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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

NOVEMBRE 2000

 

MERCOLEDI’ 1

FESTA DI TUTTI I SANTI

Parola di Dio: Ap. 7,2-4.9-14; Sal. 23; 1Gv. 3,1-3; Mt. 5,1-12

 

1^ Lettura (Ap. 7,2-4.9-14)

Io, Giovanni, vidi un angelo che saliva dall'oriente e aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: "Non devastate né la terra, né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi". Poi udii il numero di coloro che furon segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli d'Israele. Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: "La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello". Allora tutti gli angeli che stavano intorno al trono e i vegliardi e i quattro esseri viventi, si inchinarono profondamente con la faccia davanti al trono e adorarono Dio dicendo: "Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen". Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: "Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?". Gli risposi: "Signore mio, tu lo sai". E lui: "Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello".

 

2^ Lettura (1 Gv. 3, 1-3)

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

 

Vangelo (Mt. 5, 1-12)

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:

"Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati gli afflitti, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché erediteranno la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli".

 

RIFLESSIONE

 

Quante volte abbiamo letto o sentito leggere il brano del Vangelo dell’odierna festa di tutti i Santi.

Penso di averlo letto migliaia di volte e, anche senza averlo studiato, di saperlo a memoria. Ogni volta che lo incontro, a seconda della situazione che sto vivendo o dell’umore con cui mi ritrovo, ho due atteggiamenti diversi nell’accoglierlo.

Il primo è quello della serenità e della gioia: "Davvero il Vangelo di Gesù è la gioia e la liberazione per i piccoli, per gli umili, gli oppressi; è occasione, anche per l’ultimo della terra di sentirsi amato; è proposta di partecipazione all’amore di Dio proprio per chi sta soffrendo, subendo ingiustizia, cercando verità e pace".

Il secondo atteggiamento è quello dello scoraggiamento: "Ma come si può essere felici e beati quando non si ha niente, quando non si è capiti, quando fai il bene e ricevi il male…? E’ un’utopia, non potremo mai essere "perfetti come è perfetto il nostro Padre celeste"…Lasciamo questa pagina per alcuni spiriti grandi, eccezionali; noi, col nostro buon senso, senza correre il rischio di squilibrarci, voliamo più basso, accontentiamoci di alcune piccole cose alla nostra portata".

La parola ascoltata e la festa di oggi sono dunque una provocazione ed un richiamo.

I santi ‘grandi’, quelli che noi consideriamo eccezionali, hanno nel calendario liturgico una loro "festa propria". La Chiesa, prima di proclamarli santi ha "accertato la loro virtù" (quale presunzione!) ha voluto e poi sviscerato i loro "miracoli" ( ci si sente talmente grandi da voler giudicare un qualcosa che per sua natura è al di là delle capacità umane).Ma, superando questi particolari umani (come quello ad esempio che vanno avanti molto bene e in fretta le cause dei fondatori di ordini religiosi perché alle loro spalle hanno numerose e potenti congregazioni), dicevo, al di là di questi particolari umani che più che scandalizzarci possono farci sorridere, siamo grati alla Chiesa di mostrarci questi grandi santi che amiamo, onoriamo e invochiamo come intercessori e protettori. Ma la festa di oggi, direi, è particolarmente per quei santi che non hanno una "festa propria", non hanno fondato congregazioni (o se lo hanno fatto lo hanno fatto con molta umiltà), non hanno "nulla di eccezionale", a parte il fatto più importante: hanno amato.

Ciascuno di noi ne ha conosciuti di questi santi nel cammino della propria vita. Io, personalmente, ne ho una lunga lista per i quali presumo il ‘paradiso’. Ad esempio, quel barbone che aveva anche un carattere molto violento, ma che è morto davvero ‘povero’ solo, assolutamente solo, in un ospedale, durante il mese di agosto e non sappiamo neppure con certezza dove sia stato sepolto (che qualcuno non abbia ancora sfruttato anche la sua carcassa dopo la morte?); quella donna che dopo più di 40 anni di immobilità non se la prendeva con la sorte grama o con Dio apparentemente non molto generoso con lei, ma che ogni volta che mi vedeva con interessamento vero mi chiedeva come andava la mia salute e quella dei miei cari; quella madre, abbandonata dal marito che ha visto morire per overdose, tra le sue braccia, il proprio figlio e che, tra le lacrime, diceva: "Dio me lo ha dato, ho cercato di fare quello che potevo per lui, forse per amore ho anche sbagliato, ora lo riconsegno a Lui che è più bravo di me nel prendersene cura"; quell’uomo che non aveva il dono della fede, o almeno della fede ufficiale, che soffrì pene indicibili per mesi, ma che non lo diede mai ad intendere alla moglie e ai figli per non caricarli della sua sofferenza; quel missionario che tornato stanco e logoro in Italia dopo più di trent’anni di missione, ha resistito qui neanche un anno e poi, contro tutti, è ripartito per vivere i suoi ultimi anni in povertà ma in mezzo alla gente a cui aveva donato il cuore; quell’operaio vessato dai suoi datori di lavoro e poi, di conseguenza, anche dai suoi compagni, che ha saputo stringere i denti per non far mancare il pane alla sua famiglia; quella suora che per cinquant’anni ha vuotato pappagalli e lavato piaghe, senza mai far carriera, e che è morta dopo mesi di solitudine perché il suo ordine ormai non la considerava più "buona a nulla"; quel prete che per anni e anni ha cercato con le sue povere doti, ma con tanto amore e pazienza, di ricominciare sempre con i suoi parrocchiani pur non vedendo frutti…

La lista è lunga e prima di tutto oggi vorrei dire grazie a questi santi anonimi ma reali che ho incontrato e incontro nella mia vita. Grazie anche a chi ha pregato e prega per me a chi ha offerto e offre le sue sofferenze per i preti e per la Chiesa, a chi ancora oggi è in carcere per la fede, alle intere famiglie che devono nascondersi nella giungla per cercare di salvare la vita davanti a certe forme di integralismo islamico, grazie a chi ama senza essere amato, a chi mi fa capire con la sua vita che è possibile perdonare.

Grazie, fratelli santi, perché voi mi dite che il Vangelo non è un’utopia ma che è possibile realizzarlo perfino da parte di uno come me.

Sì, possiamo essere santi anche se abbiamo un caratteraccio che continuerà ad accompagnarci per tutta la vita, anche se non sappiamo a memoria tutte le preghiere, anche se fremiamo di rabbia davanti a quelle che noi consideriamo ingiustizie, anche (e direi: proprio) se subiamo continue tentazioni nella carne. Per farci santi non abbiamo neppure bisogno di entrare in convento anzi, il quotidiano lavorativo o familiare è a volte terreno di santità ben più arduo. Può farsi santo perfino un prete o un vescovo!

Ma qual è il segreto della santità di questi nostri fratelli così numerosi da far dire a San Giovanni: "Vidi poi una moltitudine immensa che nessuno poteva contare di ogni nazione, popolo, razza e lingua"? E’ un segreto molto semplice: i Santi sono persone che si sono lasciate fare da Dio. La santità non è principalmente frutto dell’ascesi dell’uomo, è chiamata e dono di Dio. E questo è per tutti: "Siate santi perché Io sono santo, dice Dio". Santo diventa Pietro con il suo caratteraccio, perché chiamato, perdonato, guidato da Gesù, santo diventa il ladrone che sulla croce prima difende Gesù e poi si mette nelle sue mani, santa è la Maddalena che si sente amata da Gesù… "Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio" e Dio chiama me e te alla santità e ci dice che con Lui è una strada possibile. Per parafrasare certi libri di gran successo oggi: anche se ti ritieni un pollo e vorresti accontentarti dei vermi dell’orto, Dio può darti ali d’aquila e mettere nel tuo cuore desideri di spazi infiniti. E, ultima parte, non meno importante del segreto della santità: un santo è un uomo gioioso. Se leggendo la vita di qualche santo scoprite che era triste, o non era santo o chi ha scritto la sua vita non ha capito niente della santità. Le beatitudini lo dicono. Non dicono: "Triste è colui che…", ma: "Felice, beato, gioioso…" Se Cristo ha preso il controllo della tua vita, se sei Tempio dello Spirito santo, se il Padre ti ha abbracciato nella sua misericordia, puoi essere triste? Se sei destinato a stare con Dio per sempre, puoi andare incontro a Lui con il muso lungo?

 

 

GIOVEDI’ 2

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

Parola di Dio: Gb. 19,1.23-27; Sal. 26; Rom. 5,5-11; Gv. 6,37-40

 

"E QUESTA E’ LA VOLONTA’ DI COLUI CHE MI HA MANDATO, CHE IO NON PERDA NULLA DI QUANTO EGLI MI HA DATO, MA LO RISUSCITI NELL’ULTIMO GIORNO". (Gv. 6,39)

In Italia, pur non essendo un giorno festivo, la ricorrenza odierna è molto sentita. Questo può essere un segno di civiltà, ma deve anche diventare occasione di verifica per dare la giusta intensità al ricordo dei cari defunti e al senso della morte e della vita. Riempire di fiori il cimitero non basta. Recarci, come dirà oggi la Televisione: "in mesto pellegrinaggio" davanti alle tombe dei nostri cari può diventare anche tradizione, abitudine. Proviamo allora a fare una riflessione davanti alle tombe dei nostri cimiteri. Esse ci dicono: "Anche tu morirai, anche tu ricordati che sei polvere e in polvere tornerai". Forse è duro sentirle queste parole, ma è proprio su di esse che si innesta il messaggio cristiano nella sua originalità: la morte è solo un passaggio, un tunnel buio per tutti, ma al di là splende il sole per sempre: "Non voglio che vi affliggiate come quelli che non hanno speranza" ci ricorda Paolo.

Se non siamo attenti c’è il rischio che, dopo aver laicizzato la vita togliendovi ogni riferimento a Dio, anche la morte venga ridotta solo ad un fatto fisico. Sarebbe doppiamente drammatico. Se tutto finisce con la morte perché allora stupirci dell’eutanasia, dei suicidi, della cultura di morte che imperversa?

"Io credo, risorgerò: Questo mio corpo vedrà il Salvatore" cantiamo oggi e durante le sepolture, nelle nostre comunità. Ma questa frase dovremmo ripeterla sovente specialmente davanti agli imprevisti della vita. Bisogna far crescere la speranza cristiana fino a che essa diventi forma normale di pensiero, di convinzione.

Il giorno dei Defunti non è un giorno di evasione, è un grande stimolo per la nostra vita. La speranza non è cloroformio che addormenta, è alcool puro sulla piaga della nostra mediocrità. Brucia, disinfetta, risana. Ci fa sentire responsabili non solo dei quattro giorni che passiamo qui, ma anche dell’eternità. Potremmo trarre oggi almeno due conseguenze:

Misuriamo spesso la vita col metro della morte vincendo la repulsione istintiva collegata a questo richiamo. Quante sovrastrutture inutili salteranno! Quante piccole cose saranno valorizzate!

Interroghiamoci sulla cura degli anziani, degli ammalati, degli emarginati. Vogliamo forse lasciarli senza speranza?

 

 

VENERDI’ 3

San Martino de Porres; Santa Silvia

Parola di Dio: Fil. 1,1-11; Sal. 110; Lc. 14,1-6

 

"GESU’ ERA ENTRATO IN CASA DI UNO DEI CAPI DEI FARISEI PER PRANZARE, E LA GENTE STAVA AD OSSERVARLO". (Lc. 14,1)

Può sembrare strano, ma ci sono molti modi diversi di "vedere", di osservare, di porsi davanti a cose e persone.

Mi raccontava una ragazza che, al tramonto, seduta sulla riva del mare si meravigliava davanti alla natura che ‘sprecava’ i suoi colori, e cercava di comunicare le sue emozioni al ragazzo che le sedeva accanto e si sentiva invece chiedere da lui: "Città dalla torre pendente… quattro lettere… quale sarà?".

Davanti ad un avvenimento si può non vederlo, ci si può porre come giudici ("L’avevo detto che sarebbe successo così… Ma che sprovveduti a comportarsi in quel modo!"), come osservatori curiosi ("Ma come è andata? Perché è successo? Di chi è stata la causa?"), come persone davvero interessate, magari anche disposte a cercare una soluzione e a dare una mano.

E, davanti ad una persona? C’è chi si interessa agli altri solo perché servono (frase sentita in questi giorni: "L’avrei mandato a quel paese da un bel po’, solo che ho dovuto guardare al mio tornaconto"). C’è chi usa degli altri, senza neppur sentirli o considerarli, solo per poter far emergere se stessi e le proprie idee (provate a seguire certe discussioni, tipo salotti televisivi). C’è chi ascolta e dimentica e c’è chi veramente ha intenzione di ascoltare, di dialogare, di comprendere, di costruire insieme.

Con Gesù succede la stessa cosa ieri e oggi.

C’è chi lo ignora, chi lo definisce con i soliti luoghi comuni, chi lo invita per curiosità, chi ha paura del futuro e quindi cerca di tenersi buoni tutti ("Non si sa mai!"), chi farebbe una buona discussione con Lui ("In fondo anche il Padre Eterno avrebbe bisogno di qualche suggerimento per far funzionare al meglio le cose!"), chi lo invita solo per aver occasione di smascherarlo (vedi farisei di ieri e di oggi), chi invece vorrebbe assistere ad un bello spettacolo di miracoli…

Gesù viene, passa nella tua e nella mia vita: possiamo essere come quel ragazzo, troppo ‘impegnato a fare le parole crociate’ da non accorgersi neppure delle meraviglie in cui si è immersi, possiamo essere di quei chiacchieroni salottieri che parlano tanto ma non schiudono dalle proprie abitudini e tradizioni, oppure potremmo essere coloro che con semplicità e fede accolgono Colui che con mille sfumature e attenzioni diverse, può cambiare la nostra vita.

