Gesù era così entrato in carcere. Poterono comunicarsi con la mamma anche altre donne carcerate.

Dopo tre mesi mamma e bambina, dimesse dal carcere, si recarono a far visita a P. Carbone, che aveva architettato lo stratagemma. Rivolgendosi alla piccola disse:

"Sei stata proprio brava! Che cosa vuoi in premio".

Rispose: — "Ho portato Gesù, ma non ho potuto riceverlo! Ora anch’io, in premio, voglio riceverlo!". Fu così che Siao Mei fu ammessa alla prima comunione a soli tre anni e nove mesi."

 

 

GIOVEDI’ 3

Santi FILIPPO E GIACOMO; San GIOVENALE

Parola di Dio: 1Cor. 15,1-8; Sal. 18; Gv.14,6-14

 

"GLI DISSE FILIPPO: MOSTRACI IL PADRE E CI BASTA". (Gv. 14,8)

Davanti alla risposta di Gesù: "Chi ha visto me ha visto il Padre", nasce il sospetto che Filippo se non proprio deluso sia rimasto almeno sconcertato. Filippo aveva visto l’amore di Gesù per il Padre, aveva sentito con quale amore Gesù parlava del Padre, aveva provato la gioia di scoprire che Dio era il Padre buono, che perdonava il figliol prodigo, che era Colui che si rivelava ai piccoli e ai poveri, che vestiva i fiori del campo e che pensava agli uccelli del cielo, ma, molto probabilmente aveva in testa un’immagine grandiosa di Dio, avrebbe gradito qualche bel miracolo, gli sarebbe piaciuta una bella "teofania" tipo quelle del Sinai con tanto di tuoni e di fulmini. Ma Gesù gli risponde: "Guarda, Filippo che basta vedere me per vedere il Padre".

Gesù e il Padre sono uno. Gesù opera nell’amore del Padre. Gesù manifesta il Padre che ha preso il suo volto umano. Una conoscenza corretta di Gesù non si ferma alle sue opere esteriori o ai fatti della storia, ma rimanda sempre alla Trinità. E penso a Maria che tante volte ha visto suo Figlio dormire tranquillo, giocare con i compagni, lavorare con suo padre, e avrà detto "Gesù è Dio"! Quale mistero! Eppure la fede ci fa vedere Dio nelle parole e nelle opere di Gesù.

Quando, nel Vangelo, vediamo Gesù accordare la sua preferenza ai piccoli, mostrare compassione per i sofferenti, concedere largamente il perdono ai peccatori, ridare fiducia agli squalificati, frequentare gli esclusi, esercitare la misericordia verso ogni miseria umana, non nascondere la propria simpatia per gli ultimi, tenersi alla larga dai potenti, apparire così umano, pieno di tenerezza, noi conosciamo il Padre, siamo in grado di abbozzare i lineamenti del suo volto e dobbiamo concludere: Dio è così!

 

 

VENERDI’ 4

San CIRIACO; Santa ADA; San VIVALDO

Parola di Dio: Atti 9,1-20; Sal. 116; Gv. 6,52-59

 

"SE NON MANGIATE LA CARNE DEL FIGLIO DELL’UOMO E NON BEVETE IL SUO SANGUE NON AVRETE IN VOI LA VITA". (Gv. 6,53)

Quello che Gesù fa è un discorso scandaloso per gli Ebrei che lo ascoltano.

Anche noi ci facciamo la stessa domanda dei Giudei: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?".

Mangiare la carne di un altro è scandalo, è in quasi tutte le culture una della cose più abominevoli, ancor di più lo è il sangue. Gesù, che certamente non vuole farci diventare antropofagi, mette in relazione queste sue parole con la donazione totale che farà di se stesso sulla croce. L’Eucaristia è dunque il reale memoriale della Passione e Morte di Gesù. Chi fa l’Eucaristia, mangiando il suo Corpo, entra in comunione con questo mistero, ne partecipa, è chiamato a viverlo. Certe forme di facile spiritualismo hanno fatto sì che troppe volte abbiamo ridotto la Comunione a un momento intimistico: ci esaminiamo se non abbiamo fatto qualche peccato grave, diciamo una bella serie di preghiere, andiamo a ricevere l’Eucaristia, ci coccoliamo "il nostro Gesù’! Tutto questo, pur essendo valido, è riduttivo. Se celebro e ricevo l’Eucaristia annuncio e proclamo il Signore risorto, mi unisco e accetto la sua Passione e Morte, attendo con gioia e fermezza il suo ritorno che preparo con la mia vita resa conforme a Colui che ho ricevuto.

 

 

SABATO 5

S. IRENE da Lecce; S. GOTTARDO; B. NUNZIO SULPRIZIO

Parola di Dio: Atti 9,31-42; Sal.115; Gv. 6,60-69

 

"VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?". (Gv. 6,67)

Gesù, pur essendo affascinante come persona e come messaggio, non è persona facile da accogliere, è esigente, dichiara apertamente di essere Figlio di Dio, parla di farsi mangiare, chiede di lasciare tutto per seguirlo… Alcuni dei discepoli, pur avendo visto i miracoli che comprovano il suo agire, non se la sentono di seguirlo fino in fondo e lo lasciano. Gesù sarà stato certamente dispiaciuto, ma i vangeli non riportano nessuna parola di Gesù contro queste persone e neppure corre loro dietro: Gesù è una proposta non una imposizione. Quante volte ho visto persone entusiasmarsi davanti ad una pagina di Vangelo o partecipare entusiasti a qualche manifestazione religiosa (specialmente quelle che rispondono maggiormente ai propri gusti ed esigenze) e poi ho ritrovato queste stesse persone, tristi, rassegnate... Come mai? Il Vangelo è esigente! Certo è liberante, entusiasmante, ma poi... arriva il mistero, arriva la croce; la testimonianza cozza contro l’indifferenza, le paure prevalgono... Gesù ci chiedi troppo... Gesù non realizzi le nostre richieste, ci lasci soli... Molti discepoli si erano allontanati da Gesù per il suo "linguaggio duro" e Gesù chiede: "Volete andarvene anche voi?". Quando ci riesce difficile conciliare il Vangelo con la vita; quando Dio non rientra più nei nostri schemi; quando tutto sembra dirci: vale la pena credere? quando Dio sembra essere latitante davanti al nostro dolore o muto davanti ai tanti perché: ecco il momento favoregole per la fede. Non hai più nulla di tuo su cui appoggiarti, non rischi di farti un Dio su tua misura e allora puoi scegliere Lui, la sua parola. Non sai neppure dove ti condurrà... questo però è proprio il momento di fidarti di Lui.

 

 

DOMENICA 6

4^ DOMENICA DI PASQUA C  -  San DOMENICO SAVIO

Parola di Dio: At13,14.43-52; Sal. 99; Ap 7,9.14-17; Gv.10,27-30

 

1^ Lettura (At. 13, 14. 43-52)

Dagli Atti degli Apostoli.

In quei giorni, Paolo e Barnaba, attraversando Perge, arrivarono ad Antiochia di Pisidia ed entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, si sedettero. Molti Giudei e proseliti credenti in Dio seguirono Paolo e Barnaba ed essi, intrattenendosi con loro, li esortavano a perseverare nella grazia di Dio. Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola di Dio. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo, bestemmiando. Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: <<Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani. Così, infatti, ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto come luce per le genti, perché tu porti la salvezza sino all'estremità della terra>>. Nell'udir ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna. La parola di Dio si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le donne pie di alto rango e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio, mentre i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

 

2^ Lettura (Ap. 7, 9. 14-17)

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.

Io, Giovanni, vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. Gli risposi: "Signore mio, tu lo sai". E lui: "Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l'Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi".

 

Vangelo (Gv. 10, 27-30)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, Gesù disse: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola".

 

RIFLESSIONE

 

La quarta domenica di Pasqua è la domenica del Buon Pastore perché sempre in essa troviamo un brano del Vangelo che si rifà a questa similitudine usata da Gesù e perché, nella tradizione, questa domenica è dedicata alla preghiera per le vocazioni particolarmente quelle religiose e sacerdotali.

Ma il titolo di Buon Pastore rischia, specialmente per coloro che vivono nelle grandi metropoli, di aver perso gran parte del suo significato originario perché molti non hanno più sotto gli occhi i greggi con i loro pastori (pensate che circa un trenta - quaranta per cento dei bambini cittadini ha visto le pecore solo in televisione!), oppure l’idea di gregge intruppato e belante non piace a molta gente e crea confusione, oppure l’aver romanticizzato la figura del Buon Pastore lo ha talmente sdolcinato da allontanarlo da quello che Gesù voleva intendere.

Invece questo titolo è in realtà così ricco teologicamente e denso di implicanze spirituali, che merita di essere sempre fatto nuovo oggetto di riflessione.

La figura del pastore appare sovente nella Bibbia ed esprime efficacemente quello che Dio desidera essere per il suo popolo.

Le pecore, per la loro estrema fragilità e nella loro sorprendente mansuetudine, hanno bisogno e reclamano un pastore, solo in lui trovano sicurezza, guida e protezione.

La stessa cosa succede agli uomini… anch’essi cercano unità, solidarietà, sicurezza, garanzie… gli uomini cercano sempre qualche "pastore" che li guidi e spesso finiscono nelle mani dei mercenari, pensate anche solo al mondo della politica e dell’economia.

Dio invece ama gli uomini, vuole guidarli alla gioia, alla verità, alla giustizia, alla bellezza, all’eternità: vuole essere il loro pastore.

Gesù così si presenta a noi.

Egli intende raccogliere intorno a se coloro che credono in Lui, ed essere per loro: certezza, protezione, unità, guida, gioia e pace. Gesù desidera questo, ma questa è anche la sua missione, il mandato che il Padre gli ha affidato. Gesù, infatti, parla di "sue" pecore. Le pecore sono sue perché il Padre gliele ha affidate. Gesù dunque vuole radunare intorno a se gli uomini come un gregge (e, attenzione! Non come gregge belante, non pensante ma come comunione di uomini liberi che hanno scelto in Lui, Dio).

Gli uomini che dopo il peccato si sono divisi e dispersi per le vie del mondo, lontani da Dio e in guerra tra loro, hanno in Gesù Buon pastore la possibilità di essere di nuovo radunati, l’inimicizia può essere tolta e instaurata la pace.

Come si può realizzare questo progetto?

Gesù lo esprime così: "Io sacrifico la vita per le mie pecore, ed esse non andranno perdute" Gesù dunque, non rivendica il ruolo del pastore per dire "io sono il duce, il tiranno, il padrone assoluto", ma per dirci "Io sono il Buon Pastore, il servitore, non il mercenario a cui nulla importa delle pecore". Gesù non solo non scappa davanti al nemico, ma lo combatte, ha cura, difende, salva il gregge: è colui che ha sacrificato la sua vita per comunicare agli uomini la salvezza e la vita eterna.

Infatti, Gesù non è solo il Pastore, ma è anche, come ci ha ricordato la lettura del libro dell’Apocalisse, l’Agnello immolato, Colui che "con il suo sangue ha lavato le vesti dei salvati", Colui che si è offerto a Dio per la nostra liberazione, Colui che, privo di artigli, si è offerto vittima innocente per sconfiggere il male.

Se dunque Gesù è l’unico buon Pastore è proprio a Lui che devono guardare coloro che sono chiamati a rappresentarlo qui sulla terra.

Gesù si serve del ministero del Papa, dei Vescovi e dei sacerdoti per continuare la sua opera nei confronti del suo gregge. Il ministro allora dovrebbe davvero essere conforme a Lui.

Un buon pastore di Gesù, dovrebbe conoscere le sue pecorelle una per una, mentre oggi spesso il vescovo, il sacerdote, è un amministratore, un organizzatore, un progettista che è sempre più lontano dalla gente. Uno dei grandi peccati della gerarchia ecclesiastica è proprio quello di parlare alla gente senza più conoscere la gente, è quello di aver creato una Chiesa sempre più perfetta dal punto di vista organizzativo gerarchico e diplomatico, ma dalla quale la gente si è allontanata perché non trova più il calore di una famiglia.

Quando Paolo VI°, preoccupato dei travagli che la Chiesa passava nel dopo Concilio, chiese al suo amico Giuseppe PREZZOLINI un consiglio sui modi migliori "per entrare in dialogo con i lontani" e per rendere più credibile la Chiesa ai contemporanei, si sentì rispondere: "Santità, non c’è che un mezzo. Gli uomini di Chiesa devono essere soprattutto buoni e mirare ad uno scopo soltanto: creare degli uomini buoni. Non c’è nulla che attiri come la bontà perché di nulla noi increduli siamo tanto privi. Di gente intelligente, il mondo è pieno, quel che ci manca è la gente buona, e formarla è il compito della Chiesa. La bontà fa amare anche l’autorità e disarma anche i cuori più indifferenti".

