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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

GENNAIO 2001

 

LUNEDI’ 1

MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO; S. FULGENZIO

Parola di Dio: Num. 6,22-27; Sal. 66; Gal. 4,4-7; Lc. 2,16-21

Giornata mondiale della pace.

 

1^ Lettura (Nm. 6, 22-27)

Dal libro dei Numeri.

Il Signore si rivolse a Mosè dicendo: "Parla ad Aronne e ai suoi figli e riferisci loro: Voi benedirete così gli Israeliti; direte loro: Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò".

 

2^ Lettura (Gal. 4, 4-7)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati.

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.

 

Vangelo (Lc. 2, 16-21)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, i pastori andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro. Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre.

 

RIFLESSIONE

 

La Chiesa, madre saggia, fa oggi gli auguri per l’anno nuovo ai suoi figli, con la benedizione di Dio che giunge a noi attraverso le mani di Maria, Madre di Dio.

Tutti noi sappiamo che il cambio dell’anno è una data convenzionale, sappiamo anche, però, che noi calcoliamo il nostro tempo ai ritmi dei tempi della natura, in anni, stagioni, mesi, giorni ed ore, e, dunque, essere all’inizio di un nuovo anno è un po’ come essere davanti ad una nuova fase della nostra vita; è una pagina nuova, anche se reca i segni del tempo passato.

Il tempo è qualcosa che è talmente prezioso che non vogliamo assolutamente perderlo, ma, invece, desideriamo viverlo in pienezza; esso, anche per la nostra fede, è l’occasione unica e irripetibile in cui noi possiamo accogliere l’amore di Dio e tutti i suoi doni per potervi rispondere con fede e riconoscenza.

Per capire l’importanza di questo tempo nuovo che mi è stato dato e che sto vivendo, devo dunque gettare uno sguardo al passato e uno al futuro.

Del passato non voglio buttar via nulla, spero solo che la misericordia di Dio mi aiuti a buttar via il peccato.

Tutto il mio passato concorre al mio presente.

Detesto la tradizioni di voler esorcizzare il passato bruciandolo e buttando via. Non posso e non voglio tagliare le mie radici, anzi da esse posso prendere la linfa delle esperienze ; anche dalle sofferenze e addirittura dal peccato c’è qualcosa da imparare per evitare di ripetere certi errori, per tentare con speranza il futuro, per trovare la capacità di rinnovarmi. Ed è proprio questo che mi fa guardare con fiducia al futuro: so che non è il vuoto che mi aspetta, ma che le mie speranze più profonde troveranno compimento tra le braccia di Dio.

Per questa fase nuova del mio viaggio ho allora bisogno della benedizione di Dio.

Quando, ai tempi della Bibbia, un figlio partiva di casa per una fase nuova della sua vita, si recava da padre per ricevere la benedizione, cioè per avere quasi l’autorizzazione alla continuità della vita.

Anche noi, oggi, primo giorno dell’anno, veniamo al Signore perché ci benedica nel cammino di questo nuovo tempo.

E troviamo Dio disposto a benedirci con le sue Parole, ma troviamo di fianco a Lui anche Maria disposta a testimoniarci con la sua vita, ciò che questa benedizione ha realizzato e può realizzare.

Risentiamo dunque le parole con cui Dio ci ha benedetti. Sono le parole della prima lettura:

"Il Signore faccia brillare su di te il suo volto e ti sia propizio".

La benedizione, allora, non è: "Tutto ti vada bene", "Possa tu fare tanti soldi" ma: "Il tempo che vivrai nel bene e nel male, nella gioia e nella sofferenza, sia illuminato dal volto di Dio, dalla sua presenza, dalla fiducia in Lui, dalla sua protezione".

"Il Signore ti conceda la pace"

Qui si parla della pace profonda, quella del cuore che permette di "combattere con le armi giuste" per cercare anche la pace tra i popoli, nella società, nelle famiglie. Questa benedizione Dio la diede ad Adamo ed Eva, ma essi preferirono la maledizione del serpente. Dio, però, continuò a benedire. Benedì Noè ed egli diede inizio ad una umanità rinnovata.

Dio benedì Abramo, ed egli con la sua fede incondizionata diede inizio al popolo di Dio.

Dio benedì Maria ed essa divenne Madre del Signore.

Dunque alla fine delle benedizioni di Dio è Gesù.

La parola dell’antica benedizione si concretizza in una Persona. E’ Gesù il volto propizio di Dio che ci illumina. Lui ci ha mostrato il volto misericordioso del Padre: "Chi vede me, vede il Padre". Lui ci ha regalato il suo sangue per dirci che in esso la misericordia del Padre ci perdona e ci da la possibilità di vivere il tempo in comunione con Dio, Lui è la Pace tra il cielo e la terra e la via di pace e fraternità tra tutti gli uomini.

Dio, dunque, ci regala Gesù per vivere bene il tempo che ci è dato, e il dono di Gesù ci arriva attraverso le mani, il corpo e il cuore di Maria, sua Madre. Maria è Colei che nella sua umanità dona ad ogni uomo la benedizione di Dio, suo Figlio Gesù.

Ricordo un fatto che in un primo momento mi aveva fatto sorridere, ma poi mi aveva fatto pensare.

Era la festa dell’Immacolata e, nella predica, avevo cercato di balbettare qualcosa su Maria.

Al termine della Messa mi si avvicinò un uomo che mi disse: "Don Franco, è ora di smetterla di parlare di Maria come ‘una di noi’, quasi fosse la figlia del macellaio o del pescivendolo. Quando parla di Lei, parli dei dogmi che riguardano la sua grandezza: Lei è preservata da ogni ombra di peccato, Lei è tutta santa, non ha mai sbagliato niente, Lei è la Madre di Dio, l’Assunta in cielo, senza Maria non si giunge a Dio"

Ammirai l’amore e la devozione di quest’uomo per Maria chiedendomi però, anche, se Maria stessa, nella sua umiltà, avrebbe preferito riconoscersi "Regina" oppure "Madre".

Stavo ancora pensando a questo quando arrivò una donna a dirmi: "Io sono una donna e come tale ammiro e amo Maria proprio per la sua concretezza, la sua femminilità, la sua semplicità… Piantateli lì, voi preti, di volerla fare quasi una semidea facendola così allontanare da quello che è: una donna che vive con equilibrio una situazione non certo facile…"

Dentro di me pensavo: "E’ proprio difficile accontentare la gente". Ma poi ho capito che non era questione di accontentare tutti ma che entrambe le persone avevano ragione: in Maria, infatti, si realizza uno degli incontri più belli ma più difficili e misteriosi tra l’umanità e la divinità.

Dio viene, Dio illumina col suo volto il volto di Maria e Lei, con il suo "sì" si illumina di quello stesso volto e concepisce, genera il Figlio di Dio.

E questo è dono unico, grazia totale, amore puro che viene dato a Maria. Eppure questo dono grande e misterioso, invece di allontanarla dagli uomini la rende ancora più vicina ad essi perché indica ciò che Dio vuol fare per ciascuno di noi, renderci Figli di Dio nel Figlio.

E Maria come vive tutto questo? Lo vive nel mistero.

Se apre la bocca dal suo cuore sgorga il grazie; se cammina "per regioni montuose" è per portare la gioia di Gesù; se non capisce fino in fondo eventi più grandi Lei, li tiene nel suo cuore meditandoli; vive e soffre come tutti noi, ma accoglie anche la sofferenza, come suo Figlio, come segno di Dio e continua il suo "sì" anche nel momento del buio ma nel nome di una speranza che non andrà delusa.

Dunque è proprio Lei, la Madre di Dio che, vero ponte di collegamento tra la nostra umanità e il Padre, per opera dello Spirito Santo, ci offre Gesù, perché sia Lui ad illuminare il nostro cammino nel nuovo tempo che ci viene offerto.

Sembra quasi dirci:

"Vivi questo anno con Gesù, aprigli le porte, non essere avaro, con Lui di quel tempo che ti viene donato; rinnova la tua speranza, non cercare con Lui solo facili soluzioni a i tuoi problemi ma fa che sia Lui ad illuminarli perché tu viva pienamente sia le gioie che i dolori, le prove e le speranze che il tempo ti riserva.

Fai come me: fa spazio a Gesù, stagli dietro, metti i tuoi piedi dove li mette Lui e quando non capisci qualcosa o ti sembra troppo dura la strada che ti fa percorrere, non perderti d’animo, conserva nel tuo cuore ciò che non capisci, aggrappati a Lui, e presto comprenderai".

 

 

MARTEDI’ 2

Santi BASILIO MAGNO E GREGORIO NAZIANZENO

Parola di Dio: 1 Gv 2,22 - 28; Sal.97; Gv.1,19 –28

 

"I GIUDEI INVIARONO A GIOVANNI DA GERUSALEMME SACERDOTI E LEVITI AD INTERROGARLO: CHI SEI TU? ". (Gv. 1,19)

E’ appena iniziato un nuovo anno, e in questi giorni che preludono la festa dell’Epifania, la liturgia si premura di farci leggere la seconda parte del primo capitolo del Vangelo di San Giovanni, quella che viene subito dopo il suo grandioso prologo. Là Giovanni aveva annunciato la venuta del Verbo, della Luce del mondo con due risultati opposti tra loro: "Il mondo non lo accolse", "ma a quanti lo accolsero diede il potere di diventare Figli di Dio".

Ora, l’inizio della predicazione di Giovanni viene accolto allo stesso modo.

Nel deserto e sulle rive del Giordano c’è gente che accoglie il messaggio, che rinnova la speranza della venuta del Salvatore, che sente l’urgenza di essere battezzata, cioè di cambiare vita, ma lassù, a Gerusalemme, c’è qualcuno che si preoccupa: chi è questa voce che canta fuori del coro? E allora mandano una commissione di inchiesta da Giovanni. (La stessa cosa succederà poi anche a Gesù).

C’è chi accoglie il messaggio e cambia vita e chi discute sulla parola per non spostare una virgola, chi accoglie il dono dello spirito che soffia dove vuole e chi vede errori ovunque e rischia di mettersi contro Dio stesso.

Le alte gerarchie si mostrano sospettose di qualsiasi novità, c’è sempre diffidenza nei confronti di chi fa scoccare anche solo una scintilla di luce, di vita, bisogna accontentarsi del presente, del teologicamente sicuro, del bollo di garanzia dell’apparato curiale.

Gli uomini della speranza vengono considerati una minaccia per la tranquillità e comunque vanno tenuti d’occhio, possibilmente denigrati, oppure inglobati. Tutto, nella grande piramide del potere religioso, deve essere a posto, sistemato, previsto, regolarizzato.

Il potere religioso sembra aver paura del Messia ed anche del suo profeta. E pensare che Giovanni Battista in questa bellissima pagina per tre volte con forza dice: "Non sono…"

Il vero profeta non è un esaltato, non uno che ha costruito tutto su se stesso ma uno che è fedele fino alla morte al messaggio che Dio gli ha affidato.

Due piccole riflessioni per tradurre ai nostri giorni questa pagina.

Anche oggi ci sono voci che invitano i credenti a riscoprire la bellezza, la novità, l’impegno nella concretezza di scelte veramente profetiche, che invitano a soffermarsi non soltanto al passato o al presente, ma a guardare con speranza al futuro, voci che più che dare sicurezze sono stimoli, provocazioni. Io sono con il potere costituito per farle tacere? Preferisco farmi convertire dal Vangelo o discutere all’infinito di esso e di Chiesa e per poi essere sempre esattamente allo stesso punto? Oggi sentiamo molte voci che ci dicono di avere la verità, di essere la verità. Troviamo persone che sanno tutto, che sembrano avere continuamente fax da Dio, che hanno una risposta per ogni interrogativo, che ci assicurano di avere ‘norme divine’ per ogni piccola cosa…

Il criterio per conoscere se vengono da Dio è sempre lo stesso: o annunci Lui e quindi sei disposto a sparire, oppure sei un millantatore che annuncia solo se stesso.

 

 

MERCOLEDI’ 3

Santa GENOVEFFA; San FIORENZO

Parola di Dio: 1Gv. 2,29 - 3,6; Sal.97; Gv.1,29-34

 

"GIOVANNI, VEDENDO GESU’ DISSE: ECCO L’AGNELLO DI DIO, ECCO COLUI CHE TOGLIE IL PECCATO DEL MONDO". (Gv. 1,29)

Seguiamo l’indicazione di Giovanni. Poniamo i nostri occhi, il cuore, le nostre attese e speranze in Colui che ci viene indicato, in Gesù di Nazaret.

Chi è Gesù?

Giovanni, alla fine di questo brano fa la sua professione di fede vedendo in Lui Colui che è stato segnato dallo Spirito Santo, che è stato designato per la nostra salvezza e che quindi è il Messia, Figlio di Dio, e ce lo indica con l’immagine dell’Agnello.

Nel mondo pastorale l’agnello è la ricchezza del pastore, il suo mezzo di sussistenza, lo scopo del suo agire.

Gesù, allora, è la pienezza della ricchezza di Dio che viene donata; in Lui confluiscono pienamente i doni che Dio aveva fatto precedentemente all’uomo. Gesù è la creatura nuova, cioè Colui che ricrea dal di dentro tutto il creato. Gesù porta a compimento la Legge: "Amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze vale tutta la Legge e i profeti". Gesù è la Parola totale e definitiva di Dio fatta carne. "In Lui ogni grazia", è la pienezza della donazione.

Ma, l’agnello, nel mondo ebraico, richiamava soprattutto l’agnello pasquale. Quell’agnello ucciso e mangiato per aver forza nel lungo viaggio verso la liberazione definitiva dalla prigionia e verso la terra promessa; quell’agnello il cui sangue aveva segnato gli stipiti delle porte delle case ebree evitando che l’Angelo della morte uccidesse i figli primogeniti.

Gesù è la nuova Pasqua, la liberazione definitiva, la costituzione del nuovo popolo di Dio.

L’agnello incaricato di togliere il peccato del mondo richiama poi anche la figura del capro espiatorio, quel capro che, una volta l’anno, veniva caricato di tutti i peccati di Israele e mandato a morire nel deserto per eliminare con la sua morte il male; e Gesù è venuto proprio per perdonare i peccati, anzi per eliminare il peccato.

C’è poi ancora un ultimo riferimento che troviamo anche presente nella nostra attuale mentalità: l’agnello è sempre stato considerato simbolo della semplicità e della mitezza.

In Gesù, alla potenza del peccato, Dio non contrappone la forza ma la mitezza e l’innocenza. Gesù non è il conquistatore, non è il potente, il violento, ma il mite ("Imparate da me che sono mite ed umile di cuore"), il non violento ("Riponi la spada perché chi di spada ferisce, di spada perisce") e il suo regno è per i piccoli, in quel regno chi comanda serve, chi perde guadagna.

L’agnello non ha pretese, non si mostra aggressivo, non minaccia, non possiede mezzi per farsi rispettare, eppure vince il male.

Spesso la Chiesa ha tuonato contro il male, lo ha bollato, codificato, qualche volta ha addirittura innalzato roghi contro il male reale o presunto che fosse. Ma facendo questo non ha vinto il male, lo ha solo fatto spostare sempre più a fondo nel cuore dell’umanità.

Gesù, il servo-agnello "Non griderà, né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce…" ma spiazzerà il male e lo allontanerà. Il male non può vivere davanti all’innocenza e davanti all’amore.

Anche la Chiesa, anche noi nella lotta quotidiana contro il male dovremmo davvero smetterla di urlare, di far finta di scandalizzarci, di creare nuovo male per combatterlo. L’unica strada per far sloggiare il male è la semplicità e l’amore, un amore che sa donare tutto come quello dell’Agnello innocente, muto, condotto al macello per dare la sua vita per noi.

 

 

GIOVEDI’ 4

Santa ELISABETTA SETON; B. ANGELA DA FOLIGNO; B. SECONDO POLLO

Parola di Dio: 1Gv. 3,7-10; Sal.97; Gv.1,35-42

 

"MAESTRO, DOVE ABITI?". (Gv. 1,38)

Giovanni aveva predetto di se stesso che avrebbe dovuto diminuire per lasciare innalzare il Messia e allora opera un altro taglio, forse molto doloroso ma pieno di fiducia e di amore e indica Gesù ai suoi discepoli perché lo seguano.