Attento! Perché tutto questo non succederà solo domani o dopodomani: succede oggi!

 

 

SABATO 4

San Carlo Borromeo

Parola di Dio: Fil. 1,18-26; Sal. 41; Lc. 14,1.7-11

 

"GESU’, VEDENDO COME GLI INVITATI SCEGLIEVANO I PRIMI POSTI, DISSE LORO UNA PARABOLA". (Lc. 14,7)

La sacrestia era piena di preti, e tutti bardati come nelle migliori occasioni. Era infatti la festa del Vescovo e molti, cominciando dai suoi diretti collaboratori che spesso avevano da dire parecchie cose contro di lui, avevano pensato di onorarlo con una solenne concelebrazione che "rendesse lode a Dio".

Me ne stavo in un angolo, piccolo prete, in mezzo a quella schiera di canonici, monsignori, parroci scafati, ma non potevo fare a meno di ascoltare e di osservare.

Molti erano lì davvero per pregare e se anche l’occasione li portava a ritrovare gioiosamente qualche vecchio amico o compagno di seminario, pur nelle chiacchiere dell’incontro, non perdevano di vista lo scopo per cui erano lì. C’erano poi i vicari episcopali, territoriali, zonali, ciascuno come gallina attorniata dai propri pulcini: preti che ci tenevano ad essere visti, che avevano qualche cosa da dire, da chiedere, da sottintendere con battute che dovevano essere spiritose, da complimentare. C’erano un paio di diaconi che pur di mettersi a fianco del Vescovo "con tutta umiltà", avevano già sistemato gli altri confratelli in ruoli minori. C’era una schiera di preti che stazionava sulla porta per essere tra i primi a baciare l’anello del vescovo e a porgere "i sinceri e doverosi omaggi". E poi c’era anche qualcuno che cercava i posti più nascosti e gli angoli più bui. Sentii perfino citare il vecchio detto degli alpini: "Dietro i cannoni, davanti ai muli e lontano dai superiori", come a dire: "Meno ti notano, meno grane ti trovi".

Anche Gesù osserva quello che succede a quel pranzo e vede una corsa precipitosa ai primi posti della mensa.

Gli scribi e i farisei e in genere tutte le autorità religiose rivendicavano apertamente onori, privilegi e precedenze.

Ora, Gesù contesta il fatto che un’autorità religiosa possa produrre fenomeni di arrivismo, vanità e perfino litigiosità per arraffare posti, avere precedenze e ruoli di prestigio. Ma Gesù con le sue osservazioni ironiche, non vuole insegnare solo quanto siano ridicoli ed ineducati certi atteggiamenti, vuole invece denunciare una certa pratica religiosa che porta ad una specie di auto giustificazione, una sicurezza, quasi ad accampare dei diritti nei confronti di Dio.

Come i commensali osservati da Gesù, spesso anche noi pensiamo che è il posto che fa l’uomo. Gesù con la parabola che racconta ci invita "a farci furbi". Il posto che vogliamo conquistare è la salvezza, l’eternità, e lì non si arriva attraverso gli onori; Dio non lo si compra con bustarelle o buone azioni ma con Lui l’unica cosa ‘che funziona’ è un rapporto sincero di amore che sa essere umile, che sa lasciar posto agli altri, che va controcorrente.

 

 

DOMENICA 5

XXXI^ DOMENICA PER L’ANNO  -  Santi Elisabetta e Zaccaria

Parola di Dio: Deut. 6,2-6; Sal. 17; Eb. 7,23-28; Mc. 12,28-34

Giubileo dei responsabili della cosa pubblica

 

1^ Lettura (Dt. 6, 2-6)

Dal libro del Deuteronomio.

Mosè parlò al popolo dicendo: "Temi il Signore tuo Dio osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così sia lunga la tua vita. Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica; perché tu sia felice e cresciate molto di numero nel paese dove scorre il latte e il miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto. Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore".

 

2^ Lettura (Eb. 7, 23-28)

Dalla lettera agli Ebrei.

Fratelli, (gli Israeliti) sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo; egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore. Tale era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli; egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso. La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti all'umana debolezza, ma la parola del giuramento, posteriore alla legge, costituisce il Figlio che è stato reso perfetto in eterno.

 

Vangelo (Mc. 12, 28-34)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, si accostò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: "Qual è il primo di tutti i comandamenti?". Gesù rispose: "Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi". Allora lo scriba gli disse: "Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v'è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici". Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: "Non sei lontano dal regno di Dio". E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

 

RIFLESSIONE

 

Quando noi sentiamo parlare di legge, in noi possono nascere due tipi di reazioni diverse.

La prima reazione è quella di constatare che per vivere nella società, senza diventare ancora più cannibali di quanto siamo, le leggi sono importanti. Se sono leggi buone esse tutelano i più bisognosi, difendono i diritti, donano equità.

Può esserci, però, anche una reazione negativa davanti a tutto quello che è legge in quanto spesso vista come un peso limitante la libertà. In fondo sono le stesse reazioni che succedono ad un bambino che da un lato ha bisogno di sicurezze e di protezione da parte del genitore, ma che fa i capricci quando gli viene chiesto qualcosa che in quel momento non vuole e che per lui è soltanto peso.

Che cosa è successo al popolo di Israele?

Fin che questo popolo non ebbe una legge fu un insieme di nomadi migranti che finì prigioniero, per fame, presso gli egiziani. Quando sperimentò la propria incapacità di liberarsi da solo dal giogo della schiavitù e scoprì che invece Dio, non solo dava loro, con segni grandiosi, la possibilità di recuperare la propria libertà, ma anche li faceva diventare suo popolo, capì che la fede in quel solo Dio e l’osservanza dei suoi comandamenti diventavano l’essenza stessa della propria identità che li distingueva anche dai popoli vicini.

Quindi la Legge, i Comandamenti, vengono da Dio, ma nascono anche dall’uomo che riconosce in Dio l’Unico, il Sommo o per dirla con il salmo responsoriale di oggi lo chiama : "Mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, mio scudo e baluardo, mia potente salvezza". Ecco allora i primi tre comandamenti che in fondo dicono un'unica cosa: "Dio è l’Unico, mettilo al centro del tuo cuore". E, notiamolo, si dice cuore, perché Dio non basta conoscerlo, bisogna sentirsi amati da Lui, bisogna sentire riconoscenza, amore per Lui.

Se scopri di essere amato, se sei sicuro che il tuo Dio vuole il tuo bene ecco che cerchi anche il modo concreto di manifestargli il tuo amore. Come fare? Amando Lui e coloro che Egli ama, cioè il tuo prossimo: ecco dunque i comandamenti che regolano il rapporto con gli altri.

Ci chiediamo: sono pesanti questi comandamenti?

Lo sono nella misura in cui non nascono dall’amore.

Gesù nel suo incontro con questo dottore della legge dice proprio questo e vuole aiutarci, come sempre, a ritornare a scoprire l’origine delle cose.

La Legge, i dieci comandamenti erano diventati poco alla volta una serie di norme quasi impossibili da osservare interamente, pensate che, normalmente, erano conosciuti almeno 613 precetti da osservare per essere un buon ebreo, 365 proibizioni (tante come le giornate di un anno) e 248 imposizioni. Erano norme che spaziavano un po’ su tutti gli ambiti della vita religiosa, sociale familiare di allora. Spesso, queste norme, interpretate da farisei, sadducei, dottori della legge, rabbini, avevano perso la loro carica originale di atti di amore per Dio per gli uomini. Il fariseimo insisteva sull’osservanza scrupolosa di tutte queste norme poi, come a più riprese lo stesso Vangelo ci testimonia, si cercavano scappatoie e si incorreva dunque nell’ipocrisia, si arrivava a "mettere sulle spalle della gente dei pesi che poi non ci si sforzava di muovere neppure con un dito".

Gesù riporta tutto alla sua origine e davanti allo scriba che dimostra di aver capito che il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo è il fondamento di tutta la legge gli dice: "non sei lontano dal Regno di Dio", cioè: "ora ti manca solo di incontrare definitivamente me, di fare come faccio io, e sarai davvero nel Regno".

Chiediamoci: Oggi il discorso di Gesù ha ancora bisogno di essere fatto?

Se guardo la nostra umanità scopro che molti uomini di oggi nel nome di una ritrovata o presunta libertà, vorrebbero vivere senza alcuna legge; vedono le leggi di Dio e quelle degli uomini come imposizioni e cercano in tutti i modi di farne a meno. Che cosa si raggiunge seguendo questa strada? L’anarchia assoluta, il decadimento di ogni valore perché non esistono più, l’incoraggiamento in tutti i campi di quelli che sono i più forti, i più ricchi che per amore della propria libertà calpestano quella degli altri.

Ci sono altri uomini che vogliono fare a meno di Dio. Dio non c’è o fa comodo che non ci sia. Ma avete mai visto con chi lo hanno sostituito? Al suo posto ci sono una serie di idoli : la ricchezza, il successo, il potere, il sesso, il corpo, il giovanilismo a tutti i costi, l’arrivismo… E coloro che pensavano di essersi definitivamente liberati di Dio si ritrovano schiavi di innumerevoli idoli costruiti dalle loro stesse mani. E questi idoli hanno tutti le loro ferree leggi davanti alle quali non si può non obbedire.

Nel nostro mondo scopriamo ancora un’altra serie di uomini, sono religiosi e sono anche osservanti, o almeno ci provano, ma fanno questo solo per paura. Paura di Dio, paura delle religioni, paura degli uomini. Mi è capitato sovente di sentire delle mamme che con una frase detta ai loro bambini riassumono questo atteggiamento: "Stai bravo, che se no arrivano i carabinieri".

Si può amare Dio quando Egli è considerato il tutore dell’ordine pubblico, quando si pensa a Lui soltanto come uno che, "Guai a te se sgarri", a uno che continua a fare il fuochista di un inferno dove andranno a finire tutti coloro che hanno sgarrato dalle sue leggi?

E si può amare il prossimo se si cerca in tutti i modi di ottenere il massimo per se stessi, cercando solo di non andare "troppo" contro le leggi?

Scopro poi ancora un’altra categoria peggiore di tutte le precedenti: sono quegli uomini che approfittano delle leggi e della legge di Dio per farsi i propri affari. E purtroppo di questi ce ne sono molti, da chi usa della religione per consolidare il proprio potere personale, a chi addirittura si mette al posto di Dio per dire ad un altro quello che deve fare, giustificando la propria posizione con il fatto di appartenere all’ "unica vera religione".

"Ascolta Israele" è il ritornello che il libro del Deuteronomio ripete in continuazione annunciando la legge di amore di Dio.

"Ascolta Chiesa di Dio", "Ascolta popolo cristiano", "Ascolta… (e qui ciascuno può metterci il suo nome), non finiamo mai di ripetercelo, abbiamo bisogno di ascoltare l’origine dei comandamenti per non ridurli a norme, abbiamo bisogno di ascoltare e di testimoniare che Dio è l’Unico, che non ci sono tanti dei, abbiamo bisogno di mettere Lui al centro del nostro cuore, come ha fatto Gesù, abbiamo bisogno di sentirci amati da Lui, abbiamo bisogno di ricordarci che il suo amore infinito è per tutti gli uomini: come ama me, ama ogni uomo della Terra, Gesù è morto per tutti, nessuno escluso; abbiamo bisogno, spinti da questo Suo amore, di rispondergli anche noi dimostrando concretamente che gli vogliamo bene e vogliamo bene a tutti i suoi figli, e, allora, anche qui impariamo da Gesù che nella pienezza dei tempi amò talmente Suo Padre da dirgli: "Eccomi, manda me" e amò talmente noi da offrici la sua vita sulla croce mentre ancora eravamo peccatori.

 

 

LUNEDI’ 6

San Severo

Parola di Dio: Fil. 2,1-4; Sal 130; Lc. 14,12-14

 

"QUANDO DAI UN BANCHETTO, INVITA POVERI, STORPI, CIECHI, E SARAI BEATO PERCHE’ NON HANNO DA RICAMBIARTI". (Lc. 14,13)

Non mi è mai piaciuto partecipare a banchetti o a pranzi ufficiali, e, grazie al cielo e a tante scuse, li ho sempre evitati. Mi succede così perché in queste occasioni mi sento a disagio. Per non dispiacere agli ospiti, per non fare ‘l’orso’, devi assumere un’aria di circostanza, devi indossare le vesti dei ‘luoghi comuni’ e questo a me fa perdere il gusto del mangiare e alla fine mi sento un ipocrita.

Gesù era stato invitato a quel banchetto perché i farisei volevano "osservarlo", volevano rendersi conto della sua ortodossia. Ma Gesù non può fare a meno, a sua volta, di osservare quello che succede e vede la corsa sfrenata ai primi posti. Pur di sedersi vicino a quel politico si sarebbe disposti a chissà quanti sgambetti! Pur di mangiare insieme a quell’industrialotto da cui spero una sovvenzione…

Gesù osserva anche oggi il nostro agire, e nella nostra quotidianità esiste qualcosa che non ha un prezzo? Non è forse vero che tutti, o quasi, vorrebbero che fosse vigente la legge della meritocrazia? Tu vali per ciò che hai raggiunto. Ti si considera non perché sei un uomo, ma per il grado sociale raggiunto o per lo spessore del portafoglio. E in questa gara si lasciano coinvolgere anche i meno abbienti che magari rinunciano a cose essenziali pur di avere la ’macchina lunga’ e un pizzico di biglietti da cento in tasca da esibire davanti ai compaesani durante le vacanze.