Altro atteggiamento di Gesù che i pastori da lui scelti dovrebbero imitare è il servizio. Il gregge non ci è dato in proprietà, non possiamo farne quello che vogliamo, il gregge ha bisogno di essere guidato e quindi bisogna conoscere i "pascoli di erbe fresche" e i luoghi dove si può dissetare, bisogna difendere il gregge da tanti lupi e anche dai lupi camuffati da agnelli che si nascondono all’interno del gregge stesso per disperdere e uccidere. Bisogna "dare la vita" e se questo non sempre è richiesto c’è un altro modo di dare la vita, quello di vivere totalmente per il gregge, quello di dare tempo, pazienza, spendersi per gli altri, farsi trovare…Il pastore poi deve avere il coraggio di lasciare le novantanove pecore per andare alla ricerca di quella perduta.

Ma se il pastore ha queste prospettive, la sua figura risulta ancora allettante alla nostra gioventù perché qualcuno senta il desiderio di rispondere alla chiamata a questo servizio?

Scusatemi, se qui, con sincerità, a costo di scandalizzare qualcuno, vi dico che cosa penso a proposito delle vocazioni.

Quanti vescovi e preti oggi si lamenteranno dicendo che ci sono poche vocazioni, pochi preti e che tante parrocchie e organizzazioni cattoliche sono scoperte, e diranno che è colpa delle famiglie che non presentano più questa vocazione come un qualcosa di bello, diranno che il mondo dei giovani è amorfo, con pochi valori per cui, mancando il senso del sacrificio si è diventati sordi alla voce del Signore… Una parte di verità c’è in tutte le cose, ma se oggi ci sono poche vocazioni non è per colpa di Dio che non chiama più e, secondo me, non è neanche colpa delle famiglie o del mondo giovanile attratto da altre cose, è principalmente colpa di una cattiva impressione che il mondo religioso ha dato sta dando sulla visione del sacerdozio. Finche il sacerdozio è presentato come forma di potere i giovani vedono che nel mondo ci sono altre forme di potere ben più grandi, finche i giovani vedono dei preti poco convinti, mestieranti del sacro, o solo esagitati, finche incontrano in essi dei sociologi, degli psicologi, dei facili giovanilisti, possono anche ammirarli, ma i loro idoli sono altri. I giovani per essere attenti ad una eventuale chiamata devono incontrare dei preti, magari arruffoni, magari non perfetti, magari non scimmiottanti le ultime mode, ma dei preti che credono a Gesù Cristo, dei preti che non hanno paura di farsi vedere deboli, in ricerca, ma anche totalmente abbandonati al loro Signore.

E poi, Dio vorrà proprio tanti preti per mantenere le attuali istituzioni di Chiesa o piuttosto non vorrà aiutarci tutti a ripensare a tante strutture dichiarandone alcune ormai superate e slegandole dal sacerdozio per far riscoprire in pieno le molteplici vocazioni laicali al servizio?

In questa giornata di preghiera per le vocazioni, guardando a Gesù Buon Pastore vi invito non tanto a pregare, quasi imponendo a Dio che faccia aumentare il numero delle vocazioni sacerdotali o religiose, ma che Dio , nonostante noi, possa realizzare davvero quella che è la sua volontà di bene nei confronti della nostra storia individuale e comunitaria, suscitando la generosità di risposte alle sue chiamate di ogni genere che possano così continuare a costruire la sua Chiesa non tanto come ce la immaginiamo noi nei nostri schemi, ma come vuole lui, "un solo gregge, sotto un solo pastore".

 

 

LUNEDI’ 7

Santa FLAVIA DOMINICI; Santi FLAVIO E AUGUSTO;

B. ROSA VENERINI

Atti 11,1-18; Sal. 41 e 42; Gv. 10,1-10;

 

"IO SONO LA PORTA: SE UNO ENTRA ATTRAVERSO ME, SARA’ SALVO; ENTRERA’ E USCIRA’ E TROVERA’ PASCOLO". (Gv. 10,9)

Ecco, nel suo racconto, una esperienza di quel grande vescovo che fu don Tonino Bello:

Quella notte ero salito su un vagone di seconda classe. Con i pochi viaggiatori che imbarcava e con i tanti compartimenti vuoti a disposizione, quel treno per Roma era molto comodo per me, soprattutto quando, non avendo avuto tempo di prepararmi di giorno, ero costretto a studiare di notte. Quella volta, poi, ero particolarmente preoccupato. La mattina seguente avrei dovuto tenere la relazione di fondo di un convegno importante e contavo proprio su quelle otto ore di viaggio per organizzare il mio discorso. Mi ero già sistemato in uno scompartimento vuoto e avevo appena tirato le tendine, dopo aver sparpagliato sui sedili libri e riviste, quando sentii scorrere il portello, e un signore sulla trentina mi chiese con un sorriso: "Scusi, lei non è il Vescovo di Molfetta?" Non feci in tempo ad accennargli di sì che replicò soddisfatto "Che bella fortuna! Ora me ne vengo qua da lei e così chiacchierando, la notte passerà in un baleno".

Pensavo che la freddezza con cui mostrai di accogliere la sua proposta lo avrebbe scoraggiato. Ma quello, nonostante il fastidio che mi si leggeva chiarissimo in faccia, dopo qualche minuto fece irruzione nel mio rifugio con due pesanti valigie, e io fui costretto a ritirare gli appunti sparsi qua e là sui sedili di velluto, in attesa, speravo, che il mio importuno interlocutore si potesse addormentare.

Attaccò subito discorso, dopo essersi seduto di fronte a me. Parlava a ruota libera e, benché io gli replicassi con monosillabi avari, dilagava come un fiume in piena. Mi disse che era un marittimo, e che andava a raggiungere la sua nave ancorata a Livorno. Era scappato a casa per due giorni, poiché la più grande delle sue bambine aveva fatto la prima Comunione. Mi fece vedere la foto di famiglia, mi spiava l’espressione del viso e pretese il mio giudizio persino sulla bellezza di sua moglie. Mi confidò che le voleva un bene da morire, che quando poteva le telefonava ogni sera, anche dall’Australia, e che, nonostante le mille seduzioni di tutte le città portuali del mondo, non l’aveva mai tradita.

Chiusi i libri e mi misi ad ascoltarlo: cominciava ad interessarmi.

Non aveva certo l’aria bigotta. Parlava con incredibile naturalezza di donne, di attrici, di moda, di calcio, di politica, di musica… passando da un argomento all’altro senza forzature e con una straordinaria carica di simpatia.

Mi disse che amava la vita. Che l’unico rimpianto era di aver scelto un mestiere che lo teneva otto mesi su dieci lontano dalla famiglia. Ma che doveva ancora continuare per qualche anno, se il Signore gli dava salute, perché si era comperato un appartamento delle case popolari e doveva finire di pagarlo. Che, anzi, aveva intenzione di acquistarsi un campicello per campar la vita. Che lui non ci teneva ad arricchirsi dopo che aveva visto la miseria dell’Africa sui cui porti sbarcava spesso con la nave. E che non c’è nessuna cosa al mondo che possa darti tanta gioia quanto l’amore della tua donna, la buona riuscita dei figli, e una partita a carte in casa con gli amici.

Il treno cadenzava i ritmi del mio interlocutore, e io mi andavo chiedendo se il soprassalto di tenerezza che provavo nell’ascoltarlo derivava dal ridestarsi di archetipi sepolti ormai da qualche tempo nella mia coscienza, oppure dalla sorpresa di trovarmi davanti ad un rarissimo esemplare scampato al cataclisma dei costumi, oppure dalla constatazione che c’è ancora nel mondo un’economia sommersa di bontà più estesa di quello che si pensi.

Parlando dei suoi sacrifici faceva spesso dell’autoironia scoppiando a ridere, e gli occhi gli brillavano, di commozione o di fierezza quando raccontava della premura giornaliera con cui sua moglie assisteva un’anziana vicina di casa.

Ero letteralmente assorto nell’ascolto di quel compagno di viaggio, che mi aiutava a scoprire, nei sotterranei del mio essere, piccole gioie antiche che avevo rimosse da qualche tempo: sapori verginali di intimità casalinghe, misteri di brividi nuziali che ti legano alle cose, freschezza di abbandoni all’ala fragile dell’amicizia.

Mi andavo chiedendo quale fosse il segreto di quella esistenza umanamente così armonica, quando, all’improvviso, mi rivelò: "Io leggo il Vangelo ogni giorno! Lo faccio sempre ogniqualvolta, durante la navigazione, ho un momento di libertà".

Non dovetti mostrare di prendere sul serio la sua dichiarazione, perché aggiunse: "Vedo che non crede molto a ciò che le ho detto". E si alzò a prendere una valigia che depose pesantemente sulla poltrona. La spalancò e in cima alla biancheria, fermato dalla cinghietta, scorsi "Il Santo Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo".

Me lo porse e io, invece che alla prima, lo sfogliai per caso all’ultima pagina su cui, scritte in matita, lessi queste annotazioni: "Finito di leggere la prima volta il 3 ottobre 1980 presso lo stretto di Gibilterra…la seconda volta nella baia di Sidney… finito di leggere la quinta volta…"

Chi sa per quale suggestione mi vennero in mente le parole della Gaudium et spes: "Le gioie degli uomini di oggi… dei poveri soprattutto, e di coloro che soffrono… sono le gioie dei discepoli di Cristo".

Il Vangelo mi rimase aperto su quell’ultima pagina. Ma dovetti chiuderlo subito: ero giunto a Roma. Anzi, molto più in là di Roma. Ero giunto in quell’arcana stazione dello spirito, dove il treno delle gioie dei poveri e il treno delle gioie dei discepoli di Gesù facevano coincidenza. O meglio coincidevano. Formando lo stesso convoglio verso l’unica direzione del Regno.

P.S.: La conferenza andò benissimo. Non mi ero mai preparato così.

 

 

MARTEDI’ 8

San VITTORE IL MORO; Santa MADDALENA DI CANOSSA; MADONNA DI POMPEI

Parola di Dio: Atti 11,19-26; Sal. 86; Gv. 10,22-30

 

"LE MIE PECORE ASCOLTANO LA MIA VOCE". ( Gv. 10, 27)

Già abitualmente non sempre è facile riconoscere la voce del Buon Pastore, specialmente nel bailamme delle voci ricorrenti, dove anche una voce conosciuta si presta ad imitazioni, trasposizioni, interferenze, ancora più difficile, a volte è riconoscere la voce di coloro che dovrebbero parlarci a suo nome. Qualche esempio, per capirci: ci sono dei preti TV, delle suore patite di squadre di calcio, dei frati cantanti… davanti a loro qualcuno si scandalizza e dice: "Dove andiamo a finire?", e qualcuno li giustifica dicendo: "E, certo, se si vuole avvicinare i giovani bisogna fare così!". I preti non portano più la divisa e qualcuno dice: "Lo fanno per comodità, perché hanno paura di dimostrare la propria fede", e qualcuno dice: "Fanno bene, quel vestito creava solo distacco dalla gente".

Mi chiedo allora: Ma dov’è la novità? Se basta saper ballare per conquistare i giovani, penso che in seminario ci starebbe bene un corso di danza invece di quello di biblica e non è solo per questione di veste il creare o meno distacco dalla gente, è questione di testa da parte del prete!

Gesù lo dice chiaro: Lui è una novità tale che non si può prendere a pezzetti per rattoppare cose vecchie. Il cambiamento deve essere interiore, totale, se no non cambia niente. Non mi scandalizzano né entusiasmano preti ballerini, suore chitarriste, vestiti vecchi o all’ultima moda, messe in latino o messe rock, voglio vedere in trasparenza la novità di Cristo, voglio provare a riconoscere la sua voce. Ho incontrato preti anziani incrostati di abitudini e incapaci di trasmettere gioia (e senza gioia non c’è neanche il Vangelo) e preti anziani con sottanoni magari anche logori e stinti con i quali ti pareva di stare con Gesù stesso e ho incontrato preti giovani rocchettari che come D.J. andavano benissimo, ma pur gridando Gesù Cristo non davano che una bassa immagine di se stessi e della religione, preti che per essere vicini ai giovani avevano imparato a dire le parolacce ma che alla fine sapevano dire solo più quelle e preti che avendo in semplicità rinunciato a tanti orpelli e privilegi riservati al proprio ruolo, lo avevano fatto non per moda ma per scelta evangelica.

Nella nostra vita, le novità sono le ultime mode ecclesiastiche o è ancora Gesù Cristo? La voce di Gesù la riconosci dai ‘decibel’ con cui qualche prete cerca di gridarla o di gridare se stesso o da quello che essa con amore continua a suggerirti, magari sottovoce?

