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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

MARZO 2001

 

GIOVEDI’ 1

Sant’Albino, Santa Eudossia; Santa Nina

Parola di Dio: Dt. 30,15-20; Sal. 1; Lc. 9,22-25

 

"CHE GIOVA ALL’UOMO GUADAGNARE IL MONDO INTERO, SE POI SI PERDE O ROVINA SE STESSO?" (Lc. 9,25)

Quaresima: tempo di riflessione e di scelte. Ecco una occasione importante, quella che ci viene offerta dalle letture della Parola di Dio di oggi.

Dal libro del Deuteronomio ci viene ricordato che davanti a noi si aprono due strade, quella del bene e quella del male; nel Salmo 1, attraverso l’immagine dell’albero rigoglioso che cresce sulla riva del fiume e quella della pula dispersa dal vento, ci vengono ricordate le conseguenze delle scelte del giusto e dell’empio, e Gesù, nel Vangelo, ci parla di ‘mondo’ e di ‘anima’ quasi mettendoli in opposizione l’uno con l’altro.

In teoria noi siamo ‘cristiani’.

Abbiamo ricevuto il Battesimo fin da piccoli, siamo cresciuti in un ambiente, almeno esteriormente, ancora impregnato di valori cristiani, in fondo siamo abbastanza onesti, non rubiamo (almeno per quanto riguarda il furto classico e la rapina), non uccidiamo (almeno con le armi, la lingua, magari, è un’altra cosa), siamo abbastanza ben educati da sapercela cavare nei rapporti con gli altri, siamo (almeno in certe occasioni) abbastanza generosi...dunque, dovremmo essere dalla parte dei buoni!

Eppure, senza negare le cose buone che, grazie a Dio, abbiamo o riusciamo a compiere, chiediamoci: per che cosa corro nella vita, o meglio, per chi corro? Gesù sintetizza: corri per il mondo o per Dio?

Se scopro che per Dio sono disposto a giocarmi tutto, sentimenti, denaro, salute, faccia, anche se con tante debolezze,… allora corro veramente per Lui, ma se il denaro, il successo, il potere sono ancora più importanti di Dio nelle mie scelte, se abitualmente penso prima al portafoglio piuttosto che a Dio e ai miei fratelli, se seguo la corrente, spesso anche non molto onesta, dei luoghi comuni e dei modi di fare per essere sulla cresta dell’onda, per ottenere un applauso o un avanzamento, se faccio di tutto per ottenere un ruolo che mi permetta di avere con il comando ciò che desidero, sono ancora "pula che il vento disperde" in quanto queste cose, che oggi ritengo così importanti, svaniranno e io mi ritroverò con il mio vuoto.

Qualcuno dirà: "Ma è difficile! Gesù è così totalitarista, così esigente…" Però, hai mai pensato che se scegli Lui, tu non solo rinunci a qualcosa ma trovi il Suo ed il tuo tutto? Hai Colui che fin d’ora ti accompagna nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore. E’ vero, i soldi, in certe circostanze, servono, il potere può aiutarti ma, davanti alla prova che cosa possono fare? Gesù, invece ti aiuta già fin d’ora a gioire e ti dà la sua forza nel soffrire, senza contare che stare con Lui, ora, significa abituarci a stare con Lui per tutta l’eternità.

 

 

VENERDI’ 2

San Quinto il Taumaturgo

Parola di Dio: Is. 58,1-9; Sal. 50; Mt.9,14-15

 

"IL DIGIUNO CHE IO VOGLIO E’ SCIOGLIERE LE CATENE INIQUE, TOGLIERE I LEGAMI DEL GIOGO, RIMANDARE LIBERI GLI OPPRESSI, DIVIDERE IL PANE CON GLI AFFAMATI, INTRODURRE IN CASA I SENZA TETTO, VESTIRE CHI E’ NUDO, SENZA DISTOGLIERE LO SGUARDO DALLA TUA GENTE." (Is. 58,6-7)

Possono essere molti i motivi per cui si decide un atto penitenziale come il digiuno.

Può essere la consapevolezza del proprio peccato che si manifesta attraverso questo gesto, quasi a voler dire a Dio con la nostra rinuncia che stiamo già pagando un po’ per il male che abbiamo commesso; può essere, come suggerisce Gesù nel Vangelo di oggi, il manifestare il nostro desiderio che Gesù ritorni e venga a colmare ogni nostra fame e sete. A questi motivi, validi, vi è spesso il rischio che se ne aggiungano di quelli più ipocriti, ad esempio: "Con il mio digiuno mi faccio dei meriti, mi tengo Dio buono" oppure: "Dimostro a me stesso quanto sono forte e bravo!" oppure, come mi confidava una ragazza: "Fare un po’ di digiuno non è poi così terribile, e, alla fine, anche la linea ci guadagna".

Ma, Dio che cosa se ne fa dei nostri digiuni?

Un digiuno, per essere valido, deve servire soprattutto a noi e al nostro prossimo, allora sarà anche gradito a Dio.

Un digiuno può servirmi, ad esempio, a capire quante cose ho. Noi che siamo sempre capaci di desiderare e chiedere di più, ci accorgiamo in questa occasione di quanto abitualmente abbiamo. Io rinuncio a qualcosa, ma i due terzi dell’umanità il digiuno lo fanno abitualmente. Se scopro questo, allora il digiuno porta alla gioia del dire grazie e del condividere. Non digiuno per risparmiare, per accumulare di più (il digiuno degli avari), per mangiare con più gusto domani, digiuno per dire grazie, ma anche per dividere il mio tanto con il poco degli altri.

E allora scopriamo che il digiuno non è solo astenersi da qualche cibo.

Ci può essere, ad esempio, il digiuno della lingua per non tagliare i colletti al mio prossimo, il digiuno dal rumore per poter ascoltare di più i miei fratelli, il digiuno degli occhi per poter rispettare di più le persone e per imparare a vedere il bello e il bene, un po’ di digiuno da televisione e computer o da tutte quelle cose che "solo io so fare bene" per essere un po’ più disponibile alle persone con cui vivo…

 

 

SABATO 3

Santa Cunegonda; San Marino di Cesarea; S. Camilla

Parola di Dio: Is. 58,9-14; Sal. 85; Lc. 5,27-32

 

"IO NON SONO VENUTO A CHIAMARE I GIUSTI, MA I PECCATORI A CONVERTIRSI". (Lc. 5,32)

A seconda della disposizione d’animo con cui l’accogliamo, questa frase di Gesù nel Vangelo di oggi, può essere una buona o un’infelice notizia.

Se noi pensiamo di essere buoni, di non aver colpe da cui essere perdonati, storceremo il naso davanti a Gesù che dice di essere venuto per i peccatori: "Il Messia viene per gli osservanti, per coloro che gli sono fedeli, per il resto dei buoni del popolo di Israele, come può allora interessarsi a quella genia di peccatori, di collaborazionisti col nemico, di gente non religiosa?".

E ancora oggi, nella pratica, per molti è così: "Dio è sì, per tutti, ma i ladri e i rapinatori bisogna metterli al muro; gli stranieri? Se ne stiano a casa loro a morire di fame e di inedia, ci sono abituati; figuriamoci se Dio viene per gli zingari o per quei drogati per i quali andrebbe bene solo una siringa di stricnina".

Per queste persone che si considerano estremamente ligie, il Vangelo, questo Vangelo, non è più una buona novella, ma una palese ingiustizia nei confronti dei ‘buoni’.

Se io, invece, riconosco la mia debolezza, il mio egoismo, i miei peccati nei confronti di me stesso, della vita, del mio prossimo, le mie grettezze nei confronti di Dio, sento queste parole di Gesù come un annuncio gioioso: "Dio non solo non si è ancora stancato di me o di questo nostro povero mondo, ma ha mandato suo Figlio proprio per me e per tutti coloro che ne sentono il bisogno.

Io, da solo, non riesco a superare certi miei limiti, non posso neppure dire a Dio: <<Questo non lo farò più>>. E il Figlio di Dio viene a dirmi che ciò che è impossibile agli uomini non è impossibile a Dio, che i miei peccati, anche fossero scarlatto, diventeranno bianchi come la neve".

E questo annuncio gioioso per me diventa anche quello che mi apre ai miei fratelli: "Se Dio è così generoso nei miei confronti, se perdona i miei peccati, supera i miei limiti, posso io essere giudice di mio fratello, posso bollare gli altri con i miei pregiudizi e con gli stereotipi comuni, posso chiudere le porte, ghettizzare, considerare carne da macello certo mio prossimo?".

La buona notizia è per me e per loro.

Gesù è alla nostra ricerca, come il Buon Pastore che ha lasciato il suo gregge per mettersi alla ricerca della pecorella smarrita. Occorre solo farsi trovare per poter essere accolti dalle sue braccia misericordiose.

 

 

DOMENICA 4

1^ DOMENICA DI QUARESIMA (Anno C)  -  San Casimiro; San Lucio I°

Parola di Dio: Dt.26,4-10; Sal. 90; Rm. 10,8-13; Lc.4,1-13

 

1 ^ Lettura (Dt. 26, 4-10)

Dal libro del Deuteronomio.

Mosè parlò al popolo, e disse: "Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all'altare del Signore tuo Dio e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore tuo Dio: Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi, e ci condusse in questo luogo e ci diede questo paese, dove scorre latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato. Le deporrai davanti al Signore tuo Dio e ti prostrerai davanti al Signore tuo Dio ".

 

2^ Lettura (Rm. 10, 8-13)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

Fratelli, che dice la scrittura? "Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l'invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato ".

 

Vangelo (Lc. 4, 1-13)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni; ma quando furono terminati ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: "Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane". Gesù gli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo". Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: "Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo". Gesù gli rispose: "Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai". Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: "Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano; e anche: essi ti sosterranno con le mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra". Gesù gli rispose: "E` stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo". Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato.

 

RIFLESSIONE

 

Siamo all’inizio della Quaresima. Purifichiamo questo nome e questo periodo da tutti quei falsi orpelli con cui un certo tipo di religiosità l’ha addobbata. Anzitutto Quaresima non è il tempo della tristezza. Se questo tempo ci conduce verso il ricordo vivo della passione di Cristo per noi e della sua risurrezione, anticipo della nostra, questo deve riempire il nostro cuore solo di speranza, di fiducia e di gioia. Non è tempo interminabile di penitenza ma riscoperta, nella serietà, di un cammino da fare che comprende anche il riconoscere le nostre colpe affinché esse possano essere perdonate. In questo cammino ci sarà guida Gesù stesso con la sua parola e i suoi sacramenti. Allora in questa prima domenica lasciamoci guidare da Lui nel deserto. Proprio all’inizio della sua vita pubblica, subito dopo il battesimo nel Giordano, "Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto". C’erano stati trent’anni di silenzio del Figlio di Dio, e ora che Dio si è manifestato a Lui e che i presenti hanno sentito la Sua voce indicarlo e dire: "Ascoltatelo!", ora che Gesù è "pieno di Spirito santo", va nel deserto. Perché il deserto? Perché il deserto è il luogo della precarietà, è il luogo dove la realtà viene sfrondata dalle apparenze, dove si deve badare all’indispensabile, dove sei costretto a misurarti con te stesso. Il deserto è libertà perché è austerità. Il deserto è il silenzio di tante cose inutili. E’ l’esperienza della povertà dell’uomo che si trova solo davanti a Dio. Ci vuole coraggio per scegliere il deserto. Specialmente oggi il mondo ha paura del silenzio, si preferisce il rumore, lo stordimento per nascondere le paure, i problemi non risolti, il rifiuto di pensare. In fondo, se guardiamo bene, il deserto è il luogo dove l’uomo può morire o maturare, dove la fede, messa alla prova, o cede o si fonda. E Gesù, nel deserto, anche Lui viene messo alla prova. A tutta prima può stupirci ma, pensandoci bene, proprio la sua scelta di essere in tutto simile a noi gli fa subire anche le nostre stesse prove. Quindi le tentazioni di Gesù sono modello ed esempio della tentazione a cui sempre l’uomo è sottoposto per maturare nella libertà la propria fede. Ma quali sono le tentazioni di Gesù? Proviamo ad esaminarle con attenzione per capire quali sono i rischi della fede, i pericoli da cui ognuno di noi deve cercare di difendersi, le armi con cui combatterle e vincerle. Gesù aveva passato un periodo di digiuno, anche ricordando i quarant’anni di peregrinazione del popolo di Israele nel deserto prima di giungere alla terra promessa, ora avverte i morsi della fame. Il tentatore gli si avvicina ed insinua: " Se sei il Figlio di Dio, ordina che queste pietre diventino pane". L’insidia è chiara: Gesù avrebbe dovuto "farsi un miracolo" per procurarsi il cibo. Sembra una richiesta banale, innocente. Dietro ad essa, invece, c’è una paurosa falsità: c’è l’idea che l’unico problema dell’uomo consista nel risolvere al meglio le richieste della propria fisicità, nel soddisfare i suoi bisogni immediati, il pane, il vestito, il denaro, il benessere… Gesù risponde di ‘no’. E’ falso ridurre l’uomo alle cose, allo stomaco. Il pane è importante, le cose possono anche giovare, ma l’uomo è qualcosa di più. Ci rendiamo conto che questa è ancora oggi una delle tentazioni più frequenti nel nostro mondo dove il metro di tutto sembra essere il denaro (che poi schiavizza l’uomo, il mangiare (che spesso lo uccide), il benessere (che fa dimenticare i valori). Per cui è più facile che ci preoccupiamo di star bene che non di fare il bene, di benessere più che di bene, di avere più che di essere e qualche volta, addirittura, viene usata la religione come copertura per nascondere i nostri egoismi quando ad esempio il nostro rivolgerci a Dio è unicamente per chiedere cose superflue o comodità dannose. Gesù rimette l’uomo nella sua giusta dimensione: l’uomo non è solo un tubo digerente, un usufruitore di beni materiali, l’uomo ha bisogno di "altri pani", ha da sfamare il suo spirito, il suo amore puro e sconfinato, la sua fame e sete di Dio. La seconda tentazione è quella del potere: "Ti darò tutto… se ti prostrerai dinanzi a me". Ritroviamo qui l’eco della prima tentazione raccontata dalla Bibbia: "Se mi ascolterete diventerete come Dio" E, da sempre, l’uomo ha cercato di demolire Dio per prendere il suo posto. Si è cercato, prima, di mettere la ragione al posto di Dio, poi il progresso. Il diavolo, in fondo, chiede a Gesù di non affaticarsi troppo, di lasciare la strada del sacrificio, della sofferenza, dell’amore e di prendere in mano il potere, di usare la forza, di assumere le tecniche della furbizia umana. E il diavolo continua a tentare tutti noi, ci dice che è bello il potere, che è meglio essere serviti piuttosto che servire che è la via più facile, più immediata quella da seguire per ottenere ciò che si vuole… Gesù dice di ‘no’: se l’uomo vuole realizzarsi e salvarsi, Dio deve essere al suo posto, cioè al centro. Gesù risponderà con la sua vita presentandosi umile, povero, debole, lieto di servire. E anche per noi l’unica strada di ‘potere’, oggi, per vincere il male è fidarsi di Dio ed essere umili. Nella terza tentazione, il diavolo propone a Gesù la strada del successo spettacolare, della strumentalizzazione della fede e della religione a fini particolaristici: "Buttati giù dal pinnacolo del tempio; atterra senza farti del male: tutti ti batteranno le mani". Quante volte nella vita di Gesù questa tentazione si è ripresentata! Ad esempio quando gli scribi e i farisei "cominciarono a discutere con Lui chiedendogli un segno dal cielo" o quando Erode, nei giorni della sua passione, si aspettava da Lui qualche miracolo, o quando, mentre è in croce, lo beffeggiano dicendo: "Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce e ti crederemo!". E’ questo il grande vizio di ieri e di oggi, quello di usare Dio, di sfruttarlo, ma senza amarlo. Il vero miracolo di Gesù sarà proprio quello di non scendere dalla croce, ma di continuare a fidarsi di Dio e di amare immensamente l’uomo. In questa nostra Quaresima o, se volete, nella quaresima della nostra vita, anche noi, tante volte, incontriamo il diavolo. Non si presenterà a noi con odori di zolfo o costumi rosso fuoco, ma queste sue tentazioni, magari cucinate in modo diverso, ma sempre uguali, ci verranno proposte. Sta a noi accettare o meno di costruirci con Dio o senza di Lui, di lasciarci portar via dalle cose o dal saperle usare come doni preziosi per noi e per gli altri, di preferire il rumore o il silenzio, di essere religiosi o di usare della religione, di scegliere il servizio o il potere. Cristo con la sua vita e il suo esempio ci sta davanti. Se ci sforzeremo di mettere i nostri piedi nelle sue orme passeremo anche noi attraverso le prove e la morte, ma per giungere alla risurrezione.

