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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

DICEMBRE 2000

 

VENERDI’ 1

Sant’Eligio

Parola di Dio: Ap. 20,1-4.11-21,2; Sal. 83; Lc. 21,29-33

 

"IL CIELO E LA TERRA PASSERANNO, MA LE MIE PAROLE NON PASSERANNO"

(Lc. 21,33)

Per capire meglio questa affermazione di Gesù, dobbiamo rifarci a tutta la Bibbia. San Giovanni, rivisitando nel suo Vangelo la storia di Gesù, inizia il suo scritto dicendo: "Il Verbo (la Parola) si è fatta carne", cioè quella Parola che all’inizio ha creato tutte le cose, quella Parola che si è concretizzata nella Legge per essere Alleanza e guida al popolo di Dio, ora è qui, è carne, è uno di noi, in mezzo a noi, quella Parola è persona, è Gesù.

Ed è Gesù che, ancora oggi, in mezzo a tante prove e tante debolezze, la Chiesa annuncia.

"Le mie parole non passeranno": non soltanto le singole parole che Gesù ha detto, non passerà la Parola, non passerà Gesù, perché Lui è Dio, perché Lui, morto e risorto, è il vivente per sempre, perché le sue promesse sono vere, perché Lui è proposta per me, oggi.

Quanta ignoranza di Gesù c’è oggi!

Ci sono cristiani battezzati per tradizione che hanno ridotto la conoscenza della fede che professano (formalmente e qualche volta) a quei pochi incontri di catechismo avuti da bambini. Cristiani non solo ‘ignoranti’ perché non hanno mai letto, studiato, meditato personalmente il Vangelo, ma che hanno ridotto Gesù ad un uomo buono di una storia lontana che si perde nel mito. Preti e Vescovi che celebrano dei riti ma che senti lontani da un incontro vivo con Gesù, che parlano di Gesù per dovere, per continuare a sostenere il loro ruolo e i loro compiti ma non trasmettono niente, perché non hanno niente, nessuno da trasmettere.

E’ la Parola di Gesù, la Persona di Gesù, Gesù Figlio di Dio, Redentore, Amico, Salvatore, che non passa e non passerà. E’ il Dio fattosi mendicante di un corpo umano per essere in tutto simile a noi, è il Dio che non si impone ma che si propone, è il Dio grande e misterioso che chiede a me, oggi, un cuore da bambino per poterlo accogliere.

 

 

SABATO 2

Santa Bibiana

Parola di Dio: Ap. 22,1-7; Sal. 94; Lc. 21,34-36

 

"STATE BEN ATTENTI CHE I VOSTRI CUORI NON SI APPESANTISCANO IN DISSIPAZIONI, UBRIACHEZZE E AFFANNI DELLA VITA". (Lc. 21,34)

Andando a trovare una anziana la sentii raccontare questa storia. (Seppi poi che, quasi a chiedere continuamente perdono per quanto era successo la raccontava a tutti coloro che andandola a trovare le prestavano un po’ di attenzione).

Quando era scoppiata la seconda guerra mondiale, suo marito, Giovanni, era dovuto partire per il fronte. Per loro era stato un momento molto duro e triste. Erano sposi solo da tre anni. Si volevano veramente bene ed ora la guerra, con tutte le paure che portava con sé, li divideva.

Avevano voluto salutarsi sulla porta della casa. Giovanni le giurava che la morte non ce l’avrebbe fatta con lui: aveva lei che lo aspettava a casa, le avrebbe scritto il più sovente possibile; ogni sera, poi, alle dieci, entrambi si sarebbero pensati e la distanza e le prove, gli orrori della guerra sarebbero stati annullati. Avevano due copie della stessa fotografia del loro matrimonio: una la prese Giovanni e, accuratamente riparata in un cellophane se la mise nella tasca interna della giacca militare, l’altra lei la pose sul tavolino dell’ingresso, promettendo che non sarebbe mai mancato un fiore, il fiore del loro amore, fino a quando, tornato Giovanni, avrebbero potuto rimettere le due fotografie nella stanza da letto, una su ogni comodino.

Passarono i giorni e lei con ansia aspettava il postino che quasi regolarmente le consegnava quelle famose cartoline postali militari passate alla censura e scritte sia davanti che dietro, fitte fitte: la guerra era brutta, il fronte terribile, la morte e la sofferenza sempre in agguato, ma il pensiero del loro amore lo sosteneva e Giovanni, ogni volta le ripeteva che era sicuro di tornare.

La guerra era diventata dura anche per chi viveva in città: scarseggiavano i viveri, si cominciava a temere di bombardamenti, ma anche lei resisteva e davanti alla loro fotografia non mancava mai un fiore, anche se sempre più spesso era un semplice fiore di campo. Ogni sera entrambi erano puntuali al loro appuntamento della dieci…

Poi cominciarono ad arrivare notizie terribili: il fronte dove Giovanni operava stava ripiegando, i morti erano migliaia.

Cessarono le lettere. Anche dai comandi della città non c’erano notizie precise; l’unica piccola speranza: nelle liste incomplete dei morti il nome di Giovanni non c’era.

I giorni passavano e la speranza di lei si affievoliva. Al loro ‘appuntamento’ delle dieci lei si trovava sempre più senza speranza; non ‘lo sentiva’ più, erano sempre più compagne della solitudine solo le lacrime. Stava ammalandosi.

Una sua amica, moglie di un facoltoso industriale, per aiutarla, ed anche per avere compagnia e servizio, la fece andare "sfollata" con lei nella sua villa sul lago di Como.

Passarono così circa due anni. Di Giovanni nessuna notizia e lei, pur non essendosi dimenticata di lui, si era lasciata prendere dalla nuova vita fatta di lusso, di ricevimenti, di personaggi importanti: tutto concorreva a dirle che Giovanni non c’era più e che era giusto che lei si rifacesse una vita.

Terminata la guerra tornò al suo appartamento ma, su consiglio dell’amica, rinnovò la casa ed anche la foto che era sempre là nell’ingresso finì nell’album dei ricordi.

Passarono ancora alcuni mesi e un tardo pomeriggio sentì suonare al cancello di strada. Si affacciò dal balcone e vide un uomo magro, ricoperto di stracci con in mano un foglio cellofanato e strapazzato.

"Buon uomo, andate via. Non ho niente da darvi. "

Quell’uomo non parlò, alzò lo sguardo e da lontano fece vedere la fotografia che aveva tra le mani.

Era Giovanni che, dopo aver attraversato mezza Europa a piedi o su mezzi di fortuna tornava da un campo di concentramento tedesco.

Vedevo le lacrime di questa anziana signora scorrere abbondantemente. Si erano ritrovati, avevano ancora e felicemente vissuto parecchi anni insieme, avevano avuto anche dei figli, ma, questa donna piangeva perché non aveva avuto fiducia, speranza, perché aveva smesso di attendere… perché non aveva saputo riconoscere Giovanni al suo ritorno.

Siamo al termine di un altro anno liturgico, siamo detentori di promesse meravigliose di Cristo, ma, attendiamo ancora qualcosa, Qualcuno? Siamo fedeli all’appuntamento della preghiera quotidiana? Deponiamo il fiore della nostra fede, ogni giorno, davanti alle sue promesse o stiamo appesantendoci in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita di modo che, davanti a Gesù che viene, magari coperto delle sue ferite o di quelle della passione degli uomini gli diciamo: "Buon uomo, non ho niente da darti"?

 

 

DOMENICA 3

1^ DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C)

San Francesco Saverio; Santa Ilaria

Parola di Dio: Ger. 33,14-16; Sal. 24; 1Tes. 3,12-4,2; Lc. 21,25-28.34-36

 

1^ Lettura (Ger. 33, 14-16)

Dal libro del profeta Geremia.

Ecco verranno giorni oracolo del Signore nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia; egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla. Così sarà chiamata: Signore nostra giustizia.

 

2^ Lettura (1 Tes. 3, 12-4,2)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi.

Fratelli, il Signore vi faccia crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti, come anche noi lo siamo verso di voi, per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi. Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate; cercate di agire sempre così per distinguervi ancora di più. Voi conoscete infatti quali norme vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.

 

Vangelo (Lc. 21, 25-38.34-36)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina". State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo".

 

RIFLESSIONE

 

C’è il rischio che anche le cose belle diventino abituali ed allora oggi potremo dire: ecco, ci siamo di nuovo: comincia con la prima domenica di Avvento, un nuovo anno liturgico. Natale, Epifania, Pasqua… insomma, tutto come sempre nella ciclica continuità del ripetersi degli anni.

Però c’è qualcosa che stona nella liturgia odierna.

Se Avvento è prepararsi al ricordo della nascita gioiosa del Salvatore, perché il Vangelo di oggi parla di "potenze dei cieli sconvolte", di "segni grandiosi nel sole e nella luna", di "angosce di popoli" pieni di paura? Sembra quasi che per cominciare bisogna partire dalla fine.

Nelle letture odierne si intessono due attese, una è la venuta del Cristo nella sua Incarnazione e l’altra è il suo ritorno glorioso alla fine dei tempi. Una avviene nell’umiltà e nella piccolezza : "una vergine partorirà un Figlio", e l’altra nella potenza: "tornerà per giudicare i vivi e i morti".

Chiediamoci: ma, noi, aspettiamo ancora qualcosa o Qualcuno?

Proviamo a guardare al nostro mondo: molti popoli stanno ancora aspettando la libertà, altri aspettano cibo e lavoro, quasi tutti aspettano un domani migliore… c’è anche qualcuno, deluso, chiuso in se stesso, pessimista, vecchio che non aspetta più nulla. E, poi, c’è una cosa che, se anche cerchiamo di nascondere, aspettiamo tutti: la nostra morte. Non voglio spaventare nessuno, anzi, proprio guardando in faccia questa realtà con serietà e serenità, riusciamo forse a comprendere meglio quali dovrebbero essere le nostre attese.

Se la vita è un’attesa della fine, della morte, ed è inevitabile che tutti passiamo di lì, le attese della vita quali possono essere? Vale la pena lottare per degli ideali, se poi tutto finisce; vale la pena essere fedeli agli affetti se questi sono poi spezzati per sempre? Anche per quanto riguarda la natura, il mondo: perché rispettare la natura, darsi da fare per migliorarla se poi tutto è destinato alla catastrofe?

Da come l’uomo risponde al problema della morte, darà un senso alla sua vita.

Ma può l’uomo dare una risposta a questo interrogativo? La tradizione popolare dice che mai nessuno dei morti è tornato indietro per dirci qualcosa. Ed è proprio qui l’errore per noi cristiani. Non solo, per noi qualcuno è tornato indietro, ma è venuto apposta, "in tutto simile a noi" per passare attraverso la morte e "la morte di croce", per vincere la morte, per andare a prepararci un posto, per dare senso alla vita e a tutte le aspirazioni dell’uomo.

Cominciamo dunque proprio dalla fine per poter dare senso al nostro vivere e al nostro futuro.

Ma per far questo bisogna che "i nostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze, affanni della vita". Se noi ci fermiamo a queste cose non attendiamo più nulla.

Faccio qualche esempio: l’uomo che ha riposto la sua speranza solo nella materialità della vita pensa che il denaro, il successo, il potere siano le cose più importanti, e allora le ‘aspetta’, le cerca ne diventa schiavo. E’ vero, le cose danno anche soddisfazione, ma è solo la soddisfazione che serve a renderci ancor più succubi.

Stiamo preparandoci a Natale. Sempre più tradizioni positive legate a questa festa sono diventate incrostazioni che l’hanno soffocata: è giusto far festa, è bello stare insieme, è gioioso e delizioso il mangiar bene, lo scambiarsi i doni è segno di amore per festeggiare l’Amore che arriva, il riposarsi e fare un po’ di vacanza è qualche volta quasi doveroso… ma, poco per volta Natale è diventato: la tradizione (a volte anche mal sopportata) di pranzi familiari che spesso invece di richiamare all’unità evidenziano ancor più le differenze e le lotte, è diventato grandi abboffate di cibi, consumismo sfrenato, doni sempre più grandi ed economicamente impegnativi, esodi natalizi, crociere. Spesso si perde il senso perfino nel fare il bene. Pur di mantenere lo ‘spirito natalizio’ bisogna fare qualcosa di bene e, allora, per tacitare le coscienze spenderecce e quasi ad immunizzarci dal mal di pancia per le troppe mangiate, ecco che si fa l’offerta per i poveri. Ricordo un barbone che mi diceva: "Lo sai, io giro dappertutto: mense, parrocchie, pie istituzioni… bene in questo periodo dovrei essere diventato un panettone. Dappertutto ti danno una fetta di panettone. Sembra quasi che i panettoni li facciano solo più per i barboni!"

Con tutte queste cose i cuori sono talmente appesantiti che non si ha più la capacità di guardare in alto, di accogliere Colui per il quale si fa festa. E’ la polvere, il grigiore, la routine quotidiana che spesso fanno perdere gioia e smagliantezza alla nostra fede. La fede c’è, ma siamo presi da troppe cose. Corriamo, siamo affannati, ma più per i nostri veri o supposti impegni che non per il Signore. E spesso i nostri giorni passano sulla nostra testa senza che noi li gustiamo. Un salmo ci invita a saper "contare i nostri giorni per giungere alla sapienza del cuore". Oltre alla contabilità numerica, esiste una contabilità - meglio, una valutazione – di tipo sapienziale, che registra i giorni non in base alla loro successione e quantità, ma ai contenuti, ai valori che l’uomo ci può mettere dentro, agli obbiettivi per cui vive. Uno può accumulare cento anni vuoti, e non aver vissuto veramente da uomo e da cristiano, neppure un giorno. Un altro, invece, riesce ad essere presente e conferire pienezza a pochi secondi che valgono una vita. Il ladrone pentito si è giocato stupendamente in una manciata di attimi tutta la sua esistenza, afferrando il "momento favorevole".

La sapienza del cuore non consiste nel sapere "quanto", ma per che cosa si vive.

La salvezza è, come ci ricorda oggi Geremia, fidarci delle promesse di Dio.

Ci sono promesse e promesse: "Papà ti prometto che non lo farò più", dice il bambino rimproverato per una marachella. Ma sia il papà che il bambino sanno che potrà ripetersi. "Ti prometto fedeltà per tutta la vita", dice lo sposo alla sposa ed ha tutte le buone intenzioni di essere fedele alla promessa, ma…

Dio ha fatto delle promesse all’uomo. E Dio è il fedele, le sue promesse le mantiene. Aveva promesso il Salvatore ed ha mandato suo Figlio.

Anche Gesù ci ha fatto delle promesse, ad esempio: "Io sono il pane della vita, chi crede in me vivrà per sempre", Io vado a prepararvi un posto", "La mia parola è vita". Le sue promesse Gesù le mantiene, le ha siglate col suo sangue. Ma noi crediamo alla fedeltà di Dio e di Gesù?

Qualcuno potrà ancora dire: "Ma se sono duemila anni che Gesù è venuto e che cosa è cambiato? Si, nel bene e nel male c’è una religione in più, ma dove sono le nostre sicurezze per il domani?"

E’ ancora Geremia che ci soccorre con l’immagine del germoglio: "In quei giorni farò germogliare un germoglio di giustizia".

(Per approfondire questa immagine mi servo liberamente di una riflessione di Pronzato.)

La speranza non è una costruzione solida, completa, precisa, definitiva. E’ un germoglio, ossia un indizio di vita. Una possibilità. Una promessa. Un presentimento. Un appuntamento per il futuro.

Al germoglio non ti puoi aggrappare per trovare sicurezza e sconfiggere la paura. Il germoglio lo devi custodire, difendere dal gelo, favorirne lo sviluppo.

E il Vangelo di Colui che viene ti presenta germogli che ti aiutano a crescere e che tu sei incaricato di far crescere.

E germogli spuntano anche nei deserti del mondo. Affiorano perfino tra le rovine.

La speranza, indubbiamente è difficile. Perché ha ben poco da farti vedere, perché non ti offre, oggi, qualcosa da godere, misurare, pesare, classificare, ma ti fa godere, oggi, per ciò che potrà sbocciare, domani.

Sperare significa fidarsi del futuro e prepararlo nella pazienza, nell’attesa trepida, nella fedeltà e nell’impegno presente.

Il germoglio non delude. Il germoglio che aspettiamo, però, ci invita a rischiare il tutto per Lui.