 

 

MERCOLEDI’ 9

San PACOMIO; B. NICCOLO’ ALBERGATI

Parola di Dio: Atti 12,24-13,5; Sal. 66; Gv. 12,44-50

 

"CHI VEDE ME, VEDE IL PADRE CHE MI HA MANDATO (Gv. 12,45)

Anche nel modo di intendere la religione ci sono tanti luoghi comuni che sarebbe bene sfatare. Oggi va di moda, per un certo amore di ecumenismo, o per sentirsi persone aperte, di larghe vedute, dire: "Dio è lo stesso Dio di tutte le religioni, che lo si chiami con un nome o con l’altro, che lo si onori in un modo o in altro…" Sovente poi, incontriamo persone che dicono: "lo credo in Dio" e questo mi basta!

Se è vero che a Dio si può giungere per mille strade diverse ed è ancor più vero che nessuno può giudicare la fede di un altro, non per questo noi dobbiamo perdere la nostra identità, dimenticandoci di Gesù, il Figlio di Dio che è venuto nel mondo per rivelarci il volto del Padre. Non per scherzo ci ha amati il Figlio di Dio che ha dato la sua vita per noi: Egli è la trasparenza del Padre. Le parole che ci ha detto, sono quelle del Padre. Noi possiamo arrivare al cuore del Padre tramite il suo "Figlio prediletto".

Gesù Cristo non solo ci ha rivelato il volto del Padre, ma è anche la strada privilegiata per giungere al suo cuore.

Non per niente la Chiesa, nella celebrazione della Messa ci ricorda questo quando, dopo averci fatto esprimere tutte le nostre intenzioni e preghiere, dopo aver fatto memoria della cena di Gesù, fa alzare al sacerdote il corpo e sangue di Cristo e ci fa dire che la nostra lode, la preghiera, la vita avviene solo e unicamente "Per Cristo, con Cristo e in Cristo".

 

 

GIOVEDI’ 10

Sant’ANTONINO; San CATALDO; B. DAMIANO DE VEUSTER

Parola di Dio: Atti 13,13-25; Sal.88; Gv.13,16-20

 

"UN SERVO NON E’ PIU’ GRANDE DEL SUO PADRONE. NE’ UN APOSTOLO PIU’ GRANDE DI CHI LO HA MANDATO". (Gv. 13,16)

Nella mia vita ho incontrato tante persone che, ‘in tutta umiltà’ pensavano di essere più grandi di Gesù Cristo, ho incontrato dei vescovi e dei preti che avevano preso talmente sul serio la propria responsabilità da credere che chi non la pensava come loro era fuori dalla Chiesa e dalla salvezza, ed ho incontrato tanti laici che, "consapevoli del ruolo che la chiesa postconciliare aveva affidato loro" erano diventi più clericali di certo clero, più sacrestani del sacrestano (che nel frattempo è andato in disuso)

L’errore è sempre lo stesso, e noi, con somma gioia del tentatore, ci cadiamo abitualmente. Gesù è venuto per servire, non per comandare, Gesù è venuto a proporre e non ad imporre, Gesù è venuto a perdonare e non a giudicare insindacabilmente, Gesù è venuto a chiamare per servire e non a creare una gerarchia di comando, Gesù è venuto a lavare i piedi e non a far strisciare sotto i piedi, Gesù è venuto a farsi pane, non a mangiare il nostro pane… il cristiano, allora non dovrebbe essere servo del fratello, uomo di proposta e non di imposizione, persona che non giudica ma che offre, uomo disposto a lasciarsi mangiare dai fratelli…

Quando ripenso alla mia vita e vedo l’esiguità del mio comportamento, quando guardo a quanto ancora sono lontano dal mio Maestro, quando scopro che spesso non solo non sono stato capace di servire il Regno, ma mi sono addirittura fatto maschera del Regno per annunciare non Lui ma me stesso, mi prende un senso di grande povertà, quasi di delusione nello scoprire la delusione che devo essere stato per Lui… Poi mi riprendo di coraggio e se chiedo al Signore di tradirlo di meno per il prossimo, di tagliare la cresta dell’orgoglio, di aiutarmi a scoprire la gioia del servizio, gli dico anche: "In fondo te la sei voluta a scegliere uno come me, d’altra parte la ‘ditta’ è tua e allora nonostante le mie manchevolezze porta tu a compimento il tuo Regno, fallo però in modo che io non ne sia tagliato fuori.

 

 

VENERDI’ 11

Sant’IGNAZIO DA LACONI; S. FABIO

Parola di Dio: Atti 13,26-33; Sal.2; Gv. 14,1-6

 

"IO SONO LA VIA, LA VERITA’ E LA VITA". (Gv. 14,6)

Ho passato un intero pomeriggio di vacanza ad osservare un accordatore di organo. Batteva un tasto, poi un altro, poi si alzava a spostare una canna, poi regolava il beccuccio di un’uscita dell’aria. Poi tornava ad ascoltare, a confrontare un suono con l’altro e così, rettifica su rettifica finché il suono desse la nota giusta. Lavoro paziente, delicato e preciso, che soltanto un orecchio e una mano esercitati possono effettuare. E vedendo lavorare l’accordatore non ho potuto non pensare al Padre nostro celeste il cui orecchio capta tutto ciò che emana dai suoi figli. Quante parole, alcune buone altre inutili, quante azioni cattive o buone, quanti pensieri di amore o di odio, quante note bellissime unite a note stonate. Ho pensato anche al lavoro continuo di Dio, del suo Spirito, di Gesù, per formarci, correggerci, cercare di "assonnarci" al suo pensiero. L’accordatore usava poi uno strumento, il diapason, per avere la nota giusta, e ho visto la figura di Gesù, Via, Verità e Vita. Se ci lasciamo accordare su di Lui, ciascuno di noi, canne più lunghe, più potenti o più sottili, riusciamo a diventare un’armonia. Signore, fa’ che tra le tue mani noi diventiamo degli strumenti docili, rendendo dei suoni che ti siano gradevoli! Accorda le nostre vite alla tua Parola e agli impulsi del tuo Spirito. Che Egli faccia vibrare il nostro cuore per raccontare la tua lode. Signore Gesù, tu su questa terra sei stato la continua armonia del Padre, fa’ che anche noi possiamo trarre qualche eco da te e che possiamo così, senza troppe stonature echeggiare quell’armonia che viene dalla perfezione di Dio e del suo creato finalmente riaccordato in Te con Lui.

 

 

SABATO 12

SS. NEREO E ACHÌLLEO; San PANCRAZIO; San LEOPOLDO M.

Parola di Dio: Atti 13,44-52; Sal. 97; Gv. 14,7-14

 

"SIGNORE, MOSTRACI IL PADRE E CI BASTA". (Gv. 14,8)

Filippo aveva visto l’amore di Gesù per il Padre, aveva sentito con quale amore Gesù parlava del Padre, aveva provato la gioia di scoprire che Dio era il Padre buono che perdonava il figliol prodigo, che era Colui che si rivelava ai piccoli e ai poveri, che vestiva i fiori del campo e che pensava agli uccelli del cielo, e allora rivolge questa domanda a Gesù. Ma Gesù gli risponde: "Guarda, Filippo che basta vedere me per vedere il Padre." Gesù e il Padre sono uno. Gesù opera nell’amore del Padre. Gesù manifesta il Padre che ha preso il suo volto umano. E’ una cosa meravigliosa che Gesù ci abbia insegnato a chiamare col nome "Padre" il nostro Dio. Dio, proprio grazie a Gesù, non è più il lontano, l’inaccessibile, il potente che decide a parer suo e sulla pelle degli altri, il castigamatti sempre pronto ad adirarsi al minimo sbaglio… Dio è il mio Padre buono! Purtroppo, però, noi siamo andati oltre. Dal Dio dei tuoni e fulmini dell’Antico Testamento lo abbiamo fatto diventare il Dio bonaccione che può essere bellamente preso alla leggera, intanto perdona sempre! Dio è mio Padre, ma va rispettato, perché una bontà di Dio mal compresa può creare in noi una sorta di familiarità e di indifferenza che rasenta la bestemmia. Senza diventare farisei o 'codini’ proviamo a vedere se certi atteggiamenti non indicano proprio una falsa concezione della bontà di Dio. Spesso si sta in chiesa come si starebbe in un bar o nella sala d’aspetto della stazione, appoggiati ai muri, stravaccati sulle panche, ricordo un signore che in attesa di un matrimonio fumava tranquillamente leggendo il giornale e che, quando in buone maniere cercai di fargli osservare che non era il miglior modo di stare in chiesa mi rispose che questa era la casa di Dio e degli uomini e quindi lui ci stava come gli pareva. Si può ricevere il Corpo di Cristo con la gomma in bocca, si può passare davanti al tabernacolo senza neanche un piccolo segno di rispetto per chi vi è contenuto… ma se questi possono essere semplici gesti di buona educazione ci sono atteggiamenti interiori ancora più gravi: "Il peccato non esiste più", "Tutto va bene per questo Dio che è Padre", "Dio la deve pensare come me…", "In fondo non siamo noi figli che dobbiamo indirizzare i nostri vecchi che hanno sempre capito poco della vita ?". Dio è Padre, buono, misericordioso, lento all’ira, pieno di grazia, ma è sempre Dio! Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo, mio fratello, ma è sempre Dio. Davanti a noi sta l’Infinito, l’Assoluto, il Tutt’Altro; che ci è Padre, appunto, ma non per questo possiamo ridurlo alle nostre piccole cose. Vi ricordate che una volta ci insegnavano il "timor di Dio"? Esso è tutt’altro che ‘paura di Dio’, è però rispetto reverenziale di Colui che essendomi Padre è anche il Signore del cielo e della terra.

 

 

DOMENICA 13

5^ DOMENICA DI PASQUA C  -  MADONNA DI FATIMA; Santa MARIA DOMENICA MAZZARELLO

Parola di Dio: At 14,21-27; Sal. 144; Ap 21,1-5; Gv. 13,31-33.34-35

 

1^ Lettura (At. 14, 21-27)

Dagli Atti degli Apostoli.

In quel tempo, Paolo e Barnaba ritornarono a Listra, Icònio e Antiochia, rianimando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio. Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo avere pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto.

Attraversata poi la Pisidia, raggiunsero la Panfilia e dopo avere predicato la parola di Dio a Perge, scesero ad Attalìa; di qui fecero vela per Antiochia là dove erano stati affidati alla grazia del Signore per l'impresa che avevano compiuto. Non appena furono arrivati, riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede.

 

2^ Lettura (Ap 21, 1-5)

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.

Io, Giovanni, vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: "Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio – con - loro". E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate". E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose".

 

Vangelo (Gv. 13, 31-33. 34-35)

Dal vangelo secondo Giovanni.

Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri".

 

RIFLESSIONE

 

Tutte le volte che rileggo il brano dell’Apocalisse che abbiamo sentito come seconda lettura nella liturgia odierna, quando sento parlare di cieli nuovi e di terra nuova o di nuova Gerusalemme che scende dal cielo o di luoghi dove non ci sarà più né la morte, né il lutto, né il lamento mi chiedo se questa non sia utopia dell’uomo che spera in qualcosa che non si è mai avverato. Penso, ad esempio, alla Gerusalemme terrena che da sempre è stata luogo di contese, di guerre e che anche oggi vediamo intrisa di lotte, di pietre che volano, di occupazioni, di divisioni, di violenze, intrighi e soprusi: ci sarà mai pace per essa? Ci sarà mai serenità per questo mondo che, tra l'altro, stiamo distruggendo, violentando e che per legge di natura si sta ribellando contro l’uomo? Se ragiono umanamente la risposta è: no! Ma poi penso che il libro dell’Apocalisse non è solo parola di uomini o fantasie di un vecchio Giovanni che, tra sogni fantastici e credenze che sconfinano nel mitico, si è messo a raccontare storie ed utopie con base cristiana. I cieli nuovi e la nuova terra sono promesse di Dio. E’ il rinnovamento totale della creazione. "Ma allora sarà il paradiso", può dire qualcuno. Certamente noi cristiani crediamo ad un futuro in cui la morte sarà vinta e annientata definitivamente, noi crediamo che Dio "tergerà le lacrime" di ogni sofferenza, che ogni giustizia sarà compiuta, noi crediamo che vedremo Dio faccia a faccia, ma la promessa di Dio non è fatta solo al futuro: la novità è già iniziata e sta compiendosi anche oggi. Gesù, Il Figlio di Dio, l’uomo nuovo, è già venuto. Lui il suo sangue per noi lo ha già versato o per dirla con le parole sue nel vangelo di oggi "è già stato glorificato" nella croce, culmine del suo amore per noi e Dio nella Sua morte e risurrezione ha costituito la Nuova Alleanza con la nostra umanità. Ma come mai, allora, continuano le guerre, gli odi, i soprusi? Come mai contano ancora più i soldi, il potere che l’uomo? Perché la terra non è rispettata e la natura ancora si ribella e uccide?