Infatti questo Gesù, "passa", non si ferma, non viene per discutere, per fare salotto, passa nella vita e, se sei troppo intento alle tue cose, rischi di non vederlo, di non accorgertene.

Solo quando avrai lasciato i tuoi ambienti familiari, quando avrai deciso di muovere i primi passi dietro a Lui, Egli sembra accorgersi di te e prenderti in considerazione: "Chi cercate?"

Infatti ci sono tante ricerche, alcune portano a trovare, altre sono già sbagliate in partenza. Pensiamo anche solo a quanto è successo nel Vangelo: questi discepoli cercano Gesù, si muovono dietro a Lui, lo troveranno con fatica ma poi rimarranno con Lui per sempre. Le folle cercheranno Gesù per farlo re perché avevano mangiato pane e pesce gratis, ma Gesù scapperà. La ricerca di Nicodemo lo porterà da Gesù di notte, e sarà una notte luminosa. I Giudei cercano Gesù per toglierlo di mezzo. Erode cerca Gesù per la curiosità dei vedere dei miracoli. Maria di Magdala cerca il corpo di Gesù risorto… E tu, per che cosa cerchi Gesù?

Se lo cerchi davvero, se hai già mosso i primi passi dietro a Lui, ecco allora la domanda: "Maestro, dove abiti?", cioè: dove cercarti? Dove trovarti?. Sì, abbiamo bisogno di sapere dove stai in questo mondo dove ci sembra fare quotidianamente l’esperienza della ‘assenza di Dio’ e della presenza virulenta del male in mille aspetti. Dovrò salire sulla montagna della ascesi, del misticismo, per incontrarti? Dovrò seppellirmi nei libri polverosi di chi ti ha cercato con la sua intelligenza?…

"Venite e vedrete!" No, come sempre, Gesù non dà risposte artefatte, ricette precostituite. L’unica cosa da fare è cominciare con semplicità, con gioia, con curiosità, con desiderio, ad andargli dietro, a ficcare il naso per vedere come si comporta, a vedere quale gente frequenta e le cose che dice. Con Gesù l’unica è rischiare di puntare tutto su di Lui. Allora poco per volta arriva la risposta alla domanda: "Dove abiti?": "Guardate i gigli del campo, gli uccelli del cielo…", "Il Figlio dell’uomo non ha neanche un sasso su cui riporre il capo", "Le mie parole sono parole di vita eterna…", "Ogni volta che avrete dato anche solo un bicchier d’acqua a uno di essi, voi l’avrete dato a me", "Chi ascolta voi, ascolta me", "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro", "Io avevo fame e mi hai dato da mangiare…", "Questo è il mio corpo… fate questo in memoria di me", "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi".

 

 

VENERDI’ 5

Santa AMELIA

Parola di Dio: 1Gv. 3,11-21; Sal 99; Gv.1,43-51

 

"NATANAELE ESCLAMO’: DA NAZARET PUO’ VENIRE QUALCOSA DI BUONO? FILIPPO GLI RISPOSE: VIENI E VEDI" . (Gv. 1,46)

Mi è sempre piaciuto leggere la chiamata di Natanaele dandogli questo titolo: "Anche un intellettuale o un teologo ha la speranza di poter diventare discepolo di Gesù.

Sì, perché in molti brani dei Vangeli, intellettuali, sapienti, teologi, religiosi sono proprio quelli che, non solo ci fanno figure grette e meschine, che non ci capiscono niente, ma che non riescono neppure a riconoscere Gesù perché troppo pieni di sé.

Natanaele è un Israelita ‘nato e fatto’. Ha studiato coscienziosamente la Bibbia, ha incasellato la sua aspettativa del Messia nelle categorie tipiche della Scrittura e dell’interpretazione rabbinica, sa che Egli deve venire da Betlemme, il paese di Davide. Qui gli si parla di uno che viene dalla Galilea (poco da fidarsi!) e da Nazaret (paese disprezzato dove non c’è cultura né teologia!).

Però Natanaele ha un pregio: davanti all’invito di Filippo, si alza, esce di casa, va a vedere. Questo è il primo passo, anche per un teologo, per un intellettuale, per un prete. E’ quello che ci aiuta ad uscire da noi stessi, che ci permette di fare esperienze nuove.

Dio non lo puoi incasellare. Non puoi chiuderlo in mezzo alle pagine di un libro di teologia; anche la Bibbia, che è un buon libro, non può dire tutto di Lui, non è un’enciclopedia si Dio o peggio le pagine gialle a cui l’uomo può ricorrere per ottenere un suo pronto intervento a seconda delle necessità del momento.. Anche la nostra intelligenza di creature è troppo piccola per poterlo contenere.

Il primo passo per avvicinarci a Dio è accorgerci che da soli non ci arriviamo ed è saper uscire di casa per andargli incontro.

Un secondo passo per non chiuderci a Dio è sapersi lasciar mettere in discussione. Natanaele, davanti a Gesù è disposto a ricominciare il suo cammino daccapo. Non si rintana nel suo sapere per cercare giustificazioni alle sue affermazioni, non si ferma a discussioni verbali, non si nasconde dietro alle parole, intuisce che la novità di Dio può cogliere all’improvviso in qualunque momento. Natanaele, nonostante l’ingombro del suo sapere, è ancora l’uomo del desiderio, della speranza, è ancora uno che sente sete, che è insoddisfatto e perciò aperto a cogliere le novità di Gesù.

Anche per noi, se non ci chiudiamo, se non pensiamo di sapere tutto sull’uomo e su Dio, se sentiamo ancora il desiderio di uscire all’aria aperta, se abbiamo il coraggio della novità, c’è ancora la possibilità di incontrare Cristo e di andargli dietro.

 

 

SABATO 6

EPIFANIA DEL SIGNORE; San GUERRINO DI SION

Parola di Dio: Is. 60,1-6; Sal. 71; Ef. 3,2-3.5-6; Mt. 2,1-12

Giornata mondiale della santa infanzia missionaria

 

1 ^ Lettura (Is. 60, 1-6)

Dal libro del profeta Isaia.

Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. A quella vista sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché le ricchezze del mare si riverseranno su di te, verranno a te i beni dei popoli. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.

 

2^ Lettura (Ef. 3, 2-3. 5-6)

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini.

Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro beneficio: come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero. Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo.

 

Vangelo (Mt. 2, 1-12)

Dal vangelo secondo Matteo.

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo". All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: "A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele. Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: "Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo". Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

 

RIFLESSIONE

 

Quella che celebriamo oggi è una della poche feste che ha mantenuto il suo nome originale, e, questo, tradotto dal greco significa: "manifestazione".

Questa festa che conclude le celebrazioni natalizie, le racchiude in un unico significato: Dio, attraverso Gesù si è manifestato nei suoi piani di salvezza a favore di tutti gli uomini.

Dio, attraverso i profeti, aveva preannunziato il suo progetto; attraverso i patriarchi ne aveva gettate le basi, ora, attraverso Gesù, "nella pienezza dei tempi", lo realizza.

E qual è il progetto di Dio? Che ogni uomo, attraverso il suo cammino di fede, e attraverso Gesù, possa ricevere il perdono di Dio e vedere il suo volto.

Allora diventa facile capire che la ‘storicità’ di questo racconto, come la intendiamo noi, ci interessa fino ad un certo punto: qui interessano soprattutto i segni, che diventano segnali per il nostro cammino.

Di fronte a Dio che si rivela quali sono gli atteggiamenti che caratterizzano la ricerca dell’uomo?

Nel brano di Vangelo odierno riusciamo a intravedere tre strade di ricerca di Gesù, Colui che si è manifestato.

Erode è uno che, a modo suo, ricerca Gesù: cerca Dio per eliminarlo.

C’è gente che parte per la sua ricerca col progetto di negare il divino. E non sono solo gli ‘atei’, ci sono molti credenti, pieni di se stessi, che non cercano Dio per quello che è ma solo per poterlo ridurre all’immagine che se ne sono fatta di Lui. Non siamo noi, creature, che entriamo nel progetto di Dio, è Dio che deve entrare nel nostro progetto.

Faccio qualche esempio. Se Dio c’è, in quella situazione, deve comportarsi nel modo che dico io, se no non è Dio; la religione ha costruito riti, forme di potere terreno, Dio deve adattarsi e lasciarsi trovare solo da chi sottostà a certi ordinamenti o compie certi riti; provate poi a pensare a certe preghiere dove non siamo noi a chiedere con umiltà a Dio ma dove usiamo degli imperativi: "Dammi, Fammi…"

Dio lo si può cercare per ucciderlo, eliminarlo, o anche per mistificarlo, ridurlo a nostro uso e consumo.

Ma Dio non si lascia ‘catturare’, si nega all’orgoglio di chi lo cerca in questo modo.

Ci sono altre persone che hanno la possibilità, per il loro ruolo, la loro cultura, i doni che sono stati loro fatti, di cercare e incontrare Gesù. I Sommi Sacerdoti e gli scribi posseggono la conoscenza delle Scritture, sono degli esperti nell’indagarle, conoscono le parole, le confrontano, le vivisezionano. Arrivano con la loro mente e con la loro scienza a indicare il posto giusto dove cercare Gesù, ma non si muovono di un passo per andare a cercarlo.

Proviamo a pensare a quante persone di questo tipo abbiamo incontrato nel cammino della nostra vita. Persone per bene, di alta cultura, che hanno avuto tante possibilità umane per conoscere, per farsi un posto onorato nel mondo e magari anche nella comunità cristiana, persone che hanno una risposta (a volte anche sensata) per ogni problema, che sanno anche vedere tutte le esigenze del cristianesimo, della evangelizzazione… ma che mandano sempre gli altri. Loro non si muovono, la loro parte l’hanno già fatta: hanno indicato la strada, hanno dato le norme morali, hanno scritto il documento, spiegato la mappa, hanno puntato il dito nell’unica direzione giusta, hanno salvaguardato la fede in uno che, però, è astratto come i loro ragionamenti, che non ha il volto d’uomo e tantomeno di piccolo bambino, ma è una delle pagine ingiallite dei loro libri.

E poi ci sono i magi che incarnano quel tipo di ricerca destinato ad un incontro.

Innanzitutto: Magi? Maghi? Re Magi? Mi piace quasi che non abbiano un’identità precisa, che non li si possa classificare in un’unica categoria di persone. Essi infatti rappresentano ogni uomo. Perché ogni uomo, semplice o culturalmente progredito, povero o ricco, debole o forte, ha dei doni particolari che gli sono stati dati e che, se usati bene, gli permettono di incontrare Colui che è venuto a salvare gli uomini.

Questi magi hanno usato le loro conoscenze, la loro scienza, i loro averi, il loro tempo, per incontrare Dio.

Non conoscevano la Bibbia, non appartenevano al popolo eletto, probabilmente avevano una religione o almeno delle credenze diverse da quelle del popolo ebraico, ma avevano un cuore disposto alla ricerca.

Dio, noi, lo cerchiamo davvero? Mi chiedo se dietro a certe riunioni di cristiani che somigliano ad assemblee di condominio dove si lotta per riuscire, ciascuno, a far passare le proprie idee, ci sia ancora Gesù. E certe Messe dove prete e laici non ci mettono un briciolo di gioia, di lode comune, di riconoscenza, sono ancora Eucaristie "culmine e fonte della vita cristiana", come ci ricordava il Concilio?

I magi sentono il desiderio di Dio, utilizzano i loro mezzi di ricerca, si fidano della loro "stella", ma soprattutto partono, si muovono, si danno dal fare al seguito di una speranza. Non sanno tutto, avranno incontrato pure persone, amici, familiari che li avranno considerati dei matti e avranno cercato di dissuaderli dal mettersi a seguire una stella; probabilmente, lungo il cammino avranno avuto anche dei momenti di dubbio, di buio, eppure sono andati avanti.

E chi non ne ha dei momenti di buio nella vita?

Gesù, nella sua umanità, non ha avuto forse dei momenti di paura fino a sudar sangue? O non ha forse provato la sensazione dell’abbandono quando ha gridato: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? E la Madonna e Giuseppe, quando non capivano? E Giovanni Battista, quando già in prigione manda a chiedere a Gesù: "Sei tu che devi venire o dobbiamo aspettarne un altro?" non ha forse avuto il suo momento di dubbio e di perplessità? E i santi non hanno mai avuto momenti di sbandamento? Non è il momento del dubbio, la mancanza temporanea di luce, l’aver magari anche perso il sentiero che rendono vano il cammino del vero ricercatore, perché questi sa sempre ripartire, perché anche gli errori possono servire, perché anche il chiedere aiuto a terzi ha il suo scopo per noi e per gli altri. E questi magi trovano. Prima la grandissima gioia nell’aver ritrovato "la stella" e poi la pienezza nell’aver trovato Gesù. Dio vuol farsi trovare. E’ venuto apposta per farsi trovare. Se tu lo cerchi, Lui ti cerca ancor prima. Lui non guarda le etichette, le culture, i colori diversi della pelle, Gesù guarda te e tu puoi vedere in Lui il volto del Padre. Ma in questa ricerca dei magi mi pare di cogliere ancora un ultimo segnale. Noi, quando giungiamo al termine di una ricerca, spesso pensiamo che il premio sia il possesso; i magi invece, quando sperimentano l’incontro con Gesù sentono prima e subito il bisogno di donare, e poi il loro possedere Gesù non diventa il tenerselo stretto, non è rimanere lì fino alla morte crogiolandosi il Figlio di Dio in solluccheri spirituali, ma è ritornarsene a casa loro portando con sé la gioia di questo incontro e quindi dando testimonianza agli altri di ciò che è accaduto.

La festa di oggi è considerata dalla Chiesa una festa missionaria perché attraverso questi pagani che vanno da Gesù viene appunto detto che Dio non è riserva di caccia di qualcuno, ma che è venuto per tutti. Ma a me piace vedere come missionari proprio questi tre viaggiatori della fede e della speranza che, dopo aver incontrato l’Amore incarnato, se lo portano dietro con gioia nel loro cammino quotidiano.

Il vero missionario non è colui che porta un’idea o iscrive a un gruppo religioso, è colui che cerca e che quando trova è talmente contento che in qualunque luogo si trovi, anche "nel suo paese", non può far a meno di far trapelare da sé la gioia di quell’incontro.

 

 

DOMENICA 7

BATTESIMO DI GESU’;  -  San RAIMONDO DE P.; San CARLO DA S.; San CRISPINO

Parola di Dio: Is. 40,1-5. 9 -11; Sal. 103; Tt. 2,11-14;3,4-7; Lc. 3,15-16.21-23

 

1^ Lettura (Is. 40, 1-5. 9-11)

Dal libro del profeta Isaia.

"Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati". Una voce grida: "Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato". Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annunzia alle città di Giuda: "Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, con il braccio egli detiene il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e i suoi trofei lo precedono. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri".

 

 

2^ Lettura (Tt. 2, 11-14; 3, 4-7)

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito.

Carissimo, è apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone. Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna.

 

Vangelo (Lc. 3, 15-16. 21-22)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: "Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile". Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella. Ma il tetrarca Erode, biasimato da lui a causa di Erodìade, moglie di suo fratello, e per tutte le scelleratezze che aveva commesso, aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni in prigione. Quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: "Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto".

 

RIFLESSIONE

 

Appena finite le feste che riguardano nascita e infanzia di Gesù, ecco che Gesù è già grande. Sono passati circa trent’anni.

I Vangeli, infatti, a parte qualche episodio (la fuga in Egitto, Gesù che si ferma dodicenne al Tempio a discutere con i dottori della legge) ci dicono solo che Gesù "era sottomesso ai suoi genitori" e che "cresceva in età, sapienza e grazia". Quasi come dire: "Niente di speciale, vita quotidiana normale".

A me piace enormemente questo periodo e di vita normale del Figlio di Dio sulla terra. Tre anni saranno dedicati alla predicazione e all’azione, ma trenta sono dedicati alla famiglia, alla formazione e al lavoro. Quella di Gesù è davvero una "incarnazione" non solo perché Dio è venuto sulla terra, ma perché Dio ha assunto davvero la nostra realtà, quella umile, banale, ma importante di ogni giorno della vita.

