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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

FEBBRAIO 2001

 

GIOVEDI’ 1

Santa Verdiana; Sant’Orso; San Severo di Ravenna

Parola di Dio: Eb. 12,18-19.21-24; Sal.47; Mc.6,7-13

 

"E PARTITI, PREDICAVANO CHE LA GENTE SI CONVERTISSE, SCACCIAVANO MOLTI DEMONI, UNGEVANO DI OLIO MOLTI INFERMI E LI GUARIVANO". (Mc. 6,12.13).

Proviamo ad immaginarci la scena.

Un gruppetto di persone ha seguito Gesù; hanno lasciato tutto: la casa, le reti, il tavolo dell’esattore delle tasse. Sono persone semplici, ma persone estremamente contente perché hanno trovato Colui che dà senso alla loro vita, a tutta la loro tradizione religiosa che attendeva il Messia di Dio. E adesso, proprio loro, poveri pescatori, gente che forse neppure sa leggere o scrivere, viene incaricata da Gesù di essergli testimone. Non hanno mezzi, anzi, Gesù dice di non usare neanche di quelle poche cose che sono in loro possesso. Devono fidarsi unicamente dei doni di Dio e di quello che c’è nel loro cuore… E questi partono.

Mi sono chiesto tante volte: "Come mai nei primi secoli il cristianesimo si è sviluppato in maniera così esorbitante, nonostante l’umiltà di origine dei primi appartenenti alla Chiesa, nonostante i pochi mezzi economici, nonostante le persecuzioni che certamente facevano paura? Eppure allora non era così facile spostarsi, comunicare! Come mai lungo i secoli i veri missionari partivano con un coraggio fantastico per recarsi in regioni sconosciute ed affrontare l’ignoto, le persecuzioni e la morte pur di poter annunciare Gesù?".

Perché avevano incontrato non una filosofia, non una teoria, non una religione; avevano incontrato Gesù! E lo avevano a fondo nel loro cuore e sentivano l’urgenza, la necessità che anche altri facessero questo incontro gioioso.

La vera missionarietà è tutta qui. Non si va a portare una teoria, una religione, non si va a cercare di aumentare il numero di adepti ad una confessione religiosa per sentirsi più forti, si va a portare Quello che si ha nel cuore, una persona.

Spesso, oggi, facciamo l’errore di credere che missionarietà sia soltanto compito di qualcuno a cui volentieri deleghiamo questo impegno. No! Essa è compito di tutti quelli che hanno incontrato Gesù.

E purtroppo, se questa nostra chiesa, cominciando dai suoi vertici fino alla sua base, a volte non è missionaria, è perché non ha incontrato Gesù vivo e vero, ma è solo tradizione religiosa; infatti per tanti la fede è diventata solo appartenere per tradizione ad una religione che in fondo fa comodo, fa parte, almeno formalmente, del nostro ambito culturale, ci addormenta dandoci l’illusione di essere abbastanza bravi e dovrebbe garantirci un posto in un eventuale e futuro paradiso.

Penso che se, anche solo quel certo numero di milioni di persone che sono venute, lo scorso anno, a Roma per celebrare il Giubileo, avessero davvero incontrato Gesù vivo e vero, il mondo sarebbe incendiato (provate a rileggere in questo senso il discorso del Papa ai giovani a Tor Vergata).

E’ vero che nelle nostre chiese siamo in pochi: dal 7 al 15 per cento della popolazione italiana, ma se anche solo la metà o un quarto delle persone che vanno a Messa la domenica, avessero incontrato Gesù, come cambierebbe la vita nel nostro paese!

E veniamo anche a ciascuno di noi. E’ vero che io posso essere povero, posso essere incapace a fare dei grossi discorsi, è vero che forse la mia vita, le mie responsabilità quotidiane mi mettono in comunicazione solo con poche persone, ma se avessi nel cuore Gesù, la mia vita, i miei gesti, le mie parole non lo farebbero trapelare?

Gesù, tu hai mandato quei poveri uomini ad annunciare la tua gioia e oggi dici anche a me la stessa cosa. Fa’ che ti abbia nel cuore perché tu possa, anche attraverso me, annunciare agli altri la gioia del tuo Vangelo.

 

 

VENERDI’ 2

Presentazione del Signore

Santa Caterina de’ Ricci

Parola di Dio: Ml. 3,1-4; Sal. 23; Eb. 2,14-18; Lc. 2,22-40

 

"QUANDO VENNE IL TEMPO DELLA PURIFICAZIONE SECONDO LA LEGGE DI MOSE’, MARIA E GIUSEPPE PORTARONO IL BAMBINO A GERUSALEMME PER OFFRIRLO AL SIGNORE". (Lc. 2,22)

Un gesto di fede, secondo la tradizione ebraica, un gesto molto semplice quello di Giuseppe e di Maria che, portando Gesù nella solennità del Tempio, ricordano a se stessi, a Dio ed anche a noi, che quel Bambino è un dono che è stato fatto loro da Dio ma è anche di Dio ogni giorno della sua vita. In questo gesto così semplice è riassunto tutto il mistero della nostra salvezza e anticipa quello che sarà il segno della totale donazione e offerta di Gesù sulla croce, per noi. Gesù è venuto sulla terra per fare la volontà del Padre, cioè per portare a noi la Sua misericordia. Egli ha assunto la nostra umanità e si è caricato delle nostre povertà, del nostro peccato soprattutto. Egli, però, essendo Dio può offrire al Padre nella sua umanità anche la nostra, proprio per riscattarci dal male. E’ dunque, quello che celebriamo in questa festa, un gesto d’amore semplice e profondo del Padre, del Figlio e dello Spirito nei nostri confronti. Ogni volta che noi, nell’Eucarestia alziamo quel pane consacrato rinnovando la memoria della Passione, Morte, Risurrezione di Cristo, noi riviviamo e attualizziamo l’offerta che Gesù ha fatto per noi. Perché allora molti hanno paura di non potersi salvare? E’ vero che i nostri peccati sono tanti, è vero che tante volte abbiamo promesso di cambiare vita, di emendarci, ma non ci siamo riusciti e ricadiamo sovente nelle stesse mancanze, nello stesso egoismo, è vero che da soli non possiamo salvarci, ma Gesù ha offerto se stesso per noi una volta per tutte sulla Croce e ogni giorno rinnova questa offerta attraverso il sacramento dell’Eucarestia celebrato milioni di volte sulla terra. Se ho davvero fiducia in Gesù, nella sua opera di misericordia, non posso disperare della mia salvezza e allora il mio cuore si riempie di gratitudine per Colui che ha offerto la sua vita per me. Se poi questa gratitudine è nelle profondità del mio cuore mi renderà anche capace di qualche gesto di riconoscenza e di amore. Seguire Gesù costa, Lui è passato attraverso la croce. Maria sentirà una spada trafiggerle il cuore, come le viene preannunciato dal vecchio Simeone. Il cristiano passerà anche lui attraverso la sofferenza, ma la croce non resterà solo il segno contrario e negativo della vita. Proprio perché Cristo si è offerto su di essa, la croce diventa per il cristiano il segno della liberazione dal male. Proviamo, oggi ad offrire al Signore le piccole croci che incontreremo. Non siamo noi a salvarci, non sono neanche quelle piccole sofferenze che incontriamo quotidianamente a darci salvezza, essa viene da Dio, ma uniamoci anche noi nel nostro grazie offrendo al Padre le piccole prove perché Egli possa, con Gesù, accoglierci tra le braccia della sua misericordia.

 

 

SABATO 3

San Biagio; Sant’Ansgario (Oscar); B. Ruggero da T.

Parola di Dio: Eb. 13,15-17.20-21; Sal. 22; Mc. 6,30-34

 

"DISSE LORO: VENITE IN DISPARTE, IN UN LUOGO SOLITARIO, E RIPOSATEVI UN PO’ ". (Mc. 6,31)

Conosco tante persone, e forse tra esse vi sono pure io, che pensano di essere unici ed indispensabili in questo mondo. Tutto dipende da loro nelle piccole e grandi cose. Se non c’è una loro supervisione anche a quello che fanno gli altri, le cose non sono fatte bene. E allora queste persone corrono, sono agitate, parlano, dicono…e sono continuamente a rischio di infarto.

In molti casi è vero: la vita non ti concede requie, hai talmente tanti impegni che per portarli avanti tutti, arrivi alla sera stremato. Anche solo in famiglia, ad esempio, una mamma tra i figli con tutte le loro esigenze, il marito, la casa, gli anziani, e poi magari anche il suo lavoro, certamente non ha molto tempo libero.

Si corre però il rischio di diventare schiavi delle cose, di correre per anni ed anni e poi improvvisamente accorgersi … "Ma per che cosa ho corso? Per chi sto correndo?".

Spesso si perde il senso della meta per cui si fanno le cose, o questo rimane talmente nascosto che sono le cose, gli impegni a comandare.

Prova a fermarti.

C’è bisogno di prendere fiato in certi momenti. C’è bisogno di un po’ di silenzio in mezzo a tanto rumore. C’è bisogno di ritrovare se stessi, i motivi del proprio agire, c’è bisogno di incontrare Dio che di solito non parla nel chiasso, ma ha bisogno del tuo silenzio per arrivare al profondo del tuo cuore.

Fermati! Non aver paura di perdere un po’ del tuo tempo.

Non aver paura di impoverire gli altri se qualche momento della tua vita ti ritiri, se in qualche momento ti metti a naso all’insù per accorgerti che esistono ancora le stelle o ti siedi sulla sponda del mare per lasciarti cullare dal rumore della risacca.

Non togli niente a nessuno, anzi, ti arricchisci per poter arricchire, perché a forza di correre, anche per gli altri, si rischia di trasmettere solo più i propri affanni.

Anche nella fede hai bisogno di fermarti perché se no offri solo religione, norme, esteriorità. Se non hai Gesù nel tuo cuore non porti nulla. E per avere Lui nel cuore c’è bisogno di stare con Lui. Forse non servono neppure le parole, le preghiere, basta fermarsi e riposare nel suo cuore. E Lui stesso, ad un certo punto, come succede nel Vangelo di oggi, vedendo altra gente in difficoltà ti dirà: "Adesso possiamo andare; dopo essere stato con Me su quella barca, sei in grado di portarmi a loro".

 

 

DOMENICA 4

5^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ( C)  -  S. Gilberto; S.Andrea Corsini; S. Giovanni da V.

Parola di Dio: Is. 6,1-2.3-8; Sal. 137; 1 Cor. 15,1-11; Lc. 5,1-11

 

1 ^ Lettura (Is. 6, 1-2. 3-8)

Dal libro del profeta Isaia.

Nell'anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l'uno all'altro: "Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria". Vibravano gli stipiti delle porte alla voce di colui che gridava, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: "Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti". Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall'altare. Egli mi toccò la bocca e mi disse: "Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato". Poi io udii la voce del Signore che diceva: "Chi manderò e chi andrà per noi?". E io risposi: "Eccomi, manda me!".

 

2^ Lettura (1 Cor. 15, 1-11)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l'ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano! Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

 

Vangelo (Lc. 5, 1-11)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genèsaret e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: "Prendi il largo e calate le reti per la pesca". Simone rispose: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti". E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore". Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini". Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

 

RIFLESSIONE

 

A forza di aver interpretato la figura di Gesù esclusivamente come colui che è buono, dolce, bello, come Colui che viene a risolvere tutti i problemi dell’umanità attraverso i miracoli, come Colui che perdona sempre, corriamo il rischio di non riconoscere più il Salvatore con tutta la sua carica di "pericolosità". E’ vero che Gesù è buono, è vero che la sua misericordia lo fa accostare a tutti gli uomini, specialmente ai peccatori, è verissimo che i suoi miracoli aiutano gli uomini non solo a risolvere qualche problema particolare, ma a fondare la fede in Lui Figlio di Dio, ma è anche altrettanto vero che Gesù e la sua parola possono scompaginare la vita di un uomo.

Sul Vangelo si potrebbe benissimo mettere la scritta: "Attenzione! Maneggiare con cura, può esplodere".

E ne abbiamo una ulteriore controprova nel Vangelo odierno.

Potremo dire che in questo brano ci sono tre scene.

La prima è quella della gente che attornia Gesù desiderosa di ascoltare la sua Parola. La seconda, è Gesù che chiede in prestito a Pietro la barca per poter da essa predicare e che poi invita Pietro a buttare le reti anche se non è il momento, anche se non è il posto giusto, e avviene la pesca miracolosa. Il terzo quadro sono proprio le conseguenze di questo miracolo: Pietro si inginocchia davanti al Signore riconoscendo la propria nullità e il proprio peccato mentre Gesù, partendo da questo atto penitenziale prende l’occasione per dare a lui e ai suoi amici un incarico che diventa il cambiamento totale della loro vita.

Ecco la pericolosità di Gesù: Egli comincia sempre col chiedere qualcosa e quando riesce a far breccia nel cuore, allora può davvero cambiare una vita.

Ripercorriamo allora queste tre scene perché tutte e tre hanno dei chiari insegnamenti per noi.

Gesù è attorniato dalla folla perché questa gente ha piacere di incontrarlo e di ascoltare la Parola di Dio. Chiediamoci: oggi è ancora così?

Sappiamo tutti, per esperienza diretta, che, ad esempio, entrando nelle nostre chiese non sempre troviamo ressa di persone desiderose di ascoltare la Parola di Dio, di pregare, di incontrare Lui. Il più delle volte troviamo chiese semivuote, con gente anziana che spesso partecipa alla liturgia per abitudine, per paura dell’aldilà, per chiedere grazie… Spesso ci sono cristiani che compiono riti e gesti ma che non hanno un grande desiderio personale di ascoltare la parola di Dio. Se stiamo alle statistiche dobbiamo ammettere una continua diminuzione dei cristiani cosiddetti praticanti.

Eppure ci sono anche dei segni contrari. Abbiamo visto che, alle Giornate Mondiali della Gioventù, attorno ad un vecchio Papa, si sono radunati milioni di giovani desiderosi di ascoltare non solo canzonette, ma Parola di Dio; abbiamo visto gente di tutti i ceti sociali recarsi Roma per il Giubileo: milioni e milioni di persone e tra questi non solo gli ‘abituè’ della fede o coloro che quasi per dovere compivano questo pellegrinaggio o questo viaggio turistico ma anche persone desiderose, nel nome di Cristo, di cambiare vita. In questo nostro mondo, dunque, c’è ancora gente che sente il desiderio del sacro, il bisogno di curare lo spirito, c’è ancora gente che ha voglia di incontrare Gesù. E come rispondiamo noi a questa richiesta?

Ecco allora la seconda scena del Vangelo.

Gesù, attorniato da molta gente chiede a Pietro una piccola cosa: "Pietro imprestami la tua barca".

Comincia sempre così, con una piccola richiesta. Egli vuole vedere se il nostro cuore è disponibile.