Perché l’uomo e anche il cristiano non hanno ancora capito a fondo la novità che ci è stata data e che ci viene richiesta per cominciare a realizzare fin da adesso i cieli nuovi e la terra nuova. Il segreto di questo sta proprio nelle parole di Gesù che abbiamo appena sentito: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri". E’ duro doverlo ammettere, ma dopo duemila anni dall’Incarnazione del Verbo che per amore e per la nostra salvezza si è fatto uomo, dopo duemila anni di predicazione della buona novella dell’amore di Dio Padre verso le sue creature, per molti è ancora difficile comprendere il vero significato da dare all’amore. Oggi c’è grande confusione anche solo attorno al significato della parola amore. Il termine amore viene usato spesso indistintamente per indicare cose diverse o aspetti diversi, ad esempio, "si ama" la natura, gli animali, il proprio hobby, si relativizza l’amore confondendolo con il sesso, dietro questa parola si nascondono egoismi e deviazioni quando ad esempio si confonde l’amore per i bambini con la pedofilia o l’amore verso i figli con il mammismo. Se volete, con un’immagine forse un po’ strana, si fa una grande confusione un po’ come l’insalata russa che, ricca dei suoi vari elementi, gustosa e saporita, lo diventa soprattutto per mezzo della maionese che da un lato ne esalta il gusto, ma dall’altro non ci permette più di distinguere i sapori dei singoli elementi che la compongono e allora può prestarsi a camuffare la scarsa qualità dei vari prodotti e il riciclaggio degli scarti. Così è per l’Amore, può essere la realtà prima e vera di ogni cosa per l’uomo, al contrario può diventare il modo per nascondere e mistificare il nostro modo di stravolgerne il significato. La novità di cui parla Gesù sta allora nel comprendere quale sia l’amore che ci viene donato e richiesto. Dice la prima lettera di Giovanni: "Dio è amore: e chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio in Lui". "Amore" è la parola chiave con cui Dio si è voluto far conoscere dall’uomo, per svelare la sua essenza e perché noi, radicati in essa, ne potessimo diventare testimoni. Il popolo dell’Antica e Nuova Alleanza ne ha fatto sempre esperienza; in ogni circostanza; mai è venuta meno la fedeltà del Signore al suo amore di Padre. Tenero e forte come sa essere solo Lui che "corregge ci ama" e "usa misericordia per mille generazioni". Gesù, poi è l’Incarnazione di questo amore, ecco perché ci dice che la grande novità dell’amare sta nell’amare come Lui ci ha amato. Non si ama più solo perché l’uomo sente simpatia, perché l’uomo è filantropo, almeno in certe occasioni, non si ama perché ci sono delle norme, non si ama per avere un premio, per tenersi buono Dio, per andare in paradiso, si ama perché c’è un uomo, il Figlio di Dio, Gesù che ci ha amato fino a dare la sua vita per noi. Gli uomini, da sempre, sono portati ad amarsi, ma anche ad odiarsi, perciò essi non hanno mai scoperto il vero amore. Quando dicono di volersi bene, in realtà, spesso, rivolgono lo sguardo sugli altri per interesse, per simpatia, per passione. Il peccato ha reso l’uomo radicalmente egoista, cioè ripiegato su se stesso. Gesù ci dice: "Amatevi come io vi ho amato". Egli ci insegna ad amare il fratello per amore del fratello, per il suo bene, per la sua dignità, per la sua gioia; il prossimo non è solo più chi ti è vicino ma colui al quale tu puoi farti vicino. L’amore che il Signore ci ha insegnato è dunque aprirsi agli altri, rendersi disponibili, mettersi a servizio, dare senza pretendere, a proprie spese e con proprio sacrificio. Tutto questo è impossibile all’uomo! E’ vero, ma non impossibile con la grazia di Dio e guardando Gesù. Ecco allora che noi possiamo motivare il nostro amore agli altri in mille maniere, ma il motivo cristiano è uno solo: che Dio ci ama e ci rende degni di essere amati anche quando venissero meno tutte le altre motivazioni. L’unico nostro modello per amare diventa allora Gesù. Ma come ha amato Cristo? Fermiamoci ad alcun pensieri. "Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici". "Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso" cioè la smetta di pensare a se stesso. "Chi vuol tenersi egoisticamente la vita la perderà" Amare allora sta nel giocare la propria vita per gli altri. Ma come fare in concreto? Dalla vita di Gesù abbiamo la risposta: si ama gli altri servendo gioiosamente la vita di chi ci sta accanto, non aspettando i momenti eccezionali ma rispondendo giorno per giorno alle invocazioni di carità che si nascondono in ogni necessità del nostro prossimo. Solo così l’amore diventa anche testimonianza: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri". Mi piace concludere questa riflessione con un pensiero che non so neppure di chi sia, sul quale tante volte mi sono soffermato ma che nella mia poca fede, pur ritenendolo vero, non sono ancora riuscito a far pienamente mio:

 

Spendi l’amore a piene mani!

L’amore è l’unico tesoro che si moltiplica per divisione:

è l’unico che aumenta quanto più ne sottrai.

E’ l’unica impresa nella quale più si spende, più si guadagna.

Regalalo, buttalo via, spargilo ai quattro venti,

vuotati le tasche, scuoti il cesto, capovolgi il bicchiere

e domani ne avrai più di prima.

 

 

LUNEDI’ 14

San MATTIA; San AMPELIO; SAN MICHELE GARICOITS

Parola di Dio: Atti 14,5-18; Sal. 113; Gv. 14,21-26

 

"CHI ACCOGLIE I MIEI COMANDAMENTI E LI’ OSSERVA, QUESTI MI AMA". (Gv.14,21)

Quale sarà il metro per sapere se amiamo? Qualcuno dice che basta fidarsi dei sentimenti. Eppure quanti hanno detto, convinti: "Ti amerò per tutta la vita!" e poi non è stato così. E quanti cristiani hanno detto tutti i giorni a Dio: "Ti amo con tutto il cuore" e poi... Qualche anno fa ho assistito a uno spettacolo teatrale di cui non ricordo neppure il titolo, nel corso del quale ho ascoltato un passaggio che non riesco a dimenticare. In quella rappresentazione, una famiglia afro -americana eredita diecimila dollari dalla polizza di assicurazione sulla vita del padre.

La madre, ormai capofamiglia, vede nell’eredità la possibilità di fuggire dalla vita del ghetto di Harlem per trasferirsi in campagna, in una villetta con i vasi di fiori. La figlia, molto intelligente, vede in quel denaro l’opportunità di realizzare il suo sogno di frequentare la facoltà di medicina.

Ma il fratello maggiore ha una richiesta difficile da ignorare. Chiede quel denaro per sé, per entrare in affari insieme a un suo ‘amico’. Spiega ai familiari che con quei soldi potrebbe diventare qualcuno e fare qualcosa di buono anche per loro. Giura che, se avesse a disposizione quel denaro, potrebbe offrire alla famiglia tutte le cose belle che una vita difficile finora ha negato loro. La madre cede alla richiesta del figlio. Deve ammettere che il giovane non ha mai avuto buone occasioni nella vita e si merita l’opportunità offerta da quei diecimila dollari.

Come potete immaginare, il cosiddetto ‘amico’ taglia la corda con i soldi. Il figlio, distrutto, deve tornare a casa e dare ai familiari la notizia che le loro speranze per il futuro sono state rapinate e che i loro sogni per una vita migliore sono sfumati. La sorella infierisce su di lui, con una serie ininterrotta di terribili insulti: lo apostrofa in tutti i modi più spregevoli. Il disprezzo per il fratello non ha limiti. Quando la ragazza si ferma per riprendere fiato, la madre la interrompe e dice: "Pensavo di averti insegnato ad amarlo". La figlia, risponde: "Amarlo? Non è rimasto niente da amare". E la madre ribatte:

"C’è sempre qualcosa da amare. E se tu non l’hai capito, non hai imparato niente. Oggi hai pianto per questo ragazzo? Non mi preoccupo per te o per noi perché abbiamo perso quel denaro. Mi preoccupo per lui: per ciò che ha dovuto passare e per ciò che questo gli ha causato. Ragazza, quando pensi che sia il momento giusto di dimostrare affetto a qualcuno? Quando si comporta bene e rende le cose semplici a tutti? Be’, allora proprio non hai imparato nulla, perché non è certo quello il caso. Il momento giusto è quando questo qualcuno ha toccato il fondo e non riesce più a credere in se stesso, perché il mondo lo ha sconfitto. Quando giudichi una persona, giudicala correttamente, ragazza! Fa’ in modo di essere sicura di avere davvero considerato quale sentiero accidentato ha dovuto percorrere per arrivare dov’è". Questa è la grazia! E’ amore dato quando non è meritato. E’ perdono dato quando non è guadagnato. È’ un dono che fluisce, come una corrente rinfrescante, a smorzare i fuochi delle parole cariche d’odio e condanna.

 

 

MARTEDI’ 15

San TORQUATO; San ISIDORO L’AGRICOLTORE

Parola di Dio: Atti 14,19-28; Sal. 144; Gv. 14,27-31

 

"VI LASCIO LA PACE, VI DO LA MIA PACE. NON COME LA DA’ IL MONDO LA DO A VOI". (Gv.14,27)

Qualche volta viene il dubbio che in questa nostra povera umanità possa davvero esistere la pace.Non so se succeda anche a voi, ma tutte le volte che, nel lungo pontificato di Giovanni Paolo II, l’ho sentito invocare la pace, ora per la Palestina, ora per l’Afgahistan, ora per l’Irlanda, ora per le altre innumerevoli guerre che ci sono sempre nel mondo, mi è venuto quasi da pensare: "Ma a cosa serve se intanto gli uomini continueranno sempre ad uccidersi, ad odiarsi, a cacciarsi vicendevolmente da casa, se le multinazionali delle armi continueranno a fomentare guerre per far soldi, se capi di popoli preferiscono i propri interessi alla vita degli uomini?".E spesso, davanti a famiglie in continuo conflitto, davanti a coppie che quasi è meglio si dividano piuttosto che continuare ad uccidersi giorno per giorno, non viene forse la tentazione di dire che la pace è un’utopia, o che al massimo è un insieme di compromessi che durano finché possono…?Ho sentito raccontare da un sacerdote la storia di una coppia arrivata a celebrare le nozze d’oro. Al marito fu chiesto quale fosse il segreto di un matrimonio così duraturo. Come tipico delle persone anziane, il vecchio signore rispose raccontando un fatto della propria vita. Sua moglie Sara era l’unica ragazza con cui fosse mai uscito. Era cresciuto in un orfanotrofio e aveva sempre lavorato duro per ottenere quello che aveva. Non aveva mai avuto tempo di uscire con le ragazze, finché Sara non lo conquistò. Prima ancora di rendersi conto di quello che stava accadendo, l’aveva chiesta in moglie. Il giorno delle nozze, dopo che i due giovani avevano pronunciato il proprio impegno matrimoniale in chiesa, il padre di Sara prese in disparte il novello sposo e gli diede in mano un pacchettino. Disse: "Con questo regalo, non ti servirà altro per un matrimonio felice». Il giovane era agitato e litigò un po’ con la carta e con il nastro prima di riuscire a scartare il pacchetto. Nella scatola c’era un grosso orologio d’oro. Lo sposo lo sollevò con cautela. Mentre lo osservava da vicino, notò un’incisione sul quadrante: era un’esortazione molto saggia e l’avrebbe vista tutte le volte che avesse controllato l’ora. Quelle parole recavano in sé il segreto di un matrimonio felice. Erano le seguenti: "E’ l’ora giusta per dire qualcosa di carino a Sara". La pace tra gli uomini, nelle famiglie, comincia sempre da qualcosa di piccolo ma concreto, ripetuto, ricercato, in qualunque momento. D’altra parte non è lo stesso comportamento di Dio con noi, quando continuamente, nonostante tutto, ci offre la sua amicizia?

