SCHEGGE E SCINTILLE
PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI
DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA
a cura di don Franco LOCCI
APRILE 2001
DOMENICA 1
5^ Domenica di Quaresima anno C
Sant’ Ugo di Grenoble; San Celso; Sant’Irene
Parola di Dio: Is. 43, 16-21; Sal. 125; Fil. 3,8-14; Gv .8,1-11
1^ Lettura (Is. 43, 16-21)
Dal libro di profeta Isaia.
Così dice il Signore che offrì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi insieme; essi giacciono morti: mai più si rialzeranno; si spensero come un lucignolo, sono estinti. Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi.
2^ Lettura (Fil. 3, 8-14)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi.
Fratelli, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.
Vangelo (Gv .8, 1-11)
Dal vangelo secondo Giovanni.
In quel tempo, Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". Ed essa rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse: "Neanche io ti condanno; va’ e d'ora in poi non peccare più".
RIFLESSIONE
"Neanche io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più". Parole meravigliose quelle che Gesù rivolge all’adultera, ma parole che vanno capite bene per non correre il rischio, come spesso succede, di far dire a Gesù ciò che noi vorremmo Egli avesse detto.
Nel mondo odierno ci sono due modi diametralmente opposti (anche se con tutte le varianti possibili), di mettersi davanti al problema morale. Ci sono coloro che vedono il male (soprattutto quello degli altri) dappertutto. Il male e il peccato sono codificati, vivisezionati, analizzati nei più piccoli particolari. C’è sempre un giudice pronto a condannare. A sentire certi predicatori e anche certi confessori si ha l’impressione di trovarsi davanti a cacciatori specializzati a cercare peccati, a stanarli in ogni dove, anche là dove la semplicità e la purezza non hanno mai visto il male. Ci sono persone che vorrebbero avere codici dettagliati di peccati per sapere fino a dove possono spingersi. E ci sono persone talmente introverse che amano convivere con sensi di colpa che poi, poco per volta, aprono al baratro dei problemi psichici e che non ti lasciano più vivere. Questa visione proietta anche un determinato volto di Dio: un Dio più preoccupato di stanare e giudicare ogni peccato piuttosto di un Padre preoccupato amorevolmente dei suoi figli. C’è invece un altro modo di mettersi davanti alla morale. Il peccato, il male ci danno fastidio? I sensi di colpa ci disturbano? Eliminiamo il peccato, ed abbiamo risolto tutto! E’ una mentalità che troviamo ovunque: giornali, televisioni, educatori, pensatori. Nel nome di una presunta libertà, tutto è permesso. Per non creare traumi ai bambini non diciamo loro ciò che è bene e che è male. Non affliggiamoci con sensi di colpa, rovinano la salute e non hanno motivo di esistere perché la colpa non esiste. E Dio? Per qualcuno diventa inutile: non c’è peccato, quindi non c’è bisogno di Dio che lo perdoni. Per altri, Dio ha ben altre cose cui interessarsi che non i peccati degli uomini. Per altri, Dio è un "buon uomo" che perdona tutto... il diavolo non esiste, il purgatorio e l’inferno sono fantasie dei preti... se proprio ci fosse qualche peccato, Dio è misericordia! Il racconto del Vangelo di oggi ci illumina: i "ricercatori di peccati" hanno scoperto un’adultera. La visione legalistica non permette loro di pensare a lei come ad una donna che ha una sua storia, una sua vita, suoi sentimenti: no, essa ormai non è che carne da macello. La donna non esiste più, esiste il peccato.
Tra l’altro notate l’ipocrisia: la donna era stata sorpresa in "flagrante adulterio", quindi avevano pescato anche l’uomo che era con lei, ma lui non viene accusato: la colpa e la pena la pagano solo i più deboli!
L’ipocrisia, poi, va ancora più avanti: questa donna, ormai condannata, può servire per far condannare Gesù: se Lui accetta la lapidazione, tutto il suo messaggio di amore, di perdono viene inficiato; se Lui perdona, va chiaramente contro la legge di Mosè, quindi si apre la possibilità di far condannare anche Lui.
Gesù tace. Il suo silenzio vuol far sì che tutta la rabbia, il livore, l’ipocrisia vengano a galla.A questo punto può dire la frase che spiazza tutti: "Chi è senza peccato, scagli la prima pietra".
Dunque Gesù non elimina il peccato, anzi Gesù gioca proprio la carta del peccato con questi accaniti ricercatori di peccatori. E questi se ne vanno e le pietre cadono non tirate, ma ai piedi di questi uomini.
Poi c’è il fatto dello sguardo di Gesù alla donna.
Finalmente uno sguardo non di concupiscenza, non di condanna, uno sguardo che va al cuore, che la considera persona e non solo peccatrice da eliminare perché non contamini i puri.
E poi, quel dialogo con un monosillabo di risposta e la frase liberante: "Neanche io ti condanno. Va e d’ora in poi non peccare più".
Gesù è venuto per dirci concretamente la misericordia del Padre.
Il male c’è. L’adulterio è peccato, ma al di sopra del peccato c’è Dio che vede il peccatore. Il peccato lo offende e offende noi, non rientra nel suo programma, crea altro male, fa male alla persona e agli altri, ma Lui guarda alla persona.
Gesù è stato mandato ed è venuto proprio per recuperare i lontani, i peccatori, Il male non è più forte di Dio. Lui può e vuole perdonarlo. Perché questo avvenga, ci vuole la sua misericordia ma occorre che questa misericordia sia accettata, gustata, dimostrata attraverso un cambiamento di vita.
Dio non dice: "non ho visto il peccato" e neppure: "il peccato non esiste" ma: "lo perdono il tuo peccato".
Ugualmente, Dio non ci dice: "facciamo finta che il peccato non ci sia" ma proprio grazie al peccato perdonato "ci sia in te la riconoscenza per questo perdono e proprio su questa riconoscenza sì fondi il tuo cammino di distacco da lui".
Ecco, allora, anche come il cristiano può affrontare i sensi di colpa.
Non sono più solo fonti di introspezione personale.
Il senso di colpa e soprattutto il perdono ricevuto sono la pedana di lancio per una gioiosa ripresa, per un distacco dal male, per una rinnovata coscienza che a sua volta non solo non giudica più insindacabilmente il prossimo ma che gradualmente, gioiosamente diventa capace, a sua volta, di misericordia e di perdono.
LUNEDI’ 2
San Francesco da Paola; S. Maria Egiziaca; Sant’Abbondio
Parola di Dio: Dn. 13,1-9.15-17.19-30.33-62; Sal. 22; Gv. 8,12-20
"VOI NON CONOSCETE NE’ ME NE’ IL PADRE; SE CONOSCESTE ME, CONOSCERESTE ANCHE IL PADRE MIO". (Gv. 8,19)
Più ancora che negli altri Vangeli, in quello di Giovanni noi vediamo i discorsi di Gesù non capiti. Se non ci stupiamo di questo perché Gesù era davvero una novità difficilmente compatibile con la mentalità religiosa dei suoi contemporanei, riusciamo però a capire che accettare Gesù non è semplicemente incasellarlo negli schemi di una religione artefatta oppure ridurlo alla logica del razionale, è davvero accettare che il soprannaturale faccia irruzione nel nostro mondo, ci coinvolga, cambi il nostro modo vedere vita e valori.
Non è così immediato neanche per noi che veniamo dopo tanti secoli di cristianesimo accettare di colpo le autorivelazioni di Gesù quando ci dice: "Io sono il pane di vita, chi mangia questo pane vivrà in eterno", "Io sono il buon pastore", "Io sono la porta delle pecore", "Io sono la risurrezione e la vita", "Io sono la via, la verità e la vita", "Chi vede me, vede il Padre" eppure è solo dopo che il nostro cuore ha accolto Cristo nella sua interezza che le sue parole possono operare in noi. Credo che questo sia il nostro cammino continuo nella fede: non tanto spiegarci tutto, razionalizzare tutto, ma fidarci di Gesù anche in quello che non riusciamo a comprendere, in quello che i fatti duri della vita e le sofferenze sembrano ogni giorno cozzare con la bontà divina. Gesù, pur rispettando la nostra natura razionale, ci chiede qualcosa di più, ci chiede di incontrarlo e di accettarlo così come Egli è: Rivelazione e Mistero. Quando avremo ogni giorno fatto questo passo allora il volto del Figlio comincerà a risplendere quello del Padre e lo Spirito Santo che già dimora in noi potrà operare anche in noi e attraverso di noi le sue meraviglie.
MARTEDI’ 3
San Riccardo; San Gandolfo
Parola di Dio: Nm. 21,4-9; Sal. 101; Gv. 8,21-30
"QUANDO AVRETE INNALZATO IL FIGLIO DELL’UOMO ALLORA SAPRETE CHE IO SONO". (Gv. 8,28)
Penso che ciascuno di noi, in tante occasioni della vita si sia trovato a tu per tu con quel grande libro di vita, di dolore, di amore che è il crocifisso.
Non mi importa che sia un "bel crocifisso" anzi, so che non possono esserci dei "bei crocifissi", non mi importa neanche tanto che la rappresentazione scenica sia secondo lo stile tradizionale o secondo quello dell’uomo della Sindone, mi importa inginocchiarmi davanti a quel segno per andare oltre al segno e leggervi un po’ la storia mia, del mondo, di Dio. In Lui ci sono domande, dubbi, risposte, mistero. Davanti a Lui alcuni ‘perché’ sembrano dissolversi, altri diventano ancora più grandi. Vedo il mistero della cattiveria umana che per amore di una supposta giustizia arriva ad uccidere in modo atroce, trovando poi ancora motivi per giustificarsi con termini come : "pena esemplare", "deterrente contro la cattiveria". In Lui vedo l’assurdo di un certo tipo di religiosità che per salvaguardare il proprio potere e la propria tranquillità, nel nome della Verità, inchioda alla croce il proprio Dio. In Lui vedo e rivivo tutte le ingiustizie compiute sulla terra: gli uomini torturati perché non erano di quella determinata razza, i ‘desaperesidos’ buttati giù a centinaia dagli aerei dei generali dell’Argentina, i bambini e le bambine usati e violentati da ricchi turisti che vanno in certi paesi proprio per "soddisfarsi" in questi modi, vedo coloro che sono inchiodati da anni su carrozzelle o in letto di ospedale, vedo la pelle tesa e lucida del cranio di quell’uomo che muore consumato dall’AIDS. Sento l’urlo del condannato innocente, del povero angariato, della donna umiliata, sento l’odore della paura dell’uomo davanti alla morte, vedo la povertà delle piaghe aperte infestate dalle mosche di chi non ha da curarsi perché le case farmaceutiche che hanno il brevetto su quel medicinale non lo fabbricano in quel paese d’Asia perché dovrebbero venderlo a una cifra irrisoria. In quel cuore aperto vedo il cuore ferito di tanti uomini e donne tradite nei loro affetti, private della speranza del domani. In quei piedi impediti a camminare vedo gli uomini impediti nell’affermare le proprie idee, in quelle mani inchiodate le mani di tanti uomini che non possono o non sanno dare una carezza. Ma vedo anche il mistero di un Dio che ha dato tutto. Il Dio immenso che è Povero, la Giustizia che subisce l’Ingiustizia, la Verità che è inchiodata. Vedo anche il dolore che diventa amore. Vedo l’amico che soffre e che offre. Vedo Gesù, il Figlio di Dio che mi ama fino a sacrificare la sua vita per me e per noi… e il più delle volte allora taccio e vorrei essere capace di farmi piccolo, di scendere dai ragionamenti, dalle parole, per palpitare insieme a quel cuore aperto, cuore di un uomo che fisicamente sta morendo, ma che continua a battere sempre più forte al ritmo dell’amore totale che è vita donata.
MERCOLEDI’ 4
Sant’Isidoro
Parola di Dio: Dn. 3,14-20.46-50.91-92.95; cant. Dn 3,52-56; Gv. 8,31-42
"VOI CERCATE DI UCCIDERMI PERCHE’ LA MIA PAROLA NON TROVA POSTO IN VOI". (Gv. 8,37)
Noi siamo spesso alla ricerca di definizioni che ci chiariscano concetti difficili. Se vogliamo, una delle definizioni più complete di peccato la troviamo proprio nelle parole di Gesù che meditiamo oggi. Il peccato è non accogliere Gesù con la sua Parola anzi, cercare di ucciderlo, di estirparlo in noi, di non lasciare che lui porti a noi i frutti del suo amore e di quello del Padre.
Quando ero bambino e sentivo dire che il peccato uccideva Gesù, mi ribellavo e dicevo: "Ma io non voglio mica male a Gesù anche quando commetto un peccato! Io non uccido nessuno!" Forse è vero, ma per uccidere Gesù non occorre prendere chiodi e martello e riappenderlo ad una croce finché morte non giunga, Gesù lo si uccide primariamente con l’incomprensione e l’ingratitudine quando ci si chiude a Lui per far posto a tante altre cose nella nostra vita, quando si cerca di tacitare la voce della coscienza, quando si considerano le sue parole alla stregua delle parole di chiunque altro, parole da vagliare, da giudicare, da scegliere; quando continuiamo a considerare Dio e il suo Messia secondo gli schemi delle religioni e non più secondo il cuore della fede.
Ho ucciso ed ho visto uccidere Gesù in tanti modi, anche a fuoco lento, quando giorno dopo giorno rifiutiamo i suoi inviti a seguirlo, ad amare, quando gli diciamo: "Oggi non ho tempo per quel malato, oggi non ho tempo per la preghiera.. domani vedrò che cosa posso fare". E dagli oggi, dagli domani, Gesù, la sua Parola, la sua Grazia diventano sempre più lontani. Lui continua a bussare alla nostra porta, ma noi ci siamo messi le cuffie in testa, ci spariamo addosso a pieni decibel la musica delle nostre azioni, della nostra ricerca di piacere, o le ansie delle nostre preoccupazioni che vogliamo risolvere da soli.