 

 

LUNEDI’ 4

San Giovanni Damasceno; Santa Barbara

Parola di Dio: Is. 2,1-5; Sal. 121; Mt. 8,5-11

 

"ENTRATO GESU’ IN CAFARNAO, GLI VENNE INCONTRO UN CENTURIONE CHE LO SCONGIURAVA" . (Mt. 8,5)

Un incontro non programmato quello di Gesù con questo centurione romano, eppure un incontro voluto e preparato nell’intimità del cuore dalla grazia di Dio che, pensate, quante cose realizza: la fede del centurione che si mette in viaggio e chiede umilmente, la guarigione del servo ammalato, la testimonianza che la fede non ha confini e che la grazia opera dove e quando vuole, l’affermazione del fatto che ogni uomo sulla terra senza distinzione di razze e di religioni è chiamato all’unica fede in Gesù.

Oggi, primo giorno di Avvento, sembra tutto programmato. La liturgia, bardata di viola, inizia un nuovo anno richiamandoci alla vigilanza e all’attesa. Nel nostro mondo consumistico è già da un po’ che si sente ‘odore di Natale’… Tutto secondo il copione collaudato sia nel campo della società come in quello della religione… E se non stai più che attento ti sfugge la novità di un incontro, di un fatto che sembra diverso dal programma.

Gli Apostoli erano convinti che la salvezza fosse soltanto per il popolo eletto e qui un romano, un pagano, un nemico del popolo viene indicato come uno che ha una fede più grande che in tutto Israele. E qui c’è un mercenario, soldato con tanta sensibilità e attenzione per un servo che altri non avrebbero considerato se non uno schiavo del valore più o meno di un asino. Un soldato, abituato a comandare, che chiede con umiltà.

Noi con le nostre organizzazioni, con i nostri schemi politici, sociali, morali, religiosi, rischiamo di tirar dritto, di non accorgerci della novità, di non lasciarci scombinare.

L’Avvento di quest’anno non sarà proprio un invito a ‘drizzar le orecchie’ a cogliere il nuovo che viene, a non lasciar passare invano una Presenza scomoda ma gioiosa, scombinante ma piena di novità? E quel Gesù che aspettiamo sarà il bambinello di gesso dei nostri presepi o uno straniero, magari appartenente anche ad una religione ‘nemica’, che però per amore di altri si è messo in cammino e vorrebbe incontrare in me un fratello con cui camminare?

 

 

MARTEDI’ 5

San Dalmazio di Pavia

Parola di Dio: Is. 11,1-10; Sal. 71; Lc. 10,21-24

 

"GESU’ ESULTO’ NELLO SPIRITO SANTO E DISSE: TI RENDO LODE, SIGNORE DEL CIELO E DELLA TERRA CHE HAI NASCOSTO QUESTE COSE AI DOTTI E AI SAPIENTI E LE HAI RIVELATE AI PICCOLI". (Lc. 10,21)

E’ davvero difficile incontrare e saper leggere la gioia vera in una persona. Ma c’è stata una persona in particolare che mi ha fatto sentire che la gioia profonda può davvero essere una realtà. Questa persona è una suora di clausura davanti alla quale mi sentii perfino imbarazzato quasi le stessi carpendo qualcosa che lei, invece, forse non si accorgeva neppure di donare.

La conoscevo da tempo ed ero andato a trovarla e, siccome l’essere prete apre anche le foresterie dei conventi di clausura, col debito permesso della "reverenda madre" mi fu permesso di vederla e di parlarle.

Aveva sì e no una trentina d’anni ed era in clausura da sei o sette. L’aspettavo seduto nella penombra del parlatorio ed essa entrando dal corridoio luminoso, subito non mi vide.

Ebbi tempo di guardarla in volto. Un volto ancora più esile di come lo ricordavo, incorniciato dal velo, con degli occhi luminosi, appena velati da un po’ di malinconia. Abituandosi alla penombra mi vide al di qua della grata e a quel punto i suoi occhi divennero così chiari e vivaci, ma anche umili e semplici che riempirono il suo volto. Si avvicinò alla grata e disse con voce argentina e fresca: "Sia benedetto Dio che ci fa anche questo dono di rivederci".

Non sapevo più che cosa dire. Tutto mi sembrava banale. Avevo davanti a me la gioia vera, non solo la felicità di ritrovare una persona conosciuta, ma la gioia più profonda che aveva investito tutta la sua vita ed anche quella piccola ombra di malinconia non era di certo quella dei ricordi, ma quella della speranza di arrivare presto… là dove era incamminata.

Gesù esulta nello Spirito Santo quando vede i suoi amici ritornare, stanchi ma contenti, dalla loro prima missione (pensate anche solo a come è bello tornare a casa la sera e trovarsi accolto da due occhi gioiosi di rivederti!).

Ma la gioia di Gesù non è solo per dire: "Bravi!" ai suoi apostoli. E’ una gioia che ha un orizzonte più grande: Dio e tutti gli uomini.

Gesù loda e ringrazia Dio per loro, per noi, per me quando mi lascio lavorare dallo Spirito, quando il mio vuoto, le mie incapacità si lasciano riempire di Lui.

Dio è all’opera con l’uomo. Con me, con coloro che mi stanno intorno. Ogni volta che io o gli altri diciamo di sì, Egli opera, fa il bene e il suo Regno arriva un po’ di più.

 

 

MERCOLEDI’ 6

San Nicola; Sant’Emiliano

Parola di Dio: Is. 25,6-10; Sal.22; Mt. 15,29-37

 

"MA GESU’ DOMANDO’: QUANTI PANI AVETE?". (Mt.15,24)

Solo due domeniche fa, celebrando la festa di Cristo Re, ci siamo fermati a pensare anche al mistero del suo Regno che ci viene proposto. Il Vangelo di oggi ci aiuta a scoprire alcune caratteristiche di questo Regno.

Prima di tutto vediamo a chi si rivolge il Regno: attorno a Gesù si raduna "molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati".

Dunque il Regno non è una setta segreta, un qualcosa di riservato ad una élite di iniziati o ad una categoria di persone ben determinate. La folla comprende tutti, ricchi, poveri, farisei, artigiani, pescatori, anche se in questo caso prevalgono uomini comuni e tanti malati e deboli. Allora il Regno è per tutti e di tutti: nessuno può averne l’esclusiva; al massimo, se in esso c’è una preferenza, è per i deboli, i malati, i peccatori che hanno bisogno di guarire dentro.

Queste persone suscitano "la passione di Gesù", infatti, quando il Vangelo riferisce le parole di Gesù: "Sento compassione di questa folla", non vuole solo dirci che Gesù commiserava questi poveri ma che Gesù si accendeva di amore per loro, guariva i malati, dava da mangiare agli affamati, perdonava e accoglieva i peccatori, dava e dà la sua vita per noi.

Nel Regno di Gesù ci sono compiti e ruoli diversi.

E qui potremmo dire: "Poveri noi! Allora è un regno gerarchico, come tutti gli altri!" Ma qual è il compito degli Apostoli e dei discepoli? "Date loro da mangiare".

Non è un ruolo di comando, di potere, è un ruolo di servizio.

Il discepolo, l’Apostolo non è uno che si preoccupa dei gradi e di quale fetta di potere questi gradi gli diano, è uno che, aiutato da Gesù, sente anche lui di compatire, cioè di patire con i poveri, gli affamati, i peccatori. E’ uno che si guarda attorno, che cerca se nel suo zaino ci siano sette pani e pochi pesciolini da mettere a disposizione di Gesù e degli altri, è uno che non si scoraggia davanti alla propria pochezza e alla povertà degli altri, ma mette il suo nulla nelle mani di Dio per servire gli altri.

E Gesù, allora, compie il miracolo e ci fa scoprire che il Regno è pane condiviso, è presenza e comunione con Dio, è liberazione e gioia di stare insieme.

 

 

GIOVEDI’ 7

Sant’Ambrogio

Parola di Dio: Is. 26,1-6; Sal. 117; Mt. 7,21.24-27

 

"NON CHIUNQUE MI DICE: SIGNORE, SIGNORE…". (Mt. 7,21)

Vi offro oggi una riflessione di Alessandro Pronzato presa dal suo libro: "Voglia di pregare".

Ci sono quelli che non pregano. E quelli che credono di pregare.

Non so proprio chi sia più pericoloso.

Quando vedo certe persone capaci di sottili crudeltà, incredibili durezze, disgustose cattiverie, inginocchiate devotamente, devo lottare per non desiderare… due spanne di miccia e un chilo di tritolo (se basta).

Ma quelli sono i profanatori della preghiera.

Una preghiera individualistica, intimistica, che rende sordi al grido del fratello non è preghiera: è la sua odiosa caricatura.

Quante cose è la preghiera fuorché preghiera.

Se vedi qualcuno che prega per un senso di dovere e poi si sente soddisfatto per "essersi tolto un pensiero", sbrigato una "pratica", per aver compiuto una prestazione gravosa, non equivocare, per favore. Quella non è preghiera ma polverosa burocrazia, rigida fiscalità, miserabile contabilità dello spirito.

E se vedi qualche "uomo di preghiera" che non ha rispetto per gli altri, dissacra i fratelli, vomita chiacchiere, calunnie, pettegolezzi sospetti, si rende complice di ingiustizie, eppure in chiesa si mostra "tanto pio"… non illuderti, mi raccomando. Quei gesti, quelle genuflessioni, quei sospiri sono atti sacrileghi e quelle preghiere sono bestemmie.

Diffida di chi prega in una certa maniera. Non lasciarti ingannare da quelli che credono, si illudono, si vantano, fanno finta di pregare.

Ma diffida anche di quelli che non pregano. Non lasciarti incantare dai loro discorsi intelligenti, dalla loro terminologia astrusa, dalla loro problematica elegante, dalle loro prospettive naturalmente molto "ampie". Quelli sono poveri nonostante gli stracci sgargianti che sventolano come bandiere, nonostante i libri, le disquisizioni, il gergo e la problematica che non aiuta a vivere. Poveri che ti mostrano il desolato paesaggio della loro miseria.

Cerca di essere intelligente. C’è una preghiera che è liturgia blasfema. Ma c’è anche un’assenza di preghiera che è la pubblicità del vuoto.

Non devi scegliere tra due mali, due maschere, due caricature, due contraffazioni.

Cerca piuttosto di inventare la tua preghiera. Vera.

 

 

VENERDI’ 8

IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

Parola di Dio: Gen. 3,9-15.20; Sal.97; Ef. 1,3-6.11-12; Lc. 1,26-38

 

1^ Lettura ( Gn 3,9-15.20)

Dal libro della Genesi

Dopo che Adamo ebbe mangiato dell'albero, il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: "Dove sei?". Rispose: "Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto". Riprese: "Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?". Rispose l'uomo: "La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato". Il Signore Dio disse alla donna: "Che hai fatto?". Rispose la donna: "Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato". Allora il Signore Dio disse al serpente: "Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno". L'uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi.

 

2^ Lettura (Ef 1, 3-6.11-12)

Dalla lettera di San Paolo Apostolo agli Efesini

Fratelli, benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia…

 

Vangelo (Lc 1, 26-38)

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te". A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine". Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo". Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio". Allora Maria disse: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". E l'angelo partì da lei.

 

RIFLESSIONE

 

Oggi celebriamo una festa ancora sentimentalmente molto sentita, ma anche incompresa dai più nel suo significato profondo.

Che cosa significa celebrare l’Immacolata concezione di Maria? Significa in particolare ricordare un dono che Dio ha fatto alla madre di suo Figlio, qui sulla terra.

Che cosa regaleremo, noi, a nostra madre o ad una persona cara, se ne avessimo le possibilità? La salute, la felicità, una grossa cifra di denaro, una cosa che sappiamo essere desiderata…

Dio non fa a Maria dono di ricchezze. Il Vangelo ci testimonia ad esempio che Maria, alla presentazione di Gesù al Tempio offre due colombe, il riscatto dei poveri, dunque non aveva neanche i soldi per poter offrire un agnellino.

Dio non dà a Maria neppure il successo. Il vecchio Simeone le dirà: "Una spada ti trafiggerà l’anima" e Lei, durante la Passione, sarà indicata a dito come la "madre del condannato".

Dio avrà dato a Maria la bellezza fisica? Io penso di sì, ma come conseguenza, manifestazione della bellezza interiore, comunque fotografie di Maria non ne abbiamo.

Dio non la dispensa dalle tribolazioni e neanche dai fastidi e dalle preoccupazioni della vita quotidiana.

Il dono che Dio fa a Maria è quello di non essere sfiorata dal peccato.

Ci aiuta a capire questo "strano dono" proprio la prima lettura di oggi. Dio aveva detto il suo "sì" di amore per l’uomo, ma l’uomo ha preferito seguire la strada dei ‘no’, quella del serpente. Da lui ha imparato la disobbedienza, la paura, il nascondersi, il giocare a scaricare la colpa sugli altri.

E questa non è solo la storia di quei due che si chiamano Adamo ed Eva, è la storia di ogni uomo e di ogni donna, sempre!

Nell’Immacolata celebriamo la decisione del Padre che, dovendo scegliere un’abitazione terrestre per il proprio Figlio, non pensa ad una reggia ma ad un corpo, ad un cuore di carne e rende questa dimora tutta santa , separata dal peccato.

Oggi, per molti sembra un anacronismo parlare di peccato.

Per molti è retaggio medievale o esclusivamente un prodotto delle religioni per avere potere sulle persone, quindi molti lo hanno abolito, si sono fatti immacolati da soli.

Noi siamo pronti a vedere il male fuori di noi, siamo pronti a scandalizzarci davanti a certe manifestazioni del male, magari invochiamo anche pene maggiori contro chi lo opera, ma allorché ce lo troviamo dentro, quando ci sollecita a fare scelte egoistiche ci giustifichiamo: "Che male c’è? Siamo umani, dunque gente che sbaglia! Se tutti mali fossero qui!", e lasciamo tranquillamente passare piccole e grosse vigliaccherie, tradimenti, compromessi non caritatevoli, ipocrisie interessate, menzogne assortite, parole non giuste e contribuiamo così ad accrescere il male già presente nel mondo.

La festa di oggi ci ricorda che il peccato c’è, e c’è anche dentro di me, ed è soprattutto il non realizzarci come Dio vorrebbe. Ma ci ricorda anche che Dio è più forte del peccato.

Guardo dunque a Maria con speranza: quella carne senza macchia è anche un po’ la nostra; la vecchia e sgangherata umanità, dopo una serie continua di ‘no’ a Dio può finalmente ricominciare a dire il suo ‘sì’ . Maria è speranza anche per me: con Dio il peccato è vincibile.

Ma guardo anche a Maria con un po‘ di nostalgia: Infatti Lei diventa anche lo specchio delle nostre occasioni mancate, delle nostre mezze risposte svogliate davanti agli inviti del Signore. Se guardo ai miei anni passati vedo come avrei potuto essere se fossi stato più coraggioso, se fossi stato meno tentennante tra il bene e il male. Troppe volte sono stato cieco, sordo, insensibile, assente, triste inerte, troppe volte ho scaricato sugli altri le mie responsabilità...

Guardando a Maria, la realizzata sento nascere oltre alla nostalgia una gran voglia di pulito.

Maria, tutte le volte che mi sono messo davanti a te, ti ho immaginata così come le esperienze e le situazioni della vita mi suggerivano in quel momento. Ti ho pensata giovane ragazza, mamma comprensiva dal dolce volto, braccia di rifugio nella tempesta, accoglienza paziente dopo il peccato, Regina supplice per noi davanti a tuo Figlio, donna e madre addolorata ai piedi della croce.

Ma sempre, e anche oggi, guardo a Te come alla persona più bella e più pura della nostra umanità.

Il nostro mondo, tu lo sai, è tutt’altro che pulito.

Ci sono mancanze gravissime di cui noi tutti siamo colpevoli: muoiono ancora milioni di persone per mancanza di cibo e di cose essenziali mentre altri milioni di persone hanno tutto, troppo.

Si sfruttano, si violentano, si schiavizzano i poveri per ottenere sempre maggiori ricchezze a favore di qualcuno, si uccide ancora in tantissimi modi, con le guerre considerate giuste o ingiuste, con armi sempre più sofisticate…

Maria, si sente sempre più puzza in questo mondo e non soltanto la puzza del sudore dei poveri, ma, appena entri in certe famiglie per bene quanta puzza di soprusi, di falsità di belle apparenze che nascondono il marcio; perfino nella comunità dei cristiani a volte c’è puzza di arrivismo, di compromessi con il potere, puzza di soldi, di ipocrisie, di chiusura, di giudizi; e se appena entro in me anche qui, spesso devo tapparmi il naso: egoismo, virtù che marciscono, occasioni perdute, passività, musi lunghi, umiltà pelose, compromessi con il potere, schiavitù delle cose…

Maria, ho voglia di aria pulita, voglia di bello, voglia di speranza e allora guardo a te per il dono meraviglioso che Dio ti ha fatto, ma anche per come lo ha accolto e lasciato fruttificare in te.