Provate un po’ a pensare se non è vero che spesso alcune nostre strade sono cominciate con una piccola cosa: ad esempio hai conosciuto un malato al quale hai scoperto di potere dare un po’ di gioia e poi ti sei trovato a visitarne altri dieci; sei andato una volta con un amico, magari anche sentendoti un po’ costretto da lui, in quel gruppo di volontariato e ancora oggi ti trovi a dedicare molto del tuo tempo libero a quel servizio. E’ il Signore che per amore prima ci chiede un dito, poi ti prende la mano, poi il braccio e poi desidera arrivare al tuo cuore.

A Pietro che gli ha imprestato la barca Gesù risponde con il miracolo della pesca miracolosa, e da quella barca Pietro né uscirà non più pescatore di pesci, ma pescatore di uomini.

Il tutto sta nell’accorgersi di quella piccola cosa che il Signore ti chiede e nel rendersi disponibili a dimostrargli che il nostro cuore non è ancora totalmente refrattario, chiuso. Il resto lo fa Lui. Infatti è la sua Parola che guida tutto questo brano del Vangelo. E’ la Parola che è desiderata dalle folle, è la Parola che compie il miracolo, è la Parola che invia alla missione questi poveri pescatori squinternati, ma disponibili alla chiamata del Signore.

Ci siamo mai chiesti: "Gesù non avrà forse dei progetti su di me?"

E, sì, perché Dio si serve dell’uomo per arrivare all’uomo, e questo in tutti i campi dal più grande al più piccolo sulla terra…

Nessuno può dire: "Non tocca a me". "Io vado a Messa alla domenica e quindi non mi aspettano altre incombenze". Nessuno può dire: "Io non so parlare, io non me la cavo nelle discussioni, gli altri sono più preparati, ho paura della gente…"

Che cosa dice Gesù a Pietro? Gli fa l’esame di maturità per vedere se culturalmente è abbastanza preparato? Gli fa sostenere un esame di Sacra Scrittura per vedere se conosce teologicamente chi sia Dio?

Gli dice con molta semplicità: "Quello che è il tuo mestiere adesso lo cambierai a favore di tutti gli uomini. Non sarai più quello che butta le reti per acchiappare i pesci, farli morire e così ricavare il necessario per la propria sussistenza, sarai colui che offre agli uomini il "Dono più grande" e con questi uomini camminerai perché questo "Dono più grande" sia conosciuto da tutti, in tutte le parti del mondo.

Non importa che Pietro non sia un gran predicatore, non importa neppure che Pietro non abbia ancora capito bene tutto, non importa neanche il suo carattere impetuoso, difficile, pauroso, importa che Pietro, dopo aver imprestato la propria barca a Gesù, gli offra il proprio cuore, e allora Dio può agire.

Ognuno è invitato a dare quello che può, a fare quello che può: Il Signore tiene conto delle doti e dei talenti che Egli stesso ha dato o non ha dato. E’ importante e decisivo che nessuno si senta dispensato dall’annunciare secondo le proprie possibilità, nel proprio giro di persone, il Vangelo di Cristo.

Quello che nuoce non è tanto l’insufficiente preparazione, nuoce invece la mancanza di coscienza del proprio dovere di testimoniare una gioia ricevuta. E forse non si arriva a questo proprio perché, essendosi premuniti, cauterizzati nei confronti del Vangelo, non riusciamo ad offrire al Signore neanche un minimo pezzettino di noi stessi dove Lui possa attaccarsi per scuoterci e mandarci.

Questo discorso non è per altri, ma per noi che siamo abituati ad andare a Messa. Bisogna uscire dalla nostra apatia, dalla ritualità, bisogna che impariamo ancora ad accogliere la novità del Vangelo, e bisogna che ci lasciamo fare da Cristo.

Quanti esempi ci sono di persone che, nella Bibbia e nella storia, si sono lasciate realizzare dal Signore, come Egli voleva!

La prima lettura ci ha presentato il profeta Isaia. Prima è sbigottito davanti alla maestà di Dio, ma quando Egli lo ha purificato, allora con entusiasmo gli risponde: "Eccomi, manda me!". E sappiamo che Dio si servirà di Lui per un annuncio non sempre molto facile, ma per suscitare la speranza nel suo popolo che la stava perdendo.

Giovanni il Battista ha accettato di essere la voce di Colui che stava per venire ed ha gridato nel deserto nel nome del Signore, ed ha puntato il dito contro i peccati del re Erode e ci ha anche rimesso la testa, ma ha compiuto la sua missione

Maria, nel silenzio ha detto anche Lei: "Eccomi, sono la tua serva" ed ha accolto nientemeno che il Figlio di Dio per poterlo offrire a tutti gli uomini della terra. Per stare alle sue parole: "Dio ha guardato alla povertà della sua serva per fare cose grandi in Lei e attraverso Lei".

E anche noi, se ci lasciamo fare dal Signore, se accettiamo che compia in noi la sua opera, vedremo delle meraviglie.

Dio si serve della mia pochezza, della mia incapacità di parlare, della mia povertà nell’amare e nel testimoniare, Dio si serve addirittura dei miei peccati per poter annunciare al mondo il suo amore.

Ma in quale modo il Signore ci chiama a vivere l’amore e la testimonianza nella nostra vita?

Dovremmo tutti abbandonare le reti e correre qualche avventura dietro al Signore? Dovremmo tutti abbandonare casa e parenti per andare in capo al mondo a dire la nostra fede?

Per qualcuno forse la strada è proprio quella, ma normalmente il Signore non chiama ad uscire dalla quotidianità, ma a concepire la famiglia, il lavoro, la vita sociale, come l’ambito privilegiato dell’amore vissuto. Essere cristiani non significa neppure per forza svolgere qualche attività all’interno della comunità ecclesiale, ma vivere soprattutto al servizio del Regno di Dio nella storia con lo spirito del Vangelo.

Dicevamo all’inizio che Gesù è pericoloso: siamo disposti a lasciare che la sua parola e il suo Vangelo ci portino là dove Egli vuole per la gioia nostra e per quella dei nostri fratelli?

 

 

LUNEDI’ 5

Sant’Agata

Parola di Dio: Gn. 1,1-19; Sal. 103; Mc. 6,53-56

 

"E LO PREGAVANO DI POTERGLI TOCCARE ALMENO LA FRANGIA DEL MANTELLO; E QUANTI LO TOCCAVANO GUARIVANO". (Mc. 6,56)

Quante volte mi sono trovato a pensare: "Avessi avuto la fortuna di trovarmi a vivere al tempo di Gesù, avessi avuto l’opportunità di incontrarlo per le strade della Palestina, avessi potuto personalmente sentire le sue parole senza bisogno di intermediazioni, avessi potuto toccargli il mantello, avessi potuto stare con Lui, chissà come mi sarei convertito, chissà quante cose buone avrei fatto".

Questo è uno dei ragionamenti più sciocchi che possiamo fare.

L’incarnazione di Gesù non è soltanto avvenuta in quegli anni, in quella terra, con quelle persone. L’incarnazione di Gesù continua anche oggi e, come allora qualcuno si convertiva e qualcuno no, così anche oggi la conversione non dipende tanto dall’incontro materiale con il Maestro o da una grazia particolare, dipende soprattutto dal nostro atteggiamento e da come noi ci rendiamo disponibili alla proposta di Gesù.

Gesù lo puoi incontrare ovunque.

Puoi incontrare Gesù negli occhi del povero, negli occhi di tuo figlio, negli occhi di tua madre… Puoi incontrare Gesù nel Vangelo, nei balbettii di spiegazione del sacerdote, come nell’intimo del tuo cuore, della tua coscienza. Puoi incontrare Gesù ovunque ci sia un uomo perché Lui, da allora non ha finito di incarnarsi in ogni uomo della terra. Puoi dunque incontrare anche Gesù dentro a te stesso insieme alle tue miserie e alle tue grandezze. Puoi toccargli la frangia del mantello per essere guarito nei sacramenti, quando la misericordia del Padre scende su di te, quando entri in comunione con Lui, quando con Lui progetti un cammino di vita e con lui cerchi di viverlo ogni giorno. Puoi ritrovare la forza della guarigione ogni volta che torni a Lui per chiedergli perdono dei tuoi peccati. Puoi trovare la forza della risurrezione ogni volta che fai morire il peccato e la morte, ogni volta che offri vita, positività, ogni volta che apri il tuo volto ad un sorriso accogliente. Gesù è attorno a te, dentro di te. Ti cerca, ti aspetta ma non ti forza perché Lui vuole che le persone che lo amano lo accolgano con libertà. Non c’è bisogno di tornare indietro nel tempo, non c’è bisogno di tornare in Palestina per toccare la frangia del suo mantello. Oggi, adesso, se vuoi, puoi incontrarlo.

 

 

MARTEDI’ 6

Santi Paolo Miki e compagni; Santa Dorotea; San Gastone

Parola di Dio: Gn. 1,20.2,4; Sal. 8; Mc. 7,1-13

 

"QUESTO POPOLO MI ONORA CON LE LABBRA, MA IL SUO CUORE E’ LONTANO DA ME TRASCURANDO IL COMANDAMENTO DI DIO VOI OSSERVATE LA TRADIZIONE DEGLI UOMINI". (Mc. 7,6.8)

Gesù conosce molto bene gli uomini e sa mettere in evidenza, specialmente in campo religioso, quelle che sono le mancanze più frequenti. Normalmente, noi penseremmo subito a comandamenti non applicati, a norme eluse, a cose non fatte secondo le indicazioni di una legge religiosa, invece Gesù dice che si manca soprattutto contro Dio con due atteggiamenti: l’abitudine e l’ipocrisia.

Scriveva già Thomas Merton: "Le abitudini sono la morte di ogni vera tradizione, come di ogni vera vita. Sono parassiti che attaccano l’organismo vivente della tradizione e divorano la sua sostanza trasformandola in un vuoto formalismo". Proviamo a vedere con qualche esempio come questa affermazione sia vera.

Entrate in una Chiesa. Si celebra l’Eucarestia, un dono meraviglioso di Dio agli uomini. Gruppi di persone biascicano delle preghiere. Se chiedeste loro improvvisamente che cosa stanno dicendo non saprebbero neppure dirvelo: stanno dicendo delle preghiere! Al momento della Comunione vanno a ricevere il corpo di Cristo. Escono da quella Chiesa e tutto è finito. Ci si abitua addirittura a mangiare il Corpo di Cristo.

E l’altro pericolo è l’ipocrisia. Essa è sempre in agguato, ovunque. Ma in modo particolare è sordida quando entra nel mondo religioso.

Con le maschere che ti metti puoi ingannare forse tante persone.

Qualche volta, a forza di cambiare maschera, rischi di ingannare te stesso perché non sai più quale sia il tuo volto vero.

Ma l’ipocrisia non può ingannare Dio. Lui conosce il nostro cuore fino in fondo. Lui sa di che cosa siamo plasmati.

Dio tu non lo puoi comperare con le cose. Dio lo puoi solo accogliere nel cuore.

Gesù non lo inganni con le parole, Gesù sa se le parole sono vere o se sono ipocrite. Le tue preghiere toccano il cuore di Dio se partono dal tuo cuore. Se sono solo un movimento di labbra o una ripetizione di formule restano senza senso davanti a Lui.

Se la tua carità e il tuo interesse per gli altri è soltanto per dovere o per acquistare dei meriti, hai già ricevuto la tua ricompensa, dice il Vangelo. Se cerchi di farti passare per migliore di quello che in realtà sei, potrai ingannare gli uomini, ma non Dio. Se, nella comunità cristiana vuoi apparire come un attivo, un sempre presente, uno che sa e dispone tutto, ma non hai imparato a servire hai già ricevuto la tua ricompensa.

Perché sprecare tanto tempo a mascherarci, quando il cuore di Gesù ci accoglie così come siamo?

 

 

MERCOLEDI’ 7

San Teodoro

Parola di Dio: Gn. 2, 4-9.15-17; Sal. 103; Mc. 7,14-23

 

"ASCOLTATEMI TUTTI E INTENDETE BENE: NON C’E’ NULLA FUORI DELL’UOMO CHE, ENTRANDO IN LUI POSSA CONTAMINARLO; SONO INVECE LE COSE CHE ESCONO DALL’UOMO A CONTAMINARLO". (Mc. 7,14-15)

Quando noi sentiamo parlare di salvezza che Gesù ci ha portato, non dobbiamo pensare che questo dono riguardi solamente qualche particolare della nostra vita; non è solo la salvezza dal peccato, non è neanche solo la salvezza dal male o dalle malattie, Gesù salva l’uomo nella sua totalità. Per esprimere questo Egli usa la categoria del ‘cuore dell’uomo’. Quando nel Vangelo troviamo qualcosa che riguarda ‘il cuore dell’uomo’ significa pensare all’essenza stessa dell’uomo, alla sua pienezza.

Ecco, allora, che quando parlano a Gesù di norme morali, Egli prende le distanze perché le norme possono essere molto utili all’uomo ma, nello stesso tempo, possono ridurre l’uomo in schiavitù.

La morale per Gesù non sta nelle norme esteriori, nella pur importante Legge, dono di Dio, ma sta nel modo in cui l’uomo, nella sua totalità, aderisce a quella che è la volontà di Dio e la mette in pratica.

Per capirci, forse può aiutarci un esempio: se voi avete una botte piena di aceto è inutile che andiate a spillare vino buono: lì troverete solo e sempre aceto, anche se magari sulla botte qualcuno ha messo l’etichetta "barbera doc.". Quello che conta non è dunque l’etichetta e neppure il luogo dove viene tenuta la botte, conta quello che nella botte è stato messo.

Nella nostra vita, la moralità di una azione o meno non dipende se è conforme o meno ad una norma che viene dal di fuori, dipende invece da ciò che noi vi abbiamo messo dentro, cioè dipende dal nostro ‘cuore’.

Ogni individuo, quando nasce è un individuo libero. Questo non vuol dire che non abbiamo certe propensioni, certe caratteristiche che ci sono tipiche. Noi portiamo fin dalla nostra nascita alcune caratteristiche fisiche, spirituali e morali particolari. Ma sta poi a noi ‘riempire la botte’ mettendoci dentro quello che ci sembra più giusto e più opportuno. Se io metterò dentro di me quello che magari soddisfa le tendenze negative che posso avere, ecco che io otterrò delle risposte negative. Se, invece, con pazienza cerco di modificare le tendenze negative e di valorizzare quelle positive, tenderò a costruire in me la capacità del bene. Se io sono irascibile per natura, certamente non riuscirò a diventare la persona che riesce a sorridere davanti a qualunque sopruso o davanti a qualunque negatività nei propri confronti, però nello stesso tempo se avrò curato bene questo mio aspetto non diventerò colui che perché è stato offeso passa alla vendetta o uccide il proprio avversario.