 

 

 

MERCOLEDI’ 16

San UBALDO; Santa MARGHERITA DA CORTONA; Santa GEMMA GALGANI

Parola di Dio: Atti 15,1-6; Sal. 121; Gv.15,1-8

 

"IO SONO LA VITE E VOI I TRALCI. CHI RIMANE IN ME E IO IN LUI FA MOLTO FRUTTO, PERCHÉ SENZA DI ME NON POTETE FAR NULLA". (Gv. 15,5)

Il verbo "rimanere" nel Vangelo di Giovanni è uno di quelli che caratterizzano la risposta dell’uomo all’iniziativa di Dio. "Stare", "Rimanere", "Dimorare" indicano qualcosa di più di un legame superficiale, provvisorio. E’ andar oltre alla semplice vicinanza, per esprimere una realtà profonda, uno scambio vitale, un rapporto duraturo. Si tratta di "dimorare" nella sua parola. Non basta che la parola risuoni dall’esterno. Occorre che penetri, venga assimilata fino a diventare la regola ispiratrice della propria condotta. Si tratta di "dimorare in Gesù", cioè di spostare il centro di interesse da noi stessi a Lui. Gesù è il terreno dove porre le nostre radici perché "senza di Lui non possiamo far nulla". A questo punto Gesù parla di frutti che il cristiano deve produrre. Ma non si tratta, genericamente, di produttività. Il problema principale non è quello di aumentare la quantità, cercare con i più moderni mezzi di "incrementare gli utili". Questa vigna, poi, non assicura guadagni e vantaggi a coloro che ne fanno parte. I frutti sono principalmente per gli altri. E’ una vigna "per pubblica utilità". Qualsiasi "passante" ha diritto di esigere i frutti. E i frutti coincidono sempre con l’amore. E nessuno è libero di produrre frutti adottando metodi e mezzi che più gli aggradino. E’ il Signore stesso che stabilisce rigorosamente le condizioni della fecondità. Due essenzialmente: rimanere in Lui e accettare la potatura.

E se è difficile accettare il ragionamento della potatura specialmente di chi già opera il bene, spesso nella nostra vita spirituale c'è un altro grande rischio: quello di tagliarci le gambe da soli. Vogliamo bene a Gesù, siamo cristiani! ma ad un certo punto: "Al mattino non riesco più a pregare: c'è fretta... l'ufficio, il mercato...", "Ho cominciato a saltare messa una domenica perché mi è arrivata gente... adesso sono due mesi che non vado più in chiesa: ogni domenica ce n'è una... (di scusa?!)", "Andavo a trovare quella persona paralizzata in casa, ma poi sono arrivate le feste con tutto il loro da fare, mi sono limitato a telefonarle, poi qualche giorno me ne sono dimentica...., ora non mi oso più...". Con queste o altre cose simili, noi tagliamo i nostri rapporti con il Signore. I sacramenti della sua presenza diventano sempre più lontani, non troviamo più la voglia di pregare... rinsecchiamo. Se accumuliamo ostacoli nelle nostre vene c'è pericolo che presto la linfa vitale di Cristo non ci possa più raggiungere e allora a cosa serve un ramo secco?

 

 

GIOVEDI’ 17

San PASQUALE BAYLON; Santa RESTITUTA

Parola di Dio: Atti 15,7-21; Sal. 95; Gv.15,9-11

 

"QUESTO VI HO DETTO PERCHE’ LA MIA GIOIA SIA IN VOI E LA VOSTRA GIOIA SIA PIENA". (Gv. 15,11)

Non è facile incontrare persone totalmente gioiose (oggi si usa il termine ‘solari’). Prova invece ad entrare in un ufficio postale o a salire su un tram o ad essere incolonnato la sera sulla tangenziale. Trovi persone nervose o al massimo apatiche, preoccupate di tutto ciò che le riguarda personalmente, stanche, pronte a scannarsi per un nonnulla… Ma neanche nel mondo dei cristiani è facile trovare la gioia vera, quella profonda. Ti può capitare di incontrare maschere di gioia innalzate artificiosamente per fare bella figura, per sembrare accoglienti, sorrisi spesso forzati che basta un buon colpo di vento a far rotolare lontano rivelando anche qui volti austeri, giudicatori, preoccupati. Provate poi ad entrare in certe chiese dove si celebra l’Eucaristia, il grande dono di Gesù, e vedere un prete dir messa, o meglio bofonchiare certe parole e fare gesti più o meno abbozzati, vedere cristiani che arrivano ad ogni momento e iniziano ad infilare giaculatorie ed Ave Marie di corsa una dietro l'altra, per fare in fretta, ciascuno per conto suo: volti chiusi, vestiti neri... Forse Cristo si è sbagliato? Forse doveva dire: "Chi crede in me avrà tristezza assicurata"? Non dico che il cristiano debba mettersi degli stecchini agli angoli della bocca per mostrare uno stereotipato quanto falso sorriso ad ogni occasione.Il cristiano soffre come gli altri, piange come gli altri per le prove e i dolori della vita, ma il cristiano, se è tale, ha dentro di sé Cristo, in ogni gesto celebra Cristo vincitore del male, della morte; la sua vita, anche quando è nella prova, è testimonianza di un amore che viene dall'alto e che non finisce mai e questo non può non creare quella gioia che nasce dalla profonda intimità con Dio. Se divento cosciente dell’amore che Dio ha per me, della sua stima, del suo perdono, della fiducia che ripone in me, non posso non aver gioia: Dio, il Creatore, il Sapiente, l’Unico, mi ama di un amore totale e personale, e me lo ha dimostrato e dimostra attraverso suo Figlio Gesù. Posso ancora essere pessimista, triste, posso ancora sentirmi solo? E se io sono amato così, posso tenermelo per me solo o non devo sprizzare gioia da tutti i pori? Il mondo ha bisogno della mia gioia... Nel mondo c’è il grande contagio del possedere, della tristezza, io ho l’antidoto della gioia e l’ho in abbondanza; perché non regalarlo? Se farò così scoprirò un’altra meraviglia: donare gioia non ci impoverisce di lei, anzi, ce la moltiplica.

 

 

VENERDI’ 18

San GIOVANNI I°; San FELICE; San LEONARDO MURIALDO

Parola di Dio: Atti 15,22-31; Sal. 56; Gv. 15,12-17

 

"QUESTO E’ IL MIO COMANDAMENTO CHE VI AMIATE GLI UNI GLI ALTRI COME IO VI HO AMATO". (Gv. 15,12)

Può sembrarci strano che Gesù metta insieme l’amore all’osservanza dei comandamenti.

Però, proviamo a pensare come ci comportiamo con le persone che amiamo di più: ci fa piacere renderle felici, fare delle cose per loro; se ci chiedono qualcosa cerchiamo di accontentarle, anche a costo di qualche sacrificio. Così dovrebbe essere il nostro comportamento con Dio: se noi lo amiamo dobbiamo trovare piacere nell’osservare i suoi comandamenti, nel fare la sua volontà; se dobbiamo rinunciare a qualcosa lo facciamo perché il nostro amore per Dio è superiore a quello di ogni altra cosa. Ci sono però grandi differenze; qualcuno che amiamo potrebbe non amarci con la nostra stessa intensità o potrebbe chiederci cose sbagliate o impossibili o dannose per noi, o potrebbe essere un egoista che non si preoccupa di noi, ma solo di se stesso. Dio no; Dio ha dimostrato che ci ama più di quanto noi possiamo mai amarlo accettando il sacrificio del suo Figlio Gesù Cristo, per darci la salvezza e la vita eterna; Dio ci chiede solo cose giuste, fattibili; Dio non cerca il suo tornaconto, ma la nostra felicità. Dio non ha bisogno della nostra ubbidienza, siamo noi che abbiamo bisogno di ubbidirgli per essere felici. Se amiamo Dio ubbidiamo ai suoi comandamenti non per accontentare Lui, ma perché lo conosciamo e sappiamo che vuole il nostro bene.

 

 

SABATO 19

San CELESTINO V°; San IVO

Parola di Dio: Atti 16,1-10; Sal. 99; Gv. 15,18-21

 

"SE IL MONDO VI ODIA, SAPPIATE CHE PRIMA DI VOI HA ODIATO ME.

SE FOSTE DEL MONDO, IL MONDO AMEREBBE CIO’ CHE E’ SUO, MA IO VI HO SCELTI DAL MONDO". (Gv. 15,18-19)

Se ripercorro la storia della Chiesa comprendo quanto siano vere queste parole di Gesù. Il male, l’egoismo, il materialismo e l’idolatria si sono sempre accanite contro il Bene, il Giusto, il Vero che le smascherava. I primi cristiani, come Gesù, furono perseguitati, molti morirono martiri, ma in quel momento, anche grazie alle loro prove e al loro sangue la fede trovò un’enorme diffusione. Quando invece, la Chiesa e i cristiani scesero a compromesso con i vari poteri, accettando le loro logiche, i loro soldi, scimmiottando il loro modo di comportarsi e usando la forza per garantirsi e imporsi, il cristianesimo ha perso il suo mordente, la sua missionarietà, e lo Spirito Santo ha dovuto cercare altre strade, altri sbocchi, per continuare a garantire la Chiesa di Gesù. Oggi, però, almeno nei nostri paesi occidentali si verifica una situazione, secondo me ben più pericolosa delle precedenti. Il mondo, i poteri terreni non osteggiano più apertamente la Chiesa, anzi sembrano blandirla, pur non accettandola e considerando con superiorità le sue idee e i suoi modi di comportarsi. Tutto questo sarà frutto di: "viviamo e lasciamo vivere", di "strategie di convergenze" o piuttosto sarà perché i cristiani hanno perso la carica delle proprie proposte, il senso dei valori cristiani, perché hanno addormentato il tutto nell’abitudine, nel rito e nel compromesso. Se scopriamo che oggi il mondo non ci odia, non vuol forse dire che abbiamo talmente annacquato la nostra fede con tanti compromessi che questa non dà più fastidio a nessuno? Non è questione di augurarsi la persecuzione per poter dire la validità della testimonianza cristiana, ma è vero che il pensiero di Gesù sull’amore, sul sacrificio, sul perdono non può andar d’accordo col mondo che proclama il materialismo, l’egoismo, il godimento. Senza essere né integralisti, né fanatici, dovremmo semplicemente diventare più seri nel conoscere e praticare la nostra fede, nello scegliere i suoi valori, nel non aver paura di andare controcorrente, nel non spaventarci davanti a certi sorrisi d’ironia, nel manifestare concretamente il nostro amore per il Signore.

 

 

DOMENICA 20

6^ DOMENICA DI PASQUA C  -  San BERNARDINO DA SIENA

Parola di Dio: At 15,1-2.22-29; Sal 66; Ap 21,10-14.22-23; Gv.14,23-29

 

1^ Lettura (At.15, 1-2. 22-29)

Dagli Atti degli Apostoli.

In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: "Se non vi fate circoncidere secondo l'uso di Mosè, non potete esser salvi". Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. Allora gli apostoli, gli anziani e tutta la Chiesa decisero di eleggere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba: Giuda chiamato Barsabba e Sila, uomini tenuti in gran considerazione tra i fratelli. E consegnarono loro la seguente lettera: "Gli apostoli e gli anziani ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni da parte nostra, ai quali non avevamo affidato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con i loro discorsi sconvolgendo i vostri animi. Abbiamo perciò deciso tutti d'accordo di eleggere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Barnaba e Paolo, uomini che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo mandato dunque Giuda e Sila, che vi riferiranno anch'essi queste stesse cose a voce. Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia. Farete cosa buona perciò a guardarvi da queste cose. State bene".

 

2^ Lettura (Ap 21, 10-14. 22-23)

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.

L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello. Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello.

 

Vangelo (Gv 14, 23-29)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la da  il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l'ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate".

 

RIFLESSIONE

 

Quelle che abbiamo letto nel Vangelo sono parole che Gesù pronuncia in un momento molto difficile della sua vita e della vita dei suoi apostoli. Siamo nel cosiddetto: "discorso dell’Addio" che Gesù ha pronunciato nell’ultima cena, prima della sua passione. Gesù è pieno di preoccupazioni per questi suoi amici. Anche se sa che essi lo tradiranno, sa quanto sarà difficile per loro capire la sua croce e conosce che cosa vorrà dire per loro la delusione e la solitudine. E Gesù ha presente che cosa voglia dire anche per noi uomini del duemila la solitudine e la disperazione.Anche se per noi, oggi, sono aumentati i mezzi di comunicazione a livello planetario (stampa, radio, TV, fax, internet…) l’uomo moderno vive in una solitudine profonda. Vive immerso in un’enorme massa di notizie e di comunicazioni, ma con minime possibilità di disporsi come interlocutore di fronte agli altri. Provate a pensare: nei grandi stadi sportivi, tutti gridano, si agitano, scaricano tensioni ma il massimo della comunicatività è compiere gesti comuni, mai dire qualcosa di personale che rapporti ad un altro. Spesso fisicamente si è vicini, ammassati nei mezzi di trasporto affollati, ma senza comunicare. Ognuno va per la sua strada con le proprie preoccupazioni. Le strutture delle grosse costruzioni nelle grandi, ma anche nelle piccole città di oggi, lasciano ben poche possibilità di incontri. Anche quando sì "incoccia" in qualcuno che sale insieme sull’ascensore spesso ci si sente imbarazzati o ci si rifugia in parole di convenienza e in luoghi comuni nell’attesa di ritirarsi al più presto nel proprio appartamento.