Tu non sei stata passiva. Al dono hai risposto. La tua vita e non solo le tue parole sono state la lode per Colui che aveva abbassato lo sguardo sulla tua povertà.

Tu Immacolata non hai avuto paura di sporcarti i piedi per portare Gesù ad incontrare Giovanni ancor prima della nascita, non hai avuto paura di sporcarti le mani mettendoti a servizio di tua cugina Elisabetta. Tu hai accettato di vivere con il tuo Figlio, il Figlio di Dio, la condizione di esule. Tu, anche quando non capivi il mistero che stavi vivendo, hai tenuto tutto nel cuore, meditando. Tu, Maria non ti sei messa in mostra ma sei stata premurosamente e silenziosamente dietro a tutto, non ti sei imposta a nessuno, ma hai seguito con amore di madre la Chiesa nascente.

Maria, ho bisogno di guardare a te, abbiamo bisogno di guardare a te, abbiamo bisogno di sentire il profumo della speranza per questa nostra povera umanità e per noi stessi.

Aiutaci a non sostare attoniti sotto l’albero del bene e del male, aiutaci a smetterla di pensarla secondo il serpente, fa che guardiamo invece più in là, in quel meraviglioso giardino che Dio ha messo a nostra disposizione.

Fa che, guardando a te, smettiamo di essere uomini e donne del ‘no’ o del ‘ni’ e possiamo lasciare operare a Dio in noi un ‘sì’ deciso, gioioso, pieno.

Maria Immacolata fa’, come dice la preghiera della Messa di oggi, che anche noi possiamo andare incontro a Cristo che viene, come te, in santità e purezza di spirito. Amen

 

 

SABATO 9

San Siro

Parola di Dio: Is. 30,19-21.23-26; Sal. 146; Mt. 9,35-10,1.5-8

 

"GESU’, VEDENDO LE FOLLE, NE SENTI’ COMPASSIONE PERCHE’ ERANO STANCHE E SFINITE, COME PECORE SENZA PASTORE". (Mt. 9,36)

Sono tanti i modi di guardare la folla.

Sei sulla tangenziale e vedi sfrecciare frenetiche e ad alta velocità una fila interminabile di auto e di camion e ti immagini la folla di quegli automobilisti, ciascuno chiuso non solo nel suo guscio di latta, ma anche in se stesso, nei propri problemi, con addosso la frenesia della fretta… un popolo in viaggio… avanti e indietro, apparentemente senza meta, come le formiche…

Vedi la folla di giovani inneggianti riunita per un concerto rock e pur nella varietà degli abbigliamenti stenti a distinguere uno dagli altri: stessi gesti, stessi urli, stessi balli…

Vedi le folle inquadrate dei comizi degli ultimi totalitaristi della terra e vedi le folle tristi di esuli che, con quattro stracci recuperati in fretta, stanno lasciando la propria casa e la propria terra; vedi le folle osannanti e le folle imbestialite, assetate di sangue, assassine; folle che cantano e ballano per una vittoria o che assaltano e uccidono.

C’è chi vede la folla come una forza: se li sai guidare loro urlano, pagano e tu ottieni; c’è chi li vede come accozzaglia in cui solo la canaglia emerge, chi la teme, chi ne ricerca il plauso…

Molta gente andava dietro a Gesù.

C’è chi lo segue perché cerca una via, una speranza; chi vuole vedere un miracolo; chi spera che Lui sia il leader politico che porti ad una liberazione; chi lo segue per osservarlo e poi riferire; chi desidera solo buttarsi ai suoi piedi e chiedere perdono…

Quella che segue Gesù è una folla di poveri e di malati, è una folla che si entusiasma: dopo la moltiplicazione dei pani, "Vennero per farlo re", all’ingresso in Gerusalemme acclamano: "Osanna al Figlio di David"; è una folla di cui i capi religiosi hanno paura: "E non gli fecero nulla per paura della folla", ma è anche una folla che, guidata, può arrivare a gridare: "A morte! Vogliamo libero Barabba!".

Come guarda la folla, Gesù?

Egli vede sì il popolo, i poveri, le aspirazioni della sua gente, ma vede anche le singole persone e i cuori.

Gesù non sfrutta le folle; non le arringa, parla loro con dolcezza e decisione; non si lascia inglobare da nessun movimento; schiacciato in mezzo alla folla percepisce il gesto furtivo di quella donna che lo tocca per essere guarita; riesce a cogliere la curiosità e l’inconscio desiderio di Zaccheo e lo snida dalla sua pianta; riesce con gesti calmi e richiamo a valori a calmare la folla inferocita che vuol lapidare l’adultera; sente "compassione", cioè fa sue le passioni, le sofferenze, i desideri della folla e cerca concretamente rimedi.

Chissà se noi, guardando agli uomini di oggi riusciamo a ‘vedere oltre’ e a ‘vedere dentro’ e riusciamo a vedere i problemi veri della gente e a venire loro incontro?

Anche noi facciamo parte del popolo, della folla: possiamo diventare "popolo bue", possiamo lasciarci inglobare dai luoghi comuni del potere e della moda o possiamo, con fatica, ritrovare la nostra individualità di persona e il nostro modo di pensare da cristiani.

Quando Gesù voleva mandare pastori per il suo popolo o pregava per l’unità dei credenti, non parlava né di potere né di ricerca di uniformità delle masse, desiderava soltanto un popolo formato non da numeri o etichette, ma di persone con una meta: Dio e con un unico Pastore, Gesù che attraverso il dono del suo amore e grazie al nostro amore vicendevole, avesse fatto di noi davvero il popolo di Dio.

 

 

DOMENICA 10

2^ DOMENICA DI AVVENTO

Madonna di Loreto

Parola di Dio: Bar. 5,1-9; Sal. 125; Fil. 1,4-6.8-11; Lc.3,1-6

 

1^ Lettura (Bar. 5, 1-9)

Dal libro del Profeta Baruc.

Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell'afflizione, rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul capo il diadema di gloria dell'Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre: Pace della giustizia e gloria della pietà. Sorgi, o Gerusalemme, e sta in piedi sull'altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti da occidente ad oriente, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo come sopra un trono regale. Poiché Dio ha stabilito di spianare ogni alta montagna e le rupi secolari, di colmare le valli e spianare la terra perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso faranno ombra ad Israele per comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui.

 

2^ Lettura (Fil. 1, 4-6.8-11)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi.

Fratelli, prego sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente, e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. Infatti Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

 

Vangelo (Lc. 3, 1-6)

Dal vangelo secondo Luca.

Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

 

RIFLESSIONE

 

Quando, parecchi anni fa, fiato, gambe e una buona dose di incoscienza me lo permettevano, ero solito, magari in compagnia di qualche mezzo matto come me, addentrarmi nelle montagne o della Val di Susa o della Val d’Aosta per poi, lasciato il sentiero, provare qualche arrampicata in luoghi non battuti. Spesso mi accompagnavano, in queste avventure, i fischi delle marmotte. Si capiva benissimo quando stavi per entrare nel loro territorio. Dall’alto di una pietra la marmotta sentinella si drizzava e lanciava il suo segnale a cui subito rispondevano altre sentinelle dislocate in altri punti chiave del territorio: Tutti erano avvisati, stava arrivando un estraneo.

Il ricordo di questi episodi mi è ritornato in mente mentre leggevo la prima lettura di oggi dove il profeta Baruc invita Gerusalemme a stare in attesa, a salire su un monte, a guardare in lontananza, per vedere il Signore che sta arrivando con la sua salvezza. E mi piace pensare ai cristiani riuniti per l’Eucaristia come a quel drappello di esploratori, una specie di avanguardia che drizza il capo, si accorge di qualcuno che viene e poi dà il segnale, corre ad avvisare gli altri: "Dio sta venendo! Non è solo il ricordo storico della sua venuta quello che ci prepariamo a celebrare, Egli sta venendo davvero, dobbiamo andargli incontro, preparargli la strada, aprire il cuore per accoglierlo!"

Ed ecco che Luca, dopo la solenne apertura di questo capitolo piena di dati per garantirci la storicità dell’evento, ci annuncia: "La Parola di Dio scese su Giovanni, nel deserto…"

Tutto parte da una Parola.

Sembra quasi di essere ritornati alla prima pagina della Bibbia dove ogni Parola che Dio diceva si concretizzava in un atto creativo. Là Dio aveva creato tutto fino all’uomo, Dio aveva visto che tutto quello che aveva fatto era buono, bello. Era poi stato l’uomo a rovinare tutto con il peccato. Ecco allora che a tutte quelle Parole creative ne era venuta a mancare una, l’ultima: il Figlio che porta il perdono.

E allora Dio, "nella pienezza dei tempi", comincia a pronunciare questa parola attraverso il cuore e la vita di colui che doveva preparare la strada a Gesù.

Però notiamo quella che per noi è un’incongruenza. Questa Parola che viene per annunciare, per arrivare al cuore di tutti gli uomini, risuona nel deserto. C’era Roma, caput mundi, c’era Atene con la sua cultura e con i suoi filosofi, c’era Gerusalemme con il suo tempio… ma la parola sceglie il deserto.

La Parola per attecchire ha bisogno di deserto, di silenzio, di essenzialità, di scelte decise. Dovrebbero ricordarlo specialmente certi personaggi di religione che hanno ridotto la parola ad un show televisivo e che pensano di conquistare nuovi adepti solo gridando la Parola in mezzo alle parole del consumismo. La Parola di Dio si trova male in mezzo a detersivi e pannolini, non tanti perché essa non sia nelle necessità quotidiane degli uomini quanto perché consumismo e Parola, folclore e sacralità , Dio e soldi non vanno proprio d’accordo.

Nel deserto, in un personaggio austero come Giovanni, questa Parola attecchisce, anzi Giovanni con la sua persona dura e angolosa diventa l’incarnazione della Parola che annuncia.

Proviamo oggi a fermarci un momento, ad ‘andare’ in quel deserto e sentire ciò che Giovanni con la sua parola e con se stesso annuncia.

"Il Signore viene".

E’ diverso dal dire: "Viene Natale". Natale è un’occasione, un ricordo, qui è proprio una Persona, il Figlio di Dio che sta venendo. Lo dicevamo già domenica scorsa: ogni ora del nostro tempo che passa ci avvicina all’incontro definitivo con Lui e in ogni ora c’è una sua venuta.

Se volete, una fiaba di Bruno Ferrero può farci ancora riflettere su questo.

C’era un’anziana signora che passava in pia preghiera molte ore della giornata. Un giorno sentì la voce di Dio che le diceva: "Oggi verrò a farti visita". Figuratevi la gioia e l’orgoglio di questa donna. Cominciò a pulire e lucidare, impastare e infornare dolci. Poi indossò il vestito più bello e si mise ad aspettare l'arrivo di Dio. Dopo un po’ qualcuno bussò alla porta. La vecchietta corse ad aprire. Ma era solo la sua vicina di casa che le chiedeva in prestito un pizzico di sale. La vecchietta la spinse via: "Per amor di Dio, vattene subito, non ho proprio tempo per queste stupidaggini! Sto aspettando Dio nella mia casa! Vai via!" E sbatté la porta in faccia alla vicina allibita.

Qualche tempo dopo bussarono di nuovo. La vecchietta si guardò allo specchio, si rassettò e corse ad aprire. Ma chi era? Un ragazzo infagottato in una giacca troppo larga che vendeva bottoni e saponette da quattro soldi. La vecchietta sbottò: "Io sto aspettando il buon Dio. Non ho proprio tempo. Torna un’altra volta!". E chiuse la porta sul naso al povero ragazzo.

Poco dopo bussarono nuovamente alla porta. La vecchietta aprì e si trovò dinanzi un vecchio cencioso e male in arnese. "Un pezzo di pane, gentile signora, anche raffermo… E se potesse lasciarmi riposare un momento qui sugli scalini della sua casa", implorò il povero.. "Ah, no! Lasciatemi in pace! Io sto aspettando Dio! E stia lontano dai miei scalini!" disse la vecchietta stizzita. Il povero se ne partì zoppicando e la vecchietta si dispose di nuovo ad aspettare Dio.

La giornata passò, ora dopo ora. Venne la sera e Dio non si era fatto vedere. La vecchietta era profondamente delusa. Alla fine si decise ad andare a letto.

Stranamente si addormentò subito e cominciò a sognare. Le apparve in sogno il buon Dio che le disse: "Oggi per tre volte sono venuto a visitarti, e per tre volte non mi hai ricevuto"

Dio viene. Non perderti le occasioni di incontrarlo.

"Preparate la via", è l’invito di Giovanni. Non è questione di preparare le palline colorate dell’albero di Natale o di rispolverare le statuine del presepio. Ci sono almeno due vie da preparare, quella del tuo cuore e quella del nostro mondo. E questo lo si può fare solo se si parte da un desiderio vero: desideri davvero incontrare e seguire Gesù? Sei convinto che questo nostro mondo abbia bisogno di Cristo ed hai voglia di portarglielo?

"Ogni burrone sia riempito": quanti buchi nella mia vita! Zone in cui siamo manchevoli di speranza, di carità, di pazienza, di coraggio, di servizio… Si tratta di cominciare a riempire questi buchi… "Ma sono troppi, non so neanche da che parte cominciare". Non perderti d’animo! Essendo un tipo fondamentalmente disordinato, ogni tanto, preso da un raptus di desiderio di ordine, mi trovo davanti ad una scrivania su cui si sono accumulate una quantità di scartoffie, di libri aperti, di foglietti di appunti: sembra impossibile aprirsi una via. Ma se la buona volontà non desiste, poco per volta i fogli, i libri trovano il loro posto e il piano del tavolo comincia a riapparire. Così è anche nella nostra vita interiore, si sono accumulate tante cose che non si vede più la via che il Signore sta percorrendo per raggiungerci: bisogna deciderci allo sgombero.

"Ogni monte e colle sia abbassato": i monti e i colli della superbia, dell’orgoglio, della supponenza, della caparbietà… Dobbiamo diventare umili. Il Signore salva gli umili, dà la grazia agli umili.

"I passi tortuosi siano diritti": tutti dobbiamo eliminare la falsità, la tortuosità, l’ipocrisia. Dobbiamo essere schietti e leali con Dio, con gli altri, con noi stessi.

"I luoghi impervi siano spianati: dobbiamo eliminare le incertezze, le timidezze, le viltà, le paure. Dobbiamo procedere con coraggio e decisione

E tutto questo va fatto, come dice la prima lettura, "deponendo la veste de lutto e dell’afflizione per indossare quella della gloria".

E vero che può essere molto duro abbassarci da certe forme di egoismo, tagliare la cresta a certi orgogli, colmare i buchi di certe mancanze, combattere contro certe tentazioni, ma non è assolutamente triste se lo fai per incontrare il tuo Dio, il tuo liberatore, il tuo sposo che viene per farti "entrare nella sua gioia".

 

 

LUNEDI’ 11

San Damaso I°

Parola di Dio: Is.35,1-10; Sal. 84; Lc. 5,17-26

 

"UOMO, I TUOI PECCATI TI SONO PERDONATI". (Lc. 5,20)

Non sono mai stato ‘una cima’ a scuola: un mucchio di fantasie, il cambiare sovente nei miei intenti e desideri non facilitavano la mia attenzione specialmente nelle materie tecniche e scientifiche per cui sui miei quaderni spesso c’era un vero e proprio cimitero di croci rosse e blu.

Qualche volta guardavo quei quaderni che all’inizio d’anno avevo comprato e intestato con tanta cura: come sarebbe stato bello poter ricominciare tutto da capo!

"Uomo, ti sono rimessi i tuoi peccati!".

C’è da restare stupiti come gli scribi e i farisei di allora. Chi può perdonare, riscrivere tutto? Chi può cancellare quelle croci, quei votacci?

Eppure Gesù è venuto proprio per dirci questo: Dio mi ha mandato perché io ti perdoni, perché tu, con me, possa riscrivere quelle pagine e possa scriverne ancora tante altre senza croci rosse e blu.