Gesù quando dice che dal cuore dell’uomo escono tutte le cose sia positive che negative (e nel Vangelo di oggi abbiamo un lungo elenco di cose negative: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza), intende proprio dire che il bene o il male, la giustizia o meno di una determinata azione, dipende da tutto il nostro essere.

Questo porta anche a tirare alcune conclusioni pratiche.

Le norme morali servono ancora?

Certamente servono per formare una giusta coscienza. Ad esse devo rapportarmi, confrontarmi; ma non sono più le norme morali a stabilire il bene o il male di una cosa, ma questo dipenderà in prima istanza dalla mia coscienza.

Provate allora a pensare anche a livello pratico: tutte le indicazioni che la Chiesa ci dà sono preziose, vanno tenute presenti, vanno confrontate con la realtà della nostra vita, sono norme alle quali noi dobbiamo attenerci, dobbiamo cioè farle entrare nel nostro cuore, allora diventeranno norme vere e valide, non solo accettate per obbedienza e per dovere ma fatte nostre. Se noi, invece, osserviamo soltanto alla lettera, anche le norme più belle forniteci dalla Chiesa, rischiamo di diventare degli schiavi e spesso anche degli ipocriti.

 

 

GIOVEDI’ 8

San Girolamo Emiliani

Parola di Dio: Gn. 2,18-25; Sal. 127; Mc. 7,24-30

 

"ORA TUTTI E DUE ERANO NUDI, L’UOMO E SUA MOGLIE, MA NON NE PROVAVANO VERGOGNA". (Gen. 2,25)

In questa settimana, come prima lettura, la liturgia ci fa leggere quel racconto, quell’affresco, quella icona della storia dell’uomo e di Dio che è la storia della creazione e del peccato.

Mi colpisce sempre quando leggo questi brani, lo scoprire che, prima del peccato, l’uomo e la donna sopportano la propria nudità, anzi, la vedono come qualcosa di bello, di naturale, di semplice, di gioioso, mentre poi, dopo il peccato, devono andare a ripararsi, a nascondersi, devono farsi fare un vestito da Dio perché tutto ha perso il suo significato originario.

Ripenso allora, a come noi, uomini di oggi sovente viviamo mascherati, abbiamo paura di rivelare la nostra nudità, la nostra povertà, la nostra interiorità di vuoto, e allora cerchiamo in tutte le maniere di mascherarci, di rivestirci, di caricarci di orpelli per apparire diversi da quelli che siamo.

Per la meditazione di oggi vi offro un brano di Georges Rouault:

"Quel carrozzone di nomadi fermo sulla strada, il vecchio cavallo tisico che pascola l’erba stenta, il vecchio pagliaccio seduto in un angolo del carro a rammendare il suo abito brillante e variopinto, questo contrasto di cose brillanti, scintillanti, fatte per divertire, e quella vita di tristezza infinita, se la si vede un po’ dall’alto…

Poi ho amplificato tutto questo. Ho visto che il pagliaccio ero io, eravamo noi… Quell’abito ricco e luccicante è la vita a darcelo, quasi tutti noi siamo più o meno dei pagliacci, portiamo tutti un abito con lustrini, ma se ci sorprendono come io ho sorpreso il vecchio pagliaccio, oh! Allora chi oserà dire di non essere colto fino al fondo delle viscere da una incommensurabile pietà?

Ho il difetto (difetto forse! Ma comunque, per me è un abisso di sofferenza!) di non lasciare mai a nessuno il suo abito con lustrini. Sia anche re o imperatore, quando ho davanti a me un uomo, voglio vedere la sua anima, e più egli è grande, più lo glorificano umanamente, più temo per la sua anima."

 

 

VENERDI’ 9

Santa Apollonia; San Rinaldo

Parola di Dio: Gn. 3,1-8; Sal. 31; Sal 80; Mc. 7,31-37

 

"MA IL SERPENTE DISSE ALLA DONNA: NON MORIRETE AFFATTO! ANZI, DIO SA CHE QUANDO VOI NE MANGIASTE, SI APRIREBBERO I VOSTRI OCCHI E DIVENTERESTE COME DIO". (Gen. 3,4-5)

La tentazione a cui cedono i primi due uomini è presentata chiaramente come una tentazione di potere: l’uomo vuol diventare come Dio.

Vi offro quest’oggi una pagina di Giuseppe Marotta dal Libro: "Coraggio, guardiamo" in cui l’autore ricostruisce la prima pagina della Bibbia proprio attraverso gli occhi e i guai dei potenti della terra.

"Nel principio i potenti del mondo videro che esistevano il cielo e la terra. E la terra era una cosa popolata e viva, con savie leggi, con lavoro e serenità per tutti. Treni la percorrevano e piroscafi solcavano i mari in ogni senso. Ciò che doveva partire partiva; arrivavano le mercanzie e la gente che doveva arrivare. Ma lo spirito inquieto dei potenti del mondo si muoveva sopra la faccia delle acque. E i potenti del mondo videro la pace e dissero: Sia la guerra; videro la guerra e dissero: Sia l’oscuramento; si abbiano il massimo guasto e la massima distruzione delle centrali elettriche, e perisca ogni altra sorgente non naturale di calore e di luce. Così le tenebre furono e i potenti del mondo dissero che ciò era buono.

Poi i potenti del mondo dissero: Siano una distesa, una barriera fra nazione e nazione, la quale separi i popoli dai popoli. Poi i potenti del mondo dissero: Siano tutte le ricchezze che sono sotto il cielo raccolte in un paese solo e tutti gli altri paesi rimangano all’asciutto. E sopravvenne così la fame dovunque non era o non sovveniva quel paese che possedeva tutte le ricchezze che sono sotto al cielo. E la fame generò il dissidio. E il dissidio generò il disordine. E il disordine generò violenza, dolori, pianto e stridore di denti.

E il disordine generò altresì corruzione, perché chi non ha vuole avere e chi vuole avere toglie a chi non ha. Dunque i contadini non seminarono, ovvero occultarono i frutti del poco che avevano seminato; e chi poteva costringerli a nutrire le turbe usò di questo potere unicamente per nutrire se medesimo e la sua tribù; e ciò facendo questi infrangevano la legge di cui erano creatori e custodi. E i potenti del mondo causarono tutto ciò; essi dissero che tutto ciò era buono.

Poi i potenti del mondo dissero agli abitanti che raccoglievano tutte le ricchezze che sono sotto al cielo: Perché non mostrate voi il vostro oro e le vostre perle ai lontani popoli che vi abbiamo dato in signoria? Ed essi partirono e vennero qui con cibi e vini e spezie e miele e ornamenti e aromi e balsami in grandissima copia; e qui fraternizzarono ma solo con le femmine; e grandi erano intorno a loro i lamenti degli affamati e degli ignudi, ma senza risultato.

E i potenti del mondo dissero: Come può essere che questi uomini, non avendo più né vestimenta, né pane, né luce, né acqua, né tetto, né riposo; come può essere che questi uomini oppressi dal bisogno e dalla paura, privi per così lungo tempo di giustizia e di speranza, ancora non si mangino l’un con l’altro gridando al cielo? Con ciò i potenti del mondo dissero: Dobbiamo pensarci noi.

E radunatisi in luogo segreto e deserto, cinto di mura e custodito in ogni angolo da uomini armati, essi lungamente si consultarono e disputarono. E avendo lungamente meditato e discusso, i potenti del mondo dissero: Sia la nuova bomba atomica sessanta volte più potente di quella caduta su Hiroscima. E la nuova bomba atomica fu. E trovato il pretesto per usarne, i potenti del mondo ne usarono; la quale esplose con impareggiabile fragore, in forma di fungo e con radioattività mortali per settanta volte sette anni, salvo complicazioni. E la terra fu una cosa deserta e vacua; e tenebre erano sopra la faccia dell’abisso; e i potenti del mondo guardarono e dissero che finalmente ogni barriera fra le nazioni era caduta, benché fossero altresì scomparsi i popoli che essa separava: ed ecco, essi dissero che ciò era molto buono. Ora avendo i potenti del mondo compiuto l’opera loro, la quale essi avevano fatto, si compiacquero e si riposarono di ogni opera che essi avevano fatto. E questo giorno fu la domenica dell’ingiustizia, dell’imbecillità e dell’orrore. Ma i potenti del mondo, intervistati dalle agenzie giornalistiche, dissero e continuarono a dire che ciò era buono, molto buono."

 

 

SABATO 10

Santa Scolastica

Parola di Dio: Gn. 3,9-24; Sal. 89; Mc. 8,1-10

 

"IL SIGNORE DIO SCACCIO’ L’UOMO DAL GIARDINO DI EDEN". (Gen.3,23)

Chissà quale deve essere stato lo sguardo del primo uomo quando, sentendosi scacciato dal paradiso terrestre, si sarà voltato a guardare quel cherubino con la fiamma sfolgorante della sua spada, posto a guardia della porta dell’Eden. L’uomo ha chiuso con quella realtà gioiosa fino a quando Dio, fedele alla sua promessa, non gli riaprirà con Cristo la porta, l’accesso all’eternità.

Però dobbiamo fare attenzione: quello che abbiamo commentato è un racconto biblico simbolico. Quella che è la realtà del cielo è una realtà, invece, quotidiana.

Il mondo terreno ha accesso al mondo celeste ogni volta che vi è amore, dono, comunione per cui anche per noi cristiani, "guadagnarci il cielo", diventa un’espressione non soltanto falsa ma assurda. Il cielo non lo si guadagna, ci si familiarizza, ci si abitua, ci si acclimata al cielo, ci si allena, lo si fa tutti insieme.

Forse la più formidabile sorpresa che ci attende in cielo, dopo la nostra morte, è che non ci troveremo nulla di particolarmente nuovo.

C’è un altro sguardo nella Bibbia che può sembrare a quello che Adamo volge al paradiso perduto. Nel momento dell’ascensione, vedendo che Cristo risorto si solleva sotto i loro sguardi, gli apostoli prendono definitivamente coscienza della vera identità di quel loro misterioso compagno. Ora, dopo la tomba vuota, vedendolo andarsene, cominciano a capire chi era Gesù, che cosa aveva fatto per loro e come essi lo avevano accolto. Per tre anni Dio era vissuto con loro, Dio aveva mangiato alla loro mensa, Dio aveva dormito nelle loro case, Dio aveva confidato loro tutto quello che Egli era… e forse non gli avevano mai detto grazie. In quel momento, forse, capirono la propria piccolezza, grossolanità, capirono le loro negligenze, tutto ciò che avrebbero potuto fare per Lui, ciò che avrebbero potuto dirgli, la gioia che avrebbero potuto dargli: "E rimasero lì a guardare il cielo".

Il cielo era cominciato da trentatré anni, ed essi non se ne erano accorti.

Ma gli Angeli vennero a scuoterli, a svegliarli dalla loro nostalgia, per lanciarli nel mondo dove il Maestro li attendeva. Nulla era finito, avrebbero potuto fare agli uomini ciò che rimpiangevano di non aver fatto per Lui. Avrebbero ricominciato insieme l’Avventura che non sarebbe finita mai: vivere il cielo sulla terra.

Anche per noi è così: la nostra eternità è già cominciata. Forse non ce ne rendiamo conto e, nostalgici, guardiamo o al passato di felicità o al futuro di speranza di paradiso, ma è nel nostro presente che comincia il Regno. Noi vi siamo già dentro. Cristo è già morto e risorto per noi. Noi non siamo ancora nella pienezza, ma con Lui vi camminiamo incontro.

 

 

DOMENICA 11

6^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)  -  Madonna di Lourdes; Sant’ Adolfo

Parola di Dio: Ger. 17,5-8; Sal.1; 1 Cor .15,12.16-20; Lc. 6,17.20-26

 

1^ Lettura (Ger. 17, 5-8)

Dal libro del profeta Geremia.

Così dice il Signore: "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nella carne il suo sostegno e il cui cuore si allontana dal Signore. Egli sarà come un tamerisco nella steppa, quando viene il bene non lo vede. Dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. Benedetto l'uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia. Egli è come un albero piantato lungo l'acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell'anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti".

 

2^ Lettura (1 Cor. 15, 12. 16-20)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti.

 

Vangelo (Lc. 6, 17. 20-26)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: "Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti.

 

RIFLESSIONE

 

Siete ancora lì? Nessuno di voi, dopo aver letto o ascoltato questo brano di Vangelo, ha sentito la necessità di ribellarsi o di andarsene? Nelle nostre assemblee domenicali nessuno ha alzato la mano o ha interrotto il prete per dire che quello che era stato appena letto, il Vangelo delle Beatitudini, era una cosa impossibile, una cosa "da matti"? Nessuno alzandosi per uscire ha detto fra sé: "Bella questa, vengono a dirmi che tutto quello per cui ho lottato e faticato nella mia vita devo darlo ad altri per essere felice"? O qualcun altro non ha forse pensato dentro di sé: "Continuiamo pure a chiamarli beati i poveri, così essi avranno una scusa in più per non far nulla e noi continueremo con l’assistenzialismo che fa tanto comodo a certe squadre politiche".

Se questo non è successo, se non ci siamo neppure sentiti a disagio davanti alle letture di oggi, vuol dire o che stiamo dormendo della grossa oppure che il nostro cuore si è talmente indurito che neanche davanti allo scoppiare di un missile si muoverebbe di una riga.

E poi gli esegeti hanno il coraggio di chiamarlo: "discorso della pianura"! Sembra di essere in alta montagna tra cime impervie o nel deserto arido.

Davanti a questo brano, se davvero lo abbiamo ascoltato, non possiamo non sentirci spiazzati. Sono tra le parole più difficili per la nostra mentalità. Eppure Gesù le ha dette, eppure questo è il messaggio della buona notizia di Gesù. Chiediamo davvero allo Spirito Santo di aiutarci e di illuminarci per riuscire ad entrare nel cuore del pensiero del Signore e per riuscire con onestà con sincerità, con fortezza a far nostro quello che ci dice.

Una prima osservazione possiamo farla partendo dalla prima lettura dove viene detto: "Maledetto l’uomo che confida nell’uomo… Benedetto l’uomo che confida nel Signore". Per molti la differenza tra credente e miscredente sembra che passi attraverso una lista di norme e di dogmi che si accettano o che si rifiutano, qualcosa che "credo" o "non credo". In realtà forse la differenza è un'altra. Si è credenti o meno in base alle scelte esistenziali della propria vita. "Maledetto" o "Benedetto" allora dipende da un legame che si ha con qualcuno o con qualcosa. Nella Bibbia il credente è colui che si appoggia su Dio mentre il non credente è colui che confida unicamente su se stesso. In fondo sono due atti di fede: uno aderisce a Dio e l’altro, quello che consideriamo l’ateo aderisce a se stesso, al denaro, alla propria intelligenza. L’opposizione allora non è tanto tra fede e non fede ma tra fede e idolatria.