Ebbene, Gesù, dopo aver osservato sia i farisei di ieri che noi, non ha dubbi su come deve pensare e comportarsi un cristiano.

Il dare e l’avere, il calcolare tutto, il guardare al ruolo invece che alla persona, non è il modo di pensare di Dio.

Dio non ti manda in cielo se hai detto sempre tutte le preghiere, non ti garantisce "il paradiso" in contraccambio delle tue "opere buone", non ha privilegi per ricchi che lasciano un po’ di cose alla Chiesa o per vescovi, monsignori e preti perché appartenenti ad una casta religiosa. Dio ama ogni uomo per quello che è, anzi, come ogni buon padre, ha attenzione soprattutto per i figli più deboli.

Se facciamo le cose solo per il nostro tornaconto, per ottenere gratitudine e premio, non otteniamo nulla; se cerchiamo di imitare l’agire di Dio, scopriremo l’uomo, usciremo dalla grettezza e dal calcolo e con un cuore allargato potremo allora, insieme al povero, allo storpio e allo zoppo, accogliere tra i nostri ospiti Gesù stesso.

 

 

MARTEDI’ 7

Sant’Ernesto

Parola di Dio: Fil. 2,5-11; Sal. 21; Lc. 14,15-24

 

"UN UOMO DIEDE UNA GRANDE CENA E FECE MOLTI INVITI, MA TUTTI COMINCIARONO A SCUSARSI". (Lc. 14, 16-18)

Spesso con i ragazzi del catechismo mi sono anche divertito cercando di trasmettere loro qualche briciola di verità cristiana.

Quando ti trovi davanti ad un gruppo distratto, svogliato, l’unica è pizzicarli nei loro interessi.

"Sentite, ragazzi, qual è la cosa che desiderate di più in questo momento?"

La maggioranza si desta ed ha idee chiare e concrete: "Quel gioco elettronico, quel tipo di zainetto alla moda…"

"Benissimo! E adesso attenzione: ho sentito alla radio che domenica alle 10 in Piazza Vittorio, a tutti i bambini che si presentano verrà donato proprio quello che desiderano. Che cosa fate?"

"Di tutto, pur di andarci!"

"Pensando a quello che abbiamo detto, adesso leggiamo la parabola degli invitati alle nozze. Queste persone erano invitate non ad una sepoltura, non ad andare a pagare delle tasse, ma ad una festa, gratuitamente. Eppure non ci vanno. Secondo voi, sono persone furbe?"

"Forse è vero che potevano avere altri impegni, ma non sono state persone furbe perché alla fine ci hanno perso!"

"Facciamo ancora un passo: Provate a pensare ad una persona che merita davvero fiducia, che vi garantisca la felicità per sempre, che vi inviti a mangiare gratuitamente, che vi dia delle indicazioni preziose per essere già contenti qui, oggi… Andreste con Lui o gli direste: Grazie, ma non ho tempo, ho tanto da fare ? "

Eppure sovente è proprio così: Il Signore ci invita al suo banchetto domenicale, ci dice che chi mangia del suo pane vivrà in eterno, ci regala le sue parole per aiutarci a vivere le gioie e le prove della nostra esistenza, e noi gli diciamo: "Non ho tempo! C’è il week-end, devo lavare la macchina, c’è lo sport in T.V.

Il Signore ci dice: "Se vuoi puoi amare, puoi dare un po’ di sollievo in casa, puoi valorizzare le persone che vivono con te, puoi andare a trovare quel fratello malato , "e noi ci nascondiamo dietro a scuse banali. No, non è assurda la parabola raccontata da Gesù, siamo assurdi noi che ci giochiamo il Regno di Dio perché presi da troppi impegni, noi che "non abbiamo tempo da perdere", ma che ci perdiamo l’eternità.

 

 

MERCOLEDI’ 8

San Goffredo di Amiens

Parola di Dio: Fil. 2,12-18; Sal. 26; Lc. 14,25-33

 

"CHI DI VOI, SE VUOL COSTRUIRE UNA TORRE, NON SI SIEDE PRIMA A CALCOLARNE LA SPESA, SE HA I MEZZI PER PORTARLA A COMPIMENTO?".

(Lc. 14,28)

Le due piccole parabole (la torre costruita a metà e il re che va alla guerra dopo aver fatto i suoi calcoli) sono inserite in un discorso in cui Gesù parla di come devono essere i suoi discepoli, dunque proprio in questo contesto vanno lette e capite.

Scegliere di seguire Gesù non è una cosa che si deve fare a cuor leggero, essere cristiani non è un optional, non può essere un’abitudine ("Sono nato in questo ambiente, dunque sono cristiano"), è una scelta personale, determinante. Questa scelta non può essere fatta con superficialità oppure in un momento di euforia, essa esige ponderatezza, chiara coscienza dei rischi e delle difficoltà che comporta. Occorrono: serietà, intelligenza, capacità di essere umili ma anche "vedere lungo", accettazione del mistero e della croce, determinazione di arrivare fino in fondo.

Direi che ogni uomo che scopre di essere amato e sceglie di seguire Gesù deve riscoprire il valore della costanza. La torre non completata non è una torre a metà, è semplicemente qualcosa di inutile e di ridicolo, le cose fatte a metà non sono niente. Non bastano i facili entusiasmi, non basta correre dietro alle ultime invenzioni di qualche nuovo gruppo ecclesiale, occorre la costanza del quotidiano, il ricominciare sempre, ogni giorno, ogni ora, il non lasciarsi scoraggiare dalle sconfitte e per questo, come il re che fa i conti delle sue forze prima di partire per la guerra, occorre fermarsi e calcolare sia il progetto, sia le proprie capacità, prima di scegliere con troppa faciloneria.

Questo realismo non deve però tarparci le ali: se è vero che sono debole, che sono pauroso non devo per questo diventare rinunciatario, devo invece rinforzare la mia debolezza con la sua forza, farmi coraggio con il suo Spirito.

Se è vero che, come diceva il titolo di un famoso film: "Dio ha bisogno di uomini", è proprio per questo verissimo che non ha bisogno di ‘mezze calzette’ o di persone parte-time .

Non occorre essere ‘super uomini’ ma semplicemente uomini con i piedi per terra, ma con il cuore pieno e con il desiderio di volare alto.

 

 

GIOVEDI’ 9

Dedicazione della Basilica Lateranense

Sant’Oreste; San Teodoro

Parola di Dio: 1Re 8,22-23.27-30 (opp. 1Pt. 2,4-9); Sal. 94; Gv. 4,19-24

 

"E’ GIUNTO IL MOMENTO, ED E’ QUESTO, IN CUI I VERI ADORATORI ADORERANNO IL PADRE IN SPIRITO E VERITA’ ". (Gv. 4,23)

Questa affermazione di Gesù alla samaritana è il culmine di una rivelazione presente in tutta la storia della salvezza.

Il Dio dell’Antico Testamento è il misterioso. Non si può vederne il volto, se no si morirebbe. Lui, che ha creato tutte le cose, può forse abitare in un tempio costruito dalle mani dell’uomo? Uno dei primi comandamenti imponeva di non farsi idoli o immagini di Dio.

Ma Dio ha anche un desiderio unico, quello di rivelarsi al cuore dell’uomo, quello di dirgli che è sempre con lui, che ama personalmente ciascuno e che ciascuno può incontrarlo.

Il culmine della rivelazione, allora, non è una grandiosa apparizione del Dio Misterioso e potente, non è neppure la fondazione di una religione su un grandioso tempio di pietre che "può essere distrutto e ricostruito in tre giorni", il culmine della Rivelazione è l’Incarnazione di suo Figlio.

Gesù è la risposta unica e completa al bisogno di segni da parte dell’uomo. La sua persona che vive dopo la morte, che è glorificata con Dio per sempre, ma che è con noi e che ci risulta reale attraverso il suo Spirito, è ‘l’unica religione’

La liturgia di oggi ci ricorda la dedicazione di una grande basilica, ma le basiliche, le chiese hanno senso solo se c’è Lui, altrimenti resteranno monumenti storici come lo sono i ruderi dei templi romani.

Il vero tempio di Dio è l’universo immenso e il piccolo cuore dell’uomo.

Le chiese non hanno la prospettiva di contenere Dio, sono solo un segno per poter più facilmente ricordarci di incontrarlo nei sacramenti di Gesù e nei fratelli.

Gesù non solo non ha distrutto il tempio di Gerusalemme, ma ci è andato a pregare. Però ci ha detto che il vero tempio di Dio siamo noi.

Quando i Romani distrussero il tempio di Gerusalemme, entrarono nel Sancta Sanctorum con la speranza di trovarci chissà quali statue, ori e ricchezze, invece trovarono nulla. Dio non abitava fisicamente quella stanza.

E se ci fosse il modo di entrare nel più profondo del nostro cuore, Dio lo troveremo lì?

 

 

VENERDI’ 10

San Leone Magno; Sant’Andrea Avellino

Parola di Dio: Fil. 3,17-4,1; Sal. 121; Lc. 16,1-8

 

"CHE FARO’ ORA CHE IL MIO PADRONE MI TOGLIE L’AMMINISTRAZIONE?". (Lc. 16,3)

Tutte le volte che leggiamo la parabola dell’amministratore disonesto, non possiamo non sentirci turbati o addirittura scandalizzati: sembra quasi che Dio tenga la borsa ad un ladro.

Se ci mettiamo a guardare i singoli particolari, certamente non capiremo il senso totale e profondo dell’insegnamento di Gesù. Qui si loda non la disonestà di un uomo, ma la capacità di iniziativa, anche se disonesta a sua volta, di uno che si trova in difficoltà.

Senza la pretesa che sia l’unica spiegazione, provo ad applicare la parabola alla Chiesa e quindi a ciascuno di noi che la formiamo.

La Chiesa è l’amministratore che si scopre e viene scoperto disonesto. Se con verità facciamo i nostri conti con Dio, non possiamo non riscontrare che la Chiesa non ha i registri in ordine, spesso invece di essere amministratrice di doni di Dio, si è sentita padrona assoluta e intransigente di essi; dietro la maschera del servizio ha nascosto la brama del potere, dietro alla carità, l’attaccamento ai soldi.

Se Dio ci chiede come Chiesa e come persone di rendere conto della nostra amministrazione, almeno a livello umano dovremmo aspettarci un licenziamento se non una denuncia.

Che cosa fare?

L’amministratore disonesto della parabola trova una strada: usare dei beni del padrone per farsi degli amici che poi si ricorderanno di lui. Umanamente è una morale inaccettabile coprire un furto con degli altri furti per il proprio interesse, ma quell’uomo ha dimostrato furbizia.

Quando la Chiesa e i cristiani, pur constatando i propri debiti con Dio, si fermano solo a dirsi: "Abbiamo sbagliato", ma non cambiano, si avvicinano sempre più al ‘licenziamento’.

Usare intelligenza, furbizia, per la Chiesa e per noi, non vorrà forse capire che il nostro ‘Padrone’ è un padrone che desidera che i suoi amministratori dispensino, ‘dilapidino’ il suo capitale per renderne altri partecipi? Chi può illudersi di amministrare fedelmente? Eppure la vera infedeltà consiste nel non largheggiare, nel non distribuire a piene mani.

L’unica strada di uscita per non cadere nel ‘licenziamento’ è diventare come il ‘Padrone’, cioè capaci di largheggiare nell’usare misericordia e perdono, nel compatire, comprendere, liberare.

 

 

SABATO 11

San Martino di Tours

Parola di Dio: Fil. 4,10-19; Sal. 111; Lc.16,9-15

 

"PROCURATEVI AMICI CON LA DISONESTA RICCHEZZA". (Lc. 16,9)

Già altre volte ci siamo fermati a riflettere sul senso della povertà e della ricchezza nel Vangelo.

Oggi Gesù parla di ricchezza "disonesta" e di denaro come "Mammona" che si oppone direttamente a Dio. Quale è, questa ricchezza disonesta?

Il denaro gronda sempre fatica e sudore. La ricchezza è quasi sempre frutto di ingiustizie e diventa a sua volta strumento di ingiustizia.

Qualcuno dirà: "Ma io mi sono fatto da me! Quello che ho è frutto delle mie fatiche!" Può essere, ma non vuol forse dire che la tua vita è stata spesa per ottenere quello che hai? Anche la grettezza, la paura del domani, l’avarizia sono un peccato contro l’uomo. E sei hai accumulato soldi non è forse perché se gli affari sono andati bene a te, devono essere andati male a qualcun altro?

La ricchezza poi è illusoria e traditrice. Promette e non mantiene le promesse. Seduce, carpendo la fiducia incondizionata dell’uomo, e poi delude.

La ricchezza, poi si oppone direttamente a Dio e tende ad eliminarlo sostituendosi a Lui come idolo.

E, come scrive Pronzato: "L’operazione più subdola può essere quella di far indossare a Mammona la tunica del chierichetto e ammetterla a servire all’altare". E’ necessario convincersi che non si può servire Dio con il denaro e neppure lo si può comprare a prezzo. Dio vuol essere servito nell’amore, nella gratuità, nella donazione di sé, nella fraternità, nel disinteresse… tutti mezzi di cui non dispone Mammona che invece è esperta di profitto, calcolo egoistico, ingiustizia, avidità insaziabile, "strumenti che, per quanto indossino la tunica del chierichetto o il doppio petto del manager di stampo clericale, non possono pretendere si servire alla causa di Dio".