 

LUNEDI’ 5

Sant’Adriano di Cesarea; San Teofilo

Parola di Dio: Lv. 19,1-2.11-18; Sal. 18; Mt. 25,31-46

 

"QUANDO IL FIGLIO DELL’UOMO VERRA’ NELLA SUA GLORIA CON TUTTI I SUOI ANGELI, SI SIEDERA’ SUL TRONO DELLA SUA GLORIA". (Mt. 25-32)

Qualche volta nella vita, per capire bene il presente, è bene partire dal futuro, per indirizzare il cammino, guardare la meta.

Il Vangelo di oggi ci mette davanti alla solenne conclusione della storia: il giudizio universale.

Abituati a contemplare opere di grandi artisti (e chi non ha visto, almeno in fotografia, il giudizio universale di Michelangelo), i nostri occhi possono riempirsi della grandiosità della scena, della gioia dei beati, del terrore dei dannati… Per una volta lasciamo perdere l’effetto scenico e fermiamoci su alcuni particolari vitali per noi. Chi è il giudice? E’ Gesù, Colui che si è fatto piccolo, debole per noi, Colui che è stato condannato dal tribunale delle religioni e da quello del potere umano. Questa volta è Lui, il condannato che diventa giudice, ma anche Colui che è morto perdonando.

La materia su cui verte questo giudizio non è una sorpresa: la conosciamo già, si tratta del comandamento ‘nuovo’, quello dell’amore praticato in varie forme.

Il giudice riconoscerà suoi coloro che nella vita sono stati capaci di riconoscerlo, quindi Gesù, oggi non è lontano, ma vicinissimo. Il vero nostro peccato è quello di passargli accanto distrattamente, senza riconoscerlo.

Gesù ha i volti più comuni, più noti, Gesù si è identificato con ogni uomo sulla terra e noi spesso consideriamo gli altri o come potenziali nemici o persone di cui servirci, o gente anonima davanti alla quale tirar dritto.

Se mi rendo conto di questo, comprendo allora che non devo aspettare la fine dei tempi per il giudizio universale, quello non sarà che la ratifica di quanto ho incontrato, scelto, amato oggi. Ma c’è un modo particolare, una traccia, per poter riconoscere Gesù e amarlo?

Ce lo ha indicato Gesù stesso facendoci comprendere che Lui si trova là dove sono i bisogni fondamentali dell’uomo: l’alimentazione (l’affamato e l’assetato), il riconoscimento sociale (il forestiero e l’ignudo), la salute (il malato), la libertà (il carcerato). Se sapremo vedere queste povertà coniugate nei più svariati modi nella storia del prossimo, se in questi campi ci daremo da fare per i nostri fratelli, avremo riconosciuto Cristo, avremo ‘conquistato’ il nostro giudice che, nella sua misericordia, ora e alla fine dei tempi non potrà che dire: "Venite benedetti del Padre mio e ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo".

 

 

MARTEDI’ 6

San Colletta; Beata Agnese di Boemia

Parola di Dio: Is. 55, 10-11; Sal. 33; Mt. 6,7-15

 

"VOI DUNQUE PREGATE COSI’: PADRE NOSTRO…". (Mt. 6,9).

Non c’è cristiano che non affermi il valore della preghiera, ma poi, a pregare, è un’altra cosa.

Spesso ce la caviamo dicendo: "Non sono capace… Non so che cosa dire… Le formule mi addormentano…"

Se poi parliamo di preghiera comunitaria è ancora peggio. E’ facile sentir dire: "Io, in chiesa, con gli altri, non mi trovo. Sembriamo un gregge di pecore belanti… Nella preghiera preferisco sbrigarmela da solo, gli altri sono solo un impiccio…".

Se Gesù ci ha detto che per pregare non c’è bisogno di farsi vedere, non c’è bisogno neppure di moltiplicare le parole, quando ci insegna il Padre nostro, ci fa capire che questa preghiera è al plurale. Anche quando la recito da solo non posso fare a meno degli altri. Essere cristiano significa far parte di un popolo, di una famiglia, e prima ancora far parte dell’umanità.

Dio è Padre mio, ma è anche Padre di ogni uomo. Non posso mettermi davanti a Lui con la prerogativa dell’esclusiva. Entrare in comunione con Dio è entrare in comunione con i fratelli.

Se la preghiera è un dialogo, essa parte da Dio verso gli uomini e dagli uomini verso Dio, ma come Dio è per tutti gli uomini Padre, così, ognuno di noi, riconoscendo Lui tale, si riconosce fratello di ogni uomo. Il primo grande frutto della preghiera è dunque la carità e la fraternità verso ogni uomo.

E’ bello pregare con le mani giunte, ma questo non deve mai farci dimenticare che è ancora più bello pregare prendendosi per mano, appoggiandoci sulla fede gli uni degli altri.

Non posso fare a meno della preghiera individuale perché sono individuo, con un volto ‘unico’, un nome ‘unico’, conosciuto personalmente da Dio, devo dunque stabilire una relazione ‘unica’ con Lui, ma siccome sono anche un essere ‘comunitario’, sono solidale e corresponsabile con gli uomini.

Sono figlio, ma fratello.

Preghiera personale e preghiera comunitaria non sono in opposizione, sono complementari.

 

 

MERCOLEDI’ 7

Sante Perpetua e Felicita

Parola di Dio: Gn 3,1-10; Sal. 50; Lc. 11,29-32

 

"GIONA COMINCIO’ A PERCORRERE LA CITTA’ E PREDICAVA: ANCORA QUARANTA GIORNI E NINIVE SARA’ DISTRUTTA". (Gn 3,4)

Certamente è capitato a ciascuno di noi di incontrare qualcuno che ti avvicina e comincia a parlarti dell’imminenza della fine del mondo e del bisogno di prepararsi ad essa magari convertendosi a Gesù.

E se, quando ci capita, facciamo bene a prendere le distanze specialmente da certe forme di esaltazione religiosa o da certi menagramo che vivendo sulle paure altrui poi ci speculano sopra, non possiamo fare a meno di accogliere il messaggio alla conversione.

Gesù stesso constata che anche la sua generazione è malvagia.

Quando in una generazione non si rispetta la vita, si uccide ancor prima della nascita, durante la vita per pochi denari, nella vecchiaia per togliere l’impiccio, se in essa non si rispettano i bambini e gli ultimi, se esiste ancora la schiavitù per il sesso e per il denaro, se per Dio non c’è più posto, davvero la generazione è malvagia.

E quale segno potrà servire a generazioni come questa? Forse quello di qualche miracolo grandioso?

Gesù offre alla sua generazione il segno di Giona.

Questo segno è duplice. Giona era fuggito davanti all’incarico che Dio gli aveva affidato ma era finito nel ventre di un cetaceo per "tre giorni" e poi era stato risputato proprio sulla spiaggia di Ninive, la città a cui Dio lo aveva mandato. E allora Giona si era messo a predicare affinché la gente si convertisse.

Alla generazione di Gesù e alla nostra viene dato il duplice segno di Giona.

Gesù, al contrario di Giona, ha accettato la missione affidatagli dal Padre e questa lo ha portato sulla croce, ma tutto non è finito lì: dopo "tre giorni" nel sepolcro, Gesù è vivo.

Il segno per noi è dunque un segno di speranza, di misericordia, di vittoria definitiva sul male, di chiamata ad una vita che supera addirittura la morte. Davanti a questo occorre però la conversione. "Essi, alla predicazione di Giona si convertirono". "E Dio vide che si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare, e non lo fece".

Dio è impietosito davanti alla croce di Gesù e al suo amore per noi ma desidera che anche noi, comprendendo Gesù, cambiamo vita.

"Il mondo non cambierà mai!" sembra dirci il pessimismo della storia. Eppure il mondo, oggi, è fatto di circa sei miliardi di persone e se ciascuna si convertisse al bene, il mondo sarebbe già cambiato.

Perché sedersi nel pessimismo e non cominciare, oggi, proprio da me?

 

 

GIOVEDI’ 8

San Giovanni di Dio

Parola di Dio: Est. 4,1.3-5.12-14; Sal. 137; Mt. 7,7-12

 

"CHIEDETE E VI SARA’ DATO; CERCATE E TROVERETE; BUSSATE E VI SARA’ APERTO". (Mt. 7, 7)

Gesù ci insegna la preghiera di domanda. Questo tipo di preghiera si presta a tante interpretazioni diverse e qualche volta anche contraddittorie fra loro. Per molti cristiani la preghiera di domanda è l’unica preghiera conosciuta. Per qualcuno è usare Dio per i propri fini: "Dio deve ascoltarmi ed esaudirmi!". Per altri poi, questa preghiera è una specie di 118: scatta la necessità e Dio deve funzionare subito e bene nei momenti di emergenza, nei casi tragici. Per altri, poi, dopo aver constatato che le loro richieste non sono state esaudite secondo i propri gusti, finiscono per abbandonare la pratica della preghiera.

C’è poi anche chi dice che questo tipo di preghiera non serve in quanto Dio sa già tutto. Nella vita noi abbiamo bisogno di tutto, siamo mendicanti, interdipendenti in tutto e per tutto con gli altri e con le cose. L’operaio per sostenere la sua famiglia ha bisogno di lavoro e lo cerca bussando a tante porte, l’intellettuale ha bisogno del tecnico, il politico ha bisogno del popolo, l’ammalato del medico, l’imprenditore dell’operaio. Purtroppo, tra noi uomini, quando bussiamo, non sempre troviamo porte che si aprono. C’è invece una porta che si apre sempre, anzi, non è mai chiusa, ed è quella di Dio. Lui è sempre in casa, lo si trova a tutte le ore, non dice mai: "Passa un'altra volta, ora sono occupato". Non c’è bisogno di raccomandazioni per arrivare a Lui, non ci sono bustarelle e mance da dover far scorrere ad uscieri compiacenti. A Lui si può dire tutto. Gli si possono presentare anche più volte domande e richieste. Lui è come una mamma a cui il bambino può rivolgersi con fiducia. Certo, non tutto quello che egli chiede verrà automaticamente dato. Se il bambino chiede il coltello, una buona mamma gli darà una fetta di pane già tagliata. Dio non ci dà tutto quello che vogliamo perché, anche senza accorgercene, potremmo volere il nostro male, potremmo volere ciò che non solo non ci è utile ma ci è contrario. Nella vita abbiamo tutti la vista corta, ma non per questo non possiamo chiedere ciò che ci sembra opportuno senza pensare che sia troppo grande ciò che vogliamo o che sia troppo difficile ciò che domandiamo. La preghiera di richiesta sia davvero l’abbandono fiducioso nelle mani di Dio. Questo non significa dargli ordini ma riscoprirlo come Provvidenza, sicuri che la preghiera sarà certamente esaudita anche se non sempre come vogliamo noi: la preghiera esaudita non è tanto quella che ottiene esattamente ciò che ha chiesto ma che ci trasforma, ci fa entrare nel progetto di Dio, ci inserisce nella sua volontà certamente buona nei nostri confronti.

 

 

VENERDI’ 9

S. Francesca Rom.; S. Gregorio di N.; S. Caterina da B.

Parola di Dio: Ez. 18,21-28; Sal. 129; Mt. 5,20-26

 

"SE LA VOSTRA GIUSTIZIA NON SUPERERA’ QUELLA DEGLI SCRIBI E DEI FARISEI, NON ENTRERETE NEL REGNO DEI CIELI ". (Mt. 5,20)

Non finiamo mai di stupirci su quanto liberante ma esigente sia il Vangelo.

La frase di oggi ci invita ad essere più bravi dei cosiddetti "bravi". Gli scribi e i farisei, infatti erano tutt’altro che dei "cattivi ingiusti", erano gli osservanti di allora, erano i sacerdoti ottemperanti a tutte le norme liturgiche e le direttive dei vescovi, erano i benemeriti della parrocchia sempre disponibili a mettersi in prima fila nelle grandi occasioni, erano i consacrati che osservavano scrupolosamente i voti di castità, povertà, obbedienza… L’unico loro torto era quello di restringere il proprio dovere all’osservanza religiosa della legge, di affidarsi unicamente al culto per incontrare Dio. Erano dei perfetti religiosi, anzi, degli idolatri religiosi perché della loro religiosità avevano fatto Dio.