La stessa contrapposizione la troviamo proprio nelle Beatitudini così come ci sono presentate nel Vangelo di Luca in cui invece che una lunga lista di "Beati" troviamo le stesse cose dette in quattro beatitudini che corrispondono a quattro "Guai" o maledizioni. Per capire poi tutte le beatitudini e le maledizioni basta partire dalla prima affermazione che racchiude tutte le altre. Chiediamoci allora: chi sono i poveri secondo Gesù?

Prima di tutto ecco un abbozzo di elenco di persone che secondo Gesù non sono povere anche se ne hanno l’apparenza.

Non sono poveri di Gesù coloro che non avendo certe cose sono affamati di ricchezza e cercano di ottenerla con i mezzi più vari compreso il furto, la sopraffazione, l’appropriamento indebito, la rapina, il vivere sugli altri, il fare del male agli altri per ottenere dei beni per sé; non sono poveri neanche coloro che si fingono poveri e che fanno sì che la situazione da povero diventi stabile e vivono quindi alle spalle degli altri, non sono poveri neppure coloro che rifiutano un lavoro umile, non sono poveri neppure i fatalisti che preferiscono non lavorare o lavorare il meno possibile… e allora la lista rischia di allungarsi.

I poveri secondo il vangelo invece potrebbero essere coloro che hanno un reddito medio e ne sono soddisfatti, non ricorrono a trucchi per guadagnare di più; sono coloro che fanno bene il loro lavoro, che non approfittano di tutto per lavorare di meno, che non portano invidia nei confronti di chi sta meglio, che non pongono la felicità e la speranza nella ricchezza, che non si ammazzano per arricchire ma sono contenti e godono di quello che hanno, che sanno guardare a chi sta peggio, che sono pronti a mettere mano al portafoglio per dare una mano quando si presente l’occasione (a questo proposito quanto è giusto quel proverbio che dice: "Guai ai poveri se non ci fossero i poveri"), sono coloro che sanno impiegare il proprio tempo non solo per se stessi e per aumentare le proprie cose, ma a favore del prossimo.

Ancora, i poveri secondo il vangelo sono coloro che non perdono di vista i beni dello spirito, di una coscienza serena, della vita futura, coloro che non contano solo su se stessi ma sanno riconoscere il dono di Dio nella vita, nella salute, nei beni e in tutto, coloro che hanno fiducia in Dio, che ringraziano Dio, che pregano, che antepongono Dio al denaro, coloro che sanno accettare i colpi della fortuna o della sfortuna senza esaltarsi o deprimersi troppo, coloro che godono di quello che hanno e non si crucciano di quello che non hanno, coloro che vanno incontro alla vecchiaia e anche alla morte con serenità, senza troppi rimpianti sapendo che troveranno più di quanto lasciano…

Ecco, ciascuno di noi forse può continuarlo questo elenco, ma, chiediamoci, perché questi poveri sono felici, fortunati, beati?

Prima di tutto perché essi sono nelle condizioni migliori per godere di tutto nella vita e poi perché essi fin da ora sono inseriti saldamente nel Regno di Dio e presentano tutte le premesse per prendere parte alla risurrezione.

Qui però si può fare tutta una serie di obiezioni:

"Ma allora se la povertà è una cosa così bella, perché continuare ad aiutare i poveri a venirne fuori?"

"Prova ad andare a dire ad una persona che sta morendo di fame o che sta soffrendo atrocemente a causa del cancro che è beata, che è fortunata… Al minimo, e giustamente, ti manda a quel paese"

Sono obiezioni vere: Gesù ha combattuto per i poveri, ha preso la parte dei poveri, ha cercato di migliorare le condizioni di vita dei poveri, Gesù è stato dalla parte dei sofferenti, ha guarito alcuni ammalati. Gesù però ci ricorda che la vera felicità non sta nelle cose, nel raggiungere delle mete che solo il denaro o il potere, il benessere possono concedere, non sta neanche soltanto nell’avere la salute del corpo che intanto prima o poi si guasterà e passerà, sta nel saper vivere questi momenti di grande difficoltà e di grande prova senza perdere la fiducia in Colui che ci ama, in Colui che è Provvidenza, che sa anche trasformare il male in bene.

E adesso chiediamoci anche chi siano i ricchi a cui va la maledizione, secondo il Vangelo.

In primo luogo sono quelli che posseggono, e posseggono molto, quelli che hanno fiducia nelle ricchezze più che nella giustizia o nella virtù, coloro che pur avendo molto non si contentano e cercano di avere sempre di più, che pensano solo a se stessi e non vedono gli altri, che non si mettono nei panni degli altri, che si credono grandi uomini, benefattori dell’umanità, che credono di aver diritto alla riconoscenza universale, che non si domandano donde sono venuti i loro beni, che hanno un tenore di vita di gran lunga superiore a quelli che stanno loro intorno e non ne provano disagio, che non credono alle difficoltà degli altri perché chiudono gli occhi sulla miseria, che credono di aver fatto con abbondanza la loro parte, che ritengono i loro beni unicamente frutto delle loro capacità e della loro abilità, che non pensano all’autore ultimo delle cose non lo ringraziano, non si sentono in debito né con Lui né con gli altri, coloro che credono di avere molti diritti e pochi doveri, coloro che sono sempre in ansia per i rischi che corrono i loro beni, che rifuggono dal pensiero della morte e del dopo morte perché il presente per loro è tutto… E anche qui l’elenco potrebbe allungarsi.

A questi ricchi Gesù e il Vangelo dicono: "Guai", anche se sono invidiati da molti perché non hanno serenità, perché non conoscono le piccole gioie della vita, perché sono incapaci di gustare la gioia di far felici gli altri, perché preoccupati sempre di perdere i loro beni, perché sempre sospettosi verso gli altri non hanno mai la certezza di avere intorno a sé la sincerità, perché temono sempre di essere imbrogliati, derubati.

Il "guai" come il "beati" allora non è soltanto per il futuro, ma riguarda già il presente.

Certamente presso Dio c’è il perdono, la misericordia, ma bisogna essere molto attenti. Se "nulla è impossibile a Dio", se Dio può anche "far passare il cammello attraverso la cruna dell’ago", questa non è una norma perché la misericordia sarà usata con chi ha usato misericordia.

E allora vedete come questa pagina di Vangelo davvero ci dovrebbe scuotere, ci dovrebbe far provare disagio e spingere a cercare strade nuove.

Noi non siamo certamente persone disincarnate, abbiamo bisogno anche di cose per vivere, ma che cos’è più importante nella vita: Dio o le cose? La mia vera gioia dove è riposta? Nella felicità che passa o in una felicità che sa gustare in ogni momento il dono della vita?

 

 

LUNEDI’ 12

San Damiano; Santa Eulalia

Parola di Dio: Gn. 4,1-15.25; Sal. 49; Mc. 8,11-13

 

"ALLORA IL SIGNORE DISSE A CAINO: DOV’É ABELE, TUO FRATELLO? EGLI RISPOSE: NON LO SO. SONO FORSE IL GUARDIANO DI MIO FRATELLO".

(Gen. 4,8-9)

La risposta che Caino dà a Dio che gli chiede di suo fratello è la risposta che spesso noi e la nostra società diamo davanti alle necessità del nostro prossimo.

Milioni di miei fratelli muoiono di fame: "E che cosa posso farci, io?".

C’è la guerra, le armi continuano a parlare nel mondo lasciando profonde tracce di morte: "E io che ci posso fare?".

I barboni della mia città in questo inverno muoiono di freddo mentre io sono al caldo in casa mia: "E che, posso ospitarli tutti da me?".

Noi spesso dimentichiamo che invece siamo legati con tutto il mondo, che ogni uomo è necessariamente solidale con tutti gli altri.

Nessuno è fine a se stesso. Dipendiamo in tutto gli uni dagli altri: la casa, il vitto, gli abiti, il lavoro sono legati a milioni di persone che operano in diverse parti del mondo.

La tazzina del caffè che sto assaporando è frutto della fatica dei contadini nelle immense piantagioni del Brasile e forse è anche frutto del loro sfruttamento.

Ma non solo sul piano economico, materiale, sociale, siamo strettamente legati gli uni agli altri ma anche in campo spirituale.

Ogni mia parola, ogni mia azione, piccola o grande, visibile o nascosta, si ripercuote sulla intera umanità. Ognuno di noi, dall’attimo del suo esistere, migliora o peggiora tutti gli uomini, li rende più liberi, più buoni, più ricchi o li rende meno uomini e più schiavi.

Nel nostro corpo anche la disfunzione di un piccolo membro reca danno a tutti gli altri membri; una spina conficcata nel piede, un mal di denti, creano uno stato di dolore che si ripercuote in tutto il corpo. Anche un semplice granello di polvere penetrato negli ingranaggi di un orologio può arrestarne tutto il complicato meccanismo; la stonatura di un solo strumento può compromettere l’esito di un intero concerto.

Forse pensiamo troppo poco alla solidarietà che ci lega nel bene e nel male, a tutti gli altri uomini.

Sul piano religioso, poi, siamo tutti uniti strettamente al Cristo ed Egli è presente in ogni parte della sua Chiesa e dell’umanità per cui il bene che operiamo in forza della comunione dei santi è un dono di amore offerto a tutti i fratelli. Allo stesso modo per questa misteriosa realtà, noi riceviamo continuamente tesori di inestimabile valore dai fratelli operanti nel mondo o anche da coloro che sono già davanti a Dio.

Nessuno di noi può dire: "Che mi importa del fratello" perché sia io che Lui siamo figli dello stesso Padre, viviamo nella stessa casa sulla terra e siamo destinati alla stessa patria nei cieli.

 

 

MARTEDI’ 13

Santa Fosca; Santa Maura

Parola di Dio: Gn. 6,5-8; 7,1-5.10; Sal. 28; Mc. 8,14-21

 

"I DISCEPOLI NON AVEVANO CON SE’, SULLA BARCA, CHE UN SOLO PANE E DICEVANO: NON ABBIAMO PANE". (Mc. 8,15-16)

Cari amici apostoli, avete fatto una figuraccia.

Avete dimostrato quanto poca fosse la vostra fede in Gesù. Lui aveva moltiplicato il pane per voi e per tante altre persone e voi siete lì, sulla ‘barca di Pietro’ a discutere perché avete dimenticato di comperare un po’ di pane per il pranzo.

Cari apostoli, quanto mi siete vicini.

Purtroppo anch’io soffro della vostra stessa malattia: la poca fede. Ho incontrato Gesù nel cammino della mia vita. So che Lui è il Pane della vita, so che "chi mangia questo pane vivrà in eterno", eppure quante volte anch’io sono ancora lì a parlare e a preoccuparmi solo di cose materiali. Quante volte dico di aver fede e fiducia in Gesù, ma poi penso solo a come barcamenarmi nella vita quotidiana e anche la mia preghiera spesso è solo un preghiera di richieste materiali. Eppure basterebbe guardare indietro: quanti doni gratuiti ho ricevuto nella mia vita! Quanto pane in abbondanza, persin troppo, quanto perdono, quanta amicizia…

Cari apostoli, non mi stupisco della vostra poca fede perché succede lo stesso oggi nella Chiesa.

Una Chiesa che spesso si parla addosso e si dimentica del suo maestro, una Chiesa che ha sulla sua barca la presenza di Colui che salva ma si preoccupa delle vele, dei remi, della quantità di soldi necessari per far sì che la barca arrivi alla meta.

Purtroppo, come ha detto Gesù, siamo ancora legati, avvelenati da quel lievito dei farisei e di Erode. Il lievito dei farisei era la superbia mascherata da religiosità e da perbenismo, il lievito di Erode era il potere mascherato da religiosità. E noi Chiesa di oggi soffriamo ancora della stessa malattia. L’ipocrisia religiosa, il sentirci, ’buoni’, migliori di altri, l’aver ridotto la fede a dei riti e a delle abitudini, l’aver stabilito norme e leggi da osservare formalmente e da imporre sulla schiena di altri, rovinano spesso il nostro credere al Dio della misericordia, alla buona novella di Gesù, all’opera creatrice dello Spirito Santo in noi e nel mondo. Troppo spesso noi ci fidiamo ancora esclusivamente di noi stessi, dei nostri mezzi materiali.

Signore, aiutaci a tenerci alla larga da questo lievito perché contamina tutta la pasta.

Signore aiutaci a ritrovare la purezza e la fragranza del tuo Pane, la semplicità del dono, la spontaneità della preghiera, la capacità di vedere con occhi amici il nostro prossimo, la voglia di vivere, il sorridere anche davanti alle difficoltà, il saper abbracciare con decisione e con forza anche la Croce. E soprattutto aiutaci, ad allontanarci da chi riduce il tuo amore soltanto ad una falsa religiosità di potere o di superbia.

 

 

MERCOLEDI’ 14

Santi Cirillo e Metodio; San Valentino; San Vitale

Parola di Dio: Gen. 8, 6-13. 20-22; Sal. 115; Mc. 8, 22-26

 

"GLI CONDUSSERO UN CIECO PREGANDOLO DI TOCCARLO". (Mc. 8,22)

Ieri pensavamo alla poca fede degli apostoli che, dopo aver visto le moltiplicazioni dei pani da parte di Gesù, invece di fidarsi di Lui, stanno ancora discutendo sul pane che si sono dimenticati di comperare, ed ecco che Marco ci presenta oggi la guarigione di un cieco. Il suo modo di raccontarla ci fa capire che questo episodio ha anche un valore simbolico di risposta e di indicazione nei confronti della poca fede degli apostoli e nostra.

Gesù guarisce un cieco a puntate.

Sembra quasi che, in un primo tempo, Gesù non riesca a compiere questo miracolo, allora, con pazienza, prima porta il cieco in disparte, poi bagna i suoi occhi con la saliva, poi cerca di suscitare in lui il desiderio del vedere e poi, quando questo intravede qualcosa, gli impone le mani e gli dona la guarigione definitiva dalla cecità.

In fondo questo miracolo racconta la nostra fede.

Per aver fede occorre prima di tutto riconoscersi privi di essa, ciechi, incapaci da soli di ritrovare la via di Dio, ma significa anche farsi aiutare per incontrare Gesù. Questo cieco pur non vedendoci è stato fortunato perché altri gli hanno imprestato i loro occhi per poterlo accompagnare da Gesù.

Ecco il primo passo della fede: farsi aiutare dalla fede degli altri.

Quando poi si incontra Gesù, non lo si vede ancora personalmente. C’è allora bisogno di sentirlo, di stare con Lui. Ecco perché Gesù, per far nascere in noi la fede ci chiede di ‘uscire dal villaggio’, cioè di uscire dalla nostra mentalità materialista, di abbandonare quelle che sono le cose artefatte, le tradizioni, le abitudini, per poter accogliere la novità della sua presenza e della sua grazia.