Gesù lo si uccide anche riducendo la sua persona e le sue parole a tal punto da renderle inefficaci in noi, ad esempio quando Gesù, la religione, la fede sono diventate solo più argomento di discussione, ma alla fine di queste non cambia assolutamente niente dentro di noi.
Si uccide Gesù ogni volta che togliamo speranza all’uomo, che non condividiamo i beni della terra, ogni volta che ci chiudiamo nel nostro benessere considerandolo una cosa valida unicamente per noi.
Davvero, per tornare alla parola da cui siamo partiti in questa riflessione, è il caso di dire "Peccato!". C’era un Dio che offriva amore, misericordia, speranza, possibilità di vita migliore sulla terra, dono di vita eterna, e noi ci siamo persi questa occasione, anzi abbiamo ucciso Lui e tutti i suoi doni!
GIOVEDI’ 5
San Vincenzo Ferrer; B. Eva
Parola di Dio: Gn. 17,3-9; Sal.104; Gv. 8,51-59
"IN VERITA’ VI DICO: PRIMA CHE ABRAMO FOSSE, IO SONO". (Gv. 8,59)
Gesù, davanti all’incredulità dei Giudei, non solo afferma di aver ‘conosciuto Dio’ e in Dio anche Abramo, ma dice che anche Abramo ha conosciuto Lui.
I Giudei ragionando terra a terra gli dicono: "Non hai ancora quarant’anni e dici di aver conosciuto Abramo vissuto centinaia di anni prima?". Gesù allora si definisce con lo stesso termine con cui Dio stesso si è definito: "Io Sono". I Giudei capiscono subito che cosa vuol dire Gesù, infatti lo accuseranno di bestemmia e per questa vorranno lapidarlo. Mi chiedo se quasi dopo 2000 anni da questo fatto, noi che ci diciamo cristiani crediamo davvero alla divinità di Gesù.
Ci sono tantissimi cristiani che di Gesù ne sanno poco. Molti non hanno letto neanche una volta in vita loro i quattro Vangeli. Altri conoscono Gesù per le varie rappresentazioni televisive, cinematografiche, per le frasi di vangelo usate più o meno validamente nel parlare comune, altri hanno una conoscenza superficiale di Lui al punto da ridurlo ad una specie di pronto intervento di Dio in casi di necessità, altri pongono Gesù sullo stesso piano di grandi uomini della storia, qualcuno lo considera profeta… Gesù dice chiaramente di essere: "Io Sono", cioè di essere Dio: un Dio fatto uomo per amore, un Dio che conosce molto bene la nostra realtà non solo perché conosce tutto, ma perché ha sperimentato nella carne la nostra grandezza e la nostra miseria, la gioia e la sofferenza che ciascuno di noi prova nel cammino della vita. In Lui davvero, la nostra umanità è esaltata e trasfigurata e la divinità diventa accessibile, toccabile, partecipata ad ognuno di noi.
Se Gesù è solamente un uomo, un grand’uomo, la nostra umanità non ha ancora avuto accesso alla divinità, noi saremmo figli di Dio solo perché ci arrogheremmo tale titolo, Dio sarebbe ancora il terribile inconoscibile… Credere a Gesù Figlio di Dio, incarnato, morto e risorto, fratello nostro, significa essere entrati con Lui nell’intimità di Dio, significa aver scoperto che Lui è Amore, significa scoprire la gratitudine di fronte alla sua misericordia che ci salva, significa poter dar senso e trasfigurare tutta la nostra vita anche nei minimi particolari, significa riuscire perfino a dar senso alla sofferenza e alla morte. Se la pensassimo così non solo non accumuleremmo pietre contro Gesù che si fa Dio, ma ritroveremmo la gioia piena nel seguirlo.
VENERDI’ 6
Santa Giuliana di Cornillon;
Parola di Dio: Ger. 20,10-13; Sal.17; Gv. 10,31-42
"IN QUEL TEMPO I GIUDEI PORTARONO PIETRE PER LAPIDARE GESU’". (Gv. 10,31)
Dio, creando l’uomo, ha voluto il suo bene. E con il peccato l’uomo gli ha mostrato tutta la sua ingratitudine. Più volte Dio avrebbe potuto dire: "Adesso basta!", ma Lui che "è benevolo verso gli ingrati", ha continuato in mille modi diversi a tendergli la mano e "nella pienezza dei tempi" ha mandato Gesù, suo Figlio, per dirci il suo immenso amore. Gesù è passato in mezzo agli uomini "facendo bene ogni cosa", guarendo dalle malattie, portando il perdono, annunciando un Regno di pace e di giustizia, promuovendo l’uomo, soprattutto il povero, ma ha scomodato i potenti, ha fatto fremere gli uomini dell’ordine costituito e della religione ufficiale e allora accumulare pietre contro di Lui, per tirargliele è il modo più semplice per risolvere la questione. Il Messia non è secondo le nostre aspettative? Questo Dio ci scomoda un po’ troppo, scalza il nostro potere religioso ben congegnato, messo su in tanti anni? Facciamolo fuori! E le pietre possono essere di tante dimensioni, non solo quelle che uccidono fisicamente, ma anche le parole, l’ironia, il distruggere la reputazione dell’altro, l’isolare, lo svilire ogni suo operato… Quante volte anche noi abbiamo fatto questa esperienza e abbiamo gridato: "Ho cercato di fare il bene, mi sono fatto in quattro per quella persona, ho difeso quell’altro ma tutto si è rivolto contro di me…" E qualche volta l’amarezza ci ha fatto concludere: "Ma allora è meglio farsi gli affari propri!" Gesù non fa così. Sa benissimo che la Verità non piace a chi ha tante cose da nascondere, che la Giustizia non va d’accordo con chi agisce con una giustizia che si è costruito da solo, che il bello è facilmente deturpabile da parte di chi ha il marcio nel cuore. Eppure il Bello, il Giusto, il Vero sono Dio stesso a cui essere fedele e sono l’essenza della vita dei suoi fratelli, gli uomini e nonostante le pietre accumulate contro di Lui, continua a voler bene. Anche oggi, un segno per capire se stiamo operando per il bene può essere il numero di pietre che si stanno accumulando o scagliando contro noi. Gesù ci ha chiaramente avvertito: "Se hanno fatto così al legno verde che cosa non faranno al legno secco?". Attenzione però a non essere anche noi accumulatori di pietre o peggio, persone che scagliano sassi contro gli altri: innanzitutto le pietre che vanno in alto potrebbero proprio caderci in testa e poi, qualche pietra magari toglierebbe di mezzo un presunto nemico, magari ci farebbe avere un po’ di gloria, ma sarebbe sempre una pietra lanciata contro Cristo e uccidere Gesù, il fratello, il Vero, il Bello, il Giusto significa condannarsi a vivere senza Dio e senza senso.
SABATO 7
San Giovanni Battista de la Salle; S. Ermanno
Parola di Dio: Ez. 37,21-28; Cant. Ger. 31,10-13; Gv. 11,45-56
"CONSIDERATE COME SIA MEGLIO CHE MUOIA UN SOLO UOMO PER IL POPOLO E NON PERISCA LA NAZIONE INTERA". (Gv. 11,50)
Gesù aveva fatto risorgere Lazzaro, ma il gesto di richiamare in vita un morto era destinato a portare lui stesso alla morte. Il pensiero di Caifa può sembrare, a prima vista, il ragionamento di un consumato politico: Gesù ha molto seguito. Se il suo diventasse un movimento di insurrezione contro l’oppressione dei romani, essi non esiterebbero a fare un bagno di sangue, dunque è meglio estirpare la radice, cioè Gesù. Ma pur non sapendolo, il Sommo sacerdote dice la teologia della Redenzione: Gesù muore per noi. Noi da soli non potevamo salvarci, il nostro peccato ci aveva escluso dal rapporto con Dio; Gesù, Agnello innocente, offre Se stesso per noi, con la sua morte crocifigge il peccato, dalla sua morte noi acquistiamo la nuova libertà, il suo sangue ci redime. La nostra quaresima è al termine: siamo pronti a celebrare la Pasqua del Signore? Abbiamo capito che essere cristiani ha un prezzo? Abbiamo rinnovato le nostre scelte battesimali? Abbiamo fatto diventare realtà nella nostra vita, il motto che apriva questi quaranta giorni: Convertitevi e credete al Vangelo? Coraggio, è l’ultima occasione per una conversione profonda di fede e di vita. E questo desiderio di cambiare per essere simili a Lui ci porti a rivivere i misteri della grande settimana di Gesù e contemplando la sua passione, morte, risurrezione faccia scaturire in noi il senso di ringraziamento e di riconoscenza per Colui che per amore ci ha dato la sua vita.
DOMENICA 8
Domenica delle Palme anno C
San Dionigi; San Gualtiero (Walter)
Parola di Dio: Is. 50,4-7; Sal. 21; Fil 2,6-11; Lc. 22,14-23,56
1^ Lettura (Is 50, 4-7)
Dal libro del profeta Isaia.
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati. Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso.
2^ Lettura (Fil 2, 6-11)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi.
Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
Vangelo (Lc. 22, 14 - 23, 56)
Dal vangelo secondo Luca.
Quando fu l'ora, Gesù prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio". E preso un calice, rese grazie e disse: "Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio". Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi". "Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell'uomo dal quale è tradito!". Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò. Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande. Egli disse: "I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele. Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli". E Pietro gli disse: "Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte". Gli rispose: "Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi". Poi disse: "Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?". Risposero: "Nulla". Ed egli soggiunse: "Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine". Ed essi dissero: "Signore, ecco qui due spade". Ma egli rispose "Basta!".
Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: "Pregate, per non entrare in tentazione". Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà". Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: "Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione". Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: "Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?". Allora quelli che eran con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: "Signore, dobbiamo colpire con la spada?". E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l'orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: "Lasciate, basta così!". E toccandogli l'orecchio, lo guarì. Poi Gesù disse a coloro che gli erano venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: "Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante? Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre". Dopo averlo preso, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro. Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: "Anche questi era con lui". Ma egli negò dicendo: "Donna, non lo conosco!". Poco dopo un altro lo vide e disse: "Anche tu sei di loro!". Ma Pietro rispose: "No, non lo sono!". Passata circa un'ora, un altro insisteva: "In verità, anche questo era con lui; è anche lui un Galileo". Ma Pietro disse: "O uomo, non so quello che dici". E in quell'istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: "Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte". E, uscito, pianse amaramente. Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano, lo bendavano e gli dicevano: "Indovina: chi ti ha colpito?". E molti altri insulti dicevano contro di lui. Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio e gli dissero: "Se tu sei il Cristo, diccelo". Gesù rispose: "Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma da questo momento starà il Figlio dell'uomo seduto alla destra della potenza di Dio". Allora tutti esclamarono: "Tu dunque sei il Figlio di Dio?". Ed egli disse loro: "Lo dite voi stessi: io lo sono". Risposero: "Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca". Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero da Pilato e cominciarono ad accusarlo: "Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re". Pilato lo interrogò: "Sei tu il re dei Giudei?". Ed egli rispose: "Tu lo dici". Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: "Non trovo nessuna colpa in quest'uomo". Ma essi insistevano: "Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui". Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme. Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. C'erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza. Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c'era stata inimicizia tra loro. Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo, disse: "Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò". Ma essi si misero a gridare tutti insieme: "A morte costui! Dacci libero Barabba!". Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: "Crocifiggilo, crocifiggilo!". Ed egli, per la terza volta, disse loro: "Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò". Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà. Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: "Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?". Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati. Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno". Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto". Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!". Ma l'altro lo rimproverava: "Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male". E aggiunse: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Gli rispose: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso". Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Detto questo spirò. Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: "Veramente quest'uomo era giusto". Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti. C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Egli era di Arimatèa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. Era il giorno della parascève e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento.
RIFLESSIONE
Con la domenica delle Palme, i rami d’ulivo, la processione, la lettura della Passione entriamo nella grande Settimana di Gesù.
Il nostro non è solo un commemorare gli eventi che condussero alla morte e risurrezione di Cristo. Noi "facciamo PASQUA", cioè quegli eventi ci coinvolgono, si attualizzano oggi nella vita. I frutti della Passione e risurrezione sono oggi a nostra disposizione sulla pianta di Gesù. E’ per questo che vi invito, in questa settimana, a due atteggiamenti:
Il silenzio e la contemplazione. I fatti dell’ultima Cena, della Passione e risurrezione sono da rivivere, da sentire nella nostra carne. Solo così riusciremo a capire fino in fondo quanto Dio ci ama. Solo dalla contemplazione e dal silenzio possono nascere sentimenti di gratitudine, di lode sincera.
Cercare di non vanificare i frutti della Passione e risurrezione. Passare cioè dal sentimento alla vita quotidiana. La Pasqua, se vogliamo, ci fa passare oggi alla vita piena di figli di Dio, amati e salvati da Lui, l’Eucaristia è a nostra disposizione oggi, il perdono dei peccati è per me, la sofferenza può diventare un grande atto di amore, la pace comincia dalla mia famiglia, la vita eterna è già cominciata, la risurrezione dei morti non è una "speranziella vaga", è una realtà.
Tra i tanti temi che questa settimana ci offre, mi fermo con voi solo su alcune piccole frasi della passione di Luca, letta oggi.
"Io sto in mezzo a voi come uno che serve"
Gesù, il Figlio di Dio onnipotente, è venuto per dare Se stesso. Lui, il Signore, lava i piedi ai suoi discepoli; Lui, il Santo, si fa peccatore per salvare i peccatori.
Spesso noi pensiamo a Dio come ad un padrone esigente che vuole da noi qualcosa: Dio vuole la preghiera, Dio vuole che io vada a Messa la domenica, Dio vuole i miei sacrifici, Dio vuole obbedienza... Gesù si mette al nostro servizio dicendoci: Dio ti offre la sua amicizia ("Non vi chiamo più servi perché il servo non sa quello che vuole il padrone ma vi ho chiamato amici perché tutto quello che il Padre mi ha dato, io l’ho dato a voi"); Dio non è lo sconosciuto, il lontano ma il Padre ("Quando pregate dite: Padre nostro..."); Dio è la Provvidenza ("Non preoccupatevi di ciò che mangerete o berrete... guardate i gigli del campo... Ora se Dio veste così l’erba del campo che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?); Dio non è un divoratore di preghiere o di ceri votivi ("Non chi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli"); Dio non è il giudice insindacabile in cerca di peccatori da condannare ("Non sono venuto per giudicare ma per salvare"); Dio è misericordia ("Il padre, commosso, gli corse incontro")...