 

 

DOMENICA 12

XXXII^ DOMENICA DELL’ANNO  -  San Giosafat; San Renato; Sant’Aurelio

Parola di Dio: 1Re 17,10-16; Sal. 145; Eb. 9,24-28; ; Mc. 12,38-44

Giubileo del Mondo agricolo. Ringraziamento per i doni del Creato.

 

1^ Lettura (1 Re 17, 10-16)

Dal primo libro dei Re.

In quei giorni, Elia si alzò e andò a Zarepta. Entrato nella porta della città, ecco una vedova raccoglieva la legna. La chiamò e le disse: "Prendimi un po’ d'acqua in un vaso perché io possa bere". Mentre quella andava a prenderla, le gridò: "Prendimi anche un pezzo di pane". Quella rispose: "Per la vita del Signore tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ di olio nell'orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo". Elia le disse: "Non temere; su, fa’ come hai detto, ma prepara prima una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché dice il Signore: La farina della giara non si esaurirà e l'orcio dell'olio non si svuoterà finché il Signore non farà piovere sulla terra". Quella andò e fece come aveva detto Elia. Mangiarono essa, lui e il figlio di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per mezzo di Elia.

 

2^ Lettura (Eb. 9, 24-28)

Dalla lettera agli Ebrei.

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore, e non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui. In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo. Ora invece una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione col peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza.

 

Vangelo (Mc. 12, 38-44)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, Gesù diceva alla folla mentre insegnava: "Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere. Essi riceveranno una condanna più grave". E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: "In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere".

 

RIFLESSIONE

 

Più di una volta qualcuno mi ha detto: "Don Franco non sei un po’ troppo polemico nei confronti dei preti?". Forse è vero, ma non lo faccio puntando il dito, ci sono anch’io nella categoria, vengo dalla loro "scuola" e perciò ciò che dico riguarda anche me ed è un dispiacere che spesso la testimonianza cristiana venga a mancare proprio da chi ha il compito e il dovere di portare a Gesù. Ma se qualche volta sono un po’ polemico c’è anche un altro motivo: Gesù stesso. Gesù che annuncia il regno, che fa miracoli, il ‘buon Gesù’ è Lui che è terribilmente polemico con tutte le categorie religiose e mi pare che lo sia soprattutto per tre motivi: 1) non sopporta la falsità religiosa (= mascherare di religione i propri interessi), 2) perché spera che qualcuno di questi si ravveda, 3) perché non desidera che i poveri e i semplici siano guastati dal marcio dell’ipocrisia di certa religione.

Proviamo a vedere se le prime righe del Vangelo di oggi non sono un quadro che purtroppo si ripete ancora oggi sia in un certo mondo clericale sia in quello di certi "laici impegnati".

"Amano passeggiare in lunghe vesti": il ritorno a certi abiti sacerdotali e diaconali è poi proprio dovuto ad amore di Dio e rispetto del ruolo del sacerdote o del diacono oppure serve ad esprimere l’appartenenza ad un certo ceto, casta di intoccabili? Certi titolo, legati semplicemente alle cose umane, grazie al cielo, dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II° erano andati in disuso; ora, guardate anche solo nella chiesa torinese quanti canonici e monsignori ci sono! E tornano di moda le fasce rosse e le mozzette da mettersi sulle spalle, specialmente durante le celebrazioni o parate ufficiali, e tornano pure di moda i cavalierati laici, le insegne di 'Santa Croce’… "Io sono il presidente del Consiglio Pastorale Parrocchiale" mi diceva con sussiegosa umiltà un signore per farmi capire che con lui certi discorsi di conversione andavano fatti con cautela perché lui era un ‘arrivato’.

"Amano i primi posti nelle sinagoghe". Ho assistito ad indecenti lotte per potersi sedere in quel determinato banco in chiesa, ma a cose ancora più indecenti per poter ‘leccare’ (scusate: "esprimere riverenza") nei confronti del vescovo, del parroco o di qualche personaggio molto influente nel mondo religioso.

"Divorano le case delle vedove e ostentano lunghe preghiere". Conosco una signora che è riuscita a far sbattere fuori di casa una anziana rimasta vedova perché avendo comprato la casa occupata (e quindi avendola pagata di meno), voleva veder aumentare il valore del suo immobile; eppure questa persona si fa passare per una delle migliori parrocchiane, e aveva perfino la spudoratezza di voler far parte del gruppo caritativo!; conosco dei preti che pur di prendere delle eredità (a fin di bene, naturalmente, per la gloria di Dio e della Chiesa) hanno circuito persone anziane fino a riuscire a strappare un testamento in loro favore, e conosco altri preti che piangono miseria per ottenere di più di quello che già abbondantemente hanno e che poi davanti alla richiesta di un povero dicono: "Io non ho niente, non ti do niente… se proprio vuoi, va alla Caritas".

Ed ecco che davanti a tutto questo sfasciume religioso si erge, nel vangelo di oggi, una piccola figura nera che si fa avanti verso la maestà e la ricchezza del tempio con due spiccioli in mano.

La scena si svolge nel cortile delle donne.

Tutto attorno al muro erano collocati tredici recipienti a forma di imbuto rovesciato detti anche "le trombe": Si ritiene che l’offerente doveva dichiarare al sacerdote l’entità del suo contributo per il culto. Gesù, quindi, può vedere e udire.

La donna mette due delle monete più piccole che ci siano in circolazione corrispondenti oggi a poche centinaia di lire. Immaginiamoci il sorriso di disprezzo dell’incaricato e dei ricchi che avevano appena dichiarato cifre enormi!

Il motivo per cui questa donna, nonostante le apparenze, è stata più munifica di tutti, viene indicato da Gesù: gli altri hanno dato prendendo dal loro superfluo, la vedova invece ha preso dal suo necessario.

Per Gesù era stata una giornata di dispute con i farisei, gli scribi, i dottori del tempio. Era stato un vedere l’ipocrisia e lo sfacelo religioso, ora, finalmente c’è qualcosa di bello, di pulito.

Quando tutto sembra degradato ecco il segno che arriva attraverso una che non conta, che non ha niente, ma che crede al suo Dio.

Anche oggi è così, anche oggi riscopriamo fede profonda nei poveri, in chi ha sofferto.

Che boccata d’aria buona poter incontrare occhi dolci di carità, sorrisi accoglienti, gesti di umiltà, preghiere semplici, dopo aver passato magari un giorno tra uffici curiali ovattati, personaggi sussiegosi pieni di '‘consapevolezza'’ del ruolo importante che ricoprono.

Che bello vedere una mamma col suo bambino che accendono una candela e dicono una preghiera davanti alla statua della Madonna, al termine di una celebrazione dove il sacerdote ben imbardato e ossequiente a tutte le norme liturgiche, ha fatto di tutto per tenersi ben staccato dalla gente con cui celebrava l’Eucaristia.

Quella vedova con le sue due ‘ridicole’ monetine, ci parla anche di soldi.

Dio ha strane contabilità: quelle poche centinaia di lire che non servono di certo a fare un nuovo altare, a riparare il tetto della chiesa, ad arredare un salone per incontri e neanche a mettere la benzina nella macchina del parroco, sono più importanti del milione del ricco benefattore che va poi ringraziato, omaggiato o, magari, messo a far parte della Commissione Economica Parrocchiale.

Quella vedova diventa un esempio di fede vera e di preghiera ancor più vera.

E’ andata da Dio per dirgli tutti i suoi guai e le sue povertà e butta nel tesoro del Tempio le uniche monetine che le rimangono (come la vedova di Zarepta di cui abbiamo sentito nella prima lettura che dice ad Elia: "Ho solo un pugno di farina e poche gocce d’olio. Farò una focaccia per me e per mio figlio, la mangeremo e poi moriremo"). Ora non ha più niente. Ha solo Dio. E Dio deve pensarci.

Se, davanti alle nostre incapacità, ai nostri peccati, ai nostri tradimenti del Vangelo, alle nostre inutili chiacchiere religiose, decidessimo di buttare il nostro niente, come quelle ultime monete della vedova, non credete che Dio sarebbe davvero disponibile a prendersi cura di noi ?

 

 

LUNEDI’ 13

San Diego

Parola di Dio: Tito 1,1-9; Sal. 23; Lc. 17,1-6

 

"GLI APOSTOLI DISSERO AL SIGNORE: "AUMENTA LA NOSTRA FEDE" . (Lc. 17,5)

Anche noi, come gli apostoli, messi davanti alle sofferenze della vita, al buio delle scelte, alle esigenze totalitarie del Vangelo, diciamo: "Aumenta la nostra fede!".Gesù non risponde direttamente a questa richiesta né insegna una tattica particolare per conquistare la fede, parla solo di una fede piccola come un granello che riesce, però, a trapiantare gelsi in mare. E’ chiaramente una iperbole, una esagerazione voluta, ma che sta ad indicare che mentre i discepoli chiedono un aumento quantitativo di fede, Gesù, invece, parla di qualità: basterebbe anche un briciolo di fede purché fosse autentica."Fede" è una parola di poche lettere, ma dà un significato fondamentale alla vita, come quelle altre piccole parole "sì" e "no" che possono indirizzare tutta un’esistenza.La fede è complessa e semplice allo stesso tempo. Non dipende esclusivamente dalla ragione, ma può servirsi di essa. E’ dono di Dio ma è anche libera risposta dell’uomo. Non è bastone su cui appoggiare i nostri limiti e le nostre debolezze, ma indubbiamente dà senso alla nostra vita sia nel bene che nelle prove. Ci apre alla prospettiva di Dio, ma non ci spiega Dio. Direi che la fede è incontro e rapporto sempre nuovo e profondo tra Dio e la sua creatura. Dio ci ama e vuol farsi riconoscere e incontrare da noi, ma, proprio perché ci ama, non ci forza, si propone a noi attraverso la creazione e soprattutto attraverso la persona di suo Figlio Gesù. Se l’uomo lo accoglie, entra come figlio nella pienezza del rapporto col Padre e, allora, la fede diventa concreto cammino di imitazione del Figlio ed anche partecipazione alla pienezza dei doni di Gesù; ecco perché la fede può davvero spostare le montagne. Non è il segreto per fare miracoli, è entrare nel cuore di Dio, è pensare sempre più come Lui, è volere ciò che Lui vuole, cioè il vero bene dell’uomo. Quando penso a queste cose mi accorgo di essere ancora molto lontano da quel granello di fede e, quando recito il "Credo" mi rendo conto che spesso è solo un’arida enunciazione di dogmi, manca ancora il granello, quello principale: affidarsi nelle braccia del Padre. Dunque in questo senso posso ancora dire per me e per tanti miei fratelli: "Signore, aumenta la nostra fede!".

 

 

MARTEDI’ 14

San Giocondo

Parola di Dio: Tito 2,1-8.11-14; Sal. 36; Lc. 17,7-10

 

QUANDO AVRETE FATTO TUTTO QUELLO CHE VI E’ STATO ORDINATO, DITE: "ABBIAMO FATTO QUANTO DOVEVAMO FARE ". (Lc. 17,10)

Mi hanno sempre lasciato perplesso quei predicatori che, specialmente quando si celebra la giornata per le vocazioni, tuonano, facendosi scudo del Vangelo, dicendo che oggi, più che mai, scarseggiano le vocazioni, o quei vescovi che "pregano il Signore della messe di mandare operai nella sua messe" solo perché vorrebbero disporre di più servi ‘utili’. Utili per la propria vanità, per i propri organigrammi, servi abbondanti, scodinzolanti, servizievoli, striscianti, sempre dalla parte del potente.

Chissà se questi predicatori direbbero che oggi non mancano i servi, ma mancano i "servi inutili", che necessitano operai che trovino la gioia nel faticare per Dio e per il suo Regno nell’oscurità, e non nella pubblicità più sfrenata (di che cosa, poi? Spesso di fumo).

Mancano i "servi" perché oggi troppi di essi sono impegnati a presentare programmi grandiosi, a raccogliere "sfide epocali", ad apparire come solutori di tutti i problemi compresi quelli della politica e della sociologia, impegnati a parlarsi addosso o a parlare di chiesa, dimenticandosi che è la Chiesa di Gesù.

Eppure la storia dovrebbe avercelo insegnato che la Chiesa ha potuto proseguire nella fedeltà a Cristo non grazie alle vicende politiche di preti intrallazzatori, ma grazie agli umili, ai santi che hanno messo a disposizione del Signore una schiena abituata a piegarsi.

E sì, perché servi inutili non significa servi pelandroni. "Dopo che avrete fatto tutto, dite: Siamo servi inutili". Guai a chi lo dice prima!

Non è una scusa per dire: "Intanto non sono io a cambiare il mondo". E’ vero, ma la mia parte la devo fare e devo sapere che Dio si serve anche della mia ‘inutilità operativa’ per il suo Regno, anzi, per me dovrebbe essere una gioia comprendere che il suo amore si serve anche della mia pochezza, che, quasi, Lui si fa bisognoso, mendicante di me.