Io, da solo, non posso perdonarmi. Io, con i miei errori, mi sono creato dei grossi debiti nei confronti di Dio e dei fratelli e non ho il sufficiente per sanarli. Non posso neanche accampare dei diritti nei confronti di Dio. Gesù, invece, questo può farlo e lo ha fatto: Lui, servo obbediente, Agnello immolato, ha dato al Padre se stesso, la sua vita, la sua sofferenza proprio per azzerare il debito, per darmi un quaderno nuovo. Bisogna crederci, però!

Nella mia vita di prete, a nome di Gesù, quante migliaia di volte avrò alzato la mano benedicente ed ho detto: "I tuoi peccati sono perdonati"! E se, ogni volta, ho tremato, pensando che addirittura la misericordia di Dio passava attraverso le mie parole, le mie mani, la mia povera persona, ho poi visto in alcuni operare la Grazia, in altri l’abitudine, in altri addirittura la sfiducia che il perdono di Dio potesse esserci stato ed essere totale.

Per non vanificarlo, bisogna crederci al perdono di Dio!

Dio, in Gesù, non solo non è il giudice severo che non perdona, neanche il ‘buon uomo’ che dice: "Facciamo finta che non sia successo niente", non è soltanto colui che strappa le pagine del quaderno giustamente contrassegnate in rosso e in blu, è Colui che, mentre perdona, continua a riscrivere con te, è Colui che , se lo accogli, ti rinnova dentro, ti dà la forza e il coraggio per ripartire; forse i vocaboli saranno sempre gli stessi, ma con Lui ogni parola risuonerà diversamente, il tempo dei verbi impiegati non sarà soltanto il presente che stiamo vivendo ma anche il futuro della speranza certa, la persona impiegata non sarà solo la prima persona personale, l’ "io" egoista ed invadente, ma la coniugazione penserà agli altri e, prima di tutto, a Colui che è entrato nella nostra vita per perdonarci.

 

 

MARTEDI’ 12

Santa Giovanna Francesca di Chantal

Parola di Dio: Is. 40,1-11; Sal. 95; Mt.18,12-14

 

"SE UN UOMO HA CENTO PECORE E NE SMARRISCE UNA, NON LASCERA’ FORSE LE NOVANTANOVE SUI MONTI, PER ANDARE IN CERCA DI QUELLA PERDUTA?" . (Mt. 18,12)

Proprio partendo da questa parabola, i cristiani, spesso, nell’iconografia hanno rappresentato Gesù come il buon pastore con la pecorella sulle spalle. Giustissimo! Ma qui Gesù vuole soprattutto mostrarci quale sia il volto del Padre e il suo atteggiamento nei nostri confronti.

Il Dio che ci ha annunciato Gesù non è mai il dio dei filosofi, monade assoluta staccata dalla realtà, non è neanche il dio giudice sempre a caccia dei nostri peccati per poterli condannare, non è neanche colui che, davanti al nostro peccato, se ne lava le mani e dice: "Pazienza, se ne ho perso uno me ne restano ancora tanti". Egli è un Padre che non si rassegna a perdere nessuno dei suoi figli e con tenerezza e pazienza li va a ricercare.

Per Dio non esiste gente senza importanza, ama ognuno di noi, personalmente. Per Lui noi valiamo il sangue di Gesù, perciò, nonostante la nostra nullità, per Lui noi siamo preziosi. E’ il Dio che gioisce e preferisce la conversione di un solo peccatore all’autosufficienza di una infinità di "buoni" soddisfatti di se stessi. Dio non è classista, non lo si compra con le buone azioni, non lo si porta dalla nostra parte solo perché abbiamo etichette e maschere di religione.

Tra noi, purtroppo, spesso ci sono queste discriminazioni e quindi sia quelli che si propugnano progressisti, quanto quelli che vogliono conservare ad ogni costo la purezza della religione, spesso pensano di essere migliori degli altri, perché gli altri sono "peccatori", cioè non praticanti, divorziati, alcolisti, drogati, lussuriosi, ladri, delinquenti… E da ciò spesso nasce l’intolleranza, l’intransigenza, l’incapacità di amare il fratello, la critica di tutto e di tutti, la soddisfazione di se stessi e il crogiolarsi nella propria condotta e pratica religiosa.

Il Padre e Gesù ci insegnano diversamente.

Il nostro amore cristiano deve riflettere l’amore e la compassione di Dio, quindi non possiamo e non dobbiamo discriminare né emarginare nessuno, ma dobbiamo andare incontro all’altro per amarlo, aiutarlo a liberarsi di tutto quello che può diminuire la sua dignità umana o offendere la sua realtà di Figlio, e se Dio parte con pazienza alla ricerca dell’uomo possiamo, noi che ci diciamo Chiesa del Figlio di Dio, condannare il fratello solo perché è diverso da noi, o abbandonarlo solo perché ha lasciato casa?

 

 

MERCOLEDI’ 13

Santa Lucia; Santa Odilia

Parola di Dio: Is. 40,25-31; Sal. 102; Mt. 11,28-30

 

"VENITE A ME VOI TUTTI CHE SIETE AFFATICATI E OPPRESSI E IO VI RISTORERO’" . (Mt. 11,28)

Credo nel dono della vita e contemplo e vivo nella meraviglia e nella riconoscenza ma, contemporaneamente, faccio ogni giorno esperienza della precarietà della vita. Quanto è breve la vita umana! L’uomo così prodigioso nel suo fisico e nel suo intelletto può essere spazzato via da un terremoto o da una inondazione, può essere ucciso da un germe o dalle sue stesse cellule impazzite.

Gioisco della mia mente, del mio studio, della mia scienza ma vivo continuamente in mezzo al mistero.

Abbiamo la possibilità di vivere bene insieme, con beni sufficienti per tutti e invece ci uccidiamo; moriamo chi per indigestione, chi per fame. Il lavoro mi rende partecipe alla creazione, ma spesso mi stanca, mi schiavizza, mi uccide.

Chi non ha fatto esperienza della fatica, del dolore, della delusione, del male?

Sono anch’io nella schiera degli "affaticati e oppressi" per cui Gesù è venuto.

Ho bisogno di Lui per comprendere a fondo la vita, per poter gioire sapendo che la mia gioia attuale, piccola e precaria, non è che un anticipo di quella gioia eterna e definitiva a cui Cristo mi ha chiamato.

Ho bisogno di Lui per capire che tutti gli sforzi di bene, i tentativi di amore del prossimo, compresi quelli non capiti, quelli respinti, non vanno persi perché trovano motivazione e completamento nella sua passione di amore e nella sua risurrezione.

Ho bisogno di Lui per non cadere nel pessimismo nei confronti della vita e dell’umanità, ho bisogno di riscoprire in Lui che gli uomini sono tutti miei fratelli perché fratelli suoi e figli di Dio come me.

Ho bisogno di rifugiarmi tra le braccia della sua misericordia per sapere che il mio peccato, invincibile per me, è perdonato.

Ho bisogno di Dio per vivere ed ho bisogno di Dio per morire.

E’ vero, Gesù non ha risolto esteriormente niente della sofferenza, della morte, del mistero: si continua a morire, a soffrire, a brancolare nel buio, il ‘giogo’ continua ad essere tale, ma con Lui il giogo diventa sopportabile, leggero, perché lo porta Lui con noi… e poi con Lui scopri che anche il giogo è amore.

 

 

GIOVEDI’ 14

San Giovanni della Croce

Parola di Dio: Is. 41,13-20; Sal.144; Mt. 11,11-15

 

"DAI GIORNI DI GIOVANNI BATTISTA FINO AD ORA, IL REGNO DI DIO SOFFRE VIOLENZA E I VIOLENTI SE NE IMPADRONISCONO". (Mt. 11,12)

Il brano di Vangelo che abbiamo letto oggi è l’elogio che Gesù fa di Giovanni Battista. Quest’uomo, "più grande tra i nati da donna" è indicato come uno che è entrato nel Regno e lo ha "carpito con violenza".

Noi, come Gesù non amiamo la violenza. Eppure, entrare nel regno non è una semplice passeggiata, Gesù non è un semplice rimedio, un toccasana ai mali dell’uomo, il cristianesimo non è un manuale di cortesia o di buona educazione per una convivenza serena…

In che modo Giovanni si è impadronito con violenza del Regno?

E’ stato scelto da Dio per una missione ed egli ha accettato, comprese tutte le conseguenze, anche quelle di certo non piacevoli. Ha scelto il deserto e non "le morbide vesti", ha dovuto "gridare" per farsi sentire, non si è piegato "come una canna mossa dal vento" e non ha ceduto alle lusinghe né dei religiosi, né dei potenti, nè al ‘buon senso’. Ha parlato contro il potere sapendo che con questo si giocava la testa; ha indicato Gesù, è "diminuito perché Lui cresca", non si è tenuto neppure i suoi discepoli ma li ha indirizzati a Gesù; nel buio della sua prigione ha perfino vissuto il dubbio di aver sbagliato ed ha avuto bisogno di conferme da Gesù stesso…. Ecco la violenza di Giovanni!

Il Regno di Dio è un regno misterioso. Tutto ha senso ma non tutto ha spiegazione. L’intelligenza serve per entrarvi, ma non basta, occorre il cuore, tutto il cuore.

Il Regno è grande, è per tutti, ma c’è una porta stretta per entrarvi e, se vuoi passare, devi lasciare fuori tante cose piacevoli e desiderabili.

Il Regno ti parla di eternità e te la garantisce nel sangue di Gesù ma non distribuisce passaporti che ne assicurino l’ingresso, solo la carità, il perdono, la fatica quotidiana, il tentare, lo sbagliare e il ricominciare sempre, indicano il cammino.

Il Regno non ti garantisce successo, vittoria della verità, trionfo della giustizia qui sulla terra, anzi, nel mezzo di quel Regno campeggia una croce. Ecco dunque perché Giovanni Battista è l’eroe e perché il più piccolo di noi può essere più grande di lui. Se davvero con costanza, facendo violenza a me stesso, uso le armi della carità e dell’amore davanti ad un mondo che riconosce solo la supremazia del più forte, del più ricco, se ho il coraggio di non tirarmi indietro anche a costo di finire male, magari incompreso proprio da coloro per i quali sto dando la vita, allora il Regno opera in me e nei suoi confronti opero un’altra violenza: lo faccio venire più in fretta, lo faccio arrivare prima.

 

 

VENERDI’ 15

Santa Cristiana

Parola di Dio: Is. 48,17-19; Sal. 1; Mt. 11,16-19

 

"E’ VENUTO GIOVANNI CHE NON MANGIA E NON BEVE E HANNO DETTO: HA UN DEMONIO. E’ VENUTO IL FIGLIO DELL’UOMO CHE MANGIA E BEVE E DICONO: ECCO UN MANGIONE E UN BEONE". (Mt. 11,18-19)

Quante volte nella mia vita il Vangelo mi ha costretto e mi costringe a cambiare modo di intendere.

Quand’ero ragazzo i miei educatori mi avevano fatto intendere il sacerdozio come un qualcosa di talmente grande che ai miei occhi esso sembrava la cosa più bella e più grande, fonte anche di realizzazione di pieno successo.

La vita poi mi ha fatto sì comprendere la grandezza del dono del Sacerdozio, ma ho anche compreso che questo dono non garantisce il successo. Ingenuamente ho pensato che chi lavorava per Lui, per la giustizia, per la verità, automaticamente, in mezzo alla fatica, avrebbe avuto risultati positivi. Non è così.

Gesù, oggi, ci ricorda due grandiosi ‘insuccessi’.

E’ venuto Giovanni Battista e non l’hanno capito, l’hanno considerato un matto, un indemoniato. E’ venuto Gesù e chi lo ha messo in croce ha addirittura pensato di aver fatto un bene.

Seguire Gesù non è aver successo, operare per la giustizia e la verità non significa ottenere giustizia o automaticamente far progredire la verità. Aiutare un povero non ti esime dall’essere imbrogliato, magari proprio da quella stessa persona. Per il fatto che perdoni non significa che non ci sia qualcuno che ne approfitti. Per il fatto che tu predichi il Vangelo non significa che tutti coloro che l’ascoltano si convertiranno ad esso.

Eppure, se Giovanni Battista avesse ragionato con tanto ‘buon senso’ ed avesse detto: "Perché devo rimetterci la testa per andare a puntare il dito contro Erode che intanto non cambierà?", se Gesù avesse detto e dicesse tuttora: "Vale la pena morire per l’uomo, quando dopo 2000 anni tanti uomini non mi conoscono neppure, e quelli che mi conoscono sono divisi tra loro, litigano, dimostrano di non capirmi?", noi non avremmo né il Precursore né il Messia.

No, le cose non vanno fatte per il successo, neppure per il successo del bene, vanno fatte perché sono buone, vere, giuste.

Una verità è sempre verità, sia che abbia successo o no!

La giustizia è sempre tale sia che trovi il suo corso sia che venga manipolata da uomini ingiusti.

Dio è sempre Dio anche se c’è il bestemmiatore, l’amore di Gesù per noi è sempre tale sia che noi lo accettiamo o lo rifiutiamo; non è la quantità di successo che ha, a rendere buona o cattiva un’idea.

Come cristiani, come testimoni, non siamo chiamati ad aver successo. Siamo chiamati a seminare nella fiducia. Al resto ci pensi il Padrone della messe.

 

 

SABATO 16

Santa Adelaide; Santa Albina

Parola di Dio: Sir. 48,1-4.9-11; Sal. 79; Mt. 17,10-13

 

"ELIA E’ GIA’ VENUTO E NON LO HANNO RICONOSCIUTO, ANZI L’HANNO TRATTATO COME HANNO VOLUTO, COSI’ ANCHE IL FIGLIO DELL’UOMO DOVRA’ SOFFRIRE PER OPERA LORO". (Mt. 17,11-12)

Nell’ odierno Vangelo abbiamo un eccellente esempio presentatoci da Gesù stesso sul come leggere i segni dei tempi.

Ci sono tanti modi di ‘vedere un fatto’. Lo si può vedere come una semplice successione di avvenimenti. Lo si può leggere esclusivamente secondo i propri interessi. Si può cercare in esso significati profondi. Si può partire da un fatto per arrivare a delle scelte successive.

Se davvero vogliamo comprendere il senso degli avvenimenti dobbiamo avere uno sguardo più profondo: in un fatto della vita che ha tutta l’aria di essere puramente umano, bisogna esercitarsi a vedere Dio all’opera.

I contemporanei di Gesù pensavano che il profeta Elia sarebbe dovuto tornare sulla terra prima della venuta del Messia, ma hanno rifiutato Giovanni il Battista, non hanno saputo vedere in lui quell’Elia profetizzato, e quindi non hanno gioito delle sue indicazioni, non si sono lasciati ‘bruciare’ dal suo fuoco.

Anche a noi può succedere la stessa cosa: quanti sono i fatti non letti nella nostra storia, o letti solo tradizionalmente, superficialmente, magari solo subiti; ad esempio un incontro, una gioia, una sofferenza, un’occasione di preghiera…

Quante volte ascoltiamo la Parola di Dio senza lasciarci cambiare da essa, quante volte vediamo la verità ma preferiamo volgere altrove il nostro sguardo per non pagarne le conseguenze, quante Comunioni Eucaristiche ci hanno lasciato con una preghiera sulle labbra, ma con una vita rimasta indifferente.

Anche in questo Avvento e nella preparazione al Natale possiamo vivere il tutto nell’abitudine o nei luoghi comuni del nostro mondo che ha mercificato tutto, oppure per noi c’è l’opportunità di lasciarci purificare dal fuoco della Parola di Dio che ci aiuta a far emergere la fede dalle esteriorità e dalle falsità, che riscalda il nostro cuore, che illumina i nostri occhi per vedere il Signore che viene nei nostri fratelli, che ci rincuora nel nostro faticoso cammino quitidiano.

 

 

DOMENICA 17

3^ DOMENICA DI AVVENTO

San Lazzaro

Parola di Dio: Sof. 3,14-18; Cantico da Is. 12,2-6; Fil. 4,4-7; Lc.3,10-18

A San Paolo fuori le mura: Giubileo del mondo dello Spettacolo

 

1^ Lettura (Sof. 3, 14-18)

Dal libro del profeta Sofonia.

Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d'Israele è il Signore in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: "Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa". Ho allontanato da te il male, perché tu non abbia a subirne la vergogna.

 

2^ Lettura (Fil. 4, 4-7)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi.

Fratelli, rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.

 

Vangelo (Lc. 3, 10-18)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, le folle interrogavano: "Che cosa dobbiamo fare?". Rispondeva: "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto". Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: "Maestro, che dobbiamo fare?". Ed egli disse loro: "Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato". Lo interrogavano anche alcuni soldati: "E noi che dobbiamo fare?". Rispose: "Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe". Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: "Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile".

Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella.

 

RIFLESSIONE

 

Anche in questa domenica, dopo aver ascoltato le letture della Parola di Dio, forse può sembrarci di cogliere in esse una apparente contraddizione.

Che Sofonia e San Paolo ci invitino a rallegrarci, ad essere gioiosi, a "non lasciarci cadere le braccia", sembra assodato, ma si può essere gioiosi quando c’è una morale da mettere in pratica, un Dio di cui osservare attentamente le norme per non incorrere in punizioni, un prossimo da rispettare, dei beni da condividere come suggerisce Giovanni Battista alle varie categorie di persone che davanti alla sua predicazione vanno a chiedergli: "Che cosa dobbiamo fare"?

Questa contraddizione deriva non dal fatto che le due cose non possano essere contemporanee, ma da un nostro cattivo modo di intendere sia la gioia che la religione.

Noi spesso confondiamo tra loro gioia e felicità, pensiamo cioè che gioia sia: "tutto va bene", ci sono soldi, soddisfazioni e salute e allora c’è gioia. Questo non è vero se no tutti i ricchi che stanno bene di salute e che possono togliersi tutte le soddisfazioni sarebbero gioiosi. Ma non è così! Se fosse vero quanto abbiamo detto ci sono luoghi dove la gioia non potrebbe entrare, ad esempio in un ospedale, e anche questo, seppur difficile, non è vero. Allora, se ci pensiamo un momento, scopriamo che la gioia è ancora qualcosa di più profondo della felicità. Gioia è aver incontrato nel più profondo di te stesso qualcosa, o meglio, Qualcuno che dà senso a tutto il tuo vivere, sofferenze e fatiche comprese.

Un altro errore, dovuto ad un luogo comune di pensare, è credere che la religione non vada d’accordo con la gioia, anzi, ne rappresenti la negazione totale. Si pensa ai comandamenti come a degli imperativi stucchevoli della morale, come a dei pesi da portare con fatica, come a degli ostacoli posti sulla nostra strada per impedirci di godere, li vediamo spesso solo come segnali di divieto.

D’altra parte, questa "seriosità barbosa e pedante" della religione ci è stata quasi sempre imposta. Ad esempio ci è sempre stato detto che la Messa domenicale è obbligatoria, che se non vai a Messa la Domenica commetti peccato mortale di cui devi andare a confessarti al più presto, pena l’inferno se dovessi morire nel frattempo e pochi, invece, ci hanno fatto intravedere la Messa domenicale come un momento gradito, di doni meravigliosi, di comunione con i fratelli, di ascolto comune di una Parola che salva, di memoria viva della nostra salvezza. Riti troppo astrusi che spesso hanno perso nei secoli il loro significato, hanno contribuito in noi ad accrescere l’idea di un Dio gendarme sempre pronto a vedere ovunque i nostri peccati e sempre sul chi vive per comminare pene sulla terra e inferni e purgatori nell’aldilà. Ricordo che da bambino sorridere su argomenti di religione o fare qualche battuta magari su certi atteggiamenti o goffaggini di sacerdoti veniva considerato subito peccato.

Se dunque riusciamo a capire che gioia è aver incontrato Qualcuno che da senso a tutta la nostra vitae che la religione, come manifestazione della fede, è tutt’altro che contraria alla gioia, alla serenità e alla vita, possiamo ripeterci oggi con il profeta Sofonia: "Gioisci e rallegrati con tutto il cuore perché il Re di Israele è in mezzo a te" e se Lui è con Te, tu puoi farcela!

Mi diceva una mamma:

"Padre, non so più come fare… con mio figlio le ho tentate tutte. Quando ho saputo che si drogava ho cominciato con i divieti, le punizioni, poi sono passata alla comprensione, all’amore, poi ho chiesto aiuto, ho bussato a comunità e gruppi di accoglienza… Niente da fare, quella ‘bestia’ è sempre la più forte…"

Mi diceva un operatore della Caritas:

"Ne ho basta! I poveri mi subissano. Ho cominciato ad aiutarne uno, mi sembrava bello, mi sentivo orgoglioso e gioioso per quanto avevo fatto… si sono passati la voce, arrivano a tutte le ore, mi tolgono il fiato, sono sempre più esigenti, mi raccontano storie incredibili, mi spremono come un limone…"

Angosciato, mi diceva un signore:

"Ho quasi cinquant’anni e mi confesso una volta la mese; desidero cambiare, migliorare. Ma le mie confessioni sono sempre uguali. Non cambierò mai…"

L’uomo finché è solo non cambierà mai.

Finché contiamo solo sulle nostre forze, sperimentiamo la nostra solitudine e impotenza. Ma Gesù è venuto e viene per dirci che ciò che è impossibile agli uomini non è impossibile a Dio. Le braccia non ci devono cadere perché la nostra speranza si fonda su di Lui.

Paolo, poi, rincara ancora la dose dicendoci: "Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi":

Prova a fare qualche esperimento: salendo su un tram guarda in volto i passeggeri: quanti sono i visi sorridenti, in pace e quanti sono i musi lunghi? Prova a guardare i visi dei nostri politici in televisione e al di là degli stereotipati sorrisi di convenienza da ‘sessantaquattro denti, nessuno dei quali con un minimo di carie’, quanti sono quelli che ti danno il senso della serenità? Entrando in una chiesa i volti dei cristiani che pregano ti danno sempre l’impressione di qualcuno che ha il Dio della pace con sé?

E’ vero che qualcuno può dire: "Per come stanno andando le cose c’è poco da sorridere!", ma non è forse vero che per molti la "buona Novella" è tutt’altro che un "gioioso annuncio"? E se è vero che il male e i nostri peccati ci rattristano, non dovrebbe esserci nel cuore di ciascuno la gioia di sapere che Gesù è già venuto, che ha già vinto definitivamente il male, che la fede e i sacramenti sono il segno della nostra liberazione totale e profonda?

Dio non è un Dio triste.

Dio non vuole solo sofferenza e sacrificio.

Tutte le pagine del Vangelo, anche le più esigenti, sono sempre freschezza, fantasia, amore per la vita, gioia profonda: "Si può essere tristi se lo Sposo è in mezzo a noi?" Non si tratta di essere "beceri sorridenti" cioè persone che, incoscienti della realtà, la prendono così come viene o che non sentono il dolore e le ferite che la vita ci dà. Si tratta di avere la pace di Dio nel cuore e se si ha Lui non c’è posto per la tristezza.

Se abbiamo scoperto questa gioia profonda, allora ci mettiamo anche noi in fila con i pubblicani, i soldati e le folle che andavano da Giovanni a chiedergli: "Che cosa dobbiamo fare?"

Giovanni non dice di entrare in convento, non indirizza ad una vita ascetica fuori del mondo, non dice agli esattori delle tasse: "Cambiate mestiere!", ai soldati: "Fate obiezione di coscienza", ai ricchi: "Diventate poveri", e molti sarebbero anche stati disposti a farlo.

Giovanni, invece, invita all’onestà nel proprio lavoro, al non approfittare del proprio ruolo, all’essere partecipi dei doni ricevuti.

Ricordo un giovane che avendo ritrovato Gesù e il suo Vangelo dopo alcuni anni di lontananza, veniva sovente a chiedermi: "E adesso che cosa devo fare?" e sono convinto che sarebbe stato disposto a fare qualunque cosa, come andare in un lebbrosario, fare una rivoluzione, passare una settimana in silenzio in un eremo ma trovava estremamente difficile riprendere con serietà lo studio, vedere come suo prossimo i genitori, fare i piccoli servizi familiari...

Il Vangelo, se non in casi estremi, non ci sradica dalla nostra storia concreta ma ci invita a mettere nella storia la fede e Dio.

"Che cosa dobbiamo fare per vivere bene questo Natale?" ci chiediamo.

E la risposta è sempre la stessa: fai entrare la venuta di Gesù nella tua vita, nella tua famiglia, nel tuo lavoro; lasciati liberare da Gesù; porta la luce, la carità di Gesù attorno a te; fa come ha fatto Lui: dona misericordia, perdono, gioia; guarda agli ultimi, ai poveri come ha fatto Lui; ricevi Lui come dono e fatti dono agli altri e soprattutto lascia che la sua gioia pervada le tua vita e da te si manifesti agli altri nell’affabilità, nel superamento di ogni ansietà e inquietudine, nella ricerca continua della pace dei cuori.

 

 

LUNEDI’ 18

San Graziano

Parola di Dio: Ger. 23,5-8; Sal. 71; Mt. 1,18-24

 

"MARIA, ESSENDO PROMESSA SPOSA A GIUSEPPE…" (Mt. 1,18)

Visto che l’uomo da solo non poteva andare verso Dio, ecco Dio, nel suo amore per la sua creatura, che si muove verso l’uomo.

Si era fatto conoscere nel deserto come Liberatore e Legislatore, lo avevano poi riconosciuto anche come Creatore, ma tutto questo all’uomo non era bastato. Il Liberatore aveva liberato dalla prigionia, ma il cuore dell’uomo non si era lasciato liberare dal peccato; il Legislatore aveva dato una legge di libertà e la religione l’aveva ridotta ad un giogo di norme; il Creatore ogni giorno ripeteva le sue meraviglie che l’uomo non vedeva neppur più, talmente era intento ad arricchirsi sfruttando il creato.

Ecco allora Dio che cerca casa.

Potrebbe andare nel Tempio… ma lì c’è già la religione ufficiale con i suoi sacrifici, con le sue norme, con il suo Dio ben costruito… No! Dio ha bisogno di aria pulita, di umanità, di concretezza. Ecco, allora, che Dio cerca famiglia. Dio cerca dei cuori che sappiano amare. E quali cuori sanno amare più di quelli di due fidanzati? Qualcuno dirà che l’amore del fidanzamento non è ancora maturo, che è ancora sotto il dominio dei sensi, che è epidermico. Io penso, invece, che esso sia unico, irripetibile. Provate a pensare a che cosa la primavera non sia capace di combinare: certo non è la stagione dei frutti ma senza la prorompente primavera non ci sarebbe neppure la ricca estate.

Il Dio che viene a fare nuove tutte le cose ha bisogno di giovinezza, di fantasia, di cuori disponibili. E solo degli innamorati come Giuseppe e Maria possono accogliere, vivere, portare avanti contro tutto e contro tutti un Dio che entra in casa loro, che ne scombina la vita, che li obbliga, anche davanti agli altri, ad inventare strade nuove per salvaguardare il loro volersi bene e per donarlo a Colui che viene.

Dio non solo non è geloso dei sentimenti umani che Lui stesso ha messo nel nostro cuore, anzi, si serve di essi.

I potenti di questa terra, al massimo, rendono a Dio l’onore delle ricchezze, il potere della religione rende a Dio il fasto dei riti, Dio cerca l’umiltà, la gioia, la semplicità, la fantasia, i sentimenti di due giovani fidanzati.

Anche oggi Gesù cerca casa, famiglia, amore, in una parola cerca uomini e donne squinternate come me e te perché sia che siamo nella primavera, nell’estate o nell’autunno della vita, Egli ci sa ancora capaci di amore. E a Lui basta quello per incarnarsi ancora.

 

 

MARTEDI’ 19

Sant’Anastasio I°

Parola di Dio: Giudici 13,2-7.24-25; Sal. 70; Lc. 1,5-25

 

"ECCO SARAI MUTO E NON POTRAI PARLARE FINO AL GIORNO IN CUI QUESTE COSE AVVERRANNO". (Lc. 1,20)

C’era stato un dialogo tra Gabriele e Zaccaria e, abbiamo visto, era venuta fuori questa scena: l’angelo annunciava le meraviglie di Dio mentre il vecchio sacerdote Zaccaria dimostrava, con la sua paura, un’incredulità smarrita. Mentre Maria davanti all’annuncio chiederà a Gabriele: "Come avverrà questo?", dando per scontata l’opera di Dio, Zaccaria chiede segni, manifesta perplessità; ed ecco allora che l’angelo il segno glielo dà: "Resterai muto".

Gli uomini hanno parlato troppo. Con le loro chiacchiere e le loro supponenze hanno addirittura voluto raggiungere Dio ed è nata la torre di Babele, la torre della confusione, delle parole dette ma non capite.

Ora è la PAROLA che deve incarnarsi e, nel caso del Vangelo di oggi, colui che griderà per preparare la strada alla Parola, ma perché questo avvenga c’è bisogno di silenzio. Dio, in silenzio, parla nel suo mistero attraverso il grembo avvizzito di Elisabetta e nel grembo giovane di Maria.

Ogni parola è superflua, anzi, quasi blasfema: il mistero di Dio, della vita, del grembo meritano il rispetto del silenzio.

Noi viviamo nel chiasso, ci stordiamo di rumori, abbiamo parole per tutto: per giudicare, per condannare, per arrabbiarci, abbiamo canti che spesso non dicono più i sentimenti ma solo più gli urli di rabbia della bestia-uomo ferita, scossa da parole che hanno voluto spiegare tutto, che hanno avuto la presunzione di vivisezionare tutto per arrivare a dire più niente. Pensate: l’epoca della scienza, della conoscenza globale e l’uomo medio usa, mastica, ripete normalmente non più di mille vocaboli!

C’è bisogno di silenzio, specialmente davanti al mistero, davanti ad un bambino che nasce, a un uomo che soffre, o davanti alla morte. C’è bisogno di silenzio rispettoso e contemplativo davanti a Dio, c’è bisogno di silenzio dentro noi per ritrovare noi stessi e il senso del nostro vivere.

Dio sta compiendo la sua storia per me e per te, ma se non taci, se non provi a far tacere le trombe che suonano attorno a te, se non mediti, non adori, rischi di non scoprirlo, di non gioire, di non accorgertene: "Venne tra i suoi, ma i suoi non lo accolsero".

 

 

MERCOLEDI’ 20

San Liberato

Parola di Dio: Is. 7,10-14; Sal. 23; Lc. 1,26-38

 

"L’ANGELO GABRIELE FU MANDATO DA DIO IN UNA CITTA’ DELLA GALILEA, CHIAMATA NAZARET, AD UNA VERGINE…, E LA VERGINE SI CHIAMAVA MARIA". (Lc. 1,26-27)

E’ facile notare il contrasto. Per l’annuncio della nascita del precursore, Giovanni Battista, la scena è la grandiosità del Tempio, la solennità di un sacerdote nel pieno delle sue funzioni. Per l’annuncio della nascita del Figlio di Dio la scena è ben diversa: un paesino sconosciuto e disprezzato della Galilea, una casa umile, una fanciulla con un nome comunissimo, giovane, oscura, inesperta.

Ma, se nel Tempio, l’angelo deve rendere muto Zaccaria e richiamare col silenzio alla contemplazione del Mistero, a Nazaret non c’è bisogno di questo.

Lì il silenzio c’è già e in questo silenzio possono essere udite dal cuore quelle comuni parole: "Buongiorno, ti saluto o Maria" che risuonano come le parole creatrici di Dio per dare il suo "Buongiorno", la sua Buona notizia all’umanità. Là, dopo ogni atto creativo: "Dio vide che era cosa buona", qui la ‘cosa buona’ è Maria. Dopo tanti ‘no’ dell’uomo, finalmente un ‘sì’ pieno e totale. E questa ragazza, davanti al Dio che entra improvvisamente nella sua vita, si rivela capace della cosa fondamentale: l’accoglienza. No: non è lei che entra nel mondo di Dio. Fa qualcosa di più e di meglio. Permette che Dio entri nel mondo, nella sua esistenza e sconvolga tutto, senza opporre resistenze. E l’avvenimento sensazionale scaturisce in un contesto di estrema semplicità, di silenzio e di oscurità. C’è una zona di mistero sottratta alla curiosità dei più, all’informazione dei dotti, all’influenza dei potenti, in cui si consuma un evento decisivo.

Questa è la strada che Gesù cerca per incarnarsi anche nella mia e nella tua vita. Non ha bisogno di trombe squillanti che ne annuncino l’arrivo, non ha bisogno neanche della solennità del tempio e dei suoi riti cadenzati, non gli servono neppure ‘presepi’ o false promesse di "star buoni perché è Natale". Cerca te e me, vuol dirci "Buon giorno" come a Maria e quel saluto ti dice che non si è dimenticato di te, non ti tiene il broncio per i tuoi peccati, desidera che la tua vita sia un buon giorno. E’ un Dio che per regalarti il buongiorno ti chiede di ospitarlo, di generarlo, di poter gioire della sua presenza. Non c’è posto allora per la paura, anche se vivi nel mistero, basta rispondere con Maria: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto".

