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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

OTTOBRE 2000

 

DOMENICA 1

XXVI° DOMENICA DELL’ANNO  - Santa Teresa di Gesù Bambino; San Remigio

Parola di Dio: Num. 11,25-29; Sal. 18; Giac. 5,1-6; Mc. 9,38-43.45.47-48

 

1^ Lettura (Nm. 11, 25-29)

Dal libro dei Numeri.

In quei giorni, il Signore scese nella nube e gli parlò: prese lo spirito che era su di lui e lo infuse sui settanta anziani: quando lo spirito si fu posato su di essi, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito. Intanto, due uomini, uno chiamato Eldad e l'altro Medad, erano rimasti nell'accampamento e lo spirito si posò su di essi; erano fra gli iscritti ma non erano usciti per andare alla tenda; si misero a profetizzare nell'accampamento. Un giovane corse a riferire la cosa a Mosè e disse: "Eldad e Medad profetizzano nell'accampamento". Allora Giosuè, figlio di Nun, che dalla sua giovinezza era al servizio di Mosè, disse: "Mosè, signor mio, impediscili!". Ma Mosè gli rispose: "Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!".

 

2^ Lettura (Gc. 5, 1-6)

Dalla lettera di san Giacomo apostolo.

Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza.

 

Vangelo (Mc. 9,38-43.45.47-48)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, Giovanni rispose a Gesù dicendo: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri". Ma Gesù disse: "Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è per noi. Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue ".

 

RIFLESSIONE

 

Ricordo un episodio in particolare che riallaccio alle letture odierne.

Era una sera, già sul tardi: nel pomeriggio erano passati in parrocchia almeno una quarantina di barboni, poveracci, extracomunitari; a tutti, le brave signore avevano cercato di dare qualcosa, a chi un vestito, a chi i panini per la cena, a chi qualche soldino, qualche parola di amicizia, un po’ di ascolto… Era ora di chiudere ed ecco arriva ‘Il Rosso’. Lo conoscevamo bene, era un piantagrane. Distribuiva volentieri insulti a tutti, non era mai contento, e quando era ubriaco bisognava anche stare attenti perché diventava pericoloso. Avevamo provato un po’ tutti con lui, senza successo, né con le buone né con le cattive si riusciva ad ottenere anche solo la parvenza di un rapporto sereno con lui. Anche quella volta ci provammo con qualche battuta ironica, di quelle che di solito usava lui nei nostro confronti. Risultato: stavamo gridando tutti e gli insulti cominciavano a volare.

Entrò un signore. Non lo conoscevo, non era di quelli che venivano a Messa. Aveva un paio di borse piene di indumenti che aveva portato per i poveri. Sentì il battibecco. Guardò con cortesia ‘Il Rosso’ e gli disse: "Lei ha più o meno la mia taglia; sempre che lo desideri, guardi un po’ qui, in mezzo a questi indumenti se c’è qualcosa che potrebbe essere di suo gradimento".

‘Il Rosso’, pur cominciando a sbirciare nelle borse non mancò di lanciare la sua battuta: "Questi ricchi pensano di essere buoni solo perché, invece di buttar via le loro cose usate, le portano al prete perché faccia bella figura a darle a noi poveri!"

Quel signore rispose: "Ha ragione, e per farmi scusare, dopo che avrà preso quello che le può servire, se me lo permette, andremo insieme in un bar per fare uno spuntino".

Dopo un po’ se ne uscivano a braccetto.. Una delle brave signore che erano lì si premurò di avvisarmi: "Guardi, don Franco, che quello non è mica dei nostri, è un comunista, non viene mai in chiesa, non manda la figlia all’ora di religione e convive con una separata…" Non mi potei trattenere di aggiungere: "Ed è riuscito là dove tutti noi abbiamo sbagliato, e ci ha dato una bella lezione di umiltà e di carità cristiana":

Questo fatto non è altro che una delle tante attualizzazioni dei due episodi raccontati nella prima lettura e nel Vangelo di oggi.

Nel lungo viaggio verso la terra promessa Mosè aveva sentito il peso di dover essere solo a guidare il popolo e a doverlo reggere anche nelle liti che quotidianamente sorgevano e aveva chiesto a Dio di dargli degli aiuti. Dio viene incontro alla richiesta di Mosè e gli chiede di radunare settanta anziani. Mosè compila la lista e li invita intorno alla tenda del convegno ed essi ricevono da Dio "lo spirito di Mosè". Eldad e Medad, due fra gli iscritti da Mosè, non avevano risposto alla chiamata ed erano rimasti nell’accampamento. Ma lo Spirito di Dio si posa anche su di loro ed essi cominciano a profetizzare. Giosuè, allora, si fa dovere di avvertire Mosè e lo consiglia di impedire loro di profetizzare. Giosuè non riesce a concepire un rapporto personale e libero con Dio senza la mediazione dell’istituzione. Mosè invece risponde dimostrando una grande umiltà e grandezza d’animo: "Sei forse geloso di me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo Spirito". Mosè riconosce la libertà di Dio e sa apprezzare i suoi doni in chiunque li abbia ricevuti.

Nell’episodio del Vangelo sono poi gli Apostoli, Giovanni in particolare, ad essere integralisti e a non accettare che alcuni, situati fuori del proprio gruppo, possano usufruire del loro stesso potere e magari anche cacciare qualche demonio che loro stessi non era riusciti a mandar via. In fondo, indirettamente, è una critica a Dio che "non rispetta le regole". E’ un po’ come quei contadini della parabola che si meravigliano e brontolano perché il padrone della vigna dà anche ai vignaioli dell’ultima ora la stessa paga che aveva pattuito con quelli del mattino.

Provate un po’ a pensare se non è vero che tutti gli integralismi religiosi hanno alla base l’aver dato per assodato che Dio è solo con chi rispetta certe norme e certi regolamenti e aver ridotto Dio agli schemi del gruppo; è non sapere più vedere né la bontà di Dio né il bene dei fratelli al di là del paraocchi religioso che ci si è messi ed è, nello stesso tempo ritenersi "i giusti", "i migliori degli altri".

"Sei geloso per me?", rispondeva Mosè a Giosuè. Non dobbiamo essere gelosi dei doni dello Spirito dovunque essi si manifestino: E’ segno di un discepolo puntiglioso e gretto, profondamente insicuro e incapace di "vedere largo", il mal sopportare che altri possano avere doni. Se tutto è visto con invidia si perde di vista la gioia cristiana, l’amore per i fratelli e tutto invece diventa solo dovere mugugno.

Questa situazione, purtroppo, si ripete anche oggi. E’ la tentazione di fidarsi solo dei propri progetti (magari mettendo ad essi la maschera dell’adempiere la volontà di Dio).

A volte si giunge perfino ad essere invidiosi di quanti, dopo un’esistenza vissuta lontano da Dio, hanno ricevuto, in fin di vita, la grazia della conversione. Se scopriamo questo in noi, significa che abbiamo vissuto e viviamo la fede solo come un dovere e il nostro rapporto con Dio solo con la paura di Lui non sapendo apprezzare il dono immenso di aver potuto vivere accanto a Lui giorno dopo giorno.

"Fossero tutti profeti!" La nostra gelosia è fuori posto. Essere gelosi dei doni di Dio significa non amare né Dio né i fratelli: Non siamo nell’amore di Gesù quando ci arrocchiamo nei vari campanilismi legati alla famiglia, associazione, parrocchia, città, nazione, razza, religione.

"Fossero tutti profeti!" anche nel nostro tempo e non soltanto i cristiani, che in quanto battezzati devono saper essere profeti in tutti gli ambienti da essi frequentati, ma tutti i credenti e gli uomini di buona volontà.

Essere Chiesa di Cristo, dell’unico Salvatore e Redentore del mondo, non significa sentirci migliori degli altri, non è codificare Dio a tal punto da vincolarlo a fare ciò che vogliamo noi, significa avere la responsabilità di vivere in pieno il suo messaggio, di diffonderlo con la testimonianza e la parola, con spirito di servizio e carità, perché tutti possano conoscere la rivelazione che il Signore ha voluto comunicare al mondo e possano pure godere gli stessi nostri mezzi di santificazione ma significa anche saper cogliere i segni dello Spirito ovunque si compiano le opere dell’amore, ovunque troviamo semi di bontà, da appoggiare e sviluppare. I veri amici di Dio godono nel notare come la bontà di Dio si riversa liberamente non solo sui cristiani, non solo sul nostro gruppo ecclesiale di appartenenza.

Se è vero che il mondo contemporaneo ha bisogno più di testimoni che di maestri, è anche vero come ci ricordava già san Tommaso d’Aquino che dobbiamo riuscire a discernere ed essere pronti ad accettare ogni proposta di verità da qualunque parte ci venga.

 

 

LUNEDI’ 2

Santi Angeli Custodi

Parola di Dio: Es. 23,20-23; Sal. 90; Mt. 18,1-5.10

 

"GUARDATEVI DAL DISPREZZARE UNO SOLO DI QUESTI PICCOLI PERCHE’ VI DICO CHE I LORO ANGELI, NEL CIELO, VEDONO SEMPRE LA FACCIA DEL PADRE MIO CHE E’ NEI CIELI". (Mt. 18,10)

Quando coloro che erano incaricati della scelta delle letture per questa festa dei Santi Angeli Custodi hanno dovuto scegliere il brano del Vangelo, hanno avuto una strada facile nell’individuare questo versetto in cui è Gesù stesso a dirci che gli angeli dei bambini, dei piccoli, vedono la faccia del Signore; ma, forse, senza volerlo, ci hanno dato anche un’altra indicazione preziosa. Come mai si parla di angeli solo in riferimento ai bambini? Vuol dire che gli Angeli Custodi sono una cosa da bambini?

Io credo che ognuno abbia, dalla Provvidenza Divina, una guida, un Qualcuno che ci ama e che ama Dio, un Qualcuno molto potente che crede in noi, nelle nostre possibilità di bene, che intercede per noi, che per noi vede, adora, ringrazia Dio, che anticipa per noi quella che vorrebbe essere la nostra sorte per l’eternità.

Ma solo chi è semplice, ‘bambino’, crede a questo ed ha occhi per vedere questo compagno e amico, segno della Provvidenza divina.

Gli occhi dei ‘grandi’ spesso non vedono più Dio, la natura, il prossimo, vedono se stessi, il potere, gli affari; le orecchie dei ‘grandi’ spesso sentono rumori, parole, non riescono più a cogliere la voce della poesia, della fantasia, il silenzio parlante del bello e del buono; i piedi dei ‘grandi’ sono abituati a correre per star dietro ad un mondo che va in fretta per arrivare a rispondere a tanti desideri e piaceri e non sanno più sostare per gustare il piccolo.

Non è che non ci sono Angeli Custodi per i ‘grandi’, è che, spesso, i ‘grandi’ pensano di farne a meno ed hanno perso la capacità di vedere e di vederli.

E poi c’è ancora un aspetto: Vi ricordate che, forse con un certo romanticismo, si diceva: "Quella mamma è l’angelo del focolare…quell’infermiera è l’angelo della corsia…"? Allora non avrò anch’io il compito di essere un po’ angelo per qualcuno che vive vicino a me? E non potrà capitare che come gli Angeli Custodi vedono il volto di Dio, anch’io possa vedere il volto di Cristo in qualche fratello ?

 

 

MARTEDI’ 3

San Gerardo di Brogne; Sant’Edmondo di Scozia

Parola di Dio: Gb. 3,1-3.11-17.20-23; Sal. 87; Lc. 9,51-56

 

"SIGNORE, VUOI CHE DICIAMO CHE SCENDA UN FUOCO DAL CIELO E LI CONSUMI? ". (Lc. 9,54)

Mi è capitato di seguire un reportage sulla "Festa dell’orgoglio omosessuale" che raccoglieva, oltre ad immagini ‘pittoresche’, anche le opinioni ‘a caldo’ di persone partecipanti, presenti, ed anche di partecipanti ad una contromanifestazione. Qualcuno era divertito, altri perplessi, qualcuno appoggiava le rivendicazioni di libertà espresse, qualcuno diceva che la manifestazione non era né opportuna né decente… Due opinioni, soprattutto per il tono con cui erano dette, mi hanno colpito. Una era di un omosessuale che affermava: "Questa è una guerra tra froci, froci noi e froci quelli del Vaticano!" e l’altra era quella di un pretino ben tonacato e impomatato che minacciava il fuoco di Sodoma e Gomorra sulla manifestazione e su ogni omosessuale perché: "Finalmente Dio liberi il mondo da questa gramigna".