 

 

MERCOLEDI’ 15

Sant’Alberto Magno

Parola di Dio: Tito 3,1-7; Sal. 22; Lc. 17,11-19

 

"UNO DEI DIECI LEBBROSI, VEDENDOSI GUARITO, TORNO’ INDIETRO LODANDO DIO A GRAN VOCE E SI GETTO’ AI PIEDI DI GESU’ PER RINGRAZIARLO". (Lc. 17,15)

Questo episodio del Samaritano, lebbroso guarito, che torna a ringraziare, mi fa venire in mente una affermazione che pare comprovata da tutto il Vangelo: non si può essere buoni religiosi se prima non si è uomini veri.

Non è solo questione di buona educazione, di cortesia quella di tornare a dire grazie per un beneficio ricevuto, è questione di giustizia, di amore, di riconoscere chi sia Colui che questo dono ci ha fatto.

Nove lebbrosi hanno ricevuto la guarigione fisica e, come il Maestro stesso ha indicato loro, sono tutti presi dalle ‘liturgie’ ufficiali che li riammettono a pieno titolo nella società; uno straniero, un eretico che quindi si sentiva più indipendente da quei rituali religiosi, si preoccupa di "tornare indietro", "lodando Dio a gran voce", "gettandosi ai piedi di Gesù per ringraziarlo", ed è anche l’unico che ottiene il secondo miracolo, quello più importante: il dono della fede.

L’uomo ‘religioso’ spesso passa accanto a Dio, spesso "sfrutta" Dio, ma spesso, proprio per troppa osservanza si allontana da Dio.

Non è forse vero che tutti i giorni noi passiamo accanto a Dio vedendo ogni mattina la meraviglia dell’alba, vivendo nella sua creazione, essendo testimoni e partecipi del miracolo continuo dell’Eucarestia (un Dio che si fa pane per noi!), ascoltando la sua parola, ‘sfruttando’ il suo perdono… e tiriamo diritto pensando che Dio si accontenti delle nostre preghiere o sia legato ai nostri ritualismi ?

Il fatto è che, se non "torniamo indietro", significa che ci stiamo allontanando; che se non ci sentiamo di "lodare Dio", di cantarlo, vuol dire che pensiamo ai suoi miracoli quotidiani solo come a un qualcosa che ci è dovuto o, peggio ancora, ad un qualcosa di abituale; che se non ci "gettiamo ai suoi piedi per ringraziarlo", abbiamo perso la fede vera che ci fa incontrare, al di là del miracolo, Colui che il miracolo ha operato.

Se fossimo convinti che niente ci è dovuto, ma tutto è "Grazia", allora saremmo capaci di rendere grazie.

Cristiano non è tanto colui che chiede delle grazie. E’ colui che rende grazie. Il ringraziamento che Dio si aspetta da noi è il nostro apprezzamento, il nostro aprirci alla sorpresa, alla gioia, alla lode, alla celebrazione dei suoi prodigi.

Il bambino dice grazie con i suoi occhi, con il suo saltare di gioia, con la sua impazienza di aprire il regalo. Noi stupidamente gli diciamo: "Dì: grazie!" e non ci accorgiamo che il suo stupore davanti al dono, l’esplosione della sua gioia, sono il modo più espressivo di dire: grazie!

Se non vogliamo essere ingrati, se vogliamo davvero dire grazie al Signore, celebriamo il dono della vita!

 

 

GIOVEDI’ 16

Santa Margherita di Scozia; Santa Geltrude

Parola di Dio: Filemone 7.20; Sal. 145; Lc. 17,20-25

 

"IL REGNO DI DIO NON VIENE IN MODO DA ATTIRARE L’ATTENZIONE".(Lc. 17,20)

Tutti voi certamente ricordate "Il discorso della luna" di Papa Giovanni XXIII°. Era la sera che seguiva l’inaugurazione del Concilio Ecumenico, ed era stato davvero "uno spettacolo meraviglioso" vedere tutti quei vescovi, patriarchi, osservatori laici e teologi che erano venuti da tutto il mondo per amore della Chiesa di Gesù, perfino "la luna sembrava muto e attonito spettatore di tanta meraviglia".

E non è forse vero che tutti noi siamo stati emozionati e ‘attenti spettatori’ davanti a quel milione e mezzo o due milioni di giovani riuniti a Tor Vergata attorno al Papa?

Saranno dunque finalmente questi i segni del Regno di Gesù che viene?

Certo sono segni belli e importanti, ma purtroppo, perché segni umani, anche ambigui e limitati. La ventata del Concilio, dopo tutti questi anni, non sembra aver smosso certi arroccamenti gerarchici che puntualmente tornano per restaurare non tanto il Regno quanto il potere ecclesiale, e il Gesù di tutti quei giovani è davvero da tutti testimoniato risorto nella loro vita e nelle loro comunità?

Gesù ce lo ha detto: il Regno viene, ma non può essere costretto nelle nostre categorie.

Il Regno viene non perché a quella manifestazione religiosa c’erano migliaia di persone: Dio non è un contabile.

Il Regno viene non perché la chiesa ha costruito tante cattedrali o perché le parrocchie possono inaugurare nuovi locali: Dio non è un affarista.

Quando mai Gesù ha promesso successo, vittoria nelle contese, supremazie religiose, trionfo sui concorrenti? Queste sono le pretese non di chi si mette a servizio di Dio, ma a servizio di se stesso. Dio non ha bisogno di applausi, non sa che farsene delle nostre lusinghe, non vuole essere usato come stampella ai nostri progetti.

Eppure il suo Regno viene!

E’ nella cella del monaco che "ha sprecato la sua vita" solo per pregare. E’ nella fede semplice di quella donna che si rivolge a Lui per avere la forza di tenere insieme la propria famiglia scalcinata. E’ nel silenzio della contemplazione, nel martirio, nella testimonianza… e perciò, quando cominceremo ad amare il silenzio più che le chiacchiere, il nascondimento più che la notorietà, la modestia più che l’ostinazione…, allora ci accorgeremo di questo Regno che viene, anzi, che è già presente nel profondo del nostro cuore.

 

 

VENERDI’ 17

Santa Elisabetta d’Ungheria; Sant’Eugenio

Parola di Dio: 2Gv. 1.3-9; Sal. 118; Lc. 17,26-37

 

"MANGIAVANO, BEVEVANO, COMPRAVANO, VENDEVANO, PIANTAVANO, COSTRUIVANO… COSI’ SARA’ NEL GIORNO IN CUI IL FIGLIO DELL’UOMO SI RIVELERA’ ". (Lc. 17,29-30)

Forse nel momento in cui ti accingi a leggere queste poche righe sei all’inizio o al termine di un’altra giornata.

Un nuovo giorno può essere: il terribile ripetersi della quotidianità oppure l’esasperante correre per le mille cose da fare, può essere la paura del tempo che passa inesorabile o un dono unico e irripetibile che ci viene fatto… Tutto sta a come lo prendi e a cosa vi metti dentro.

Il guaio più grosso è che noi, spesso, non ci accorgiamo neanche del dono del tempo che è il momento in cui noi possiamo accogliere i doni di Dio e, donandogli una risposta, anche giocarci la nostra eternità.

Gesù, invitandoci alla vigilanza, non vuole spaventarci, vuole renderci coscienti, vuole farci apprezzare e vivere le nostre giornate. E’ come se ci dicesse: "Non sprecare il tuo tempo perché è troppo prezioso, riempi la tua giornata non solo di cose, ma di senso, non correre il rischio di considerare eterne cose che invece passano e finiscono, accogli con riconoscenza tutto ciò che ti è dato, incontra oggi il Dio della vita per stare con Lui per sempre".

Se avessimo la consapevolezza del presente e la portata di eternità che vi è in esso, come sarebbero piene, gioiose le nostre giornate. Puoi lavare i piatti, andare in ufficio perché devi o perché ami, puoi vedere coloro che incontri come concorrenti o nemici oppure come fratelli, persino gli inconvenienti possono diventare occasioni per vivificare il tuo vivere, ed ogni momento può diventare gioiosa occasione di incontro Dio.

 

 

SABATO 18

Dedicazione delle Basiliche dei Santi Pietro e Paolo

Parola di Dio: At. 28,11-16.30-31; Sal. 97; Mt. 14,22-33

 

"GLI DISSE PIETRO: "SIGNORE, SE SEI TU, COMANDA CHE IO VENGA A TE SULLE ACQUE" ED EGLI DISSE: "VIENI" . (Mt. 14,28-29)

Andare verso Gesù è un desiderio che molti hanno nel cuore. Vorremmo stare con Lui da veri amici ma, spesso, molte cose ce lo impediscono, ci ostacolano, ci separano da questa comunione di vita. Se la nostra volontà di stare con Lui è sincera, lo si vede dall’impegno che mettiamo nel superare queste barriere. Pietro vuole andare da Gesù, ma "tra il dire e il fare ci sta di mezzo proprio il mare" che diventa il simbolo di ogni difficoltà che blocca i nostri tentativi di avvicinarci a Gesù. Già la barca in cui non è presente Gesù è sballottata dalle onde e dal vento contrario, proprio come l’anima umana in cui non è presente il Signore, è inquieta e piena di paure. Ci sentiamo come ‘braccati’ dalle forze del male, dalle passioni più violente, quali l’orgoglio, l’ira, l’impurità, l’avarizia… Si frappongono tra noi e Cristo, come il mare burrascoso si frapponeva tra Pietro e Gesù. La potenza della tentazione ci fa sentire così fragili e piccoli e ci riempie di timore la paura di non farcela, di affondare. Troppe volte abbiamo fatto promesse che non siamo stati capaci di mantenere, ci sono pericoli che non riusciamo ad evitare, attrattive che non riusciamo a far tacere e ci sentiamo come prigionieri, soli, davanti ad una lotta più grande di noi. In queste situazioni, la salvezza può venire dalla preghiera, dal rivolgerci a Dio con umiltà profonda, presentandoci a Lui, che vede nell’intimo della coscienza, con la sincerità di un cuore veramente desideroso di essergli amico. Se chiediamo per amore, se abbiamo davvero la volontà di mettercela tutta per cambiare la nostra vita, se non ci manca la speranza che con Lui potremmo farcela, ecco allora che possiamo udire la parola che Gesù ci rivolge: "Vieni!".

"Vieni!". La possibilità di avvicinarci a Lui dipende unicamente dalla fiducia che diamo a questa parola. Le attrattive del male non si arrendono facilmente, tentano il tutto e per tutto: richiami, nostalgie, dubbi cercano ancora di riprendere la nostra attenzione, la nostra volontà. Se l’uomo vacilla, se rivolge ancora il suo sguardo alle attrattive del male, se smette di guardare verso Colui che lo ha chiamato, rischia di essere inghiottito dalle onde. Il passo fuori della barca deve essere sicuro, deciso, senza tentennamenti. "Vieni!", vuol dire: fidati di me più di ogni altra cosa, più di ogni altro richiamo, più di ogni altra persona. E’ un invito divino.

 

 

DOMENICA 19

XXXIII^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - San Fausto

Parola di Dio: Dan. 12,1-3; Sal. 15; Eb. 10,11-14.18; Mc. 13,24-32

Giubileo dei militari e della polizia

 

1^ Lettura (Dn. 12, 1-3)

Dal libro del profeta Daniele.

In quel tempo sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.

 

2^ Lettura (Eb. 10, 11-14. 18)

Dalla lettera agli Ebrei.

Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifici che non possono mai eliminare i peccati. Egli al contrario, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati una volta per sempre si è assiso alla destra di Dio, aspettando ormai solo che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi. Poiché con un'unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Ora, dove c'è il perdono di queste cose, non c'è più bisogno di offerta per essi.

 

Vangelo (Mc. 13, 24-32)

Dal vangelo secondo Marco.

Disse Gesù ai suoi discepoli: In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore e gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo. Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte. In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre.

 

RIFLESSIONE

 

Quando ci avviciniamo al termine dell’anno liturgico, prima di celebrare la festa di Cristo Re e Signore dell’universo, ci troviamo a leggere queste pagine di difficile interpretazione che riguardano cose e tempi finali. Certamente qualcuno, sentendo parlare di astri che cadono, di sole oscurato e di cose simili, avrà drizzato le orecchie.

Beh, tranquillizziamoci! Per prima cosa la Bibbia non vuol parlarci né di astrologia né vuole spigarci per filo e per segno come avverrà la fine del mondo, né, tanto meno, ce ne indica tempi e luoghi; quindi, i soliti cercatori di straordinario o gli annunciatori di catastrofi se ne stiano pure tranquilli. Se vogliamo inquadrare bene la prima lettura e il Vangelo di oggi, basta far ricorso all’antifona di introduzione alla Messa (non c’è più nessuno che la legga). Questa, citando un brano di Geremia recita così: "Dice il Signore: ho progetti di pace e non di sventura".Dio può volere la distruzione della sua creazione? Non penso che chi con amore ha creato e continua giorno per giorno a mantenere la sua creazione voglia poi distruggerla (a questo, purtroppo, ci pensa già l’uomo) ma, al massimo, vuole purificarla, migliorarla. Dio non vuole certamente la distruzione dell’uomo, se no non avrebbe dato Suo Figlio per noi, anzi, proprio nel Figlio desidera che noi diventiamo creature nuove. Allora, il parlarci della Bibbia attraverso immagini velate, non avrà altri scopi che non quello di spaventarci e di ridurci a fare congetture sul quando e sul come "del grande macello"?Provo, senza la pretesa di essere esaustivo, a cogliere alcuni stimoli da queste letture.

1)Quelle che abbiamo letto saranno buone o cattive notizie?

Se il Vangelo è "la buona notizia", mi rifiuto di credere che in esso ci siano annunci catastrofici.

Allora, anche "la fine del mondo" è una buona notizia?