Gesù, indicandoci il precetto dell’amore di Dio e del prossimo, non vuole mettere sulle nostre spalle il peso di una serie di precetti ma vuole aprirci al vero senso della vita terrena e alla speranza dell’amore pieno nell’eternità.
Gesù continua a stare in mezzo a noi servendoci: si fa Pane nascosto ma vitale nell’Eucaristia, parola di salvezza, perdono nei sacramenti...
"Padre, se vuoi, allontana questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia ma la tua volontà".
Gesù sente nella sua umanità tutto il peso della sofferenza. Non è un Dio masochista, e non corriamo il rischio di considerare il Padre che non lo libera dalla Passione come colui che ha bisogno della sua sofferenza per placare la sua ira. Gesù sa che conseguenza delle sue scelte di amore per gli uomini sarà la croce e chiede al Padre di aver la forza, soprattutto in questi momenti, di continuare ad amare, di non fuggire davanti alla sua donazione totale all’uomo. Non è volontà di Dio la croce, la sofferenza, la malattia, la tentazione. E’ solo chiedendo di saper amare fino in fondo in queste situazioni che si può realizzare la volontà di Dio che è buona per noi, perché ci permette di dar senso alla sofferenza e alle croci.
Gesù non rispose nulla.
Davanti alle accuse dei suoi giudici, Gesù non si mette a discutere, non fa valere la sua potenza, tace. L’amore non ha bisogno di parole per difendersi, parla da solo anche quando non viene compreso. La fede non la si raggiunge a base di ragionamenti e di discussioni, non servono neppure i miracoli della potenza. Quanto ha da imparare da questo la fede spesso parolaia e rissosa di certa Chiesa. In una scena del film "La via lattea" di quell’irredentista di Louis Bunuel si vedono due preti (e uno è gesuita) che discutono di religione, di dogmi, scambiandosi colpi di spada. Gesù, invece, ha detto a Pietro: "Riponi la spada nel fodero, perché chi di spada colpisce, di spada perisce".
Il silenzio ha un suo linguaggio profondo, ma ci vuole altrettanto silenzio per comprenderlo.
"In verità ti dico: oggi sarai con me in paradiso".
La croce è un albero spoglio. Sulla croce c’è però il frutto della vita: Gesù. Il suo corpo come un frutto schiacciato, sanguinolento ha fatto fiorire di amore questo albero spoglio. Ma vicino alla croce di Gesù c’è un altro albero del dolore a cui è appeso un ladro. E proprio questo ladro dice di Gesù: "Egli non ha fatto nulla di male". La conversione del "buon ladrone" prende l’avvio da un profondo senso di giustizia: "noi abbiamo meritato la punizione, Egli invece…" Il primo passo di ogni conversione è non pretendere di avere sempre ragione, ma riconoscere il proprio peccato, con l’umiltà di chiedere: "Signore, ricordati di me". E mentre il male sembra trionfare, mentre la missione di Gesù sembra avviata al definitivo insuccesso, ecco nascere il primo frutto: un ladro che si converte e strappa proprio sulla croce, come Gesù, il Paradiso.
LUNEDI’ 9
Lunedì Santo; Santa Maria di Cleofa
Parola di Dio: Is. 42,1-7; Sal. 26; Gv. 12,1-11
"SEI GIORNI PRIMA DELLA PASQUA, GESU’ ANDO’ A BETANIA E QUI GLI FECERO UNA CENA. " (Gv. 12,1-2)
Questa settimana santa inizia con un quadro familiare.
Non c’è più il clamore della gente osannante a Gesù che entra in Gerusalemme, non ci sono ancora le urla che spingono Pilato a condannare Gesù alla morte, c’è invece il calore dell’amicizia, la gioia di Marta e Maria nell’avere con loro Gesù, l’amico che ha fatto risorgere il loro fratello Lazzaro, c’è il profumo di questo unguento versato per riconoscenza, dell’amore, della fede che riempie questa casa.
Mentre si addensano le nubi su coloro che cercano la morte di Gesù, c’è almeno qualcuno che lo ha accolto, che in silenzio lo ama, che senza saperlo comincia ad annunciare la morte e la risurrezione del Salvatore.
E’ una gioia potersi trovare in casa di amici veri, sentirsi accolti, non dover dipendere da gesti formali ed esteriorità, parlare e saper ascoltare, condividere con semplicità e gioia.
Mi chiedo: se fossi vissuto ai tempi di Gesù, Egli sarebbe venuto volentieri, con gioia, a passare una delle sue ultime sere prima della passione a casa mia? E si sarebbe trovato bene come a Betania?
Gesù vuole venire in casa nostra a portare la sua presenza, la sua pace, ma c’è posto per Lui o la nostra casa è già occupata da tante altre cose e persone?
Vorrei che per te, Gesù, anche il mio cuore, fosse sempre Betania. Non ti ho ancora capito fino in fondo, ma ti amo.
Sono ancora preso dai miei peccati che ti mettono in croce ma voglio stare ai tuoi piedi.
Non so darti molto e neppure dirti belle parole ma il tuo grande amore e il mio povero amore riempiano ancora e sempre di profumo la mia casa e siano il segno della tua presenza in essa.
MARTEDI’ 10
Martedì Santo; San Terenzio; Sant’Ezechiele
Parola di Dio: Is. 49,1-6; Sal. 70; Gv. 13,21-33.36-38
"QUANDO GIUDA FU USCITO, GESU’ DISSE: ORA IL FIGLIO DELL’UOMO E’ STATO GLORIFICATO". (Gv. 13,31)
Quanto è triste scoprire di amare e di non essere compresi, di dare tutto e di essere traditi. Gesù ama Giuda, lo ha scelto, gli ha dato fiducia e adesso scopre il suo tradimento ed è ancora più rattristato dal fatto di vedere il buio che c’è nel cuore di lui.
Però Gesù non si ferma neanche davanti a questo, anzi dice che è in atto la sua "glorificazione", e lo afferma nel momento in cui un amico è "uscito fuori" per tradirlo.
La gloria, quindi, non passa attraverso il successo, il trionfo, il dominio, lo sterminio dei nemici. Gesù non dice: la vittoria è assicurata perché siamo una potenza, perché possiamo farci valere contro chiunque, a motivo del numero e dei mezzi e degli appoggi di cui disponiamo. Gesù non dice neanche, poiché io e questi dodici siamo la migliore delle comunità abbiamo il diritto di essere ascoltati, imitati.
Gesù presenta una gloria avvolta dalla debolezza, esposta alla derisione della gente che conta.
Il Figlio dell’uomo ha puntato tutto su una cosa sola che spesso sembra essere perdente: l’amore. Ed è la stessa cosa che chiede a noi: giocare tutto su quella carta "perdente" che è l’amore.
Gesù, proprio pensando a Te, scopro il guazzabuglio del mio cuore. In me c’è un po’ di Giovanni: ho un estremo bisogno di appoggiare il mio capo sul tuo cuore, ma in me c’è anche la perplessità di tutti i tuoi amici davanti alla sofferenza e alla morte, c’è la presunzione di Pietro nel dirti che con Te sono disposto a morire, ma anche la paura e il desiderio di fuga davanti alla prova. In me spesso c’è anche Giuda, uno che ti vuol bene ma che spesso ha preferito "far bella figura" piuttosto che annunciarti, uno che qualche volta ha tradito Te, povero, che bussavi alla mia porta, uno che ha preferito non ascoltare un tuo richiamo, che ti ha venduto pur di non compromettersi…
Gesù, tu lo sai che noi vogliamo seguirti, ma sai anche la nostra debolezza e allora questa mattina dicendo il Padre nostro ti ripetiamo con forza "non ci indurre in tentazione", cioè non permettere che la tentazione sia più forte delle nostre forze, non permettere che essa faccia di noi dei traditori del tuo amore.
MERCOLEDI’ 11
Mercoledì Santo; San Stanislao; B. Elena Guerra
Parola di Dio: Is. 50,4-9; Sal. 68; Mt .26, 14-25
"RABBI, SONO FORSE IO? GLI RISPOSE: TU LO HAI DETTO"…"E QUELLI GLI FISSARONO TRENTA MONETE D’ARGENTO". (Mt. 26,25.15)
Questo ultimo giorno prima del Triduo di Pasqua ci mette già nel clima dell’Ultima Cena. Gesù si dona e l’uomo lo tradisce.
Non è un caso che "l’ora" di Gesù coincida con la festa della Pasqua. Essa era la festa principale degli Ebrei, ricordava la liberazione dalla schiavitù, il passaggio del Mar Rosso, lo scampato pericolo dall’Angelo della morte attraverso il sangue dell’Agnello che aveva segnato lo stipite delle porte delle case degli ebrei. In Gesù, si compie per il cristiano la liberazione definitiva, la morte non ha più potere, il regno di Dio si compie grazie al sangue di Gesù, l’Agnello innocente immolato. E Gesù è conscio di tutto questo, non subisce solamente gli eventi, è disposto positivamente a dare la sua vita per noi.
E, mentre Gesù dona l’uomo lo vende, ma anche in questo possiamo leggere un segno di amore per noi, trenta denari, al tempo di Gesù corrispondevano al prezzo di uno schiavo e Gesù per amore si lascia vendere schiavo. Trenta denari erano la paga di un pastore e il Buon Pastore di tutti dà, per trenta denari, la vita per le sue pecorelle.
Signore, tutto in te parla di amore donato, in noi invece c’è cattivo odore di tradimento e di denaro.
Signore, per pochi denari rischio la mia anima, per pochi denari comprometto la vita di un fratello: fammi capire che il denaro, che pure serve nella vita, non è il metro della vita; aiutami a non vendermi per denaro, a non venderti per denaro, a non vendere nessuno per un pugno di denaro che non avrò neppur la magra soddisfazione di portarmi nella tomba.
GIOVEDI’ 12
Giovedì Santo; San Giulio I°; San Zeno
Parola di Dio: Es. 12,1-8.11-14; Sal. 115; 1Cor. 11,23-26; Gv. 13,1-15
"COMINCIO’ A LAVARE I PIEDI DEI DISCEPOLI E AD ASCIUGARLI CON L’ASCIUGATOIO DI CUI SI’ ERA CINTO". (Gv. 13,5)
In questi giorni del Triduo Pasquale provo con voi a farmi presente alle scene evangeliche che ci verranno presentate dalla liturgia proprio per evitare di vivere questi giorni da semplici spettatori ma per risentire e attualizzare nella nostra vita alcuni dei grandi temi e dei grandi doni che ci vengono offerti nella Pasqua.
Siamo entrati nel Cenacolo. La gente si chiedeva se Gesù sarebbe "andato alla festa". Sapevano che sarebbe stato molto più prudente non andarci perché era pronto un piano per eliminarlo. Gesù è puntuale al suo impegno con Dio, con gli uomini e con la storia. Arriviamo dunque a questa Pasqua con il cuore carico di tante cose. Le speranze di gloria suscitate dall’ingresso trionfale in Gerusalemme, le discussioni su chi sia il più grande tra noi, le paure sulle eventuali ritorsioni di chi non ha accettato Gesù, il desiderio di celebrare Dio e lodarlo per la Festa della liberazione dalla schiavitù in Egitto. E poi ci sono ricordi recenti: la risurrezione di Lazzaro, la cena di Betania, gli annunci misteriosi da parte di Gesù circa la sua fine imminente…
Siamo a tavola. E’ sempre bello stare insieme a tavola con Gesù. E’ una festa, è un ringraziamento a Dio per i suoi doni, è il momento della condivisione non solo del cibo, ma anche della parola e in questa sera predomina il grande rendimento di Grazie a Dio per la sua fedeltà. Sulla tavola c’è l’agnello, quell’agnello immolato affinché con il suo sangue sparso sugli stipiti delle porte ci salvasse dall’angelo della morte, e c’è tutto uno sguardo particolare di Gesù per quell’agnello. Ci sono le coppe del vino, quattro, per il rendimento di grazie, ci sono le erbe amare in ricordo dell’amarezza della nostra schiavitù dalla quale siamo liberati, c’è il pane azzimo, non lievitato, il pane che Dio ci fece mangiare in fretta, quella sera per sostenerci per il grande viaggio, il Passaggio che dovevamo compiere.
Non è un rito quello che compiamo. Con Gesù tutto, specialmente questa sera si rinnova, a cominciare da un gesto sorprendente: Lui, il Maestro, Il Messia, il Signore, il Figlio di Dio, si cinge i fianchi con un asciugamano e passa a lavarci i piedi come farebbe lo schiavo al rientro a casa e prima di mettersi a tavola..
E’ un gesto che ci riempie il cuore: tu Gesù sei venuto a servirci, sei tu l’Agnello che sta per versare il suo sangue per noi, sei Tu che ci fai passare dalla schiavitù alla libertà, sei Tu che ti fai mangiare da noi perché possiamo affrontare il viaggio del nostro Passaggio alla vita nuova. Sei tu che con un gesto umile e silente gridi l’amore di Dio per ciascuno di noi e ci insegni che cosa vuol dire amare.
Gesù, a quasi duemila anni da quella sera, abbiamo ancora tanto, quasi tutto da imparare; noi cristiani spesso preferiamo la schiavitù d’Egitto, la pentola delle cipolle e della carne con le catene ai polsi e i ceppi ai piedi, legati alle nostre abitudini e tradizioni, piuttosto che fidarci di Te ed iniziare con Te la gioiosa avventura verso la libertà, spesso siamo ancora a discutere e litigare tra noi per un pezzetto di presunto potere o per un po’ di orgoglio, abbiamo il pane della vita e lo trascuriamo preferendo soddisfare in altro modo le nostre fami.