Dopo trent’anni di silenzio, ecco che la vita pubblica di Gesù inizia con un altro gesto di umiltà.

Lui, il figlio di Dio, senza peccato, si mette in fila con i peccatori per andare a ricevere il Battesimo di penitenza di Giovanni.

Per capire meglio chiediamoci in che cosa consisteva questo Battesimo a cui Giovanni invitava.

Tutta la predicazione di Giovanni era incentrata sulla prossima venuta del Messia, a questa bisognava prepararsi attraverso il ravvedimento da un comportamento di peccato e una conversione del cuore.

Giovanni per realizzare visivamente questa conversione sceglie un segno semplice, comune a quasi tutte le religioni (pensate all’ancora attuale bagno nel Gange degli induisti), quello di manifestare il proprio rinnovamento attraverso un bagno: ci si lava dal peccato, si riemerge puliti, purificati, rinnovati, pronti ad accogliere la novità del Messia.

Ma, durante il battesimo di Gesù avviene un cambiamento totale in questo rituale.

Gesù non aveva bisogno di chiedere perdono per i propri peccati, ma non sarà andato a farsi battezzare per i nostri, Lui che se li caricherà tutti sulle sue spalle e li inchioderà sulla croce? Gesù non aveva bisogno di prepararsi per la venuta del Messia, è invece Lui che in questo momento viene incaricato davanti al popolo della missione di Messia e questo incarico gli viene affidato nientemeno che dal Padre ("Il cielo si aprì", "La voce disse") nella forza dello Spirito Santo.

Il battesimo di Gesù diventa allora un incarico affidato e un incarico accolto. Infatti da questo momento in poi Gesù comincerà la predicazione del Regno

Pesando a questo non possiamo fare a meno di fermare la nostra attenzione anche sul nostro Battesimo.

Recuperiamone i vari significati: è un gesto di richiesta di perdono (purificazione dal peccato),un atto di fede in Cristo (rinascita attraverso lo Spirito Santo),una adesione a Lui (lasciarci illuminare, rivestirci di Cristo),un inserimento nel corpo dei credenti (entrare nella Chiesa),un affidamento della missionarietà cristiana.

Il nostro 90, 95 per cento di battezzati cattolici ha proprio capito tutte queste cose e le sta vivendo e manifestando? Di questo 90 per cento il 10, 15 per cento frequenta la celebrazione domenicale e molti solo per abitudine o per paura; le nostre carceri sono piene di persone battezzate; siamo in una nazione piena di chiese ma con milioni di persone che sono sotto il livello vitale minimo…Dunque c’è qualcosa che non ha funzionato.

Sarà lo Spirito Santo che non soffia più o non saremo noi che siamo stati battezzati cristiani prima ancora di essere battezzati uomini? E non parlo solo del battesimo dei bambini che in una società che fosse davvero cristiana manterrebbe il suo significato, ma parlo del disinteresse religioso o dell’aver confinato la fede esclusivamente nel rituale. Proviamo a guardarci intorno: più o meno quasi tutti si dicono credenti, ma sotto questa parola noi troviamo: credenti in Dio, panteisti, superstiziosi… un grandissimo numero si definisce cattolico, ma anche qui trovi battezzati non praticanti, gente che rispolvera la religione solo in determinate occasioni, impegnati nel sociale, fedeli legalmente osservanti e poi, meno male, trovi anche dei santi.

Ma guardiamo anche a noi: Non è forse vero che in tante cose siamo ‘ignoranti’? La Sacra Scrittura la conosciamo poco, i nostri insegnamenti catechistici spesso si sono fermati alle poche nozioni ricevute quando eravamo bambini, spesso preferiamo essere succubi incoscienti di riti che altri fanno a nostro nome, deleghiamo volentieri la missionarietà agli altri. Vedete, non è lo Spirito Santo che non soffia più, siamo noi che abbiamo sclerotizzato fede e religione.

Prima di tutto la fede. Ma crediamo davvero che ci sia Qualcuno di importante nella nostra vita? Importante almeno quanto i nostri affari, i nostri affetti? Diamo da mangiare al nostro corpo e lo curiamo perché sia sempre al meglio, ma come curiamo e alimentiamo la fede? Spesso è asfittica. C’è, ma è in coma profondo, è addormentata nelle abitudini, non è più una ricerca fatta per amore, un incontro gioioso, una fantasia di rapporto. Spesso, poi, non si traduce in vita concreta.

E il religioso? Peggio ancora. Molte volte ha codificato tutto in norme (che poi bellamente trova il modo di eludere) o in gesti rituale che col passar del tempo hanno perso il loro significato. Siamo battezzati, ricordiamocelo. Fin da allora la nostra fede è in Gesù Cristo Figlio di Dio, e questa fede l’abbiamo rinnovata nella Cresima e negli altri Sacramenti e anche solo verbalmente la professiamo ogni domenica recitando il Credo Come posso credere in Gesù che mi rivela il Padre, come posso rivestirmi di Lui se non lo conosco, se dico di non aver tempo neanche di leggere e di meditare due righe di Vangelo al giorno? Nel nostro Battesimo, poi, abbiamo ricevuto un incarico, come Gesù; siamo stati "unti dallo Spirito Santo" per essere testimoni di Cristo sulla terra. Mi chiedo: chi mi vede in casa, in ufficio, in tram, alla partita, in macchina, in chiesa, riesce a vedere in me un cristiano? Sento la gioia e il desiderio di mostrare Cristo? Mi impegno nelle opere di amore che Gesù mi ha insegnato ed affidato? Gesù, dopo il Battesimo si lascerà guidare dallo Spirito santo, il quale lo porterà prima nella durezza e austerità del deserto, nella preghiera profonda, nella lotta contro le tentazioni, e poi lo guiderà nella vita pubblica, nella predicazione; lo condurrà anche a Gerusalemme a dare la vita per noi sulla croce, prima di farlo risorgere per sempre. Come per Lui, anche per noi, il Battesimo non è, allora, la garanzia che nella vita tutto andrà bene, ma se davvero lo rinnoviamo ogni giorno affidandoci allo Spirito santo, Egli ci insegnerà a rivestirci di Cristo, a pregare, a lottare, agire come Lui, per donare tutto, come Lui e per essere sicuri di arrivare anche noi dove Lui è.

 

LUNEDI’ 8

San SEVERINO; San LUCIANO

Parola di Dio: Eb. 1,1-6; Sal. 96; Mc. 1,14-20

 

"GESU’ DICEVA: IL TEMPO E’ COMPIUTO, E IL REGNO DI DIO E’ VICINO, CONVERTITEVI E CREDETE AL VANGELO" . (Mc. 1,15)

Giovanni aveva imperniato tutta la sua predicazione circa la preparazione alla venuta del Messia, su un atteggiamento interiore: "Convertitevi", e Gesù inizia la sua predicazione del Regno partendo proprio di lì: "Convertitevi!". Il Regno è un piccolo seme, il Regno non violenta nessuno, c’è una porta stretta, una via difficile per accedervi, se sei distratto il Regno ti passa vicino e tu non te ne accorgi, se sei pieno di cose di questa terra e pensi che la tua soddisfazione venga da esse, certamente non cerchi altro; se pensi religiosamente di essere già ‘a posto’ il Regno di Gesù non ti interessa, perché sei convinto di possederlo già per conto tuo.

Convertirsi, allora, non è tanto dire: "Non commetto più questo peccato", ma: "Ho bisogno di Dio", "Sono insoddisfatto, sento il bisogno di cambiare, di trovare qualcosa o qualcuno che rinnovi la mia speranza", "Non mi basta più una religione di norme e di riti, voglio davvero andare dietro a Gesù".

La conversione che Gesù chiede è proprio questa: scoprire una Persona, andare dietro a Lui.

Diventa allora facile capire che la predicazione di Gesù riguarda direttamente noi.

Il Regno di Gesù non è una forma di potere con un re che comanda, non è un territorio definito dove ognuno ha la sua parte, non è un codice di norme, è una Persona, è Gesù. E per accoglierlo, bisogna convertirsi, cioè lasciare qualcosa, svuotarsi del superfluo, cambiare strada, alzarsi dalla poltrona e mettersi in cammino.

Ci può perfino sembrare paradossale la chiamata dei primi apostoli, così come l’abbiamo letta nel Vangelo di oggi: Gesù passa e dice: "Seguitemi", ed essi, lasciate le reti, lo seguirono. Non sappiamo se le cose sono avvenute esattamente con questa immediatezza o se sono frutto di una scelta più ponderata. L’unica cosa certa è che c’è un invito e una conversione che fa loro lasciare qualcosa e li fa mettere alla sequela del Maestro.

Se speri ancora qualcosa, se sei convinto di non essere completamente come Dio ti vuole, se sei alla ricerca del senso profondo della vita e del mondo, allora fai bene attenzione perché "oggi" Gesù passerà nella tua vita e si proporrà come Persona. Sta a te, a me, decidere se lasciare qualcosa e seguirlo.

 

 

MARTEDI’ 9

San GIULIANO; San BASILISSA

Parola di Dio: Eb. 2,5-12;Sal. 8; Mc. 1,21-28

 

"GESU’ ENTRATO PROPRIO DI SABATO NELLA SINAGOGA, SI MISE AD INSEGNARE". 

(Mc. 1,21)

In questa prima manifestazione di Gesù alla gente possiamo riscoprire le caratteristiche che dovrebbe assumere ogni predicazione e testimonianza cristiana.

Gesù inizia la sua predicazione dalla sinagoga e nel giorno consacrato a Dio che era il sabato, in seguito predicherà ovunque, ma l’inizio è nella tradizione. Gesù è la continuazione e il completamento delle Scritture. Tutto ciò che è prima di Lui non è da buttare.

Gesù parla con autorità. Non è semplicemente un lettore, un ripetitore. E’ la Parola e questa Parola è come "spada tagliente che lascia una ferita". Le sue non sono chiacchiere religiose o morali, sono una parola unica e definitiva.

Gesù con la sua parola e la sua persona è opposizione a tutto ciò che è male. Il Male si scopre davanti a Lui, si sente toccato e si ribella. E, notiamolo, contemporaneamente il male non può fare a meno di riconoscere pubblicamente chi sia Gesù.

Le parole di Gesù sono talmente forti che vincono il male e lo cacciano.

Il timore e lo stupore sono il primo terreno adatto per poter arrivare all’accoglienza di Gesù.

Un buon testimone di Gesù (e ciascuno di noi dovrebbe esserlo) dovrebbe avere o tentare di avere i suoi stessi atteggiamenti e le sue stesse caratteristiche.

Cominciamo dalla nostra realtà: è inutile che io sogni chissà quali missioni se non so cominciare da casa mia. Certa gente che dice di essere testimone in tanti gruppi, impegnata in tante attività, la voglio vedere prima in casa propria, con i propri genitori o figli, prima nel ‘buco’ non gratificante della propria parrocchia e poi, allora, crederò anche alle altre opere.

E cominciamo anche dalle cose limitate, che devono trovare compimento come, ad esempio, la messa domenicale, magari non bella come una messa di gruppo, la fatica della testimonianza incompresa nel proprio posto di lavoro, la pazienza che devi mettere la ventesima volta con il tuo vicino di casa.

La Parola di Dio, poi, non è una parola da salotto, è Gesù Cristo; non è la parola del "buon senso", della diplomazia, degli equilibri. E’ la parola decisa, misericordiosa, liberante, seria, impegnativa, e noi dobbiamo essere segno concreto di questa parola. La nostra vita dovrebbe rifletterla, le nostre scelte manifestarla. A volte le parole sono perfino superflue a testimoniare la Parola, il viverla è sempre necessario.

Se è così non c’è bisogno di andare a caccia del male, è il male stesso che, riconoscendo Gesù, si manifesta, ne ha paura, ne può essere esorcizzato. Il Cristiano non è tanto colui che vede il male (negli altri), è colui che se ha Gesù, fa sì che il male emerga e con la stessa forza di Gesù possa essere combattuto.

 

 

MERCOLEDI’ 10

Sant’ALDO; San DOMIZIANO

Parola di Dio: Eb. 2,14-18; Sal. 104; Mc. 1,29-39

 

"E, USCITI DALLA SINAGOGA, SI RECARONO SUBITO IN CASA DI SIMONE". (Mc. 1,29)

Mi è sempre piaciuto questo brano di Vangelo in cui Marco cerca di sintetizzare una giornata tipo della vita di Gesù. Proviamo a ripercorrerla pensando anche allo svolgersi normale delle nostre giornate.

Marco ha scelto il tempo tra un sabato e il primo giorno feriale della settimana (per noi domenica e lunedì).

La giornata di Gesù comincia con la santificazione del giorno del Signore, alla preghiera della sinagoga. Già ieri dicevamo che Gesù parte proprio da quello che c’è. Anche la manifestazione esteriore della religiosità ha il suo valore. Alla sinagoga Gesù prega come ogni buon ebreo, santifica la festa, approfondisce la Parola, fa memoria dei doni di Dio.

E noi sentiamo davvero il bisogno di ‘santificare la festa’? Sentiamo il bisogno gioioso di celebrare l’Eucarestia insieme ai fratelli, di ricevere il pane della vita e di confrontarci con la parola di Dio?

Poi Gesù continua a santificare la festa nella gioia familiare. Gesù va a casa di Simone, accetta un buon pranzo, partecipa ai problemi della famiglia, guarisce la suocera di Pietro che si mette a servirli.

Noi, presi dal lavoro e dagli impegni settimanali, sappiamo "riposare", la domenica? Quanto tempo dedichiamo alla famiglia? Riusciamo a parlare tra familiari?

Alla sera (per il mondo ebraico il calar del sole pone fine al sabato e dà inizio alla nuova settimana), ecco l’accoglienza di tutti. Gesù, cioè, predica il Regno con parole e con gesti di guarigione.

E noi ci sentiamo impegnati a portare la nostra testimonianza con parole e fatti nel nostro feriale quotidiano?

Ma Gesù sente anche l’estremo bisogno di comunione con il Padre, ed ecco che, se non riesce a trovare gli spazi e i tempi per la preghiera nel tanto da fare quotidiano, se li ritaglia come in questo caso alzandosi presto al mattino e cercandosi il suo spazio di deserto con Dio.

Anche noi, qualche volta diciamo: "Non ho tempo!" Può essere vero che abbiamo mille cose da fare, ma il tempo per truccarsi lo troviamo, il tempo per la ginnastica sciogli pancia lo troviamo come troviamo anche il tempo per giocare con il computer… e per la preghiera?

Gesù coniuga molto bene contemplazione e azione: sono come due gambe per camminare e vanno lunghe uguali per non zoppicare. Se non sono carico di Dio, le cose della vita mi subissano, se cerco la volontà di Dio, sono ancora io a dare un senso al mio agire.

 

 

GIOVEDI’ 11

Sant’IGINO; San LEUCIO

Parola di Dio: Eb. 3,7-14; Sal. 94; Mc. 1,40-45

 

"MOSSO A COMPASSIONE DAVANTI AL LEBBROSO, GESU’ STESE LA MANO E LO TOCCO’" . (Mc. 1,41)

Quando noi usiamo frasi come: "Dio ci ha preso per mano", spesso riusciamo a cogliere un senso di intimità, ma forse non comprendiamo fino in fondo che cosa voglia dire. Il Vangelo di oggi, attraverso la figura di Gesù che tocca il lebbroso per guarirlo, ci indica il significato profondo di Dio che attraverso Gesù "ci prende per mano".

Il lebbroso era, per il tempo di Gesù, il culmine del senso dell’emarginazione. La Bibbia stessa, nel libro del Levitico, ha delle norme precise e molto vessatorie nei confronti dei lebbrosi. La lebbra faceva paura, era intesa come castigo e maledizione, toglieva ogni possibilità di rapporto civile e religioso. Toccare un lebbroso significava "diventare lebbroso", cioè incorrere in tutte quelle norme che riguardavano chi la malattia l’aveva davvero.

Gesù per guarire il lebbroso, lo tocca, cioè si rende impuro, si contagia: ecco che cosa significa: "Dio in Gesù ci dà la mano".