 

 

GIOVEDI’ 21

San Pietro Canisio

Parola di Dio: Cantico 2,8-14 (opp. Sof. 3,14-18); Sal. 32; Lc. 1,39-45

 

"MARIA SI MISE IN VIAGGIO VERSO LA MONTAGNA". (Lc. 1,39)

Basta avere un po’ di dimestichezza con i Vangeli per accorgersi che sono libri di ‘movimento’.

Dio "lascia i suoi cieli" per "venire ad abitare tra noi"; noi dobbiamo "preparare una strada al Signore che viene"; arriva l’angelo e Maria si mette in viaggio; Gesù nasce mentre i suoi genitori sono in viaggio; Gesù bambino dovrà ripercorrere il viaggio del suo popolo prima per fuggire verso la prigionia, poi per tornare alla sua terra; i tre anni della vita pubblica sono un continuo, potremo dire con San Luca, viaggio verso Gerusalemme, cioè verso la sua passione morte e risurrezione; anche il Risorto, quasi a dare l’avvio alla missione degli Apostoli, apparirà in posti diversi della Palestina.

Il cristianesimo è movimento, è viaggio. Maria non si è tenuto Gesù tutto per sé. La gioia quando è profonda, va comunicata. Maria sta accogliendo Gesù, l’Amore e non può fare a meno di accoglierlo nel servizio amoroso ad Elisabetta, questa anziana parente che, toccata dalla grazia di Dio, sta per avere un figlio.

Noi, invece, spesso abbiamo così ben circondato la fede di abitudini e riti religiosi fino a bloccarla, paralizzarla nei suoi movimenti. La nostra preghiera spesso è ridotta a parole oppure ad un chiedere che la volontà di Dio corrisponda alla nostra, le nostre Eucarestie sono apatiche, senza uno scatto, prive di un sorriso, incapaci di scuoterci, la missionarietà della Chiesa la deleghiamo volentieri a chi ‘è del mestiere’…

Pensiamo anche a quello che succede in questi giorni. Qualcuno forse dirà: "Altro che movimento, sono giorni di corse affannose, tra acquisto dei regali, preparativi per la festa…" Certo, frenesia ce n’è tanta, ma per che cosa? E’ per il Signore che viene che noi corriamo oppure perché la tradizione umana e spendereccia ci porta agli alberi di Natale che si confondono con presepi camuffati da Babbi Natale che a loro volta sanno di panettone, il tutto condito con una buona dose di "buonismo" ipocrita, o con certe melense recite nelle scuole e negli oratori, o con gli esodi natalizi (possibilmente in esotiche isole baciate dal sole) o con dispendiosi acquisti appena leniti dall’offerta per i poveri che ‘fa tanto buoni’ e sembra un po’ mettere a tacere una coscienza che, anche se sempre più raramente, riesce ancora qualche volta a rimordere davanti agli eccessi?

Maria si mise in viaggio. Non è andata all’agenzia turistica per scegliere una meta esotica, non ha trovato un comodo aereo con riservazione in classe vip, si è fatta 147 chilometri a piedi, o al massimo su un asino, probabilmente al seguito di qualche carovana di commercianti, e si è fatta questa strada per ‘andare a servizio’, per portare gioia, per permettere un primo incontro tra Giovanni e Gesù. Ma qui c’è fede; tra noi, spesso, c’è solo più tradizione sedimentata da una religione che, invece di metterci in movimento, ci addormenta, con buona pace di tutti i poteri di questa terra.

 

 

VENERDI’ 22

Santa Francesca Cabrini; San Demetrio

Parola di Dio: 1Sam. 1,24-28; Cantico da 1Sam. 2,1.4-8; Lc. 1,46-55

 

"MARIA DISSE: L’ANIMA MIA MAGNIFICA IL SIGNORE". (Lc. 1,46)

Ma che bisogno c’è di lodare Dio? Lui è santo sia che noi glielo diciamo o no!

Certo, "i nostri inni di benedizione non accrescono la sua grandezza", ma siamo noi che abbiamo bisogno di riconoscere che Dio è grande, buono, che ha tutta una storia in nostro favore.

Maria lascia traboccare il suo cuore e le parole che condensano la sua gioia e il suo ringraziamento non sono neppure sue, ma parole di salmi e di preghiere già presenti nella Bibbia.

Che cosa dice Maria con il suo ‘Magnificat’?

Prima di tutto canta le opere di Dio. Non canta se stessa, la sua grandezza. Maria ha lasciato fare al Signore e adesso può cantare ciò che Lui ha fatto in lei. Avendo creduto all’impossibile, può cantare le imprese del Dio per il quale "niente è impossibile". Mi chiedo: sono capace di leggere i segni delle grandi opere di Dio in me? Certo è che se sono solo capace di chiedere e non di lasciarmi fare e non riesco a vedere ciò che quotidianamente mi è dato, allora non so ringraziare.

Maria poi canta la rivoluzione di Dio. Tutto ciò che è dato per sicuro dal mondo è rovesciato. Ciò che conta, che è grande nel mondo, diventa piccolo, insignificante e ciò che è trascurato diventa importante. I poveri vengono saziati e i ricchi si ritrovano a mani vuote, i potenti sono scalzati dai loro seggi di potere e gli umili sono glorificati, proprio come è successo a Lei.

Per dire questo bisogna avere gli occhi della fede, perché quelli della carne continuano a vedere il successo dei potenti e la dura sorte dei poveri e degli umili. E’ allora capace di ringraziare e lodare solo chi vede con gli occhi di Dio e non con quelli del mondo.

Ancora, Maria canta la fedeltà di Dio. Cioè, Maria legge la storia. Legge la sua storia inserita nella storia della salvezza: se ora Dio la rende madre del suo Figlio che viene a salvare gli uomini è perché Dio è fedele al suo progetto che parte dalle promesse fatte ad Adamo e poi ad Abramo e alla sua discendenza.

Per ringraziare devo imparare a non guardare solo a me, devo imparare anch’io a leggere la mia storia nella storia del mondo e la storia del mondo nella storia del progetto di Dio, allora nulla di quello che mi succede è insignificante per me, né per il mondo, né per Dio, allora, davvero, il mio grazie diventa il grazie di una umanità intera (passata, presente, futura) che vede il Dio fedele alla sua misericordia.

 

 

SABATO 23

San Giovanni da Kety

Parola di Dio: Mal. 3,1-4.23-24; Sal. 24; Lc. 1,57-66

 

"CHE SARA’ MAI DI QUESTO BAMBINO?". (Lc. 1,66)

Oggi si dice questa frase a proposito di Giovanni, dopodomani si ripeterà ancora: "Che sarà mai di questo bambino", a proposito di Gesù.

E’ il mistero che si compie ad ogni nascita: quale è il progetto che Dio ha su quel bambino? Riuscirà quest’uomo a realizzare il suo progetto? Ogni mamma, ogni papà, guardando il proprio figlio con preoccupazione, ma anche con speranza, ha dei progetti di bene per lui.

Dio ha i suoi progetti per ogni uomo. E’ l’uomo che spesso non permette che questo avvenga.

La scena di un film visto recentemente mi ha lasciato amareggiato perché mi ha richiamato a realtà con le quali spesso mi sono incontrato nel mio ministero di prete: una ragazza quindicenne viene portata in un ospedale per abortire. Tornata dagli amici scoppia in pianto dirotto. A quanti si affannano per consolarla, risponde con le lacrime che le rigano il volto: "Non piango per quello che ho fatto, ma perché non me ne importa proprio nulla". Ecco due progetti di Dio non realizzati: una ragazza che piange perché si trova perfettamente vuota di tutto e una vita che non ha neppur potuto cominciare. Che cosa sarà di quest’uomo che Dio ha pensato fin dall’eternità?

In ciascuno di noi può emergere il Figlio di Dio che, come Maria, lascia manifestare in se stesso le opere del creatore, oppure esserci il Caino che vede nell’uomo, magari nel fratello, un nemico.

Una realtà su cui riflettiamo troppo poco è la solidarietà che ci lega a tutta l’umanità sia nel bene che nel male. Ogni nostra parola o azione serve a migliorare o a peggiorare il mondo intero. Il bene come il male hanno ripercussioni infinite, sono come un sasso lanciato sulla placida superficie di un lago che crea una serie di ondate che si allargano senza fine.

 

 

DOMENICA 24

4^ DOMENICA DI AVVENTO

Sant’Irma e Adele; San Delfino

Parola di Dio: Mic. 5,1-4; Sal. 79; Eb. 10,5-10; Lc. 1,39-48

 

1^ Lettura (Mic. 5, 1-4)

Dal libro del profeta Michea.

Così dice il Signore: E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall'antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli di Israele. Egli starà là e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore suo Dio. Abiteranno sicuri perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra e tale sarà la pace

 

2^ Lettura (Eb. 10, 5-10)

Dalla lettera agli Ebrei.

Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice: "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo poiché di me sta scritto nel rotolo del libro per fare, o Dio, la tua volontà". Dopo aver detto prima non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre.

 

Vangelo (Lc. 1, 39-48)

Dal vangelo secondo Luca.

In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore". Allora Maria disse: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva.

 

RIFLESSIONE

 

Molte persone in questi giorni stanno preparando il gran pranzo di Natale. Perché tutto riesca bisogna avere in mente diverse cose ad esempio, chi e quanti sono i commensali, che cosa preferiscono mangiare e che cosa invece si deve evitare, poi bisogna andare a comprare con un occhio alla qualità della merce e con un altro al borsellino per non andare troppo fuori nelle spese, e poi bisogna preparare le pietanze e poi bisognerà preparare il tavolo e la mattina di Natale, quando tutto è quasi pronto, ecco gli ultimi ritocchi: il fiore sul tavolo, i bigliettini di auguri sotto il tovagliolo, la foglia di lattuga sotto i gamberetti colorati... piccole cose, a prima vista, ma che la dicono lunga sia sullo stile dell’ospitalità, sia sulla gioia che si pregusta per questo momento di familiarità.

Ecco, siamo arrivati alla fine del cammino dell’avvento, Natale è alle porte.

Se davvero abbiamo preso sul serio questo tempo di preparazione, ormai dovremo aver capito che il Gesù che aspettiamo non è il bambinello di gesso del presepio, ma è proprio il Figlio di Dio che viene. Per Lui ci siamo preparati. Siamo andati nel deserto alla scuola di Giovanni l Battista, con lui abbiamo rinnovato la nostra speranza in un Dio che non ci lascia soli, che ha grandi progetti per noi, che nel suo Figlio dice ancora l’ultima e definitiva Parola per noi offrendoci misericordia e amore. Abbiamo forse anche cercato di colmare qualche valle e di scendere giù da qualche egoismo, abbiamo capito che andare incontro a Gesù è andare incontro alla gioia… Tutto è pronto per la festa, mancano solo alcuni piccoli ma importanti ritocchi e la liturgia di questa domenica ci aiuta proprio in questo.

Geremia, nella prima lettura ci parla del paesino dove Gesù nascerà: "E tu Betlemme, così piccola per essere tra i capoluoghi di Giuda, da te uscirà il dominatore di Israele".

Chi conta nella storia degli uomini? I potenti, i ricchi, gli uomini di successo!

Di chi si interessano i mass-media? Di celebrità, di uomini politici, di divi... Di certo non fanno notizia i piccoli, i poveri, coloro che non contano...

Betlemme era un piccolo paesello, forse il più piccolo, sede soprattutto di pastori. Non poteva di certo competere con la vicina Gerusalemme.

Eppure Dio da Betlemme aveva a suo tempo scelto Davide. Lo stesso Davide era poi l’ultimo dei figli di lesse, addirittura dimenticato dal proprio padre, allorché Samuele chiese di vederli tutti prima di ungere uno di loro come re di Israele.

Dio non guarda le apparenze, le esteriorità, non guarda ciò che conta agli occhi degli uomini. Dice san Paolo nella lettera ai Corinti: "Dio ha scelto nel mondo ciò che è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto nel mondo ciò che è disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono".

E questa è la stessa logica di Gesù che chiama beati i poveri, i malati, i miti, i piccoli..

La Chiesa è nata dalla predicazione di pochi pescatori, la testimonianza si è diffusa grazie al sangue di martiri non famosi. Anche oggi il messaggio di Gesù si diffonde attraverso la santità di tante persone che non saranno mai glorificate dagli uomini...

Dio oggi ha bisogno di te, perché sei debole, sei peccatore, non sei estremamente sapiente. Dio non sa che farsene di quelli che hanno "la puzza sotto il naso", che contano unicamente su se stessi. Anche oggi Gesù per nascere non cerca "la miglior famiglia", il pranzo di Natale più raffinato, la celebrazione più sontuosa, cerca una Betlemme dove si ha bisogno di Lui.

La lettera agli Ebrei che abbiamo letto come seconda lettura ci ha ricordato la disponibilità di Gesù nei confronti delle richieste del Padre: "Eccomi, io vengo per fare la tua volontà, o Dio" e il versetto dell’Alleluia ci ha riproposto la risposta che Maria dà all’angelo: "Eccomi, sono la serva del Signore".

Tutti i giorni, dicendo il Padre Nostro, ripetiamo, magari anche più volte "sia fatta la tua volontà". Sono tanti i modi con cui si può ripetere questa frase: dal distratto che a memoria ripete una formula di preghiera, a chi dice: "Avvenga quello che vuoi Tu, intanto non posso fare diverso", a chi si affida totalmente a Dio convinto che in ogni caso Lui non può volere il nostro male.

Gesù, più che con le parole dice a Dio questa frase con la sua vita: "Padre, amo talmente i miei fratelli che mi faccio uno di loro" (= Incarnazione); "Padre, amo talmente i miei fratelli che carico su di me ogni loro peccato perché siano salvi" (= Redenzione).

Fare la volontà di Dio è rendersi disponibili ad andare dove Lui vuole, è inserirsi nel mistero di Cristo, è fidarsi ed avere speranza.

Il terzo suggerimento, il terzo ritocco, ce lo suggerisce proprio Maria stessa.

Dopo l’annunciazione, Maria celebra i suoi nove mesi di attesa del Figlio di Dio nel proprio grembo, mettendosi in viaggio. Lei non si trattiene per compiacersi per ciò che le è successo. Non si crogiola in mistici sdilinquimenti, non si coccola il suo Dio, si alza in piedi e si mette in viaggio non per turismo ma per servizio.

Se Dio è davvero il Dio con noi, Maria sente la necessità di portarlo subito ad altri e questo suo gesto procura gioia.

Natale non è solo per noi. Il cristianesimo non è un dono da consumarsi tra pochi. Alla mensa del Signore non sono chiamati solo pochi. L’Eucaristia non è il premio per i meriti di qualcuno. Gesù viene per tutti. Impariamo da Maria a portarlo.

Coloro che studiano l’uomo e la sua psiche dicono che ognuno di noi porta stampato in se stesso per tutta la vita, l’esperienza del grembo materno: è lì che siamo stati accolti, formati, è lì che abbiamo avuto le prime sensazioni di protezione, di rapporto con gli altri, di amore.

Gesù, il Dio che si incarna, è frutto del grembo di Maria. Gesù è veramente suo Figlio. Da Lei ha preso le fattezze del suo corpo. In Lei ha avuto le sue prime sensazioni umane.

Da Maria noi possiamo imparare il modo di accogliere Gesù di portarlo agli altri.

Elisabetta, piena di gioia fa a Maria il più grande complimento: "Beata te che hai creduto".

Maria è colei che ha creduto, si è fidata, non ha voluto prove matematiche, si è attaccata alla Parola non ha voluto luoghi o posti privilegiati per sé, si è messa a servizio.

Chissà se vedendoci gli altri potrebbero dire la stessa cosa di noi: "E’ felice perché ha creduto a Gesù, è felice perché porta l’amore di Gesù, è contento perché con Gesù si mette a servizio dei fratelli".

Carissimi, se avete fatto questi ultimi ritocchi che la domenica odierna ci ha suggerito, allora che la festa sia in voi e con voi, che Gesù venga e che la sua pace sia portata a tutti gli uomini.

 

 

LUNEDI’ 25

NATALE DEL SIGNORE

Parola di Dio: Is. 52,7-10; Sal 97; Eb. 1,1-6; Gv. 1,1-18

 

1^ Lettura (Is. 52, 7-10)

Dal libro del profeta Isaia.

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: "Regna il tuo Dio". Senti? Le tue sentinelle alzano la voce, insieme gridano di gioia, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore in Sion. Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme. Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutti i popoli; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio.