Se finisse l’ordine del mondo dove l’egoismo fa nascere le guerre, le liti, le amarezze, allora sarebbe una buona notizia!

Dio ci dice che Lui le cose non le fa a metà, che Lui non si rassegna davanti al male, che non accetta una creazione meravigliosa e terribile insieme, che non si accontenta di un uomo che al massimo scimmiotta suo Figlio Gesù, Egli vuole portare a compimento, vuol far giungere noi come individui e il creato nel suo insieme alla pienezza della bellezza, della perfezione.

2)Ci fa poi proprio male ricordarci che in questo mondo siamo di passaggio?

Credo di no, visto che noi spesso pensiamo con il nostro comportamento di essere eterni ma in questo mondo, visto che accumuliamo fino a… dover lasciare in eredità, visto che lottiamo a dismisura per un pezzetto di potere che perdiamo in parte già durante questa vita e che la morte ci porterà via definitivamente.

Questa non è la nostra patria definitiva.

La vita terrena ha senso proprio nel momento in cui ha la speranza di non finire qui.

E allora con gioia comprendiamo le parole di Gesù che dice: "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno". Meno male che ci sono le sue parole che mi parlano di un Dio che è mio Padre, meno male che c’è Gesù, parola unica del padre che mi regala il perdono di Dio, che mi assicura il suo pane, che mi garantisce una vita che dura per sempre.

3) Ma queste letture parlano poi proprio di futuro oppure parlano di oggi?

Queste pagine annunciano il ritorno glorioso di Cristo, ma Gesù è venuto per disincarnarci dalla terra, dalla storia o piuttosto non è stato proprio Lui ad incarnarsi nella nostra realtà? E’ l’oggi che può portare a compimento il passato e può dare senso al futuro. Io vivo oggi, non domani. E’ oggi che Dio mi fa i suoi doni. E’ nella storia del mio quotidiano che posso incontrare Gesù. Non fanno un po’ ridere coloro che cercano i segni della futura venuta del Cristo e non sanno incontrarlo nelle sue molteplici presenze quotidiane in mezzo a noi? E’ oggi che posso dare la mia risposta all’amore di Dio, è oggi che posso rispettare oppure contribuire a distruggere la creazione. Il Vangelo, tutt’altro che distraendoci dal presente ci aiuta ad assumerlo, a viverlo, a trasformarlo. Oggi, guardando a Gesù, posso cominciare a diventare creatura nuova, nella certezza che Lui porterà a compimento la sua opera. "In quel tempo"… "In quei giorni" dicono le letture di questa domenica ma, dobbiamo ammetterlo, il vero problema è "questo tempo", "questi giorni". Noi ci spaventiamo per il futuro, non vogliamo pensare alla morte ma, dietro a queste paure, nascondiamo il nostro non voler pensare seriamente alla vita. L’eternità ha bisogno dell’oggi. Dio porta a compimento; sarà Lui il nuovo e definitivo ‘Sole’ ma intanto ha bisogno di me e di te per cominciare a brillare oggi.

Ma, allora, non si salverà nulla di questa nostra realtà?

Tutt’altro. Intanto, con Gesù, ogni uomo ha la possibilità di salvarsi, ma si salveranno anche le cose belle, buone, scamperà alla "fine del mondo" il bene che avremo cercato di compiere, si salverà quel dolore che abbiamo cercato di trasformare in amore, quelle lacrime che abbiamo versato insieme ai fratelli, quelle gioie che abbiamo condiviso.

E, ultima cosa: avete notato che insieme ai segni grandiosi degli astri che cadono, Gesù ha posto l’immagine di un fico pieno di germogli? E quando una pianta comincia a germogliare significa che ci avviciniamo alla sua fine o che invece sta arrivando la primavera?

 

 

LUNEDI’ 20

San Felice di Valois; S. Ottavio; Sant’Edmondo

Parola di Dio: Ap. 1,1-4; 2,15; Sal. 1; Lc. 18,35-43

 

"MENTRE GESU’ SI AVVICINAVA A GERICO, UN CIECO ERA SEDUTO A MENDICARE LUNGO LA STRADA". (Lc. 18,35)

Gesù, ho un enorme bisogno di incontrarti, di vederti, di essere guarito dentro, e, allora, mi apposto anch’io sulla strada che porta a Gerico dove Tu stai passando perché voglio vedere Te, ma anche scoprire come altri sono riusciti a vederti ed incontrarti.

Le porte della città sono il luogo dove fanno la posta i mendicanti. Si trascinano lì, la mattina o li accompagna lì qualcuno che poi, magari, li sfrutta. Chi ce l’ha, stende un mantello per sedersi e, senza ritegno, eccoli che mostrano piaghe e malattie ad ogni viandante che entra o che esce dalla città.

Sono gente non bella a vedersi, avidi di denaro, strafottenti inaspriti dalle malattie e dalla lotta quotidiana con la povertà. E’ una nenia continua, una enumerazioni di mali, un ripetersi di richieste, un lanciare maledizioni, un attaccarsi alle nappe dei mantelli di coloro che passano.

Oggi c’è un movimento particolare: non è un singolo colui che entra nella città, ma un gruppo di persone a cui fanno corteo altri che sono usciti dalla città per andare loro incontro.

I mendicanti sperano in bene. Il cieco, che non ci vede ma ci sente bene, si informa. Sapere con chi si ha a che fare è importante per non commettere gaffe e per ottenere. Quando sente che sta arrivando Gesù di Nazaret si ricorda e collega quanto ha sentito in precedenza su di Lui: un predicatore che parla di Regno di Dio dicendo che esso appartiene ai poveri. Uno che se la prende contro l’ipocrisia e la sussiegosità dei ricchi e dei farisei. Uno che lascia intendere di essere il Messia, che fa miracoli… E, se fosse davvero il Messia? Non è forse scritto nel profeta Isaia che al tempo del Messia gli storpi salteranno come cerbiatti e i ciechi vedranno? Non potrebbe essere questa la grande occasione, non per mendicare qualche misera moneta, ma per ottenere la vista? Come fare? Il cieco non può andargli incontro: non lo vede… ma la voce ce l’ha, ed è anche tonante: "Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!"

Cercano di zittirlo ma Egli, agitando il suo bastone, continua a gridare finché Gesù si ferma e lo guarisce.

Gesù, gli altri mendicanti, tra i quali ci sono anch’io, hanno continuato ad enumerare i loro guai, a fare le loro richieste, a sperare nelle solite poche monete.

Eppure mi accorgo di essere povero, di non vedere il senso della mia vita, di essere ricoperto di peccati che sempre più si incrostano, di avere addosso, insieme alle ferite della vita, la tristezza della consapevolezza che da solo non ce la farò mai a cambiare. Ci vedo ancora un po’, ma con il mio sguardo fisso a terra non riesco a riconoscere il tuo volto. Ci sento, ma non riesco a distinguere la verità dalle chiacchiere. Posso alzarmi per venirti incontro, ma la pigrizia e l’abitudine a questa misera vita mi bloccano. Neppure le urla di quel cieco riescono a scuotermi…E così mi passi accanto, guarisci lui e io continuo a starmene ogni mattina alla porta di Gerico, la bellissima città, a mendicare la moneta della sopravvivenza. Gesù, aiutami a capire l’insegnamento di quel cieco. Aiutami a non perdere la speranza, a riconoscere la mia miseria, ma ad usare quel poco che in me funziona, aiutami soprattutto a gridare a Te, senza lasciarmi intimorire, nella certezza che, per dono tuo, anche i miei occhi vedranno il tuo volto.

 

 

MARTEDI’ 21

Presentazione della Beata Vergine Maria

Parola di Dio: Ap. 3,1-6.14-22; sal. 14; Lc. 19,1-10

 

"ZACCHEO DISSE: "ECCO, SIGNORE, IO DO’ LA META’ DEI MIEI BENI AI POVERI; E SE HO FRODATO QUALCUNO RESTITUISCO QUATTRO VOLTE TANTO". (Lc.19,8)

E Gerico ("la profumata" significa il suo nome) continua a starmi stretta. E pensare che le tre volte che ho avuto l’occasione di visitarla mi ha sempre allargato il cuore e riempito gli occhi con il suo verde intenso, vera oasi nel deserto. Eppure, tutte le volte che ‘la visito’ con Gesù ne resto turbato. Ieri ci siamo appostati alle sue porte con i mendicanti della città e abbiamo visto che è proprio uno di essi, un cieco, che riesce a vedere Gesù. Oggi scopriamo che un pubblico peccatore, il direttore dell’ufficio delle imposte che agisce per conto dei Romani invasori, che non è neppur stato molto fornito dalla natura (è un piccoletto), che porta un nome (Zaccheo significa: il puro) che si presta ai lazzi della marmaglia, cambia vita e non solo a parole, dopo che Gesù si è autoinvitato a casa sua.

Tutto bello, tutto meraviglioso. Non possiamo non rallegrarci vedendo un cieco che butta bastone e mantello, e non può che farci piacere la conversione di un peccatore usuraio e ladro, ma sono i messaggi che ci giungono da Gerico che sono un po’ frustate sulla nostra pelle delicata, che ci fanno star male.

Fin che si tratta di ‘voler vedere Gesù’, e chi non è d’accordo?

E se si tratta di perdere un po’ di faccia arrampicandoci su una pianta… beh, non è piacevole, ma si può ancora fare, ma il guaio è che se "la salvezza entra in casa tua" ti scombina tutto, perfino il portafoglio.

Zaccheo fa una specie di testamento, ma non dice: "Alla mia morte darò, lascerò…", egli lascia subito, immediatamente, la metà dei suoi beni ai poveri. Senza che nessuno glielo imponga. E’ diventato matto? Certo! Ed è una cosa perfettamente normale, dopo aver incontrato Gesù.

Ma, allora, io che sono così ‘saggio’, ‘equilibrato’, ‘ragionevole’ non l’ho ancora incontrato Gesù? E, se le conseguenze di quell’incontro sono quelle successe a Zaccheo, sono ancora disposto a rischiare di incontrarlo?

 

 

MERCOLEDI’ 22

Santa Cecilia

Parola di Dio: Ap. 4,1-11; Sal. 150; Lc. 19,11-28

 

"CHIAMATI DIECI SERVI CONSEGNO’ LORO DIECI MINE, DICENDO: "IMPEGNATELE FINO AL MIO RITORNO". (Lc. 19,13)

Dio, con la sua solita grandezza, ci ha letteralmente riempiti con i suoi doni: vita, amore, amicizia e filiazione attraverso Cristo, nello Spirito Santo… e, oltretutto, questi doni non sono stati dati una volta per tutte ma ci vengono rinnovati giorno per giorno.

Davanti a questi doni ci possono essere atteggiamenti molto diversi: qualcuno, dimenticando che essi ci sono stati affidati, se ne è fatto padrone: "Sono io l’unico arbitro della mia vita… le cose sono mie, i figli sono miei…"; qualcun altro invece investe questi doni: "Se Dio mi ha reso capace di amare è perché ami in concreto; se Dio regala la vita a piene mani, anch’io posso dare vita, sollievo, gioia…"; qualcun altro preferisce vivere in pace: "Perché darsi tanto da fare? Perché rischiare? E’ meglio starsene tranquilli, lasciare fare agli altri" o magari accampa scuse: "Non sono capace! Non ne ho voglia… intanto con me o senza di me Dio fa quello che vuole…"; e poi c’è qualcuno che si comporta come il terzo servo considerando Dio come un padrone severo e intransigente.

Quali sono gli errori di quest’ultimo servo? Il primo errore è stato quello di aver fatto paragoni con gli altri: "Quelli sono degli avventati. Rischiare con i soldi del padrone. E poi perché? Per fare ancor più ricco un padrone che ha già tutto?". E il secondo errore, ancora più grave che oltretutto ammette anche bellamente, è quello di aver paura del padrone, cioè non lo ama.

Questo servo è un po’ la figura di molti cristiani che "obbediscono a Dio, perché ritengono di non poterne fare a meno" e che riducono la fede al minimo indispensabile: "Devo andare a Messa, non devo commettere peccati gravi così Dio non ha niente da imputarmi, ma non chiedetemi di fare qualcosa in più: mica sono un invasato religioso!". Ma, allora, dove va a finire la gioia cristiana, il Regno che sta venendo, la libertà individuale, il Dio che ha giocato tutto per noi, Colui che ci chiama ad essere collaboratori della sua gioia?

E, ultima cosa, nella parabola non è presentato il caso del servo che investendo i doni ricevuti ha perso tutto. Mi pare però di poter dire con serenità che, se ci fosse stato questo caso, il padrone gli avrebbe detto: "Entra nella gioia del tuo padrone perché hai saputo rischiare e in questo ti sei dimostrato ugualmente fedele".

 

 

GIOVEDI’ 23

San Clemente I°; San Colombano

Parola di Dio: Ap. 5,1-10; Sal. 149; Lc. 19,41-44

 

"GESU’, QUANDO FU VICINO A GERUSALEMME, ALLA VISTA DELLA CITTA’, PIANSE SU DI ESSA". (Lc. 19,41)

Per commentare il versetto di oggi provo a condensare una pagina ormai "datata" (1967) ma sempre attuale, presa da "Vangeli Scomodi" di Alessandro Pronzato.

Perché piange il Signore? La ragione è semplicissima: piange perché non piangiamo noi, piange al nostro posto, piange sul nostro cristianesimo soddisfatto, trionfalistico, fatto più di cose che di persone, più di chiacchiere che di vita, più di abitudine che di fede, più di ‘ragionevolezza’ che di pazzia evangelica, più di elemosina che di carità, che assomiglia, spesso, a una borghesia dello spirito più che a un "perdere la propria anima".