La mano di Gesù non è la mano benedicente, asettica, lontana, è la mano di chi si è fatto peccato per noi; l’Agnello di Dio toglie il peccato del mondo perché se lo carica Lui sulle spalle. Il Corpo di Cristo inchiodato sulla croce ha inchiodato lì sopra il nostro peccato. Si è offerto Lui per noi.

Dare la mano dunque significa questo: servire, compromettersi, aiutare. Simone di Cirene dà una mano a Gesù non quando gli dice: "Poveretto!", ma quando, prendendo sulle sue spalle la sua croce ne sente tutto il peso e così allevia l’altro.

Mi hanno sempre dato fastidio quelle riunioni di "benpensanti" che parlano di carità. Si definisce il concetto di carità, si stabilisce chi siano i poveri degni di essere aiutati; si stabiliscono cifre di soldi che altri hanno dato… Ammiro di più chi si sporca le mani. Nell’alluvione dello scorso anno, in Piemonte, abbiamo visto molti soffrire, abbiamo sentito molti parlare e poi abbiamo veramente ammirato persone che si sono messe a disposizione, che hanno spalato in silenzio la melma: chi tra questi ha dato una mano? Ama di più chi sceglie la legge o chi sceglie l’amore? Ama di più una Chiesa di "puri", fedeli alle norme o quella di persone che accolgono, condividono, incoraggiano? E’ più fedele il confessore che a norma di codici, per salvaguardare l’ortodossia, nega l’assoluzione o colui che, con fatica, si fa carico di una sofferenza del penitente e con lui e con la forza della misericordia di Dio cerca una strada magari difficile ma che non uccide la speranza dell’uomo?

 

 

VENERDI’ 12

San MODESTO; Santa CESIRA; Sant’ARCADIO

Parola di Dio: Eb. 4,1-5.11; Sal. 77; Mc.2,1-12

 

"SI RECARONO DA LUI CON UN PARALITICO PORTATO DA QUATTRO PERSONE".(Mc. 2,3)

L’episodio narrato nel Vangelo di oggi è talmente ricco di insegnamenti che, anche solo ad accennarli, si rischia di dimenticare cose importanti.

C’è un paralitico, cioè una persona inabile, incapace di gestirsi da sola. La testa c’è, il ragionamento è chiaro, la volontà anche, ma non può muoversi. E’ come uno che rischia di morire di sete nel deserto a due passi da un’oasi e da un pozzo di acqua fresca, solo perché non riesce più a muovere le gambe.

Questo paralitico conosce la sua miseria ma ha sentito parlare di Gesù, del suo perdono, dei suoi miracoli e dentro si sé è sicuro di poter essere guarito… ma, come fare ad andare da Gesù se le sue gambe si rifiutano di portarlo?

Quest’uomo ha però la fortuna di avere quattro amici, di quelli veri, non dei compagni di viaggio solo interessati alle proprie mete che passano il tempo chiacchierando, non di quelli che, davanti alle tue pene ti guardano con commiserazione e ti dicono : "Poverino" e poi tirano dritto pensando: "Meno male che non è capitata a me", non intellettuali che cercano con parole di spiegare il male degli altri ma che se ti dovessero dare un’ora del loro tempo per un servizio sono già troppo impegnati e presi da mille cose.

Gli amici del paralitico sono persone disponibili, sono persone che sanno rischiare sull’idea del loro amico, sono persone che muovono poco la lingua ma sanno utilizzare bene le gambe e le braccia, sono uomini che non si scoraggiano davanti alle difficoltà, che sanno aguzzare il cervello e che, quando la porta è chiusa entrano dalla finestra.

E Gesù, senza che ci sia una professione di fede verbale, capisce che la fede di quei cinque è talmente grande che li ripaga con la stessa grandezza. Prima ancora del miracolo materiale dona a quell’uomo il miracolo più importante, quello del perdono, prima di interessarsi a gambe impedite, si interessa all’uomo chiuso in se stesso, incapace di accostarsi a Dio, e lo perdona.

Penso sia facile capire che quel paralitico siamo noi impediti dal nostro peccato di arrivare a Dio. Ma se guardiamo bene, anche noi abbiamo "amici" disposti a portarci a Gesù. Forse sulla terra sono rari ma ci sono certamente in cielo: Maria ci vuole bene, i santi desiderano la nostra salvezza, gli angeli sono ansiosi di aiutarci e i nostri defunti intercedono per noi davanti al Signore. Se abbiamo fede essi ci portano a Dio davanti al quale non c’è bisogno di parlare per chiedere questo o quello, ma davanti al quale basta presentarsi con la nostra miseria ma con fiducia nella sua misericordia e allora Lui non solo si interesserà alle nostre gambe indurite, ma si interesserà soprattutto a liberare il cuore dalla sua durezza e dagli impedimenti che non gli permettono di amare e anche a noi con verità potrà dire: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati".

 

 

SABATO 13

Sant’ILARIO

Parola di Dio: Eb. 4,12-16; Sal. 18; Mc. 2,13-17

 

"ALLORA GLI SCRIBI DELLA SETTA DEI FARISEI DICEVANO AI DISCEPOLI: COME MAI EGLI MANGIA E BEVE IN COMPAGNIA DEI PUBBLICANI E DEI PECCATORI?". (Mc. 2,16)

Fin da questi primi capitoli del Vangelo di Marco risulta chiaro lo scontro tra Gesù e i farisei, gli scribi, i sommi sacerdoti, insomma contro i rappresentanti della religione ufficiale. Scontro che culminerà nel fatto che saranno proprio questi a voler Gesù crocifisso. Innanzitutto sfatiamo un troppo facile e qualunquistico dividere il mondo tra buoni e cattivi, pensiero molto lontano dalla mentalità evangelica. I farisei non erano ‘i cattivi‘. La loro dottrina era valida, legata alla Parola di Dio, essi erano coloro che avevano conservato la fedeltà al Dio dell’Antico Testamento. Erano loro che alimentavano la speranza messianica e il centro più vivo della pietà ebraica. Come mai, allora, Gesù è così duro nei loro confronti? E anche se davvero fossero peccatori, falsi, cattivi, Gesù non dice di essere venuto proprio per coloro che sono così? Il guaio non sta in Gesù. Egli non fa preferenza di persona, va verso tutti, ma al suo richiamo si aprono solo quelli che l’esperienza della debolezza ha reso consapevoli del bisogno del perdono. L’orgoglio, la superbia, la presunzione del sapere religioso, l’ipocrisia, l’arroganza del potere ha reso queste persone impermeabili a Dio. Il Cristianesimo è compatibile con il peccato e la debolezza purchè essi siano confessati, combattuti, respinti, ma è incompatibile con l’orgoglio anche se poggia su verità e valori incontestabili. Qui ci troviamo davanti al rifiuto di ricevere. Queste persone di ieri e di oggi sono ricche della loro scienza, della legge, della teologia, persino delle loro opere e della loro pietà, ma si chiudono al perdono di Dio perché pensano di non averne bisogno. Per questo Gesù è così duro nei loro confronti e dirà: "Le prostitute e i peccatori vi precederanno nel Regno dei cieli". E’ così anche per noi: se ti senti povero nelle mani di Dio Egli ti farà ricco del suo perdono, delle sue grazie non perché poi tu ti inorgoglisca, ma perché impari a lodare e, a tua volta a donare con altrettanta misericordia e gratuità.

 

 

DOMENICA 14

2^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)  -  San FELICE DA NOLA; San MALACHIA;

Parola di Dio: Is. 62,1-5; Sal. 95; 1Cor. 12,4-11; Gv. 2,1-12

 

1^ Lettura (Is. 62, 1-5)

Dal libro del profeta Isaia.

Per amore di Dio non mi terrò in silenzio, per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; ti si chiamerà con un nome nuovo che la bocca del Signore indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma tu sarai chiamata Mio compiacimento e la tua terra, Sposata, perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.

 

2^ Lettura (1 Cor. 12, 4-11)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.

 

Vangelo (Gv. 2, 1-12)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno più vino". E Gesù rispose: "Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora". La madre dice ai servi: "Fate quello che vi dirà". Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: "Riempite d'acqua le giare"; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: "Ora attingete e portatene al maestro di tavola". Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: "Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono". Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni.

 

RIFLESSIONE

 

Domenica scorsa, ricordando il Battesimo di Gesù, abbiamo visto che in virtù della missione affidatagli, comincia da quel momento per Lui la sua manifestazione pubblica. Il Vangelo di oggi, poi, ci indica un’altra epifania (il termine vuol proprio dire: manifestazione) del Messia attraverso il suo primo miracolo a Cana di Galilea.

Per non correre il rischio di fare chiacchiere vane o di banalizzare questo miracolo di circa seicento litri di vino regalati quasi di nascosto ad una banda di bevitori che avevano già dato fondo a quello predisposto e che quindi dovevano essere ‘buone spugne, dobbiamo porre alcune attenzioni.

Il racconto lo abbiamo trovato nel Vangelo di Giovanni che non ha come scopo di raccontare per filo e per segno tutta la storia di Gesù, ma che attraverso parole e segni vuol farci capire chi sia Gesù affinché noi possiamo seguirlo.

Dunque partiamo proprio dal fatto che Giovanni dice: "Questo è il primo miracolo di Gesù"

Come sempre noi ci saremmo aspettati qualcosa di diverso. Ad esempio: una bella guarigione nel mezzo di una grande e seria celebrazione nell’imponenza del Tempio di Gerusalemme non avrebbe avuto più eco che non il vino di Cana? Oppure un bella risurrezione di un pezzo grosso alla cui sepoltura ci fosse stato tutto il mondo bene dei vip della politica, della religione e dell’economia, non avrebbe "portato via il pezzo"?

E, invece, Gesù comincia da un banchetto di nozze.

Ha appena chiamato i primi apostoli, ha detto loro: "Se volte conoscermi, venite e vedrete" e invece di portarli a fare un bel ritiro spirituale, invece di pretendere penitenze purificatrici, li porta ad una festa di nozze, ad una specie di festa contadina, paesana, anche un po’ ‘grassoccia’ che era capace di protrarsi, tra mangiate e bevute, anche per una settimana. E, notate, a questa festa c’è anche Maria, la tutta santa e la tutta pura! Per bacchettoni e benpensanti c’è da scandalizzarsi!

E invece no! La risposta è semplicissima.

Gesù, che cosa è venuto ad annunciare?

La Buona novella, il gioioso annuncio, la gioia che viene dal sapere che Dio ti perdona, è con te.

E, dove meglio che ad un matrimonio può essere annunciato questo quando già quello che si celebra lì è l'amore, la gioia, la nuova famiglia, l'apertura alla vita?

Che cosa c'è di meglio di un matrimonio per capire che lo Sposo, Gesù, il promesso, è venuto per far felice la sposa, noi?

Credo che una delle colpe comunitarie di cui ci sarà chiesto conto sia proprio quella di non aver saputo gioire, dell’aver voluto dare troppa ‘seriosità’ ai nostri incontri di cristiani e alle nostre celebrazioni con l’unico risultato di averle rese noiose, ipocrite e senza un minimo di attrattiva. E così Dio è diventato l’esattore delle tasse, il carabiniere, il tutore della pubblica morale, il padrone esigente, il fuochista dell’inferno.

No! Dio è il Padre buono e misericordioso che ha mandato suo Figlio Gesù, lo Sposo della nostra povera umanità. Il vino abbondante è il suo sangue versato per noi, nel quale sono stati lavati i nostri peccati. E’ Colui che ci inebria del suo amore, è Colui che ci fa fare esperienza vera di libertà: non si può stare davanti a questi doni, a questa festa di nozze senza gioire!

Il cristiano che non sa gioire non è cristiano, ma solo uno che subisce una religione per morti e per moribondi.

Un’altra osservazione che credenti bacchettoni fanno a questo primo miracolo di Gesù è dire che esso sia un miracolo ’superfluo’: "Ci sta bene la moltiplicazione dei pani e dei pesci per quei cinquemila affamati nel deserto, ci starebbe ancor più bene una moltiplicazione di pane per tutti gli affamati della terra così, tra l’altro, ci toglieremo pure dagli occhi quelle orribili fotografie e immagini che ci mostrano i morenti per fame e che ci danno fastidio, specialmente mentre mangiamo… ma, cambiare acqua in vino!"

Gesù, abbondanza di Dio, fa cadere anche questa stupida distinzione tra necessario e superfluo.

La salvezza di Cristo riguarda l’uomo intero e si colloca nella prospettiva della più assoluta gratuità.

Quindi anche il nostro amore per il prossimo, la carità cristiana, dovrebbe far saltare quella opposizione tra superfluo e necessario.

Il cristiano non si accontenta di atti di giustizia distributiva secondo le logiche dell’economia, del necessario, degli affari, deve andare oltre, deve assicurare "vino superfluo" senza il quale verrebbe a mancare la gioia.

Anche il superfluo, a volte, è indispensabile.

Quante volte ho visto poveri più contenti di aver trovato qualcuno con cui parlare, sfogarsi, che non per il necessario nel sacchetto dei viveri loro donato.

A volte serve di più il sorriso con cui dai che non quello che dai. Il tuo tempo donato ha lo stesso valore, se non maggiore del panino offerto. Una carità sciatta e burocratica che si .limita al dovere che è fatta di calcoli al bilancino è l’opposto dell’amore.

Il povero richiede dignità prima ancora che compassione.

Non si tratta solo di rispondere alle attese ma di arrivare, con fantasia ed amore, all’uomo intero.

Un altro particolare: chi è che si accorge che c’è qualcosa che può disturbare la festa?

Solo una mamma vera può avere occhi per cogliere impercettibili segnali e per tradurli subito in aiuto concreto.

Maria, prima ancora che il Figlio glielo dica chiaramente dalla croce, è già Madre attenta a tutte le necessità.

Lo abbiamo sperimentato tante volte: anche nella migliore delle feste può esserci in agguato l’infelicità; basta un nonnulla, un particolare insignificante per rovinare tutto.

Maria si accorge che il vino è quasi finito e lo fa notare al Figlio a costo di prendersi una risposta a parole decisamente aspra.

Notate, Maria sembra quasi non chiedere. Dice, annota, rende chiaro e poi… quasi non ascolta la risposta. Talmente è sicura di ottenere che va dai servi e dice loro: "Fate quello che vi dirà".

Ecco, il miracolo può avvenire se facciamo quello che Egli ci dirà.

Se ascolti il suo invito a gioire di tutte le cose buone che Dio ti ha dato senza, però, volerle possedere, allora sperimenterai la gioia piena di essere libero e di godere di tutto, condividendolo.

Se ascolti il suo invito al perdono, ti scarichi di quel peso opprimente che è il rancore, trovi nuovo vigore per lottare contro il male dando però anche al malvagio una possibilità di conversione.

Se fai come ti dirà avrai anche il coraggio di andare a mettere acqua dentro a delle giare che avrebbero dovuto contenere vino nella speranza di poter poi attingere vino.

Se ascolti ciò che ti dirà, ti fiderai più della Provvidenza di Dio che dei conti in banca, continuerai ad avere fiducia nell’uomo anche in mezzo ai disastri che l’uomo ha combinato e sta combinando.

Se farai come Lui ti dirà, potrai anche sorridere delle cose serie per renderle umane e accettabili e la tua religione non sarà più macchinale, costrittiva, ripetitiva, ma gioiosa, libere e liberante.

Ecco il segreto che oggi Maria ci affida: il tuo Sposo è qui per farti felice, affidati a Lui, fagli sapere come stanno le cose, quali sono le difficoltà o le nubi che sembrano addensarsi sulla festa, ma poi, fa’ quello che ti dirà e allora anche l’acqua diventerà vino e, necessario e superfluo esauditi abbondantemente, faranno la tua gioia che, compartecipata ad altri, potrà allargarsi a macchia d’olio per aiutare l’umanità a capire che Cristo , lo Sposo, è venuto per la nostra festa.

 

 

LUNEDI’ 15

San PAOLO EREMITA; Sant’ EFISIO; San MAURO;

Parola di Dio: Eb. 5,1-10; Sal. 109; Mc. 2,18-22

 

"PERCHÉ I DISCEPOLI DI GIOVANNI DIGIUNANO MENTRE I TUOI DISCEPOLI NON DIGIUNANO? . (Mc. 2,18)

Anche nel Vangelo di oggi troviamo un contrasto tra due forme di religiosità: quella dei digiuni e quella della gioia.