E oggi, non sono ancora molti i cristiani che si fermano a questo? Spesso, infatti, troviamo persone che dicono: "Avere fede è buona cosa, andare a Messa anche, fare un’offerta alla Chiesa pure in quanto ci vuole qualcuno che tenga a freno con delle norme morali, ma poi la vita di tutti i giorni è tutt’altra cosa. Il mondo degli affari è un mondo di squali: o mangi o sei mangiato. La fedeltà coniugale? Ma io sono un uomo (chissà che cosa vorrà dire!?) e poi, con tutte le occasioni che ti vengono messe sotto gli occhi, sarebbe da stupidi non approfittarne… ma con moderazione, senza togliere nulla alla mia famiglia… Io sono un benefattore, infatti ho preso a lavorare da me dei clandestini… si prendono dei bei soldi, sono in nero, e poi, tutto è più facile… niente sindacati, se danno fastidio li mandi via, intanto non possono farti niente…".

Gesù ci dice che a Lui non basta il profumo dell’incenso se non c’è il profumo della giustizia, a Lui non serve una Chiesa esatta nei riti ma senza la firma del prossimo, di ogni prossimo sul suo passaporto, a Lui non bastano i dieci comandamenti se non sono conditi, vissuti, celebrati con il comandamento dell’amore.

La carità non può lavarsi le mani davanti alla giustizia e la giustizia, se non vuole immeschinirsi e diventare "ingiusta", non può rifiutare il fermento della carità e allora, come dicevo all’inizio, la vocazione cristiana supera il ‘mestiere da cristiano’, diventa davvero liberante davanti ad ogni legge formale o rituale o abitudinaria, ma anche estremamente impegnativa perché oltre al ‘religioso’ c’è tutto il resto del programma di Cristo.

 

 

SABATO 10

San Macario; San Vittore; Santa Maria Eugenia Milleret

Parola di Dio: Dt. 26,16-19; Sal. 118; Mt. 5,43-48

 

"SIATE PERFETTI COME E’ PERFETTO IL PADRE VOSTRO CHE E’ NEI CIELI". (Mt. 5,48)

Quante volte, ascoltando le confidenze, i desideri o le confessioni di tante persone mi sono sentito dire frasi come queste: "Gesù, il Vangelo sono impossibili con le loro esigenze!", "Sento il desiderio del buono, del bello, del giusto ma poi la vita, gli impegni, i condizionamenti, il carattere mi portano ad un quotidiano di banalità, di consuetudini, di vuoto", "Al mattino, quando faccio un momento di riflessione e di preghiera mi sento, con Gesù, capace di rivoltare il mondo… poi me ne dimentico presto in mezzo a tutto quello che devo fare", "Quando sento Gesù dirmi di perdonare sempre, di amare i nemici, di essere perfetti come Dio Padre, mi viene una rabbia che sarei disposto a cambiare religione!".

Eppure se nella vita non si ha una meta pura, alta, apparentemente inaccessibile ma ricercabile, si rischia di puntare alla mediocrità che poi, per natura, diventa sguazzare molto in basso.

Il giorno in cui perdessimo il senso della vita, l’ideale, perché raffreddati dalle delusioni, dagli errori, dalle paure, sarebbe un grave lutto per noi.

In un suo recente romanzo: "La straniera", Younis Tarwfik un architetto iracheno che da anni vive a Torino, presentando la storia di Amina, una ragazza marocchina che, arrivata piena di speranze nella grande città, si ritrova a fare la prostituta, le fa dire: "Sono arrivata qui circa un anno fa, clandestinamente, si capisce (…). Dopo alcune disavventure sono finita a bazzicare con gli uomini. Lo so che cosa pensi di me, ma sono costretta (…). Mi sento molto sola e voluta solo per il mio corpo e le mie prestazioni. Una donna quando si riduce a questo diventa soltanto un corpo senz’anima. E’ morta".

Non perdiamo dunque i nostri ideali anche se ci sembrano enormemente distanti.

Gesù ci mette davanti il Padre nostro che è nei cieli non per spaventarci con una meta impossibile, ma per ricordarci che in Lui è la nostra casa e che, man mano noi diventiamo un po’ più simili a Lui nel giudicare, nel perdonare, nell’amare, siamo già in Lui.

E’ vero che a quella perfezione giungeremo solo quando sarà Lui a portare a compimento il nostro cammino. E’ vero che noi siamo defettibili e che questa sera avremo abbondante materiale per chiedere perdono ancora una volta, ma è anche vero che è Gesù stesso che si pone accanto a noi come guida, che ci dice di andare a Lui quando siamo "affaticati e oppressi", che è sempre disposto a darci il perdono dicendoci: "Coraggio, ricominciamo da capo ancora una volta".

 

 

DOMENICA 11

2^ DOMENICA DI QUARESIMA (Anno C)

San Costantino; Santa Rosina

Parola di Dio: Gn. 15,5-12.17-18; Sal. 26; Fil 3,17 – 4,1; Lc. 9,28-36

 

1^ Lettura (Gn. 15, 5-12. 17-18)

Dal libro della Genesi.

In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: "Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza". Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. E gli disse: "Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese". Rispose: "Signore mio Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?". Gli disse: "Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un piccione". Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all'altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calavano su quei cadaveri, ma Abram li scacciava. Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco un oscuro terrore lo assalì. Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abram: "Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d'Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate ".

 

2^ Lettura (Fil. 3, 17 - 4,1)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi.

Fatevi miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti, ve l'ho già detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo: la perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra. La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose. Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi!

 

Vangelo (Lc. 9, 28-36)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo". Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

 

RIFLESSIONE

 

Domenica scorsa abbiamo visto Gesù vincitore nei confronti del diavolo che, con le solite tentazioni del potere e del successo senza prove e sofferenze, cercava di allontanare Gesù dal suo progetto di amore nei nostri confronti e dalla sua obbedienza a Dio. Ma sappiamo benissimo che il diavolo non si dà per vinto. Ha perso una battaglia ma ritornerà con le stesse tentazioni proprio nel momento di maggiore debolezza di Gesù: durante la sua passione. Proprio in quel momento si ripresenterà a Cristo attraverso coloro che ai piedi della croce gli diranno: "Se davvero sei il Cristo, scendi di lì, e noi ti crederemo." Gesù sa dunque che la lotta per Lui sarà dura, ma ancor più dura per i suoi discepoli che resteranno scandalizzati davanti alla croce. Da buon maestro vuole educarli gradatamente a questo e sceglie allora di "cominciare a parlare della sua dipartita" proprio in un momento di preghiera gloriosa perché quei tre si ricordino della sua trasfigurazione anche quando saranno testimoni oculari di quell’altra trasfigurazione nel sudar sangue che avverrà nell’orto degli ulivi prima dello scandalo della sua passione e morte. La liturgia, seguendo lo stile educativo di Gesù, pone anche per noi la meditazione dell’episodio della Trasfigurazione quasi all’inizio della Quaresima perché ci prepariamo a rivivere la durezza della croce di Gesù avendo però nel cuore la certezza che la morte e il male non saranno né per Lui, né per noi la parola definitiva. Gesù e la Chiesa, quasi anticipando la risurrezione vogliono aiutarci ad avere negli occhi e nel cuore il volto glorioso di Cristo perché possiamo cogliere nella speranza il suo e il nostro volto doloroso. Cerchiamo dunque di metterci anche noi alla sequela di Gesù per fare esperienza con Pietro, Giovanni e Giacomo del suo modo di avvicinarsi al compiersi del suo mistero. "Gesù salì sul monte" Sappiamo che il monte non è tanto "una bella gita turistica in mezzo alla natura", quanto un "luogo privilegiato di preghiera", è salire sopra alla banale, sfiancante quotidianità dell’appiattimento dell’uomo e dei suoi valori come spesso succede soprattutto a causa delle nostre abitudini e del nostro "voler vivere tranquilli". Significa credere che al di sopra dello smog che inquina il nostro vivere c’è ancora aria pulita, luce splendente. E’ innalzarsi per scoprire la presenza, la forza, l’amor di Dio. E’, per stare alle parole di Paolo nella seconda lettura di oggi, avere la forza e il desiderio di non fermarsi ad essere tra coloro che "hanno come dio il loro ventre e si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi", ma di capire che c’è qualcosa di più grande che non il piacere del sesso e o del cibo. Gesù ci fa scoprire la preghiera come momento di incontro con il mistero di Dio. Pregare non è, come qualche volta pensiamo noi, dire delle preghiere, quasi comprarsi Dio con le parole, è entrare nella sua ‘ombra’, è vivere nel mistero, è ascoltare la sua voce, è lasciarsi trasfigurare dalla sua luce, è trasfigurare il dolore con la sua presenza. Che cosa provano quei tre apostoli e che cosa dovremmo provare noi quando preghiamo davvero? Essi vedono il volto di Gesù che cambia aspetto. Non è solo più il Gesù grand’uomo, il sapiente, il maestro, è il Figlio di Dio, il fratello che salva. Il volto dell’uomo non è solo più quello dell’eventuale mio concorrente, o il volto anonimo di uno dei tanti, comincia a diventare il volto di un uomo amato da Dio, di un fratello salvato con me, di uno con cui sono chiamato a condividere tempo ed eternità. "La sua veste divenne candida e sfolgorante". Man mano che tu entri in intimità con il Signore la necessità delle parole diminuisce, gli occhi si dilatano, si crede ancora alla purezza e alla semplicità, le piccole cose diventano significative, illuminanti. Lo "stare ai piedi di Gesù", come faceva Maria, la sorella di Marta e di Lazzaro, diventa di gran lunga "la parte migliore". Non che tutto sia chiaro. Abramo nella prima lettura di oggi è preso da torpore e da un oscuro terrore: si tratta di "vedere Dio" e quindi nella mentalità ebraica di "morire a qualcosa": Anche i tre apostoli sul monte "erano oppressi dal sonno"; Pietro, quando parla, "non sapeva quello che diceva. Rimangono i dubbi, rimane il mistero di un Dio immensamente più grande di noi, ben al di là della nostra piccola comprensione umana, rimane la povertà della nostra miseria e del nostro peccato, ma finalmente gli occhi e il cuore si aprono a Dio ed anche se rimaniamo "avvolti nella nube", entriamo in Lui e scopriamo il suo mistero di amore nei nostri confronti. Tutta la storia della salvezza è una storia in nostro favore. Mosè ed Elia che sono la sintesi degli interventi di Dio, sono solo la preparazione a Gesù, e tutto questo è per me, per noi. Dio non è nostro antagonista, Dio non è una entità superiore disinteressata alle nostre vicende o solo assetata di preghiere e di sacrifici, è il Dio dell’alleanza più volte rinnovata ed ora portata a compimento in Gesù. Ma, attenzione a non perdere il particolare più importante! Mosè ed Elia parlano con Gesù "della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme". Non possiamo fermarci alla frase di Pietro: "E’ bello per noi stare qui. Facciamo tre tende". La gloria, la luce, la storia della salvezza, la nube non possono diventare la tenda definitiva se non impariamo a riconoscere nella croce di Cristo non un motivo di scandalo ma un dono di amore, e se non impariamo a seguire Lui per entrare nella sua gloria ma "prendendo ogni giorno la sua croce" per andargli dietro. Non si può salire sul Tabor escludendo il Calvario e il Calvario trova il suo compimento nel Tabor. E noi, nella nostra vita, riusciremo a dar senso a queste due montagne solo se metteremo Cristo al centro del nostro pensiero e del nostro cammino; è la stessa voce di Dio che ci dà queste indicazioni: "Egli è il mio Figlio, l’eletto" e "Ascoltatelo!" Terminata l’Eucaristia, dopo aver ascoltato la Parola di Dio, dopo essere stati in comunione con Gesù, torneremo all’aria putrefatta da tanti egoismi nostri e altrui, ma dobbiamo conservare quello sguardo puro che ci permetta di vedere il volto di Cristo sia glorioso che sofferente nel volto dei fratelli che incontriamo, perché accogliendo il mistero della croce, come ci fa dire la preghiera liturgica, possiamo giungere alla gloria della risurrezione.

 

 

LUNEDI’ 12

Santa Fina; San Massimiliano; Beato Luigi Orione

Parola di Dio: Dn. 9,4-10; Sal. 78; Lc. 6,36-38

 

"NON GIUDICATE E NON SARETE GIUDICATI, NON CONDANNATE E NON SARETE CONDANNATI, DATE E VI SARA’ DATO… PERCHÉ CON LA MISURA CON CUI MISURATE SARA’ MISURATO A VOI IN CAMBIO". (Lc. 6,37-38)

Proviamo a prendere sul serio il Vangelo di oggi e, con un po’ di fantasia, immaginiamoci al termine della nostra vita, davanti al giudizio del Signore. (E’ una immaginazione perché lo abbiamo detto più volte: il giudizio di Dio si realizza già nel presente).

Davanti a Gesù c’è una grande bilancia a due piatti e un nugolo di angeli portano da una parte le opere della nostre vita e dall’altra i doni della misericordia divina. "Non giudicate e non sarete giudicati". Ci accorgiamo che non giudicare non voleva dire: non vedere, non prender le distanze dal male o da chi lo operava. Ma ci accorgiamo anche di quanto siamo stati giudici terribili degli altri. Dalle cose più esteriori: e chi di noi non ha giudicato, condannato e mandato a quel paese quel politico o tutta la ‘classe dirigente’? Fino ai giudizi sulle persone: "Quella è una poco di buono", senza mai essersi chiesti: "Chissà perché sarà giunta a comportarsi così?"; "Quello è un ladro" perché magari è riuscito ad arraffare là dove avremmo voluto arraffare noi (pensate alle beghe per eredità)!; "Gli albanesi sono tutti ladri, assassini, stupratori di bambini…" e con i lazzaroni abbiamo bollato anche gli onesti; "Con quella persona è inutile parlarci, non capisce niente!" e anche la volta che avrebbe potuto ‘capire qualcosa’ si è trovata la porta sbarrata. "Non condannate e non sarete condannati".

Meno male, non faccio il giudice! Però, intanto, quante volte mi sono detto: "Per vincere la criminalità ci vorrebbe la pena di morte. Certa gente sarebbe meglio metterla al muro!" E certi giudizi trancianti accompagnati da una buona campagna calunniatoria nei confronti dei nostri nemici, per uccidere il buon nome… E certe persone diventate "pecore nere" della famiglia, coperte di infamia, costrette magari ad elemosinare un po’ di comprensione altrove solo per essere state giudicate irrevocabilmente per un errore commesso. "Date e vi sarà dato". E qui, l’angioletto-ragioniere è saltato fuori con i conti: quanto denaro è girato nelle mie tasche, quanto è finito sul mio conto bancario, quanto è stato usato per me, per i miei divertimenti, per il mio superfluo e quanto è stato donato col cuore.