Ma oggi, nonostante la consapevolezza della mia debolezza, voglio dirti una cosa: è vero che la tua avventura terrena sembra un insuccesso, che sei il più '‘non capito’ degli uomini, ma, sii certo, che se anche mi è ancora così difficile viverlo, ho capito che cosa vuol dire il tuo amore per me e il senso del servizio, e allora, particolarmente questa sera mi accosto all’Eucarestia per dirti grazie e per imparare un briciolo di più da Te che cosa voglia dire amare.
VENERDI’ 13
Venerdì Santo; San Martino I°; Sant’Ermenegildo
Parola di Dio: Is. 52,13-53,12; Sal. 30; Eb. 4,14-16; 5,7-9; Gv. 18,1-19,42
"GESU’ DISSE: TUTTO E’ COMPIUTO. E, CHINATO IL CAPO SPIRO’" . (Gv. 19,30)
Tutto è precipitato da ieri notte: la gioia dell’ultima cena, l’annuncio del tradimento e del rinnegamento, lo strazio di quella preghiera nell’orto degli Ulivi, mentre noi dormivano e poi l’arresto, il bacio di Giuda e l’inizio di quella farsa di processi in cui la sentenza era già stata definita.
Ed è cominciato il tuo martirio fisico e morale. Quante cattiverie e quante ingiustizie si possono fare quando si vuole eliminare un uomo. Ma il triste in questo caso sta soprattutto nel fatto che quest’uomo che vogliamo eliminare è colui che invece ci vuole salvare. L’uomo nella sua stupidità e nella sua cattiveria ha messo in croce il suo Dio e proprio i rappresentanti della religione, coloro che combattono l’ateismo hanno attentato alla vita stessa di Dio, hanno pagato, intrallazzato, invischiato il potere politico, sobillato per ottenere che il loro Dio finisse in croce. Eppure Gesù non ti sei ritirato, hai sudato sangue, hai versato sangue, ti hanno fatto ‘sputare l’anima’, ma mentre morivi per la cattiveria e l’incomprensione, tu salvavi. Gesù ti sono costato tutto questo. E come se non bastasse prima di morire mi hai ancora regalato tua Madre. Sono ai piedi di quella croce, magari anche un po’ lontano perché ho paura di quello strumento di sofferenza, e nella mia mente e nel mio cuore si affollano tanti pensieri. I ragionamenti che mi fanno gridare: "Perché?", le sofferenze degli uomini che spesso sembrano inutili, le cattiverie mie e del mondo intero che tanto male e sofferenza procurano alla nostra umanità, ma non posso non alzare gli occhi verso quel patibolo e non solo provare una immensa pietà per Te, ma anche per tutti i sofferenti del mondo e pietà anche per me, per la mia incapacità di riuscire a comprendere fino in fondo un amore così grande. Guardo quel corpo che Maria ha generato con amore ferito, sanguinolento, sussultante negli spasimi per riuscire a ritrovare quel poco d’aria per poter continuare a rinnovare ancora un po’ la vita ed altra sofferenza, e penso ai corpi disfatti dalle torture di tanti regimi politici, agli uomini a cui si è fatta perdere ogni dignità, ai sofferenti inchiodati nei letti degli ospedali: Gesù pietà di loro e pietà di me uomo pauroso, incapace di dire con forza la verità, incapace di prendere anch’io la mia croce per gridare che l’uomo, l’ultimo uomo di questa terra, vale più di ogni potere, di ogni denaro, di ogni onore. Pietà di questa umanità che non ha ancora finito di innalzare croci di ogni genere, pietà della tua Chiesa che mentre da una parte esprime martiri della fede che come Te danno la vita per i fratelli, dall’altra rischia di uccidere il tuo amore e l’uomo arroccandosi nei suoi poteri e allontanandosi sempre più dal tuo popolo. Ora che hai chinato il capo, che hai rimesso tutto nelle mani di tuo Padre, ora che ti calano da quella croce e che ti ritrovi, come quando eri bambino, tra le braccia di tua Madre, capisco che tu hai già avuto pietà del mondo, della tua Chiesa, di noi; è proprio l’immensa pietà che hai avuto di noi che ti ha dato la forza di accettare la croce e che non ti rende Dio irato contro noi, tuoi crocifissori, ma Dio di misericordia che ha "imparato nell’obbedienza ciò che vuol dire soffrire" e che sa accogliere ogni nostra debolezza e sofferenza.
SABATO 14
Sabato Santo; Santa Liduina; San Tiburzio; San Valeriano
Veglia di Pasqua: Vangelo Lc. 24,1-12
E’ giorno di silenzio, oggi.
Quella sepoltura frettolosa e quella pietra che ha sigillato la tua tomba, è caduta pesantemente anche nel nostro cuore.
"Noi speravamo che fosse Lui il Salvatore…" diranno delusi i due discepoli che vanno verso Emmaus.
Il vuoto della morte e la consapevolezza del nostro tradimento e la paura del domani ci hanno chiusi in noi stessi.
"E adesso?"
"E’ capitato anche a Lui.
Aveva fatto risorgere Lazzaro, ma Lui è finito in una tomba!
Aveva detto << Chi crede in me non morirà in eterno>>, ma è morto Lui.
I capi, i potenti della terra hanno ancora una volta avuto il sopravvento sui piccoli e sui poveri, come sempre!
I religiosi, con aria di superiorità possono nuovamente ammannirci le loro verità come se fossero quelle di Dio…"
Eppure…
Abbiamo visto la tua gloria là, sulla montagna del Tabor, abbiamo sentito la voce di Dio che diceva: "Ascoltatelo!", ti abbiamo sentito parlare di "ricostruire il Tempio in tre giorni", abbiamo capito che l’amore che ci annunciavi è più forte della morte, crediamo al chicco di frumento che caduto nella terra muore ma fa nascere una nuova pianta…
Eppure, nonostante tutto, crediamo ancora nelle possibilità dell’uomo di costruirsi con giustizia e verità, crediamo che Dio non ci abbia abbandonato…
Sì, Gesù, è proprio qui dove la nostra fede si incontra con la nostra paura: quella pietra calata sul tuo sepolcro, vuol dire che Dio ci ha abbandonati? che Dio è morto? O è solo una pietra che richiede tutta la nostra fede in un Dio che non può morire perché è il Dio della vita?
DOMENICA 15
Pasqua, Risurrezione del Signore
Sant’Annibale; Sant’Anastasia; B. Cesare de B.
Parola di Dio: At. 10,34.37-43; Sal. 117; Col. 3,1-4 (1Cor 5,6-8); Gv. 20,1-9
1^ Lettura (At. 10, 34. 37-43)
Dagli Atti degli Apostoli.
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: "Voi conoscete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunziare al popolo e di attestare che egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio. Tutti i profeti gli rendono questa testimonianza: chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome".
2^ Lettura (Col, 3, 1-4)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi.
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.
Oppure (1 Cor. 5, 6-8)
Fratelli, non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.
Vangelo (Gv. 20, 1-9)
Dal vangelo secondo Giovanni.
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!". Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.
RIFLESSIONE
Arriviamo a questo giorno gioioso di Pasqua, penso e spero, dopo aver vissuto intensamente quanto l’amore e la Passione di Gesù per noi, ci ha proposto durante la settimana santa.
Se davvero abbiamo sentito nel nostro cuore il mistero di sofferenza e di morte del Salvatore, se ci siamo identificati con i dubbi, le paure i tradimenti degli apostoli, allora possiamo sentire sbocciare in noi la meraviglia della Pasqua con tutti i suoi contrasti, ma con la forza prorompente della primavera che spazza le nebbie, i grigiori e il freddo dell’inverno con il suo rinascere a vita nuova.
Come gli apostoli anche noi ci accostiamo a quella tomba vuota con il peso di quanto è successo.
La voce di Gesù, il suo sguardo ci avevano stanati dal nostro vivere di abitudini, dal nostro accontentarci del sopravvivere quotidiano; lo stare con Lui ci aveva aperti a prospettive nuove a speranze che riempivano il nostro cuore di gioia, alla scoperta della possibilità di vivere nell’amore, nella fraternità, alla serenità di sapere che Dio non solo non ce l’aveva con noi, ma si era fatto uno di noi, era venuto a cercarci. Avevamo sentito le sue parole di liberazione dalle paure, dalle schiavitù, dalle osservanze religiose opprimenti… Si, Lui ci aveva messi in guardia più di una volta, aveva parlato di croce, ci aveva detto che non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici, ma non pensavamo dovesse finire così: Gesù catturato, preso e condannato e proprio dai rappresentanti della religione, da coloro che dovevano indicarci qui in terra il volto di Dio.
E, oltretutto, c’è l’amaro in bocca perché la paura, la vigliaccheria, la poca fede ci hanno resi incapaci di seguirlo, di testimoniarlo.
E Lui… Lui che pur aveva guarito i malati, Lui che aveva cacciato i demoni, che aveva comandato al mare e al vento di tacere e calmarsi… Lui non ha fatto niente per venirne fuori.
Ha subito il potere dei religiosi e dei potenti, ha quasi mai parlato davanti alle accuse che gli rivolgevano, ha sopportato flagellazione e insulti, si è lasciato inchiodare su quella croce e non è sceso per dimostrare che era Dio.
Lo abbiamo visto morto tra le braccia di sua Madre, abbiamo visto la fretta con cui lo hanno dovuto seppellire, abbiamo sentito il tonfo di quella pietra che non solo lo escludeva dal mondo dei viventi, ma che piombava come un macigno sulle nostre speranze, sul nostro cuore…
Si può ancora sperare?
Certo, la speranza deve essere l’ultima a morire; certo, le sue parole circa il terzo giorno, la risurrezione ci ritornano ancora alla memoria; abbiamo ancora negli occhi la scena della risurrezione di Lazzaro, ma lì era Gesù che lo richiamava in vita, qui Gesù è morto e sepolto... Voci di donne dicono che non è più nella tomba.. qualcuna parla di visione, di risurrezione.. è così facile ingannarsi, illudersi… ma .. se fosse vero? Perché non correre, anche col fiato lungo, per vedere con i nostri occhi?
Gesù, questo è lo stato d’animo non solo di quegli apostoli in quella mattina di Pasqua, siamo anche noi straniti, insieme a Pietro e Giovanni che corrono e che scoprono quel sepolcro aperto e vuoto, e non riusciamo ancora a capacitarci, a lasciare che la fede faccia traboccare la gioia nel nostro cuore, ci sono ancora le nostre indifferenze, le nostre paure, i nostri dubbi che hanno prevalenza in noi.
Signore, siamo cristiani, portiamo il tuo nome, ma preferiamo credere alla morte piuttosto che alla vita.
Il mondo delle cose ci ha talmente preso, abbindolato, addormentato, che leggiamo la storia della tua risurrezione come se fosse una favola e allora per molti di noi la tua nascita si confonde con un panettone e la tua risurrezione con le uova di cioccolato e spesso da queste confusioni non sappiamo neppure più se siamo noi a vivere o se altri ci fanno vivere come vogliono.
Come fare a credere che quella tua tomba sia vuota per risurrezione del cadavere quando le nostre tombe sono tutte piene? In fondo perché sperare in cose che superano la nostra materialità finita? Non è meglio vivere cercando di strappare alla vita quel poco che essa può darci di buono, accontentarsi di quello e poi finire nel vuoto così come abbiamo cominciato nel vuoto e nella assoluta casualità? Perché illuderci che nel mondo l’amore possa avere la meglio sul male? Perché credere che l’umiltà riesca a vincere la prepotenza? Perché pensare ad una vita futura quando non capiamo neanche quella presente? Quasi quasi è meglio risigillare quella tomba, far finta che non sia successo niente…
Eppure la tomba è vuota, Eppure angeli hanno detto alle donne: "Perché cercate tra i morti Colui che è vivo? Non è qui", Eppure quei due discepoli accompagnati da quello strano pellegrino si sono sentiti ardere il cuore alle sue parole quando spiegava con la Bibbia la passione la morte e la risurrezione del Messia e poi lo hanno riconosciuto nello spezzare il pane… Eppure quegli apostoli fifoni e traditori dopo che dicono di averlo incontrato vivo e dopo aver ricevuto il dono del suo Spirito sono diventati coraggiosi, hanno preso bastonate, sono finiti in galera per testimoniare il suo nome; nei primi secoli martiri inermi hanno avuto il coraggio di affrontare la morte e le sofferenze per Lui ed anche oggi nel mondo ci sono ancora perseguitati, gente che è in galera per il suo nome, gente che muore per Lui e per il suo messaggio.
Si farebbe tutto questo per un morto? Per un morto, Francesco di Bernardone avrebbe lasciato la vita agiata del ricco commerciante per farsi povero, per Lui Santa Caterina da Siena avrebbe giocato la sua vita, Santa Teresina del Bambin Gesù sarebbe entrata in convento a quattordici anni vedendo questo suo donare la vita come la grazia e la gioia più grande che le potesse capitare? Per un morto il Cottolengo o Don Bosco avrebbero bruciato la loro vita per gli altri? E, pur con tutti i limiti delle organizzazioni umani, i giovani del Sermig, gli uomini del gruppo Abele giocherebbero e rischierebbero la vita ogni giorno?
Chi ha creduto e crede che quella tomba sia vuota per risurrezione del cadavere ha avuto la vita trasformata. Ha incominciato a incontrare il Cristo vivo. E anche noi possiamo incontrarlo, oggi.
Gesù è vivo nel fratello, ha fame e chiede a noi solidarietà, ha sete e chiede a noi da bere, e anche un bicchiere d’acqua dato a chi ha sete è dato a Lui; è vivo nei fratelli, nelle nostre famiglie quando due o più persone sono riunite nel suo nome, è vivo nell’Eucaristia, nel pane che spezziamo facendo memoria della sua passione morte e risurrezione, è vivo ogni volta che perdono e ogni volta che ricevo il suo perdono… Certo, la morte c’è ancora, la sofferenza continua a far piangere, il dolore non è scomparso, paure ancora attanagliano la nostra vita, i prepotenti sembrano ancora averla vinta, l’indifferenza sembra ancora regnare sovrana, eppure qualcosa è cambiato! Se ci credi, qualcosa è cambiato dentro di te.