Il digiuno, da sempre, è stato segno di rinuncia a un qualcosa o per riconoscere la propria colpa e quindi chiedere perdono, o per offrire un sacrificio alla divinità.

Ma da sempre questo gesto si è prestato e si presta all’ambiguità. Dio che ci ha dato tutte le cose gioirà quando noi rinunciamo ad esse? Se il mio digiunare mi inasprisce soltanto, giova al mio rapporto con il prossimo? Se il frutto del mio digiuno non serve a dar da mangiare a qualcuno che ha veramente fame, ma serve ad incrementare la mia avarizia, può essere davvero utile? Dio dovrà sentirsi obbligato nei miei confronti solo perché ho dimostrato a me stesso di saper contenere la mia gola? Dio farà poi proprio caso a digiuni anche di quaranta giorni con relative abboffate notturne (vedi Ramadan) o ad astinenze preferendo chi mangia pesce a chi mangia carne?

Come sempre la religione delle cose non solo non è gradita a Gesù ma, se si ferma ad esse, è aborrita da Gesù che ama invece la risposta gioiosa del cuore.

La venuta del Cristo cambia radicalmente tutto: "Non si può cucire un panno grezzo su un vestito vecchio", cioè, se davvero hai accolto Cristo, deve cambiare tutto dal di dentro.

Sento però già un’obiezione: " Ma perché, allora, la Madonna, in tutte le sue apparizioni, chiede sempre preghiera e penitenza, perché invita a fare digiuni?".

Rispondo: Anche Gesù, prima di iniziare la sua vita pubblica ha fatto un digiuno di quaranta giorni (dove il quaranta può essere simbolico o reale, non cambia nulla). Il fatto prorompente della venuta di Gesù non significa che l’uomo debba buttar via tutto quello che aveva prima, significa invece che Cristo può dare un significato nuovo a tutte le cose.

Il digiuno del cristiano prima di tutto non è un obbligo, non viene fatto né per farsi vedere, né per dirsi: "quanto sono bravo!", non è disprezzo dei doni di Dio, non deve essere mai tristezza, non è merce per la compravendita di grazie, non è mai fine a se stesso… E che cosa può essere? E’ un riconoscere che Dio è ben più importante del cibo ("Non di solo pane vive l’uomo"), è un piccolo ma doveroso tentativo di ridistribuzione sia del cibo che della fame, un rendere il cuore più libero e quindi più capace di offrirsi a Dio e ai fratelli. Ma se nel fare questo non hai la gioia della novità del Cristo, non serve a nulla.

 

 

MARTEDI’ 16

San MARCELLO; Santa PRISCILLA

Parola di Dio: Eb. 6,10-20; Sal.110; Mc. 2,23-28;

 

"IL SABATO E’ STATO FATTO PER L’UOMO E NON L’UOMO PER IL SABATO" . (Mc. 2,27)

Quando le cose perdono il loro senso originale rischiano di diventare abitudini prive di ogni valore.

Anche oggi Gesù ci invita a continuare la riflessione di ieri ponendo però l’attenzione sull’osservanza del sabato ebraico e quindi indirettamente sul senso della preghiera.

Il sabato è fatto per l’uomo, cioè il riposo, la lode di Dio, la preghiera, non sono una imposizione, un obbligo, una tassa da pagare, sono invece un dono, una possibilità, una grazia che ci viene offerta affinché possiamo davvero realizzarci in pienezza davanti a Dio.

Il dire le preghiere del mattino e della sera, il recitare il rosario, l’andare a Messa possono essere ottime abitudini, attenzione però che non diventino solo abitudini. Sentite che cosa scriveva il Beato Claudio de la Colombiere a proposito di certi conventi : "Le case religiose sono piene di gente che al mattino si alza, va a Messa, alla preghiera, alla confessione, alla Comunione. Solo perché così si usa, perché suona la campana e ci vanno tutti gli altri. Ben difficilmente il loro cuore prende parte a quello che fanno. Hanno le loro piccole, ristrettissime visuali, i loro piccoli progetti di cui si occupano, mentre le cose di Dio non entrano più nelle loro menti tranne in particolari che non hanno importanza".

A Dio non cambia niente se noi lavoriamo o meno la domenica, cambia per noi se il nostro riposare doveroso si arricchisce di momenti di familiarità, di preghiera, di valori.

La nostra preghiera non fa Dio più grande o più piccolo, ma siamo noi che ci riempiamo della lode, del ringraziamento, della meraviglia di un Dio così grande che si interessa a me, così piccolo.

La preghiera, allora, non è una tassa ma un’esigenza per la mia vita, a Messa non ci vado perché se no Dio non è contento, ma perché non sarei ‘contento’ io ad aver sprecato un dono così grande.

E ancora un’altra cosa bellissima: a nessuno di noi piace essere un numero anonimo nella massa. Per Dio non siamo un numero, siamo persone, individui ben definiti, amati personalmente. L’Eucarestia è dono per tutti, ma dono particolare per me, la preghiera può essere comune o individuale, ma certamente può essere caricata da tutto quello che io, come individuo, porto dentro.

Con Gesù, davvero, non esistono norme esteriori, ritualismi liturgici; con Gesù ogni cosa è unica e irripetibile.

 

 

MERCOLEDI’ 17

Sant’ANTONIO ABATE

Parola di Dio: Eb. 7,1-3.15-17; Sal. 109; Mc. 3,1-6

 

"E’ LECITO SALVARE UNA VITA IN GIORNO DI SABATO?…MA ESSI TACEVANO…LI GUARDO’ CON INDIGNAZIONE, RATTRISTATO PER LA DUREZZA DEI LORO CUORI". (Mc. 3,4-5)

Sarà più rattrappita la mano di quell’uomo che sta davanti a Gesù nella sinagoga, in giorno di sabato, o i cuori di coloro che, nascondendosi dietro le leggi, si chiudono davanti ad una sofferenza e non sanno neanche gioire per una guarigione?

Gesù si indigna ed è rattristato.

Ma, anche oggi, Gesù non sarà rattristato quando vede noi cristiani che dovremmo essere in tutto la sua presenza nel mondo, tirare diritti davanti alla fame di tante persone, davanti ai fratelli poveri e spendere poi milioni e miliardi per costruzioni o per chiese che non hanno neanche una prospettiva per il futuro? Sono stato recentemente a celebrare in un paese del nostro Piemonte. Il parroco rimasto solo in un paese di quasi diecimila abitanti mi diceva che doveva "badare" a 48 tra chiese (e almeno tre dal ‘formato basilica’) e cappelle. Tutte costruite per "fede" lungo i secoli o perché il tal ordine o la tale confraternita in auge in quel periodo avessero lustro ed onore? E pensare che era un paese di contadini neanche troppo agiati e poi di operai, all’epoca delle filande.

Gesù non guarderà rattristato quando non sappiamo gioire del bene degli altri? Perché la gelosia tra gruppi religiosi? Si può ragionare così: "Solo perché non sei del mio gruppo tutto dovrebbe andarti male"? Ricordo che in una parrocchia c’erano due gruppi di catechisti per la preparazione al matrimonio che facevano a capo a due movimenti diversi: erano in lotta tra loro quando il loro vero scopo sarebbe stato quello di predicare e testimoniare l’armonia. Gesù non guarderà rattristato a te e a me quando siamo meschini nel nostro rapportarci con gli altri, quando parliamo di Provvidenza ma ci fidiamo solo del denaro, quando diciamo di voler bene a tutti a patto, però, che non vengano a scocciarci, quando diciamo di essere aperti ad ogni idea… purché sia simile alla nostra? La mano rattrappita è un incidente, una malattia, una menomazione fisica. Con essa si può convivere, o, se incontri Gesù, anche guarire, ma è il cuore rattrappito che, invece, non ha speranze perché non è neanche capace di incontrare Gesù, anche se ce l’ha davanti.

 

 

GIOVEDI’ 18

Santa MARGHERITA D’UNGHERIA; Santa PRISCA

Parola di Dio: Eb. 7,25.8,6; Sal. 39; Mc. 3,7-12

 

"ALLORA EGLI PREGO’ I SUOI DISCEPOLI CHE GLI METTESSERO A DISPOSIZIONE UNA BARCA" . (Mc. 3,9)

Gesù era passato lungo il lago, aveva detto ai pescatori: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini", e questi, "lasciate le reti, lo seguirono".

La strada materiale che però questi pescatori hanno fatto è molto breve se noi troviamo Gesù e i discepoli ancora sulle sponde del lago, e il distacco dal mondo dei pescatori non è così netto se Gesù chiede ai discepoli di imprestargli una barca. Queste apparenti contraddizioni non vorranno allora farci capire simbolicamente qualcos’altro?

Credo che l’evangelista Marco voglia parlarci di Chiesa.

I pescatori del lago e noi, discepoli di oggi, dobbiamo imparare il nuovo mestiere che Gesù vuole affidarci, quello di diventare pescatori di uomini. Per fare questo prima di tutto bisogna lasciare qualcosa: la mentalità di prima. I discepoli non hanno dimenticato il mestiere di pescatori, non hanno neppure venduto le barche, infatti dopo la risurrezione di Gesù noi troviamo ancora Pietro e i suoi amici su una barca a pescare, ed erano passati circa tre anni dal giorno della loro chiamata.

Non è abdicando alla tua umanità che fai la scelta da cristiano. Se Gesù si incarna nella nostra realtà non è per disincarnare noi. La salvezza che Gesù porta riguarda l’uomo nella sua interezza.

Dopo aver lasciato la vecchia mentalità gretta, chiusa, bisogna andargli dietro. Ma anche qui non è questione di chilometri, si può benissimo seguire il Signore vicino a casa tua o nei villaggi vicini.

Cristo non cercarlo lontano: apri la porta del tuo cuore, cercalo lì.

L’importante però è osservare ciò che Lui fa, se vogliamo davvero essere suoi discepoli e imparare il suo ‘mestiere’ e, allora, fin da queste prime pagine del Vangelo noi abbiamo visto che Gesù si spende totalmente per la gente: annuncia il Regno con parole e con gesti concreti di amore.

E anche dal fatto che Gesù chieda in prestito una barca per non essere schiacciato dalla folla e per poter da essa continuare la sua predicazione, abbiamo qualcosa da imparare, e cioè che Gesù per poter dare chiede prima sempre qualcosa.

Colui che è potente, che guarisce, che caccia i demoni, ha bisogno che qualcuno lo salvi dalla pressione della folla e chiede in prestito una barca.

Gesù è venuto per dare. Ma per dare ha bisogno di me. Non sono solo uno che deve ricevere tutto, sono anche uno che può dare qualcosa. La storia della mia salvezza non è ordita sul mio capo per cascarmi addosso. È qualcosa di molto bello che per compiersi ha bisogno di me. Il disegno di salvezza e di misericordia del Dio Onnipotente per gli uomini passa anche attraverso le mie mani.

Ma c’è anche un insegnamento speciale proprio per quella parte della Chiesa che ha il compito particolare di insegnare.

Qualche Vescovo e qualche liturgista ultimamente, proprio per sottolineare che l’insegnamento ufficiale della Chiesa viene dall’alto ha ripristinato vecchi pulpiti inusati per anni. Ebbene Gesù usa uno strano pulpito: una barca.

La Parola di Dio giunge al cuore dell’uomo partendo da qualcosa di umano e concreto.

Il pulpito è fermo, la barca in movimento, il pulpito ha per sfondo marmi e mattoni immobili, la barca è tra cielo e mare, palpitanti di vita.

 

 

VENERDI’ 19

San MARIO; San BASSIANO

Parola di Dio: Eb. 8,6-13; Sal. 84; Mc. 3,13-19

 

"NE COSTITUI’ DODICI CHE STESSERO CON LUI E ANCHE PER MANDARLI A PREDICARE PERCHÉ AVESSERO IL POTERE DI SCACCIARE I DEMONI".

(Mc. 3,14-15)

Dodici povere persone come noi: ecco il primo nucleo della Chiesa.

Gesù sa che anche dopo di Lui ci sarà bisogno di avere punti di riferimento, di fondare l’unità dei credenti e allora ci dà i dodici. Essi sono in continuazione con le promesse di Dio nell’Antico testamento, si rifanno infatti alle dodici tribù di Israele. Essi saranno testimoni oculari, diretti della vita, passione, morte e risurrezione del Cristo. Essi, con fatica, impareranno che il loro ruolo non dovrà essere di potere ma di sevizio nel nome di Gesù. Essi sono ancora oggi il fondamento e il segno dell’unità dei credenti.

Per noi che spesso vediamo solo la Chiesa come un insieme di gerarchie e di norme, essa qualche volta è solo un peso; per Gesù la Chiesa è un dono prezioso che rinnova la grazia della sua salvezza, che richiama la sua parola, che fa crescere il Regno fino al suo compimento. E se è giusto richiamare la Chiesa ai compiti che le sono stati affidati, è altrettanto doveroso riscoprirci parte attiva di essa, scoprire la testimonianza di tanti santi famosi o meno, ascoltarne l’insegnamento, sentirci famiglia unita intorno all’unico Padre e offrire anche noi i nostri talenti affinchè essa possa diventare sempre più casa accogliente per tanti.

Ma chiediamoci anche: al di là dei dodici, non è forse vero che anche ciascuno di noi deve essere apostolo?

Marco sintetizza questo nostro compito in tre cose:

L’apostolo è uno che sta sempre con Gesù. Noi non siamo testimoni di noi stessi o di una filosofia, siamo testimoni di Cristo e come possiamo esserlo se non lo conosciamo a fondo?

L’apostolo è uno che è mandato a predicare: quando hai Gesù nel cuore non puoi fare a meno di manifestarlo e se davvero lo vuoi imitare, farai questo con parole e con gesti concreti e allora scoprirai anche la terza caratteristica dell’apostolo: è uno che ha il compito e il potere di combattere e di vincere il male.

 

 

SABATO 20

San FABIANO; San SEBASTIANO; Beato GIUSEPPE NASCIMBENI

Parola di Dio: Eb. 9,2-3.11-14; Sal. 46; Mc. 3,20-21

 

"ALLORA I SUOI, SENTITO QUESTO, USCIRONO PER ANDARE A PRENDERLO POICHÉ DICEVANO: E’ FUORI DI SE’" . (Mc. 3,21)

Un giovane decide di voler dedicare la sua vita al servizio di Dio ed entra in seminario. "Poveretto, rinunciare a tutto… ed è un così bel ragazzo… fantasie, colpa dei preti". Quella ragazza ha deciso nella gioia di entrare in un monastero: "Sarà una delusione di amore!" e non si accorgono di dire una verità in modo sbagliato perché è proprio per trovare l’amore che quella ragazza ha fatto quella scelta. Si legge di un giovane imprenditore, un "vip", uno di quelli che dalla vita ‘hanno tutto’, che ha lasciato la sua ditta ai fratelli ed è partito per andare a vivere in un lebbrosario in Africa, ed ecco che ‘il buon senso’ rimane perplesso, che delegazioni di ‘persone bene’ vanno sulla porta del lebbrosario (senza entrarvi, non si sa mai), per cercare di convincere il poveretto a ritornare in sé. E che dire di quell’uomo maturo che chiede di andare in pensione per poter dedicare tutto il suo tempo al servizio dei barboni: un "fissato"?

I parenti di Gesù sono meravigliati di quanto Egli compie, forse sarebbero anche contenti di qualche miracolo fatto in casa, ma qui Gesù esagera: sono folle quelli che vanno da Lui, non c’è un momento di tregua e poi Gesù ha avuto la malaugurata idea di rivolgersi ai poveri e di mettersi contro le istituzioni. Passa perfino per essere un bestemmiatore, un irreligioso…: "Noi che abbiamo buon senso, andiamo a dargli una regolata!" Quante speranze, quanti progetti sono stati uccisi dal "buon senso" che è sempre pronto, nel nome di un presunto amore, a tarpare le ali, a ricondurre all’ordine costituito, al ridurre il tutto ad una piatta terribile. E i nemici del nuovo, dell’apertura, della fantasia non c’è bisogno di cercarli lontano: sono proprio i tuoi. Lo sapete quale è il nemico più grande del cristianesimo? Sono i cristiani! I cristiani dell’abitudine, quelli che hanno ridotto Dio ad un rito, quelli del compromesso tra morale cristiana e morale del mondo, quelli che hanno fatto della fede una questione di religione, quelli che non sanno sorridere e gioire perché davvero contenti della buona novella di Gesù, i conformisti del buon senso che non sono capaci di un lampo di fantasia nella carità… quelli che quando vedono uno che canta sopra le righe, fuori del coro, nel nome del buon senso "uscirono per andare a prenderlo poichè dicevano: " E’ fuori di sè".