Poi è arrivato l’angelo del tempo, quello con la clessidra in mano, e mi ha fatto vedere quanto tempo Dio mi ha dato, quanto ne ho usato per me e quanto ne ho dato per ascoltare il mio prossimo, per visitare i malati, per interessarmi agli altri. E poi è arrivato "l’angelo conta parole" e mi ha fatto vedere il numero enorme di parole speso in chiacchiere, in luoghi comuni, in stupidaggini, anche in cattiveria e quante spese a favore dei miei fratelli. E mi sono accorto di quanto poco cadeva nel primo piatto della bilancia e di quanto fossero delusi gli angioletti dall’altra parte che avevano immensità di doni ma che, per controbilanciare il mio poco, erano costretti a lasciar cadere solo qualche briciola…

 

 

MARTEDI’ 13

Santa Patrizia; San Rodrigo; Sant’ Ansovino

Parola di Dio: Is. 1, 10. 16-20; Sal. 49; Mt. 23,1-12

 

"SULLA CATTEDRA DI MOSE’ SI SONO SEDUTI SCRIBI E FARISEI. QUANTO VI DICONO FATELO, MA NON FATE SECONDO LE LORO OPERE PERCHÉ DICONO E NON FANNO". (Mt. 23,2-3)

Ricordo ancora con un senso di malessere (e questo dice quanto la mia pelle sia delicata) la volta in cui un uomo, con vera rabbia, sapendomi prete mi buttò addosso più o meno queste parole: "Voi preti, con tutta la ben compaginata congerie delle vostre istituzioni religiose e con tutte le beghine che vi corrono dietro col vostro pieno benestare, siete con la vostra religione la più grossa ipocrisia della terra. Voi, con il vostro amore sdolcinato, con i vostri riti addormenta popoli, con la presunzione di un futuro a cui nemmeno voi credete anestetizzate la gente, la alienate dalla vita. Voi avete messo in croce il vostro Dio quando è venuto in terra, ed ora vi fate passare come salvatori dell’umanità mentre, invece, la sfruttate solo per i vostri interessi. Vi atteggiate a religiosi per nascondere le insicurezze e le pochezze del vostro essere uomini".

La prima reazione fu quella di rispondere con altrettanta veemenza, con ironia e cattiveria, spostando il discorso sulla vita personale di quell’uomo che conoscevo non essere troppo onesto né troppo coerente, ma, grazie a Dio, quella volta lo Spirito ebbe il sopravvento sulla mia umanità, ebbi così tempo di ripensare più volte a quelle frasi e, sfrondandole della carica di emotività, prenderle per quello di valido esse avevano da insegnarmi.

E’ vero che la religione può essere o la più grande elevazione dell’uomo o la maschera per nascondere i suoi problemi; può, di conseguenza, diventare o liberazione o tecnica raffinata di potere da parte di qualcuno per rendere schiavi gli altri.

Se la religione è abitudine, ritualismo, facile forma consolatoria, cauterio per alleviare i dolori delle ferite della vita, se addormenta attraverso una lettura più o meno fatalistica della vita, se proietta solo verso un ipotetico futuro allontanando dal presente, se ha una visione negativa della realtà e in essa vede solo male e peccato, se intristisce l’uomo, se gioca sulle sue paure, se genera realtà di masochismo morale o materiale… non è fede e non è espressione del rapporto tra Dio e l’uomo, tantomeno può essere religione di Cristo, ma solo forma ipocrita per nascondersi il reale e forma ancora più ipocrita della casta dei religiosi per consolidare il proprio potere.

Se, invece, la religione parte non solo dall’uomo, ma da Dio che si è fatto uomo, che ha stabilito Lui il rapporto con l’uomo aprendogli l’accesso, se la religione, quindi, porta l’uomo ad essere più uomo perché lo rispetta nella sua costituzione di Figlio di Dio amato da Lui, se vede il creato come luogo di questo incontro e di questa risposta, se dà senso al suo rapportarsi con le cose e soprattutto con le persone attraverso il comandamento dell’amore inteso non come melensa accozzaglia di sentimenti, ma come ricerca fattiva del bene dell’altro, se porta a vedere Dio non come concorrente contro la nostra felicità, ma come fonte della nostra gioia… allora è fede, è cristianesimo.

Dovremmo tutti, e spesso, dalla gerarchia fino a ciascuno di noi, fare un attento esame di coscienza per debellare ogni ipocrisia religiosa: è il male più grave che poco per volta soffoca la fede.

 

 

MERCOLEDI’ 14

Santa Matilde; San Leone

Parola di Dio: Ger. 18,18-20; Sal. 30; Mt. 20,17-28

 

"COLUI CHE VORRA’ DIVENTARE GRANDE TRA VOI, SI FARA’ VOSTRO SCHIAVO; APPUNTO COME IL FIGLIO DELL’UOMO CHE NON E’ VENUTO PER ESSERE SERVITO MA PER SERVIRE E DARE LA SUA VITA IN RISCATTO PER MOLTI". (Mt. 20,27-28)

Gesù, oggi, dopo aver ascoltato questo brano di Vangelo, voglio esserti vicino, con tutti gli amici che leggono questa pagina per lenire un po’ una delle cose che, penso, ti abbiano fatto soffrire di più durante la tua passione cioè il fatto di vedere che mentre Tu dai la vita per amore, per servirci, noi non solo non abbiamo capito ma arriviamo, in certi casi addirittura, a sfruttare il tuo amore a favore del nostro orgoglio e per consolidare il nostro potere.

E’ grande la delusione del sentirci traditi dagli amici proprio su quelli che sono gli ideali, i capisaldi del nostro essere. Quando l’ho provato nella mia vita personale so che vien voglia di dire: "Ma perché ho lottato, pagato, sofferto? Per chi?". E qui si rischia di andare avanti e di dire: "Ne valeva la pena?".

Enorme deve essere stato per te il peso della delusione. Eri stato tre anni a condividere tutto con quei tuoi amici e proprio mentre parli del tuo andare a morire per loro, essi sono lì a discutere chi sia il più grande, il più degno di appropriarsi di un pezzo di potere. Dio ha affidato la sua parola ai sacerdoti, scribi e farisei ed essi fanno di tutto per far tacere Te che sei la Parola vivente e arriveranno a farti mettere in croce; e sarà proprio uno dei tuoi a consegnarti a loro.

Si può ancora capire la paura che fa disperdere i tuoi amici nel momento della prova, ma non il non essere capito, l’essere tradito proprio sul senso del servizio…

Eppure, Gesù, anche se sono passati circa 2000 anni, devo dire che spesso noi continuiamo a non capire: è più facile comandare che servire; è più semplice dichiarare la fede tra gli applausi nelle grandi celebrazioni religiose piuttosto che cercare di manifestarti nel quotidiano dove al massimo ti dicono che sei un po’ bacato per le tue scelte di fede; è più facile dettare norme morali per gli altri su argomenti di cui ti senti al sicuro che applicare la stessa intransigenza a te in quelli che sono i tuoi limiti e le tue debolezze; è più facile approfittare del proprio ruolo o potere religioso che mettersi in cammino con i peccatori, è molto facile parlare di croce piuttosto che prendersela sulle spalle, parlare di povertà con la sicurezza dei conti in banca, affidarsi alle cose piuttosto che curare le anime, andare ad un convegno religioso sulla malattia che cambiare un vecchio incontinente.

Signore, perdonaci per tutte le volte che ti abbiamo deluso e, ti prego, non fare come noi che, davanti alla delusione, sentendoci cadere le braccia, abbiamo voglia di arrenderci e di cambiar mestiere; Tu non ‘cambiar mestiere’, perché il tuo mestiere è la pazienza e la misericordia nei nostri riguardi.

 

 

GIOVEDI’ 15

Santa Luisa de Marillac; San Clemente M. Hofbauer

Parola di Dio: Ger. 17, 5-10; Sal. 1; Lc. 16,19-31

 

"ABRAMO RISPOSE: SE NON ASCOLTANO MOSE’ E I PROFETI, NEANCHE SE UNO RISUSCITASSE DAI MORTI SAREBBERO PERSUASI." (Lc. 16,31)

Questa frase conclude la parabola del ricco e di Lazzaro, un esempio pieno di insegnamenti sulla povertà e sulla ricchezza, sull’affidarsi a Dio o alle cose, sull’esistenza dell’aldilà, sul premio e sul castigo… ma, mi fermerei quest’oggi proprio sul particolare indicato da Gesù in questa conclusione. Il ricco aveva chiesto al padre Abramo di mandare Lazzaro a fare una bella apparizione ai suoi cinque fratelli e aveva giustificato questa domanda dicendo: "Se qualcuno dei morti andrà da loro si ravvederanno". Gesù conclude dicendo: "Neanche una risurrezione dai morti può servire a chi ha già il cuore chiuso". Sembra chiaro, allora, che Gesù parli di se stesso, della sua risurrezione e di noi.

Noi viviamo dopo la risurrezione di Gesù. La nostra fede cristiana si fonda sul fatto della risurrezione. Già San Paolo diceva: "Se Cristo non fosse risuscitato, la nostra fede sarebbe vana". Eppure molti non ci credono o, se ci credono, non cambia molto nella loro vita.

Qualcuno può dire: "E’ un atto di fede!". Certo credere alla risurrezione di Cristo, come credere a Dio è un atto di fede, ma non è una cosa lontana o impossibile nella vita. Noi, tutti i giorni, facciamo degli atti di fede grandi o piccoli, ad esempio salgo su un autobus e faccio indirettamente un atto di fede nell’autista, credo che sappia guidare, mi fido che in questo momento non sia ubriaco o drogato… vado a mangiare e faccio tutta una serie di atti di fede nell’onestà del contadino, nel rispetto delle norme igieniche dei commercianti, nel cuoco, nella natura, nel buon funzionamento del mio organismo…

La fede nella risurrezione di Cristo è molto più viva e più provata di questi semplici atti di fede quotidiana: abbiamo le Sacre Scritture, le testimonianze degli Apostoli, i martiri di tutti i tempi che hanno dato la loro vita per questa fede, l’opera dei santi, se stiamo attenti un presenza sempre viva e attuale di Gesù nella sua Parola.. E, allora, perché spesso stentiamo a credere? Perché andiamo sempre alla ricerca di qualcosa di straordinario e di miracolistico che ci confermi? Stentiamo a credere a Colui che è risorto dai morti e andiamo magari da maghi e santoni perché ci mettano in comunicazione con l’aldilà, diamo fiducia a chi con tarocchi e oroscopi chiede di fare atti di fede in qualcosa di talmente imbecille e improbabile che qualunque persona con un briciolo di ragionamento non accetterebbe.

Gesù lo sapeva benissimo che la sua risurrezione a molti non sarebbe servita.

Il credere dipende dal cuore e a chi il cuore è affidato. Un cuore incapace di abbandonarsi a Dio non sarà toccato neanche dalla risurrezione di suo Figlio, un cuore pieno di cose e pieno di sé non ha spazio per altri e per l’Altro.

 

 

VENERDI’ 16

Sant’Agapito; Sant’Eriberto; San Taziano

Parola di Dio: Gn. 37,3-4.12-13.17-28 ; Sal.104; Mt. 21,33-43.45

 

"C’ERA UN PADRONE CHE PIANTO’ UNA VIGNA E LA CIRCONDO’ CON UNA SIEPE, VI SCAVO’ UN FRANTOIO, VI COSTRUI’ UNA TORRE, POI L’AFFIDO’ A DEI VIGNAIOLI". (Mt. 21,33)

Normalmente noi intitoliamo la parabola di oggi così: "La parabola dei vignaioli omicidi", e con questo sottolineiamo l’ingratitudine degli uomini davanti all’opera di Dio. Ma, se invece che dagli uomini partissimo da Dio, potremmo intitolarla: "Il sogno di Dio", perché essa ci dà anche uno spaccato del cuore di Dio.

Dio ha creato tutto, ha curato tutto fin nei minimi particolari, ha piantato, innaffiato, curato, concimato, purificato, difeso la sua vigna, ma per chi? Per se stesso? Per dirsi quanto era bravo? Per farsi una scorpacciata d’uva o per ubriacarsi con il suo vino?

Dio ha curato la sua vigna per affidarla alla sua creatura. Sembra quasi di rileggere il racconto del libro della Genesi quando Dio fa sfilare gli animali davanti ad Adamo perché sia lui a dare loro un nome, o di vedere la pazienza con cui Dio è andato in cerca dei patriarchi per fare con loro un patto di amicizia e di donazione. Dio sogna. Dio persegue un progetto attraverso la storia. Non si tratta di un disegno preciso che Egli vuole eseguire nonostante l’opposizione degli uomini; è uno slancio che gli sgorga dal cuore, una proposta di gioia e di pace che Egli rivolge a favore della sua creatura. Dio sogna una alleanza tra sé e un popolo al quale poter testimoniare tutta la sua bontà e la sua tenerezza e in cui i suoi doni potranno produrre frutti degni del donatore: questi uomini si ameranno come Lui li ha amati. E sembra quasi che Dio non voglia smetterla di sognare anche davanti ai reiterati ‘no’ dell’uomo, si spoglia di tutto davanti a loro, anche della sua vita purchè gli uomini possano accogliere la sua salvezza.

Se noi, leggendo questa parabola, partiamo dagli uomini non possiamo che essere disgustati, se partiamo da Dio non possiamo che riconoscere il suo amore immenso, continuo, quotidiano: noi siamo il sogno di Dio. Lui, nonostante le nostre ingratitudini continua a sognare, a progettare cose buone per noi, continua ad offrirci suo Figlio. Solo il nostro ‘no’ definitivo può precludergli di amarci.

Se penso a questo ritrovo coraggio. Non mi perdo d’animo davanti a tutte le occasioni perdute, entro nel sogno di Dio in compagnia di Gesù e lascio che i suoi doni e la sua grazia portino anche in me qualche frutto d’amore.