E’ soprattutto lì che Gesù chiede di risorgere. Se in quella tomba piena di buio, qualche volta di peccato e di incapacità di amare che è spesso il nostro cuore, tu lasci che Cristo deposto come il seme nella terra, possa morire, germogliare ed esplodere nella vita, Egli farà saltare la corazza di pietra del cuore, il buio sarà inondato dalla luce, la puzza del chiuso e del marcio verrà spazzata via dal vento del suo Spirito di vita, e allora "il vostro cuore si rallegrerà e i vostri piedi salteranno nella danza".
Fratelli, ci pensate? Tutto questo è avvenuto per ciascuno di noi fin dal giorno del nostro battesimo, quando siamo morti al male e ci siamo rivestiti di Cristo, come possiamo allora essere ancora fermi e titubanti davanti a quella tomba? Come possiamo essere cristiani che non sanno sorridere, uomini tristi che vedono solo il negativo in ogni cosa? Come possiamo non sentirci buttati fuori dal chiuso del nostro essere per venir proiettati verso i fratelli, come non sentiamo la gioia di poter dire agli altri: "Io credo in Gesù, io l’ho visto e lo vedo ogni giorno risorto!"?
Fratelli, i dubbi e le paure e anche gli errori e i peccati fanno parte della nostra umanità, e neanche Dio si spaventa di questo, ma saremmo davvero stupidi se decidessimo di seppellirci in essi quando il Salvatore del mondo, risorto dai morti e vivo in mezzo a noi dona la gioia di vivere ora in pienezza e ci apre la prospettiva di stare con Lui per sempre.
LUNEDI’ 16
Lunedì dell’Angelo - S. Bernard. S.; S.B. Labre; San Lamberto
Parola di Dio: At. 2,14.22-32; Sal. 15; Mt. 28,8-15
"ABBANDONATO IN FRETTA IL SEPOLCRO, CON TIMORE E GIOIA GRANDE, LE DONNE CORSERO A DARE L’ANNUNZIO AI SUOI DISCEPOLI. ED ECCO GESU’ VENNE LORO INCONTRO." (Mt 28,8-9)
Non so se ci avete mai pensato, ma il Vangelo, la Buona notizia di Dio che non solo non si è dimenticato degli uomini ma si fa uomo per salvarli, viene fatta per prima ad una donna, Maria.
La notizia della risurrezione, di Gesù che viene ridonato, della conferma e accettazione dell’operato del Messia da parte di Dio, della sconfitta della morte di nuovo viene donata per prima a delle donne.. Nel primo annuncio viene chiesto a Maria un atto di fede e di adesione all’opera di Dio, a queste donne viene chiesto di essere le prime apostole testimoni della risurrezione da annunciare anche agli apostoli.
E’ la pedagogia amorevole di Dio.
Gli uomini hanno ristretto il ruolo della donna, i religiosi, specialmente quelli celibi, l’hanno vista da una parte come oggetto di desiderio e dall’altra come fonte di male; il mondo, maschilista, che è andato avanti sia materialmente che nella sua interiorità grazie alla donna, l’ha relegata in un ruolo subalterno ed ha sorriso dei suoi presunti limiti… Gesù invece si rivolge alle donne riscoprendo e soprattutto invitandoci a riscoprire i valori profondi racchiusi nel cuore femminile. La sua non è una lotta di appoggio al femminismo e alle sue rivendicazioni. Per Gesù la vera emancipazione femminile non è riuscire a recuperare una parte di potere nei confronti dell’uomo. Per Gesù il potere è servizio, sia per l’uomo che per la donna. Gesù vuole farci capire che ciascuno di noi con i suoi doni specifici ha un ruolo importante nel Regno di Dio.
Il Risorto, quando apparirà agli apostoli e ai discepoli dovrà faticare non poco con quelle ‘teste dure’ per far loro capire che in Lui si sono ‘compiute le scritture’, dovrà più volte ‘farsi toccare’, spezzare il pane, far vedere che mangia con loro, per portarli a credere.
Le donne istintivamente, invece si buttano ai piedi di Gesù e lo abbracciano. Non che per loro sia più facile, infatti il Vangelo parla di timore anche per loro, ma certamente il loro rapporto con Gesù era più immediato ed anche più profondo.
La Chiesa di oggi ha fatto qualche piccolo passo nello scoprire i valori della donna che, tra l’altro, è la componente più grossa di essa, ma c’è ancora tanta strada da fare per svecchiarsi da certe idee preconcette, da certe paure di perdere posti e ruoli, da certi luoghi comuni e da legislazioni senza cuore e maschiliste. Ma non penso che dobbiamo aspettarci chi sa quali cose da una Gerarchia che è sempre l’ultima ad arrivare alla tomba vuota di Gesù, credo invece che sia nostro compito, di uomini e di donne credenti di collaborare insieme, di dare spazio vicendevolmente affinché ciascuno, con le proprie specificità e con i doni che Dio ha affidato, collabori affinché la Buona notizia sia davvero portata a tutti.
MARTEDI’ 17
Sant’Aniceto; S. Stefano Harding; San Roberto
Parola di Dio: At. 2,36-41; Sal. 32; Gv. 20,11-18
"DONNA, PERCHE’ PIANGI?". (Gv. 20,15)
Quante stupidaggini ho sentito dire circa le lacrime. Qualcuno dice che le lacrime sono segno di debolezza; qualche cristiano saccente dice che le lacrime e il cristianesimo non possono convivere, qualcun altro le considera retaggio delle femminucce…
"Perché piangi?", chiede Gesù a Maria Maddalena.
Si può piangere per tanti motivi: perché il dolore è entrato prepotentemente nella tua vita e i tuoi occhi e il tuo cuore vi partecipano pienamente, si può piangere nell’aver constatato i propri errori o i propri peccati, si può piangere per aver salutato per l’ultima volta una persona cara, si può piangere disperatamente o sommessamente, si può piangere anche per una gioia profonda… L’uomo non deve avere paura delle lacrime come non deve avere paura di esternare i propri sentimenti, e se qualcuno approfitta delle tue lacrime è la persona più indegna di chiamarsi uomo, sulla terra.
L’unica cosa a cui devi fare attenzione è che le lacrime e i sentimenti non ti impediscano di vedere.
Le capiamo e le apprezziamo fino in fondo le lacrime di Maria Maddalena. Molte volte Maria Maddalena ha pianto. Ha pianto i suoi peccati. Ha pianto di gioia quando Gesù l’ha perdonata. Ha pianto con Maria, la mamma di Gesù, ai piedi della croce. Ha pianto quando hanno deposto Gesù nella tomba. Piange anche adesso che non trova più il corpo del suo Signore. Ha tutti i motivi di piangere: Gesù è morto tra le più atroci sofferenze, gli Apostoli sono scappati e Lei che è andata a cercare quel corpo tanto amato immagina che abbiano fatto a Gesù ancora un ultimo disprezzo, quello di trafugare il suo cadavere. Ma il limite di Maria sta proprio nel fatto che queste lacrime le hanno talmente riempito gli occhi e il cuore che in esse sta annegando la speranza e la fede. E questo qualche volta succede anche a noi quando incentrati unicamente sui nostri grandi dolori non riusciamo più a vedere altro o l’altro.
C’è bisogno allora di una voce che ti chiami per nome. E c’è bisogno che nel momento in cui gli occhi non vedono più perché pieni di lacrime, ci siano orecchie disposte ad ascoltare questo nome pronunciato da Colui che ci vuol bene, da chi ha vinto la morte, da chi vuol tramutare il pianto in gioia.
A Maria Maddalena che cerca un morto, Gesù si mostra vivo, a lei che piange, Gesù dà la gioia, a lei, povera donna peccatrice, Gesù affida la missione di testimoniarlo.
E’ proprio vero che l’unica strada per entrare nel cuore di Gesù è quella dell’amore. Non contano i gradi, le qualità esteriori, davanti a Gesù puoi anche aver sbagliato molto, ma se ami sei nel suo cuore e Lui ti purifica e non ha paura di affidarti la missione.
Gesù ti chiama per nome.
Alza gli occhi, non lasciare che le lacrime ti impediscano di vedere. Impara a conoscere il suo volto nei fratelli, negli avvenimenti della vita, nell’Eucaristia e nei sacramenti; sono tanti i modi di poterlo abbracciare "senza trattenerlo", ma per portarlo agli altri.
MERCOLEDI’ 18
San Galdino
Parola di Dio: At. 3,1-10; Sal. 104; Lc. 24,13-35
"NON POSSIEDO NE’ ORO NE’ ARGENTO, MA QUELLO CHE HO TE LO DO’: NEL NOME DI GESU’ IL NAZARENO, CAMMINA!". (Atti 3,6)
In questa occasione Pietro ha imparato bene la lezione da Gesù: sa che può dare proprio quando non ha niente. Gesù ci ha salvati gratuitamente proprio quando sulla croce non aveva più niente di suo. Pietro non ha né oro né argento (che bella una Chiesa libera da queste pastoie!) e allora può dare gratis Gesù.
Quando siamo calcolatori andiamo in perdita (in perdita di amore), quando ci impoveriamo donando gratuitamente possiamo "fare miracoli".
Tutti noi abbiamo fatto esperienza della nostra impotenza.
Quante volte, davanti alle sofferenze degli uomini abbiamo sperimentato l’incapacità di poter venire loro incontro; davanti a certi gridi di aiuto che ci vengono dal mondo intero, constatando che certi problemi non dipendono da noi o dalle nostre possibilità, abbiamo sentito dentro di noi una voce dirci: "E tu che cosa ci puoi fare?".
Anche Pietro e Giovanni constatano di non aver soldi per aiutare quello storpio che chiede loro l’elemosina. Però si rendono conto che se non possono allungargli qualche soldo, possono dargli qualcosa d’altro: possono dargli Gesù.
Davanti ad un malato che soffre, non puoi far niente, o quasi, ma puoi dargli te stesso, la tua presenza amorevole, premurosa; davanti ad un moribondo puoi solo mettere la tua mano nella sua per accompagnarlo nel suo viaggio; davanti a chi soffre gravi problemi psichici puoi solo cercare di fargli capire che non lo giudichi ma che lo ami. Davanti alla fame del mondo, alle guerre, alle violenze, dopo che hai fatto il poco in tua possibilità, puoi solo continuare a lottare per la pace... E poi... hai una grande ricchezza... quel poco che puoi fare, fallo nel nome di Gesù... Non sempre succederà il miracolo così come desidereresti, ma certamente qualche "miracolo" succederà... per lo meno in te stesso.
GIOVEDI’ 19
Santa Emma di Gurk
Parola di Dio: At. 3,11-26; Sal. 8; Lc. 24,35-48
"GESU’ IN PERSONA APPARVE IN MEZZO A LORO E DISSE: PACE A VOI". (Lc. 24,36)
I Vangeli di questa ottava di Pasqua ci presentano le varie apparizioni del Crocifisso risorto.
Proviamo oggi a cogliere, in schema i denominatori comuni di questi racconti e le indicazioni che ne vengono a noi.
Innanzitutto il Risorto è estremamente libero: viene quando vuole, sceglie a chi apparire per primo, appare dove vuole, dà degli ordini, richiama il suo insegnamento, interpreta le scritture… Lo avevano appeso ad una croce perché non si muovesse più, lo avevano affidato nella rigidità della morte ad una tomba chiusa da un masso, ma nulla può fermare Dio e il suo amore per noi.
Tutte le volte che il Risorto appare augura la pace. Oggi il termine pace viene facilmente strumentalizzato, costretto a convivere persino con la violenza, la brutalità, le minacce, l’odio, la menzogna più spudorata. Soprattutto molti si illudono che questa sia una parola da gridare nelle piazze, scandire nei cortei. Pochi si rendono conto che questa parola "sacra" deve essere accolta, come un seme nelle profondità del nostro essere. Maturare, crescere, diventare esigenza, ostinazione, forza, passione. L’uomo che si apre al messaggio di pace, è uno che la realizza, prima di tutto nel suo intimo. Pace allora è un punto di arrivo e comporta un cammino faticato di purificazione, combattimento, ordine interiore, dominio su se stessi: la pace di Cristo diventa allora attraverso il combattimento della croce, una pace vittoriosa, una forza superiore a quella dell’odio, della vendetta, della violenza.
Il Crocifisso-risorto si fa vedere, toccare, mostra i segni della sua passione.
La risurrezione non cancella il passato, lo glorifica. E il Cristo glorioso continua ad essere in mezzo a noi nei segni del Crocifisso. Non c’è bisogno di andare in paradiso per incontrarlo. Basta aprire gli occhi per leggere i segni della sua passione e della sua glorificazione, oggi in mezzo a noi. I segni della sua croce li vediamo nei corpi martoriati dalle violenze, dalle guerre, dalle malattie, i suoi dolori li incontriamo negli abbandonati, nei traditi. I segni della gloria sono presenti nella speranza e nell’amore. Cristo è ancora con noi.
Insieme alla gioia che provocano le apparizioni c’è anche sbigottimento, perplessità, incredulità.
Quasi a dire: "Troppo bello per essere vero!" Ossia, quando Dio delude, si inventano pretesti per non credere. Ma allorché Dio sorprende oltre i nostri sogni, non possiamo credere, subodoriamo un inganno. La morte fa paura. La Risurrezione ancor di più. La Croce di Gesù spaventa. La sua gioia ci rende sospettosi. Gli Apostoli non hanno il coraggio di seguirlo lungo la "Via Crucis", ma non ce la fanno neppure a tenergli dietro la via della risurrezione. Il Risorto è impegnativo, scomodo, disturbatore ancor più di quando predicava nei villaggi. Forse gradiremmo altri segni. Che dormisse con noi. Che ci lasciasse abbandonati alla nostra mediocrità. Invece Lui insiste: "Aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture". E questo è un altro segno caratteristico delle apparizioni: il presente deve essere compreso attraverso tutta la lunga storia dell’amore di Dio. La risurrezione non spunta improvvisamente come un fungo, è il completamento dell’opera di Dio, è il fatto che dà significato a tutto il passato e che interroga tutto il futuro. Noi cristiani in Gesù morto e risorto davvero vediamo il compimento di ogni amore, Lui è l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine come ci è stato detto nella liturgia del cero pasquale, la notte di Pasqua.