 

 

DOMENICA 21

3^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (anno C)  -  Sant’AGNESE

Parola di Dio: Ne. 8,2-4.5-6.8-10; Sal. 18; 1Cor. 12,12-31; Lc. 1,1-4; 4, 14-21

 

1^ Lettura (Ne. 8, 2-4. 5-6. 8-10)

Dal libro di Neemia.

In quei giorni, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all'assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntar della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci di intendere; tutto il popolo porgeva l'orecchio a sentire il libro della legge. Esdra lo scriba stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l'occorrenza. Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutto il popolo; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore Dio grande e tutto il popolo rispose: "Amen, amen", alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore. Essi leggevano nel libro della legge di Dio a brani distinti e con spiegazioni del senso e così facevano comprendere la lettura. Neemia, che era il governatore, Esdra sacerdote e scriba e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: "Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non fate lutto e non piangete!". Perché tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. Poi Neemia disse loro: "Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza".

 

2^ Lettura (1 Cor. 12, 12-31)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: "Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: "Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l'occhio dire alla mano: "Non ho bisogno di te"; né la testa ai piedi: "Non ho bisogno di voi". Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti operatori di miracoli? Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? Aspirate ai carismi più grandi!

 

Vangelo (Lc.1, 1-4; 4, 14-21)

Dal vangelo secondo Luca.

Poiché molti hanno posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi. Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore.

Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi".

 

RIFLESSIONE

 

Non si può certo dire che Gesù non prenda sul serio la propria missione.

Due domenica fa abbiamo ricordato che il suo Battesimo al Giordano era stato il momento in cui Dio gli aveva affidato ufficialmente il compito di Messia ed ecco Gesù che, subito, inizia la sua missione con gesti (i miracoli) e con Parole per annunciare la gioia del Regno di Dio.

Quando, come e dove predicava Gesù?

Ogni occasione era buona per Lui. Scopriamo dai vangeli che un pozzo può essere una buona situazione per iniziare il discorso dell’acqua viva con la Samaritana, il mondo dei pescatori gli farà usare esempi come quello della rete, della divisione del pesce buono da quello cattivo, il mondo pastorizio gli suggerirà l’immagine del buon pastore, della pecorella smarrita, dal mondo agricolo prenderà spunto per parlare di piante che crescono, di potature, di campi di grano e di zizzania, di seminatori, dal mondo domestico prenderà esempi come quello del lievito o quello del rattoppo di abiti, insomma, ogni occasione di vita sarà per Lui propizia per annunziare la gioia del perdono di Dio, per invitare alla conversione, per offrire se stesso, per aprire il suo Regno ai piccoli e ai poveri. Ma c’è un luogo privilegiato dove Gesù inizia la sua predicazione e dove spesso lo troviamo ed è ora la sinagoga, la chiesa di allora, ora il Tempio, il maggior punto di riferimento della religione ebraica.

Gesù dunque è un pio Ebreo, un osservante formalista, un religioso ritualista? Niente di tutto questo, infatti Gesù prenderà le distanze da tutte le esagerazioni religiose (pensate alle sue parole sferzanti contro l’ipocrisia dei farisei, contro le preghiere ostentate, contro coloro che si riempiono la bocca di parola di Dio e poi "non muovono un dito per spostare un peso" a chi è in difficoltà), però Gesù ha un sommo rispetto di ciò che la sinagoga e il tempio rappresentano nella storia della salvezza del suo popolo.

Dio è intervenuto lungo la Storia della salvezza, e lungo tutti questi anni le parole che Dio ha detto, attraverso i fatti concreti e attraverso i suoi profeti e ministri si sono solidificate anche in libri. E’ nata così la Bibbia che viene letta e pregata e continuamente arricchita dalla preghiera e dalla riflessione proprio nelle sinagoghe, dove i bambini vanno a scuola su quel Libro, dove gli adulti si recano per celebrare il Sabato, il giorno del Signore, dove la Parola di Dio è rispettata, amata, letta, commentata, applicata alla vita. Per avere un’idea di questo basta rileggere la prima lettura di questa domenica, dove vien raccontato come il popolo, ritornato povero dall’esilio ritrova la sua forza proprio attorno alla Parola della Legge ritrovata, e dove vediamo anche uno schema di celebrazione della Parola molto bello in quanto c’è una intronizzazione della Parola, una lettura di essa, una partecipazione corale attraverso lacrime ed esclamazioni di gioia del popolo, un commento alla parola atto ad applicarla alla vita di ogni giorno.

Dunque, il Signore che certamente parla sempre al cuore dell’uomo disposto ad ascoltarlo, che attraverso la natura, i fatti della storia nostra e del mondo, continua a rivelarsi purché noi vogliamo ricercare e leggere i suoi messaggi, che ci parla attraverso la nostra coscienza, ha un modo privilegiato di rivolgersi a noi attraverso la sua Parola.

Proviamo a seguire Gesù, nel Vangelo di oggi, perché è proprio Lui che ci insegna a leggere la Bibbia.

"Entrò, secondo il suo solito, di sabato, nella sinagoga".

E’ vero Dio lo puoi lodare di sabato, di domenica o di lunedì. Dio non ha giorni, Dio guarda il cuore, ma la preghiera è per rendere più grande Dio, o per rendere noi coscienti della sua presenza e del suo amore? Ecco allora che le tradizioni religiose non sono tanto importanti per il loro ritualismo, per il modo o il giorno in cui vengono compiute, ma, attraverso il modo di viverle, attraverso ciò che anche nella loro esteriorità esprimono, vengono ad arricchire la nostra preghiera. Gesù dirà che il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato ma proprio con questo suggerisce che il giorno festivo, la nostra domenica, è il giorno del riposo, il giorno della gioia, della risurrezione, il giorno in cui ci si ritrova per appoggiarci vicendevolmente nella fede, il giorno in cui si fa memoria dell’amore di Dio attraverso il pane spezzato ma anche attraverso il ripercorrere la sua parola di salvezza. Facciamo attenzione, per troppa facilità a dire: "Se non posso andare alla domenica, andrò in chiesa il lunedì o il martedì" Certamente se la domenica assisto un ammalato che non possa lasciare è buona cosa magari recuperare un momento di preghiera in un altro momento, ma questo non toglie in sé il valore della celebrazione comunitaria festiva.

"Si alzò per leggere"

Gesù agisce come uno che ha autorità. Ma anche noi abbiamo l’autorità di leggere la Parola di Dio: è la lettera d’amore che Dio ci ha scritto e ci scrive ogni giorno, essa è indirizzata proprio a noi. La Parola di Dio non è riservata a qualcuno, agli addetti ai lavori, è per te, per me. Ciascuno ha autorità di leggerla e di annunciarla. Tra l’altro, questo agire di Gesù ci richiama anche al trovare ciascuno un ruolo attivo nelle nostre celebrazioni. Non siamo solo degli utenti passivi, ciascuno secondo il suo ruolo (pensiamo alla seconda lettura di oggi) può mettere a disposizione degli altri i propri doni. Certo che, se vado a leggere in chiesa, devo rendermi conto che non leggo per me, che non è un ‘onore’, ma che è un servizio, quindi prima di tutto gli altri devono capire la mia lettura.

Gesù poi legge il brano di Isaia, crea un attesa nell’assemblea che si chiede che cosa vorrà dire, oggi, quel profeta e poi applica, attualizza il brano.

La parola di Dio non è una storia vecchia, non è un libro di norme morali, non è un ricettario per tutti gli usi. La parola è viva: "Oggi si è compiuta questa parola".

Cioè la parola non è come quella dei filosofi, una parola che ricerca la verità che cerca di stilizzarla, che offre un pensiero, la Parola offre una persona: l’oggi della parola è Gesù stesso.

Ogni volta che in chiesa noi ascoltiamo la Parola anche se sentiamo la voce di Tizio o di Caio che ce la leggono, dobbiamo incontrare il Cristo che ci porge se stesso, la sua persona totale. Il prete potrà aiutarci o meno nella nostra riflessione, ma è Gesù che parla, che si dona, che offre. Vedete allora che c’è poca differenza tra l’ascolto della Parola in questo senso e il fare la Comunione con il pane della Vita: entrambi sono modi per entrare in stretta Comunione con il Signore, entrambi sono modi di celebrarlo, entrambi sono mense da cui prendere forza per vivere come Lui ci indica.

Anche quando leggiamo la Parola di Dio per nostro conto (ed è sperabile che i cristiani lo facciano spesso perché lì e non nelle chiacchiere sta la nostra base) non ci si accosta alla Bibbia come ad un libro qualsiasi, non si va a cercare in essa quello che ci interessa lasciando da parte il resto, non si usa la Scrittura per giustificare le proprie affermazioni, bisogna accostarsi ad essa con estremo rispetto, il rispetto dovuto a Dio. "Togliti le scarpe" aveva detto Dio a Mosè quando si avvicinava al Roveto ardente. Prima di aprire la Bibbia dovremmo dirci: "Sto avvicinandomi alla maestà e alla misericordia di Dio". Poi dovremmo leggere e rileggere un brano con tutta l’attenzione necessaria per capire le parole lette. La Bibbia non è solo opera di Dio, è stata scritta da uomini concreti con delle parole usate nel tempo, con dei limiti culturali, a volte con delle concezioni religiose e sociali molto lontane dalla nostra mentalità. Per non far dire a Dio delle stupidaggini è allora necessaria un po’ di cultura biblica e anche un po’ di umiltà nel non volere sempre e subito dare una risposta a tutto. Poi è necessario lasciar sedimentare Dio, con la sua parola nel nostro cuore: ecco perché non c’è lettura della Bibbia se non nella preghiera. Poi dovrò sempre farmi questa domanda: "Che cosa vuoi dire a me, oggi, Signore con questa tua Parola?" E allora provo ad applicare alla mia vita quanto ho letto, chiedo al Signore e al suo Spirito che mi aiutino a portare nel tessuto del mio quotidiano quanto mi è suggerito.

Un cristiano non importa che sappia a memoria la Bibbia, non importa neppure che la sappia citare ad ogni piè sospinto, deve essere invece uno che nella Bibbia sa di poter Incontrare Gesù, lo incontra spesso e lo porta con sé, nella sua vita. Se, allora, ho letto la Parola che mi ha indicato in Gesù Colui che perdona sempre, posso io permettermi di mettere un limite al perdono? Se ho capito che il Regno di Dio è dei piccoli e dei poveri posso io usare e abusare del mio ruolo per sfruttare i poveri, per metterli da parte? Ad esempio in ufficio, pur essendo attento a rendere per ciò per cui sono pagato, posso fare a mio arbitrio distinzioni di persone, preferenze, vendette personali? Se ho capito che tutto è dono, che anche i figli sono dono di Dio e che Dio è loro Padre misericordioso, posso educarli solo a mia immagine e somiglianza, posso continuare a pensare ad essi solo come un mio possesso personale?

In parole molto semplici, se leggendo la Bibbia ho incontrato un libro, esso potrà darmi delle norme a cui io, a seconda della mia intenzione, posso attenermi o meno, se ho incontrato Gesù, la Parola di Dio incarnata non posso più fare a meno, con gioia, di rivestirmi del suo modo di pensare e di agire, non posso più fare a meno di portarlo con me.

E, fratelli, se abbiamo ascoltato con attenzione il Vangelo odierno, c’è una parola che ci colpisce: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura". Non posso dire: "Comincio domani a leggere la Parola, comincio domani a portare il Cristo vivo nella mia vita", Egli è oggi qui per te, ed è oggi, adesso, che ciascuno di noi può incontrarlo e rispondergli con gioia e generosità.

 

 

LUNEDI’ 22

San VINCENZO; San GAUDENZIO; Beata LAURA VICUNA

Parola di Dio: 2Sam. Eb. 9,15.24-28; Sal. 97; Mc. 3,22-30

 

"COSTUI E’ POSSEDUTO DA BEELZEBUL, E SCACCIA I DEMONI PER MEZZO DEL PRINCIPE DEI DEMONI". (Mc. 3,22)

In questa società di facciata, il diavolo sembra aver ritrovato il suo posto. Naturalmente, essendo un maestro di confusione, anche su se stesso crea un po’ di caos. Qualcuno ha rispolverato il diavolo dalla faccia rubizza con tanto di corna, con forchettone e coda incorporata, altri lo hanno mistificato con i fantasmi della notte di Hallowey o come caspita si chiama questa americanata senza senso, altri lo dipingono mellifluo e intrigante in mezzo a donnine discinte per invitare in locali "privati". Ma se questo è fumo, il diavolo usa cose ben più pesanti per denunciare la sua presenza, anche se le sue armi sono più o meno sempre le stesse: l’orgoglio, la paura, la voglia di risolvere facilmente i problemi… Ed ecco, allora, in questo mondo che si vanta di credere solo alle cose concrete, di aver fatto piazza pulita di tutte le credenze e superstizioni medievali, prolificano paure, superstizioni, maghi e fattucchieri. Persino gli esorcisti spesso fanno notizia perché il loro lavoro è aumentato notevolmente. Ma io non ho bisogno neppure di questo (che pure è grave e riduce a brandelli moralmente e fisicamente migliaia di uomini) per credere al male e al suo autore. Come, credo, molti di voi, il diavolo lo vedo all’opera tutti i giorni.

Prova ad aprire un giornale qualunque. Il diavolo non sta solo nelle fotografie di donne discinte e allettanti, sta ad esempio nella notizia che un cane ha ereditato un miliardo di dollari, mentre centinaia di milioni di uomini stanno morendo di fame, sta nel sorriso smagliante del politico che promette… successo, potere, denaro per se stesso; il diavolo lo incontro al supermercato dove un orso gigante di peluche può fare la felicità del tuo bambino alla modica somma di due milioni e mezzo, lo incontro nel nipote impomatato che sta cercando di circuire la nonna di cui nulla importa, pur di portarle via i soldi. Il diavolo l’ho incontrato nelle sacrestie delle parrocchie e addirittura nelle prime file dei banchi delle chiese magari ben accomodato in calde pellicce di "care donne benpensanti e benemerite della comunità". Lo incontro ogni giorno alla porta di casa mia. Lui, maestro di trasformismo e di falsità non si dà per vinto e ci prova sempre. Ma si può riconoscerlo e abbiamo pure le armi per combatterlo. Dio non gli ha permesso il potere assoluto. Le sue maschere lasciano sempre trapelare un po’ di puzza di ipocrisia, di orgoglio e se proprio non sei sprovveduto, riesci a riconoscerlo, a intuirlo, quasi a commiserarlo in certe persone che vedi totalmente asservite a lui.

Se vuoi combatterlo non pensare di cavartela da solo (lui gioca proprio su questo), combattilo con il suo nemico di sempre, metti la tua fiducia in Colui che con la purezza di cuore e la croce lo ha già vinto per sempre.

 

 

MARTEDI’ 23

Santa EMERENZIANA; Sant’ILDEFONSO DA TOLEDO

Parola di Dio: Eb. 10,1-10; Sal. 39; Mc. 3,31-35

 

"ECCO TUA MADRE, I TUOI FRATELLI E LE TUE SORELLE, SONO FUORI E TI CERCANO". (Mc. 3,32)

Lo svolgersi del racconto evangelico non ce lo narra direttamente, ma ce lo fa intuire: il clan familiare allora potente di Gesù, ha paura che succedano guai. Gesù si è esposto troppo ad una folla assetata di miracoli, ma anche pericolosa perché può cambiare umore da un momento all’altro, ma soprattutto si è esposto davanti ai capi religiosi che cercano di farlo fuori… e allora… ne va di mezzo il buon nome della famiglia, e poi, potrebbero esserci forme di ritorsione nei confronti del clan familiare.

La soluzione è quella di andare a prendere Gesù e riportarlo a casa, metterlo in quarantena, tappargli la bocca, salvare il buon nome, riappacificarsi con i capi religiosi.