In quei giorni di polemiche mi dicevo: "Quanta gente, anche importante, ha perso un’occasione preziosa per starsene zitta e per evitare di costruire altre barriere".

Perché, in fondo la tentazione è sempre la stessa.

Giacomo e Giovanni, i ‘figli del tuono’ , siccome si sentono incaricati di agire nel nome di Gesù e poiché sono riusciti, sempre nel suo nome, a fare qualche miracolo, ecco che, davanti ad un villaggio che non vuole accogliere il Signore, si sentono autorizzati ad invocarne la distruzione.

Quando ci si sente troppo sicuri, quando la missione perde il suo scopo di servizio e scade nella logica del potere umano, ecco che viene la tentazione di invocare i fulmini di Dio sui cattivi o su coloro che non la pensano come noi: pensate agli integralismi, alle guerre di religione o anche alle divisioni all’interno delle nostre comunità cristiane dove, a volte, si lanciano anatemi o si creano divisioni solo perché si fa capo a gruppi diversi.

E’ il solito peccato: vogliamo risolvere le cose a modo nostro. Ci mettiamo al posto di Dio e, magari inconsciamente, pensiamo di fare meglio di Lui. Ci sentiamo autorizzati ad estirpare la zizzania.

Ma questa non è la logica di Gesù: "Non sono venuto a condannare, ma perché il mondo si salvi", "Aspettate ad andare ad estirpare la zizzania". E poi, chi ci assicura che in un eventuale rogo contro le malefatte umane non ci finiremmo anche noi?

 

 

MERCOLEDI’ 4

San Francesco d’Assisi

Parola di Dio: Gal. 6,14-18; Sal. 15; Mt. 11,25-30

 

"TI BENEDICO, O PADRE, SIGNORE DEL CIELO E DELLA TERRA, PERCHE’ HAI TENUTO NASCOSTE QUESTE COSE AI SAPIENTI E AGLI INTELLIGENTI E LE HAI RIVELATE AI PICCOLI". (Mt. 11,25)

Un giorno, frate Francesco vide un muratore e gli chiese: "Padrone mio, che fate?". Quegli rispose: "Faccio i muri dalla mattina alla sera!". Con amore Francesco chiese ancora: "E perché fate muri tutto il giorno?". Rispose il muratore: "Per guadagnare quattro soldi!". "E perché volete guadagnare soldi, fratello mio?". "Per vivere!", fu la risposta.

"E perché vivete voi?", fu la semplicissima domanda di Francesco. Ma il povero muratore non seppe rispondere.

Perché la vita? A che serve la vita? Qual è il senso della vita?:.. Sono domande che, penso, ciascuno di noi si sarà posto tante volte. Così era successo anche a Francesco. La sua formazione gli aveva indicato risposte nelle ricchezze terrene: bastava continuare il mestiere di suo padre per essere ricco, benestante, rispettato da tutti; un'altra strada avrebbe potuto essere quella della gloria, non per niente aveva vestito le armi al seguito di Gauthier de Brienne.

Ma solo quando rimase nella solitudine riuscì a rendersi evangelicamente piccolo, al punto che il Signore potè rivelargli "le cose tenute nascoste ai sapienti e agli intelligenti".

Per me la grande e principale lezione che viene da Francesco è proprio questa: imparare a rispondere alle domande fondamentali della vita con ‘la testa fra le nuvole’. Non senza realismo e concretezza, ma vedendo oltre, al di là della terra. Imparare a dar peso e valore alle cose che agli occhi dei più non ne hanno o ne hanno poco, come il bene, la verità, la giustizia, il rendere felici gli altri, il non inseguire il denaro, la ricchezza, la comodità, il plauso, l’approvazione, i riconoscimenti. Il vedere che tutte le creature ci sono sorelle, degne di rispetto anche quando le usiamo e consumiamo a nostra utilità perché realtà create apposta per noi.

Francesco, rinunciando a tutto, era ricco di tutto e soprattutto ricco di Dio e quando uno è ricco di Dio può chiamare fratello anche il fuoco con il quale gli avevano appena cauterizzato un occhio, o sorella anche la morte intesa solo come passaggio alla visione totale di Dio.

 

 

GIOVEDI’ 5

San Placido

Parola di Dio: Gb. 19,21-27; Sal. 26; Lc. 10,1-2

 

"ECCO, IO VI MANDO COME AGNELLI IN MEZZO AI LUPI". (Lc. 10,3)

Il brano del vangelo di oggi è tipico del vangelo di Luca dove è raccontato che Gesù manda in missione non solo gli apostoli, ma invia anche settantadue discepoli. Questo ci dice chiaramente che il cristiano non può delegare la missione solo agli "addetti ai lavori" (Papa, vescovi, preti, missionari…): ogni cristiano è missionario, infatti siamo cristiani veri nella misura in cui abbiamo sentito una voce, un amore, una bontà infinita che ci coinvolge. Dio non ha bisogno di cortigiani che gli dicano: "Signore, Signore!", ma di persone che lavorino per introdurre nel mondo quella novità che è il Vangelo di gioia e di risurrezione di Gesù.

Dio ha bisogno di uomini non per sé, non per il suo onore (che nessuno può togliergli e nemmeno mettere in pericolo), ha bisogno di noi… per gli altri, ha bisogno di noi per noi, per darci la gioia di poter assomigliare a Lui, che è altruista all’infinito.

Un cristiano che non sente bollire nell’anima la voglia di gridare il Vangelo, che non sente il dovere di parlare di Dio, che non sente l’urgenza di impegnarsi nell’apostolato… non è un cristiano. Se sei cristiano, sei apostolo.

Ma, nel vangelo di oggi, quello che colpisce ancora di più è il modo della missione. Non si tratta di andare con tanti mezzi ad imporre, si tratta di proporre con amore. Ecco le parole fortissime di Gesù: "Vi mando indifesi in un mondo violento". Noi ci aspetteremmo: "Armatevi almeno del bastone per difendervi", invece Cristo dice il contrario: "vincerete se sarete agnelli, se sarete miti, se sarete poveri e distaccati perché convinti e attratti da un’altra ricchezza".

Così deve essere la vera comunità cristiana.

Il mondo ci fa paura quando lo combattiamo con i suoi stessi mezzi: violenza con violenza, orgoglio con orgoglio, torto con torto, dispetto con dispetto, cattiveria con cattiveria… Ma il mondo non fa più paura quando si combatte con i mezzi di Dio: mansuetudine, pazienza, perdono, generosità, preghiera. Dionigi l’Aeropagita scriveva di se stesso: "Per fare del bene non ho mai avuto bisogno di polemizzare con nessuno". E’ lo stile dei santi, lo stile di coloro che veramente fanno cambiare qualcosa in meglio nella storia del mondo.

D’altra parte, guardiamo a Gesù stesso: Lui chiede a noi di essere agnelli perché Lui il mondo l’ha vinto salvandolo come ‘agnello innocente, condotto al macello’.

Finchè la Chiesa e noi cristiani pensiamo di vincere il mondo combattendolo, facendoci lupi anche noi, perderemo perché ci mancherà l’aiuto e la forza del Signore che è il Buon Pastore delle pecore e non dei lupi.

 

 

VENERDI’ 6

San Bruno

Parola di Dio: Gb. 38,1.12-21; 49,3-5; Sal. 138; Lc. 10,13-16

 

"CHI ASCOLTA VOI, ASCOLTA ME, CHI DISPREZZA VOI, DISPREZZA ME. E CHI DISPREZZA ME, DISPREZZA COLUI CHE MI HA MANDATO". (Lc. 10,16)

Noi, nel Credo, affermiamo, secondo quanto rivelatoci da Gesù, l’Unità e la Trinità di Dio.

La frase che meditiamo oggi, direi, condensa e amplia ancora il senso della Trinità e dell’Unità di Dio inserendo anche noi in questo mistero.

Accogliere Gesù significa accogliere "Colui che lo ha mandato" cioè il Padre che lo ha consacrato fin dal momento del concepimento attraverso lo Spirito Santo. Così dice l’Angelo a Maria: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque Santo e chiamato Figlio di Dio".

Anche oggi molti hanno ammirazione per ciò che Gesù ha detto e fatto, ci sono addirittura alcune sette che, facendosi passare per cristiane, citano continuamente le parole di Gesù, ma vedono Gesù solo come un profeta. Gesù è Dio!

E tutto cambia allora: le sue parole non sono solo indicazioni morali di un brav’uomo e allora si possono sviscerare, discutere, applicare secondo i tempi; sono Parola di Dio! I Sacramenti non sono degli ‘optional’ della religione, sono segni efficaci del suo amore per noi. Gesù non è morto solo per la fedeltà alle sue idee in contrasto con il potere politico e religioso di allora, è morto per me, per la mia salvezza.

Ma, secondo la frase che meditiamo oggi, anche noi siamo entrati, proprio grazie a Gesù nell’intimo della Trinità.

Gesù identifica a sé i discepoli.

Noi cristiani parliamo a nome di Gesù, siamo la presenza di Gesù sulla terra. Questo non è solo un onore, è una grandissima responsabilità!

Non ci rende onnipotenti, invulnerabili all’errore e al peccato. Nessuno di noi deve far passare le proprie povertà come parola di Dio, però abbiamo la garanzia dello Spirito sul fatto che Gesù si serve di noi per continuare la sua opera di salvezza, e proprio per questo dobbiamo conformarci sempre più a Cristo.

Chi non crede, chi è alla ricerca di Gesù, ha il diritto di esigere di vedere in noi la sua presenza.

Chissà se, sentendomi parlare, riescono a percepire la profondità della sapienza, della dolcezza di Gesù? Chissà se, vedendomi pregare, colgono un amore profondo per Dio? Chissà se, vedendomi nei miei rapporti quotidiani con il prossimo, riescono a vedere l’amore di Gesù che si china su tutti, che lava i piedi ai suoi discepoli, che perdona i suoi persecutori?

 

 

SABATO 7

Beata Vergine del Rosario

Parola di Dio: Atti 1,12-14; Salmo da Lc. 1,46-55; Lc. 1,26-38

 

"TI SALUTO, O PIENA DI GRAZIA, IL SIGNORE E’ CON TE" (Lc. 1,28)

La festa di oggi ci ricorda l’importanza della pia pratica del Santo Rosario. Questa preghiera così semplice, apparentemente monotona, è capace di mettere l’anima in comunicazione coi misteri celesti, così da sollevarla dal peso delle prove e delle sofferenze, da darle forza, pace e speranza, da illuminarla circa le esigenze della volontà divina, e da stimolarla alle grandi imprese dell’amore cristiano (pensate al nostro Papa che ogni tanto, in mezzo a tante manifestazioni vediamo mormorare o a Madre Teresa che, magari a qualche simposio con semplicità quasi infantile faceva correre la sua mano al rosario).

La pratica del rosario, certo, non è universalmente necessaria alla salvezza come lo è la celebrazione in preghiera dell’Eucarestia, tuttavia è una strada che moltissimi santi hanno seguito per meditare e pregare il Vangelo in compagnia di Maria.

Da Lourdes (1858) ad oggi, ogni apparizione mariana è messaggera del Rosario, preghiera semplice ed universale. Una preghiera per tutti: teologi e analfabeti. Maria, come sempre ci porta davanti a Dio e porta Dio a noi.

"Non ti prometto di renderti felice in questa vita ma nell’altra", sono le parole che la Vergine rivolse a Santa Bernardette Soubirous . Commenta Vittorio Messori: "Proprio alle soglie dell'età contemporanea in cui le ideologie promettevano felicità in questa vita, il Cielo stesso ricorda l’insegnamento cristiano di sempre: c’è un solo paradiso e non è in questa valle di lacrime".

La preghiera del Rosario ci aiuta a vedere in Maria Colei che ci dona Cristo e una icona della Chiesa.