 

2^ Lettura (Eb. 1, 1-6)

Dalla lettera agli Ebrei.

Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso alla destra della maestà nell'alto dei cieli, ed è diventato tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. Infatti a quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio; oggi ti ho generato? E ancora: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio? E di nuovo, quando introduce il primogenito nel mondo, dice: Lo adorino tutti gli angeli di Dio.

 

Vangelo (Gv. 1, 1-18)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio:

tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta. Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli rende testimonianza e grida: "Ecco l'uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me". Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.

 

RIFLESSIONE

 

Fratelli e amici, scusatemi se proprio oggi, Natale del Signore non vi faccio la predica. Il mistero che celebriamo è troppo comune e troppo grande per poterlo inquadrare in uno schema di parole. Le mie, allora, sono le riflessioni di un uomo, povero come gli altri sei miliardi di uomini della terra, ma anche ricco e fortunato perché chiamato ad andare ad una grotta di pastori per riscoprire in un bimbo appena nato il suo Dio venuto per amore sulla terra.

Piccolezza e grandezza. Il mistero è tutto lì.

L’uomo è grande perché fatto ad immagine e somiglianza di Dio, ma è estremamente piccolo, fragile, a causa del suo peccato. Questa creature, divisa in se stessa, sente l’anelito alle cose grandi, al bello, al vero all’infinito che però spesso vede frustrato nel suo quotidiano fatto di cose finite, di sofferenza e di morte. Guarda in alto, cerca di salire in alto, ma il suo cielo è ancora più in su e da solo non ce la fa. E allora il suo Creatore decide di scendere Lui, di farsi uomo, di farsi bambino perché l’estremamente grande e l’estremamente piccolo si possano incontrare, perché Dio non sia solo, abbandonato dalla sua creatura e perché l’uomo abbia per compagno Lui stesso. "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi".

Sembra di rivivere una favola, un mito e invece è la più grande realtà quella del Natale e anch’io, in questa notte, come tutta l’umanità mi sono messo in cammino. Porto con me i miei anni (ma sono ancora miei se sono già passati?) o il ricordo di essi, le ferite che la vita mi ha inferto, i sogni, le speranze, i desideri gli affetti e man mano che cammino nella notte sento come ombre vicine a me, altre persone che camminano portando con se le stesse cose che porto io. Anche se qualche volta la durezza della vita me li ha fatti sentire nemici non posso non considerarli fratelli perché siamo uguali nella povertà e nella grandezza.

La fatica del cammino è tanta, la notte non sempre è stellata e a volte ti assalgono le paure: "Ma dove sto andando? C’è una meta al nostro camminare? Vale la pena andare avanti?" In certi momenti ho fatto conto sulla mano di persone che hanno fatto strada con me, ma poi qualcuno è sparito, qualcuno è morto e il mio fardello è diventato ancora più pesante. Ci sono stati anche giorni luminosi e notti stellate dove attorno al fuoco ci siamo rincuorati con storie antiche, piene si speranza. Tutto sommato ho vissuto e non mi sono lasciato vivere.

Ma questa notte sento, come quei pastori che qualcosa di nuovo freme nell’aria. Forse una storia vecchia di secoli che prende corpo? E mi ritrovo muto a contemplare in una grotta una scena che nel mondo si è ripetuta miliardi di volte. Un uomo, una donna giovane e un bambino appena nato. Tutto lì. Eppure insieme a migliaia di altre persone non riesco a staccare gli occhi da questa scena perché in essa c’è tutta l’umanità ma anche tutta la divinità.

Maria ha il volto sereno di donna che, passato il momento del parto, addolcisce i suoi lineamenti nell’atteggiamento più delicato, più puro della maternità. E’ la mamma, è il grembo che ha donato, è il nome che tutti invochiamo, specialmente nel dolore, è il nome che moribondi abbiamo sulla bocca: "Mamma!"

Giuseppe è l’uomo, un po’ impacciato come tutti gli uomini davanti al mistero della paternità, ma anche gioioso per questa nuova vita che gli è affidata.

E poi c’è quel Bambino. L’essere più fragile del mondo che venendo alla vita urla perché staccato da un mondo protetto e proiettato, già nel sangue e nel dolore, nella vita, ma che nello stesso tempo urla per riempirsi i polmoni di aria, per intravedere una luce nuova, per cominciare a sentire ovattati voci e rumori ancora sconosciuti. L’essere più fragile, ma anche la speranza dell’uomo, il suo domani, il suo prolungamento terrestre oltre la morte.

Ma quel Bambino è qualcosa di più. Egli è il fine del nostro camminare, è la luce e la meta agognata, è il senso di tutta l’umanità.

E’ il Dio, Signore dei cieli e della terra, vulnerabile, piccolo, che piange, grida, sorride come noi. E’ il bel bambino che gli occhi della speranza vedono, è il cucciolo, il rospetto d’uomo che un nulla può schiacciare.

Dio ha scelto questo per me. Perché amarmi così?

Non solo hai guardato dai tuoi cieli, non solo ci hai dato la tua Legge, non solo ti sei intenerito per le nostre miserie, ti sei fatto uomo, provi sulla tua pelle che cosa voglia dire gioire e soffrire, ti sei messo in cammino anche Tu, come noi…

Che cosa sarà di questo figlio dell’uomo, di questo figlio di Dio? Ancor prima che tu nascessi l’uomo non ti ha accolto: "Non c’era posto per loro in albergo".

L’uomo cercava il dio ricco, potente, che cosa se ne fa di un uomo, una donna, un Bambino poveri? E anche oggi molti che cosa se ne fanno del tuo Natale, o Gesù, se non per la festa e per tutte le liturgie consumistiche ad essa legate?

Sei ancora Bambino, inerme, i tuoi occhi non vedono ancora completamente e come ombre già intravedi e senti l’odore pesante, ma gradevole dei poveri che vengono a trovarti, che sanno condividere: "A quanti lo accolsero diede il potere di diventare Figlio di Dio". Eppure su di te grava già l’ombra della morte, c’è già un Re vanitoso che trama di uccidere il Bambino e i bambini.

Senti il contatto caldo e dolce della carne di tua madre e cerchi il suo seno ma la tua carne appena formata e lavata dal sangue del parto sa che dovrà di nuovo arrossarsi…

E mentre ti contemplo mi pare che la tua voce non ancora formata all’uso delle parole ma profonda e interiore mi dica:

"Quel che sarà di me, tu lo sai. L’amore pieno e totale non può che avere una strada, quella della donazione completa, ma io ti dico quel che è di te se tu mi accogli e accetti. Piccolo e fragile uomo, canna percossa da tutte le tempeste, uomo che si può schiacciare ma non ricostruire, uomo che può gioire senza però mai essere in pieno soddisfatto, se accetti il mio amore tu sei mio fratello, tu sei Figlio del Padre.

La mia stessa povertà ti indica che non sono venuto per farti ricco di cose, la mia fragilità e il mio sangue ti dicono che non sono venuto per liberarti dalla sofferenza fisica, il mio subire la non accoglienza ti indica che non sono venuto per cancellare dall’esterno il male.

Il Padre ti ama ed ha mandato me per dirtelo e io te lo dico prendendo il tuo stesso fardello e portandolo con te in mezzo a tutti gli interrogativi, le gioie e le povertà della tua vita.

Che cosa sarà ti te? Tu puoi essere Colui che ama o colui che odia, colui che passa nel mondo senza lasciare traccia o Colui che lascia un segno. La mia nascita, la mia croce, la mia risurrezione hanno lasciato un segno, hanno aperto una strada, e io, dal giorno in cui sono nato non ho mai smesso di nascere, di morire, di risorgere per cui tu, piccolo uomo, puoi continuare a cercare di conquistare il tuo piccolo mondo di potere oppure con me puoi salvare il mondo.

Se davvero mi hai visto, mi hai contemplato in questa notte, se davvero mi hai fatto nascere nel tuo cuore, nulla d’ora in poi potrà essere uguale a prima.

Camminerai ancora e troverai giornate luminose o giornate plumbee, notti stellate e notti paurose, incontrerai altri fratelli nel tuo cammino e qualcuno ti sarà compagno amico, altri te li troverai contro, gioirai del bello, degli affetti e i tuoi occhi si riempiranno di lacrime nelle prove e negli abbandoni, ma nulla potrà essere come prima.

Il tuo non è più un vagare se io cammino con te. Tutto ha un senso, una meta, anche il dolore. E se in certi momenti, nonostante il mio amore ancora ti sarà difficile comprendere tutto, fa’ come mia Madre che "conservava tutte queste cose nel suo cuore" per meditarle e ritrovarle al momento opportuno.

Io, piccolo Bambino, Dio fatto cucciolo d’uomo, dico a Te, uomo fragile ma amato: sei Figlio di Dio, sei mio fratello, per te è il mio corpo e il mio cuore, dunque, fragile uomo, tu sei degno di Dio. Apriti a Lui!"

 

 

MARTEDI’ 26

Santo Stefano

Parola di Dio: At. 6,8-10; 7,54-60; Sal. 30; Mt. 10,17-22

 

"CHI PERSEVERERA’ FINO ALLA FINE SARA’ SALVATO" . (Mt. 10,22)

Quando nei libri di storia si vuole indicare la vita di un personaggio, la si racchiude tra due date: quella di nascita e quella di morte. Lo stesso fa la Chiesa per indicare la vita dei suoi santi, solo che le due date, per il cristiano, sono entrambe date di nascita: una ricorda il dono di Dio della vita che si apre nel tempo della terra e l’altra è la nascita al cielo.

Ecco perché non stona celebrare oggi, il giorno seguente il Natale di Cristo, la memoria del primo martire cristiano: ieri ricordavamo Colui che è venuto a salvarci, oggi ricordiamo uno che ha accolto e testimoniato questa salvezza fino ad appropriarsi "violentemente" del Regno.

Stefano, infatti, ha diversi modi per invitarci a concretizzare e non vanificare la venuta di Gesù. Egli era stato scelto dalla Chiesa nascente per servire (la parola diacono significa proprio questo) la comunità, vegliando a che la comunione dei cuori si esprima in equa distribuzione dei beni (e vi assicuro per esperienza che non è un compito facile nella comunità): nel Regno di Gesù l’unico grado che conta è quello del servizio.

Stefano poi ci insegna che il cristiano è davvero colui che, rivestito Cristo nel battesimo, lo imita, lo fa suo, diventa "un altro Cristo" sulla terra. Stefano ha talmente imitato Cristo che muore come Lui, dicendo le stesse parole di abbandono fiducioso e di perdono nei confronti dei propri carnefici. Mi chiedo se i pagani di oggi, osservando noi cristiani, ne abbiano davvero l’immagine di Cristo. Se ci vedono egoisti, attaccati ai soldi, bramosi di ogni piacere, compiacenti con il potere, di certo non diamo una bella immagine di Gesù.

Stefano, ancora, mi indica che la testimonianza può avere addirittura il coraggio del martirio se affonda le sue radici nella costanza della coerenza.

Un martire non lo si inventa in cinque minuti, in cinque minuti, al massimo, si fa un esaltato. Un martire lo si costruisce con una vita di coerenza.

Un Padre Kolbe che, in un lager nazista, si offre per morire al posto di un padre di famiglia, non fa questo in un raptus di pazzia o di "buonismo", lo fa perché in tutta la sua vita si è abituato a comportarsi come Cristo. Le centinaia di sacerdoti che da anni sono nelle carceri cinesi perché non abiurano riacquistando la libertà? Non lo fanno non perché sono testardi, ma perché coerenti con il Vangelo.

Abbiamo visto, in campi diversi un Padre Pio, un Don Milani, un don Mazzolari, resistere per anni addirittura alla persecuzione e alle restrizioni della Chiesa ufficiale. Non hanno mollato, non se ne sono andati disgustati: erano abituati ad amare ed imitare Cristo e, con coerenza, hanno continuato a farlo anche nei periodi difficili. Se si ha davvero Cristo nel cuore non si ha paura della prova (anche se non piace), ma in qualsiasi momento bello o brutto, chi emerge è sempre Lui.

 

 

MERCOLEDI’ 27

San Giovanni; Santa Fabiola

Parola di Dio: 1Gv. 1,1-4; Sal. 96; Gv. 20,2-8

 

"MARIA MADDALENA CORSE E ANDO’ DA SIMON PIETRO E DALL’ALTRO DISCEPOLO, QUELLO CHE GESU’ AMAVA". (Gv. 20,2)

A prima vista, anche oggi, un’altra stranezza della liturgia; ieri, subito dopo Natale, la festa e il ricordo del primo martire, oggi la memoria di un evangelista, Giovanni, domani il ricordo dei bambini uccisi da Erode: sembra una confusione di tempi e di personaggi non troppo adatta a farci vivere "lo spirito natalizio". Invece mi sembra estremamente bello che, dopo aver celebrato la venuta di Gesù vediamo come il suo Regno si realizza in forme e modi tanto diversi: c’è chi muore martire cosciente e coerente per Gesù, chi lo testimonia sentendosi amato da Lui e scrivendo un Vangelo che cerca, attraverso la meditazione e la contemplazione, di entrare nel mistero di Dio e chi innocente, senza saperlo, dà la sua vita per Cristo. Ecco la Chiesa!

Quando Giovanni si autodefinisce "Colui che Gesù amava" non intende dire che Gesù abbia una graduatoria diversa nel voler bene, vuol semplicemente dire che lui, Giovanni, si sente amato da Gesù in pienezza, in tutte le sue caratteristiche. Senza togliere nulla dell’amore di Gesù per i peccatori, i poveri, gli altri apostoli, egli sente che l’amore di Gesù non è generico, è particolare per lui. Ed è proprio così anche per noi: Gesù che ama tutti indistintamente ha modi particolari di rivolgersi a ciascuno. Sulla terra siamo tutti amati da Dio, ma Dio ha un amore particolare per ciascuno. Gesù ci conosce intimamente, sa la nostra storia, le nostre difficoltà, le nostre capacità di amore, conosce il ‘timbro’ che ciascuno di noi dà alla propria esistenza e, se noi siamo attenti, cogliamo le sue attenzioni per noi espresse proprio secondo le nostre esigenze. E questo costituisce anche il tessuto variegato della Chiesa vera. Nella Chiesa non siamo un numero, non semplici pedine che servono alla costruzione di una grande macchina politico–religiosa, siamo prima di tutto persone amate personalmente da Dio, ricche ciascuna di doni particolari per l’utilità comune. E’ necessario che ci sia il ruolo della guida e il ruolo dell’animazione interiore. E’ necessario correre insieme, come ci viene detto nel Vangelo di oggi, anche se uno corre più forte dell’altro, ma è anche necessario sapersi aspettare. Anche tu hai dei doni particolari: è il modo di Gesù di parlarti, ed essi sono il modo con cui tu puoi rispondere a Lui. I doni che tu hai, però, non sono per farti superiore agli altri, sono per il bene comune.

Hai mai pensato a chiederti qual è la tua vocazione, cioè quali sono i modi specifici con cui Dio ti ama? Se Dio ti ama così particolarmente, sai mettere a servizio degli altri ciò che Lui ti ha dato?

 

 

GIOVEDI’ 28

Santi Martiri Innocenti

Parola di Dio: 1Gv. 1,5-2,2; Sal. 123; Mt. 2,13-18

 

"PRENDI CON TE IL BAMBINO E SUA MADRE E FUGGI". (Mt.2,13)

Proviamo, dopo aver ascoltato questo Vangelo, a metterci nei panni di Maria e di Giuseppe. Essi hanno un dono prezioso da custodire: il Figlio di Dio. Egli è ancora Bambino, si lascia portare, ma Maria e Giuseppe vivono fino in fondo il pericolo mortale che lo sovrasta: la rabbia di un piccolo ‘re’, fantoccio nelle mani degli invasori romani, che si sente beffato dai Magi, lo porta alla violenza più feroce, quella di prendersela con degli inermi, con dei bambini. E se tutto il racconto richiama la storia di Mosè salvato mentre gli altri bambini vengono uccisi, ciò non toglie che sempre, nella storia, il bene sia accompagnato dal male che se la prende soprattutto con gli inermi (pensate alla facilità con cui si ricorre all’aborto, alla soppressione delle minoranze, all’abbandono dei non produttivi anziani, alle pulizie etniche…).