A questa solitudine si aggiunge poi la dispersione a tutti i livelli: ci sono talmente tanti orientamenti culturali (reali o supposti), mode, mentalità che l’uomo, aggredito da diverse e discordi sollecitazioni finisce col sentirsi spersonalizzato, in balia di spinte diverse difficili da comporsi in una sintesi che dia serenità e allora ecco che nascono due tendenze diverse o quella di ubriacarsi con parole, chiacchiere, incontri banali e spesso mortificanti, o quella di barricarsi in se stesso, di isolarsi dal mondo. Però chi è solo, di solito ha grossi problemi di accettazione di sé perché in fondo si sente rifiutato, emarginato, lasciato in disparte. Gesù, al momento della tentazione più forte dei suoi apostoli svela loro una realtà esaltante: l’amore supera la solitudine, l’amore ci rende una cosa sola con Dio. "Se uno mi ama dice Gesù"

(e intende un amore autentico non fatto solo di parole) osserverà la mia parola e anche il Padre mio lo amerà e noi (Gesù e il Padre) verremo a lui e prenderemo dimora presso di Lui.

Ecco la bella notizia: l’uomo non è lasciato solo con se stesso, non è lasciato in balia dell’egoismo e del peccato! Dio ha deciso di continuare la sua incarnazione e vuole abitare nell’intimo del cuore dell’uomo. L’uomo non va più a cercare Dio altrove ma lo trova dentro se stesso, diventa il vero tempio di Dio. Proviamo a pensare all’enormità di questo dono!

Quando noi sappiamo che deve venire a trovarci a casa nostra un ospite di riguardo, ci prepariamo all’incontro, mettiamo tutto in ordine, facciamo una bella pulizia, andiamo a recuperare le cose più belle e più preziose, e poi aspettiamo con ansia e con gioia la venuta dell’ospite gradito. Proviamo allora a pensare: Dio Padre e Gesù vengono ad abitare in me. Noi diventiamo un po’ come la Madonna che accoglie Gesù nel suo grembo, che diventa ostensorio vivente del Figlio di Dio.Eppure spesso noi non ce ne accorgiamo, preferiamo vivere nella tristezza della nostra solitudine, chiudiamo la porta del cuore con la paura che altri possano entrare e rubarvi qualcosa e quindi facciamo aspettare Dio al di fuori. E, sì, perché Dio non ha voluto avere la chiave del nostro cuore, ci ha rispettati e rispetta la nostra libertà fino al punto di lasciarci padroni di accoglierlo o di lasciarlo fuori, al freddo. Ecco perché Gesù dice che "solo chi ama" può accogliere l’Amore, cioè Dio. E’ questa la chiave per aprire la porta del cuore e lasciare che Dio vi irrompa con i suoi doni Questa grazia la riceve solo chi, come Maria, accoglie la parola di Dio e la mette in pratica, chi, come la Madonna sa dire a Dio, a parole e a fatti: "Eccomi, sono pronto, fa’ di me quello che vuoi".Ma non basta ancora: Gesù promette che manderà in noi, nel nostro cuore, lo Spirito Santo che completerà in noi l’opera di Gesù, facendoci capire tutto quello che Gesù ha detto e aiutandoci a compierlo. E’ attraverso quello Spirito che è l’Amore che unisce il Padre al Figlio, che è la forza creatrice di Dio e soffia dove e quando vuole, che noi comprenderemo gradualmente il messaggio di Gesù. Senza il suo soccorso il credente e la comunità non potranno mai penetrare a fondo la parola di Gesù. Lo Spirito ha proprio questo compito, quello di farci da ‘memoria’, cioè di farci guardare indietro per cogliere a fondo il dono della salvezza e per capire l’amore di Gesù, ma anche quello di farci guardare avanti per avere speranza, per creare con Lui il Regno che viene. La memoria del passato, attraverso lo Spirito diventa, dunque, non un fermarsi alla storia antica, non uno sclerotizzarsi su riti e abitudini consolidate, ma invece fare in modo che il passato riviva nel presente e prepari il futuro.

Questa inabitazione di Dio nel nostro cuore, questo dono dello Spirito che ci permette di dare pieno senso al passato, al presente, al futuro della nostra vita, questa forza che ci permette di uscire dalla solitudine per imparare ad amare come Dio, porta con se anche un altro grande dono che Gesù ci promette, il dono della pace: "vi lascio la mia pace, vi dono la mia pace: Non come la dà il mondo la do io a voi…"La pace che Gesù ci lascia non è quella che a forza di compromessi o di diplomazie fa sì che non ci sia una guerra, ma nello stesso tempo ci sia chi comanda e chi deve abbassare il capo, non è neanche l’assenza del dolore e della sofferenza, non è neppure il sognare un amore che non abbia un prezzo da pagare. La Sua pace è una pace che tocca le radici profonde dell’uomo, che partendo da Dio che abita nel nostro cuore, guardando al modello Gesù, disinnesca l’aggressività e la cupidigia di ognuno, mette in piena evidenza il volto dell’amore, si alimenta di vera umiltà, di verità e di giustizia non fatta a misura degli uomini. La pace di Cristo è quella per cui, in mezzo alle prove, ma guidati dallo Spirito, lottando per un "mondo nuovo", ma secondo la volontà del Padre, ci si sente in pace con Lui, con noi stessi e con il nostro prossimo.

 

 

LUNEDI’ 21

S. VITTORIO; S. GIULIA; S. CARLO G. EUGENIO DE MAZENOD

Parola di Dio: Atti 16,11-15; Sal. 149; Gv.15,26-16,4

 

"VI HO DETTO QUESTE COSE PERCHE’, QUANDO GIUNGERA’ LA LORO ORA, RICORDIATE CHE VE NE HO PARLATO". (Gv. 16,4)

Gesù mette in guardia i suoi apostoli: sta per avvicinarsi il momento della prova, lo scandalo della Croce. Sarà per loro il momento più duro: accettare il Cristo Crocifisso, accettare di morire crocifissi con Lui.

Ma Gesù mette in guardia anche noi, infatti anche noi abbiamo e avremo, se davvero cristiani consapevoli come ci ricordavamo sabato, prove per testimoniare la nostra fede.

Gesù ci avvisa che metterci alla sua sequela non è viaggiare in mezzo agli onori, scegliere Lui significa accettare quanto a Lui è stato fatto. Gesù è stato non capito, osteggiato, messo in croce, ma nello stesso tempo è stato fedele alla volontà del Padre, ha trasformato la sofferenza in amore, ha vinto la morte con la risurrezione.

Il cristiano perseguitato, provato sa che sta percorrendo la stessa strada di Gesù, continua con amore e con fermezza a fare la volontà del Padre, offre, come Gesù, le prove per regalare testimonianza e salvezza, con Lui muore per portare molto frutto, con Lui risorge ogni giorno fino alla risurrezione finale.

Belle parole! Ma, ce la faremo?

Gesù ci ha promesso e mandato il Consolatore. Cioè, da soli non ce la facciamo a conoscere la verità, ad amare pienamente, a perdonare come Lui ha perdonato, ma con la forza dello Spirito di Gesù possiamo avvicinarci al vivere come ha vissuto Lui.

Gesù dà un bellissimo nome allo Spirito Santo, lo chiama: "Il Consolatore". Colui che consola non ci lascia soli, ci incoraggia, ci tira su di morale. L’uomo, davanti al mistero del creato si sente piccolo, solo; davanti al mistero di Dio che lo sovrasta è piccolo, davanti alla sofferenza, alla morte si sente solo e perduto. Gesù è venuto proprio per incontrare la nostra solitudine e incapacità da soli di "guardare in alto": Lui si è fatto solidale con noi. Ma Gesù è salito al cielo, noi non lo vediamo più con i nostri occhi, pur promettendoci di rimanere con noi fino alla fine dei tempi.

Il dono dello Spirito è allora Colui che ci consola, aiuta, rafforza nella presenza di Gesù. E’ lo Spirito che ci aiuta a riconoscere Gesù nei sacramenti, nei poveri, nella comunità. Lo Spirito che rende testimonianza a Gesù ci aiuta a trovare senso ai misteri della nostra vita, ci apre a Dio e ci ispira a vivere gli insegnamenti di Gesù senza paura davanti alla prova e alla persecuzione, logiche conseguenze della testimonianza.

 

 

MARTEDI’ 22

Santa RITA DA CASCIA; B. LUIGI M. PALAZZOLO

Parola di Dio: Atti 16,22-34; Sal. 137; Gv.16,5-11

 

"E’ BENE PER VOI CHE IO ME NE VADA, PERCHE’ SE NON ME NE VADO, NON VERRA’ A VOI IL CONSOLATORE". (Gv. 16,6)

Capisco benissimo lo stupore degli Apostoli davanti a questa frase di Gesù, infatti neppure io ne capisco tutto il significato: non sarebbe forse bello se Gesù, con il suo corpo fosse ancora presente in qualche parte della terra? Il fatto di poter sentire la sua Parola in diretta, il fatto oggi di poterlo vedere in mondovisione, il porter rivolgere a Lui direttamente le nostre domande… che sogno meraviglioso!

Eppure Gesù non se ne va "per lasciarci orfani", Lui, "sarà con noi fino alla fine del mondo", Colui che viene dopo di Lui, lo Spirito Santo, lo Spirito di amore del Padre e di Gesù è il nostro Consolatore, Colui che non ci lascia soli, Colui che ci ricorda e rinnova tutte le parole di Gesù.

Noi vorremmo poter consultare Gesù ‘in diretta’ e non ci accorgiamo di essere il tempio dello Spirito dove Gesù abita, noi vorremmo sentire la sua parola, ma nello Spirito possiamo leggere ed ascoltare sia la parola di Gesù che troviamo nelle Scritture che quella che ci parla direttamente attraverso la coscienza, gli altri e i fatti della vita.

Noi vorremmo poter toccare Gesù, andare magari una volta in vita a fare un pellegrinaggio alla dimora della sua abitazione, e non ci accorgiamo che Lui stesso è in continuo pellegrinaggio verso di noi, che possiamo non solo toccarlo ma riceverlo nel suo Corpo e rivivere la grazia della sua passione e risurrezione per noi.

Noi vorremmo sentire con le nostre orecchie le parole del suo perdono, per esserne sicuri, e non ci accorgiamo che queste parole, proprio per dono dello Spirito giungono a noi ogni volta che un povero prete, a nome suo le ripete, proprio per noi.

E’ vero che sarebbe bello se Gesù fosse ancora su questa terra come lo era con i suoi apostoli, in Palestina, ma è altrettanto vero che se accolgo il suo Spirito di amore, oggi posso incontrarlo personalmente tante volte, e non solo, io stesso posso, pur nei miei molti limiti, incarnare ancora la sua presenza nel mondo.

 

 

MERCOLEDI’ 23

S. GIOVANNI B. DE ROSSI;San DESIDERIO; Santa GIOVANNA

ANTIDA TH.

Parola di Dio: Atti 17,15-22 – 18,1; Sal. 148; Gv. 16,12-15

 

"MOLTE COSE HO ANCORA DA DIRVI MA PER IL MOMENTO NON SIETE IN GRADO DI PORTARNE IL PESO". (Gv. 16,12)

Gesù ci ricorda una cosa che noi spesso dimentichiamo: la fede è un cammino, è una via da seguire con gioia e con fatica ogni giorno, è un dono ma anche una conquista quotidiana, è un qualcosa che non puoi dire mai di possedere totalmente. Ci sono quotidianamente cose nuove da scoprire, da approfondire, da vivere. Con Dio succede un po’ come capita ad un fidanzato, a uno sposo, ad un amico nello sviluppo di una relazione di amore. Non subito si conosce profondamente l’altro ma se si ama ci sono aspetti sempre nuovi, gioiosi per approfondire l’amicizia. Devo rendermi conto che anch’io sono come gli Apostoli, sono ancora all’inizio di un cammino, non riesco a capire tutto. Gesù questo lo sa, non si spaventa delle mie gaffe e mi incoraggia anche davanti alle cadute. Accetto, o Signore, che Tu dica così anche a me. C’è una quantità di cose che io, ora, non posso capire ma che tu mi rivelerai poco per volta se sarò fedele ad ascoltare la voce dello Spirito che parla al mio cuore e che mi parla di Te, Gesù. Fa’ che io non mi consideri mai soddisfatto, pieno di me stesso e delle mie conoscenze dottrinali, fa’ che non mi senta mai un "arrivato della fede", uno che pensa di poter indicare la via agli altri quando invece è alla ricerca come tutti gli altri. Fa’, Signore, che io pensi anche a coloro con i quali vivo. Per essi è la stessa cosa. Anch’essi sono nel cammino della fede... ci sono delle verità, delle attitudini che anch’essi devono ancora scoprire. Dammi, Signore, la tua pazienza, la tua pedagogia. Che io non metta sulle spalle di altri, pesi che essi non possono portare... che io sappia camminare al ritmo della tua grazia, al ritmo dei tuoi passi, accompagnando i miei fratelli nel loro cammino.