 

 

SABATO 17

San Patrizio; Santa Gertrude di Nivelles

Parola di Dio: Mic. 7,14-15.18-20; Sal. 102; Lc.15,1-3.11-32

 

"MA IL PADRE DISSE AI SERVI: PRESTO, PORTATE QUI IL VESTITO PIU’ BELLO E RIVESTITELO, METTETEGLI L’ANELLO AL DITO E I CALZARI AI PIEDI… MANGIAMO E FACCIAMO FESTA PERCHE’ QUESTO MIO FIGLIO ERA MORTO ED E’ TORNATO IN VITA". (Lc. 15,22-24)

Tutti conosciamo questa meravigliosa parabola, quella del "Figliol prodigo" o, meglio, quella del "Padre misericordioso". L’abbiamo sentita commentare molte volte ed anche forse in modi diversi, ma ci rendiamo conto che essa non mette tanto in luce il pentimento dell’uomo quanto la bontà di Dio che nessuna infedeltà può scoraggiare. Certe persone che si considerano "buone", che si sentono già "a posto" sono, come il figlio maggiore, quasi gelose del perdono di Dio e lo considerano una ingiustizia, ma questo avviene solo perché non si rendono conto che, davanti alla grande bontà di Dio, siamo un po’ tutti degli ingrati ‘scappati da casa’ che, in un modo o nell’altro, anche solo non apprezzandoli giustamente, abbiamo sperperato i doni del Padre. Noi abbiamo perso lo stupore, la meraviglia, la gioia di essere perdonati. Per i primi cristiani il Vangelo era una buona novella: Dio perdonava gratuitamente i peccati! Ci si rallegrava, si rendeva pubblica, si festeggiava la propria conversione e il racconto del perdono dei propri peccati costituiva naturalmente ciò che anticipava il banchetto eucaristico. Infatti, nel Nuovo testamento le confessioni e le conversioni terminano quasi abitualmente in gioiosi festini: Matteo invita pubblicani e peccatori, Zaccheo offre un pranzo e Maria Maddalena, Lazzaro e Marta lo ricevono alla loro tavola. Mi piace concludere questa riflessione lasciando la parola alla fantasia gioiosa di Louis Evely: "La sola gioia cristiana è di sapersi perdonati. Il solo stupore giustificato è di scoprire Dio infinitamente migliore di noi. Andremo in cielo, saremo salvati, saremo eternamente felici, non perché siamo contenti di noi, ma perché siamo contenti di Lui; entusiasti del nostro salvatore, abbagliati dal suo perdono. Passeremo l’eternità non a vantarci delle nostre virtù e delle nostre prodezze apostoliche, ma a raccontare i nostri pentimenti. Pietro, in cielo, confida a tutti come ha tradito e abbandonato il suo Maestro, come è sprofondato e si è ostinato nei suoi rinnegamenti e come un solo sguardo di Gesù l’ha richiamato, fatto volgere indietro, rigenerato… "E sapete che cosa ha escogitato di darmi come penitenza? Ha fatto di me il capo della sua chiesa! Non è inimmaginabile?"

Ogni santo si alza a sua volta per celebrare il suo Signore e non trova elogio migliore da farne che rendere pubblici i perdoni che ha ricevuto da Lui.

Allora anche noi saremo tentati di prendere la parola, di annunciare che anche noi abbiamo qualcosa da dire, un contributo da portare a questa festa. E sarà il ricordo dei nostri peccati perdonati che servirà nel migliore dei modi per quel canto di ringraziamento e di lode."

 

 

DOMENICA 18

3^ DOMENICA DI QUARESIMA (Anno C)  -  San Cirillo di Gerusalemme

Parola di Dio: Es. 3,1-8.13-15; Sal. 102; 1Cor. 10,1-6.10-12; Lc. 13,1-9

 

1^ Lettura (Es. 3, 1-8. 13-15)

Dal libro dell'Esodo.

In quei giorni, Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: "Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?". Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: "Mosè, Mosè!". Rispose: "Eccomi!". Riprese: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!". E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. Mosè disse a Dio: "Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?". Dio disse a Mosè: "Io sono colui che sono!". Poi disse: "Dirai agli Israeliti: Io Sono mi ha mandato a voi". Dio aggiunse a Mosè: "Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione.

 

2^ Lettura (1 Cor. 10, 1-6. 10-12)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Non voglio che ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto. Ora ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. Non mormorate, come mormorarono alcuni di essi, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.

 

Vangelo (Lc. 13, 1-9)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: "Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo". Disse anche questa parabola: "Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai".

 

RIFLESSIONE

 

Per comprendere più a fondo il brano di Vangelo appena ascoltato è bene ambientarlo e collegarlo con tutta la struttura del Vangelo di Luca

Siamo nella parte del Vangelo che potremmo intitolare: "Il grande viaggio di Gesù a Gerusalemme" cioè nel momento in cui Gesù "decisamente" si avvia verso la conclusione dolorosa e gloriosa del suo cammino terreno nel compimento della volontà del Padre, per la nostra salvezza. Tutto diventa dunque più immediato ed essenziale. Poco prima del brano di oggi, troviamo la scena del Maestro che si rivolge alle folle per tirare loro le orecchie dicendo: "Voi sapete riconoscere e giudicare i segni del tempo meteorologico, ma non sapete individuare i segni dei tempi, non riuscite ancora a leggere l’opera di Dio nel mondo attraverso gli avvenimenti". In fondo è come se Gesù dicesse ai suoi contemporanei e a noi: "Attenti: vi state perdendo la salvezza in diretta! Rischiate di non capire che è oggi il momento favorevole per essere salvati".

A questo punto rimane più facile comprendere il brano odierno del Vangelo.

La prima parte prende spunto da fatti di cronaca (indirettamente confermati da altre fonti storiche sui metodi di governo di Pilato il quale era solito eliminare senza troppe delicatezze oppositori o persone che potevano essere di intralcio). Proprio in quel tempo un gruppo di Galilei simpatizzanti degli Zeloti (una specie di "partigiani" fautori della guerriglia contro i dominatori romani) si erano recati a Gerusalemme per una delle feste religiose. Pilato aveva fatto trucidare in modo vergognoso e orribile i pellegrini mentre si apprestavano a sacrificare i loro animali nel tempio, cosicché il loro sangue si era brutalmente mescolato con quello dell'olocausto.

Coloro che riportano il fatto a Gesù probabilmente desiderano provocare una reazione ed un giudizio preciso, sentire un suo parere. Ma il Maestro non risponde sul campo strettamente politico, anzi offre una risposta che sembra ignorare bellamente il problema per ribaltarsi su un piano più esistenziale. Prima di tutto Egli vuole contestare la mentalità allora diffusa secondo la quale vi era una perfetta proporzione tra il peccato dell'uomo e il castigo divino.

Nel caso del massacro nel tempio si poteva facilmente arrivare a questa conclusione: essi erano peccatori e quindi sono stati puniti, noi siamo giusti agli occhi di Dio perché non abbiamo meritato una simile, orrenda fine. Poco oltre Gesù accenna ad un altro fatto che doveva essere molto noto: alle mura di Gerusalemme era crollata una torre (quella di Sìloe) travolgendo ed uccidendo diciotto operai. Anche a questo proposito viene ripetuto il ritornello monito: "Credete proprio che quei poveretti fossero più peccatori degli altri e di voi? No certamente, ma se non vi convertirete sarete travolti da una fine altrettanto orribile (nel senso di salvezza mancata, perduta!)".

Gesù non vuole affatto minacciare (se non fai così e cosà sarai castigato con una brutta disgrazia!!) e questo deve essere ben chiaro. Il castigo non è mai punizione e basta (anche se il popolo infedele sembra proprio che se lo meriti), anzi ogni atto o intervento di Dio nasconde sempre un richiamo generato e guidato dall'amore, dalla preoccupazione per la salvezza, dal tentare mille volte di recuperare alla vita...

Cristo invita, allora, ad un altro modo di reagire di fronte ai fatti, a tutti i fatti, anche a quelli negativi: rifletti su ciò che capita, interrogati e interroga, leggi negli avvenimenti un messaggio che ti indirizza alla vita e se devi cambiare occhiali perché il tuo sguardo ti fa travisare l'intervento - segnale di Dio... non aspettare!

Ecco che emerge il vero concetto di conversione: cercare con sincerità ciò che è conforme alla volontà di Dio e al di là dei nostri giudizi (che non abbiamo nemmeno il diritto di formulare) al fine di avere un orientamento per la nostra vita, anche comunitaria.

Con una frase che non deve essere fraintesa si potrebbe sintetizzare così: "impara da tutto!" E per saper leggere i fatti e gli avvenimenti della nostra vita, l’unico modo è guardare Gesù. Stupendo e faticoso programma di vita anche per noi, oggi! Il monito di Gesù è molto serio perché se non orientiamo noi stessi totalmente e senza riserve verso di Lui, rischiamo di perdere noi stessi (che è la peggiore delle disgrazie), rischiamo di fallire umanamente la nostra esistenza.

Nella seconda parte del brano, Luca inserisce una piccola parabola che rispecchia la mentalità e le tradizioni ben note agli uditori di Gesù. Si potrebbe intitolare questo paragone del fico: "le molte delusioni che Dio riceve dal suo popolo eletto" proprio per sottolineare come il Figlio unigenito sia l'ultima occasione escogitata dall'amore del Creatore per l'umanità.

Troviamo qui la pazienza di Jahvè e il monito che non si può abusare in eterno della sua grande disponibilità, per cui la conversione non soltanto è indispensabile, ma è anche urgente.

La responsabilità di ciascuno verso se stesso e verso gli altri è così preziosa agli occhi di Dio che non può essere rimandata di continuo, benché Egli assecondi amorevolmente la lentezza e la singolarità dei "percorsi personali" alla fede e alla comunione.

La conversione non è motivata, allora, dalla paura, ma dall'accorgersi della presenza e della realtà di Dio nel mondo attraverso la nostra storia vissuta coscientemente. L'atteggiamento conseguente sarà quello di corrispondere in modo positivo e sereno alla provocazione del Creatore nel creato di cui siamo parte attiva.

Quale può essere allora il tentativo di risposta ai terribili fatti contrastanti in cui ci imbattiamo ogni giorno ad esempio: perché il malato di cancro? perché i terremoti? perché gli incidenti fatali? perché bimbi nati con malformazioni? perché le alluvioni dopo le siccità? perché la morte?...

C'è qui in ballo la prova del fuoco per le radici della fede: o accettiamo Dio così come è e come Egli si presenta al mondo che ha creato (senza che ci scervelliamo a cercare risposte "zoppicanti" ai grandi misteri), oppure la nostra risposta alla provocazione amorevole del Padre sarà bloccata sul nascere dalle nostre stesse mani (o "teste"!).

La vita, insomma, è un gioco che si effettua con le regole di Dio, anche se non le comprendiamo. Accettare con serenità e dignità i "segni" del Signore non è certo sminuire la nostra umanità o far pesare il nostro essere creature, caso mai è elevare al massimo grado la nostra esistenza fino all'eternità.

Ecco perché prima di tagliare il fico improduttivo ci sono dei ripensamenti: la nostra salvezza sta troppo a cuore di "Qualcuno" perché Egli se ne lavi subito le mani...

Anche da questo atteggiamento di "amore cocciuto" dobbiamo molto imparare!

Al termine di questa difficile riflessione provo a sintetizzare alcuni pensieri che ci orientino in questa settimana.

Apri gli occhi, non perdere tempo! Dio sta passando nella tua vita e ti parla in molti modi e con molti avvenimenti. Non perdere l’occasione della salvezza che ti viene offerta. Se vuoi convertirti è proprio oggi il giorno favorevole.

I drammi della vita gli incidenti, le disgrazie, le calamità non sono un castigo di Dio e non sono neppure da interpretare con un cinico e pagano fatalismo, ma ogni dramma, dolore o disgrazia è da cogliere come appello alla solidarietà, come provocazione a non giudicare in blocco, come stimolo alla ricerca del senso vero della vita.

La situazione umana è precaria per sua natura a tutti i livelli sociali ed economici; questo deve farci riflettere senza angoscia, ma con molto realismo e maturità.

Gesù ha affrontato seriamente il problema del dolore, pagando di tasca propria ma si è fidato fino in fondo del Padre e della sua presenza.

Nella piena consapevolezza della condizione umana il Vangelo invita alla conversione con un avvertimento accorato per non rischiare un fallimento della vita o la perdita del vero bene: la comunione con Dio e i fratelli. Ancora una volta la Parola di Dio ci stimola dal di dentro per un cambiamento, non tanto per "salvarci l'anima in tranquillità e sicurezza" ma per continuare l'opera creatrice e salvifica di Dio, il meglio possibile.

Di questo dobbiamo essere riconoscenti e contenti: il Padre non perde nessuna occasione per volerci bene!

 

LUNEDI’ 19

SAN GIUSEPPE; San Quinto

Parola di Dio : 2Sam. 7,4-5.12-14.16; Sal. 88; Rm. 4,13.16-18.22; Mt. 1,16.18-21.24

 

"DESTATOSI DAL SONNO, GIUSEPPE FECE COME GLI AVEVA ORDINATO L’ANGELO". (Mt. 1,24)

Dai pochi accenni che nel Vangelo si riferiscono a lui, San Giuseppe ci viene presentato come l’uomo del silenzio. Pensa. Si arrovella, soffre ma tace. Sembra un contrasto perché Giuseppe è il custode della Parola, del Verbo di Dio incarnato venuto per rivelarsi. Evidentemente il paradosso è solo apparente infatti nulla è più animato del silenzio di Giuseppe. Silenzio è quello del cimitero dove nessuno parla perché non può parlare. Silenzio è quello dell’handicappato mentale che non può esprimere nulla. Silenzio è quello dell’uomo intelligente e responsabile che riflette su ciò che vuole esprimere. Silenzio è quello del Santo che privilegia l’ascolto di Dio. In questo caso il silenzio è una condizione esterna per sentire chi parla, ma è anche apertura di cuore a Dio. Il silenzio di Giuseppe non è dunque il silenzio del vuoto: egli dà il primato a Dio per mettersi alle sue dipendenze. Se Giuseppe è l’uomo di poche chiacchiere è anche l’uomo dei fatti : "Non chi dice: Signore, Signore… ma chi fa la volontà del Padre mio entrerà nel Regno dei cieli". Il Vangelo vede Giuseppe sempre all’opera. E’ fidanzato; si accorge della Maternità di Maria e pensa di lasciarla per rispettare quello che intuisce essere un mistero. Viene l’Angelo e gli dice: "Non temere". Ed egli la porta a casa sua. Dio parla anche attraverso Cesare Augusto: bisogna andare a Betlemme. Ed egli parte. Poi c’è il pericolo di Erode; L’Angelo lo previene. Obbediente si reca in esilio, così come fedele torna a Nazareth. E’ una grande lezione di ascolto e di docilità, quella di Giuseppe. Noi viviamo in un mondo che in gran parte sembra fatto di parole, di chiacchiere per nascondere il vuoto, di rumori per impedire di guardare dentro noi stessi. Giuseppe ci insegna che per essere nel cuore di Dio, bisogna accoglierlo nel silenzio e che non è molto importante capire tutto per poterlo mettere in pratica, basta fidarsi che Dio abbia un piano di amore nei nostri confronti. Qualche volta piuttosto che pregare dicendo: "Signore fammi vedere quale sia la tua volontà" non sarebbe meglio chiedere: "Signore, aiutami a non intralciare la tua volontà che è il mio bene"?