E Maria si trova là in mezzo: da una parte Gesù, la sua fiducia in Lui, e dall’altra le pressioni di questi parenti. Probabilmente Maria è in mezzo per cercare la pace. Certamente è tormentata da tutte queste divisioni che si creano attorno a suo Figlio.

Mi è caro vedere Maria che, come tutti noi, cerca la strada più giusta, perché questo mi fa pensare che la sua santità non è solo frutto dei doni di Dio ma anche della continua e generosa corrispondenza della sua volontà.

Maria ci ricorda che la santità indossa i panni di ogni giorno. Che non è fatta di gesti spettacolari ma soprattutto di piccole virtù che sono le più difficili. Maria ci fa memoria che un itinerario di fede, come è stato il suo, non esclude il dubbio, l’oscurità, ossia la fatica di credere. Maria soprattutto ci costringe a prendere atto che la santità non è un lusso che si possono concedere unicamente certe creature eccezionali, ma costituisce la condizione normale del cristiano. Ognuno è chiamato a santità!

"Ecco tua madre, i tuoi fratelli ti cercano".

Gesù non si muove. Quasi la cosa non lo riguardasse. "Chi è mia Madre e chi sono i miei fratelli?". Lui è su un altro piano in cui non esistono diritti acquisiti, ma soltanto possibilità. "Madri e fratelli e sorelle" in questa nuova famiglia non si trovano già belle e fatti, ma tutti possono diventarlo. La parentela non è un dato anagrafico, ma una conquista. Più che un punto di partenza, un punto di arrivo. Siamo chiamati ad essere parenti di Gesù con un vincolo ancora più stretto di quello della carne e del sangue. Siamo figli di Dio nel sangue prezioso di Gesù e nell’accogliere il suo dono. Diventiamo "parenti" man mano che accogliamo Gesù Figlio di Dio e accettiamo di vivere come Lui.

 

 

MERCOLEDI’ 24

San FRANCESCO DI SALES

Parola di Dio: Eb. 10,11-18; Sal. 109; Mc. 4,1-20

 

"ASCOLTATE: ECCO, USCI’ IL SEMINATORE A SEMINARE" . (Mc. 4,3)

Davanti alla parabola del seminatore non posso fare a meno di entrare in me stesso e di esaminarmi.

Quante volte Tu, o Signore, hai seminato in me la tua parola?

Vedo davvero che sei stato un seminatore generoso e fiducioso.

La tua parola l’ho letta tante volte per conto mio e l’ho sentita leggere innumerevoli volte nella comunità, ho avuto l’occasione di meditarla da solo e sotto la guida di altre persone, ci sono addirittura parecchi brani del Vangelo che so citare a memoria. E poi non ti sei stancato di parlarmi anche in molti altri modi: attraverso la natura, le creature, i fatti della vita, nel profondo della coscienza… Una seminagione abbondante.

Tu hai avuto una fiducia enorme in questo povero terreno. E che risposta ti ho dato, quali frutti hai potuto raccogliere? E’ vero che non sta a me stabilire la qualità o la quantità dei frutti, per altro sempre esigua nei confronti della seminagione, però col Tuo aiuto, posso capire alcune cause che non hanno permesso alla tua parola di crescere.

La prima causa di non frutto è la superficialità: forse la troppa confidenza con Te, l’aver considerata la tua parola come conosciuta, scontata non mi ha permesso di apprezzarla e di approfondirla, l’abitudine poi me l’ha fatta appiattire.

Altre volte è stata la mancanza di costanza a non permettere che la tua parola e i tuoi doni attecchissero nel mio terreno. Entusiasmo sì, soprattutto a parole, ma poi al momento dell’applicazione pratica, la non voglia di impegnarmi, la paura delle esigenze di questa parola, il desiderio di starsene tranquilli hanno fatto sì che abbandonassi la strada della parola e che essa, con poche radici, non giungesse a maturazione.

Quando poi ho sentito la tua parola come se fosse una delle tante parole che ogni giorno ascolto e dico, allora il tran-tran della vita l’ha soffocata. Quando al mattino leggo la tua parola nella preghiera, molte cose sono chiare, molti propositi nascono e poi, man mano che la giornata si svolge la Parola e i propositi si perdono in mezzo alle preoccupazioni…

Mi fermo e mi sembra di sentire la Tua voce: "Tutto vero nella tua riflessione, ma non dimenticare un particolare importante: la Parola seminata in te non sono solo le parole del Vangelo, della coscienza, della natura. La Parola sono Io che vengo perché il tuo cuore nella gioia porti frutto. Ogni volta che tu chiudi il tuo cuore, allontani me".

 

 

GIOVEDI’ 25

CONVERSIONE DI SAN PAOLO; Sant’ANANIA

Parola di Dio: At. 22,3-16 (9,1-22); Sal. 116; Mc. 16,15-18

 

"UN CERTO ANANIA VENNE A ME, MI SI ACCOSTO’ E DISSE : SAULO, FRATELLO, TORNA A VEDERE". (Atti 22,12-13)

Tutti gli anni, giustamente, celebrando la festa della conversione di San Paolo, ci siamo fermati a meditare sul fatto che Gesù ha modi diversi di rivelarsi alle varie persone. Per Paolo la chiamata avviene mentre è in viaggio, buttandolo giù da cavallo, rendendo cieco uno che credeva di vedere bene e usufruendo il suo carattere schietto, intraprendente, focoso, per farlo diventare l’ Apostolo delle Genti.

Ma nella conversione di Paolo, oltre ai fatti eclatanti c’è una persona, Anania che ha un ruolo importante (non per niente la Chiesa proprio oggi ci fa celebrare anche sant’Anania).

Di Anania ne sappiamo poco: è una figura minore della chiesa primitiva. Sappiamo che era un giusto ben visto da tutti.

Quando il Signore gli appare per mandarlo da Paolo, Anania fa la sua brava obiezione: "Ma quel Saulo non è quello che ha lettere dai sommi sacerdoti per arrestare i cristiani?", quasi a dire: "Devo essere proprio io ad andare a buttarmi tra le fauci del leone?", ma poi, rassicurato dalla forza del comando del Signore andrà lo stesso e non solo opererà la guarigione di Paolo dalla sua cecità, ma sarà anche il suo primo catechista e colui che gli darà il battesimo.

Anania mi ricorda che la mia fede di oggi è sì dono di Dio, risposta personale mia, ma anche frutto di tante persone concrete che mi hanno aiutato a ‘vedere’ e incontrare Gesù.

Provate a farlo: è un esercizio molto bello. Tornate indietro negli anni e dite un grazie a Dio e una preghiera per ogni persona che vi ha aiutato nel cammino della fede. Vedrete che è una lista molto lunga, dai propri familiari, a quel prete, a quella catechista, a chi vi ha dato una testimonianza, a chi vi ha incoraggiato in un momento di difficoltà…

Ma Anania possiamo esserlo stati ed esserlo anche noi.

E’ una grande gioia se puoi constatare che, in mezzo a tante cose inutili fatte in una vita, trovi di aver dato qualcosa a qualcuno, di essere stato mezzo perché la parola portasse frutto in qualcun altro.

E, ultima osservazione, attenzione a non essere un mancato Anania.

Se Anania si fosse fatto vincere dalla paura, se non si fosse fidato del comando del Signore o non ci sarebbe stato San Paolo, o Dio avrebbe dovuto inventare un’altra strada. Noi cristiani facciamo attenzione: potremmo essere accusati di mancato soccorso nella fede.

 

 

VENERDI’ 26

Santi TIMOTEO E TITO; Santa PAOLA

Parola di Dio: 2Tm. 1,1-8; (Tt 1,1-5); Sal. 88; Lc. 22,24-30

 

"TI RICORDO DI RAVVIVARE IL DONO DI DIO CHE E’ IN TE". (2Tim.1,6)

Paolo qui parla ad uno dei più cari e fidati collaboratori, il Vescovo Timoteo, responsabile della comunità di Efeso, che ricordiamo oggi insieme a Tito, altro collaboratore di Paolo a Corinto e a Creta. Penso però che l’invito che Paolo fa a Timoteo possa rivolgersi indistintamente a ciascuno di noi.

Uno dei guai più grossi della nostra vita cristiana è l’abitudine, l’appiattimento di tutti i valori, gli entusiasmi per cui tutto diventa solito, banale.

Invece non c’è nulla di banale. Dio mi ama davvero, Gesù il suo sangue l’ha versato per me, io sono davvero figlio di Dio, l’Eucarestia è il corpo di Gesù che io mangio, la Confessione cancella sul serio i miei peccati, io sono destinato alla risurrezione e alla vita eterna. Queste sono realtà per noi cristiani, non soltanto dogmi freddi e astratti. E poi ci sono ancora tutti i doni personali che Dio mi ha fatto e mi fa. Altro che vita banale, che cristianesimo piatto, che preghiera rituale e ripetitiva.

Se pensassi anche solo ad una di queste cose, ogni giorno ci sarebbe materiale per fare esplodere la mia giornata, per caricarmi di entusiasmo, per trovare la forza della testimonianza.

Se ti ricordi che vali il sangue di Cristo, anche un timido come poteva essere Timoteo o come posso essere io, non solo non si vergognerebbe della testimonianza da rendere al Signore, ma troverebbe la forza di uscire allo scoperto, insomma riusciremmo a far cantare i nostri giorni e le nostre ore.

Ravviviamoli questi doni che ci sono stati dati, non lasciamo che la polvere dei giorni li incrosti, li renda inutilizzati.

Nella mia piccola esperienza di prete sono venuto a conoscenza di tante coppie in difficoltà. Sapete qual è la causa maggiore di divisione? Qualcuno dirà: l’infedeltà. Ebbene se ci sono le infedeltà, esse sono spesso una conseguenza e non la causa primaria.

La colpa è della polvere: ci si abitua perfino a volersi bene, e poi la polvere fa dimenticare la brillantezza dell’amore e mette in evidenza le differenze e dalle differenze si comincia a dire: "Come sarei stato felice se.." e da questo non si apprezza più il positivo dell’altro e qualche volta si va a cercare altrove quello che hai ma che è nascosto dalla polvere.

 

 

SABATO 27

Santa ANGELA MERICI; San VITALIANO;

San GIULIANO DA SORA

Parola di Dio: Eb. 11,1-2.8-19; Cant. Lc 1,68-75; Mc. 4,35-41

 

"CHI E’ DUNQUE COSTUI AL QUALE ANCHE IL VENTO E IL MARE OBBEDISCONO?". (Mc. 4, 41)

Il miracolo della tempesta sedata manifesta Gesù capace di comandare anche alle leggi della natura; ora questo può farlo solo Dio, quindi Gesù è il Figlio di Dio.

Ma, aldilà di questo che noi crediamo, è anche un miracolo "segno". Provo a leggerlo con voi in questo modo. La nostra vita è un viaggio. Noi conosciamo la data della nostra partenza e non sappiamo quale sarà quella del nostro arrivo, ma in ogni caso c'è sempre da "passare all'altra riva", infatti se questa vita non avesse "un’altra riva" sarebbe una vita senza senso. L’uomo che si accontenta delle sue ore, che pensa al "tutto qui" è proprio un pover’uomo.

Per arrivare all’altra riva c’è una barca con la quale tentare l’avventura del mare (il mistero).

Qualcuno è esperto marinaio, ma anche il più esperto sfida le onde sapendo che esse possono essere più forti di lui. Qualcuno non sa governare una barca e allora si affida ad altri che lo conducono. In questo viaggio ti viene fatta una proposta: vuoi prendere come passeggero Gesù?

Qualcuno ha detto no: "E’ uno in più, appesantisce la barca..". "Venne tra i suoi ma i suoi non lo accolsero".

Qualcuno lo ha accolto sulla barca come un talismano: "Teniamolo lì, non si sa mai, potrebbe diventare utile… Purché non dia fastidio, dorma pure". Qualcuno, invece gli ha offerto generosamente la barca e lo ha accolto con gioia. E il viaggio per mare comincia. Ci sono giorni meravigliosi su quella barca. Il vento soffia nella direzione giusta, si va avanti dritti verso la meta. Ci sono aurore splendide, tramonti fantasmagorici, brezze rinfrescanti dopo giornate calde e luminose, giorni ed ore di pace, di silenzio o di comunicazioni profonde cullati lievemente dalle onde del mare, momenti in cui ci si fonde con la bellezza del cielo e del mare. A volte ti sembra di essere piccolo in mezzo all’immenso, altre volte ti sembra di essere capace di dominare tutto. Ma, improvvisa, può arrivare la tempesta. Avevi confidato nella vela? Essa te la spazza via. Credevi con i tuoi remi di poter governare la barca ed arrivare in qualunque luogo? Essi battono l’acqua e scopri che anche la barca è un guscio di noce e che i marinai più esperti sono anch’essi uomini paurosi… Se hai imbarcato Gesù è ora di riconoscere la tua poca fede ed andare ad attaccarti alla sua e, quando vedrai l’acqua calmarsi e il vento cessare a un suo comando, scoprirai quanto sei stato sciocco.

Non sei stato tu a fare un piacere a Gesù nel lasciarlo salire sulla tua barca, non ti ha occupato un pezzo di vita, non ti ha appesantito con le sue leggi. Sei stato uno sciocco perché hai camminato alla ricerca di una meta quando la meta era già con te, sulla barca.

 

 

DOMENICA 28

4^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno C)  -  San TOMMASO D’AQUINO

Parola di Dio: Ger. 1,4-5.17-19; Sal.70; 1Cor. 12,31. 13,13; Lc. 4,21-30

 

1^ Lettura (Ger. 1, 4-5. 17-19)

Dal libro del profeta Geremia.

Nei giorni del re Giosia, mi fu rivolta la parola del Signore: "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni".

Tu, poi, cingiti i fianchi, alzati e dì loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti alla loro vista, altrimenti ti farò temere davanti a loro. Ed ecco oggi io faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti muoveranno guerra ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti".

 

2^ Lettura (1 Cor. 12,31 - 13,13)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte. Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!

 

Vangelo (Lc. 4, 21-30)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù prese a salire nella sinagoga: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi". Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: "Non è il figlio di Giuseppe?". Ma egli rispose: "Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!". Poi aggiunse: "Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro". All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.

 

RIFLESSIONE

 

Il brano del Vangelo di oggi comincia proprio con la stessa frase con cui finiva quello di domenica scorsa.

Gesù, nel suo primo giro missionario si è recato al paese della sua infanzia, Nazareth: Lui è cresciuto lì, lì abita il suo clan familiare. Gesù, però, prima di arrivare a Nazaret, aveva già predicato a Cafarnao e lungo il lago e la fama di Lui e dei suoi miracoli lo aveva preceduto al suo paese.

Con semplicità, ma anche con autorità quel sabato Gesù aveva letto nella sinagoga il brano di Isaia che parlava del Messia consacrato e mandato da Dio, e poi aveva applicato a se stesso questa parole dicendo: "Oggi questa Scrittura si è compiuta".

E proprio questa frase determina il fallimento della sua missione a Nazaret.

Infatti abbiamo sentito una serie di mutamenti di umore nei suoi confronti da parte dei suoi uditori. Se all’inizio erano curiosi e forse volevano assistere a qualche prodigio, se davanti alle parole di Gesù in un primo tempo non hanno nulla da eccepire, anzi "sono meravigliati dalle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca", messi davanti all’affermazione di Gesù che si definisce Messia, che non compie miracoli, che li invita alla conversione, che fa loro capire che gli estranei sono più disponibili al cambiamento di coloro che pensano di possedere Dio, poco per volta si sdegnano, poi lo cacciano dalla sinagoga, poi, non contenti, cercano di ucciderlo.

Gesù, dunque, ponendosi nella scia profetica, subisce il primo fallimento proprio al suo paese, tra i suoi parenti. Ricordiamo la frase dell’evangelista Giovanni: "Venne tra i suoi e i suoi non lo accolsero".

Cerchiamo di scoprire le cause di questo fallimento che spesso sono ancora le cause della non accettazione di Gesù da parte di molti, oggi.