Gesù poi cerca di suscitare in noi quello che è il seme della nostra fede.

La fede ha un itinerario che noi, come gli apostoli, dobbiamo percorrere gradualmente e che può avere anche momenti di vacillamento. La fede non è chiarezza immediata, ci sono luci ed ombre, progressi e regressi, a volte si capisce, altre volte ci si interroga, qualche volta si cammina decisamente, altre volte a tentoni.

Se Gesù è riuscito a suscitare un granellino di fede, ha messo in noi la base perché possiamo essere guariti totalmente; infatti, se in mezzo alle prove noi continuiamo a fidarci di Lui, gli permettiamo di agire in noi in maniera decisa e netta.

Non spaventiamoci allora se in certi momenti del cammino della nostra vita ci riconosciamo ancora ciechi nel cammino della fede o se intravediamo soltanto qualcosa che poi sembra nuovamente sfuggirci. L’importante è continuare a rimanere con Lui e offrirgli la possibilità di operare in noi.

 

 

GIOVEDI’ 15

San Sigfrido; San Claudio de la Colombière

Parola di Dio: Gn. 9,1-13; Sal. 101; Mc. 8,27-33

 

"E VOI, CHI DITE CHE IO SIA? PIETRO GLI RISPOSTE: TU SEI IL CRISTO". (Mc. 8, 29)

Ieri parlavamo della gradualità del cammino della nostra fede. Questo però non toglie che, prima o poi ciascuno di noi debba arrivare a ‘Cesarea di Filippo’.

C’è sempre il momento in cui Gesù ci provoca, vuole vedere che cosa abbiamo capito; sa benissimo la nostra povertà ma vuole che cominciamo a dire, non solo con le parole ma soprattutto con le scelte della nostra vita, se abbiamo capito chi sia Lui.

Anche qui, Gesù parte da lontano.

Prima chiede che cosa ne pensino gli altri di Lui. E fin lì è facile. E’ facile riportare le opinioni di altri sia in positivo che in negativo, è facile fare statistiche per dire se nel mondo i cristiani aumentino o diminuiscano, è ancora facile fare un escursus storico lungo i secoli per vedere come la gente, i filosofi, i grandi o il popolo abbiano cercato in mille modi diversi di rispondere alla domanda sull’identità di Gesù (quanti libri ci sono su questo argomento!).

Ma, prima o poi, la domanda arriva al tuo cuore: "E tu che cosa ne pensi? Come mi pensi?"

Pietro fa la sua confessione di fede: Gesù è l’unto, l’incaricato di Dio, il Messia, l’atteso, Colui del quale tutta la Scrittura ha parlato, Colui sul quale puntano tutte le speranze degli uomini… Ma anche qui non bastano le parole; la fede è certamente espressa dalle nostre parole, ma allora tutti noi che diciamo il ‘Credo’ alla domenica dovremmo avere tutti una fede incommensurabile perché lì le parole sono dosate, sono dette con chiarezza. A Gesù non bastano però le definizioni, le ripetizioni scimmiesche di ottimi elaborati teologici, Gesù vuole vedere se Pietro, dopo averlo riconosciuto, è capace di camminare dietro di Lui.

Ed ecco la seconda parte del Vangelo di oggi.

Fin che Pietro si lascia guidare dallo Spirito Santo riesce a riconoscere il Cristo, quando comincia ad approfittare del proprio ruolo fino ad avere il coraggio di prendere da parte Gesù per rimproverarlo di parlare di morte, di sconfitta, di croce, ecco che lo Spirito non è più in lui e allora diventa addirittura l’Avversario, il Divisore, colui che non solo non ha capito bene chi è il Cristo ma che gli si oppone, opponendosi così alla volontà di Dio.

Tu o Gesù, oggi mi interroghi. Mi chiedi: "Che cosa pensi di Me? Come pensi a Me?" Anch’io, come Pietro, ti rispondo: "Tu sei il Cristo!". E’ una risposta che ho imparato fin da piccolo, fin dagli anni del catechismo, mi è facile risponderti così.

Ma tu Gesù mi guardi negli occhi e vuoi che io continui a dimostrarti che la mia fede è veramente quella, non con le parole ma con le scelte della vita.

Signore, anch’io come Pietro, qualche volta, corro il rischio di perdere il dono dello Spirito Santo, di non stare più al mio posto e di volerti passare davanti o, addirittura, ho la presunzione di dire a Te, Dio, quello che sarebbe meglio fare, Tu invece vuoi che io impari Te standoti dietro.

Insegnaci Signore questa umiltà e fa’ che ciascuno di noi e la Chiesa intera non ci arroghiamo mai il compito di essere gli unici interpreti della volontà di Dio, ma continuiamo con umiltà a chiedere il dono dello Spirito per poter camminare dietro a te.

 

 

VENERDI’ 16

Sant’Onèsimo; Beato Giuseppe Allamano

Parola di Dio: Gn. 11,1-9; Sal. 32; Mc. 8,34 - 9,1

 

"POI DISSERO: VENITE, COSTRUIAMOCI UNA CITTA’ E UNA TORRE LA CUI CIMA TOCCHI IL CIELO E FACCIAMOCI UN NOME". (Gen. 11,4)

Quante volte l’uomo, lungo la sua storia ha ripetuto questa frase: "Costruiamoci una città, libera, indipendente. Costruiamoci una scienza che risponda a tutti i nostri interrogativi. Costruiamoci una cultura che faccia a meno di Dio…".

E’ proprio quel "ci" che rovina tutto perché sottolinea che si vuole costruire solo tra noi, solo per noi, solo da noi. Dio sembra essere divenuto un intruso di cui non abbiamo bisogno, anzi un qualcuno che ci impedisce di agire liberamente, che è nemico della scienza e del progresso. Vogliamo essere indipendenti, tenere stretta nelle nostre mani la consapevolezza dei nostri valori, delle nostre capacità. Si pensa che la fede disturbi, possa deformare, derubare l’uomo della sua libertà.

Ma proprio quando vogliamo fare a meno di Dio, quando vogliamo fare da soli, non solo appaiono le nostre qualità, ma anche i nostri limiti, difetti, peccati. Da soli non riusciamo a liberarcene e allora la città che abbiamo costruito ne risente, porta i segni del male che è in noi. Ci saranno bellissime strutture, palazzi, metropolitane, ospedali, scuole, teatri, strade, negozi, musei… ma vi ritroveremo anche l’impronta dell’orgoglio, dell’avarizia, dell’egoismo, della violenza, dell’omicidio, della falsità, dell’invidia. La pace sarà sempre inquieta, la gioia un qualcosa da sempre inseguire ma che sfugge. Rapine, aborti, prepotenze, imbrogli, ingiustizie, vendette, tradimenti… sono questi che denunciano l’assenza di Dio dalla nostra città, dal nostro cuore.

E non basta neppure impiantarvi una chiesa in questa città, bisogna che Dio faccia dell’uomo la sua stabile dimora, e questo dipende da noi.

"Costruiamoci una torre la cui cima tocchi il cielo".

E’ il progetto destinato a fallire.

Il cielo lo si tocca con Dio, senza di lui è uno sciocco attentato alla sua trascendenza e un folle gesto di orgoglio umano.

Senza Dio le lingue si mischiano, ognuno ha la sua verità, una diversa dall’altra.

Ognuno intende a modo suo la parola pace.

Anche sulla giustizia non ci si intende: non c’è governo, non c’è ceto sociale, non c’è persona che non abbia questa parola nel suo programma eppure il mondo è pieno di ingiustizia.

La stessa libertà trova ugualmente divisi gli uomini; se ne danno definizioni contrastanti: chi la invoca per il rispetto dei suoi diritti, delle sue scelte, chi la usa per fare i propri comodi, chi la rivendica per la propria autonomia, chi la vuole per la propria dignità.

Anche sull’amore non ci si intende: per alcuni è sensualità, passione, piacere fisico, per altri è dono, spiritualità, affetto, servizio, comunione.

Lontani da Dio si vive nella confusione perché senza di Lui i nostri occhi faticano a penetrare la vera essenza delle cose. Le "lingue diverse" distruggono l’unità familiare, l’intesa tra marito e moglie, tra genitori e figli; non ci si capisce più, non ci si sente amati. Ognuno si chiude in se stesso, si ignora l’altro, si è stranieri anche sotto lo stesso tetto, si finisce col non parlare… Le "lingue diverse" distruggono anche gli accordi sociali. Non si cerca più il bene comune ma l’interesse personale.

E allora scopriamo che Dio non è il concorrente dell’uomo, della sua libertà, Dio non è un qualcosa o un qualcuno da aggiungere come ultimo ingrediente alla somma delle cose che noi uomini sappiamo o desideriamo fare, Dio diventa il nostro tutto.

Dovremmo continuare a ripetere con il salmo 126 : "Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori; se non è il Signore a custodire la città, invano veglia il custode".

Con Dio non c’è bisogno di costruire la torre che tocchi il cielo perché il cielo stesso sarà dentro la città, dentro di noi.

 

 

SABATO 17

Santi sette fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria; Santa Marianna

Parola di Dio: Eb. 11,1-7; Sal. 144; Mc. 9,2-13

 

"PIETRO DISSE A GESU’: MAESTRO E’ BELLO PER NOI STARE QUI". (Mc. 9,4)

Il racconto della Trasfigurazione di Gesù al Tabor ci dà ancora una volta l’occasione di riflettere sul senso cristiano della gioia.

Chissà se anche a noi, cristiani, qualche volta è successo come a Pietro su quella montagna, di dire: "Signore, Maestro, che gioia stare qui, che bello stare con Te".

Il Vangelo è la Buona notizia, quindi questa dovrebbe farci dire spesso che è veramente bella l’avventura cristiana.

Sembra invece che qualche volta abbiamo addirittura paura della gioia.

Troppe volte un falso modo di intendere la religiosità l’ha ridotta all’osservanza di norme come se fossero un peso ed ha ridotto i credenti ad essere sempre estremamente seri, attenti a non sbagliare, paurosi di castigo.

Eppure se avessimo davvero incontrato Gesù, come sarebbe bello stare con Lui! Sentire la sua presenza, la sua protezione, avvicinarci al suo mistero, essere compartecipi di un Dio che si è fatto uomo, poterlo ritrovare presente nei nostri fratelli, gioire davvero per i Sacramenti che ci perdonano, che ci mettono in comunione con Lui.

Quando siamo con Dio la luce, la pace, non ci vengono dal di fuori, non dipendono da fattori esterni, dovrebbero sorgere dal di dentro, scaturire dal cuore dove, come in un tempio, Egli è presente e noi siamo con Lui ad illuminare le cose, gli avvenimenti, la vita.

Questa è la gioia del povero, la gioia anche del malato, la gioia della persona che si consuma per gli altri, la gioia dell’onesto a cui nessuno bada. E’ un tipo di gioia molto più valida e sicura di quella che si cerca nel divertimento, nel benessere, nell’allegra compagnia. Non è condizionata dal possesso dei beni materiali, dal denaro, dalla salute, dalle comodità della vita, esiste anche senza di loro, è capace di farne a meno.

Questa gioia la puoi trovare sul volto della suora di clausura come nell’infermiera dell’ospedale, nella madre di famiglia come nello sposo, nel giovane come nell’anziano.. è frutto dell’amicizia con Dio.

Il rifornimento di questa gioia si fa davanti al tabernacolo, nella preghiera, a fianco del fratello bisognoso del nostro aiuto, nella carità, al nostro posto di lavoro, nella generosità di un onesto servizio.

"Signore, è bello per noi stare qui". Se queste parole non ci sono mai uscite dal cuore, se guardiamo sempre l’orologio quando parliamo col Signore, vuol dire che siamo ancora lontani dalla vera maturità della fede. E’ la storia di tante persone che si considerano cristiane ma vivono un cristianesimo stanco che riduce sempre più a restare sempre più muti, svuotati davanti alla bellezza di Dio. E’ una religione rimasta solo teoria a cui manca la gioia dell’esperienza, a cui manca il coraggio di sperare, di tentare, di aprirsi al nuovo e al bello. Anche le Messe diventano semplicemente un obbligo e non una necessità gioiosa, un atto di riconoscenza; l’amore diventa soltanto più un dovere e quindi non è più amore. Ed ecco allora un’esistenza scialba, anche da cristiani.

Se non abbiamo mai detto: "Signore è bello per noi stare qui", non ci siamo ancora agganciati alla sorgente della vera gioia, non abbiamo ancora sperimentato l’incontro con Cristo vivo.

Per questo tipo di fede nessuno ci invidierà, nessuno si chiederà se vale la pena di seguirci.

Quale buona notizia portiamo se non abbiamo fatto questa esperienza?

 

 

DOMENICA 18

7^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)

San Simeone; San Flaviano; San Claudio; B. Geltrude C.

Parola di Dio: 1 Sam. 26,2.7-9.12-13.22-23; Sal.102; 1 Cor 15, 45-49; Lc. 6,27-38

 

1 ^ Lettura (1 Sam. 26, 2.7-9.12-13. 22-23)

Dal primo libro di Samuele.

In quei giorni, Saul si mosse e scese al deserto di Zif conducendo con sé tremila uomini scelti di Israele, per ricercare Davide nel deserto di Zif. Saul si accampò sull'altura di Cachilà di fronte al deserto presso la strada mentre Davide si trovava nel deserto. Quando si accorse che Saul lo inseguiva nel deserto, Davide mandò alcune spie ed ebbe conferma che Saul era arrivato davvero. Allora Davide si alzò e venne al luogo dove era giunto Saul; là Davide notò il posto dove dormivano Saul e Abner figlio di Ner, capo dell'esercito di lui. Saul riposava tra i carriaggi e la truppa era accampata all'intorno. Davide si rivolse ad Achimelech, l'Hittita e ad Abisài, figlio di Zeruià, fratello di Ioab, dicendo: "Chi vuol scendere con me da Saul nell'accampamento?". Rispose Abisài: "Scenderò io con te". Davide e Abisài scesero tra quella gente di notte ed ecco Saul giaceva nel sonno tra i carriaggi e la sua lancia era infissa a terra a capo del suo giaciglio mentre Abner con la truppa dormiva all'intorno. Abisài disse a Davide: "Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico. Lascia dunque che io l'inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo". Ma Davide disse ad Abisài: "Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore. Così Davide portò via la lancia e la brocca dell'acqua che era dalla parte del capo di Saul e tutti e due se ne andarono; nessuno vide, nessuno se ne accorse, nessuno si svegliò: tutti dormivano, perché era venuto su di loro un torpore mandato dal Signore.

Davide passò dall'altro lato e si fermò lontano sulla cima del monte; vi era grande spazio tra di loro. Rispose Davide: "Ecco la lancia del re, passi qui uno degli uomini e la prenda! Il Signore renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà, dal momento che oggi il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore".