VENERDI’ 20
Sant’Agnese di Montepulciano
Parola di Dio: At. 4,1-12; Sal.117; Gv.21,1-14
"GESU’ DISSE LORO: VENITE A MANGIARE". (Gv. 21,12)
Tra tutti i racconti delle apparizioni del Risorto uno di quelli che mi tocca particolarmente è proprio questo.
Siamo sulle rive del lago, il luogo dove Gesù ha cominciato la sua predicazione, ha chiamato i pescatori, ha fatto i suoi primi miracoli… Tutti sono legati a quel lago, gli apostoli sono addirittura tornati a fare il mestiere di prima, quello dei pescatori di pesci, Gesù ricorda la rude ma calorosa accoglienza che ha ricevuto in questi luoghi e da questi uomini e allora accende il fuoco, prepara da mangiare per i suoi amici che tornano dalla pesca.
Tutto questo dà un senso di profonda e semplice familiarità.
Il Risorto non è assolutamente ‘asettico’, estraneo ai sentimenti, ai bisogni dell’uomo. Gesù che ha compartecipato la sua divinità alla nostra umanità, continua anche dopo la risurrezione a donare tutto se stesso a noi con squisita sensibilità umana.
Gesù ha acceso il fuoco. Il fuoco dell’amicizia, il calore di un Dio che ama, il fuoco che purifica, il fuoco del trovarsi insieme. Gesù ci ha preparato e ci prepara la cena. Si è messo il grembiule del servizio, ci ha lavato i piedi, ci ha convocati intorno alla mensa della sua parola, si è fatto pane per noi. E questo continua a succedere ogni giorno, in mille posti e momenti diversi.
Se noi pensassimo anche solo all’Eucarestia così, non la vedremmo più come un rito, un dovere, non troveremmo più le assurde scuse per giustificarci se "non possiamo andare".
Gesù ha preparato tavola, ti dà se stesso, ti invita personalmente, a quella mensa "c’è un posto anche per te" per ricevere gratuitamente tutti i suoi doni. Sarebbe meno festa per tutti se quel posto rimanesse vuoto, se per paura dei nostri peccati o della nostra peccabilità futura ci astenessimo dalla gioia di stare con Lui.
E, ancora un piccolo particolare: tra gli Apostoli, sulla barca, chi è che riconosce Gesù?
Solo Giovanni, il contemplativo, l’innamorato ha occhi per riconoscerlo.Si tratta di prospettiva: si può essere familiari a Gesù, uomini di teologia, appartenenti graduati alle più alte gerarchie, uomini di preghiere e passargli accanto, ma è solo chi lo ha nel cuore, chi è abituato a conoscere i suoi gesti, i suoi silenzi, l’intonazione della voce che lo incontra. Quando la preghiera è solo intellettuale, quando è legata a parole e gesti non ci porta ancora all’incontro, ma quando il desiderio, la ricerca, gli affetti partono dal cuore, allora si vede bene, e anche il minimo indizio ci porta subito ad incontrare l’amato e a leggere la vita con Lui.
SABATO 21
Sant’Anselmo; S, Corrado di Parzham
Parola di Dio. At. 4,13-21; Sal. 117; Mc. 16,9-15
"GESU’ DISSE LORO: ANDATE IN TUTTO IL MONDO E PREDICATE IL VANGELO AD OGNI CREATURA." (Mc. 16,15)
Marco ha sempre la caratteristica di dire in poche righe quello che gli altri hanno espresso in racconti più lunghi. Nel brano di oggi noi troviamo sintetizzato tutto quello che gli altri evangelisti ci hanno fatto leggere in tutta la settimana: Gesù è davvero risorto, ne ha dato le prove apparendo prima a Maria Maddalena, poi ai discepoli di Emmaus e poi agli undici; caratteristico atteggiamento degli apostoli in questo periodo è stato il lutto e l’incredulità, Gesù dopo il giusto rimprovero per la loro poca fede manda gli apostoli in missione verso tutto il mondo.
Pensate, gli apostoli missionari sono gli stessi che hanno dubitato, gli araldi della gioia sono gli stessi che si erano crogiolati nel lutto. Si direbbe che Gesù li faccia guarire dalla incredulità promuovendoli "missionari". E nel far questo Gesù delinea ancor meglio la vera figura del "missionario": uno che reca una buona notizia non sua e che è sostenuto non da forze sue ma dalla potenza di un Altro.
E' un comando questo e non un invito, e si rivolge non solo agli Undici ma anche a noi.
Chi ha visto, chi ha sentito, chi ha creduto pur con tutta la debolezza delle proprie perplessità, non può starsene tranquillo, deve andare nel mondo, deve annunciare il Cristo risorto.
Partire non è tanto attraversare i mari, volare a velocità supersoniche, è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farsi loro incontro. Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre, significa avere il fiato di un buon camminatore, il coraggio della pazienza confortata dalla costanza.
La strada non la si compie con le parole, le discussioni, le dotte dispute ecclesiali, la si compie con il movimento, la fatica delle gambe e del corpo.
Spesso, però, il comando di "andare", essere missionari, testimoni si presta da parte nostra a tante obiezioni: la delusione di tentativi precedenti non riusciti; il giudicare coloro a cui si dovrebbe andare evidenziando il negativo; il ridurre la parola di Dio per renderla più attraente; il pensare di non essere all’altezza del compito affidatoci. Sono tutte scuse per mascherare la nostra poca fede.
Se è Cristo che ci manda, è lui stesso che ci darà la sua forza.
E’ Cristo che passa, guarda, chiama. Se i risultati non saranno quelli che ci aspettiamo noi, saranno certamente quelli che si aspetta Lui. L’importante è non deludere la chiamata del Signore, diventare tramiti del suo annuncio. E, segreto che ci è suggerito oggi, per essere testimoni credibili, bisogna smettere le vesti del lutto per avere prima di tutto noi, nel nostro cuore, la gioia di sapere che Cristo è vivo.
DOMENICA 22
2^ Domenica di Pasqua anno C
San Leonida; Santi Apelle e Lucio;Parola di Dio: At. 5,12-16; Sal 117; Ap. 1,9-13.17-19; Gv. 20,19-31
1^ Lettura (At.5, 12-16)
Dagli Atti degli Apostoli.
Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; degli altri, nessuno osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava. Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti.
2^ Lettura (Ap. 1, 9-11.12-13.17.19)
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.
Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, mi trovavo nell'isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù. Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Efeso, a Smirne, a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa. Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava, vidi sette candelabri d'oro e in mezzo ai candelabri c'era uno simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro.
Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo.
Vangelo (Gv. 20, 19-31)
Dal vangelo secondo Giovanni.
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò". Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Poi disse a Tommaso: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!". Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!". Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
RIFLESSIONE
La liturgia domenicale, specialmente in questo gioioso tempo di Pasqua è sempre così ricca nell’offrirci temi di riflessione che qualche volta, come nel caso di questa seconda domenica del tempo di Pasqua si è addirittura nell’imbarazzo della scelta.
Cito solo i temi più evidenti
Innanzitutto il nome stesso di questa domenica: "domenica in albis" è un richiamo al Battesimo e al nostro impegno a ‘rivestirci di Cristo’, infatti nella Chiesa primitiva, coloro che avevano ricevuto il battesimo la notte del Sabato Santo, portavano anche esteriormente per tutta l’ottava, fino a questa domenica, la veste bianca. Era un segno affinché la comunità conoscesse coloro che ne erano entrati a far parte, ma era anche un richiamo per tutti al battesimo ricevuto che fa morire al male e ci fa risorgere con Cristo per essere come Lui, nello Spirito, graditi al Padre.
Altro fortissimo richiamo sta appunto nell’ "ottavo giorno". E’ il richiamo alla domenica. I credenti, anche per distinguersi dagli Ebrei, celebrano il giorno del Signore, la domenica, proprio per ricordare il fatto più importante della storia della salvezza: la risurrezione di Cristo dai morti. Con questo si ricorda la nuova Alleanza, la nuova Creazione, la Redenzione, la speranza della vita eterna. Ecco perché, ancora oggi, per noi cristiani la domenica è un giorno diverso dagli altri in cui siamo chiamati a celebrare nella gioia le lodi del Signore che attraverso Cristo risorto ci permette di essere suoi figli e comunità radunata nella preghiera e nel ricordo di Colui che, Primo ed Ultimo, come ci ha ricordato la lettura del libro dell’Apocalisse, si è offerto una volta per tutte per noi e, vivo, ci chiama ad una comunione di vita con Lui e con i fratelli.
Tutto questo ricorda ancora un altro tema presente nella liturgia odierna quello di una comunità cristiana che comincia il suo cammino di fede e di annuncio a partire dall’esperienza Pasquale del risorto. Il libro degli Atti ci ha presentato una comunità che fa come faceva Gesù, parla e agisce come Lui e addirittura l’ombra di Pietro ha lo stesso effetto dell’ombra di Gesù nella guarigione dei malati. La Chiesa, la vera Chiesa, non è quella delle esteriorità è quella che manifesta concretamente il risorto in parole ed opere.
Ci si potrebbe poi ancora fermare sull’augurio di pace che Gesù risorto rivolge come primo atto di ogni sua apparizione. Certamente non è come la pace che si augura il mondo, fatta di compromessi e di tentativi precari, è la pace del cuore che viene a coloro che, fidandosi di Dio, sanno che la sua opera di salvezza è già compiuta nei nostri confronti e quindi, in mezzo alle prove della vita, sono sicuri che Dio non solo non abbandona ma non delude, per cui la pace, il perdono, l’amore diventano, anche aldilà di alcune realtà che sembrano dire il contrario, l’unico modo manifestare il proprio credo ai fratelli.
Ma, sopra tutti questi temi, a me, fin da bambino, la figura che sempre più mi ha colpito in questa domenica, è quella di Tommaso. E, lungo gli anni, il modo di rapportarmi con questo apostolo, è mutato.
Quando ero giovane, anche sulla scia di tanti predicatori, vedevo Tommaso come un apostolo fellone, incredulo, testardo, figura di coloro che non volevano credere nonostante la testimonianza degli altri. Più avanti negli anni è diventato il modello di coloro che, con i piedi ben piantati sulla terra, per credere volevano tutte le prove. E in questo senso sono stato Tommaso per tanti anni, quando pensavo che filosofia e teologia avrebbero dovuto darmi risposte certe sull’esistenza di Dio, dove la scienza avrebbe dovuto comprovare e dove la storia, intesa come conoscenza esatta, avrebbe dovuto potermi dimostrare non solo l’esistenza di un certo Gesù ma anche la sua divinità e la sua risurrezione. Negli anni della maturità (speriamo sia arrivata!) Tommaso mi è sempre diventato fratello caro perché in Lui ho riscoperto tante caratteristiche mie ed anche perché vedo in Lui un modello di una fede che spererei di avere.
Intanto Tommaso non va relegato a questo solo episodio. E’ uno dei dodici, scelto e chiamato da Gesù. E’ un personaggio tutt’altro che fellone o pauroso; solo pochi giorni prima della passione di Gesù, l’evangelista Giovanni che oggi ce lo presenta come dubbioso, lo aveva presentato come uno abbastanza ardimentoso: Era stato proprio lui, infatti ad incoraggiare gli altri ad andare con Gesù in Giudea, "a morire con Lui" nel momento in cui Gesù aveva deciso di recarsi a Betania per far risorgere Lazzaro. Ora, invece, Tommaso ci svela un altro aspetto della sua personalità, quella di un uomo non facilmente disposto ad accettare ciò di cui non ha fatto personale esperienza. "Finché non vedo… non credo". Quante volte, in forme più o meno simili si ripeterà questa frase lungo i secoli. Probabilmente l’abbiamo ripetuta anche noi in diverse situazioni.
Ma c’è anche un altro motivo che giustifica questo atteggiamento di Tommaso. La sua "incredulità" è dovuta anche al fatto che Lui è rimasto solo, fuori del gruppo. Gli altri hanno visto Gesù, lo hanno sentito, hanno mangiato insieme con Lui, hanno sentito Gesù che spiegava la sua morte e risurrezione attraverso la Sacra Scrittura, lui no, lui non c’era e.. fidarsi di questi compagni è ancor più difficile che fidarsi delle promesse di Gesù non comprovate dall’esperienza personale.
Anche per questo Tommaso mi è estremamente vicino, Tommaso conosce bene i suoi compagni, sa che non sono stati migliori di lui, che tutti hanno tradito, che sono scappati, che sono facilmente suggestionabili, facili agli entusiasmi ma altrettanto facili alle delusioni: non è semplice fidarsi di loro!
E anche per me, se mi è infatti facile credere a Gesù quando incontro dei ‘santi’, quando vedo dei cristiani gioiosi che me lo annunciano, quando vedo alcuni di essi che spendono la propria vita a favore dei fratelli, quando vedo delle persone coerenti fino in fondo, mi è invece difficile credere quando mi ritrovo davanti ad una Chiesa che parla di povertà e vive nell’agio e nella ricchezza, che parla di servizio e poi nella sua gerarchia si esprime in gradi ed onorificenze esattamente come fa il mondo pagano, quando vedo preti che annunciano Gesù con meno entusiasmo di quando chiedono soldi per le strutture parrocchiali, quando incontro cristiani che in chiesa sono al primo banco e che nella comunità sono riveriti come maggiorenti che poi non sono capaci di perdono o di un gesto di carità che sia spontaneo e nascosto.
La Chiesa, la comunità cristiana, può far trasparire Gesù o può anche nasconderlo. E’ il mistero di un Dio che ha voluto affidarsi a degli uomini peccatori per essere annunciato.
A Tommaso poi non basta che gli altri dicano: "Abbiamo visto il Signore".