 

 

GIOVEDI’ 24

MARIA AUSILIATRICE; San VINCENZO DI LERINO; S. AMALIA;

Parola di Dio: Atti 18,1-8; Sal. 97; Gv. 16,16-20

 

"VOI SARETE AFFLITTI, MA LA VOSTRA AFFLIZIONE SI’ CAMBIERA’ IN GIOIA". (Gv. 16,20)

Qui Gesù non soltanto vuol aiutare i suoi amici ad essere preparati alla sofferenza della sua passione e alla gioia della sua risurrezione, ma in fondo vuol descrivere in breve il percorso della vita di ognuno di noi.

Noi siamo fatti per la gioia e, in un modo o nell’altro, tutto il nostro pellegrinare sulla terra sta nel ricercarla. Non sempre, però la incontriamo, ed anche quando ci sembra di sperimentarla, magari in un affetto, in un momento sereno, ci accorgiamo subito della sua precarietà e di quanto sia facile vederla deturpare dal tempo, dal dolore, dalle prove. Altre volte facciamo l’esperienza opposta, quella di passare da un grande dolore, da una tristezza profonda, a qualcosa di estremamente gioioso, coinvolgente, appagante.

Se poi pensiamo a quanto Gesù ci ha insegnato, ci rendiamo conto di essere persone chiamate alla gioia e alla serenità ma che spesso si accorgono che nella vita c’è un prevalere immediato della fatica e della sofferenza, persone chiamate a partecipare alla festa della Pasqua di Gesù e nostra ma che contemporaneamente devono accettare il cammino della croce.

A questo punto l’insegnamento diventa ancora più importante: il dolore, la sofferenza, le prove attraverso cui siamo chiamati a passare non vanno vissute come un’iniquità contro di noi o come noncuranza di Dio nei nostri confronti o come fini a se stesse, ma quale intrinseco fardello da portare coraggiosamente, quale momento in cui morire per rinascere come il chicco di grano di cui ha parlato Gesù.

L’importante è sapere che tutto in Dio ha un senso, e che la prova è una soglia da superare per entrare nella gioia piena e definitiva.

Soprattutto è importante sapere che Cristo è sempre con noi: domani nella nostra gioia, anzi come causa della stessa, oggi come pellegrino e fratello che vive nella nostra stessa afflizione.

 

 

VENERDI’ 25

San BEDA; San GREGORIO VII°; Santa MARIA M. DE’ PAZZI

Parola di Dio: Atti18,9-18; Sal. 46; Gv. 16,20-23

 

"NESSUNO VI POTRA’ TOGLIERE LA VOSTRA GIOIA". (Gv. 16,22)

Ogni volta che leggo nella Bibbia la storia della creazione dell’uomo mi piace poter pensare che Dio, ‘impastando la polvere della terra’ ed ‘alitando su di essa’, vi abbia sorriso. Per me l’uomo è nato da un sorriso di Dio. E la gioia è quel sorriso di Dio che, nonostante tutto, ognuno di noi ha nel suo cuore.

Vivere la gioia è vivere il presente e trovare nelle piccole cose il conforto per essere quelle persone meravigliose ed uniche che siamo.

Vivere la gioia è capire che quanto accade, accade per il nostro bene e che tutto ci è donato per il nostro meglio.

Vivere la gioia è pensare grande, al di là delle piccole beghe e difficoltà quotidiane, dei desideri effimeri, delle necessità superflue.

Vivere la gioia è vedere bello, nonostante i nostri cattivi pensieri sugli altri e degli altri nei nostri confronti. E’ vedere bello, uscendo da un dolore che ci ha prostrati. Vincendo la debolezza che ci ha sfiniti. E’ vedere con gli occhi del cuore e dell’anima al di là di tutto quanto ci può disturbare.

Essere gioia è saper accettare anche senza capire, è l’abbandono e la fiducia in Qualcuno che provvederà a noi. Noi non potremmo vedere correttamente senza il Suo aiuto.

Essere gioia è vedere gli altri, oltre noi stessi, è saper cambiare noi stessi per cambiare e migliorare il mondo intorno a noi.

Essere gioia, in fondo, non è che riscoprire quello stesso sorriso di Dio sulla polvere che Lui aveva modellato, ed è capire che questo sorriso è ancora profondamente nel cuore di ciascuno di noi.

 

 

SABATO 26

San FILIPPO NERI

Parola di Dio: Atti 18,23-28; Sal. 46; Gv. 16,23-28

 

"CHIEDETE E OTTERRETE, PERCHE’ LA VOSTRA GIOIA SIA PIENA". (Gv. 16,24)

Ieri parlavamo di gioia, oggi Gesù ci dice che la preghiera può essere la fonte della gioia.

Una formula che veniva usata dai predicatori, qualche tempo fa, per spiegare la preghiera diceva: "Dio è Qualcuno a cui si parla, non Qualcuno di cui si parla", questo è vero, ma Dio è soprattutto Qualcuno che si lascia parlare, che si lascia entrare nella nostra vita, perché non viene a prendere nulla di nostro, ma viene a portare se stesso e quindi la gioia. Se è vero che non sempre tutte le cose che chiediamo ci vengono date, perché Dio vedendo più lontano di noi, sa ciò che è il nostro vero bene, è anche vero che se la preghiera è un rapportarci con Dio dovrebbe sempre, in ogni caso, essere un rinnovare la certezza che Dio ci ascolta, ci è vicino, ci è Padre. Se io, dunque, parlo con il Padre misericordioso, attraverso suo Figlio che mi ama fino a dare la sua vita per me, nello Spirito che è l’Amore che crea ogni cosa, non posso che essere contento, protetto, amato. Diceva una mistica, Marie Noel: "Mio Dio, a forza di mangiarti, di berti, di ripercorrere la tua parola, un giorno sarai il mio istinto". Se questo fosse una realtà per noi non potremmo essere che assolutamente felici. Quanto è lontano questo modo di vedere la preghiera, dal nostro abituale intendere quando diciamo: "devo pregare", "devo andare a Messa", quasi che la preghiera sia un obbligo oneroso da adempiere. Dio non è un dovere. Con un amico ci sto bene insieme. Non c’è vera preghiera cristiana se non quando Dio viene riconosciuto e invocato come un Tu, e per dirla continuando l’esempio di ieri: se questo Tu immenso sorride alla sua creatura, questa creatura può non essere nella gioia?

 

 

DOMENICA 27

ASCENSIONE DEL SIGNORE  -  San AGOSTINO DI CANTERBURY; San LIBERIO

Parola di Dio: At 1,1-11; Sal. 46; Eb 9,24-28;10,19-23 ; Lc 24,46-53

 

1^ Lettura (At 1, 1-11)

Dagli Atti degli Apostoli.

Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo. Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre "quella, disse, che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni". Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: "Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?". Ma egli rispose: "Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra". Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo".

 

2^ Lettura (Eb. 9, 24-28; 10, 19-23)

Dalla lettera agli Ebrei.

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, allo scopo di presentarsi ora al cospetto di Dio in nostro favore, e non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui. In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo. Ora invece una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione col peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza. Avendo dunque, fratelli, piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, per questa via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne; avendo noi un sacerdote grande sopra la casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso.

 

Vangelo (Lc. 24, 46-53)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto". Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

RIFLESSIONE

 

La festa dell’Ascensione di Gesù al cielo può suscitare in noi sentimenti diversi, da quello della gioia perché uno di noi, il Dio pienamente uomo, ha raggiunto il cielo, cioè il senso completo della vita, al sentimento della nostalgia di non avere più qui tra noi, in carne ed ossa, il Figlio di Dio incarnato. Proviamo allora, invocando su di noi il dono dello Spirito Santo che oggi Gesù promette agli apostoli, a chiederci che cosa l’ascensione significhi per Gesù, per gli Apostoli e per ciascuno di noi, oggi. Per Gesù "salire al cielo" non è andarsene abbandonando la terra, ma è portare a compimento la sua missione, è ricevere conferma dal Padre circa la bontà di quanto ha operato, è "sedere alla destra del Padre", nella ‘attesa del compimento definitivo, cioè del suo ritorno "per giudicare i vivi e i morti". Detto in altre parole: Gesù ha compiuto la volontà del Padre e ci ha amati fino a dare la sua vita per noi. Noi, avendo nel suo sangue la possibilità di essere perdonati, con Lui siamo chiamati a vivere pienamente la nostra avventura terrena, nella certezza che Cristo è andato "a prepararci un posto" nel grembo del Padre misericordioso. Gesù, lo abbiamo sentito "entra nella nube", quella stessa nube che lo aveva glorificato nel giorno della sua trasfigurazione e che oggi lo rapisce materialmente allo sguardo degli apostoli, ma che lo pone in una dimensione nuova e definitiva sia riguardo a Dio che riguardo a noi. E gli apostoli? Essi avevano fatto tanta fatica nella loro vita a riconoscere il vero volto di Gesù ma Egli, pazientemente, li aveva guidati fino a che essi erano arrivati alla fede il Lui, Figlio di Dio; poi avevano subito la prova della passione e morte di Gesù, nel dolore e nella delusione avevano sigillato con una pietra il suo corpo in quella tomba. La gioia era poi esplosa nel loro cuore quando lo avevano rivisto vivo, quando avevano, come Tommaso, potuto toccare i segni delle sue ferite, quando avevano mangiato con Lui, quando di nuovo avevano sentito le sue parole di incoraggiamento e di perdono, ed ora "restano a becco in su" a guardare quella nube gloriosa, ma misteriosa che ha tolto il suo corpo alla loro vista. Delusione? Paura? Certamente quando si accompagna una persona cara al treno o all’aeroporto e la si vede partire sapendo che forse per anni non la rivedremo più, nel cuore rimane la nostalgia, ma questi apostoli riescono, come ci riferisce san Luca, incoraggiati dagli angeli e dalle stesse parole di Gesù, ad essere gioiosi. Sanno che se Gesù se ne è andato verrà lo Spirito Santo di Gesù che li guiderà alla verità tutta intera. Sanno che se non vedranno più con i propri occhi il volto del Maestro Egli ha promesso in tanti modi di essere presente in mezzo a loro: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro"; "Qualunque cosa avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatta a me", " Io sono con voi per sempre", "Fate questo in memoria di me"… Essi hanno ricevuto da Lui un incarico, quello di essergli testimoni fino ai confini della terra: Gesù si è fidato di loro, nonostante le tante debolezze, i tradimenti, le incomprensioni ha chiesto loro di essere testimoni del suo amore, della sua passione e risurrezione perché gli uomini si convertano e sperimentino la gioia del perdono nella forza del suo Spirito. Ecco perché se gli apostoli, da una parte sono ancora timorosi per quanto potrà loro accadere, d’altra parte essi sono gioiosamente presenti ogni giorno alla preghiera di lode al tempio. E per noi, che cosa vuol dire l’Ascensione di Gesù? Non possiamo di certo fermarci a ipotetiche nostalgie: "Come sarebbe bello se Gesù fosse ancora in mezzo a noi con la sua presenza materiale! Come sarebbe bello poter andare da Lui ogni volta che abbiamo un problema concreto per sentire che cosa ne pensa, come ci indirizza, come ci incoraggia…" Noi viviamo l’ora della Chiesa. Noi vorremmo nasconderci dietro l’ombra di Dio ed è invece Dio che si nasconde dietro l’ombra dell’uomo: perché Cristo ci vuole adulti, Cristo ci vuole coraggiosi, Cristo ci vuole collaboratori. Ma come potremmo essere apostoli di Cristo? Come potremo annunciare la Buona Notizia? Solo seguendo il Maestro, cioè cercando di vivere come il Maestro. Noi saremo degni della chiamata di Gesù non tanto per quello che sapremo dire agli altri, ma per quello che saremo, che faremo nel suo nome. Questo Regno che Gesù ci ha affidato non è solo questione di parole, di predicazione, occorre essere in questo Regno, vivere i valori su cui questo Regno è fondato. Non basta predicare la povertà, fare trattati su di essa, occorre essere poveri. E’ troppo facile dire al mondo il desiderio della pace, bisogna essere uomini di pace; non posso accontentarmi di predicare la giustizia, devo essere giusto; non basta dire che Gesù ci ha insegnato a perdonare settanta volte sette, bisogna essere capaci di gesti concreto di perdono; non posso soltanto dire parole di speranza, ma devo vivere personalmente di speranza. Il mondo deve potere scoprire la presenza di Gesù nella nostra vita di cristiani. Diceva il cardinale Suenes: "Finché il cristiano è umanamente spiegabile, non meraviglia nessuno, non turba le regole di gioco né il conformismo dell’ambiente. Ma appena vive la sua fede comincia a diventare un problema: stupisce per gli interrogativi che fa sorgere intorno a sé" Sì, perché se noi, come gli apostoli, non dobbiamo fermarci a guardare il cielo dove Cristo è salito, siamo anche gli uomini che il cielo siamo chiamati a portare sulla terra. Il cristiano non è un alienato, uno che, dimentico della realtà della terra, finalizza tutto ad un futuro paradiso, è uno che valorizza la realtà del creato, del tempo che gli viene donato, degli incontri umani di cui ha possibilità per viverli in pienezza. E’ però uno che è consapevole che non tutto finisce qui, nella materialità. L’ascensione al cielo di Gesù è dunque anche un richiamo a guardare in alto, a guardare aldilà delle cose. Oggi spesso questo viene dimenticato. Rischiamo di pensare che tutto dipenda da noi, anche nell’apostolato, e che tutto finisca con la fine delle cose. Noi crediamo nel Dio che ci accompagna nella vita ma che verrà a portare a compimento. Noi crediamo che la morte non è l’ultima e definitiva parola della vita. Noi crediamo che il giudizio finale si sta già compiendo nelle scelte concrete di ogni giorno, quindi il nostro impegno di essere collaboratori di Gesù, la nostra povertà scelta con gioia e con amore, la nostra carità hanno senso come avvisi di eternità, come annuncio di un mondo nuovo. Ciascuno di noi, sicuro che Cristo non ci lascia soli, aperto al dono del suo Spirito rinnovatore, dovrebbe diventare per se stesso e per gli altri, presenza di Cristo, testimonianza concreta del suo amore e delle sue parole, valorizzazione dell’uomo in tutte le sue forme, annuncio concreto della dimensione di eternità che con Cristo è entrata nel nostro mondo e che ci chiama a camminare con i piedi ben fissi sulla terra ma con il cuore che troverà il suo compimento solo nell’eternità e in Dio stesso.