 

2^ Lettura (1 Cor. 15,45-49)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo. Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste.

 

Vangelo (Lc. 6, 27-38)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "A voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Da  a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio".

 

RIFLESSIONE

 

Ed eccoci davanti ad un altro brano di vangelo "impossibile". Se quello di domenica scorsa ci ha fatto fremere nel sentire chiamare ‘beati’ i poveri e ‘maledetti’ i ricchi, quello di oggi è un susseguirsi in crescendo di assurdità per la nostra mentalità umana.

Se ci può già essere difficile capire, nella prima lettura, Davide che avrebbe la possibilità di sbarazzarsi del suo nemico e che, invece, non si vendica, ma addirittura, pur stando a distanza, gli restituisce la lancia, ecco che il Vangelo ci chiede di "amare" il proprio nemico, di far del bene a coloro che ci odiano.

Non solo, ma addirittura ci invita a non proteggerci e, quasi con masochismo, "porgere l’altra guancia", ad aiutare chi ci deruba dandogli ancora altro, a fare dei prestiti sapendo in partenza non solo di non ottenere gli interessi, ma di perderci pure il capitale.

Se per questioni di buona creanza, e magari per qualche "speranza" di paradiso, possiamo, a denti stretti, accettare di fare agli altri, quello che vorremmo gli altri facessero a noi, non ci garba tanto che "Dio sia benevolo con gli ingrati e i malvagi (che normalmente sono sempre gli altri)". Arriviamo poi al massimo dell’assurdo quando dobbiamo diventare "misericordiosi come è misericordioso il Padre nostro celeste": comportarsi come Dio!

… Ma, Dio è poi così misericordioso se per un ‘no’ dell’uomo ne ha sofferto tutta l’umanità? E se, per ‘salvare’ l’umanità ha bisogno di Gesù Agnello immolato innocente per noi?

Non spaventiamoci di queste riflessioni che sembrano quasi bestemmie. E’ che, se ragioniamo solo con idee, sentimenti, pensieri umani, non capiremo e soprattutto non riusciremo mai ad accettare questa pagina di Vangelo.

Forse una chiave di interpretazione sta proprio nella seconda lettura di oggi dove San Paolo dice che l’uomo di terra, il primo Adamo, è terrestre, ragiona con la terra, ama solo nella misura dell’uomo materiale, mentre il secondo Adamo (Gesù e coloro che si rivestono di Lui) è celeste, comincia a pensare, ragionare, agire come Dio. Per capire qualcosa di questa pagina di Vangelo occorre proprio lo Spirito stesso di Dio che ha animato Gesù.

Si possono amare i nemici?

Se noi intendiamo amore come sentimento è molto difficile! Se uno ha ucciso tuo figlio è già molto se riesci a contenere i tuoi sentimenti e con fatica riesci a non volere che costui faccia la sua stessa fine, ma è difficile, quasi impossibile umanamente, avere sentimenti di affetto nei confronti di questa persona.

Ma è questo l’amore che vuole Gesù?

Gesù, durante il suo processo, viene preso a schiaffi da un uomo. Egli non risponde facendogli seccare la mano, non promette dannazioni eterne nei suoi confronti, ma lo guarda dicendogli: "Se ho sbagliato dimostramelo, se no perché mi percuoti?"

Allora comprendiamo che l’amore per i nemici non è provare sentimenti improbabili quanto ipocriti, ma è vedere nell’altro, anche nel nemico, un qualcuno, un fratello che può essere aiutato, uno che può cambiare, recedere dal male. Se lo intendiamo così, comprendiamo che il perdono non è passività e tanto meno connivenza con il male anzi, è l’unico modo per non dare spazio al dilagare del male. Infatti se al male rispondo con il male, esso non fa che aumentare, pensate a quello che i guerrafondai di oggi chiamano la "escalation" della violenza. Oltretutto, non rispondendo all’altro con violenza non mi carico di un peso insopportabile, quello del rancore. Quando questo tarlo entra nella vita, ci corrode dentro. Tutto diventa insopportabile. Non puoi più gustare nulla, non vedi più il bene che ti capita, sei geloso di tutto e prima o poi, il rancore passa dai sentimenti al fisico e ti tocca anche nella salute. Quanto è liberante riuscire a scaricarlo, a buttarlo via. Non so se vi è capitato di vedere due bambini (o anche grandi) azzuffarsi. Sembra che i loro occhi non vedano più nulla: davanti c’è solo un nemico da annientare, da ferire, da distruggere. L’odio, il male ci chiudono gli occhi mentre il perdono e l’amore costruttivo ci fanno riscoprire il fratello e ci permettono di sperare, di guardare lontano. Non solo, ma se entriamo nell’ottica di Gesù e del suo Spirito, scopriamo il vero volto della misericordia di Dio che non solo non è colui che, offeso per una mela porta rancore nei confronti di tutta l’umanità, ma Colui che fa di tutto, senza intaccare il dono della libertà, perché l’uomo possa vivere nella serenità, senza l’odio, in pace con se stesso e con i fratelli, e con tutto il creato. Se guardiamo con gli occhi di Gesù, scopriamo che tutti gli interventi di Dio non sono punitivi ma sempre propositivi per l’uomo. Se guardo a me stesso, ai doni ricevuti e alle mie difficoltà nel rispondervi scopro che Dio avrebbe potuto stufarsi di me centinaia di volte, eppure mi ha sempre offerto una possibilità nuova, si è sempre reso disponibile a ricominciare da capo; avrebbe potuto strafulminarmi e invece mi ha accolto a braccia aperte come il Padre della parabola del figliol prodigo che avrebbe potuto accogliere il figlio disgraziato e dilapidatore che tornava a casa con il bastone in mano o che avrebbe almeno potuto dire come certi padri della terra: "Hai visto, te lo avevo detto!", e invece gli corre incontro a braccia aperte e "lo alzò", "lo abbracciò", gli fece festa. Ecco il senso di quella frase: "Dio è benevolo nei confronti degli ingrati e dei malvagi" Non che Dio ami la malvagità, ma vede il peccatore come un figlio caro che può redimersi, cambiare, esplicare il bene che sta nel suo cuore.

Se vogliamo imparare poco per volta ad amare i nemici, dobbiamo guardare spesso la croce di Gesù. E’ solo lì, davanti alla cattiveria e crudeltà degli uomini e davanti all’uomo Gesù sofferente che noi possiamo incominciare a vedere in quelli che consideriamo dei nemici, dei fratelli. Gesù non ha una parola di condanna. Gesù chiede a Dio di perdonare i suoi persecutori perché "non sanno quello che fanno" eppure, materialmente, stavano almeno uccidendo un uomo!

Gesù non scende dalla croce, il cielo che si oscura ed il terremoto non sono una punizione di Dio, nessuno sprofonda nell’inferno anzi, "i corpi di molti giusti tornarono in vita", la croce è ancora occasione di regali: un ladro diventa ‘santo’, la nostra umanità riceve una madre in dono, Maria. Guardando a questo possiamo cominciare a lasciar cadere le schegge della rabbia, i risentimenti, le ironie distruttrici, possiamo cominciare a vedere come possibile una civiltà fondata sull’amore, possiamo riconoscerci tutti figli di Dio. Il cristiano, davanti alla croce di Gesù, diventa consapevole di essere nato tale dal perdono di Dio offertogli dal Cristo crocifisso e allora comprende che la misericordia verso gli altri non è altro che la sua riconoscenza per quanto gratuitamente ha ricevuto.

 

 

LUNEDI’ 19

San Corrado Confalonieri; San Tullio; San Mansueto

Parola di Dio: Sir. 1, 1-10; Sal. 92; Mc. 9,14-29

 

"CREDO, AIUTAMI NELLA MIA INCREDULITA’ ". (Mc. 9,24)

Nella mia vita ho cambiato tante volte idea sul concetto di fede.

Quando ero studente di filosofia pensavo alla fede come a un qualcosa che doveva cercare e trovare risposte per tutte le cose e confondevo sovente la fede con la ricerca intellettuale, con la scienza, con le risposte esatte; e mi arrabbiavo perché il Vangelo, la religione non mi offrivano queste possibilità. Mi davano delle intuizioni, è vero, delle convinzioni in certi momenti, mi suggerivano delle esperienze, ma la risposta agli eterni interrogativi della vita, dell’esistenza e di Dio non era mai chiara, completa ed esaustiva.

Ho poi creduto che la fede fosse un insieme di gesti di religione, un atteggiamento di uomini che rispondevano alle domande della vita con dei gesti rituali, degli atti di sudditanza nei confronti di Dio, degli atti rispettosi di norme derivanti da Dio, ma anche qui ho visto ipocrisia, non compiutezza, le incapacità dell’uomo a mettersi da solo a dialogare con un’entità così grande.

Poco per volta ho capito che fede è dare fiducia non a delle idee, non a delle religioni, ma dare fiducia ad una persona, Gesù Cristo; è incontrare Lui vivo nel nostro quotidiano ed è, con i nostri limiti, con i nostri interrogativi, con i nostri dubbi, accoglierlo, abbandonarsi a Lui, credere che è davvero il Figlio di Dio che ci rivela il volto del Padre e il senso del nostro vivere.

Diventa allora anche facile capire come il padre che, nel Vangelo di oggi, si presenta a Gesù per chiedere la guarigione del proprio figlio indemoniato, esprima la propria fede in Gesù con un susseguirsi di apparenti contraddizioni. Prima gli dice: "Se tu puoi aiutami, guariscilo". E quando Gesù gli ricorda che si può tutto se si ha fede, allora con sincerità e onestà dice: "Credo, ma aiutami nella mia incredulità".

E’ forse il senso più completo della fede.

Io credo in Gesù. Lo abbiamo incontrato. Ci ha rivelato il volto del Padre. Ci ha dato il suo messaggio di gioia. Ma nello stesso tempo nella mia vita è così difficile esprimere questa fede perché sono ancora troppo legato a me stesso, alle cose, perché non sono ancora capace di abbandonarmi totalmente e di amarlo così come si dovrebbe.

A questo punto non mi perdo d’animo e mi rivolgo a Gesù chiedendogli che mi aiuti nella mia povertà di fede. Mi consola il fatto che Gesù vedendo la difficoltà di questo padre, lo rimprovera dolcemente ma non solo non lo caccia, anzi gli guarisce il figlio e, forse, proprio grazie a questo dono, gli rafforza la fede.

Non pretendiamo di avere la fede pura per andare da Gesù, non pretendiamo di conoscere tutto, di saper far tutto nel modo da Lui voluto, andiamo da Lui così come siamo, ascoltiamolo, diciamogli tutti i nostri dubbi e poi "lasciamoci fare da Lui".

 

 

MARTEDI’ 20

Sant’Eleuterio; Sant’Ulrico; Sant’Eucherio

Parola di Dio: Sir. 2,1-11; Sal. 36; Mc. 9, 30-37

 

"GESU’ DISSE AI DODICI: SE UNO VUOL ESSERE IL PRIMO SIA L’ULTIMO DI TUTTI E IL SERVO DI TUTTI". (Mc. 9,35)

Lascio commentare questa precisa indicazione di Gesù da Ernesto Olivero, traendo questo commento dal suo ultimo libro: "Il lungo cammino verso Dio".

"Il Signore agisce a piene mani quando trova delle persone disponibili che gli dicono: "Se vuoi, io ci sto". Se incontra questa disponibilità può aiutarci a modificare il carattere per tutta la vita, può aiutarci a scoprire i doni che abbiamo ma che non riescono a venire fuori a causa delle nostre certezze pretestuose, della nostra testardaggine, dell’ingombro del nostro "io". Se non si entra nell’ottica del "Se vuoi, ci sto", qualunque cosa facciamo non ha nulla a che fare con il progetto di Dio. C’è bisogno che il nostro cuore e la nostra mente entrino nella dimensione che Dio vuole per ognuno di noi. Non lasciamoci prendere dalla tentazione di credere di aver già fatto abbastanza perché l’amore non può dire basta: l’amore che dice basta è finito, muore, non è amore. Se veramente viviamo alla presenza del Signore, una nostra parola per qualcuno può essere fondamentale, un nostro gesto può esserlo altrettanto perché siamo osservati dal Signore anzitutto e poi da chi cerca veramente. Se viviamo alla presenza del Signore siamo persone che hanno desiderio di convertirsi, di crescere in continuazione. Per un cristiano che si è innamorato di Gesù è normale, è proprio una gioia ripetere ogni giorno il proprio ‘sì’, ogni giorno chiedersi: "Chissà se oggi posso imparare qualche cosa in più?".

Un cristiano è un abbandonato, uno talmente debole da non poter essere orgoglioso di nulla, talmente povero da non avere nulla di suo, uno che non può essere presuntuoso perché non si attacca a nulla. Un abbandonato vive tutto come un servizio, con il desiderio di convertirsi ogni momento. Quante volte facciamo meravigliose intenzioni di preghiera e poi siamo chiusi ai bisogni degli altri. Questo è un campanello di allarme che ci suona dentro per avvertirci. E’ facile fingersi pii e non esserlo, è facile dirsi disponibili e non esserlo. Ma la verità su chi siamo non si può recitare né nascondere."

 

 

MERCOLEDI’ 21

San Pier Damiani; Sant’Eleonora

Parola di Dio: Sir. 4, 11-19; Sal.118; Mc. 9,38-40

 

"GESU’ DISSE LORO: NON C’E’ NESSUNO CHE FACCIA UN MIRACOLO NEL MIO NOME E SUBITO DOPO POSSA PARLARE MALE DI ME. CHI NON E’ CONTRO DI NOI E’ PER NOI". (Mc 9,39-40)

Era successo un fatto increscioso: gli apostoli avevano visto uno che nel nome di Gesù scacciava i demoni e glielo avevano vietato giustificandosi e dicendo: "Non fa parte dei nostri".

Gesù invece dice che dobbiamo saper accogliere tutto quello che è buono e che è bene perché il bene può operare in qualunque modo.

Gesù non vuole che la sua Chiesa sia un ghetto, che ad essa appartengano solo determinate categorie di persone, ma desidera una comunità aperta. Ci vuole solidali con tutte le persone oneste e con qualità umane che, anche se "non sono dei nostri" perché non appartengono al gruppo cristiano, cercano tuttavia Dio con cuore sincero, praticando con lealtà il bene, la verità, la giustizia e l’amore fraterno.

Ce ne dobbiamo rallegrare: tutti costoro stanno con Gesù, con il Vangelo, con noi.

Quando lo stesso problema si era ripresentato nella comunità primitiva, ecco che San Paolo e gli apostoli rispondono dicendo: "Purché Cristo venga annunziato io me ne rallegro" perché "Nè chi pianta né chi irriga è qualcosa, ma è Dio che fa crescere".