Egli vuole percorrere da solo l’avventura dell’incontro con Gesù. E questo se da una parte è un limite, penso sia un giusto desiderio: gli altri possono, devono mostrarci Gesù, possono e devono aiutarci ad incontrarlo, ma in ultima analisi finché non siamo noi ad incontrarlo personalmente, non arriviamo alla completezza di una risposta vitale di fede..
Se lo avete notato, Gesù, pur richiamando Tommaso ad aver fede, parte esattamente dalle sue esigenze: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani, stendi la tua mano e mettila nel mio costato". A questo punto il nostro caro Tommaso non ha più bisogno di "andare a toccare", ha visto, ha sentito, ha gioito personalmente, ha capito che il Risorto è proprio quello che hanno crocifisso. Ora non sono più le mani che devono constatare, neanche gli occhi che devono vedere, ora a parlare sono solo più le ginocchia e il cuore: "Signore mio e Dio mio!"
Avessi anch’io la tua fede, Tommaso. Una fede che diventa ricerca, una fede che si confronta ma che non si accontenta di quello che credono, dicono o fanno gli altri, una fede che sa conoscere i propri limiti, ma una fede che conosce la misericordia di Dio e si abbandona ad essa ed una fede che dopo che ha incontrato Gesù sa rientrare con semplicità e umiltà nel cammino di fede degli altri, una fede che si fonda sui segni della crocifissione: i chiodi e il cuore ferito aperto per un amore continuo agli uomini. Una fede così saprà allora esprimersi e continuando a far vedere agli altri i segni della passione e dell’amore, contribuirà a far capire che Gesù è il vivente, che Gesù è il senso della vita, che Gesù ci chiama a risorgere con Lui per sempre.
LUNEDI’ 23
San Giorgio; S. Adalberto
Parola di Dio: At .4,23-31; Sal. 2; Gv. 3,1-8
"NICODEMO ANDO’ DA GESU’ DI NOTTE." (Gv 3,1)
Nicodemo era un capo dei farisei, certamente un uomo stimato ed importante. Egli va da Gesù di notte. Forse ha fatto così per non farsi vedere dai suoi pari che certamente, come succederà in seguito, lo avrebbero o preso in giro o accusato, forse va di notte da Gesù per non compromettere ulteriormente Gesù con i capi, forse sceglie la notte anche perché c’è la notte dentro di lui.
Certamente Nicodemo ha intravisto delle luci, ha visto Gesù, i suoi miracoli. E’ un uomo di fede, aspetta la venuta del Messia, però la sua Legge, la sua posizione sociale, il suo mondo, gli dicono che forse Gesù può essere solo una falena notturna senza significato. Allora va a parlargli. Mi piace il temperamento di quest’uomo che, anche se di notte, va a cercare la verità.
Quante volte nella nostra vita, noi intravediamo qualcosa, ma poi, forse perché è troppo notte, forse perché abbiamo troppa paura, non abbiamo il coraggio di confrontarci con essa e ci nascondiamo nelle nostre tradizioni, nelle nostre abitudini, o peggio, nel nostro star comodi. Gesù si fa trovare ad ogni ora del giorno, ma Gesù è pronto a farsi incontrare anche ad ogni ora della notte. Se lo hai sentito bussare al tuo cuore, e se pur in esso c’è ancora notte, non perdere l’occasione di incontrarlo: potrà diventare per te luce e forza.
Infatti la cura di Gesù per Nicodemo è drastica e difficile ma lo porta a riscoprire l’essenza della fede e della vita.
Gesù scombina il modo di pensare di Nicodemo e nostro: per essere uomini non basta nascere uomini, non si diventa uomini neppure con la scuola, con le lauree o con il saper gestire la ricchezza e il potere, non si è automaticamente uomini neppure per il fatto di indossare veste e abitudini religiose. E invece uomini si diventa, pagando il prezzo di lunghe fatiche, dopo e all’interno di momenti di sofferenza. Dopo trafile di studi, e non soltanto sui libri. Sottoponendosi ad estenuanti sacrifici. Affrontando la tribolazione di esami (non solo scolastici) che non finiscono mai. Col rischio permanente di dover ricominciare da capo ogni volta che una prova va male.
Ma quello che diceva Gesù a Nicodemo, la rinascita che Lui chiede, va ancora oltre.
L’uomo da solo è già tanto se diventa uomo. Per diventare uomini nuovi occorre rendersi disponibili a lasciare operare qualcun altro in noi: lo Spirito Santo. Egli ha il potere di ridarci il nostro volto definitivo, quello di Figli di Dio, come Gesù. Solo quando si raggiunge questo si è veramente uomini, nella pienezza, come Dio si aspetta da noi.
Gesù dice che lo Spirito soffia, agisce quando e dove vuole. Allora il mio compito è soprattutto quello di rendermi disponibile. Se voglio nascere davvero a Figlio di Dio, il mio compito è guardare a Gesù e lasciare che lo Spirito Santo, poco per volta, mi faccia diventare come Lui: allora non sarà più notte.
MARTEDI’ 24
San Fedele da Sigmaringen; Sant’Erminio
Parola di Dio: At. 4,32-37; Sal. 92; Gv. 3,7-15
"TU SEI MAESTRO IN ISRAELE E NON SAI QUESTE COSE? ". (Gv. 3,10)
Quanti "maestri di Israele" troviamo sul nostro cammino! Gente che si impalca a maestro, gente che ha sempre una risposta sul come dovrebbero comportarsi gli altri, ignoranti saccenti che perché hanno rapinato da pappagalli una laurea pensano di essere gli unici a capire il mondo e la vita. E più sali nella società delle ‘persone bene’ e del denaro trovi ignoranti e povere persone che si credono di essere dottori, maestri, teologi…
Gesù ci invita all’umiltà vera.
Non basta essere "maestri in Israele" per entrare nel Regno di Dio, non basta conoscere a menadito la Sacra Scrittura, la teologia per entrare nel mistero di Dio, non basta "sapere" e "dire" tante preghiere per entrare in comunione con Dio.
Man mano che gli anni passano mi accorgo di "sapere" sempre meno. Già di per sè è grande la non conoscenza: sono molte di più le cose che non conosciamo del poco di cui abbiamo vaghe nozioni.
All’epoca del seminario e nei primi anni di sacerdozio pensavo alla teologia come una scienza perfetta, totale. Credevo anche, come prete, di dover dare sempre risposte precise, esaustive a tutti i problemi di vita e di fede. Oggi mi accorgo di avere più interrogativi che risposte, di fare più tentativi che non seguire strade sicure, di cercare più l’abbandono fiducioso nel mistero che non presupporre idee sicure, di contare più sulle risorse presenti nelle persone che non nei consigli che uno può dare dal di fuori.
Essere "maestro in Israele’ non sarà, forse, come Gesù suggerisce a Nicodemo, essere "discepolo", ma dello Spirito Santo?
MERCOLEDI’ 25
San Marco; Santa Franca; Sant’Evodio
Parola di Dio: 1Pt. 5,5-14; Sal. 88; Mc. 16,15-20
"RIVESTITEVI TUTTI DI UMILTA’ GLI UNI VERSO GLI ALTRI, PERCHE’ DIO RESISTE AI SUPERBI, MA DA’ GRAZIA AGLI UMILI". (1Pt. 5,5)
Mi sono chiesto tante volte che cosa sia l’umiltà.
Ne ho avute tante di definizioni, da chi la confonde con la vigliaccheria, a chi si nasconde dietro ad essa per non prendersi degli impegni o per non affrontare una ricerca difficile, fino a quella "umiltà pelosa" che fa dire a qualcuno: "Io non valgo niente" perché gli altri gli possano dire: "Ma no, non è vero!".
Un autore, Anthony Bloom ne dà una bella definizione, dice:
"L'umiltà è la condizione della terra.
La terra è sempre lì. Nessuno se ne meraviglia. Nessuno le bada. Tutti la calpestano. La terra è il luogo che accoglie ogni sorta di avanzi, di rifiuti. E' lì, silenziosa: accetta tutto e trasforma in ricchezza nuova tutti questi detriti in decomposizione. Riesce a trasformare addirittura la corruzione stessa in fermento di vita nuova, recettiva al sole, recettiva alla pioggia, pronta a ricevere qualsiasi seme...".
Ma, come cristiani se andiamo ancora più avanti nella nostra ricerca scopriamo che l’umiltà vera è quella di Gesù, il quale essendo Dio, si è fatto uomo e "umiliò se stesso fino alla morte e alla morte di croce", e tutto questo lo ha fatto senza rinnegare la sua divinità e per amore concreto per Dio e per gli uomini.
Allora, forse, umiltà è amore incondizionato alla Verità, è riconoscere la grandezza di Dio, è apprezzare e utilizzare i doni di Dio, è ricercare ma fidarsi di più di chi ricerca te, è non giudicare perché ogni giudizio è di Dio, è perdonare perché Dio è misericordia e perdono. Umiltà è quella di Maria, di Giuseppe che fanno tutto quello che Dio chiede loro, senza troppi interrogativi, ma abbandonandosi a Lui, è quella di S. Marco che ricordiamo oggi e che scrive il suo Vangelo senza la pretesa di essere perfetto, di dire tutto di Gesù, ma offrendo la sua penna al Regno di Dio lasciando che lo Spirito Santo faccia il resto.
GIOVEDI’ 26
San Marcellino; San Pellegrino Laziosi; B. Alda di Siena
Parola di Dio; At. 5, 27-33; Sal. 33; Gv. 3, 31-36
"IL PADRE AMA IL FIGLIO E GLI HA DATO IN MANO OGNI COSA" (Gv. 3,35)
Spesso noi cristiani ci comportiamo da sciocchi. Cerchiamo la verità su di noi, sul mondo, sulle cose e spaziamo in mezzo a filosofie, religioni, superstizioni, fantasie di uomini mentre Gesù di cui portiamo il nome ci ha detto di essere Lui la Via, la Verità, e la Vita.
Non che la scienza, la ricerca umana non abbiano anch’esse una parte di verità, ma non è assurdo avere una fonte di acqua purissima e trascurarla per andare ad abbeverarsi a delle pozzanghere?
Dio, il Creatore, il Signore, il Mistero inaccessibile, "ha amato il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa" e il Figlio per volontà di Dio e per amore degli uomini si è incarnato perché noi, in Lui potessimo avere "e grazia su grazia".
Cerchi Dio? E’ Gesù che ti mostra il suo volto.
Cerchi la verità sull’uomo? E’ Gesù l’uomo - Dio che può risponderti.
Cerchi il senso del tuo vivere? E’ Gesù che nell’amore per Dio, per il prossimo ti dà una chiara risposta.
Cerchi un comportamento di vita? Guarda a come si è comportato Gesù, ed imitalo, farai piacere a Dio e realizzerai la tua gioia.
E siamo sciocchi anche per un altro motivo.
Quando abbiamo bisogno di qualcosa e vogliamo cercare di ottenerlo, noi ci ingegniamo di ricercare chi possa intercedere per noi per avere quel dono ma, senza nulla togliere agli angeli e ai santi ‘specializzati per determinate richieste’, perché non ci rivolgiamo direttamente a Gesù che conosce molto bene la nostra realtà umana con tutti i suoi bisogni e che sa anche perfettamente quale sia il nostro vero bene?
Provate a pensare alla saggezza della Chiesa che nei secoli ha sempre terminato ogni preghiera di lode, di offerta, di richiesta con le parole : "Te lo chiediamo per Cristo, nostro Signore…".
VENERDI’ 27
Santa Zita; San Liberale; B. Elisabetta Vendramini
Parola di Dio: At. 5,34-42; Sal. 26; Gv. 6,1-15
"DISSE GAMALIELE: SE QUESTA DOTTRINA E’ DI ORIGINE UMANA VERRA’ DISTRUTTA; MA SE VIENE DA DIO, NON RIUSCIRETE A SCONFIGGERLI; NON VI ACCADA DI TROVARVI A COMBATTERE CONTRO DIO." (Atti 5, 38-39)
Il Sinedrio non sa più che pesci prendere.
Hanno cercato in tutti i modi di eliminare Gesù e i suoi e si trovano sempre più invischiati in questa nuova ‘eresia’: hanno crocifisso Gesù, e questi dicono che è vivo. Hanno cercato di far star zitti gli apostoli e questi, pur essendo dei poveracci continuano nella loro predicazione. Li hanno bastonati, imprigionati e i ceppi delle catene sono saltati dai loro piedi, le porte delle prigioni si sono misteriosamente aperte. Se gli Apostoli non sono dei bravi predicatori, poi, parlano per loro i miracoli che li accompagnano.Che cosa fare?
E come sempre c’è l’ala intransigenti, i mastini della verità, coloro che si sentono autorizzati da Dio a difendere la supposta ortodossia. Essi sono per le maniere forti: "Estirpiamo l’eresia uccidendo gli eretici".
Interviene invece un saggio maestro di Israele richiamando il principio che se una dottrina viene da Dio è meglio non opporsi ad essa.
Questo principio dovrebbe essere accolto sempre anche nella Chiesa gerarchica e tra noi cristiani.
Spesso pensiamo che bisogna togliere la mela marcia affinché non faccia marcire le altre, ma questo principio ha guidato la caccia alle streghe, gran parte dell’Inquisizione e ancora molte persecuzioni odierne con il risultato di non togliere il male ma di macchiarsi di male.
Il bene e il male col tempo vengono alla luce da soli.
Il male da solo si uccide, il bene col tempo e la sofferenza trionfa perché ha in sé la forza di Dio.
Anche davanti a certe odierne manifestazioni di religiosità o a presunte apparizioni o a certi gruppi che ci lasciano perplessi per le loro scelte, credo che l’atteggiamento migliore sia proprio questo.
D’altra parte, non aveva già detto proprio Gesù: "Li riconoscerete dai loro frutti"? E i frutti non sempre sono immediati, bisogna attendere la stagione giusta, e non sempre, poi, vanno giudicati dall’apparenza, ma dalla sostanza.
SABATO 28
San Pietro Chanel; S. Luigi G. de Montfort.; B. Gianna Beretta M.