 

 

MARTEDI’ 20

S. Claudia; S. Alessandra; B. Ambrogio Sansedoni

Parola di Dio : Dn. 3,25.34-43; Sal. 24; Mt. 18,21-35

 

"SIGNORE, QUANTE VOLTE DEVO PERDONARE AL MIO FRATELLO SE PECCA CONTRO DI ME? FINO A SETTE VOLTE?" (Mt. 18,21)

Ancora una volta ci troviamo davanti ad una della pagine più sconcertanti del Vangelo, quella che ci comanda di essere sempre disposti al perdono. Se, dopo anni di frequentazione del Vangelo, ci troviamo a disagio davanti a questa esigenza di Gesù, vuol dire che abbiamo ancora capito poco di Lui e di Dio.

Quali sono le obiezioni più grandi davanti al perdono?

1)Spesso la difficoltà che proviamo a perdonare deriva da un senso di pretesa giustizia: ci sembra ingiusto cancellare un’offesa gratuitamente, senza che ci sia una riparazione e ci sembra anche che certi perdoni accordati troppo facilmente siano quasi deleghe a che il male continui a prodursi e moltiplicarsi.

2)"Devo perdonare come Dio ha perdonato a me, ma io non sento di aver commesso peccati così grandi…Non è anche una esagerazione da religiosi un po’ bacati vedere peccati da ogni parte, continuare a battersi il petto per inezie senza senso?".

3)"Devo perdonare come Dio, ma il Vangelo non va molto per il sottile nei giudizi divini, nelle condanne e nei castighi, basta anche vedere solo la finale della parabola odierna!".

Una prima risposta a tutte e tre le obiezioni potrebbe essere che fin che io parto dal calcolo (i "fino a sette volte" di Pietro) non ho ancora capito la meraviglia del perdono di Dio che è sempre immenso, totale. Il perdono che esige riparazione, che prende le misure, è il perdono di chi lo fa cadere dall’alto, lo condiziona, lo svilisce, è un perdono che porta a mettere in evidenza quanto io sia buono e tu cattivo.

Certo, il perdono non è accordarsi con il male dell’altro. Per quanto ci è concesso di conoscerlo, il male, e ogni male, ha le sue conseguenze che devono essere pagate, ma distinguo sempre il male che condanno dall’uomo che lo ha commesso che è Figlio di Dio e fratello mio.

Quanto al perdono ricevuto, se è vero che non dobbiamo essere ipocriti nel farci più peccatori di quello che siamo, dobbiamo almeno essere consapevoli delle nostre grettezze davanti a Dio che ci ha affidato infinitamente di più di quanto noi non potessimo mai offrire ad altri: la vita, i nostri sensi, il nostro corpo, la natura, il cielo, gli alberi, i fiori, il suo amore, suo Figlio, i Sacramenti… Di fronte a Lui noi siamo perlomeno amministratorI spreconi, debitori, insolventi.

In quanto al Dio che giudica, condanna, punisce come sembra esserci presentato dalla conclusione della parabola, è Lui che di suo arbitrio punisce o che constata un giudizio, una punizione già esistente?Dio non punisce nessuno, sono gli uomini che si puniscono sottraendosi ai suoi benefici.Dio non ci vuole male né ci fa alcun male: ci ama anche peccatori, testardi, ingrati, ma è chi si indurisce che si rende impermeabile al suo amore e al suo perdono.

L’amore di Dio non attacca su chi non ha pietà.

 

 

MERCOLEDI’ 21

San Nicola di Flue;

Parola di Dio: Dt. 4,1. 5-9; Sal. 147; Mt. 5,17-19

 

"IN VERITA’ VI DICO: FINCHE’ NON SARANNO PASSATI IL CIELO E LA TERRA, NON PASSERA’ DALLA LEGGE NEPPURE UN IOTA O UN SEGNO SENZA CHE TUTTO SIA COMPIUTO." (Mt. 5,18)

Anche oggi, come spesso succede leggendo il Vangelo, sembra di trovarci davanti ad una apparente contraddizione.

Gesù sembra dirci che neanche un puntino della legge ebraica sarà cambiato finché non siano passati cielo e terra; se però noi leggiamo in particolare le lettere di San Paolo scopriamo che egli è convinto che la legge porta al peccato e alla morte e che circoncisione, decime, digiuni, purificazioni, sono superate.

Bisogna allora cercare di capire che cosa intendesse Gesù quando diceva: "finché il cielo e la terra siano passati".

Noi di solito pensiamo che questo debba ancora accadere, che succederà alla fine dei tempi.

Ma qual è il cambiamento radicale avvenuto nella storia?

E’ Gesù perché Lui ha realizzato tutto quello che la Legge e i Profeti avevano prefigurato. E poi, alla morte di Gesù tutti i segni della ‘fine del mondo’ si sono realizzati: il sole si è oscurato, la terra ha tremato, le tenebre hanno coperto l’universo, alcuni morti sono risuscitati, la gente tornava a Gerusalemme battendosi il petto, perfino un pagano arrivò a dire: "Veramente costui era Figlio di Dio". Ecco perché "il velo del tempio si è squarciato": è finita un’epoca, un’alleanza, è stato soppresso l’antico ordine mosaico perché in Gesù è la nuova alleanza, il compimento della legge antica, attraverso l’amore. La risurrezione di Cristo ha fatto nascere il mondo nuovo: ora non siamo più sotto la legge, ma in regime di grazia e libertà. Attenti, allora, a non far ricadere il culto, la morale, la religiosità in nuove forme di legalismo. E’ sempre in agguato la tentazione di pensare che siano le norme liturgiche a fare la preghiera, che siano le forme, le appartenenze a certi gruppi a determinare la religiosità o che sia l’osservanza scrupolosa e formale a rendere giusti e a farci accampare dei diritti nei confronti di Dio.

L’uomo ha bisogno di norme, di paletti che gli indichino i limiti della strada, ha bisogno di indicazioni per non correre il rischio di viaggiare in senso opposto alla sua meta, ma in queste norme, in questi riti, in questa religiosità se non c’è amore, non serve a nulla; è come se si avessero le migliori autostrade, le indicazioni più precise, la macchina più sicura ma… manca il carburante. E’ Gesù la novità: i cieli nuovi e la terra nuova sono già arrivati. La nuova alleanza in Gesù non è meno esigente della prima, ma Gesù non è un moralista che ci impone una nuova legge, Egli ci vuole cambiati dentro, ci offre addirittura Dio a nostro modello. Se il discepolo accetta questa conversione porta frutti autenticamente divini perché è innestato in Cristo, vera vite.

 

 

GIOVEDI’ 22

San Benvenuto; Santa Lea; Sant’Ottaviano

Parola di Dio: Ger. 7,23-28; Sal. 94; Lc. 11,14-23

 

"… E LE FOLLE RIMASERO MERAVIGLIATE… MA ALCUNI DISSERO: E’ IN NOME DI BEELZEBUL, CAPO DEI DEMONI, CHE EGLI SCACCIA I DEMONI".

(Lc. 11,14-15)

Il vecchio Simeone, quando Maria e Giuseppe avevano presentato Gesù al Tempio, aveva profetato su di Lui dicendo: "Egli sarà segno di contraddizione". Noi vediamo, continuando la lettura del Vangelo, che davanti a Gesù ci sono le risposte e gli atteggiamenti più opposti, da chi lo applaude, a chi vuol farlo re, a chi lo riconosce facilmente come Messia di Dio, a chi lo studia, a chi lo disapprova perché non corrisponde agli stereotipi che si è fatto, a chi lo considera un esaltato, un bestemmiatore, a chi si allontana da Lui, a chi cerca di farlo morire.

Gesù è certamente un grande personaggio pieno di attrattiva ma anche una persona difficile, che chiede molto. Il nostro atteggiamento e la nostra risposta davanti a Lui dipendono molto dal modo con cui lo accostiamo.

Faccio alcuni esempi e ciascuno di noi cerchi di capire qual è il modo con cui si accosta a Gesù.

Ci si può avvicinare a Gesù perché il nostro mondo, la nostra cultura ce lo impongono: spesso Gesù diventa una nozione, un fatto della storia o una delle cause dell’attuale evolversi della storia. E spesso, se va bene, la scuola lo rappresenta così ai nostri ragazzi.

Si può accostare Gesù per abitudine e nelle tradizioni: "In casa mia fanno così. Bisogna avere una religione. Le pratiche del culto non sono poi così gravose, e, poi, si possono anche eludere, quando è il caso".

Si può accostare Gesù per curiosità: spesso, specialmente oggi, si è alla ricerca dello straordinario e del miracolistico, dell’esoterico; in nome di facili ecumenismi e tolleranze si mettono Gesù, Budda, Maometto e vari guru di ieri e di oggi, sullo stesso piano e da ciascuno si estrapola ciò che interessa e si richiede il massimo di spettacolarità, qualche bel miracolo e si raggiunge anche in campo religioso l’originalità che tanto rende interessanti davanti agli occhi degli altri.

Si può andare da Gesù esclusivamente per bisogno, e Lui dovrebbe essere sempre pronto a risolvere i nostri problemi e per di più anche a modo nostro: se no che Dio è?

Si può andare da Gesù con la pretesa che risponda a tutti i nostri interrogativi filosofici, teologici, esistenziali (e dopo aver fatto questo si rischia di venirne via solo con un problema in più).

Ci si può mettere davanti a Gesù con la prevenzione religiosa di sapere già tutto su quanto riguarda la nostra salvezza, la morale nostra e altrui, e allora non sempre Cristo piace.

Si può andare davanti a Lui pieni di noi stessi, dei nostri problemi, delle nostre presunte benemerenze, si può perfino credere di parlare con Lui mentre invece non facciamo altro che parlare con noi stessi.

Si può essere prevenuti davanti a Lui, leggerlo con gli occhi del potere, non ascoltarlo neppure perché abbiamo già deciso o che non esiste, o che è una invenzione dei preti per continuare a mantenere la propria egemonia sul popolo.

Sono solo alcuni dei tanti modi di rapportarci con Gesù. Ciascun modo ha le sue conseguenze.

A me, però, viene in mente la scena della casa di Betania: Maria sta seduta ai piedi di Gesù e lo ascolta con il cuore pieno di amore verso di Lui. Davvero questa è la "parte migliore", il miglior modo per incontrare anche oggi la persona viva del Cristo e per poter entrare nel suo mistero.

 

 

VENERDI’ 23

San Turibio de Mogrovejo; San Domizio; Santa Pelagia

Parola Dio: Os. 14,2-10; Sal. 80; Mc.12,28-34

 

"IL PRIMO COMANDAMENTO E’ : ASCOLTA, ISRAELE. IL SIGNORE DIO NOSTRO E’ L’UNICO SIGNORE; AMERAI DUNQUE IL SIGNORE DIO TUO CON TUTTO IL TUO CUORE, CON TUTTA LA TUA MENTE E CON TUTTA LA TUA FORZA. E IL SECONDO E’ QUESTO: AMERAI IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO".

(Mc. 12,29-30)

Oggi ci viene proposto il grande comandamento dell’Amore di Dio e del prossimo. Sappiamo che qui il termine amore va ben oltre a quello semplicemente fisico, se vogliamo però partire dalla realtà attuale dell’uomo possiamo cominciare la nostra riflessione proprio da lì.

Tutti facciamo esperienza che nel nostro mondo attuale l’amore è pericolosamente svalutato. In senso generale alcuni non credono più all’amore e particolarmente all’amore della coppia. Il matrimonio non è più necessario. La fedeltà? Impossibile. Gli esperimenti? Indispensabili. L’amore? Un piacere fisico, una tecnica che si impara, che deve riuscire ad ogni costo. Certo, l’amore non è più un tabù. Se ne parla, per fortuna. Non lo si vive più di nascosto. Ma come vengono iniziati i giovani a questo? Lezioni di scienze naturali, schemi, consigli molteplici per fare l’amore senza rischio. Se volete capire un po’ più di queste cose, basta leggere alcune di quelle riviste che sono particolarmente indirizzate ai giovani adolescenti: vi troverete tutte le indicazioni necessarie e anche superflue per conoscere tutto quello che riguarda il sesso ma non troverete alcuna indicazione per dire che l’amore è qualcosa di estremamente serio e di estremamente importante. Però succede che alcuni giovani cominciano a stancarsi di una educazione senz’anima e di parecchie esperienze deludenti. Altri, più anziani, fieri di essersi finalmente liberati dalle costruzioni e dai pregiudizi del passato, non trovano la felicità sperata al termine delle loro avventure. "L’amore sarebbe forse un'altra cosa?" Qualcuno spera di sì e comincia a cercarlo, si augura di scoprirlo.

Bisogna ridare all’amore il suo vero posto e la sua vera dimensione. Il vero posto dell’amore dell’uomo è nel cuore dell’uomo e nel cuore della storia del mondo. L’amore è la forza, l’amore è Dio stesso, Energia essenziale, senza la quale l’uomo e il mondo non possono realizzarsi armoniosamente e conoscere la vera felicità. La vera dimensione dell’amore è infinita. Viene da un altrove e vola verso un altrove. Per il credente, dunque, l’amore viene da Dio e va verso Dio. In questa grande avventura la coppia e la famiglia sono al centro. E’ l’amore che si fa carne e fa vivere la vita come un giorno Dio-Amore ha preso volto d’uomo e si è fatto lui stesso carne per darci la vita.