Vi propongo oggi una antichissima preghiera di Cirillo d’Alessandria (370-444). Si può anche leggere tra le righe di questa preghiera una origine di quelle che sono oggi le litanie della Madonna che diciamo al termine del Rosario:

 

Salve, Maria, Madre di Dio, tesoro sacro dell’universo,

fiaccola inestinguibile, corona della verginità,

scettro dell’ortodossia, tempio indistruttibile,

tabernacolo di Colui che il mondo non può contenere,

Madre e Vergine!

Grazie a te è lodato nel Vangelo colui che viene nel nome del Signore.

Salve, tu che nel seno verginale hai contenuto l’eccelso.

Grazie a te è venerata la croce e su tutta la terra la si rispetta;

il cielo esulta, angeli ed arcangeli si allietano,

i demoni sono cacciati, il diavolo tentatore cade dal cielo.

Grazie a te l’umanità decaduta è stata rialzata fino al cielo,

e l’intera creazione, asservita agli idoli, è pervenuta alla conoscenza della verità.

Per te il santo battesimo è l’olio dell’esultanza per i fedeli;

per te sono sorte le chiese su tutta la terra;

per te le genti si raccolgono nell’unità.

E che debbo ancora dire?

Per te la luce, l’unigenito Figlio di Dio,

rifulse a coloro che giacevano nelle tenebre della morte;

per te i profeti predissero il futuro;

gli apostoli annunziarono la salvezza alle genti, i morti risorgono…

 

 

DOMENICA 8

XXVII^ DOMENICA DELL’ANNO  -  Santa Pelagia; San Simeone

Parola di Dio: Gen. 2,18-24; Sal. 127; Eb. 2,9-11; Mc. 10, 2-16

 

1^ Lettura (Gn. 2, 18-24)

Dal libro della Genesi.

Il Signore Dio disse: "Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile". Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: "Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta". Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.

 

2 ^ Lettura (Eb. 2, 9-11)

Dalla lettera agli Ebrei.

Fratelli, Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Ed era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli.

 

Vangelo (Mc. 10, 2-16)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, domandarono a Gesù: "É lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?". Ma egli rispose loro: "Che cosa vi ha ordinato Mosè?". Dissero: "Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla". Gesù disse loro: "Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto". Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: "Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio". Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: "Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso". E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.

 

RIFLESSIONE

 

Dopo aver letto il Vangelo di oggi, la prima tentazione che verrebbe al predicatore sarebbe quella di mettersi a commentare gli ultimi versetti dove abbiamo il dolce e bel quadretto di Gesù che abbraccia e benedice i bambini. Un modo anche abbastanza comodo per evitare di addentrarsi nel problema dell’indissolubilità familiare e del divorzio, problema tanto reale che coinvolge anche gran parte dei cristiani che abitualmente vanno a Messa.

Eppure non è giusto eludere questo problema e neanche limitarsi a proclamare principi o a lanciare anatemi che oltretutto vengono da una chiesa ancora troppo maschilista e da preti non sposati.

Proviamo allora a balbettare qualcosa su questo argomento cercando di essere fedeli alla parola di Dio e tenendo conto di tante realtà familiari in cui oggi si vive.

La lettura della pagina della Genesi ci presenta, attraverso questo racconto simbolico, la bellezza del progetto di Dio.

Dio, dopo aver creato tutte le cose, ha creato suo figlio, l’uomo "fatto a sua immagine e somiglianza". Dio è contento dell’operato ma si rende conto che manca ancora qualcosa a quella somiglianza con Dio. Dio è Trinità e Unità, mentre l’uomo è ancora solo. Ecco la grande affermazione: "Non è bene che l’uomo sia solo". La solitudine è mancanza di rapporti, è l’uomo incompleto, è grettezza, impossibilità al donare nuova vita..

A riempire la solitudine dell’uomo non bastano neppure le creature, la natura, gli animali… "Gli voglio fare un aiuto che gli sia simile". Notiamo, nel racconto, che la donna è l’iniziativa di Dio realizzata con l’intervento dell’uomo (Dio che prende una costola e crea). Si realizza così la comunione (non la sudditanza) e l’alterità (non la rivalità): "essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa". E questa armonia è fondata sulla scelta ("per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre") e sulla comune interdipendenza ("saranno una carne sola").

Il progetto era bello, ma arriva il peccato che porta le prime conseguenze di male proprio nella coppia. I due cominciano ad accusarsi a vicenda: "E’ stata la donna a darmi il frutto dell’albero", è rotta l’armonia, anche l’atto generativo avviene nel dolore, subentra la rottura dell’equilibrio con tutto il creato. Rimane però la fedeltà di Dio e la promessa che Lui fa.

Lungo la storia, ed anche lungo la storia di Israele, nella coppia, come in ogni altro rapporto giocano ancora gli elementi di bellezza, di bontà, di scelta e di amore, ma anche gli elementi negativi introdotti dal peccato e dal male, le invidie, le stanchezze, i tradimenti, i condizionamenti sociali… e allora la coppia spesso cerca di risolvere questi problemi però, purtroppo, sempre con la legge del più forte, del più potente; ecco, allora, la poligamia, il divorzio dove l’uomo ha tutte le possibilità (al tempo di Gesù si discuteva se fosse possibile divorziare da una donna se essa aveva fatto la minestra troppo salata) e la donna spesso subisce. E naturalmente i moralisti e i religiosi discutono a non finire su queste cose (non è la storia che si ripete sempre?)

Vogliono coinvolgere anche Gesù in questa discussione pro o contro il divorzio, anzi, i farisei approfittano di questa discussione per porre a Gesù una domanda che poteva diventare compromettente, in quanto se Gesù avesse detto sì al divorzio sarebbe andato contro tutta una serie di teologi e moralisti che leggevano la Torà in modo restrittivo, mentre se si fosse mostrato intransigente avrebbe avuto contro tutti quelli che interpretavano con molto liberalismo la Legge.

Come risponde Gesù?

Prima di tutto: Gesù non punta il dito contro nessuno. Gesù richiamerà dei principi che sembrano essere di una intransigenza totale, ma Gesù perdonerà l’adultera, parlerà con la Samaritana dai tanti mariti.

Secondo: Gesù è la Verità e chiama male quello che è male: l’adulterio è male, il divorzio in sé è male. Alla stessa adultera perdonata dirà: "Va e non peccare più".

Terza e più importante cosa Gesù riporta tutto al bel progetto di Dio. Sa benissimo che è il male e l’egoismo, cioè il peccato, che hanno distrutto l’armonia della coppia ed ecco allora che propone come rimedio proprio la vittoria sul peccato e sull’egoismo per poter ristabilire il progetto iniziale.

Molti di voi diranno: "Facile a dirsi, spesso impossibile a farsi". E’ vero. E’ una di quelle cose che sono impossibili, come il cammello che passa nella cruna dell’ago, come amare i nemici, come essere perfetti come è perfetto Dio. Se guardiamo solo alle nostre forze umane ci sono certe situazioni familiari che sono insostenibili, ci sono certe coppie in cui voler a tutti i costi sostenere l’unità è come voler condannare a morte o uno o tutti e due.

Gesù, allora, non è realista?

Non credo che ci sia nessuno più realista di un Dio che per dimostrarci di volerci bene si è incarnato nella nostra umanità, ma Egli ci dà delle mete riproponendocele con pazienza nei confronti delle nostre debolezze, ma anche con la fermezza di chi sa dove sia la bellezza e la grandezza del progetto iniziale di Dio sulla coppia. E ci dice anche che se vogliamo, "quello che è impossibile agli uomini non è impossibile a Dio". E ripropone proprio ad ogni coppia di ricalcare quel rapporto di comunione che Dio ha avuto con la sua creatura.

E’ vero che spesso i legami si attenuano, si logorano, le motivazioni iniziali ‘non tengono più, l’abitudine appesantisce il passo, è vero che spesso emergono i difetti dell’altro (quasi mai i nostri), le difficoltà sono reali.

Anche Dio nella sua stvoria con l’uomo ha avuto parecchie difficoltà, ci sono stati grossi incidenti e infedeltà da parte dell’uomo. Dio stesso qualche volta ha perso le staffe. Eppure Dio non si è stancato dell’uomo. E quando proprio non ne poteva più, ha deciso di farla finita. Ed è venuto a cercare l’uomo, e gli ha regalato suo Figlio, e lo ha chiamato con la forza del perdono e del sangue di Gesù a ricostruire quel progetto che è l’unico senso della coppia e dell’uomo.

Alcuni diranno: "Per me non è stato proprio possibile realizzare questo" Ma il fatto di riconoscerlo non è già un constatare un fallimento, una rottura un ‘peccato che sia andata così!’ e non è anche un desiderio di qualche cosa di più bello, di più puro, di armonico? E credete che Dio non tenga conto di questo?

 

 

LUNEDI’ 9

San Dionigi e compagni; Santa Sara

Parola di Dio: Gal. 1,6-12; Sal. 110; Lc. 10,25-37

 

"MAESTRO CHE COSA DEVO FARE PER EREDITARE LA VITA ETERNA?"(Lc. 10,25)

Chissà se questo dottore della legge era uno che voleva solo mettere alla prova Gesù, se era uno che voleva sapere, discutere di religione o se era uno che faceva questa domanda per una profonda esigenza interiore?

Perché, in fondo, questa è la domanda base della vita. Oggi potremmo tradurla così: "Signore, che senso ha la vita? Quindi, che devo fare per essere felice, per essere davvero me stesso, per costruirmi nel tuo progetto?"

Non esistono interrogativi più decisivi di questi. La più grossa povertà infatti è quella di chi non sa perché vive. Diceva già Bernanos: "A che serve tanta scienza se non sai perché vivi?".

Poiché la domanda è decisiva, Gesù risponde con chiarezza e senza esitazione, sollecitando il dottore della legge a dire che cosa Dio ha insegnato ad Israele: "Amerai Dio senza misura, senza limiti".

Potremmo dire: "Me la aspettavo questa risposta. Che c’è di nuovo?"

Certamente, se Gesù si fosse fermato qui, non avrebbe detto niente di straordinario, niente di nuovo. Infatti ogni religione in qualche modo predica l’amore di Dio e, fatto curioso, ogni credente è convinto di amare il suo Dio.

Ma ecco la novità di Cristo: "Ama Dio e ama il prossimo tuo: solo così avrai la vita eterna".

Qui c’è l’incredibile salto cristiano, un salto che ha cambiato la storia religiosa: Dio e il prossimo non si possono separare.

Per cui:

Vuoi sapere quanto ami Dio? Guarda quanto ami il prossimo!

Vuoi sapere se credi in Dio? Guarda come tratti il tuo prossimo!

Vuoi sapere se la tua preghiera è vera? Verifica, controlla se ti spinge ad amare di più il tuo prossimo.

Con la sua risposta al dottore della legge Gesù ha messo il prossimo al centro di tutto, al punto tale che Dio stesso non si può amare senza il prossimo.

Allora se l’odio di Dio ci fa paura ed è peccato gravissimo, anche l’odio del prossimo è peccato gravissimo.

San Giovanni scrive: "Chi odia suo fratello è un omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna".

Chi odia il fratello non possiede la vita eterna: dentro di sé ha già l’inferno. E’ ancora San Giovanni che afferma: "Chi non ama (il prossimo) non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore". "Se uno dicesse: <<Io amo Dio>>, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da Lui: chi ama Dio ami anche il suo fratello".

E’ questa la grande verità cristiana, una verità che ci sembra troppo alta e allora cerchiamo di minimizzare, di accomodare. Ma il Vangelo resta e non cambia. Da qualsiasi parte lo leggiate, il Vangelo conduce a questo comandamento. Ascoltiamo ancora Gesù: "Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con cui misurate sarete misurati".

Sono parole severissime. Gesù vuol dire che il prossimo è il banco di prova della nostra fede.

 

 

MARTEDI’ 10

San Francesco Borgia; San Daniele

Parola di Dio: Gal. 1,13-24; Sal.138; Lc. 10,34-42

 

"MARTA. MARTA, TU TI PREOCCUPI E TI AGITI PER MOLTE COSE, MA UNA SOLA E’ LA COSA DI CUI C’E’ BISOGNO". ( Lc. 10,41)

La casa di Betania è il luogo in cui Gesù si è trovato bene, potremmo dire che per il Maestro che "non ha un sasso su cui posare il capo", sia invece il luogo dell’amicizia e dell’intimità.