Se Gesù venisse oggi a visitate la nostra città, il nostro cristianesimo contemporaneo, come lo accoglieremmo?

Accenderemmo luminarie, faremmo processioni? Ma Lui vuole vedere "cristiani accesi", ossia cristiani trasparenti, che siano luce.

Controllerebbe i registri dell’anagrafe cristiana? Ma Lui va a sfogliare i registri delle coscienze.

Le cerimonie ufficiali, con le autorità civili in prima fila a contatto di gomito con la porpora dei cardinali? Ma Lui cerca i poveri.

Le imponenti funzioni religiose, "grandiose manifestazioni della fede"? Ma Lui cerca il granellino di fede vera, quello capace di spostare montagne.

La Chiesa dei poveri? Lui non si accontenta. Esige anche una Chiesa povera.

Gli stati cosiddetti cattolici? Ma Lui non si accontenta delle etichette e si informa se libertà, giustizia e cristianesimo ci siano davvero.

Gli elenchi dei benefattori? E Lui chiede notizie dei peccatori.

Le bellissime chiese? Ma Lui prima fa il giro tra le ‘favelas’, le ‘bidonvilles’, i campi profughi.

Le imponenti costruzioni per "le opere cattoliche", funzionali, modernissime per le quali "abbiamo perfino fatto debiti?" E Lui, semplicemente, ci domanda se, oltre alle case in pietra siamo riusciti a costruire dei cristiani.

L’affluenza alla Messa domenicale, i pellegrinaggi, le morti "esemplarmente cristiane"? Sembra che a Lui interessino ancora di più coloro che si impegnano a vivere da cristiani.

Il Concilio, l’aggiornamento della Chiesa, le opere dei teologi di avanguardia? Ma Lui è curioso di sapere che cosa abbiamo "pagato" per quelle idee, e pagato di persona.

Basta. E’ molto probabile che Gesù abbia motivo di piangere anche oggi. Piange perché, ancor oggi, nella "città santa" non c’è posto per Lui.

In un cristianesimo trionfalistico c’è posto per tutto e per tutti: per la nostra vanità, per i diplomatici, per il nostro desiderio di potere e per gli arrivisti, per i nostri pavoneggiamenti.. ma non c’è posto per Gesù.

Un uomo che piange ci mette sempre in imbarazzo. E qui è un Dio che piange. Si tratta di non sprecare quelle lacrime. Di sentirci chiamati in causa. Lasciamo che quelle lacrime intacchino la nostra soddisfazione, corrodano le nostre sicurezze, mettano in crisi il nostro perbenismo, svelino le magagne della nostra "buona coscienza".

 

 

VENERDI’ 24

Sante Flora e Maria

Parola di Dio: Ap. 10, 8-11; Sal. 118; Lc. 19,45-48

 

"GESU’ ENTRATO NEL TEMPIO COMINCIO’ A SCACCIARE I VENDITORI DICENDO: "STA SCRITTO: LA MIA CASA SARA’ CASA DI PREGHIERA. MA VOI NE AVETE FATTO UNA SPELONCA DI LADRI". (Lc. 19,45)

Anche oggi condenso alcuni pensieri di Alessandro Pronzato:

Notiamo: chi sono coloro che sono cacciati dal Tempio? Sono ufficialmente gli amici del Tempio, coloro che con i loro affari permettevano la grandezza e la ricchezza del Tempio. Gesù non avrà allora voluto dire che i peggiori nemici del cristianesimo non vanno ricercati fuori, ma dentro l’area sacra? E, tra questi possiamo esserci proprio noi.

Siamo così abili a rintracciare i nemici esterni della religione. In questo abbiamo un fiuto infallibile. Li abbiamo scoperti, questi nemici, catalogati, etichettati. Gli abbiamo addossato tutte le colpe (dalla scristianizzazione delle masse alla "preoccupante crisi delle vocazioni"). Gli abbiamo dichiarato guerra. Abbiamo ridotto il nostro essere cristiani ad essere "anti" nemici esterni. E non ci siamo accorti che in fin dei conti i nemici esterni fanno perfin bene alla Chiesa: la rendono vigilante, aumentano la sua forza di coesione, la irrobustiscono… e poi, contro di essi c’è la garanzia dell’assistenza dall’Alto ("le porte dell’inferno non prevarranno…"). Il pericolo per la Chiesa non viene dall’esterno, viene dall’interno, da noi. Io che mi sono accucciato all’ombra del Tempio, io che vivo nell’area sacra, posso essere il nemico del Tempio, un profanatore del Tempio. La mia mediocrità, il mio ridurre il cristianesimo a dimensioni ‘ragionevoli’, ossia alle dimensioni della mia paura e vigliaccheria, le mie azioni che smentiscono quanto affermo con la bocca, il mio rifiuto di sporcarmi le mani nelle realtà terrestri, la mia religione come polizza di assicurazione contro gli eventuali rischi dell'aldilà... sono tante armi che io punto contro il Tempio.

E mentre Gesù caccia i mercanti di santini caccia anche noi quando siamo in chiesa solo per mercanteggiare sulla salvezza della nostra anima, o quando ricorriamo al Signore con la preghiera soltanto perché si ha l’acqua alla gola, e guai se Dio non accorre prontamente.

Qualche scudisciata ci arriva sul groppone perché teniamo un lungo elenco di Santi da pronto soccorso, ognuno specializzato in un settore particolare che naturalmente paghiamo con un cero accesso, un triduo, una novena o una bella offerta.

L’operazione pulizia del Tempio sarà completata soltanto quando saremo riusciti a svellere questa mentalità mercantile, questa concezione utilitaristica della religione che ci rende gretti e meschini e che ci trasforma in mercanti all’ombra del Tempio.

 

 

SABATO 25

Santa Caterina d’Alessandria

Parola di Dio: Ap. 11,4-12; Sal. 143; Lc. 20,27-40

 

"DIO NON E’ IL DIO DEI MORTI, MA IL DIO DEI VIVI; PERCHE’ TUTTI VIVONO PER LUI". (Lc. 20,38)

Molti, al giorno d’oggi, non vogliono sentir parlare di aldilà o perché hanno paura ad affrontarne la realtà, o perché vogliono rimuovere il problema. Altri, poi, dicono apertamente che l’aldilà non esiste e allora la vita diventa frutto del caso, allora la virtù è una fatica inutile, allora lo scopo della vita è godere più che si può, allora uccidere e uccidersi non è più un problema.

Noi, invece, crediamo alla vita eterna e difendiamo la logicità della nostra scelta anche se questa dà fastidio a chi non crede perché dovrebbe contestare vanità, idolatrie e proposte bugiarde di felicità.

Gesù parla chiaramente dell’aldilà. Un gruppo di sadducei si accosta al Signore e gli propone una domanda, che evidentemente vorrebbe ridicolizzare una possibile vita dell’aldilà. Gli dicono: "Se una donna sposa sette mariti successivamente, nella risurrezione di chi sarà?".

La risposta di Cristo colpisce il fondamento dell’obiezione: "Vi sbagliate, perché voi pensate che la vita eterna sia come quella di quaggiù. Questo invece è un mondo provvisorio e qui tutto ha breve durata. La vita eterna è un’altra cosa e il matrimonio stesso non ci sarà più, almeno nel modo in cui lo intendiamo noi, perché appartiene a questa fase della storia umana". Per noi, dunque è un chiaro avviso: è inutile voler immaginare il paradiso o l’inferno, ne faremmo unicamente delle brutte copie: essi esistono, ma è impossibile tradurli in immagini perfette. Gesù, poi, insegna che la realtà della vita eterna è presente in tutto il libro sacro, bisogna però accostarsi ad esso con umiltà, senza orgoglio o pregiudizi, se no si correrebbe il rischio di non vedere neppure le cose più evidenti.

Noi abbiamo la gioia di sapere di essere chiamati alla vita per sempre, non ad un qualsiasi paradiso, ma allo stare con Dio per sempre. Questo, invece di allontanarci dalla realtà, ce la illumina, la vivifica, la riempie di speranza e di aspettativa. Siamo il popolo che, cominciando a riconoscere la presenza salvifica di Dio nel presente, "attende la vita del mondo che verrà". Dio ci ha chiamati alla fede, ci ha donato salvezza e sapienza per capire la vita come gioioso pellegrinaggio verso una meta che non è un qualcosa, ma che è Qualcuno.

 

 

DOMENICA 26

CRISTO RE E SIGNORE DELL’UNIVERSO

San Corrado

Parola di Dio: Dan. 7,13-14; Sal. 92; Ap. 1,5-8; Gv. 18,33-37

 

1^ Lettura (Dan 7, 13-14)

Dal libro del profeta Daniele.

Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto.

 

2^ Lettura (Ap. 1, 5-8)

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.

Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà; anche quelli che lo trafissero e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto. Sì, Amen! Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!

 

Vangelo (Gv. 18, 33-37)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, disse Pilato a Gesù: "Tu sei il re dei Giudei?".

Gesù rispose: "Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?". Pilato rispose: "Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?". Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce".

 

RIFLESSIONE

 

In questi giorni ho finito di leggere un ennesimo romanzo che ha come motivo centrale il rapporto tra l’uomo e la morte e risurrezione di Cristo. Questo romanzo racconta di un romano che giunge a Gerusalemme proprio mentre Gesù sta morendo sulla croce. Quest’uomo si interesserà alla figura di Gesù e soprattutto vorrà cercare di carpire i segreti del suo Regno.

In fondo è quello che abbiamo fatto noi durante questo anno liturgico.

Infatti, oggi, con la Festa di Cristo Re e Signore dell’universo si conclude il cammino di un anno (tra l’altro, l’anno santo del giubileo) che avevamo iniziato con l’avvento. Per un anno, con l’aiuto di Dio, siamo andati dietro a Gesù cercando anche noi di carpire e di fare nostri i ‘segreti’ del Regno di Dio.

Se guardo alla mole di pagine scritte in questo anno, se penso a quante persone come te che le hanno lette e arricchite della propria esperienza, riflessione e preghiera, non posso che gioire ed essere riconoscente al Signore… ma, siamo davvero entrati un po’ di più nel suo Regno? Perché il suo Regno è misterioso e semplice ad un tempo, aperto ai bambini e agli umili, ma con una porta molto stretta, è l’opposto di tutto quanto si possa umanamente immaginare.

Il brano odierno del Vangelo ce ne dà una prova ed un’immagine.

Due uomini si trovano uno di fronte all’altro.

Uno è Pilato, il Procuratore Romano in Palestina, un uomo di potere, rappresentante di un potere che arrivava fino ai confini della terra allora conosciuta, persona ricca, agiato, difeso dalle legioni, libero di decidere la sorte di un altro uomo..

Davanti a Lui c’è un Galileo ("che cosa può venire di buono dalla Galilea?"), figlio di un falegname che ha annunciato un regno molto strano a malati e straccioni, che chiama suoi apostoli dei pescatori. Per di più quest’uomo, che si dice abbia fatto miracoli e che certamente ha fatto del bene, è lì davanti in catene, consegnato ad un Romano proprio dal Sinedrio, il maggior organo religioso degli Ebrei…

Eppure, ad un certo punto nelle battute tra Pilato e Gesù non si riesce più a capire: chi è la persona libera? Quella in catene che parla di Verità o quella dell’uomo di potere che dovrà decidere non con la libertà di farlo, ma secondo le norme dello stesso potere? Chi è colui che ha parlato e continuerà a parlare al mondo: Pilato o Gesù? Chi, in fondo, decide delle sorti dell’altro, Pilato che può lavarsi le mani e poi condannare o Gesù che, accettando la sua sorte, pregherà il Padre per coloro che lo hanno crocifisso?

E allora comprendiamo subito che davvero il Regno di Gesù è un Regno diverso da quelli di questa nostra terra.

Prima differenza: certo il Regno è presente, sia pure in forma incompiuta, in questo mondo, però non è di questo mondo. Intanto non si può abbozzare una mappa di questo Regno. Non ci sono confini ben delimitati anche quando certi personaggi di chiesa sembrano mettere paletti: questi, davanti all’annuncio di Gesù, saltano tutti, uno dopo l’altro. I confini del Regno comunque non coincidono sicuramente con quelli della Chiesa visibile, ma sono molto più vasti.

Di un regno terreno si può scrivere la storia, della Chiesa di può scrivere la storia, del Regno no, perché ha orizzonti e radici più vaste del semplice succedersi degli avvenimenti e quello che magari per la Chiesa è una conquista, per il Regno è una perdita, mentre magari un fatto apparentemente negativo, ha radici, intenzioni, volontà che vanno a favore del Regno. Due domande per capirci: Il cosiddetto Editto di Costantino che ufficializzava la religione cristiana è servito alla Chiesa, ma sarà poi proprio servito al Regno? La perdita del potere temporale della Chiesa è stato giudicato da molti come un fatto negativo (c'è’chi lo piange ancora oggi!), ma non è stata una grande conquista per il Regno? Quante volte si è fatta confusione tra i "nostri buoni affari" con il "raccolto" nei granai del Regno!

Inoltre questo Regno non si fonda su registri, cifre, quantità, statistiche, bilanci. Gesù parla di un "piccolo gregge". Gli Evangelisti che invece erano per cose un po’ più grandiose, parlano già con meraviglia dell’apparizione del risorto a 500 persone!

E’ un Regno non di "persone per bene", è aperto ai mendicanti, ai disgraziati cui viene promessa "una corona al posto della cenere".