Anche ai nostri giorni l’appartenenza alla Chiesa non è l’unico criterio di adesione a Cristo e al Regno di Dio. E questo regno non coincide con la Chiesa, ma respira in tutti gli uomini e le donne di buona volontà anche se non frequentano i nostri templi.

Chi ama il prossimo e lavora sinceramente per un mondo più umano e per i diritti della persona, specialmente dei meno privilegiati, è a favore del Vangelo e, se non rifiuta espressamente Cristo, è con Lui e con noi, suoi seguaci.

Gesù vuole che noi, sua comunità, siamo in atteggiamento di dialogo e di aperto servizio a tutti gli uomini tanto sul piano interno che esterno.

Non abbiamo paura di collaborare con tutti gli uomini di buona volontà, con questo non svendiamo il nostro cristianesimo e non mettiamo in saldo il Vangelo ma collaboriamo con tutti coloro che, pur non conoscendolo espressamente, vivono e trasmettono i principi del Vangelo al prossimo.

 

 

GIOVEDI’ 22

Cattedra di San Pietro; S. Papia

Parola di Dio: 1Pt. 5,1-4; Sal. 22; Mt. 16,13-19

 

"E IO TI DICO: TU SEI PIETRO E SU QUESTA PIETRA IO EDIFICHERO’ LA MIA CHIESA E LE PORTE DEGLI INFERI NON PREVARRANNO CONTRO DI ESSA". (Mt. 16,18)

La festa della Cattedra di san Pietro ci dà occasione di ripensare ad una delle tante cose che noi, come cristiani, diamo per scontate ma che spesso viviamo attraverso una serie di luoghi comuni e con molta confusione.

Proviamo a pensare al magistero del Papa.

Chi è il Papa? E’ il successore di san Pietro, è colui che ha ricevuto da Gesù il compito di garantire l’unità della Chiesa, di testimoniare la continuità della tradizione della fede, di predicare e annunciare il Vangelo di Gesù, di aiutare i fratelli a vivere rispondendo moralmente bene a quelle che sono le chiamate del Signore.

Ecco allora che "cattedra" è luogo di insegnamento di pastorale e non scranno di poteri terreni.

Il primo errore che spesso noi facciamo, proprio perché legato alla storia della Chiesa concreta, è di legare la figura del Papa alla figura del potere terreno. Se per tanti secoli il potere divino di servizio e quello terreno di dominio hanno cercato, per interesse, di andare a braccetto, oggi ci rendiamo conto che la vera autorità della Chiesa e del Papa non stanno in un potere materiale, stanno nell’autorità morale per il servizio che Gesù ha affidato a Pietro. Abbiamo bisogno di purificare questo pensiero sia noi che soprattutto coloro che, facendo parte della gerarchia ecclesiale, sono facilmente portati a vederla come una scala di poteri successivi.

Quando ritorniamo al Vangelo scopriamo che l’unico potere dato da Cristo è quello di servire, è il potere del pastore che indirizza il suo gregge, che raccoglie con amore le pecore che hanno maggiore difficoltà, che difende le pecore dai lupi anche a costo della propria vita. Anche il potere di magistero non deve mai essere un imporre in forme assolutistiche la verità al punto da ergersi giudici di altri per poterli condannare, deve essere sempre un servizio alla verità attraverso l’umile interpretazione della Parola di Dio, attraverso la Tradizione, e l’offerta di percorsi di fede accompagnati sempre dalla stessa misericordia di Gesù che, pur chiedendoci impegni seri, sa capire la difficoltà che spesso abbiamo nell’attuarli.

A me piace vedere nella storia di questo nostro Papa e nei discorsi da Lui pronunciati in tantissime occasioni, aldilà della forma a volte di difficile espressione, la sua continua tensione di attenzione sia alla Parola di Dio sia all’uomo concreto.

Un altro luogo comune da rivisitare è l’intendere l’infallibilità del Papa come infallibilità assoluta in tutti i campi. Questo non è affatto vero. L’unica infallibilità del Papa è nei riguardi della fede. Di certo il Papa non si permette e non si permetterà mai di dichiarare qualcosa di assoluto che non derivi effettivamente dalla Parola di Dio. Ancora, il Papa dà delle norme che hanno un valore pieno e totale anche in campo morale, ma nello stesso tempo con la misericordia che è propria di Dio, aiuta le persone ad indirizzarsi verso queste mete. Le norme non sono mai date solo per condannare, per escludere, sono date sempre e soltanto per indirizzare verso Gesù.

Quale può e deve essere allora il nostro atteggiamento verso il magistero del Papa?

Prima di tutto un grande rispetto, poi una grande attenzione per capire ciò che egli vuole dirci ed insegnarci a nome di Gesù, un confrontare quanto ci viene detto con quelle che sono le nostre tradizioni e il nostro modo di vivere e poi una adesione fiduciosa nel nome dell’unità, quell’unità per cui proprio Gesù ha pregato e per cui Gesù ha dato a Pietro il potere di legare e di sciogliere.

 

 

VENERDI’ 23

San Policarpo; Santa Romana da Todi

Parola di Dio: Sir. 6,5-17; Sal. 118; Mc. 10,1-12

 

"L’ UOMO DUNQUE NON SEPARI CIO’ CHE DIO HA CONGIUNTO". (Mc. 10,9)

Penso che quasi tutti noi, partendo proprio dalle nostre esperienze familiari, di parenti, di conoscenti o amici, abbiamo fatto esperienza di cosa voglia dire la divisione in una famiglia o la divisione di una famiglia. Quando una famiglia si divide questo crea prima di tutto sofferenza.

Gesù parla apertamente di questo argomento perché sa che ogni famiglia è a rischio di divisione e vuole indicare con chiarezza qual è la volontà di Dio sulla vita della coppia.

"All’inizio – dice Gesù – Dio li creò maschio e femmina, per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una cosa sola, sicché non sono più due ma una cosa sola". Ecco l’indicazione preziosa che Gesù dà sulla vita della coppia. La coppia è come Dio che pur essendo in tre persone distinte è un Dio solo. La divisione crea la rottura di questa unità e crea quindi qualcosa di negativo sia per chi ne subisce che per tutta la comunità umana.

Detto questo, indicata una meta, che cosa succede per coloro che invece si sono trovati o vivono questa situazione?

Dio ama tutti i suoi figli. Dio ha un progetto per i suoi figli e quando questo non si realizza o per colpa dell’uomo o perché qualcuno dei suoi figli subisce le difficoltà che altri hanno portato, Dio può abbandonare queste persone? E queste persone, possono sentirsi lontane dall’amore di Dio solo perché un progetto non è stato realizzato?

Assodato che Dio non dimentica nessuno, che Dio, e lo capiamo da tutta la Bibbia, continua a portare avanti il suo progetto e quando l’uomo gli risponde negativamente cerca altre strade, chiediamoci anche quale deve essere l’atteggiamento della Chiesa e dei cristiani nei confronti di chi vive queste situazioni di difficoltà.

Credo che il primo atteggiamento debba essere quello di una grande attenzione verso tutti coloro che stanno vivendo una situazione di sofferenza, poi l’enunciazione dei principi di valore e delle mete è indubbia da parte della comunità cristiana, non saremmo di Cristo se addomesticassimo norme e regole, se non chiamassimo il peccato con il proprio nome, se non dicessimo con chiarezza quello che è peccato nella divisione di una coppia, però ci vuole altrettanta attenzione, comprensione, pazienza con coloro che stanno vivendo questa situazione, in modo particolare con coloro che hanno subito certe situazioni nella loro vita.

E per quanto riguarda il futuro di queste persone, esse non devono avere una possibilità per poter ricostruire un qualcosa di bello e di buono per se stesse e per altri? Non credo che il Signore, dopo un errore, ci dica che dobbiamo patirlo e subirlo per tutta la vita. Come il Signore chiede a ciascuno di noi dopo il peccato di ripartire e di ricostruire il possibile, non chiederà anche a queste persone di riavere davvero fiducia nella vita?

 

 

SABATO 24

San Sergio di Cesarea

Parola di Dio: Sir. 17,1-15; Sal. 102; Mc. 10,13-16

 

"IN VERITA’ VI DICO: CHI NON ACCOGLIE IL REGNO DI DIO COME UN BAMBINO NON ENTRERA’ IN ESSO". (Mc. 10, 15)

Quando noi entriamo in una delle nostre chiese, se per caso non incocciamo proprio nella Messa dei bambini del catechismo, scopriamo che l’età media dei partecipanti supera abbondantemente la sessantina. E succede anche di vedere che in una Eucaristia vengono dette e celebrate cose meravigliose ed esaltanti tra l’indifferenza o la sonnolenza di quasi tutti i presenti, qualche volta prete compreso. Gesù, dicendo che il Regno di Dio può essere accolto soltanto da un bambino non voleva con questo riportaci tutti ad una forma di infantilismo religioso, voleva semplicemente ricordarci che solo con certi atteggiamenti tipici del bambino si può davvero riscoprire a qualunque età della propria vita, la gioia di questa buona notizia del Regno che viene.

Proviamo allora a recuperare alcuni atteggiamenti del bambino.

Il bambino sa di aver bisogno di tutto. L’adulto, qualche volta, pensa di essere autosufficiente, pensa di bastare a se stesso. Il bambino, pur essendo di natura un egocentrico, sa di aver bisogno del mondo dei grandi; gli serve il cibo e da solo non può procurarselo, gli serve l’affetto e se non glielo regalano gratuitamente gli altri non lo trova, gli serve il vestito, i giocattoli e se qualcuno non glieli procura e soprattutto non condivide con lui il suo tempo, egli rimane un bambino solo, triste. Se noi cristiani considerassimo davvero che abbiamo bisogno di Dio, che tutto quello che ci è dato è dono gratuito, che da soli non riusciamo a soddisfare alle nostre necessità e al senso della nostra vita, avremmo l’atteggiamento del bambino che chiede e riceve e nello stesso tempo sa che da solo non riuscirebbe ad avere, ma sa anche che quando riceve gli è dato per amore.

Ed ecco, allora, un’altra caratteristica del bambino, quella di saper stupirsi. Un bambino si stupisce per le piccole cose, un bambino si meraviglia davanti a qualcuno che gli vuol bene, i suoi occhi si illuminano davanti alla natura, il bambino sa dare un’anima anche alle cose. Se noi Cristiani siamo abituati alla Parola di Dio e non la vediamo più come una novità, come un qualcosa che viene dato proprio a me, in quel momento, ecco che non ci stupiamo più. E se non ci si stupisce non si sa poi neanche dire grazie perché non si riconosce il dono. Provate a pensare: noi passiamo quotidianamente in mezzo a meraviglie della natura e tante volte neppure ce ne accorgiamo.

Un altro atteggiamento del bambino è quello di saper gioire spontaneamente. Il bambino quando riceve qualcosa, è felice, non sta a porsi mille domande, gioisce di quello che ha e di quello che gli vien dato. E noi cristiani gioiamo dei doni quotidiani che la Provvidenza ci elargisce, cominciando dal dono della vita, poi della Parola di Dio e dei Sacramenti che ci vengono offerti?

Se davvero sapessimo che cosa significa l’Eucarestia, altro che Messe noiose, abituali, rituali… la gioia dei partecipanti dovrebbe essere tangibile nel sapere che Dio, il Creatore di tutto, il Redentore, nonostante i nostri peccati, si fa pane per noi, si fa magiare da noi.

 

 

DOMENICA 25

8^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)  -  San Cesario

Parola di Dio: Sir. 27,4-7; Sal. 91; 1Cor. 15,54-58; Lc 6,39-45

 

1^ Lettura (Sir. 27, 5-8)

Dal libro del Siracide.

Quando si agita un vaglio, restano i rifiuti; così quando un uomo riflette, gli appaiono i suoi difetti.

La fornace prova gli oggetti del vasaio, la prova dell'uomo si ha nella sua conversazione. Il frutto dimostra come è coltivato l'albero, così la parola rivela il sentimento dell'uomo. Non lodare un uomo prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini.

 

2^ Lettura (1 Cor .15, 54-58)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. Siano rese grazie a Dio che ci da  la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.

 

Vangelo (Lc. 6, 39-45)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: "Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt'e due in una buca? Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello. Non c'è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo.

L'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore".

 

RIFLESSIONE

 

Per capire al meglio quello che significano le parole che Gesù ci dice, noi dobbiamo guardare a Lui. La sua persona è la Parola, il suo essere e vivere fonda quanto dice e il suo rapporto con noi. Gesù oggi ci ha ripetuto che l’uomo buono trae fuori il bene dal tesoro del suo cuore.. Le sue parole dunque vengono fuori nientemeno che dal cuore di Dio, non sono un semplice insegnamento sapienziale, o le indicazioni più o meno valide di un maestro, o gli imperativi morali di un legalista, o le indicazioni persuasive di uno psicologo, le sue Parole sono il cuore stesso di Dio che si apre a noi. Ascoltiamole con questa particolare attenzione.

Il primo insegnamento è sul maestro. Chi è per Gesù il maestro? E’ uno che ha qualche cosa di più grande di sé da dare al suo prossimo. Per essere maestri bisogna avere, bisogna riconoscere il dono ricevuto e chi te lo ha dato e bisogna avere il desiderio di servire gli altri trasmettendo il dono.

Spesso, a livello di Chiesa, succede esattamente l’opposto. Si pensa al maestro come ad uno che sa determinate cose, la teologia o la morale ad esempio, e che per questo ha un ruolo importante e di prestigio, che "fa scuola" agli altri. Guardiamo a Gesù: Lui è il Maestro. Gesù è uno che molto spesso prega: è di lì che nascono le sue conoscenze. E’ solo la frequentazione di Dio che ti permette di balbettare qualcosa di Dio, che ti può aiutare a far trasparire Dio dalla tua vita.

Poi Gesù è uno che ascolta, pensate all’episodio della sua infanzia quando si ferma a discutere con i dottori del Tempio, alle sue discussioni con gli scribi e i farisei… Gesù sa anche ascoltare e leggere la sua storia: parla della pioggia, fa esempi presi dalla vita pastorale, marinara, casalinga, conosce fatti di cronaca come il crollo della torre di Siloe, ma è soprattutto un ottimo lettore del cuore e del pensiero delle persone che ha davanti. Non solo, ma Gesù che potrebbe farlo, non si impone mai, non usa la sua cultura per schiacciare gli altri, non approfitta del proprio ruolo per esercitare potere, si mette a servizio, si fa debole con i deboli, parla un linguaggio facilmente comprensibile dalle varie categorie di persone a cui si rivolge. Indica delle mete anche estremamente esigenti, ma sa graduarle, aver fiducia nell’uomo, venire incontro alle debolezze. Il pericolo di impancarsi a maestro e poi, quindi, di giudice l’altro, è facile ad insinuarsi in ogni uomo, forse più di ogni altro nel Cristiano che si ritiene già in partenza amico di Dio, in grado di capire le sue preferenze e decisioni.