Che cosa avviene a Betania nell’episodio descrittoci dal Vangelo di oggi?

Una scena umanamente spiegabilissima. Marta si affatica a preparare, perché vuole offrire una ospitalità dignitosa. Maria invece dimentica tutto e si ferma ad ascoltare Gesù. Niente di strano: due caratteri diversi hanno un comportamento diverso. Gesù però ne approfitta per sollevare un problema più grande e dare una risposta tanto impegnativa. Gesù dice: "Marta, perché ti affatichi per tante cose? Una sola è necessaria!".

Che cosa vuol dire Gesù? Certamente non vuole condannare il lavoro di Marta, non vuol condannare l’impegno. Anzi Gesù è venuto per scuotere la pigrizia e per ricordarci che la vita è un dono da donare, talento da spendere. Che cosa condanna allora? Gesù condanna l'affanno, l’ansia, la preoccupazione. L’affanno è segno di orgoglio e conseguenza di vuoto interiore. "Non preoccupatevi di ciò che mangerete e di ciò che berrete, di ciò che vestirete… Preoccupatevi prima di tutto del regno di Dio". E qui troviamo già la seconda parte della lezione di Gesù: "Una cosa sola è necessaria".

Allora dobbiamo stare sempre a pregare? Non è questa l’intenzione di Gesù, non è questo il suo insegnamento. Gesù non vuole stabilire un dilemma: o pregare o lavorare, bensì vuole ricordare la condizione dell’efficienza cristiana: è efficiente non chi fa tanto, ma chi fa con Dio. Lo dovremmo sempre ripetere a noi stessi!

Ricordiamo la delicatissima parabola della vite e dei tralci: "Io sono la vite e voi siete i tralci". Quali sono le conseguenze per la vita? "Il tralcio è vivo solo se rimane unito alla vite. Allora: rimanete in me, perché senza di me non potete far nulla". E allora cominciamo già fin da oggi a chiederci che cosa sia per noi la preghiera, nei vangeli di domani e dopodomani avremo altre preziose indicazioni di Gesù.

 

 

MERCOLEDI’ 11

Sant’Alessandro Sauli; San Firmino

Parola di Dio: Gal. 2,1-2.7-14; Sal. 116; Lc. 11,1-4

 

"SIGNORE, INSEGNACI A PREGARE". (Lc. 11,1)

Quale sarà il motivo che spinge gli apostoli a fare questa richiesta a Gesù?

Penso che il motivo fondamentale sia stato il vedere che Gesù, il loro Maestro, sovente prega. Spesso infatti, specialmente prima di momenti importanti della sua vita o prima di scelte decisive, Gesù si ritira a pregare e sembra quasi che i discepoli non sopportino questa quasi inaccessibilità di Gesù. Desiderano ‘entrare’ nella preghiera di Gesù, capirne lo stile, afferrarne i contenuti. E la soluzione migliore che sembrano auspicarsi è che Gesù come tutti gli altri maestri insegni loro qualche formula di preghiera.

E Gesù, rispondendo alla loro richiesta non insegna la preghiera Padre nostro, ma con essa insegna a loro e a noi la strada della preghiera.

Dio non ha bisogno di preghiere, non ci punisce se ‘non diciamo le preghiere’, siamo noi che abbiamo bisogno di preghiera, cioè abbiamo bisogno di incontrare Lui; non possiamo farne a meno se vogliamo scoprire la nostra dignità di ‘figli’.

Ma come pregare? Una volta ero convinto anch’io che ci fossero scuole e tecniche di preghiera, oggi, pur non disprezzando chi può trasmettermi la sua esperienza, parto da un altro punto di vista. Quando due persone si vogliono bene, amano stare insieme, hanno bisogno di comunicare di fare insieme delle cose. La preghiera, penso, sia questo nostro stare insieme con Dio, dove le parole contano fino ad un certo punto, ma dove riconosciamo chi è Colui che ci ama, dove gli parliamo ma soprattutto dove stiamo bene con Lui.

E Gesù, insegnandoci il Padre nostro ci indica proprio questo stile di confidenza. Infatti questa preghiera ci schiude davanti un programma la cui vastità è tale da mettere i brividi addosso. E’ una preghiera che ci svela Dio ma che ci apre gli occhi perché ci fa scoprire ciò che dobbiamo fare. Ci apre le orecchie perché ci fa ascoltare ciò che Dio si aspetta da noi. Ci mette in piedi perché ci libera dall’inerzia e dalla pigrizia.

 

 

GIOVEDI’ 12

San Serafino

Parola di Dio: Gal. 3,1-5; Cantico da Lc. 1,69-75; Lc. 11,5-13

 

"CHIEDETE E VI SARA’ DATO, CERCATE E TROVERETE, BUSSATE E VI SARA’ APERTO". (Lc. 11,9)

Ci guida oggi una riflessione di Alessandro Pronzato.

Vien voglia di lamentarsi, e i motivi di lagnanza sono infiniti e tutti legati alla nostra esperienza concreta.

Abbiamo pregato. Abbiamo perfino insistito nelle nostre richieste, secondo la raccomandazione che chiude la parabola evangelica. Senza però ottenere nulla. Dio è rimasto ostinatamente muto. La finestra è rimasta chiusa, non si è aperto neppure uno spiraglio.

Ed è difficile continuare quando le nostre domande vengono regolarmente disattese.

Si ha perfino l’impressione che Dio si diverta a mandare a vuoto le nostre più legittime aspettative.

Come, allora, conciliare l’assicurazione dell’esaudimento certo della preghiera con l’esperienza quasi quotidiana che smentisce brutalmente questa promessa? Ciascuno di noi è in grado di esibire una lunghissima filza di richieste inevase da parte di Dio, un voluminoso ‘libro di reclami’ nei suoi confronti.

Forse che anche la burocrazia celeste - settore grazie speciali- si è inceppata e accumula numerosi ritardi ed inadempienze a motivo di troppe pratiche che arrivano a ritmo sempre più incalzante?

Via. Dobbiamo sbarazzarci di questa mentalità contabile efficentistica in fatto di preghiera.

La certezza dell’esaudimento si colloca su un altro piano. Ossia esiste la sicurezza che la nostra preghiera raggiunge, tocca senz’altro Dio.

All’altro capo del filo (o dietro la finestra chiusa) c’è Lui che si fa regolarmente trovare, si rende puntualmente disponibile, non dice: "Sono troppo occupato", "Non ho tempo", "Ho tante altre cose più importanti cui badare", "Ho un’infinità di faccende pressanti da sbrigare per il governo del mondo e tu mi disturbi con le tue miserabili richieste", "Mi stai stancando, annoiando". "Ho già sentito un fracco di volte i tuoi lagni"…

Lui, invece, ascolta paziente, prende atto.

Quindi basta pregare per essere certi che la comunicazione è stabilita.

E poi Dio interviene, non c’è dubbio. Anche se non sempre quando e come pretenderemmo noi.

Dio potrebbe far sparire miracolisticamente gli ostacoli che intralciano il nostro cammino, i guai che ci opprimono, le cose spiacevoli che ci disturbano, la croce che ammacca le nostre spalle. Oppure può lasciare le cose come sono (almeno all’apparenza). Ma Lui si mette in strada con noi, disposto ad affrontare insieme la nostra avventura, a condividere gli stessi rischi, gli stessi fastidi.

Dio preferisce questo secondo modo di intervento.

Col suo silenzio il Signore ci dice: "Vieni avanti. Cammina. E vedrai".

La strada è ancora la stessa, gli ostacoli sempre quelli, le difficoltà sono ancora lì, ma sei tu che non sei più lo stesso, sei diverso se hai pregato.

Devi affrontare la medesima strada di prima, ma la tua forza non è più soltanto la tua forza.

La situazione non è mutata miracolisticamente, ma sei tu che hai ricevuto un supplemento di forza e di capacità.

Soprattutto ti sei assicurato la presenza di un ineguagliabile e insostituibile Compagno di viaggio.

E non è proprio il caso di stare a patire perché non hai ottenuto delle cose, perché Dio non ti ha concesso quelle determinate grazie.

In realtà hai ottenuto immensamente di più: non delle cose, ma Lui stesso. Non delle grazie, ma la sua presenza.

Nella preghiera non si ottiene uno sconto sul prezzo del biglietto di viaggio. Si ottiene un Compagno di viaggio.

 

 

VENERDI’ 13

San Romolo; Sant’ Edoardo il Confessore

Parola di Dio: Gal. 3,7-14; Sal. 110; Lc. 11,15-26

 

"CHI NON E’ CON ME E’ CONTRO DI ME; CHI NON RACCOGLIE CON ME, DISPERDE". (Lc. 11,23)

Oggi si parla di radicalismo religioso solo perché vediamo le esasperazioni becere di certi radicalismi (o di persone che con essi si mascherano) che sono: guerre di religione, imposizioni, coartazioni di libertà, esaltazioni, forme di pazzia…

Quando Gesù diceva: "O siete con me o siete contro di me", non intendeva certamente queste esasperazioni, se no, dove sarebbe la buona notizia del Vangelo che libera l’uomo nel suo interno e lo aiuta, attraverso il comandamento dell’amore, a stabilire giusti rapporti con Dio e con gli uomini?

Gesù ci mette davanti ad una scelta, profonda, libera, decisiva, impegnativa.

Il mondo del Cristianesimo del 2000, ha scelto Cristo?

Io, ho scelto Cristo?

Proviamo a rispondere a queste due domande.

Noi viviamo, qui in Italia, in un mondo "cristiano": oltre il 90% di battezzati, cultura che si fonda in gran parte su principi cristiani… abbiamo perfino il Papa in casa! Dovremmo essere migliori di molti altri, ma guardiamo ai fatti: qual è l’elemento motore della nostra società? L’amore o il denaro? I grandi, i potenti, i datori di lavoro, i politici nella loro maggioranza si interessano davvero al bene comune o si interessano a se stessi? I grandi partiti a qualunque "polo" appartengano, si ispirano al Vangelo o si ammantano di idee libertarie solo per nascondere la propria sete di potere o per garantire i propri affari? Siamo un popolo che ha fatto il Giubileo perché si è convertito o perché del Giubileo ha fatto un grande affare economico?

Non mi scandalizzo di tutto questo, non voglio essere il purista che vede, stando ben al di fuori, tutto il male esistente nel mondo, ma non posso non notare quanto, come società "cristiana", siamo lontani da Cristo.

E io ho scelto Cristo?

Ciascuno provi a rispondere per se stesso. In quanto a me ho l’impressione di essere il Signor Tentenna: non posso dire di non aver scelto Cristo, infatti esso ha segnato e segna ogni scelta importante della mia vita, ma vedo che se provo entusiasmo per Lui, poi spesso preferisco le scelte del mondo; comprendo che la sua strada è quella giusta, ma invidio chi ha seguito quella di "mammona" e il denaro, il potere e il successo spesso hanno dominio su di me. Credo che l’amore e il perdono siano i grandi insegnamenti evangelici, ma non sempre condivido cose e tempo con gli altri e un po’ di vendetta, o almeno di rancore trova posto in me…

Il radicalismo che Gesù ci chiede non è quello di fare delle crociate in nome suo, è quello di non sceglierlo solo a parole.

 

 

SABATO 14

San Callisto

Parola di Dio: Gal. 3,22-29; Sal. 104; Lc. 11,27-28

 

"BEATO IL GREMBO CHE TI HA PORTATO E IL SENO DA CUI HAI PRESO IL LATTE?". (Lc. 11,27)

"Beato, fortunato, felice…" questa formula di benedizione si trova ben cinquanta volte nell’insieme del Nuovo Testamento… e venticinque volte sulle labbra di Gesù stesso nel Vangelo.

Dio porta beatitudine, benedizione, felicità… Fortunati, benedetti, felici sono i poveri, i miti, gli afflitti, i puri, i costruttori di pace, i perseguitati a causa della giustizia… Beato è quel servitore che il Signore troverà vigilante al suo ritorno, beati sono coloro che ascoltano la parola e la mettono in pratica, beata è Maria, perché ha creduto al compimento delle parole che le sono state dette, fortunato è colui per il quale Gesù non è occasione di scandalo, felici sono gli occhi che hanno visto Gesù… "Beati voi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli… Beati voi se vi farete servitori gli uni degli altri fino a lavarvi i piedi… Beati coloro che crederanno senza aver visto…".