E’ un Regno dove non si entra attraverso raccomandazioni o bustarelle, dove non basta "avere un prete in famiglia" o aver fatto una buona offerta alla Chiesa, per poter entrare. E’ un Regno che non è neppure sicuro per i ‘religiosi’ anzi, sembra siano quelli che hanno maggiori difficoltà a riconoscerlo se sono stati addirittura i principali fautori dell’uccisione del "Re dei Giudei".

E’ un Regno che parte dalla piccolezza di un granello di senapa, che cresce nel buio della terra, che non fa piazza pulita dei peccatori, ma va a cercarli, che lascia crescere in se stesso sia il buon grano che la zizzania, che è fermento, lievito e non imposizione.

Questo Regno non è un insieme di leggi e di norme, è una persona: Gesù morto e risorto.

Questo Regno ha certamente un futuro ma si presenta con un segno sconcertante: il Re Crocifisso.

Al centro del Regno è stata piantata una volta per sempre la Croce, espressione di un amore fedele e della solidarietà con tutte le vittime. Parlare di potenza e di forza per il cristiano significa obbligatoriamente fare riferimento esclusivo alla potenza della Croce e alla forza dell’amore.

Il Regno non ha armate né per attaccare né per difendersi, non ha mani adunche per acchiappare ma mani ‘forate’ per dare. In esso non si può usare il vocabolario del potere : "battaglie, sfide, vittorie, conquiste, avversari, alleati, tattiche, armi, dichiarazioni di guerra, scontri, bollettini trionfalistici, scampanii vittoriosi… Il vocabolario del Regno è molto semplice e concreto: "lavoro, fatiche, sacrifici, incomprensioni, pazienza, attese, ricerca, perseveranza, gioie semplici e profonde…

E i frutti del Regno?

Di certo non si identificano con i nomi scritti nei nostri registri parrocchiali. I frutti verranno di certo, sono garantiti dalla bontà della pianta che è Gesù stesso. Forse ci sono già ma non sta a noi né programmarli né quantificarli; a noi basta "diventare piccoli", "farci umili" per passare dalla porta stretta ed entrare in questo Regno agendo e pregando poi, insieme a i fratelli e a Gesù affinché: "Venga il tuo Regno" e in esso "sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra".

 

 

LUNEDI’ 27

San Virgilio

Parola di Dio: Ap. 14,1-5; Sal. 23; Lc. 21,1-4

 

"IN VERITA’ VI DICO: QUESTA VEDOVA, POVERA, HA MESSO PIU’ DI TUTTI. TUTTI COSTORO, INFATTI, HAN DEPOSTO COME OFFERTA DEL LORO SUPERFLUO, QUESTA, INVECE, NELLA SUA MISERIA, HA DATO TUTTO QUELLO CHE AVEVA PER VIVERE". (Lc 21,3-4)

Le offerte in chiesa: un argomento difficile. Qualcuno preferisce non parlarne mai, altri ne parlano anche troppo, altri hanno utilizzato questo argomento per giustificare i propri interessi, chi riceve per ricevere sempre di più, chi dà per sentirsi buono e per ‘comprarsi un pezzo di paradiso’.

Partendo dal vangelo di oggi, proviamo a chiederci che cosa ne pensi Gesù.

Gesù che ha rovesciato i tavoli dei cambiavalute e che ha chiamato "briganti" coloro che commerciano nel tempio, non abolisce né la tassa per il tempio, nè le offerte che vengono fatte per il sostentamento dell’apparato religioso, ma dice chiaramente alcune cose:

Dio non è un commerciante e neanche un contabile. Non pensare di fare i conti con Lui come li fai col tuo commercialista. I soldi, poi a Lui non interessano proprio, essi sono invenzione degli uomini e spesso sono "Mammona" che si oppone a Dio, in quanto essi diventano idoli. Se sei disonesto, non pensare che con una offerta te la cavi, sarai giusto davanti a Dio e a te stesso quando la smetterai con la disonestà e cercherai anche di riparare al male fatto (vedi Zaccheo).

Dio non ha bisogno dei nostri soldi per farci delle grazie o per mandare in paradiso i nostri morti. Se do un’offerta quando "faccio dire una Messa" (bruttissima espressione!), do un’offerta perché ritengo giusto che il celebrante abbia il necessario per il servizio che fa. Se faccio un’offerta ai missionari è perché voglio ringraziarli del loro lavoro e mi sento partecipe a quanto essi fanno.

Non serve farsi vedere, non servono gli "elenchi dei benefattori", i "club dei buoni donatori", come è aborrito da Dio il fatto di usare il suo nome per spillare soldi quando soldi ce ne sono già in abbondanza, ed è altrettanto ‘non meritorio’, ma stolto il donarli se conosco questi inghippi.

La quantità, poi, ha significato solo in base al cuore. La vedova non è lodata per la quantità della sua offerta: i sacerdoti avranno sorriso sentendo l’esiguità dell’offerta e magari avranno detto fra di loro: "Se tutti ci dessero solo così, come faremmo a mangiare noi?". Eppure la quantità della vedova non è poco, è tutto, "tutto quanto aveva per vivere", cioè la fede di questa vedova è grandissima perché dice a Dio: "Adesso che non ha più niente devi pensarci tu a me". Se vogliamo parlare di esigenza di Dio, questa non riguarda il portafoglio, riguarda il cuore e non si tratta neppure solo di donare col cuore (potrebbe prestarsi ancora a tante ambiguità), si tratta di "donare" il cuore.

 

 

MARTEDI’ 28

San Giacomo della Marca; Santa Caterina Labourè

Parola di Dio: Ap. 14.14-19; Sal. 95; Lc. 21,5-11

 

"VERRANNO GIORNI IN CUI, DI TUTTO QUELLO CHE AMMIRATE, NON RESTERA’ PIETRA SU PIETRA CHE NON VENGA DISTRUTTA". (Lc. 21,6)

"Signora, che bella casa, la sua!". E’ questo uno dei complimenti che maggiormente inorgogliscono una donna di casa che con fatica, ma con gioia si è costruita giorno per giorno la casa, dove tutte le cose hanno un significato, una storia, un riferimento. La casa, con i suoi mobili, la sua pulizia, i suoi odori e colori è davvero l’espressione di chi ci vive.

Ma la casa può anche diventare un idolo e allora vedi case dove non si può entrare se non con le pattine, dove certe stanze, a forza di metterci cose sono diventate tetre come un museo, dove per l’ordine maniacale sembra ci abitino dei fantasmi. In quel caso la casa è diventata l’idolo, espressione di chi la vede più importante delle persone che ci abitano e ci entrano.

Il tempio di Gerusalemme era una costruzione magnifica, ma soprattutto era un segno magnifico della religiosità ebraica. Esso era l’espressione del mistero di un Dio che eleggendo un popolo aveva deciso di coabitarvi. Era il punto di riferimento, almeno annuale, per tutti gli Ebrei per ricordare e ringraziare il Dio liberatore… quel tempio era l’orgoglio degli Ebrei, il segno distintivo con cui essi si presentavano agli altri popoli.

Anche lì, però, si correva il rischio che la magnificenza del tempio, le sue liturgie, facessero dimenticare la finitezza della costruzione e l’infinitezza di chi ci abitava.

Quando, specialmente nella nostra bella Italia, si va "in giro per chiese" scopriamo delle meraviglie dell’arte e spesso dimentichiamo chi ci abita. Basta poi un terremoto per ricordarci che le chiese sono fatte di pietre e di mattoni e che cadono come tutte le altre costruzioni (in certi casi non è bastato neppur questo perché si è preferito ricostruire le chiese lasciando gli uomini in scatoloni di ferro).

Gesù ci dice chiaramente che il tempio, la chiesa hanno senso se sono espressione vera di fede, se tutto quello che vi è in esse, dalle suppellettili che le ornano fino ai preti che vi celebrano, è significativo di questa fede e non solo freddo rituale. Se esse sono ancora il segno del bisogno di Dio e la casa comune degli uomini che credono in Lui, allora servono, se no saranno monumenti che potranno forse ricordare momenti veri di fede nel passato, ma sono insignificanti nel presente, non più che "pietre su pietre", destinate col tempo a crollare.

 

 

MERCOLEDI’ 29

San Saturnino

Parola di Dio: Ap. 15,1-4; Sal. 97; Lc. 21,12-19

 

"CON LA VOSTRA PERSEVERANZA SALVERETE LE VOSTRE ANIME". (Lc. 21,19)

Tutti sappiamo che fare una scelta è facile, spesso anche entusiasmante, ma portarla a compimento per tutta una vita, con fedeltà in mezzo a tanti ostacoli, richiede invece molta perseveranza e tanta pazienza e spesso, noi, non amiamo molto questa virtù che riteniamo propria non tanto dei forti quanto dei deboli. Eppure, quante cose ineluttabili ci sono alle quali la risposta della pazienza costruttiva è l’unica che abbia senso. Ad esempio, davanti al tempo che non segue i nostri progetti come possiamo reagire? Imprecando la cattiva sorte, arrabbiandoci… e che cosa è cambiato? Ci sono avvenimenti spesso contrari che sembrano proprio studiati e orditi contro di noi per mandare all’aria i piani magari studiati da anni. Certo, fa venire rabbia specialmente quando ci rendiamo conto che non possiamo farci proprio niente, ma la nostra rabbia spesso complica solo le cose o le guasta del tutto.

Occorre pazienza con tutto e più ancora con tutti. Infatti non ci sarà mai una persona che, in un modo o nell’altro non metta alla prova la nostra sopportazione, tutti infatti abbiamo le nostre deficienze, i capricci, le nostre angolosità, i nostri chiodi mentali, le nostre debolezze, le nostre stanchezze, e tutti spesso mettiamo a prova la pazienza degli altri.

Ci vuole pazienza con le avversità, con i dolori, con le sventure: con la pazienza si raddolciscono e si rendono utili. Non crediamo che la pazienza sia debolezza. Per essere pazienti ci vuole molta forza, basta che ci chiediamo se ci vuole più pazienza a perdere la calma o a mantenerla.

Ma ci vuole anche molta pazienza con noi stessi. La pazienza di accettarci, la pazienza di ricominciare sempre da capo…

Dio è un "Dio paziente, lento all’ira, pieno di grazia e di misericordia" e Gesù ce lo ha ampiamente dimostrato andando a morire sulla croce "mentre noi eravamo peccatori", e Dio ci invita anche alla pazienza e alla perseveranza nei confronti del suo Regno che ha tempi diversi dai nostri, che ha modalità che non sempre corrispondono ai nostri progetti. E’ solo il paziente attivo che sa adattare se stesso e gli avvenimenti senza mai perdere di vista il fine e che riesce, proprio in questo, a vedere che il Regno sta venendo e sta costruendosi.

 

 

GIOVEDI’ 30

Sant’Andrea

Parola di Dio: Rom. 10,9-18; Sal. 18; Mt. 4,18-22

 

"E GESU’ DISSE LORO: SEGUITEMI, VI FARO’ PESCATORI DI UOMINI". (Mt. 4,20)

Ieri dicevamo che anche con il Regno di Dio ci vuole pazienza perché non sempre si compie secondo i nostri parametri. La festa di oggi e il brano di Vangelo che meditiamo ce ne danno un’ampia testimonianza.

Chi si aspetterebbe che il Messia atteso da tante generazioni inizi a buttare il seme del Regno di Dio in Galilea, la "Galilea dei pagani", a Cafarnao una città commerciale che non godeva buona fama? Tutti si sarebbero aspettati che il Messia cominciasse ad operare sotto l’ala protettiva del Tempio e della religiosità ufficiale.

Anche gli uomini ci possono sembrare sbagliati in partenza. Chi mai andrebbe a fidarsi di poveri pescatori semianalfabeti, chi mai affiderebbe loro i misteri di Dio? E poi Gesù non si mette neppure ad insegnare direttamente loro, non spiega ai pescatori i dogmi della nuova religione, chiede invece una scelta totale ma che riguarda il seguire Lui.

Oggi Gesù ancora cammina nel nostro mondo e passa davanti alla tua scrivania, alla tua officina, alle tue pentole di cucina. Mette il suo sguardo nei tuoi occhi e ti dice: Seguimi! Anche per noi, come per Andrea, per Pietro e per gli altri è una sorpresa, non sappiamo neppure che cosa voglia dire quel "Vi farò pescatore di uomini". Pietro e Andrea sapevano solo fare i pescatori di pesci, noi conosciamo solo il nostro lavoro, ma ci viene proposta la persona stessa del Figlio di Dio. Andargli dietro non dà sicurezze o garanzie, non ci procura un avanzamento nel lavoro o un buon nome particolare. Gesù non esibisce un elenco dettagliato delle proprie esigenze, non dice che cosa vuole e dove porterà. La fede ci viene così presentata come antidoto del calcolo, della prudenza umana, dell’esitazione a compromettersi.

Dirgli di sì, andargli dietro, abbandonare le reti, credere, in fondo, significa fidarsi di Lui, della sua Parola, senza chiedere troppe spiegazioni.

E mentre qualcuno è invitato a ‘lasciare le reti’, ci sono pure quelli che sono invitati a rimanere al proprio posto, continuando a fare il solito mestiere, senza abbandonare la famiglia, senza staccarsi dalle solite occupazioni. Si resta dove si è ma si ampliano gli orizzonti, si fanno le cose di sempre ma in un modo diverso, si continua a lavorare in cucina, in fabbrica, in ufficio, ma con Lui.

     
     
 

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