 

 

SABATO 24

Santa Caterina di Svezia

Parola di Dio: Os. 6, 1-6; Sal. 50; Lc. 18,9-14

 

"DUE UOMINI SALIRONO AL TEMPIO A PREGARE". (Lc. 18,9)

A prima vista una parabola semplice lineare quella del fariseo e del pubblicano, ed è così; attenzione, però a sottovalutarla nella portata e nelle conseguenze per noi. Infatti i personaggi della parabola non sono solo il fariseo e il pubblicano, ma c’è il Signore a guardarli al Tempio e c’è il Signore a guardare a noi nel nostro modo di rapportarci con Lui. Potremmo quasi dire che i due personaggi, all’ingresso del tempio presentino la carta di identità che una certa mentalità religiosa ha stampato per loro. Il fariseo è innanzitutto una persona rispettabile, che conta, è un religioso, un osservante scrupoloso, persino oltre il limite di tutte le norme derivate dalla Legge di Dio, il suo grado non si riconosce solo dal portamento, ma anche dal vestito, è uno pratico del tempio e di liturgia, sa quando stare in piedi e come tenere gli occhi quando si parla con il Signore; la sua stessa presenza qualifica la religione. La carta di identità del pubblicano non è delle migliori, forse una delle cose per cui non viene cacciato dal tempio è perché, essendo esattore delle tasse, probabilmente è ricco, e il Tempio che ha sempre bisogno di soldi deve tenerseli buoni i ricchi; li si condanna perché si sa che è una ricchezza acquistata male, ma li si tiene buoni perché ‘possono sganciare’. Comunque il pubblicano è un peccatore perché sempre a contatto con i gentili, in particolare con i Romani per i quali lavora, è quindi un ‘impuro’, un collaborazionista, uno che certamente ha da pensare più ai suoi affari che non alle norme o alle minuzie della legge. Queste sono le facciate ufficiali dei due personaggi; anche oggi, spesso, vengono considerate le facciate delle persone che bazzicano le nostre chiese: "Quello è un Monsignore, tutto agghindato come un albero di Natale, collettino bianco, bottoni rossi, peggio di un orologio svizzero nel celebrare, impassibile (forse anche freddo come un pezzo di ghiaccio) che non si abbassa mai a livello della gente ma che è consapevole del suo ruolo di autorità e di guida. Quello è uno dei maggiorenti della parrocchia, è un benefattore; vedi, anche il parroco viene sempre a salutarlo personalmente… E quella signora ben impellicciata, sempre nei primi banchi, quando va a fare la Comunione, poi ritorna e, davanti a tutti, si prende la testa fra le mani e i vicini sentono solo più bisbigli e sospiri che sembrano sorgere dagli abissi di un’anima…E poi ci sono le persone che, avessero un po‘ di ritegno, farebbero bene a non venire in chiesa. Quella separata che ha la spudoratezza di andare anche a fare la Comunione: gli avrà dato il permesso qualcuno di quei preti moderni senza religione e senza morale! E quell’altra, che sappiamo benissimo il mestiere che fa, visto che ha due figli e nessun marito…" Ma, grazie al cielo, al Tempio, c’è anche Dio, e Lui non guarda le carte di identità ufficiali che certi hanno attribuito ad altri.

Lui sembra lì a guardare il cuore delle persone nascosto dietro le facciate.

E dietro la facciata del fariseo scopre un uomo altezzoso, pieno di sé, che non parla a Dio ma a se stesso, che giudica gli altri, che non dice né chiede niente a Dio perché è sicuro di poter provvedere alla propria salvezza con le proprie opere.

E, dietro la facciata di certi farisei odierni, Dio magari non si ferma e vedere stole e casule dorate, ma scopre impietosamente degli atei-religiosi; dietro alla pelliccia il cuore arido che non sa amare, la voglia di farsi vedere migliori di quello che si è, dietro il maggiorente della parrocchia, solo un portafoglio pieno di iniquità…

E Dio ascolta invece la preghiera del pubblicano, perché parte dal basso, perché non presume nulla di sé, perché è umile, perché chiede e chiede perdono.

E Dio vede anche oggi la fatica di quell’uomo che non sempre va in chiesa, ma che è sempre disponibile ad ogni bisogno, vede la sofferenza di quella donna che ha visto fallire il suo matrimonio in mezzo a prove e anche a botte e che ha bisogno di Lui per tirare avanti e per credere ancora alla possibilità di una vita e di una famiglia per lei; vede perché quell’altra donna ha dovuto fare "quel mestiere" e vede con quanta fatica e con quanto amore ha voluto tenersi quei due figli, mentre tutti le dicevano di far fuori ‘i bastardi’.

Dio vede e, all’uscita del Tempio uno torna a casa come prima, anzi, peggio di prima: si è perso un’occasione; l’altro torna a casa giustificato perché la sua preghiera partendo dal basso ha penetrato il cielo.

 

 

DOMENICA 25

4^ DOMENICA DI QUARESIMA (Anno C)

S. Isacco

Parola di Dio: Gs. 5,9.10-12;Sal. 33; 2 Cor. 5,17-21; Lc. 15,1-3.11-32

 

1^ Lettura (Gs. 5, 9. 10-12)

Dal libro di Giosuè.

In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: "Oggi ho allontanato da voi l'infamia d'Egitto".

Gli Israeliti si accamparono dunque in Galgala e celebrarono la pasqua al quattordici del mese, alla sera, nella steppa di Gerico. Il giorno dopo la pasqua mangiarono i prodotti della regione, azzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. La manna cessò il giorno dopo, come essi ebbero mangiato i prodotti della terra e non ci fu più manna per gli Israeliti; in quell'anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.

 

2^ Lettura (2 Cor. 5, 17-21)

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. E` stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.

 

Vangelo (Lc. 15, 1-3. 11-32)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: "Costui riceve i peccatori e mangia con loro". Allora egli disse loro questa parabola: Disse ancora: "Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: E` tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".

 

RIFLESSIONE

 

Quella che abbiamo letto in questa domenica è una delle parabole più famose e più belle del Vangelo. L’abbiamo ascoltata talmente tante volte che ci sembra anche di averne capito tutti i significati. Invece è una parabola che, proprio perché parabola, può aprire numerosi interrogativi. E lo scopo delle parabole è proprio questo: non tanto dare delle risposte precise quanto suscitare domande, intuizioni, dubbi che ci scomodano e che quindi ci interpellano. Lasciando dunque da parte le interpretazioni tradizionali di questo brano di Vangelo vorrei fermarmi con voi su alcuni di questi aspetti forse poco convenzionali del racconto.

A noi sembra che il personaggio principale sia questo figlio minore scappato di casa, dilapidatore di patrimoni, pentito, riaccettato dal Padre e reintegrato nel suo ruolo, ma non sarà forse meglio puntare l’attenzione sul comportamento del Padre?

Intanto, in questa famiglia non compare la madre. Gli esegeti dicono che è spiegabile: nel mondo di allora, la madre aveva un ruolo subordinato specialmente per quanto riguardava l’eredità. Ma Gesù non avrà forse volutamente non aver parlato di madre in quanto questo padre raccoglie in sè le caratteristiche paterne e materne? E’ un padre che decide, che aspetta, che abbraccia, che fa festa, che esce di casa a cercare di convincere il maggiore... è Dio che nella sua unità racchiude le caratteristiche della paternità e della maternità nei confronti delle sue creature.

Ma il Padre della parabola è proprio secondo i nostri schemi?

Davanti al figlio che in pratica lo insulta chiedendogli l’eredità mentre è ancora vivo, non discute, obbedisce. Da quanto dice (o non dice) la parabola, non fa nulla per fermare il figlio che se ne va.

Sembra che questo Padre abbia una predilezione per questo figlio scapestrato.

Dalle parole del figlio maggiore sembra che il padre non abbia le stesse attenzioni nei confronti del figlio che sta in casa: "Non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici ".

Proviamo a ripensare a questi atteggiamenti con alcune parole di Gesù: "Dio è benevolo verso gli ingrati", "Dio fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi", "Sono venuto non per i buoni, ma per i peccatori".

Ed ora alcune osservazioni sul figlio "prodigo".

Usando l’esempio del figlio "prodigo" non diventiamo classisti, nella realtà possono esserci anche padri e madri "prodighi". Se è facile pensare a figli che scappano di casa, entrano nella strada della droga, si lasciano condizionare dal denaro facile o dagli amici, non è forse vero che spesso ci sono genitori latitanti davanti all’educazione dei figli e al bene della famiglia, uomini e donne che scappano di casa per cercare "la propria realizzazione" lasciando i figli in balia di se stessi o pensando che una manciata di soldi possa risolvere ogni problema?

La parabola propone le varie tappe del pentimento, ma la figura del figlio minore ci offre alcuni spunti, forse meno evidenti, che vale la pena di raccogliere:

1) Il figlio minore non scappa di casa ribellandosi al padre, ma se ne va quasi con la sua benedizione: chiede, e riceve la sua parte del patrimonio. Il Padre è talmente rispettoso della libertà del figlio che è disposto a giocare tutto su di lui. E’ come il servo di quell’altra parabola di Matteo che riceve cinque talenti "secondo la sua capacità". Come avrebbe reagito il padrone, se al suo ritorno il servo gli avesse detto: "Ho trafficato i cinque talenti, ma mi è andata male, li ho perduti"?

2) Questo ragazzo non sceglie, come il fratello, la vita tranquilla all’ombra del padre, ma va per il mondo e traffica i suoi talenti. Certo, sbaglia l’investimento: "sperpera tutto..." E tuttavia non commette l’errore del terzo servo di Matteo, che sotterra il suo talento per paura di perderlo. Gesù, dunque, non vorrà forse dirci che è meglio rischiare e perdere, che non far nulla?

3) Il "figliol prodigo" pur essendo inesperto, potremmo dire sprovveduto, ama l’avventura, affronta il rischio, è andante e intraprendente, forse si sarebbe perfino risollevato se non fosse intervenuto un elemento indipendente dalla sua volontà, la carestia. Il testo lascia trasparire una certa simpatia nei confronti di questo ragazzo scapestrato, ma non cattivo: e l’atteggiamento di Gesù verso i peccatori, che destava scandalo tra i suoi contemporanei.

4)Questo giovane accetta le conseguenze delle proprie azioni ed è disponibile a pagare di persona. Al coraggio di andar via di casa, segue il coraggio di adattarsi ad un lavoro umile. Non va subito a piangere sulla spalla del padre, ma cerca lavoro, affronta la fatica e i disagi ed anche l’umiliazione, per un ebreo, di diventare guardiano di porci e di contendere a loro il cibo quotidiano.

5) E’ capace di riflettere e di cambiare atteggiamento: "rientrò in se stesso...", non pretende di riavere il suo posto come se nulla fosse accaduto, non accampa diritti, ma riconosce il suo peccato e chiede di essere trattato come servo.

6) E’ vero che in fondo decide di tornare a casa "per fame" ma dimostra di avere fiducia nel padre e gli parla direttamente, a cuore aperto; mentre il fratello si informa presso uno dei servi e non vuole nemmeno entrare in casa. Forse non aveva mai avuto confidenza di chiederlo semplicemente al padre, un capretto per far festa con gli amici…

I santi che ci vengono proposti a modello dalla Chiesa non sono quelli che non hanno peccato, e ancor meno quelli che per paura di peccare, non hanno fatto nulla; sono quelli che hanno compiuto delle scelte, si sono assunti delle responsabilità e si sono incamminati con fiducia verso la casa del Padre.

Ancora una parola sul figlio maggiore: a noi sembra il migliore ed anche le sue rivendicazioni ci sembrano giuste. In fondo, lui ha sempre lavorato, lui adesso si vede ripiombare in casa questo fratello ed ha paura che il padre riapra il problema della successione: è questione di giustizia!

Il Vangelo e il padre non gli danno torto, evidenziano solo i suoi errori: è stato in casa ma non ha conosciuto l’amore del padre; anche lui è più interessato ai suoi averi e alla sua eredità che non al padre, non ha più occhi per riconoscere suo fratello. Insomma: che bei figli ha questo padre! Eppure il Padre è amorevole verso tutti e due. Non è Dio che fa distinzione tra i suoi figli, è Dio che si adatta a ciascuno di noi e, secondo i pregi e i limiti dona a ciascuno la capacità di riconoscere il suo amore per noi. Proviamo a riflettere: lo capisco di essere amato personalmente dal Padre? So che mio Padre, nonostante i miei limiti, ha fiducia in me, è disposto ad aspettare pazientemente il mio ritorno, è disposto anche a passare sopra i miei insuccessi pur di poter far festa con me? E se, per caso, mi identifico con il figlio maggiore, conosco davvero l’amore del Padre se non sono capace di far festa per mio fratello che si converte?

 

 

LUNEDI’ 26

Annunciazione del Signore  -  Santa Lucia Filippini; Sant’Emanuele; San Marciano

Parola di Dio: Is. 7,10-14; Sal. 39; Eb. 10,4-10; Lc.1,26-38

 

"L’ ANGELO LE DISSE: ECCO, CONCEPIRAI UN FIGLIO, LO DARAI ALLA LUCE E LO CHIAMERAI GESU’… ALLORA MARIA DISSE: ECCOMI, SONO LA SERVA DEL SIGNORE, AVVENGA DI ME QUELLO CHE HAI DETTO". (Lc. 1,30.38)

La festa dell’annunciazione, in piena quaresima e quest’anno addirittura spostata di un giorno per rispettare la domenica, riporta in primo piano Maria, madre di Gesù e il mistero dell’incarnazione. E’ Maria che si fa per l’umanità grembo dell’eterno.

Forse è capitato a tutti fermarsi a contemplare il rosone di una cattedrale: quando è buio è come un grande occhio scuro , ma quando è inondato dal sole è un ricamo e un intreccio di colori. Maria è come un incantevole rosone inondato dal sole: la sua bellezza è messa in risalto dalla luce che la attraversa. E’ la luce di Dio che la abita.

Chi visita la piccola grotta dell’Annunciazione nella Basilica di Nazareth si stupisce: sono pochissimi metri quadrati, oggi occupati dall’altare. Maria era lì in ascolto. Nel suo cuore risuonava la Parola eterna, la promessa arrivata a Lei attraverso i secoli: verrà il Salvatore.

E Lei ha saputo riconoscere la voce di Dio perché era in ascolto della Parola. E dentro il suono delle parole ha riconosciuto la presenza.

Ma anche oggi Dio continua ad annunciare la sua presenza nel mondo. Spesso noi e il nostro mondo non abbiamo orecchie per sentirle. Eppure anche oggi Dio mi ha annunciato la sua presenza nei miei familiari, nel povero che ho incontrato, in quell’anziana che, si vedeva benissimo, stentava a reggersi e nessuno si è alzato sul tram per cederle il posto, nel mio compagno di ufficio che mi stuzzica continuamente sapendomi cristiano.

Spesso non sappiamo accogliere queste "annunciazioni" perché abbiamo perso l’abitudine alla riflessione.

Vi ricordate quando bambini, specialmente nel mese di maggio, ci venivano indicati i "fioretti" per preparare l’anima a celebrare con gioia una festa? Non sarà il caso che noi riprendiamo l’abitudine di alcune piccole cose per creare di nuovo in noi la disponibilità ad accogliere i richiami del Dio che viene?

Vi potranno forse sembrare infantili, ma ripropongo a voi e a me alcune cose semplici come ad esempio: ritagliare nella giornata dieci minuti da dedicare esclusivamente alla preghiera; trovare nella propria casa un angolo per la preghiera; abituarsi a leggere nella giornata un versetto della bibbia e chiedersi: "Che cosa vuoi dire, oggi, a me, con questa parola?"; dedicare un briciolo di tempo in più ad ascoltare le persone che vivono con noi…

Se ci alleneremo alla meditazione, al silenzio, all’ascolto, come per Maria, anche per noi sarà impossibile non vedere le venute continue del Salvatore per noi e per il mondo intero.