Ma quella che meditiamo oggi è una beatitudine che viene proclamata da una donna che in mezzo a tanti personaggi importanti, scribi e farisei che accusano il Salvatore di essere servo di Beelzebul, esprime la propria ammirazione per la Madre di Gesù. Il testo greco è ancora più diretto e realistico della nostra traduzione, dice: "Fortunato il ventre che ti ha portato e i seni da cui tu hai succhiato". E’ un’espressione tipicamente giudea per parlare della maternità, e questa donna elogiando la maternità di Maria vuole elogiare la grandezza di Gesù. Questa donna non si è lasciata suggestionare delle parole malevoli dei farisei, ella è stata soggiogata dalla grandezza di Gesù ed esprime l’invidia per sua madre.

Non dobbiamo dimenticarcene neanche oggi. Una delle grandi fortune, uno degli onori e delle gioie più profonde che una donna può provare sono i figli a cui ha dato la vita e che ha fatto crescere.

Ma Gesù va ancora oltre, ed ecco un’altra ‘beatitudine’: "Benedetti piuttosto coloro che ascoltano e vivono la Parola di Dio". Quasi a superare il dono grandioso della maternità, Gesù esalta la grandezza della fede.

Notiamolo ancora una volta: Gesù non mette in alternativa, in opposizione la contemplazione e l’azione: la vera beatitudine non mette in opposizione i due aspetti inseparabili l’uno dall’altro, infatti, per Gesù, bisogna contemplare, ascoltare, pregare ma anche agire, mettere in pratica la parola, impegnarsi.

Eccoci allora coinvolti anche noi. Maria, la ‘fortunata’ ci fa capire, attraverso suo Figlio che altrettanto ‘fortunati’ possiamo essere noi concependo la fede in Gesù e generandolo nella gioia del cuore con le opere che Egli stesso ci ha suggerito.

 

 

DOMENICA 15

XXVIII^ DOMENICA DELL’ANNO  -  Santa Teresa d’Avila

Parola di Dio: Sap. 7,7-11; Sal. 89; Eb. 4,12-13; Mc. 10,17-30

In San Pietro: Giubileo delle famiglie

 

1^ Lettura (Sap. 7, 7-11)

Dal libro della Sapienza.

Pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo spirito della sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto; non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l'oro al suo confronto è un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte ad essa l'argento. L'amai più della salute e della bellezza, preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta lo splendore che ne promana. Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.

 

2 ^ Lettura (Eb. 4, 12-13)

Dalla lettera agli Ebrei.

Fratelli, la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non v'è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto.

 

Vangelo (Mc. 10, 17-30)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, mentre Gesù usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?". Gesù gli disse: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre". Egli allora gli disse: "Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza". Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: "Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi". Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: "Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!". I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: "Figlioli, com'è difficile entrare nel regno di Dio! E` più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio". Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: "E chi mai si può salvare?".

Ma Gesù, guardandoli, disse: "Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio". Pietro allora gli disse: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito". Gesù gli rispose: "In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna".

 

RIFLESSIONE

 

Se non abbiamo sentito per abitudine il brano di vangelo odierno, penso che ciascuno di noi sia per lo meno "stupefatto" o addirittura "sbigottito" come è successo agli apostoli quando hanno sentito Gesù fare questo discorso. Turba anche noi sentire che: "E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio".Rifacciamoci allora alla seconda lettura dove l'autore della lettera agli Ebrei ci ricordava che : "La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti del cuore". Non possiamo addormentare la Parola di Dio. Essa ci è donata per provocarci. E allora lasciamoci provocare da questo Vangelo difficile. Il racconto evangelico ci presenta un incontro. Un uomo che scopriamo "buono" va apposta a cercare Gesù. Riconosce in Gesù un Maestro "buono". Si inginocchia davanti a Lui e quindi riconosce in Lui il Messia di Dio ( non ci si inginocchia davanti ad un uomo). E pone a Gesù quella famosa domanda : "Che cosa devo fare per avere la vita eterna?".Anche noi vorremmo poter incontrare Gesù per potergli rivolgere la stessa domanda. Ci interesserebbe una bella ricetta preconfezionata con tutta una serie di norme da osservare che ci diano la garanzia del paradiso.

Notiamo però anche un particolare che ci rivela la storia dell'uomo che è andato da Gesù: lui chiede come "avere" la vita eterna. Infatti nel proseguimento del Vangelo noi scopriamo che quest'uomo "aveva molti beni". Era dunque abituato a comprare e ad ottenere ciò che voleva con i suoi soldi ed anche con Gesù pensa di poter usare lo stesso metodo: "se mi viene chiesto un prezzo per il paradiso ditemi con chiarezza quale sia ed io provvederò".

Di nuovo, anche noi, spesso, ci comportiamo così: pensiamo che il Regno si possa acquistare in base ad una serie di cose. osservanze, elemosine, preghiere...

Gesù, nella sua risposta non evidenzia subito questo atteggiamento, ma indica due strade.

Prima strada. "Tu conosci i comandamenti...."

Sembra di vedere quell'uomo alzare gli occhi e con umiltà ma anche con verità e forse con una piccola punta di orgoglio dire: "Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza". Molti di noi potrebbero, forse con un po' di audacia, dire la stessa cosa: "Signore, non ho mai ammazzato, non ho fatto rapine e a parte qualche ingiustizia non ho mai rubato, ho pregato fin dalla mia infanzia perché mi hanno insegnato così, un po' di carità la faccio..."

Gesù posa lo sguardo su quell'uomo e "lo amò".

Gesù guarda anche ciascuno di noi con amore. Gesù vede lo sforzo del nostro cammino, Gesù stima le nostre opere buone. Gesù ci ama.

Ma proprio perché ha amato, stimato quell'uomo e ama e stima ciascuno di noi ecco che ci indica la seconda strada, quella della perfezione: "Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi"

Proviamo a metterci nei panni di quell'uomo: "Ho lavorato tutta una vita, ho faticato per mettere insieme i miei beni, non li ho mica trovati sotto una pietra! E adesso dovrei buttare via tutto? Dovrei perdere le mie sicurezze, il mio futuro? Dovrei regalare i frutti delle mie fatiche ai poveri? Ma sappiamo bene che poi essi non sapranno gestirli!.."

E davanti a questa proposta di Gesù anche noi facciamo le stesse obiezioni. " Se ho qualcosa è perché me lo sono guadagnato con fatica. Come posso rinunciare alle sicurezze che mi sono creato per la mia vecchiaia: e poi, per come girano le cose oggi, non è per niente allettante non avere qualcosa di solido, essere poveri non è una cosa che piaccia..."

E quell'uomo se ne va triste. Un incontro pieno di speranze finito male davanti all'intransigenza di quel maestro così esigente ed anche così difficile da comprendere. Subentra dunque la tristezza. Poi, magari, il Vangelo non ce ne parla ,ma è facile immaginarlo perché sappiamo benissimo come siamo fatti, saranno venute anche le giustificazioni: "Ma, sarà poi proprio un buon Maestro quel Gesù? Tutta la Bibbia ha sempre parlato della ricchezza come benedizione del giusto da parte di Dio e adesso invece è la povertà che conta?..."

La Parola di Dio ci scuote, la lama tagliente ci sta dividendo: che cosa davvero intende Gesù per ricchezza e per povertà ?

Gesù non dice in assoluto che la ricchezza sia un male e che la povertà sia un bene. Egli ci chiede di essere noi a dare un senso, secondo i valori evangelici a queste due realtà.

I beni della terra (e qui non intendo solo le ricchezze di danaro, di potere, di successo, ma anche i doni che ciascuno di noi ha come la vita, la salute, l'intelligenza, le capacità affettive...) sono cosa buona; ricordiamo come nella Creazione Dio affida tutto il creato all'uomo.

La povertà in se stessa non è un bene. Provate ad esempio a dire ad una madre che non ha da dar da mangiare al proprio figlio e lo vede morire, che è fortunata ad essere in quella situazione!

Siamo noi con i nostri valori e con la fede che diamo un senso alle cose.

La ricchezza materiale può essere padrona di noi o a nostro servizio. E' padrona quando noi ci fidiamo ciecamente di essa, quando la facciamo diventare fine della nostra vita: Sono schiavo allora del denaro perché è il denaro a comandare le mie scelte, sono schiavo del potere quando ad esso sono disposto a sacrificare tutte le altre cose e le persone, sono schiavo del successo se per esso rinuncio alla realizzazione di altri valori.

Gesù, in fondo, chiedendoci di "andare a vendere ciò che abbiamo, di darlo ai poveri" e poi di renderci disponibili ad accoglierlo e a seguirlo, prima di tutto ci rende liberi.

Ma allora dobbiamo fare tutti come Francesco che sulla piazza di Assisi si toglie gli abiti e li riconsegna a suo padre, il mercante Bernardone, per andarsene nudo e povero a fare l'accattone ?

Gesù è stato povero : "Il Figlio dell'uomo non ha neanche un sasso su cui posare il capo" ma non ha disdegnato di farsi aiutare dai soldi di "alcune ricche donne che li sostenevano con i loro averi"; non ha buttato via la " tunica tessuta in sol pezzo" che al momento della passione fa gola ai soldati che "se la tirarono a sorte" e durante il suo ministero non disdegna di farsi invitare a tavola da ricchi farisei.

Gesù però sa benissimo "che non si può servire a due padroni", che Dio e Mammona non possono andare d'accordo in quanto non si può servire all'uno e all'altro, e, allora vuole aiutarci a fare "sgombero": Un cuore occupato non ha spazio nè per Dio nè per i fratelli. Se è vero che credere alla Provvidenza non esclude la previdenza, che dobbiamo essere "semplici come colombe e astuti come serpenti" ,è altrettanto vero che Gesù sa benissimo che " là dove è il vostro tesoro, là sarà il vostro cuore".

Gesù ci ama. Ma proprio perché ci ama desidera che noi siamo liberi di accogliere il suo amore e che impariamo ad amare. Quando un cuore è occupato, quando una vita è piena di cose non c'è spazio per Lui e per gli altri. Il "dar via" o l'essere distaccati dalle cose significa rendersi disponibili ad accoglirLo, a seguirLo. Dio non ci porta via niente, vuole darci se stesso. E allora si spiega anche l'ultima parte di questo vangelo dove Pietro a nome dei discepoli, superato lo sbigottimento davanti alla famosa frase del cammello che passa attraverso la cruna di un ago dice: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito" quasi ad affermare: " Un po' ci siamo riusciti nei tuoi intenti, e, allora, che cosa ci spetta?" E Gesù spiega che c'è un centuplo di premio già su questa terra, non disgiunto da persecuzione, e un premio di vita eterna.

Il premio non è solo l'eternità futura dove la carità è considerata un accumulare un tesoro in cielo, ma è già qui in quanto il Regno di Dio si realizza già in questa vita, in quanto tu sei diventato uomo libero capace di vedere la presenza di Dio nella tua vita, capace di vedere nei tuoi simili non solo dei temibili concorrenti dei tuoi affari e degli insidiosi nemici per i tuoi beni ma dei fratelli concreti con i quali costruire la possibilità nuova di una umanità redenta.

Se ti fermi ai tuoi ragionamenti umani di interessi rischi di guadagnarci poco, anzi, rischi i crolli bancari, le delusioni umane, la perdita totale finale di tutto ciò che hai accumulato. Se investi nella 'banca' di Dio guadagni subito: te stesso, il prossimo, Dio stesso. Se ragioni umanamente valgono solo le piccole addizioni e le stentate moltiplicazioni per un risultato di miseria; se ti fidi di Dio, le 'sottrazioni' e le 'divisioni', per quanto dolorose possano essere, diventano subito 'capitale diviso' e rendita eterna senza pericoli di inflazioni. Dio non si lascia mai battere in generosità. E se volete possiamo terminare con un paragone concreto: Maria.