 

1° I NAZARETANI PENSAVANO DI CONOSCERE GESU’

Gesù, al ritorno dall’Egitto dove la sua famiglia si era rifugiata esule per sfuggire alla persecuzione di Erode, si era stabilito a Nazaret. Lì, come ogni bambino coetaneo, era cresciuto giocando, andando alla scuola della sinagoga, partecipando come tutti ai lutti o alle feste del suo paese. Si conoscevano tutti, anzi, tutti facevano parte di uno stesso clan familiare, erano un po’ tutti parenti.

Gesù, poi era anche conosciuto per il mestiere di Giuseppe, mestiere che Lui stesso aveva imparato ed esercitato. Un fabbro, un carpentiere, un falegname in un piccolo paese è uno a cui prima o poi tutti devono ricorrere.

Questo conoscere troppo Gesù nella sua umanità non permette agli abitanti di Nazaret di vedere più in là.

"Come può definirsi il Messia di Dio se ci abbiamo scherzato, giocato, mangiato insieme? Eh, no! Il Messia deve venire con potenza, deve liberare il popolo con forza, deve ristabilire la giusta religiosità…A noi, al massimo, se proprio ne è capace questo Gesù ci faccia qualche bel miracolo e così, senza comprometterci, dia lustro al nostro clan e al nostro paese".

Può succedere esattamente la stessa cosa a noi cristiani quando supponiamo di avere troppa familiarità con Dio e con Gesù.

Quante volte, specialmente cercando di abbozzare un po’ di catechesi in occasione di un battesimo o di un matrimonio, mi sono sentito dire: "Non ho bisogno di sentirmi dire tutte queste cose. La nostra famiglia è cristiana dalla nascita."

E quante volte è capitato anche a preti e a vescovi di chiudere Dio in schemi, in riti, in norme, insomma, di non saper più vedere oltre.

Quante volte passiamo accanto a Gesù e non lo riconosciamo proprio perché pensiamo di conoscerlo troppo.

 

2° I NAZARETANI SI SONO SENTITI TOCCATI NEL LORO ORGOGLIO PERCHE’ GESU’ SI E’ RIVOLTO A ‘STRANIERI’ CHE LO HANNO ACCETTATO.

E’ stata una sferzata in faccia, per i compaesani di Gesù, sentirsi dire che un profeta non è accetto in casa sua mentre invece viene accolto dagli stranieri a cui si è rivolto.

"Prima di tutto un po’ di rispetto e un po’ di buon senso. Se Gesù fosse una persona perbene non si comporterebbe così e non parlerebbe in questo modo sfacciato. Non andrebbe a far miracoli altrove, avrebbe rispetto dei suoi vecchi, delle sue origini e anche della sua religione che vieta rapporti (esclusi quelli commerciali, naturalmente) con gli stranieri, e poi, non verrebbe a provocarci con le sue parole. Si è montato la testa! E’ un esaltato, come può essere il Messia?"

E’ vero, Gesù non è una persona perbene, preferisce i poveri e quelli che non contano ai ricchi e ai sapienti del mondo, se la prende con i pezzi grossi della religione, invece di considerare il denaro una benedizione, lo chiama "mammona", fa vita randagia, "non ha un sasso dove posare il capo", ha scelto come apostoli non scribi acculturati e pii ma pescatori e peccatori zoticoni, gli piacciono le feste e non disdegna i banchetti sia dei pii farisei che dei pubblici peccatori, parla spesso di croce, una di quelle ignominiose cose portate dai romani invasori, non è neanche troppo rispettoso delle osservanze religiose…Eh, no! Non coincide proprio con l’idea di Dio e del suo Messia della tradizione.

E così, spesso, per una idea preconcetta ed anche comoda di Dio si vorrebbe far si che Dio assomigli "al nostro Dio", si vorrebbe obbligare Dio alle norme che ci siamo dati, alla religione ufficiale, si vorrebbe confinarlo nei nostri riti e nelle nostre preghiere…

 

3° I COMPAESANI DI GESU’ NON LO ACCOLGONO PERCHE’ LUI VORREBBE COSTRINGERLI A DELLE SCELTE IMMEDIATE.

Gesù, infatti dice loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura", non domani.

La salvezza e la liberazione sono per oggi.

Il Regno non deve venire domani o dopodomani, è qui, adesso. Devi deciderti, devi fare delle scelte precise di conversione. Non devi più pensare ad un Messia futuro, imprecisato, ce l’hai davanti ed è proprio quel Gesù figlio del falegname Giuseppe e di Maria.

Scegliere subito non è facile, è compromettente. Ed è precisamente ciò che spesso pure noi, come gli abitanti di Nazaret, non vorremmo fare…

Non sarebbe meglio decidere domani, prendersi un po’ di tempo.

Non è meglio l’immagine preconfezionata di Dio che certe facili religioni ci presentano, un Dio con il quale i conti si aggiustano poi, mentre invece questo Gesù ci vorrebbe costringere ad aggiustarli subito, e certamente non a nostro favore?

Non è meglio un Dio potente, forte che non uno che si mette dalla parte dei deboli e degli oppressi e che ci chiede di sporcarci le mani con loro e per loro per poter entrare nel suo Regno?

Il decidere oggi ci impaurisce.

E Gesù deve andarsene, provando l’amarezza della delusione di non sentirsi capito proprio dai "suoi" e questo gli fa prendere ancor più decisamente la strada verso gli altri.

Questo episodio, in modo particolare, colloca Gesù sulla scia dei Profeti e ci invita, se davvero vogliamo seguirlo, a fare come Lui.

L’abbiamo sentito anche nella esperienza di Geremia che abbiamo letto nella prima lettura della Messa, la sorte del profeta è tutt’altro che facile e gloriosa.

Noi e la Chiesa di oggi, se vogliamo davvero essere profetici, non dobbiamo cercare o pensare a facili successi.

Il vero profeta, di solito, non ha doni speciali, è però amico di Dio; cerca continuamente, non sa tutto di Lui, ma lo ama; non è uno che ha facili soluzione ne per sé ne per gli altri, è uno che ha un compito più grosso di sé: deve parlare nientemeno di Dio e a nome suo; certo, il suo compito può essere esaltante ma è anche estremamente difficile, impegnativo, misterioso e poi, soprattutto, non deve aspettarsi i risultati sperati.

Il profeta è però uno che semina nella fedeltà e nella speranza.

Si fida che Dio abbia ragione e che il seme che gli è stato affidato sia talmente forte e buono che nei tempi di Dio crescerà sicuramente.

Se noi vogliamo essere fedeli al nostro nome di Cristiani dobbiamo essere decisi a sceglie ‘oggi’ il Cristo e a testimoniarlo e a portarlo con fedeltà e senza paura degli insuccessi umani ma sempre nella carità che, come ci ha ricordato Paolo nella seconda lettura, "non avrà mai fine".

 

 

LUNEDI’ 29

San VALERIO; San COSTANZO

Parola di Dio: Eb. 11,32-40; Sal. 30; Mc. 5,1-20

 

"ED ESSI SI MISERO A PREGARLO DI ANDARSENE DAL LORO TERRITORIO". (Mc. 5,17)

Come commento vi offro una pagina di Alessandro Pronzato. Le conclusioni però dobbiamo essere noi a tirarle.

"Mettiamoci nei panni dei Geraseni. Nel loro paese è suonato l’allarme. Deve essere successo qualcosa di grosso. Accorrono in riva al mare. Il loro sguardo viene attirato prepotentemente da due spettacoli diversi e ugualmente sconvolgenti. Da una parte un branco di porci — i loro porci! — annegati. Dall’altra, l’indemoniato divenuto un uomo normale. E in mezzo Gesù, che li obbliga a una scelta incredibile: duemila porci o un uomo.

Lo conoscevano bene. Era la vergogna del paese. Pazzo furioso. Pensavano di aver fatto tutto il possibile per quel disgraziato. Con le buone, dapprima. Senza ottenere risultati apprezzabili. Poi con la forza. Ma quello aveva spezzato le catene come fossero fuscelli.

E allora l’avevano abbandonato al proprio destino.

Loro dovevano preoccuparsi dei porci.

Ci si rassegna sempre facilmente alle disgrazie altrui, specialmente quando si tratta di salvaguardare la propria tranquillità.

Si trovano mille motivi per condannare un uomo alla solitudine.

Fortunatamente « il mostro » non dava fastidio ad alcuno. Strano, sì. Aveva la pessima abitudine di portare in giro la propria nudità. Però il suo itinerario era circoscritto alle tombe e ai dirupi della montagna. Un « escluso » in mezzo ai morti. Non guastava la felicità a nessuno. I vivi potevano addormentarsi con la coscienza tranquilla. E, di giorno, badare ai propri affari, cioè ai porci.

L’indemoniato teneva sempre dei sassi tra le mani, il che non era troppo rassicurante. Ma aveva il buon gusto, almeno, di usarli esclusivamente contro il proprio corpo. E c’era da sperare che, un bel giorno, avrebbe picchiato un po’ più forte del solito. Così li avrebbe liberati definitivamente dalla sua presenza fastidiosa.

L’uomo posseduto dal demonio era diventato ormai soltanto un argomento di conversazione, nel territorio di Gerasa. Non un argomento di salvezza. Non un tentativo, un impegno comune di recupero.

Gesù invece...

La notte precedente aveva ingaggiato un duello col mare in burrasca. Aveva sgridato il vento, minacciato gli elementi scatenati. Ed era riuscito a domare la tempesta.

Adesso si era trovato, a testa a testa, con Satana. E aveva assunto subito il piglio sicuro del vincitore:

« Esci, spirito immondo, da quest’uomo ».

Aveva restituito l’ex mostro ai Geraseni. Questi osservavano, sbigottiti. L’impossibile era, dunque, possibile. L’indemoniato era ridiventato come uno di loro. Seduto, tranquillo, sorridente. Perfino vestito.

Sono questi i miracoli più grandi di Gesù. Riconsegnarci, normali, gli esclusi, i condannati. I pubblicani, la Samaritana, le peccatrici, Zaccheo, l’adultera, i ladri.

Avevamo accettato, come un fatto normale, la loro condanna, la loro perdita.

Cristo, invece, ce li restituisce normali. Come noi. Ma bisogna sempre pagare un prezzo per la « liberazione » di un uomo. Cristo pretende questo prezzo dai Geraseni. Pretende una sostituzione importante nel loro cuore: l’uomo al posto dei porci. Quelli non accettano. E’ gente che ha il senso degli affari. I buoni sentimenti non danno da mangiare a nessuno. I porci, sì. Un uomo normale in più e duemila porci in meno. Nei loro libri contabili, questa operazione rappresenta una follia. Bell’affare. Un uomo al posto del loro branco. I porci sono la loro fortuna. La loro vita. Il benessere. La sicurezza. C’è sempre una famiglia da mantenere. Via, non si deve vivere con la testa nelle nuvole. Un uomo non vale duemila porci.

« Allora, essi si misero a supplicare Gesù perché si allontanasse dal loro territorio ». Non lo scacciano violentemente. Hanno il denaro nel cuore, è vero, ma conoscono le belle maniere. Non lo rimproverano. Non gli rinfacciano neppure il branco andato al diavolo (è il caso di dirlo..) Non gli chiedono il risarcimento del danno colossale subito. Lo pregano semplicemente di andarsene. Non vogliono correre altri rischi."

 

 

MARTEDI’ 30

Santa MARTINA; Santa GIACINTA; Beato SEBASTIANO VALFRE’

Parola di Dio: Eb. 12,1-4; Sal. 21; Mc. 5,21-43

 

"LA BAMBINA NON E’ MORTA, DORME". (Mc. 5,34)

Con la risurrezione della figlia di Giairo e la guarigione della donna affetta da perdita di sangue, Gesù si rivela come Signore sia della morte che della vita.

Diceva Malraux: "L’uomo è l’unico animale che sa di essere mortale". E non si è uomo se non si ha il coraggio di guardare in faccia questo mistero di morte e se non si è cercato ad essa una soluzione o almeno qualcosa con cui sopportarla.

Da sempre abbiamo cercato risposte circa il nostro futuro. Si dice che l’amore sia più forte della morte, però la morte separa inesorabilmente quelli che si amano non concedendo loro l’elemosina del minimo segno di rapporto che continui questo amore. E allora l’uomo cerca altre risposte: la metempsicosi, cioè una forma incosciente di continuazione della vita; gli spiritisti vogliono mettersi in comunicazione con i defunti, ma spesso i messaggi dall’aldilà sono così deludenti che sembra ancora preferibile il silenzio.

E anche Gesù non dà delle risposte teoriche a questi misteri. Gesù, però, agisce. Non spiega nulla, ma vive e fa vivere. Con i suoi gesti insinua che c’è il segreto di una vita che oltrepassa la morte e che la morte in fondo sia come il sonno che somiglia all’annientamento, ma che ha un risveglio.

Gesù ci fa vedere che la morte è vincibile, che l’amore davvero supera le barriere del tempo e dei distacchi, che una vita futura ci è garantita in Dio stesso, e quindi possiamo essere sereni se siamo nelle sue mani di Padre misericordioso, ma Gesù vuole risuscitarci subito, in questa vita.

Gesù grida a noi, in questa vita, come a quella bambina: "Alzati! Non lasciarti morire giorno per giorno, vivi, invece, giorno per giorno, non aspettare di incontrare Dio giudice alla fine dei tempi, incontralo nel fratello che oggi attraversa la tua strada. Impara a morire oggi alle tue ambizioni, ai tuoi pregiudizi, al pessimismo, alle abitudini, e risuscita alla fede, alla gioia, alla fantasia, al coraggio".

 

 

MERCOLEDI’ 31

San GIOVANNI BOSCO; Santa MARCELLA

Parola di Dio: Eb. 12,4-7.11-15; Sal. 102; Mc. 6,1-6

 

"E SI SCANDALIZZAVANO DI LUI". (Mc. 6,3)

Come è facile costruirsi una immagine di Dio.

Quando l’uomo, spaventato dal temporale non sapeva spiegarsi luce, fuoco, tuoni e lampi, si è costruito il volto di Dio sul modello della potenza del fuoco, sul rumore del tuono. Sono poi nati dei per tutte le cose: il dio della guerra e quello della pace, quello del sole e quello della luna, le dee della bellezza e quelle della vendetta…

Il Dio della Bibbia aveva raccomandato di non farsi immagini della divinità, non tanto perché qualcosa di materiale non possa rappresentarci in segno Dio, quanto perché l’uomo si ferma solo al segno esteriore.

I contemporanei di Gesù si erano fatti un’immagine ben precisa di Dio e del suo Messia. Se Dio si fosse manifestato come se lo aspettavano, come lo volevano, bene, lo avrebbero accolto. Altrimenti… non è Lui!.

I concittadini di Gesù non lo hanno riconosciuto perché… lo conoscevano troppo bene! Conoscevano l’umanità di Gesù, conoscevano Maria, Giuseppe, avevano frequentato con Lui la sinagoga, le feste del paese, avevano lavorato con Lui, potevano perfino apprezzare la sua sapienza ma non accettare la sua pretesa di essere Messia.

Il Messia per loro poteva venire solo con grandiosità, doveva essere l’eccezionale, il colossale, non poteva essere uno di loro con apparenze comuni, quotidiane.

Spesso anche noi siamo vittime dello stesso equivoco.

Anche noi, spesso ci costruiamo un’immagine di Dio e di Gesù e Lui deve rientrare in essa. Se, per caso, Dio si presenta "diverso" da questa immagine, noi non lo accogliamo.

Noi cerchiamo il Dio grande e potente, a volte lamentiamo pure la sua lontananza e non riusciamo a vederlo mentre ci passa accanto, vicinissimo. Andiamo magari a cercarlo lontano, in santuari in cima alla montagna o in filosofie astruse e non lo riconosciamo presente in noi. Siamo sempre in attesa di qualche miracolo o segno grandioso e allora ci è difficile riconoscerlo negli abiti del quotidiano. In fondo siamo contenti che Dio si sia incarnato, ma non riusciamo a riconoscerlo e accoglierlo col suo volto di uomo.

"Venne tra i suoi e i suoi non lo accolsero", è successo ai nazaretani ma può succedere anche a noi. Proviamo, oggi, a lasciar cadere le nostre immagini di Dio e a provare a scoprire i "mille travestimenti di Gesù".

     
     
 

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