La voglia di porsi a guida degli altri è già in partenza ambigua, perché nasconde una sopravvalutazione di sé, quindi un malcelato stato di orgoglio e di arroganza, prerogative che rendono dubbia la parte di guida che si rivendica. Una tale tendenza non proviene dal desiderio di seguire, ma da quello di prevalere, quindi è cieca e può portare agli abbagli o disastri che Gesù prevede (come la caduta nel fosso).

La volontà di essere guida è parallela a quella di ergersi giudice dei propri simili. Si tratta di una valutazione sempre falsa perché parte da un gesto di benevolenza nei propri riguardi e da una severità verso gli altri, mentre dovrebbe essere tutto il contrario.

Siamo espertissimi nel fare l’esame di coscienza, quello degli altri.

Ci viene estremamente facile vedere le cose che il nostro prossimo dovrebbe o non dovrebbe fare…

Ricordo un episodio in cui una signora era venuta a confessarsi e aveva iniziato ad elencare tutti i difetti e i presunti peccati del marito. Più volte avevo cercato di indirizzarla a chiedere perdono per se stessa: niente da fare, come una sorgente inarrestabile, continuava ad enumerare le magagne del marito. Siccome la sapevo una persona spiritosa, ed avevo una certa confidenza con lei, la lasciai continuare. Quando, dopo aver ripetuto almeno un paio di volte, rincarando la dose, le ‘deficienze’ del marito, si zittì e mi guardò in attesa dell’assoluzione, le dissi sorridendo: "Per lei l’assoluzione non c’è, infatti non ha chiesto perdono neppure per uno dei suoi peccati; in compenso dica a suo marito di non venire più a confessarsi; l’assoluzione che ora do, gliela porti a casa: è per lui che tramite lei si è confessato e forse anche con troppo zelo".

Spesso siamo capaci di trovare il male degli altri e di trovarne i rimedi. Siamo disposti a correggere idee, a cambiarle: naturalmente le idee di chi non la pensa come noi.

Siamo disposti a pretendere dagli altri cambiamenti, conversioni che non pensiamo spettino a noi perché la trave dei nostri occhi ci impedisce non solo di vedere, ma anche di immaginare che ci possano essere colpe da emendare da parte nostra. E questa è una forma di ipocrisia.

Gesù condanna l’ipocrisia dei farisei perché volevano far credere di essere pii, osservanti, buoni, mentre in realtà non lo erano.

Gesù preferisce il peccatore all’uomo falso; il peccatore, infatti può arrivare alla conversione mentre il peccato nascosto resta e marcisce.

L’invito, allora, è quello di far luce dentro di noi, di aprire la nostra coscienza perché Dio la possa illuminare: E’ questo il senso della sua parola: "L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore, l’uomo cattivo, dal suo cattivo tesoro trae fuori il male".

Per Gesù la bontà di un’azione non dipende dal fatto che esteriormente concordi con la volontà di Dio, ma solo se esce da un cuore buono, altrimenti è finzione, ipocrisia. Se il nostro cuore non è pieno di Dio, di bontà, di rettitudine, tutto quello che facciamo porterà il marchio delle cattive intenzioni, anche se ben nascoste. Proviamo, una volta tanto, ad esaminare non il nostro prossimo, ma la nostra coscienza e chiediamoci: quali sono le motivazioni che mi spingono ad agire? Nei confronti di Dio mi spinge l’amore per Lui o la paura di Lui? Nei confronti del prossimo, ad esempio il mio andare a trovare un ammalato, il portare una buona parola, sono fatti perché davvero amo il mio prossimo o per esibizione, per strappare apprezzamenti, per ottenere qualcosa che mi interessa? Se fosse per questi secondi fini, allora, l’azione che appare buona davanti agli uomini, davanti a Dio non lo è, ma è solo squallida falsità.

A questo punto può venire spontaneo chiederci: ma come faccio a sapere se le mie azioni partono da un cuore buono?

Risponde Gesù: "Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo". Come dire che se l’albero è buono, non potrà cambiare frutti col cambiare delle circostanze.

Se mi accorgo che prendo atteggiamenti buoni soltanto quando qualcuno mi vede, evidentemente non sono una persona buona, ma voglio apparire tale, e questa è finzione. Se nel fare il bene mi fermo e torno indietro quando trovo una difficoltà o una ingratitudine, allora è chiaro che la mia bontà è paurosamente superficiale, infatti se credo nel valore del bene, continuo a farlo anche quando non sono apprezzato, perché l’albero buono fa sempre frutti buoni.

Attenzione, però: i contadini ci insegnano che un albero buono non curato spesso inselvatichisce e ne patiscono anche i frutti.

Chi si stacca dal Maestro, dai suoi insegnamenti, dai sui doni, presto inaridisce e allora anche i suoi frutti diventano se non cattivi, almeno immangiabili, se invece rimaniamo in Lui porteremo frutto con abbondanza e con qualità in quanto sarà lo stesso Cristo a portare i suoi frutti in noi.

 

 

LUNEDI’ 26

San Nestore; Sant’ Alessandro di Alessandria

Parola di Dio: Sir. 17, 19-27; Sal. 31; Mc.10,17-27

 

"GESU’, VOLGENDO LO SGUARDO ATTORNO, DISSE AI SUOI DISCEPOLI: QUANTO DIFFICILMENTE COLORO CHE HANNO RICCHEZZE ENTRERANNO NEL REGNO DI DIO". (Mc. 10,23)

Il Vangelo di Marco è quello più ricco nel segnalare le emozioni di Gesù. Nel brano che abbiamo letto oggi, abbiamo due dei molti sguardi di Gesù che Marco consegna al suo Vangelo. Il primo è rivolto con affetto ad un giovane e il secondo, di incoraggiamento e di comprensione ai discepoli.

Questi due sguardi incorniciano le due parti che compongono il brano evangelico odierno: l’incontro di un giovane ricco con Gesù e l’insegnamento di Gesù ai discepoli sulla ricchezza. Questo insegnamento non solo è dato per coloro che sono ricchi, ma per tutti coloro che vogliono essere discepoli di Gesù ricevendo la salvezza di Dio ed entrando nel suo regno.

Gesù avverte tutti noi perché tutti abbiamo prima o poi desideri da ricchi, anche i poveri che si attaccano al poco che hanno dimostrandosi ambiziosi ed avari. Purtroppo a tutti i livelli sociali si cerca con cupidigia il denaro riponendo in esso la fiducia più che non in Dio. E questo atteggiamento indurisce e affligge i cuori come accadde al giovane ricco del Vangelo; rende difficili le relazioni con gli altri, raffredda la fratellanza umana, ci fa rifiutare di dividere ciò che abbiamo con il bisognoso, ritarda la soluzione del problema della fame e della povertà nel mondo, spersonalizza l’individuo facendolo schiavo e non signore del suo denaro e, infine, a livello cristiano, rende impossibile la sequela di Cristo per la mancata assimilazione dello spirito del Regno.

Gli Apostoli, sentendo Gesù considerare gli inconvenienti della ricchezza, rimangono stupiti. Per loro era comune la mentalità ebraica che la ricchezza fosse un segno del favore divino. Per Gesù essa invece è un ostacolo fino al punto che il culto del denaro e seguire Cristo sono incompatibili. Gli Apostoli si sentono spiazzati: "Come è possibile salvarsi se bisogna essere così staccati dal denaro e dalla materia?". Gesù, guardandoli, risponde: "Impossibile presso gli uomini ma non presso Dio". Quello che a un semplice ragionamento umano sembra impossibile non è impossibile per chi si abbandona come un bambino tra le braccia di Dio Padre. Scriveva Santa Teresa d’Avila: "Chi ha Dio non manca di nulla. Solo Dio basta". Se, come dicevamo sabato, siamo capaci di diventare bambini, e siamo capaci di rivolgerci a Colui che tutto può darci, non ci serve più il danaro, ci serve semplicemente Dio. Se ciascuno di noi e la Chiesa avessimo capito a fondo questo, quante difficoltà in meno nel testimoniare oggi la gioia del Vangelo di Cristo!

Finché noi pensiamo che il Regno di Dio lo si annunci attraverso la potenza dei soldi o delle cose, noi sviliamo l’annuncio di Cristo e creiamo dei contrasti per cui diventa difficile alla gente comune crederci. Man mano che saremo liberi dalle cose saremo più sereni nel mostrare agli altri che, per noi, Cristo Figlio di Dio è il nostro tutto.

 

 

MARTEDI’ 27

San Gabriele dell’Addolorata; Sant’Onorina; San Leandro

Parola di Dio: Sir. 35,1-12; Sal. 49; Mc. 10,28-31

 

"PIETRO DISSE A GESU’: "ECCO NOI ABBIAMO LASCIATO TUTTO E TI ABBIAMO SEGUITO". (Mc. 10,28)

L’episodio che ci viene presentato nel Vangelo di oggi è in continuazione diretta con quello di ieri. Gesù aveva proposto ad un giovane ricco di vendere tutto e di dare il ricavato ai poveri per poterlo seguire; questi non se l’era sentita. Pietro, con un po’ di orgoglio ed anche con una mentalità un po’ commercialista, si rivolge a Gesù dicendo: "Ebbene, noi abbiamo lasciato tutto per venirti dietro", e lascia quindi intendere: "E, allora, che cosa ci aspetta, qual è il nostro premio?".

Quante volte anche noi, specialmente dopo aver fatto qualche buona azione, quando ci sentiamo buoni, siamo lì quasi a vantarci davanti a Dio e al nostro prossimo di quanto abbiamo fatto e vorremmo che Dio, subito, ci donasse un premio, riconoscesse la nostra bontà, ci facesse, in contraccambio, andar bene tutte le cose della nostra vita. E’ una mentalità ancora commercialista, legata proprio a quello che Gesù aveva appena chiesto di lasciare: l’attaccamento alle cose, la materialità di esse. Se tu hai fatto qualcosa di buono dovresti esserne contento per il bene stesso che hai fatto. In un altro brano di Vangelo Gesù dice: "Quando avrete fatto tutto quello che dovevate fare, allora dite: siamo servi inutili, abbiamo appena fatto il nostro dovere".

Impariamo a gioire del bene per il bene, non del bene come mezzo per ottenere per noi un premio. Che poi Dio sia generoso e voglia donarci già qui sulla terra il centuplo di quello che abbiamo donato o che abbiamo fatto, e che ce lo dia anche "fin dal presente in case, e fratelli, e sorelle, e figli, e campi insieme a persecuzione e nel futuro la vita eterna", è motivo dell’amore di Dio nei nostri confronti, non di certo dei nostri poveri e piccoli meriti che ci hanno ‘guadagnato meriti e paradiso’. L’invito a seguire Gesù in povertà è un suo richiamo a credere nelle maggiori ricchezze di Dio. Il seguace di Cristo sa di chi si fida, e la sua assoluta dipendenza da Dio sarà abbondantemente ripagata da una generosità che oltrepassa ogni misura.

 

 

MERCOLEDI’ 28

LE CENERI  -  Sant’Osvaldo di Worcester; San Romano di Condat

Parola di Dio: Gl. 2,12-18; Sal. 50; 2 Cor. 5,20 – 6,2; Mt. 6,1-6.16-18

 

"SUONATE LA TROMBA IN SION, PROCLAMATE UN DIGIUNO, CONVOCATE UN’ADUNANZA SOLENNE. RADUNATE IL POPOLO, INDITE UN’ASSEMBLEA, CHIAMATE I VECCHI, RIUNITE I FANCIULLI, TRA IL VESTIBOLO E L’ALTARE PIANGANO I SACERDOTI E DICANO: PERDONA, SIGNORE, AL TUO POPOLO". (Gl 2,15-17)

Quanto sono attuali queste parole che hanno dato inizio al cammino della nostra Quaresima, ma c’è da chiedersi: basterà il suono della tromba a svegliare i cristiani addormentati, stanchi, privi di ideali, infiacchiti?

Vedete, noi inorridiamo, davanti alle stragi che succedono nel nostro mondo, inorridiamo per i lager nazisti… giusto! Ma siamo indifferenti mentre attorno a noi si sostiene che la madre può uccidere liberamente il suo bambino, se lo ritiene opportuno. Vi sono tanti segni di questo assopimento spirituale: l’indifferenza religiosa, il disinteresse per il problema di Dio. "C’è Dio?" "Sì, può darsi, ma in fondo che cosa importa, ho altro da pensare…" "Il senso della vita: a che serve?" "Non si sa e non interessa saperlo: mangiamo e beviamo, tanto domani moriremo". Siamo invitati in questo primo giorno di Quaresima ad ascoltare un richiamo diverso dai tanti, un richiamo profondo a non dimenticarci che la vita è una cosa seria e la si vive una sola volta e non c’è poi tempo per dire: "Ah! Se lo avessi saputo!". "Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai": si parla del corpo, ben inteso, di quel corpo di cui tanto ci preoccupiamo, perché l’anima non tornerà in polvere ma si presenterà al Signore per confermare quanto ha scelto nel periodo in cui era nel corpo, sia in bene che in male. "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio", è l’invito sereno e serio di San Paolo. Oggi siamo invitati a ricordare che al centro della vita ci deve essere Dio nostro creatore, nostro Salvatore e Redentore, che il senso della vita sta nel ricercare Dio mediante la fede e l’amore, che la felicità è aver incontrato Lui già in questa vita per stare con Lui per sempre, che non dobbiamo pensare solo al benessere materiale ma ancora di più a formarci spiritualmente, ad acquistare un carattere, ad avere delle idee chiare e forti, a sapere quello che dobbiamo e vogliamo fare, che non dobbiamo pensare solo a noi ma anche agli altri: preoccuparci se hanno bisogno materialmente del nostro aiuto, e soprattutto se ne hanno bisogno spiritualmente, che dobbiamo mettere al centro della vita l’amore, quello vero, che oggi rischia di essere completamente sommerso dalle sue contraffazioni; amore che non è egoismo, ma generosità, non piacere, ma sacrificio offerto gioiosamente; amore che pensa a dare più che a ricevere; amore che solo può salvare il mondo di oggi dal caos, dalla rovina. Quanti pensieri! Ognuno ha un’opportunità in più in questa Quaresima per riflettere. C’è tanto bisogno di imparare a riflettere, a pensare: è il grande inconveniente del mondo di oggi dove non si riflette e non si pensa. Questa nostra Quaresima può diventare come un grande ritiro spirituale offerto a tutta la Chiesa per riflettere e meditare. Cerchiamo in questo tempo di trovare, possibilmente ogni giorno, degli spazi per la riflessione e per la preghiera e allora potremo camminare con i fratelli verso l’incontro gioioso e definitivo con il Cristo che muore per salvarci e che risorge per darci la vita che non muore più.

     
     
 

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