Maria, se avesse ragionato solo con la sua testa umana, davanti all'angelo che le diceva che sarebbe diventata Madre del Figlio di Dio avrebbe potuto porre tante obiezioni. " Sì, è un onore, ma dove li metto i sorrisetti di commiserazione e le dita puntate dei miei compaesani che mi vedono incinta senza essere sposa? E come gliela racconto a Giuseppe? E come essere madre di Uno che è Figlio di Dio? E la sofferenza di vedere mio figlio morire in croce e di essere chiamata la madre di un condannato a morte?" Certamente il ragionamento umano la avrebbe portata a dire all'Angelo: "Grazie della preferenza, ma fai meglio a cercarti qualcun altro, preferisco la tranquillità della mia vita".

Maria invece si fida. Non sa esattamente che cose le succederà, non capisce tutto, sa che si gioca la sua vita, ma sa anche che di Dio ci si può fidare totalmente. Sgombera il suo cuore per lasciare spazio a Dio e dice: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola": E Dio "farà cose grandi in Lei" e "tutti la chiameranno beata", porterà nel suo corpo la comunione con il Figlio di Dio, sarà madre e lo vedrà crescere nella sua famiglia, con Lui affronterà le prove e le sofferenze e riuscirà, proprio ai piedi della croce, ad accettare l'altro incarico e l'altro dono di essere madre di tutta l'umanità, vedrà la piccola comunità degli apostoli partire, dopo la Pentecoste, per andare per il mondo intero ad annunciare il Vangelo di suo Figlio e sarà poi assunta in cielo, primizia della nuova umanità redenta. Dio non ti toglie niente, ti riempie il cuore e la vita.

 

 

LUNEDI’ 16

Santa Edvige; Santa Margherita Maria Alacoque

Parola di Dio: Gal. 4,22-24.26-27.31-5,1; Sal.112; Lc. 11,29-32

 

"QUESTA GENERAZIONE E’ UNA GENERAZIONE MALVAGIA; ESSA CERCA UN SEGNO, MA NON LE SARA’ DATO NESSUN SEGNO FUORCHE’ IL SEGNO DI GIONA". (Lc. 11,29)

C’è molta gente intorno a Gesù. Qual è il motivo di queste folle che lo attorniano? La vera ragione è soprattutto il desiderio del meraviglioso. Sono in attesa di qualcosa di grandioso, di straordinario, sperano che Gesù faccia qualche miracolo. Ma Gesù rifiuta di fare questi ‘segni’ che gli vengono domandati e qualifica coloro che fanno questa richiesta come ‘malvagi’.

I giudei esigono un grande segno per convertirsi e credere a Lui; forse quelli che Gesù aveva fatto davanti a loro non erano sufficienti. Non c’è mai basta di spettacolarità! E questo dimostra ancora una volta che la fede non dipende dai miracoli, ma viceversa.

E’ certo che i miracoli di Dio invitano a credere, ma non danno automaticamente la fede. Questa non è la conclusione inevitabile di un ragionamento, e nemmeno un’evidenza; senza che per questo smetta di essere "ragionevole", credere è fidarsi di Dio.

Alcuni si chiedono perché Dio non dà agli atei dei segni schiaccianti, perché non scrive in cielo il suo nome con tanta chiarezza da rendere impossibile rifiutarsi di credere. Non lo fa per la stessa ragione per cui Cristo non volle offrire portenti, né in questa occasione, né al tentatore nel deserto, né ai suoi nemici quando moriva sulla croce. Questi richiami pubblicitari non servirebbero a niente, al massimo a suscitare un consenso forzoso, cioè una falsa fede.

Diceva Dostoevskij nella ‘Leggenda del grande inquisitore’: "Non scendesti dalla croce, Signore, perché non volevi fare gli uomini schiavi con un portento, perché desideravi un amore libero e non quello che nasce da un miracolo. Avevi sete d’amore volontario, non di incanto servile davanti al potere, che ispira timore agli schiavi".

E Sant’Alfonso Maria de Liguori nella ‘Pratica di amar Gesù Cristo’ dice che Dio vuole una risposta dello stesso livello della sua offerta, cioè d’amore libero; per questo Cristo non obbliga l’uomo con un segno schiacciante, ma preferisce guadagnarsi il suo amore morendo per lui. Gesù stesso nel suo mistero pasquale di morte e risurrezione, è il grande segno dell’amore di Dio per noi; se non capiamo questo, la fede è impossibile, per quanti miracoli si possano accumulare davanti ai nostri occhi.

Il vero credente non chiede, non ha bisogno di miracoli, per credere e poter convertirsi a Dio, gli basta incontrare Gesù, vedere la sua obbedienza a Dio e il suo amore per noi.

 

 

MARTEDI’ 17

Sant’ Ignazio di Antiochia; San Rodolfo

Parola di Dio: Gal. 5,1-6; Sal. 118; Lc. 11,37-41

 

"PIUTTOSTO DATE IN ELEMOSINA QUEL CHE C’E’ DENTRO, ED ECCO PER VOI TUTTO SARA’ MONDO". (Lc. 11,41)

Quando noi sentiamo parlare di elemosina solitamente pensiamo ad essa come al prendere qualcosa di nostro, per farne parte agli altri. Perciò più volte mi sono chiesto che cosa volesse dire Gesù dicendo di "dare in elemosina ciò che c’è dentro".

Qualche esegeta spiega che forse Gesù dice di dare in elemosina quel che c’è dentro il piatto invece di pensare di onorare Dio purificando l’esterno dei piatti. Ed è una interpretazione evangelicamente corretta. Ma ho l’impressione che Gesù voglia parlarci dell’interno del cuore.

La purezza di cuore non è legata alle esteriorità formali della legge, anche se queste potrebbero essere di aiuto, ma è legata al dare agli altri ciò che vi è dentro. Cioè Gesù dice: "Liberatevi dalla preoccupazione di voler apparire perfetti, di voler acquistare virtù per una perfezione individuale, e rendetevi disponibili con semplicità, all’incontro con ogni persona; liberatevi dalla religiosità della fredda osservanza, da quella della paura e lasciate che il vostro cuore ripieno di Dio debordi e vi conduca per strade nuove con la fantasia dello Spirito Santo che abita in voi".

Ma si può fare ancora una ulteriore osservazione:

Nel mio cuore insieme all’amore, ai buoni sentimenti, albergano anche egoismi, cattiverie, voglia di vendetta, cattivi pensieri e desideri. "Dare in elemosina" queste negatività non vorrà forse anche dire buttar via, far piazza pulita di tutto ciò che è contrario all’amore?

 

 

MERCOLEDI’ 18

San Luca

Parola di Dio: 2Tim 4,10-17; Sal. 144; Lc. 10,1-9

 

"ECCO, VI MANDO COME AGNELLI IN MEZZO AI LUPI". (Lc. 10,3)

Nella festa di San Luca evangelista, pensando a questo grande missionario e scrittore, ci fermiamo ancora una volta a meditare sul senso della missione.

In questi anni ho avuto tante occasioni, anche concrete, di incontrare vari missionari del Vangelo e non ho potuto fare a meno di fare alcune riflessioni:

1) La vera missione, prima ancora del decidersi a partire, comincia dal cuore.

Non si è missionari se non si sente battere il proprio cuore per Gesù e per i fratelli: Solo se amo davvero Gesù, se gli sono riconoscente, se sento che Lui davvero è liberazione e salvezza, ho desiderio di comunicarlo agli altri, perché gli altri (i miei fratelli) facciano la mia stessa esperienza gioiosa e liberante. Se non c’è questo spirito, si fa solo dell’inutile colonialismo religioso, del proselitismo ad una religione e non un annuncio di fede.

2) Non dobbiamo pensare alla missione come ad un incarico riservato a qualcuno: ogni vero cristiano è missionario.

E anche qui ho trovato veri e falsi missionari. Qualcuno considera la missione come esercizio di lingua. Incappi in certi sedicenti cristiani che pensano di convertire con le parole e parlano (il più delle volte direttamente o indirettamente di se stessi) facendo sfoggio di una presunta (e quante volte è proprio solo presunta) sapienza filosofica e teologica.

E ho trovato persone umili che senza fare cose grandiose, hanno però seminato per tutta una vita testimonianze concrete di carità, di pazienza, di perdono, di servizio quotidiano. Davvero quanti missionari sono stati tali senza uscire da quello che molti considerano ‘il banale quotidiano’ e che essi invece hanno considerato come il dono del tempo nel quale godere dell’amore di Dio, esserne ricolmi e trasmetterlo con semplicità.

3) Ho poi incontrato personalmente od ho letto di tanti missionari, figure stupende, che hanno saputo elevarsi al di sopra della mediocrità in cui amiamo cullarci; persone che si sono sforzate di essere coerenti con se stesse, di vivere integralmente il messaggio evangelico. Questi uomini hanno lasciato patria, parenti, amici, affetti, benessere e si sono recati in terre lontane a lottare contro la fame, le malattie, l’emarginazione, l’ignoranza, aprendo scuole, ospedali, orfanotrofi, ricoveri, colonie agricole, pagando sempre di persona, spesso arrischiando la vita, per la promozione dell’uomo in cui vedevano il volto stesso di Dio.

Eppure radio, giornali, televisione, raramente hanno trovato spazio per ricordarli e additarli alla riconoscenza. Come siamo buffi e incoerenti! Solo chi sa dare calci ad un pallone, pugni ad un avversario, correre a piedi, in bicicletta o in auto danno lustro al proprio paese, ricevono denari e medaglie. Ma per chi ha donato tutto agli altri, senza nulla chiedere per sé spesso non c’è neppure il grazie dei beneficati. Eppure siamo tutti convinti che una società diventa migliore, più giusta, più umana, non per i calci dati ad un pallone o agli urli di una canzone, ma per l’amore offerto all’umanità.

Per fortuna l’ultimo giudizio valido lo pronuncerà Uno che dirà: "Avevo fame, ero straniero, pellegrino, nudo e mi avete soccorso… Venite, benedetti, nel Regno del Padre mio, entrate nella gioia del vostro Signore."

 

 

GIOVEDI’ 19

San Paolo della Croce

Parola di Dio: Ef. 1,1-10; Sal. 97; Lc. 11, 47-54

 

"GUAI A VOI DOTTORI DELLA LEGGE CHE AVETE TOLTO LA CHIAVE DELLA SCIENZA; VOI NON SIETE ENTRATI E A QUELLI CHE VOLEVANO ENTRARE L’AVETE IMPEDITO". (Lc. 11,52)

Chi tra voi mi conosce da anni, sa benissimo che celebro volentieri l’Eucarestia in quanto riconosco in essa un dono meraviglioso di Gesù per noi e sento che è veramente "il culmine e la fonte" della vita di ogni prete e di ogni cristiano, ma sapete che quando ne ho l’occasione amo anche ‘andare a Messa’ come ogni buon cristiano. Questo ‘stare dall’altra parte’ mi ha anche aiutato a capire quali possono essere alcune difficoltà di un credente davanti alla celebrazione Eucaristica.

Quando ti trovi davanti a un prete ‘stufo’ (può anche darsi sia solo stanco) che ti ‘tira giù la Messa’ in 17 minuti, senza fermarsi un momento, senza il minimo rapporto con i partecipanti, senza nessun commento o spiegazione magari a certe difficilissimi letture dell’Antico Testamento o lettere di Paolo o di Giovanni, che distribuisce l’Eucarestia come fosse una patatina guardando se tra i fedeli ci sono le persone che gli interessano, ti rendi conto che spesso siamo proprio noi celebranti a non aiutare le persone ad entrare con umiltà, rispetto, gioia, nel mistero celebrato.

E poi senti certe tiritere di preti che se la prendono contro alcuni atteggiamenti dei laici alla celebrazione Eucaristica.

E’ vero che spesso i laici sono ‘formalisti’, ma come li aiutiamo, noi celebranti, ad amare e ad interessarsi a quanto celebrano?

E’ vero che i laici sono ‘ignoranti’ in Sacra Scrittura, ma se io, predicatore, taccio o parlo un linguaggio talmente difficile che non può giungere neanche alla mente di chi ascolta, come potrò invogliare a cercare, conoscere, amare, la Sacra Scrittura?

E’ vero che la celebrazione deve mantenere il senso del mistero che si celebra, ma quando certi gesti (vedi tutti gli orpelli sacerdotali che seguono le mode, incensazioni varie, canti magari in latino eseguiti da cori che impediscono che la genti partecipi al canto) hanno perso il loro significato, che cosa rimane nel cuore di chi ha partecipato?