 

 

LUNEDI’ 28

Sant’EMILIO; San GERMANO; San BERNARDO DI MENTONE

Parola di Dio: Atti 19,1-8; Sal.67; Gv. 16,29-33

 

"DISSE GESU’: VOI AVRETE TRIBOLAZIONE NEL MONDO, MA ABBIATE FIDUCIA, IO HO VINTO IL MONDO ". (Gv. 16,33)

Qualcuno pensa che, una volta abbracciata la fede in Gesù, tutto diventi sicurezza, tutto abbia risposta. Non è così: la fede non esime dalle difficoltà, dai dubbi, dalle prove. Qualcun altro pensa invece che la fede sia solo una conquista umana: tutto dipende da me, dalla mia volontà, dalle mie opere e allora si rischia di dimenticare che "senza di Lui non possiamo niente".

Gesù, molto concretamente, ci mette davanti alla realtà: scegliere Lui, lasciarci illuminare dalla sua parola significa seguirlo. E la sua strada passa attraverso la croce, la prova, l’abbandono dei discepoli e l’apparente abbandono di Dio, ma porta anche alla risurrezione. Quindi, essere cristiani, significa essere odiati da quel mondo che non ha accettato il Cristo, significa incontrare il dubbio delle scelte, non è vivere fin d’ora nella visione beata, ma è camminare nella dura realtà quotidiana con l’unica certezza che è quella che Gesù ha già vinto il mondo.

Questa è la grande notizia che deve risuonare nel nostro cuore, sulle nostre labbra, per le strade che percorriamo ogni giorno.

Sì, il Signore ha vinto il mondo; quel mondo che non l’ha accolto, che non l’ha amato, che lo ha crocifisso. Sì, il Signore Gesù ha vinto il mondo, la luce ha vinto le tenebre, l’amore ha vinto l’egoismo, la vita ha vinto la morte.

"Io ho vinto il mondo... perché il Padre è con me": la comunione ha vinto la divisione, ha spezzato le barriere dell’odio e della discordia.

Allora noi possiamo vivere riconciliati; noi siamo in pace, nella pace di Dio; noi possiamo avere fiducia in Dio. E quando le tenebre sembrano avvolgerci, e la tristezza e la sfiducia entrano in noi, e la nostra fede vacilla, e magari stentiamo a riconoscere il volto di Dio e la sua presenza tra noi, quando il mondo sembra più forte di Dio, ecco, in quest’ora dobbiamo guardare a Colui che hanno crocifisso! Egli sembra solo, sconfitto; eppure Lui, Lui solo ha vinto il mondo. Non abbiamo certezze, non possiamo confidare sulle nostre forze; il nostro amore è fragile, la nostra fede è debole; ma la nostra pace e la nostra fiducia sono in Lui.

 

 

MARTEDI’ 29

San MASSIMO DI VERONA; B. URSULA LEDOCHOWSKA

Parola di Dio: Atti 20,17-27; Sal. 67; Gv. 17,1-11

 

"DISSE GESU’: IO TI PREGO PER COLORO CHE MI HAI DATO, PERCHE’ SONO TUOI". (Gv. 17,9)

Nel Vangelo di Giovanni, alla fine dei discorsi di addio che hanno riempito l’Ultima Cena, troviamo che Gesù sente il desiderio di pregare. Egli ha bisogno di essere in piena comunione con il Padre per poter aderire totalmente alla sua volontà, ha bisogno di tutta la forza dello Spirito di Amore per poterci amare fino in fondo donando la sua vita per noi in mezzo alle sofferenze della passione e della croce. Ma ci tocca particolarmente questa preghiera di Gesù perché, in un momento così estremo della sua vita, Lui non si ferma a chiedere aiuto per se stesso, ma ha nel cuore principalmente noi. Ci sente come dono del Padre, valiamo il suo sangue prezioso versato per noi, quindi Gesù prega il Padre per noi. Proprio nel momento della sua passione Gesù pensava a me! Anche oggi, glorificato nel suo cielo, Gesù pensa a me, parla al Padre di me!

La Chiesa, consapevole di questo dono, ci fa terminare ogni preghiera liturgica con la frase "Per Cristo nostro Signore" perché "senza di Lui non possiamo nulla". La Messa, poi, è la grande preghiera che ogni giorno Gesù fa per noi: ripresenta al Padre il suo sacrificio perché esso ci ottenga misericordia. E’ veramente bello sentire questa comunione di preghiera in quanto noi spesso balbettiamo, non sappiamo che cosa chiedere, Lui invece conosce quello che è bene per noi. Noi non sappiamo lodare, Lui è la lode perenne, noi offriamo le nostre miserie, Lui offre se stesso, noi stentiamo ad esprimere il nostro grazie, Lui è il grazie perenne della nostra umanità a Dio. Quando io prego entro nel cuore di Gesù ed è Lui che prega con me e per me.

 

 

MERCOLEDI’ 30

Santa GIOVANNA D’ARCO; S. FELICE I; S. FERDINANDO III

Parola di Dio: Atti 20,28-38; Sal 67; Gv. 17,11-19

 

"PADRE SANTO, CUSTODISCI NEL TUO NOME COLORO CHE MI HAI DATO, PERCHE’ SIANO UNA COSA SOLA COME NOI". (Gv. 17,11)

La cosa principale che Gesù ha chiesto nella sua preghiera per noi, proprio prima della sua passione, è che il Padre ci custodisca nell’unità. Per Gesù è estremamente importante che i suoi amici siano uniti. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono talmente uniti da essere Uno, i credenti uniti al Padre nel Figlio e nell’amore dello Spirito devono essere uno con Lui.

Come mai, allora, ci sono tante divisioni nella Chiesa? Come mai, credenti nello stesso Cristo, in suo nome si fanno la guerra? Come mai nelle nostre comunità cristiane non riusciamo ad andare d’accordo e ci dividiamo in gruppi a volte opposti? La risposta è evidente: purché non abbiamo ancora fatto unità fino in fondo con Gesù. Se Gesù è morto per tutti e per ciascuno perché io penso che Gesù sia solo dalla mia parte? Se ho capito che il cristiano è uno che, come Gesù, è a servizio degli altri perché la Chiesa è spesso ancora dominata dal potere, dalle diplomazie, dagli onori? Certo, le differenze ci sono sia nei caratteri, sia nei doni ricevuti. Gesù non chiede l’uniformità, il perdere la propria personalità, Lui ci ha parlato di doni diversi ma queste differenze non dovrebbero, anziché dividerci, concorrere a costruire il corpo di Cristo in una varietà e ricchezza di elementi? L’unica cosa con cui il credente non potrà e non dovrà mai fare unità è il mondo. Capiamoci bene, non il mondo delle cose buone che Dio ha creato e messo a disposizione di tutti gli uomini, ma il mondo di ciò che si oppone a Dio. Per questo mondo Gesù dice addirittura di non pregare e chiede a noi di non lasciarci contaminare. Non possiamo far nulla per chi, con l’uso della propria libertà, si chiude volontariamente alla grazia, ma possiamo invece far molto, appoggiandoci gli uni sugli altri e tutti su Gesù per far crescere la nostra fede. Trovo molto confortante sapere che nella Chiesa ci sono tanti uomini e tante donne che come me fanno fatica nel cammino della fede, della carità, del perdono; mi aiuta pensare che là dove non arriva la mia preghiera, arriva la preghiera di altri, che anche la mia povera preghiera e la mia povera fede possono essere di sostegno e di aiuto per qualcuno; ed anche i limiti, i peccati presenti nella comunità cristiana, se pur mi dispiacciono, mi dicono la precarietà del cammino e soprattutto mi indicano l’immensa misericordia del Signore.

 

 

GIOVEDI’ 31

VISITAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA; S. SILVINO DA TOLOSA

Parola di Dio: Sof. 3,14-18; (Rom 12,9-16); Cant. Ct.2,8.10-14; Lc. 1,39-56

 

"MARIA SI’ MISE IN VIAGGIO VERSO LA MONTAGNA E RAGGIUNSE IN FRETTA UNA CITTA’ DI GIUDA". (Lc. 1,39)

In quest’evento mi piace sottolineare tre elementi particolarmente attuali: il cammino, l’incontro, lo scambio dei beni.

IL CAMMINO. Mettersi sulla strada, in fretta, esige la capacità di decidere dove si vuole andare, di affrontare il rischio e l’incognita di un viaggio, di accettare l’inevitabile fatica e i disagi che sono legati alla strada.Il Vangelo dice solo che Maria si è messa in viaggio, in fretta. Non ha fatto troppi calcoli, non ha pensato alle possibili fatiche, ha pensato ad Elisabetta, vecchia e bisognosa di cure. Allora il cammino di Maria verso la cugina è il segno di tutti i passi silenziosi che si fanno per far sì che la gioia dell’altro sia piena, che l’armonia possa essere ritrovata, che l’incontro possa diventare possibile.

L’INCONTRO. Un momento breve e intenso. Due donne si guardano e si salutano intuendo l’una nell’altra il mistero di Dio. E’ un incontro così profondo che non ha bisogno di convenevoli: è il riconoscimento immediato della verità più intima, è rispetto adorante e lode.Le parole di quest’incontro sono lo sforzo per rileggere le grandi cose di Dio operate lungo la storia d’Israele, una fedeltà cui Dio non viene meno e in cui la Vergine si sente inserita.L’incontro di queste due donne diventa il segno di quell’accoglienza incondizionata di cui dovremmo essere capaci: un incontro che restituisce a ciascuno il proprio volto più vero. La fretta si è dissolta, c’è solo il quieto accogliere e gioire. Per noi, che a volte abbiamo smarrito il senso della relazione umana, che c’incontriamo e ascoltiamo in maniera distratta, quest’incontro è il richiamo a ciò che più conta per la qualità della vita. Dite se non è vero che abbiamo tutti una gran nostalgia di qualcuno che ci capisca, senza molte parole. E, allora, l’unica strada è… mettersi in viaggio verso l’altro per creare le condizioni dell’incontro. E’ così che si ritesse la trama della storia degli uomini.

LO SCAMBIO. Il Vangelo sottolinea bene che Maria prende l’iniziativa e va. Che Elisabetta riconosce. Che Maria loda e rimane presso di lei. E’ un incontro di comunicazione che unisce i due momenti del dare e del ricevere.La ricchezza delle differenze (d’età, di cultura, di sesso…) è davvero tale solo se, accettando il rischio dell’incontro, si mettono in comune le proprie risorse. Non c’è nessuno che sia così povero che non possa donare qualcosa, anche solo un grazie. Non c’è nessuno così ricco che non abbia bisogno di qualcuno.Lo scambio è un gesto in cui si riconosce che ciascuno ha un dono e non lo tiene per sé soltanto, non lo nasconde, lo mette in comune per moltiplicare la gioia e per raccontare nei secoli che la vita è sempre frutto di un dono accolto e di un’accoglienza donata per amore.

     
     
 

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