 

 

MARTEDI’ 27

Sant’Alessandro; San Ruperto

Parola di Dio: Ez. 47,1-9.12; Sal. 45; Gv. 5,1-3.5-16

 

"GESU’, VEDENDO IL MALATO DISTESO E SAPENDO CHE DA MOLTO TEMPO STAVA COSI’ GLI DISSE: VUOI GUARIRE?". (Gv. 5,6)

Sembra una domanda assurda quella che Gesù rivolge a questo malato. Per farvi un’idea di questo, provate a fantasticare con me: Dio vi ha dato la possibilità di realizzare il desiderio di una persona e voi avete un caro amico malato di cancro; andrete a chiederli il permesso di guarirlo o pensate che lui possa rispondervi che non gli interessa?

Eppure questa domanda di Gesù ha un senso profondo. Noi sappiamo che i racconti evangelici partono da un fatto per riuscire a dirci qualcosa di molto superiore al fatto stesso, partono da una realtà storico temporale per mandare un messaggio a noi. L’insieme del racconto del Vangelo odierno vuole indicarci che Gesù è ormai l’unico risanatore, è la sua persona che porta la salvezza e la salvezza globale dell’uomo. Se leggo così il brano, allora capisco la domanda di Gesù: "Vuoi guarire?". E’ una domanda rivolta a me. Gesù chiede a me se io riconosco in Lui il Salvatore, Colui che può cambiare la mia vita, e se davvero desidero che Egli operi questo in me. Anche qui sembra evidente il tipo di risposta e, invece, non sempre è così. Qualcuno pensa di non aver bisogno di essere guarito in quanto non crede di essere malato. Quando si ripone fiducia unicamente nelle cose o in se stessi, si pensa di non aver bisogno di altro: chi si accontenta di bere acqua nella pozza fetida della strada non la lascia per mettersi in cerca della sorgente. Qualcuno riconosce che Dio potrebbe cambiare totalmente la sua vita, ma stenta a fidarsi. Provate a pensare se non è vero che qualche volta abbiamo paura di abbandonarci totalmente nelle mani di Dio; abbiamo paura che ci ‘giochi’ in modo differente dal nostro, siamo un po’ come il servo che ha nascosto il suo talento e poi si giustifica con il padrone dicendo: "So che sei un padrone severo ed esigente… ho avuto paura… ho preferito non correre rischi e nascondere il talento". Gesù, oggi, ripete a ciascuno di noi: "Vuoi guarire? Vuoi uscire dalla grettezza, dal pressapochismo, dall’egoismo, dalle abitudini che uccidono, dalla tiepidezza della fede? Ti rendi conto che, da solo, non ce la fai, che sei paralitico, impedito? Ti fidi che io possa fare questo? Sei davvero convinto che io, guarendoti, non voglio il tuo male ma il tuo bene, che se ti scombussolo un po’ la vita non è per farti soffrire, ma per guarirti davvero e totalmente e per farti gustare la bellezza del vivere?". La risposta è a ciascuno di noi.

 

 

MERCOLEDI’ 28

San Gontrano; San Sisto III°; B. Giovanna de Maillé

Parola di Dio: Is. 49,8-15; Sal. 144; Gv.5,17-30

 

"CHI ASCOLTA LA MIA PAROLA E CREDE A COLUI CHE MI HA MANDATO, HA LA VITA ETERNA E NON VA INCONTRO AL GIUDIZIO, MA E’ PASSATO DALLA MORTE ALLA VITA". (Gv. 5,24)

Nella vita ci si può abituare a tutto, perfino alla morte.

I primi tempi in cui ero sacerdote avevo apprensione quando la gente veniva a chiamarmi per andare da un moribondo o arrivava piangendo ad annunciarmi la morte di un loro caro. Passando gli anni ho corso il rischio, e lo corro ancora, di abituarmi anche a questo e, se è vero che per ogni morte non si può fare una tragedia, è estremamente brutto e avvilente diventare prete-becchino, incapace a partecipare anche con i propri sentimenti ad un momento così importante della vita di una famiglia.

Eppure per sopravvivenza, per quieto vivere, per egoismo, ci si abitua a tutto, anche a vivere, e i nostri giorni si accumulano uno sull’altro, uguali e banali finché un giorno ti risvegli e scopri di esserti talmente abituato alla vita da non averla vissuta.

Ci si abitua perfino alla religione, a Dio, al Vangelo di Gesù, a tutto abbiamo dato posto in schemi artefatti e vorremmo che anche Dio fosse ben incasellato al suo posto. E poi, meno male, incocci un bel giorno una frase di Gesù come quella di oggi e, se la prendi sul serio, essa ti dà uno di quegli scossoni da mandare in frantumi i castelli delle abitudini che per anni hai accumulato sulla tua testa.

Nella tua fede, infatti, hai sempre pensato che vita eterna, inferno e paradiso, giudizio particolare e giudizio universale fossero cose che sarebbero successe "dopo", cose a cui, sì, bisognava prepararsi, ma sempre future. E Gesù non ci dice che il "dopo" non sarà così, ma ci dice anche che "oggi" è già così.

Gesù ci dice: "La vita eterna non comincia dal giorno della tua morte, ma da quello della tua nascita; tu ci sei già dentro; se ascolti la mia parola e quella del Padre stai già compiendo il tuo giudizio e quello del mondo, stai già scegliendo di stare con me o contro di me, stai già sperimentando la morte o la risurrezione!".

Se ho capito questo, se credo alla parola di Gesù, allora questa mia giornata non è solo un succedersi di ore, di piccoli o grandi impegni, è l’eternità. Gesù oggi è vivo, muore e risorge per me, il perdono di Dio è adesso, la festa per me, figlio prodigo che ha deciso di tornare a casa, è pronta ora, in questo momento gli angeli e i santi gioiscono per i doni della misericordia che il Padre riversa su di me, se sono disposto ad accoglierli. Altro che abitudine, altro che banalità di un giorno come tanti altri! Oggi per me può davvero essere l’alba della creazione!

 

 

GIOVEDI’ 29

San Secondo di Asti; B. Paola G. Costa

Parola di Dio: Es. 32,7-14; Sal.105; Gv. 5,31-47

 

"EGLI ERA UNA LAMPADA CHE ARDE E RISPLENDE E VOI AVETE VOLUTO SOLO PER UN MOMENTO RALLEGRARVI ALLA SUA LUCE". (Gv. 5,35)

Questo brano teologico di Giovanni può, a prima vista, risultare difficile e astruso, ma qui, Gesù presenta se stesso come testimone fedele del Padre, sempre disposto a intercedere per noi e a portarci a Lui. Tenendo presente che Gesù è il vero mediatore tra noi e il Padre, ci chiediamo oggi, sulla scorta della frase che Gesù dice di Giovanni Battista, chi siano per noi i testimoni, i santi. Un certo Francesco, per seguire Cristo, si è messo contro l’autorità costituita, contro il padre, il vescovo stesso, circondandosi di pezzenti, tanto da essere chiamato "Il pazzerello di Dio". Giovanni della Croce fu messo in prigione; Sant’ Alfonso cacciato dalla congregazione che aveva fondato; don Bosco, quando comincia ad occuparsi dei monelli di strada, viene ritenuto pazzo. Santi non ‘precostituiti’, ma uomini come me, come te, che hanno subito tentazioni, incontrato ostacoli, difficoltà, incomprensioni di ogni genere, lottato con coraggio per vivere con coerenza la loro fede, fare della loro vita un dono di amore a Dio, a servizio dei fratelli. I santi sono i coraggiosi pionieri della marcia in avanti, i veri benefattori dell’umanità, persone che hanno compreso il grande valore della vita, la gioia di donare e di donarsi. Ci aiutano a scoprire il primato dell’assoluto di Dio in un mondo che proclama l’assoluto dell’uomo. Ci aiutano a toccare con mano la presenza di un Dio-Amore, in una società che decreta la sua morte, la superiorità dello spirito sulla materia, i valori morali su quelli economici, l’essere sull’avere. Seminano briciole di eternità sulla fugacità del tempo, certezze assolute fra le incertezze in cui siamo sommersi; additano sentieri di luce, di giustizia e di libertà ai tanti prigionieri della colpa e dell’egoismo.

Turbano i mediocri, scuotono gli indifferenti, svegliano i dormienti, gridano agli uomini di ogni tempo che solo l’amore è la vera sorgente della gioia e della vita.

 

 

VENERDI’ 30

San Giovanni Climaco; Sant’ Amedeo

Parola di Dio: Sap. 2,1.12-22; Sal. 33; Gv. 7,1-2.10.25-30

 

"ALLORA CERCARONO DI ARRESTARLO". (Gv. 7,30)

Ciascuno di noi si sarà più volte chiesto perché la venuta terrena di Gesù, Figlio di Dio, sia dovuta terminare con la sua terribile morte in croce. Le risposte possono essere tante e con altrettanti motivi teologici per comprovarle. Qualcuno dice che solo attraverso la sofferenza e la morte, il Dio fatto uomo, reso in tutto simile a noi, poteva trasformare la sofferenza in amore e sconfiggere la morte e il peccato in maniera definitiva, risorgendo dai morti e liberandoci dal male. Altri, specialmente i mistici, preferiscono adorare in contemplazione questo mistero. Vorrei oggi, con voi, sottolineare un aspetto, forse non il più importante, del perché Gesù sia stato condannato a morte. Prima di tutto Gesù è fedele al Padre, Gesù è la verità e quindi proprio per questa fedeltà al Padre e per amore della verità, Egli dice sempre con estrema schiettezza il vero. Gesù, poi, è la luce venuta ad illuminare ogni uomo, quindi anche per amore nostro Lui è e dice sempre la verità. Ma la luce non piace a chi vive nelle tenebre o a chi pensa di essere già illuminato di luce propria; la verità disturba le supposte verità di coloro che, approfittando del religioso, si sono costruiti una casta di potere e di benessere. E allora la verità di Gesù non piace. Quando a Nazaret Gesù non si abbassa a fare i richiesti miracoli ciarlataneschi e dice di essere mandato da Dio, cercano di buttarlo giù dalla rupe della città. Quando per amore di verità ed anche per amore loro, Gesù dice che gli scribi, i farisei, i dottori della legge, sono ipocriti, belli di fuori, marci di dentro, certamente a questi personaggi non fa piacere e, allora, prima cercano di screditarlo e poi di farlo fuori. Quando Gesù, rovesciando i tavoli dei cambiavalute e dei venditori degli animali del tempio, tocca gli interessi di questi commercianti e gli interessi dei sacerdoti del Tempio, viene deciso che "è meglio che muoia un uomo piuttosto che tutto il popolo debba soffrire". Dunque, almeno nella successione degli eventi umani, la morte di Gesù è una conseguenza delle sue scelte e delle sue parole: Gesù non ha addomesticato la verità attraverso la diplomazia e i compromessi, ha sempre detto il vero in faccia a ciascuno e questo ha suscitato l’ira del potere costituito che ha reagito condannandolo a morte. La storia è quella di ieri, di oggi, di sempre: se ami Dio, se ami la verità, se ami gli uomini, se sei tutto d’un pezzo nell’affermare il vero, avrai fatto certamente del bene all’umanità ma avrai suscitato la gelosia, la rabbia, l’ira dei vari poteri costituiti che in mille modi cercheranno di farti tacere. Gesù, poi, accetta tutto questo non con il piacere di soffrire, ma con l’amore vero per noi. Lui aveva detto: "Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici". Lui sapeva che, donandoci la verità di Dio, questa avrebbe portato come conseguenza la sua condanna, ma proprio per amore del Padre e nostro lo ha accettato. Il Signore nelle piccole e grandi prove, nei momenti di persecuzione ci dia il coraggio di essere talmente amanti della Verità, di Dio e dei fratelli, da non scendere mai a compromessi, da non mistificare la verità, di essere invece coerenti con il messaggio e la testimonianza che Lui stesso ci ha dato.

 

 

SABATO 31

Sant’ Amos; San Beniamino

Parola di Dio: Ger. 11,18-20; Sal. 7; Gv. 7,40-53

 

"E NACQUE DISSENSO TRA LA GENTE RIGUARDO A LUI". (Gv. 7,43)

Ci sono, nella nostra storia, fatti o personaggi davanti ai quali non è neppure importante prendere posizione: la mediocrità non interpella. Invece davanti a persone, magari scomode, contrastanti, provocanti, che hanno qualcosa da dire o da chiederci, non si può non essere coinvolti.

Gesù è uno di questi personaggi. Nella sua storia terrena non è stato un personaggio facile. Il Vangelo di oggi, sintetizzando, ci dice che alcuni lo consideravano un profeta, altri il Cristo, altri un imbonitore di folle, altri un millantatore, altri uno che sapeva parlar bene, altri un uomo pericoloso, altri uno da far fuori il più presto possibile, prima che arrecasse troppi danni… Insomma, davanti a Lui perfino il non prendere posizione era già una scelta. E oggi è esattamente la stessa cosa; davanti alla sua persona e alla sua proposta non si può non essere coinvolti.

C’è chi risolve velocemente il problema e, avendocela con il potere religioso, vede Gesù come il mezzo attraverso cui questo potere si è assestato e, allora, facendo di tutta erba un fascio, getta via preti e Cristo insieme.

C’è chi ne vede la pericolosità, perché se qualcuno lo prendesse davvero sul serio ci sarebbe la più grande rivoluzione di amore di tutti i tempi e allora lo annacqua, dolcifica talmente le sue parole al punto di travisarle e di renderle capaci di addormentare chiunque.

C’è chi si ferma all’uomo Gesù, rischiando di farlo diventare "un gran personaggio della storia", una specie di filosofo moralista, fondatore di religioni, e così Gesù diventa argomento di discussione, chiacchiere, tavole rotonde, salotti e il suo messaggio una morale tra le tante.

Per altri l’incontro con Gesù è stato scioccante, ha cambiato la vita: penso ai santi, ai martiri e a tutti coloro che hanno giocato e giocano la vita per Lui perché davvero lo credono vivo, Figlio di Dio, con un messaggio di gioia per oggi, perché vogliono far parte del suo regno.

Anche nella nostra vita Cristo ha avuto un ruolo e ce l’ha tuttora. La figura di Lui, il rapporto che abbiamo oggi con Lui dipendono da tante scelte precedenti. Se oggi Cristo non è per me segno di contraddizione, provocatore, evocatore di gioia e di impegno, non sarà perché, seguendo la strada comoda che magari altri mi hanno suggerito, ho preferito addormentare l’incontro con Lui? Ma c’è sempre tempo: da quando Gesù si è incarnato non ha mai smesso di andare incontro ad ogni uomo per provocarlo: "E tu, adesso, senza maschere, chi dici che io sia?".

     
     
 

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