Abbiamo costruito cattedrali immense dove il prete è talmente lontano dalla gente e dove è così facile, non richiamati da altro, nascondersi dietro le colonne!

Gesù, il Figlio di Dio, il misterioso per eccellenza in quanto più grande di noi, è venuto sulla terra non per nascondere, ma per rivelare. Egli, quando spiega la Sacra Scrittura che lo riguarda ai discepoli di Emmaus, fa sì che essi "si sentano ardere il cuore"; quando spezza con loro il pane, il gesto doveva essere loro talmente familiare che riescono a riconoscerlo.

 

 

VENERDI’ 20

Santa Irene del Portogallo

Parola di Dio: Ef. 1,11-14; Sal. 32; Lc. 12,1-7

 

"GUARDATEVI DAL LIEVITO DEI FARISEI CHE E’ L’IPOCRISIA". (Lc. 12,1)

Gesù è il volto misericordioso del Padre, è sempre disposto a capire, perdonare, dare la possibilità di ricominciare da capo. Ma c’è una cosa che non sopporta e che continuamente stigmatizza: l’ipocrisia.

L’ipocrisia è quella specie di camuffamento che gli uomini usano più spesso. Presentarsi diversi da quello che si è, rappresentarsi secondo i modelli in voga nel proprio ambiente, approfittare delle debolezze altrui per emergere, sono solo alcune facce dell’ipocrisia.

Il brano di Louis Evely che vi propongo può farci scoprire qualche inedita forma di ipocrisia cristiana.

"Il cristianesimo è un dramma che è stato ripetuto a lungo. Lo si sa a memoria, si crede di conoscere il Vangelo. Pensiamo di non aver più bisogno di scuole, né di lezioni di catechismo, né di prediche. Non abbiamo più bisogno di ripetizione. Ora si recita! Siamo pronti, assicurano gli attori, sappiamo bene la parte.

Salgono sul palcoscenico. Ma quando son lì si lasciano abbagliare dalle luci e distrarre dagli spettatori. Invece di entrare in azione, stanno a guardarsi il costume, si occupano di futilità, fumano una sigaretta, chiacchierano con una comparsa. Si mettono bene in posa, contano il denaro del portafoglio.

Ad un certo punto sentono un rumore formidabile. Cala il sipario ed il direttore di scena piomba loro addosso gridando: << Ma insomma? Che vi prende? Perché non avete recitato?>>.

L’attore confuso risponde: <<Ma, non sapevo che fosse già cominciato. Aspettavo. Credevo… me l’immaginavo diverso>>.

Sì, il dramma era cominciato. E’ perfino finito. Ma l’attore non vi si è raccapezzato. Nulla viene mai come ce l’eravamo immaginato. I primi attori, nonostante millenni di profezia, non si sono raccapezzati. Sembrava loro che non sarebbe dovuto avvenire come è avvenuto. Malgrado gli avvisi, le confidenze del Signore, nessuno è riuscito a ritrovarsi, neppure gli apostoli".

 

 

SABATO 21

Sant’Orsola; San Gaspare del Bufalo

Parola di Dio: Ef. 1,15-23; Sal. 8; Lc. 12,8-12

 

"CHI BESTEMMIERA’ LO SPIRITO SANTO NON GLI SARA’ PERDONATO". (Lc. 12,10)

Ci siamo chiesti un po’ tutti, almeno una volta, quale sia questo peccato di bestemmia contro lo Spirito Santo che non può essere perdonato.

Se guardiamo nei Vangeli, troviamo Gesù sempre disposto a perdonare sino al gesto supremo del: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno", detto sulla croce. Gesù stesso, nel Vangelo di oggi dice che ogni peccato può essere perdonato, ma non la bestemmia contro lo Spirito Santo.

Questa bestemmia, davanti a cui la misericordia di Dio è impotente, non è solo questione di ‘cattive parole’ nei confronti dello Spirito.

Proviamo a vedere come esegeti e biblisti hanno inteso questo peccato.

Beck dice che il peccato "è quello di attribuire l’opera benefica di Dio all’azione del demonio; è il rifiuto cosciente della potenza dello Spirito che ha guidato Gesù e che opera nel mondo".

Così anche Taylor dice: "E’ una perversione dello spirito dell’uomo che sfidando i valori morali, sceglie di chiamare luce le tenebre".

"E’ il peccato di dichiarare coscientemente guerra a Dio", dice Schweizer e Bruno Maggioni aggiunge: "E’ il peccato di chi rifiuta la carità ad occhi aperti. E’ il peccato che avviene non solo ‘sapendo’ ma sapendo e giustificando, sapendo e mascherando, addirittura storcendo e utilizzando a proprio vantaggio la stessa manifestazione di Dio".

Ma, mi chiedo: perché è imperdonabile? C’è davvero qualcosa di imperdonabile per Dio?

E’ imperdonabile perché l’uomo si mette nella situazione di non accettare il perdono. E’ molto pericoloso attribuirsi la buona fede, credere di essere giusti, presumere di aver ragione, non essere disposti a cambiare, scambiare la verità con la certezza (vizio comunissimo più che mai). Tutto ciò riguarda questo peccato di resistenza allo Spirito, che è l’amore di Dio che dona e perdona.

In concreto questa bestemmia consiste nel non accettare il perdono incondizionato che Gesù dona nella forza dello Spirito di Dio, chiamandolo o credendolo addirittura cattivo. La bestemmia imperdonabile è non riconoscere che Dio, in Gesù, è grazia e perdono, cercando di vivere della propria giustizia e delle proprie giustificazioni.

 

 

DOMENICA 22

XXIX^ DOMENICA DELL’ANNO

Parola di Dio: Is. 53,2-3.10-11; Sal. 32; Eb. 4,14-16; Mc. 10,35-45

In San Pietro: Giornata missionaria mondiale

 

1^ Lettura (Is. 53,2.3.10-11)

Dal libro del profeta Isaia.

Il Servo del Signore è cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità.

 

2^ Lettura (Eb. 4, 14-16)

Dalla lettera agli Ebrei.

Fratelli, poiché abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede; infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno.

 

Vangelo (Mc. 10, 35-45)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: "Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo". Egli disse loro: "Cosa volete che io faccia per voi?". Gli risposero: "Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra". Gesù disse loro: "Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?". Gli risposero: "Lo possiamo". E Gesù disse: "Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato". All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: "Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti".

 

RIFLESSIONE

 

Suppongo che molti di noi, abituati a leggere il Vangelo, qualche volta ci saremo fatti delle domande su di esso. Ad esempio: gli Evangelisti ci avranno sempre raccontato tutta la verità? Non avranno forse raccontato le cose secondo le loro necessità?

Molte sono le prove per affermare la veridicità dei Vangeli. La pagina che meditiamo oggi mi sembra ancora di più una conferma. Infatti se gli Evangelisti avessero voluto far apparire bene la comunità dei dodici o non avrebbero raccontato questo episodio o lo avrebbero modificato pur di non fare questa "brutta figura".

Si tratta infatti di una brutta figura. Giovanni e Giacomo dimostrano di non aver capito Gesù e il suo messaggio.

Nel suo "viaggio verso Gerusalemme", per ben tre volte Gesù ha detto chiaramente di andare verso la Città Santa non per conquistare il potere, non per impadronirsi del piccolo regno del re Erode, non per fomentare una rivoluzione contro i Romani usurpatori, ma per andare verso la sua morte e risurrezione: "Il figlio dell'uomo dovrà molto soffrire, essere riprovato dai capi e dagli anziani, essere condannato, schiaffeggiato, flagellato, messo in croce". E Giacomo e Giovanni e come abbiamo visto anche gli altri dieci, sono lì a domandarsi come potranno "dividersi la torta". Più che in una comunità religiosa, sembra di essere nella segreteria di qualsiasi partito politico prima delle elezioni dove ciascuno è teso ad ottenere il massimo potere per se stesso in caso di vittoria.

Anche il modo con cui viene formulata la domanda ha un certo che di alterigia: "noi vogliamo che tu ci faccia quanto chiediamo". Davanti a ciò ce ne sarebbe a sufficienza per qualsiasi maestro per arrivare alla delusione: "Non solo questi discepoli non hanno capito niente di me, ma sono diventati anche impudenti!" Gesù, invece sembra imperturbabile: "Che cosa volete che io vi faccia ?". Gesù non si meraviglia delle nostre continue incapacità di essere all'altezza del suo messaggio, vuole con pazienza indirizzarci a scoprire Lui.

Ecco allora la richiesta: " Vogliamo che tu ci faccia sedere nella tua gloria uno alla tua destra e l'altro alla tua sinistra": Detto in altre parole:" Adesso che arriviamo al potere a noi due il ministero degli esteri e il ministero degli interni!"

" Voi non sapete quello che chiedete ".

In effetti se Giacomo e Giovanni avessero capito che la ‘Gloria’ di Gesù sarebbe stata la croce e che alla destra e alla sinistra del crocifisso ci sarebbero stati altri due crocifissi, forse, non avrebbero chiesto con tanta insistenza di essere loro a quel posto.

Ma Gesù questa frase la dice anche a noi. Troppo spesso non sappiamo che cosa chiediamo.

Noi chiediamo di tutto a Dio. E facciamo bene: Gesù stesso ci ha detto di "chiedere per ottenere, di bussare perchè ci sia aperto", è addirittura arrivato a dirci che se con fede "chiederemo ad una montagna di spostarsi, questo avverrà". Ma è anche vero che noi non sappiamo esattamente quale sia il nostro vero bene. Ad esempio posso chiedere a Dio che un determinato affare mi vada bene perchè così "sarei tranquillo io e la mia famiglia", ma siamo proprio sicuri che quel bene che noi desideriamo tanto sia davvero un bene per la nostra serenità ? Un ragazzo profondamente 'cotto' di una ragazza e respinto da lei può chiedere al Signore che tocchi il cuore a quella ragazza, ma è sicuro che questo sarà un bene per lui e per la ragazza ?

Il vangelo ci invita a chiedere, ma ci invita anche a chiedere nella "volontà di Dio". Quando Gesù ci insegna la preghiera al Padre, in essa mette tutta una serie di richieste: il pane quotidiano, il perdono dei peccati, la liberazione da ogni male fisico e morale, l'allontanamento del demonio, le tentazioni non superiori alle nostre forze... ma sempre nel "sia fatta la tua volontà". Cioè: io sono talmente sicuro della paternità di Dio che mi vuole bene che so che in ogni caso Lui non può darmi che ciò che è meglio per me. Io gli chiedo, gli dico le mie necessità, quello che a me in quel momento sembra essere la cosa migliore, ma poi mi fido di Lui, di quello che mi darà. Ma, per tornare alla richiesta degli apostoli, essi considerano il Regno con la mentalità di potere degli uomini, Gesù li invita invece ad entrare nella mentalità del Regno.

Il Regno di Dio è principalmente il servizio di Dio agli uomini.

Il Regno è il dono gratuito che Dio fa agli uomini, attraverso il servizio di Gesù, affinché gli uomini possano entrare nel suo piano di salvezza. Non è un qualcosa che va trattato con gli stessi criteri con cui gli uomini trattano i regno terreni.

Se entriamo in questa mentalità di dono gratuito, riusciamo a scoprire anche noi la gratuità e il servizio.

Crollano allora tutte le corse al potere, ai diritti acquisiti o conquistati. Il Regno non si confonde più con le onorificenze o col colore della porpora che qualcuno indossa: tutto diventa servizio, dono e, allora, il regno diventa amore.

Proviamo ad applicare questo alle realtà concrete della nostra vita.

La Chiesa non è un regno che scimmiotta i regni di questa terra. Tutte le volte che questo è successo sono successi dei guai, pensate ai vari poteri temporali, alle lotte per la conquista di ruoli di prestigio e di comando, alle imposizioni di fede realizzate con le spade. A che cosa sono servite? Il Regno di Dio si è espanso per queste cose? Se non ci fosse lo Spirito Santo che aggiusta le cose e che trasforma il negativo in positivo, se il regno fosse solo un regno terreno a quest'ora sarebbe sparito come sono spariti anche gli imperi più grandi. La Chiesa è la grande casa comune, la famiglia aperta a tutti i popoli della terra, dove ci sono ruoli e compiti, ma per il servizio. La stessa amministrazione dei Sacramenti, che pure ha bisogno di norme giuridiche, se non è per il servizio e per la pastorale riduce la portata stessa dei sacramenti facendoli considerare solo come rituali. Se la Chiesa perde la dimensione del servizio, perde Cristo e quindi è destinata a sparire.