Maria e Giuseppe devono partire esuli: lasciare la propria terra, i familiari, il proprio lavoro, devono ripercorrere la strada della schiavitù che già altre volte Israele aveva percorso… ma soprattutto nel loro cuore avrà riecheggiato il pianto e il dolore di quelle famiglie che piangono i loro bambini innocenti al posto del Bambino. Questa volta il Bambino sarà salvo ma, presto, il Figlio di Dio, morirà Lui, in croce, per salvare noi.

Qui non solo Matteo legge questo racconto in continuità con la storia di Israele ma guarda anche al futuro della Chiesa. Cristo sarà portato al mondo intero! Ma quanto sacrificio, quanto dolore costerà la diffusione del Vangelo, quanti missionari osteggiati, scacciati, in fuga sotto la minaccia orgogliosa del potere terreno.

Quasi un anticipo profetico, Maria vive già ora tutto questo travaglio: Lei porta Gesù al mondo ma proprio per questo Lei, per prima, dovrà condividere coraggiosamente le difficoltà e le prove di tutti i messaggeri di Gesù.

 

 

VENERDI’ 29

San Tommaso Becket; San Davide

Parola di Dio: 1Gv. 2,3-11; Sal. 95; Lc. 2,22-35

 

"MARIA E GIUSEPPE PORTARONO IL BAMBINO AL TEMPIO PER OFFRIRLO AL SIGNORE" . (Lc. 2,22)

Se avete la bella abitudine della recita del rosario, chissà quante volte vi siete fermati a meditare questo mistero della presentazione al tempio di Gesù. E’ il mistero dell’obbedienza, della semplicità e del dono.

Gesù si inserisce nella storia concreta del suo popolo facendosi "in tutto simile a noi", ma Gesù è anche il dono totale di Dio, allora per noi non offre delle cose, offre se stesso e l’offerta iniziata quel giorno nel Tempio è continuata da Lui sulla Croce e continua ogni giorno quando un sacerdote eleva il pane Eucaristico e il calice con il sangue di Gesù dicendo: "Per Cristo, con Cristo e in Cristo…"

Mi fermo volentieri a guardare la scena di quella famiglia: una famiglia religiosa, osservante e povera.

Gesù non aveva bisogno di essere presentato al Signore: è Lui il Signore. Maria non aveva bisogno di purificarsi: è l’immacolata.

Eppure eccoli in fila al Tempio per adempiere la legge del Signore. Il fatto di avere con loro "il Dio con noi" non li ha insuperbiti. E per di più loro che hanno "il Creatore di tutte le cose", sono poveri. La legge ebraica, infatti, prevedeva di offrire un agnellino ma "se la madre non può procurarsi la somma necessaria per un agnello offra due tortore o due piccioni". Maria non ha potuto far di meglio. Semplicità e fede. Ci fossero questi due pilastri alla base delle nostre famiglie! La semplicità ci eviterebbe tante complicazioni e la fede ci permetterebbe di crescere come vuole Dio.

 

 

SABATO 30

San Savino di Assisi

Parola di Dio: 1Gv. 2,12-17; Sal. 95; Lc. 2, 36- 40

 

"C’ERA ANCHE UNA PROFETESSA, ANNA. ERA MOLTO AVANZATA IN ETA’. E SI MISE ANCHE LEI A LODARE DIO E PARLAVA DEL BAMBINO A QUANTI ASPETTAVANO LA REDENZIONE DI GERUSALEMME" .(Lc. 2,36-38)

Ripensando ancora alla presentazione al Tempio, fermiamo oggi la nostra attenzione su un particolare della scena.

Nel contesto grandioso del Tempio c’è una giovane mamma con un piccolo bambino e due vecchi, Simeone e Anna (qualcuno dice che i vecchi sono tre pensando a Giuseppe: cosa del tutto infondata!).

Qualcuno spiega questa scena dicendo che Luca voleva significare l’incontro tra il Vecchio e il Nuovo, tra l’Antico Testamento e la novità di Gesù: può essere anche vero, e probabilmente la lunga barba bianca a Simeone e il viso incartapecorito ad Anna possono anche starci bene.

A me, però, l’intera scena e tutti i personaggi, danno un senso e un’idea di giovinezza. Questi due anziani hanno tutti i segni dell’età ma dentro son giovani.

Sono lì, al tempio, per la loro fede e per la speranza. "Attendevano la manifestazione del Signore".

Quand’è che uno è vecchio? Quando non aspetta più nulla, quando non si aspetta più nulla dagli altri, quando ha perso speranza, quando si guarda solo più al passato con nostalgia, quando non si hanno più sogni.

Questi due vecchi sono giovani perché hanno continuato ad attendere, a sognare, a sperare, perché non si sono lasciati rovinare e invecchiare dalle abitudini e ‘dai luoghi comuni’, perché non si sono lasciati mettere nell’angolo da giovani chiacchieroni pieni di sé ma già vecchi perché senza una speranza nel domani, perché gli anni a volte monotoni non hanno inaridito il loro cuore. Ed eccoli lì, nel tempio, per quell’incontro atteso e preparato con una vita. E allora sono giovani Anna, Simeone, Giuseppe, Maria e il Bambino. Sono i primi bambini che entrano nel Regno dei cieli perché esso è fatto per loro.

Quante volte nella vita sarà successo anche a voi di incontrare giovani vecchi e vecchi giovani, giovani cascanti, delusi, pronti a lasciarsi condurre ovunque da una moda, giovani che non sanno gioire, che magari hanno tutto (troppo) e non lo apprezzano. A vedere certi giovani così mi pare di essere nel corridoio di una casa di riposo, o peggio ancora nella sala mortuaria di un ospedale.

Poi, scena ancora più patetica, capita di imbattersi in uomini e donne di mezza età o anziani che invece vogliono apparire giovani solo perché imitano, con gran pena e fiato grosso, il mondo dei giovani (pensate a certe maschere di trucco di certe vecchie o ai gridolini, stile sedicenni, di certe ‘nonne’ che a malapena stanno in piedi ma che "si innamorano ancora con la stessa intensità della prima volta": chissà che stragi hanno fatto durante tutta la loro vita!).

E poi, grazie al cielo, ho trovato dei vecchi giovani sul serio, perché giovani dentro, consapevoli degli anni, degli acciacchi, delle possibilità ridotte, ma con gli occhi ancora sognanti, persone che, senza eccedere, sanno curare se stessi, aperti a molti rapporti, non immusoniti, gente che non si racconta continuamente, che non dice ad ogni piè sospinto: "Ai miei tempi!", uomini e donne che sanno di poter ricevere e dare ancora molto, persone piene di interessi, amanti della poesia, del bello, innamorati della vita, capaci di vedere sia i colori della primavera come quelli meravigliosi dell’autunno, anziani ancora capaci di aspettare Dio non come l’esattore della vita ma come il compagno ritrovato per l’eternità.

 

 

DOMENICA 31

SANTA FAMIGLIA DI GESU’ GIUSEPPE E MARIA

San Silvestro

Parola di Dio: 1Sam. 1,20-22.24-28; Sal. 83; 1Gv. 3,1-2.21-24; Lc. 2,41-52

 

1^ Lettura (1 Sam. 1, 20-22. 24-28)

Dal primo libro di Samuele.

Così al finir dell'anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele. "Perché diceva dal Signore l'ho impetrato". Quando poi Elkana andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il voto, Anna non andò, perché diceva al marito: "Non verrò, finché il bambino non sia divezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre". Dopo averlo divezzato, andò con lui, portando un giovenco di tre anni, un'efa di farina e un otre di vino e venne alla casa del Signore a Silo e il fanciullo era con loro. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e Anna disse: "Ti prego, mio signore. Per la tua vita, signor mio, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Perciò anch'io lo do in cambio al Signore: per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore". E si prostrarono là davanti al Signore.

 

2^ Lettura (1 Gv. 3, 1-2. 21-24)

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo.

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio; e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

 

Vangelo (Lc. 2, 41-52)

Dal vangelo secondo Luca.

I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". Ed egli rispose: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?". Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

 

RIFLESSIONE

 

Dopo aver fatto contemplare Gesù nel suo Natale la liturgia allarga il suo campo di visuale e con la festa di oggi ci fa guardare alla famiglia concreta dove Gesù di è incarnato.

Ad un primo sguardo superficiale potremmo dire che questa è una famiglia "speciale".

C’è un uomo, Giuseppe, che per fedeltà a Dio sa sacrificare il suo amore umano elevandolo fino ad accettare, senza esserlo materialmente, di divenire padre e custode del Figlio di Dio sulla terra.

C’è una giovane donna, Maria, che pur essendo concreta nelle sue scelte si fida del messaggio dell’Angelo ed è disposta ad affrontare tutto pur di essere "la serva del Signore".

C’è un Figlio che è la perfezione dell’uomo, che è Dio sulla terra.

Ma se i personaggi di questa famiglia sono eccezionali è invece estremamente normale, ‘quotidiana’, la serie degli avvenimenti in cui questa famiglia è chiamata a vivere e a realizzare la propria santità. Ci sono tra Maria e Giuseppe dei rapporti affettivi da risolvere umanamente ed anche secondo la Legge. Ci sono viaggi da sostenere per obbedire ad un potere civile lontano ed usurpatore che vuole contare i suoi sudditi. C’è da barcamenarsi per mettere insieme il necessario quotidiano. Ci sono umiliazioni da subire per la propria povertà. C’è la via della fuga e dell’esilio per salvare il Bambino. C’è da convivere con il Figlio di Dio, il che sarà estremamente bello, ma crea anche dei problemi come quello accennato nel Vangelo di oggi.

Dunque una famiglia straordinaria ma anche estremamente normale nello svolgimento della vita.

Oggi davanti alla crisi della famiglia, noi vorremmo poter guardare a questa famiglia di Nazateh per trovare delle indicazioni precise, delle ricette sufficienti per le nostre famiglie.

Queste ricette non le ho trovate anche perché quel Gesù che sceglie di vivere circa trent’anni dei suoi trentatré all’interno di una famiglia, facendo anche lui il carpentiere, vivendo obbediente a Nazaret, "crescendo in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini", è lo stesso Gesù che prende le distanze da chi cerca di confinarlo unicamente tra le mura familiari: "Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli? Mio padre, mia madre, i miei fratelli e le mie sorelle sono tutti quelli che fanno la volontà di Dio!"

Ma se è difficile trovare ricette confezionate per le nostre famiglie, da Nazaret ci giungono invece chiare indicazioni.

Prima di tutto questa famiglia è una famiglia che ha Dio al suo centro: Giuseppe e Maria ascoltano la voce di Dio e si lasciano anche sconvolgere la propria vita pur di essere fedeli a ciò che Dio vuole; Gesù, è venuto "per fare la volontà del Padre" e anche nel vangelo di oggi, davanti a suo padre e sua madre angosciati che lo cercano, risponde: "Non sapete che devo occuparmi delle cose del Padre mio?"

Mi chiedo se oggi ci siano ancora famiglie che mettono al centro del loro essere Dio. Spesso, anche per i cristiani Dio è un corollario, un qualcuno che va bene in certe occasioni solenni che indica un certo modo di comportamento che più che essere morale sempre più sconfina con la buona educazione e la buona creanza di rapporti, ma che in fondo non c’entra con le decisioni fondamentali della coppia e della famiglia. Dico questo non per pessimismo né per volontà di puntare il dito e voler vedere a tutti costi le ‘magagne’ delle famiglie, ma per esperienza quotidiana di prete che sente e conosce tanti vissuti familiari.

E’ difficile che due ragazzi che decidono di sposarsi si chiedano se questo loro progetto è secondo Dio, al massimo danno per assodato che Dio sia testimone del loro amore e lo benedica.

E’ abbastanza difficile che due sposi si chiedano come primo problema: "Che cosa vorrà Dio dalla nostra famiglia?", si è talmente presi dalle necessità del lavoro, della casa, dalla preoccupazione di salvaguardare intimità e amicizie, amore vicendevole e rispetto delle differenze, che sembra che tutti i problemi e le scelte dipendano unicamente dalla coppia stessa. E anche davanti alla scelta o meno dei figli si è sempre più portati a guardare alla serenità della coppia, al benessere economico e a mille altre cose che non al Dio che ci chiede ci diventare con creatori e affidatari di una vita.

Anche nel progettare il futuro dei figli spesso sono le preoccupazioni umane a guidare. Dio, sì, c’entra, magari nelle feste religiose, nelle tradizioni scontate, magari anche in alcune scelte di servizio, ma il più delle volte è un entrarci marginalmente, al centro ci siamo noi.

E la cosa si fa ancora più evidente quando nascono delle difficoltà. Ad esempio quando non si va più d’accordo, quando problemi reali impediscono di ravvivare i valori da cui si è partiti, quando scelte di famiglia non trovano l’accordo o quando addirittura si arriva a decidere di dividersi, è ben difficile che sia il pensiero di Dio ad aiutare le coppie in questa situazione. Anche qui spesso ci si rivolge a Dio, per chiedere aiuto, per lamentarci di come sono andate le cose, per accusarlo di latitanza davanti ai nostri guai.

Che cosa significa mettere Dio al centro di una famiglia?

Significa vedere l’amore di coppia, di famiglia come ombra, segno, manifestazione del Suo amore. Significa sapere di avere le nostre responsabilità, ma anche essere sicuri che prima di tutto è Lui il senso del nostro essere, del nostro scegliere, del nostro agire. Significa rispettare i componenti della famiglia ma avere uno sguardo più allargato aldilà delle quattro mura di casa nostra. Significa avere speranza anche oltre a quelle che sono le nostre povere forze nell’affrontare problemi e difficoltà. Significa vedere il dolore, le prove non solo come ‘accidenti’ della vita ma come momenti importanti al pari delle gioie nel nostro cammino. Significa affrontare i problemi dei figli non solo come un qualcosa da risolvere secondo la scala dei valori di ciascuno o di coppia, ma significa vederli come essere unici, indipendenti, figli di Dio prima ancora che figli nostri. Significa anche sapere che difficoltà possono essercene, che può essere difficile la fedeltà, che certe manifestazioni del carattere non cambieranno mai ma che il perdono e la misericordia Dio ci insegnano a ripartire, a rivedere sempre il positivo su cui ricostruire. Si può anche in certi casi arrivare alla consapevolezza dell’errore, alla insanabilità di certe situazioni ma è ben diverso arrivarci per scelta propria o dopo aver tentato come Dio e con Dio tutte le strade per salvaguardare la famiglia. Se Dio è al centro si può con tanta fatica e sofferenza persino comprendere e vivere uno stato di vedovanza.

Da Nazaret giungono a noi anche degli altri segnali. Per mancanza di spazio ne accenno solo qualcuno:

Nazaret è la casa dell’umiltà.

Trent’anni di silenzio per un Dio che è venuto a parlare agli uomini. Tutte le piccole cose della vita familiare allora assumono un grande significato e una portata di eternità. Noi spesso crediamo che siano le grandi occasioni a farci testimoni, a renderci eroi della fede, ma che vale "essere apostolo per il mondo" se poi non so essere persona capace di amare in casa mia?

Nazaret è la casa dove si ama il silenzio.

Diceva già Paolo VI° nel 1964, durante il suo viaggio proprio nella cittadina di Gesù: "Nazaret è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù e la vita delle nostre famiglie… Ed essa in primo luogo ci insegna il silenzio. Oh, se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile e indispensabile dello spirito". In un mondo di parole, di suoni , di immagini, per ritrovare il senso della famiglia c’è bisogno di silenzio. Non il silenzio del vuoto, ma il silenzio della riscoperta dei valori, quel silenzio che permette poi il dialogo familiare fatto non di ‘comunicazioni di servizio’, ma di attenzione, di ricerca di comunione, di sincerità profonda.

Nazaret è anche la casa del figlio del falegname, e ci dà una grande lezione sul lavoro.

Lavoro non inteso come schiavizzazione dell’uomo, lavoro non inteso solo come fonte di denaro e di benessere, lavoro non inteso solo come sfruttamento della natura, ma lavoro per la costruzione dell’uomo e di un mondo migliore, lavoro come concreatività con Dio stesso, lavoro come una maggiore possibilità di condivisione dei beni che sono di tutti.

Non sono dunque ricette preconfezionate quelle ci arrivano da Maria, Giuseppe e Gesù nella loro vita familiare, sono invece un incoraggiamento e una benedizione e, in qualunque situazione familiare ciascuno di noi possa trovarsi, sia proprio la Sacra Famiglia a ridarci coraggio, a farci superare le difficoltà, e a far emergere la speranza: Dio si è incarnato in una famiglia e se vuoi, per quanto possa essere sgangherata la tua situazione Dio chiede a te di potersi incarnare nella tua.

     
     
 

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