Parola di Dio: At. 6,1-7; Sal. 32; Gv. 6,16-21
"MA EGLI DISSE LORO: SONO IO, NON TEMETE". (Gv. 6,20)
Gli apostoli sono soli. E’ notte. C’è vento forte sul mare.
Sembra la descrizione esatta di certi periodi della nostra vita.
Gli amici se ne sono andati. La malattia è venuta a trovarti. I tuoi progetti migliori sembrano essere vani. E per di più è notte. Non vedi nulla. Ti assalgono mille paure, mille dubbi e anche: "Gesù non era ancora venuto da loro". Magari lo hai anche chiamato, ma sembra non sentirti, addirittura non esserci.
Ma può Dio abbandonare la sua creatura?
Però l’intervento di Dio non avviene sempre come ce lo siamo immaginato o come lo desidereremmo.
Vedere Gesù che cammina sull’acqua dei mare in tempesta mette paura agli apostoli: sono davanti ad un fatto che supera le loro capacità. Gesù aveva moltiplicato il pane per le folle e si era manifestato come Messia attento al suo popolo, ma qui si manifesta superiore ad ogni condizionamento della natura superando le leggi naturali.
Tutto quello che non rientra nelle nostre conoscenze ci lascia perplessi, timorosi, increduli. La fede è un salto nel buio, un fidarci di Qualcuno superiore a noi del quale non si può conoscere e comprendere tutto. Ma se noi superiamo la perplessità, la paura, colui che ci viene incontro in modo tanto misterioso è colui che vuol salire sulla nostra barca per calmare le acque tumultuose e portarci "rapidamente" a riva.
Ecco, infatti, la parola rassicurante di Gesù: "Non temete, sono io".
Il Signore non lascia soli coloro che gli vogliono essere fedeli, conosce il cuore dell’uomo, così facile agli entusiasmi ma anche così incostante nella fede. Offre sempre la sua parola, non dice magari molto, anzi a volte il buio rimane, ma in quel buio c’è una presenza amica, che stimola a non perdersi d’animo, a insistere nell’andare avanti.
DOMENICA 29
3^ Domenica di Pasqua anno C - Santa Caterina da Siena
Parola di Dio: At. 5,27-32.40-41; Sal.29; Ap. 5,11-14; Gv .21,1-19
1^ Lettura (At.5, 27-32. 40-41)
Dagli Atti degli Apostoli.
In quei giorni, il sommo sacerdote cominciò a interrogarli dicendo: "Vi avevamo espressamente ordinato di non insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell'uomo". Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avevate ucciso appendendolo alla croce. Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore, per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui". Seguirono il suo parere e, richiamati gli apostoli, li fecero fustigare e ordinarono loro di non continuare a parlare nel nome di Gesù; quindi li rimisero in libertà. Ma essi se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù.
2^ Lettura (Ap. 5, 11-14)
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni Apostolo.
Io, Giovanni, vidi e intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce: "L'Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione". Tutte le creature del cielo e della terra, sotto la terra e nel mare e tutte le cose ivi contenute, udii che dicevano: "A Colui che siede sul trono e all'Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli". E i quattro esseri viventi dicevano: "Amen". E i vegliardi si prostrarono in adorazione.
Vangelo (Gv. 21, 1-19)
Dal vangelo secondo Giovanni.
In quel tempo Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: "Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla. Quando gia era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: "Figlioli, non avete nulla da mangiare?". Gli risposero: "No". Allora disse loro: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: "E` il Signore!". Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: "Portate un po’ del pesce che avete preso or ora". Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatrè grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: "Venite a mangiare". E nessuno dei discepoli osava domandargli: "Chi sei?", poiché sapevano bene che era il Signore. Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce.
Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti. Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci i miei agnelli". Gli disse di nuovo: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci le mie pecorelle". Gli disse per la terza volta: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene?". Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene". Gli rispose Gesù: "Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi". Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: "Seguimi".
RIFLESSIONE
Abbiamo sentito leggere un episodio del Vangelo molto lungo e ricchissimo di spunti di riflessione, proverò a ripercorrerlo con voi perché ciascuno possa attualizzare per se stesso e per questa settimana ciò che Gesù ha in mente di suggerirgli.
Occorre anzitutto una piccola nota tecnica: se noi leggiamo corsivamente il Vangelo di Giovanni troviamo che esso ha una conclusione al capitolo 20, poi vi troviamo il capitolo 21 che sembra essere una aggiunta posteriore (ed è il capitolo del brano odierno) quasi che Giovanni, o un suo discepolo si fossero accorti che mancava qualcosa. Questo ci mette all’erta in quanto comprendiamo che in questo capitolo deve essere espresso qualcosa di importante per la Chiesa primitiva, infatti possiamo leggere questo brano come un progetto di cammino della Chiesa e come fondamento del primato di Pietro legato al perdono di Gesù e alla richiesta di amore e di servizio a colui che avrà il compito dell’autorità.
Provo a rileggere riflettendo con voi.
"Gesù si manifestò sul lago di Tiberiade".
Mentre le altre apparizioni sono avvenute sempre nel "primo giorno della settimana" qui siamo in un giorno feriale, mentre le altre apparizioni sono "nel chiuso del Cenacolo" questa avviene all’aperto, sulle rive di quel lago che hanno visto la chiamata degli apostoli e la predicazione iniziale del maestro contornata dai suoi ‘segni’, i miracoli.
Che siamo in un giorno feriale ci viene anche indicato dal fatto di Pietro che decide di tornare al suo vecchio mestiere: "Io vado a pescare".
Proviamo a riflettere su questi fatti. Il giorno del Signore, il primo della settimana, la domenica è importantissimo nella vita della comunità: è il giorno della memoria, della lode, dell’Eucaristia, della preghiera, dell’ascolto, ma non deve fermarsi tutto lì, il cristiano deve poter incontrare il risorto nel tessuto quotidiano, feriale, della propria vita, all’aperto, anche nel proprio ambiente di lavoro perché il Risorto è vivo e ti attende in ogni momento e in ogni luogo, se hai occhi e cuore per incontrarlo.
Il fatto che Pietro e i suoi amici tornino al mestiere di pescatori di pesci può stupirci, tanto più che avevano già per due volte constatato di persona la risurrezione di Cristo. Questo fatto non vorrà allora forse sottolineare una tentazione costante nella vita della Chiesa, quella di pensare di poter fare da soli? Mi sembra che questo sia suggerito dal fatto che la pesca avviene "di notte". Quando Giuda uscì per andare a vendere Gesù : "era notte", quando Pietro rinnega Gesù: "era notte". E’ notte tutte le volte che la Chiesa pensa di cavarsela da sola, con i propri compromessi, con il potere, con le forze dovute al denaro e al possedere, con l’uso della forza e della violenza,. E’ notte tutte le volte che penso di essere io a salvare il mondo, che voglio organizzare io la carità nei confronti del prossimo, che voglio decidere io su che cosa sia il bene per il mio prossimo, tutte le volte in cui suppongo di cavarmela da solo e senza Gesù. Infatti in quella notte gli apostoli non pescano nulla, cioè non basta neanche conoscere bene un mestiere per essere sicuri, senza Gesù, del risultato.
"Quando era già l’alba" appare Gesù. La notte si dissipa con la venuta del Signore. E’ lui l’alba nuova, l’umanità nuova, è Lui l’inizio della nuova creazione, a Lui, come ci ha ricordato proprio oggi il libro dell’Apocalisse: "lode, onore, gloria e potenza nei secoli dei secoli". Però, nonostante l’alba gli occhi degli apostoli ancora non lo riconoscono: sono ancora tutti intenti a pensare di salvare il mondo da soli! Ebbene, Gesù non disprezza il lavoro degli apostoli, ma vuole dare ad esso il suo vero senso e allora, proprio Lui, il Signore, chiede se hanno qualcosa da mangiare. Capiremo subito dopo che di per sé non ne aveva bisogno in quanto quando i discepoli arriveranno c’è già del pesce ad abbrustolire al fuoco, ma Gesù, come sempre, inizia a chiedere qualcosa, la chiamata di Pietro non era forse iniziata, proprio sulle rive di quel lago con la richiesta da parte di Gesù a Simone affinché gli prestasse la barca per poter parlare alle folle?
Con l’indicazione precisa di Gesù, finalmente, quegli esperti pescatori che non avevano preso nulla, riescono a pescare 153 grossi pesci. (come mai ricorderanno anche il numero dei pesci? Perché questo era il numero di specie di pesci conosciuto nel mondo di allora e quindi vuol dire che la pesca miracolosa è la totalità della pesca). La Chiesa, noi, solo con Gesù raggiungiamo lo scopo di annunciare agli altri, di testimoniare agli altri, di "pescare" gli altri.
A questo punto gli occhi di qualcuno cominciano ad aprirsi e, notiamolo ancora una volta, il primo che riconosce Gesù non è Pietro, il capo della Chiesa, l’autorità, ma Giovanni, l’innamorato. Qualcosa di simile era già successo il giorno di Pasqua, quando Pietro e Giovanni, spronati dalla notizia portata dalle donne, si misero a correre verso il sepolcro vuoto di Gesù: primo arrivò Giovanni (l’amore), poi col fiato più grosso Pietro (l’autorità). Autorità e amore hanno vicendevolmente bisogno l’uno dell’altro, ma l’autorità nel campo della fede non sussiste se non si fonda sull’amore. Pensiamo anche solo alla risposta di Pietro ai sommi sacerdoti nella prima lettura di oggi: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini". Pietro, spronato dall’amore e dal suo carattere impetuoso, si trova meglio a nuoto che non nelle corse e questa volta arriva per primo dal Risorto.
"Venite a mangiare" sono le prime parole di Gesù. Che bella una Chiesa che per primo gesto, invece di offriti ragionamenti, discussioni, filosofie o teologie, norme morali e codici di comportamento, che anziché di giudicarti, studiarti, ti invita a stare insieme, a mangiare insieme. Gesù si fa cuoco, invita a mangiare non solo per dimostrare concretamente che il risorto non è un fantasma, ma mangia e beve, ma invita alla cordialità, alla fraternità, al saper gioire anche delle cose umane. Quanto sarebbe bello se ci fosse più umanità in certi preti, se prima di essere esperti di teologia fossero esperti di umanità, come sarebbe bello che certi gesti di carità che ci sono nelle comunità e sono il frutto di tanto amore fossero però offerti con un sorriso, con calore…
E la mancanza di spazio e di tempo ci fa arrivare subito al cosiddetto "Primato di Pietro". Pietro nonostante il suoi rinnegamenti viene stabilito da Gesù capo della Chiesa. Gesù sa benissimo che Pietro e i suoi successori saranno ancora deboli, peccatori, bisognosi di aiuto, ma Lui si fida, chiede una cosa sola, di amare tanto Lui per poter pascere gli agnelli e le pecorelle. Questo vuol dire che l’autorità di Pietro è valida quando è fondata sull’amore totale per Gesù, questo amore che dovrà spingere Piero ad amare fino al martirio e che fa dire, sempre nel brano degli Atti degli apostoli letto oggi che gli apostoli, fatti fustigare dal Sinedrio, "se ne andarono lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù".
L’autorità del Papa ed ogni autorità nella comunità dei cristiani viene da Gesù quando c’è vero amore per Lui e quando è vero servizio per i fratelli. La storia della Chiesa e delle comunità cristiane ce lo testimonia ogni giorno: tutte le volte che fondiamo l’autorità sul potere, sullo scimmiottare i poteri terreni, abbiamo combinato e combiniamo guai profondi, Cristo se va, resta solo la brutalità di uomini che vogliono consolidare se stessi; ogni volta che si pensa davvero al prossimo con la delicatezza del pastore che è attento agli agnellini, ai più deboli si percorre la strada di Gesù. Per arrivare all’uomo di oggi spesso frastornato da troppe cose, occorre soprattutto la bontà, quella di Gesù che si fa tutto per noi.
LUNEDI’ 30
S. Pio V°; S. Giuseppe B. Cottolengo; S. Sofia di F.
Parola di Dio: At. 6, 8-15; Sal. 118; Gv. 6,22-29
"VOI MI CERCATE PERCHE’ AVETE MANGIATO QUEI PANI E VI SIETE SAZIATI. PROCURATEVI NON IL CIBO CHE PERISCE, MA QUELLO CHE DURA PER LA VITA ETERNA". (Gv. 6,26-27)
Gesù non si illude di aver raggiunto il suo scopo di evangelizzazione al vedere che le folle lo ricercano, sa benissimo che molti sono lì solo perché hanno mangiato gratis quando Lui ha moltiplicato pani e pesci, sa anche che molta gente va da Lui non tanto per fede quanto per desiderio di miracoli, di straordinario.
E il rischio è lo stesso anche oggi: cercare una religione per assicurarsi un paradiso, andare da Gesù quando si ha bisogno di una grazia, sperare in un Signore che risolva Lui i nostri problemi, che con qualche bel miracolo ci tolga dai nostri fastidi.
Gesù non è un’agenzia di assicurazioni, un mago buono e neanche uno che si possa comprare con qualche preghiera o con qualche raccomandazione.
Paradossalmente Gesù rimprovera quella gente sfamata, perché non ha più fame. Ossia non ha fame di qualcos’altro.
La mancanza di appetito è sempre un segno preoccupante per la salute fisica o morale di una persona. Gesù è come se ci dicesse: "Comincia a preoccuparti quando ti senti saziato dalle cose, dal denaro, dal successo e invece non senti più il desiderio del bello, del giusto, di Dio. Devi preoccuparti perché stai perdendo una delle cose costituzionali dell’uomo stesso: il desiderio di andare avanti, la misura dei propri limiti, la frontiera della speranza".
Se noi ci accontentiamo delle cose, del potere, del successo vuol dire che soffriamo di inappetenza, vuol dire che abbiamo rinunciato allo spirito stesso dell’uomo. Gesù ce lo ricorderà chiaramente quando ci dirà che: "Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio".
E’ solo assecondando questo stimolo che partirai alla ricerca, che scoprirai che da solo non puoi saziare quella fame e che allora avrai l’umiltà di chiedere: "Signore, dacci sempre questo pane!".