Lo stesso vale per la comunità parrocchiale. Se essa diventa solo luogo di privilegi e di privilegiati, se in essa cerchiamo dei ruoli e dei compiti per onore, per essere considerati importanti, abbiamo sbagliato tutto. Se un sacerdote, un catechista, un animatore porta solo se stesso non porta Cristo. Cristo si serve di te, ma per portare Lui. Guardiamo ancora al nucleo fondamentale della nostra società: la famiglia. Se una famiglia si fonda solo più sui diritti di ciascuno, essa poco per volta perde il suo senso di esistenza. Se io, padre affermo solo più i miei diritti, se io, madre voglio solo conquistare i miei anche giusti diritti di uguaglianza, se io, figlio esprimo solo i diritti a ricevere tutto dalla famiglia, la famiglia non esiste più, perchè esistono solo diritti e non c'è più spazio per l'amore. Se io invece , padre, senza abdicare al mio ruolo, lo esplico con amore a servizio di tutta la mia famiglia, darò lo spazio, l'attenzione alle necessità di tutti; se, io madre ho di vista non solo i miei diritti, ma il bene comune di tutti, riuscirò, magari in mezzo a molte difficoltà a tenere unita la mia famiglia; se io, figlio comprendo il mio ruolo non come il centro della famiglia ma come uno che deve sì ricevere ma ha anche tanto da dare a tutti, la mia presenza diventerà attiva, partecipe e certamente sostanziale al buon andamento della famiglia stessa. Oggi, giornata mondiale missionaria, applichiamo ancora il criterio di Gesù sul servizio alla attività di annuncio della Chiesa. Poteva capitare in tempi passati che i missionari partissero con il registro dei battesimi sotto il braccio e che dovessero ad ogni fine anno comunicare il numero dei battezzati alle proprie congregazioni e che venisse considerato buon missionario colui che ne aveva battezzati di più. Certamente oggi la missione non è così. Oggi il vero missionario non parte per costruire la chiesa ( magari cattedrale), parte per farsi povero con i poveri. Incontra delle realtà in cui si immerge. Prima della chiesa c'è da sfamare, da curare, da alfabetizzare, da servire, da mettersi dalla parte degli oppressi. Ecco allora il vero missionario che prende la parte dei poveri contro i prepotenti, che costruisce dispensari, che organizza il servizio, che insegna a leggere e scrivere... e quando gli domanderanno: "Perchè, tu che potevi startene tranquillo in un paese ricco ti sei fatto povero con noi?" o "Dove lo trovi tutto l'amore che ci hai portato?", allora potrà finalmente dire che Gesù è il motore del suo servire e lo annuncerà non a parole ma con la propria vita. E allora sarà anche molto più facile creare delle comunità vere, non comunità di cristiani addormentati come siamo spesso noi. E il missionario vero si accorgerà anche che il Regno che Lui è andato a portare era già là, In mezzo ai poveri, e forse con un po' di stupore, ma certamente con tanta gioia sentirà la verità del Vangelo che dice: "Beati i poveri, perchè di essi è il Regno dei cieli".

 

 

LUNEDI’ 23

San Giovanni da Capestrano

Parola di Dio: Ef. 2,1-10; Sal. 99; Lc. 12,13-21

 

"STOLTO, QUESTA NOTTE STESSA TI SARA’ RICHIESTA LA TUA VITA"(Lc. 12,20)

La parabola dell’uomo ricco che accumula pensando che i suoi beni gli diano sicurezza è veramente una parabola che ogni giorno possiamo vedere realizzata nella nostra o nell’altrui vita.

Vi invito a rileggerla con calma, tenendo presenti alcune osservazioni che, dato lo spazio, concentro al massimo.

1)Gesù racconta questa parabola dopo che un uomo gli aveva chiesto di fare da giudice per una eredità.

Noi vorremmo che Dio garantisse i nostri affari e i nostri interessi: Gesù e la sua morale ci insegnano a condividere, non ad accumulare.

2)Il ricco è solo. Non ha un nome, non una famiglia, non ha un prossimo, non ha Dio. Le uniche cose con cui ha un rapporto sono i suoi beni, anzi sembra essere diventato una sola cosa con essi. Diventa terra, diventa grano, diventa granaio, ma non è più uomo.

Una vita dove non ci sia più un "tu", non è più vita.

3)"Chiunque compra un campo e lo recinge, si priva del resto della natura, si impoverisce di tutto il resto". (Ernesto Cardenal)

4)"Basta dire: "Possiedo questo orologio, è mio!", e richiudere la mano su di esso per avere un orologio ed aver perduto una mano". (A. Bloom)

5)"Sono affamato di tutto il pane che mangio da solo, povero di tutti i beni che tengo con me". (Gustave Thibon)

6)Oggi, molti dicono: "Quel ricco è un previdente" e insieme agli stipulatori di assicurazioni corrono a farsi polizze per assicurarsi la vecchiaia.

Gesù, invece, lo chiama "Stolto!"

Perché ha pensato alle cose e non a se stesso, perché non ha saputo usare i doni ricevuti, perché ha confuso la vita con le cose, perché crede che il possesso possa dare gioia, perché ha perso il prossimo, Dio, e anche se stesso.

E’ uno tutt’altro che previdente: non è riuscito a pensare al "dopo", si è lasciato imprigionare nel suo piccolo orizzonte terrestre.

7)La sicurezza non è data da ciò che uno ha accumulato, ma dai valori su cui uno ha impostato la propria esistenza.

8)E per finire due provocazioni:

"I paesi di forte densità cristiana detengono una ricchezza enorme, a fianco di paesi non cristiani, privi di mezzi materiali. La risposta che verrà data a questo immenso problema potrebbe determinare l’avvenire del cristianesimo." (Roger Schutz, priore di Taizet)

"L’ateismo, con il suo odio contro Dio può essere più vicino alla fede che non l’indifferenza del mondo occidentale, che non è né caldo né freddo e che quindi verrà vomitato dalla bocca di Dio". (Fulton Shenn)

 

 

MARTEDI’ 24

Sant’Antonio Maria Claret

Parola di Dio: Ef. 2,12-22; Sal. 84; Lc. 12,35-38

 

"SIATE PRONTI, CON LA CINTURA AI FIANCHI E LE LUCERNE ACCESE". (Lc. 12,35)

Gesù ci parla di vigilanza, e questo termine può suscitare in noi sentimenti e comportamenti diversi.

Si può vigilare per mestiere (come la sentinella o la guardia); si può vigilare trepidando nella speranza (come una mamma che veglia il suo bambino malato pronta a cogliere ogni minimo desiderio e ogni segno che indichi un miglioramento); si può vigilare per paura (e le paure possono essere tante da quella di un Dio che può mandarmi all’inferno a quella di perdere le cose accumulate durante la vita); si può vigilare in vista del domani o per rassicurare il presente.

Proviamo, attraverso i termini usati, a vedere quale tipo di vigilanza ci indica Gesù.

"Siate pronti, con la cintura ai fianchi". A noi, questo, forse dice poco, ma se pensate che i contemporanei di Gesù portavano lunghe vesti, avere una cintura ai fianchi, significava avere qualcosa per tirarsi su il vestito e non essere impacciati nel cammino. E’ la stessa cosa che Dio aveva detto agli Ebrei nella notte della Pasqua: "Tenetevi pronti per partire, per camminare".

Quindi vigilanza è principalmente essere pronti per qualcosa di impegnativo, essere disponibili a muoversi.

"Con le lucerne accese". La luce serve per vedere. Dobbiamo sapere dove mettere i piedi, dobbiamo scoprire il volto del nostro Signore che è già arrivato dalle sue nozze con l’umanità, dobbiamo imparare a vedere il volto dei fratelli.

Avere la luce significa anche poterla usare per illuminare il cammino di qualcun altro. Allora, la vigilanza diventa anche far portare frutti ai doni che ci sono stati dati.

Ecco, allora, la vigilanza cristiana: è la mentalità di chi sa di essere in viaggio. Avere Gesù Via, Verità, Vita, non ci autorizza a sederci, a sentirci a posto, non ci garantisce né vita serena, né paradiso assicurato ma ci mette in cammino, e non solo verso il paradiso futuro ma verso una realtà più piena del senso della nostra vita… questo però comporta da parte nostra una capacità di adattamento a situazioni impreviste, prontezza nelle decisioni, dinamismo, accortezza.

Essere vigilanti è anche avere davanti la consapevolezza della precarietà della nostra vita e delle cose di questo mondo, per cui è vigilante chi non fonda il suo essere su cose non consistenti; ed è anche la consapevolezza di vivere in mezzo a pericoli e tentazioni costanti, ma è anche sperare. La fede e l’amore non dormono mai, ma si concretizzano nel presente, spiano con desiderio il futuro dal quale, se la nostra fiducia è in Lui, non può che venirci il Bene.

 

 

MERCOLEDI’ 25

San Miniato

Parola di Dio: Ef. 3,2-12; Cantico da Is. 12,2-6; Lc. 12,39-48

 

"ALLORA PIETRO DISSE: SIGNORE, QUESTA PARABOLA LA DICI PER NOI O ANCHE PER TUTTI?". (Lc. 12,41)

Pietro fa questa domanda a Gesù perché si è sentito toccato nel vivo: Gesù aveva appena raccontato la parabola dove il Messia è paragonato a un ladro che arriva di notte. Pietro ha riconosciuto in Gesù il Messia, quindi crede che la parabola non lo riguardi più.

Gesù, invece, prende occasione da questa domanda per rincarare la dose e racconta l’altra parabola, quella dell’amministratore che viene messo alla prova.

Queste parabole riguardano dunque ciascuno di noi, ma particolarmente le guide della comunità.

Il credente che ha riconosciuto in Gesù il Cristo, può attendere (=tendere a) il suo ritorno con gioia e testimonianza, mettendo a frutto i doni ricevuti, oppure sentendosi padrone, considerando gli altri come inferiori, distribuendo ‘botte’ a proprio piacimento.

E se leggiamo la storia della Chiesa cominciando proprio dagli Atti degli Apostoli fino ai nostri giorni noi troviamo proprio questi due atteggiamenti: c’è chi ha condiviso i propri doni con gli altri sentendosi responsabile del prossimo e c’è chi ha usato ed usa questo tempo di attesa per spadroneggiare su altri.

I ministri, che all’origine della Chiesa erano ‘ estroversi’, ossia rivolti verso gli altri, a poco a poco finiscono per diventare ‘introversi’, ossia per volgersi verso se stessi, e pensare alla grandezza e alla portata del loro ministero più che alle loro pecore. Il vescovo penserà più alla propria carica che ai propri fedeli; il pastore alle proprie prerogative più che al gregge… si parla sempre di più di ministeri e ministri e a volte poco dei bisogni profondi delle persone comuni.

Ma chi è un buon servitore?

Il buon servitore attende davvero il proprio padrone, ma sia come se dovesse ritornare immediatamente, sia come se dovesse tornare tra mille anni. Si tratta di agire sia come si avesse assai poco tempo, e sia come se avesse molto tempo. E’ rapido, ma non angosciato, vivo ma non ansioso, attivo ma calmo.

Il buon servitore considera coloro che gli sono affidati come servi al pari di lui; destinati allo stesso compito. Perciò li esorta ad assumere il proprio posto; e anche se è cosciente di avere responsabilità nei loro confronti, non li considera affatto come inferiori.

 

 

GIOVEDI’ 26

Sant’Evaristo

Parola di Dio: Ef. 3,14-21; Sal. 32; Lc. 12,49-53

 

"SONO VENUTO A PORTARE IL FUOCO SULLA TERRA" (Lc. 12,49)

Qualcuno molto famoso disse che "la religione è l’oppio dei popoli" ed aveva ragione in quanto parlava di religioni e non di fede ed anche perché vedeva il comportamento di religiosi che non dissimili da altri poteri terreni approfittavano e approfittano di messaggi ultraterreni per garantire e approfondire il proprio potere terreno.

Ma il cristianesimo in sé è tutt’altro che un oppio addormentante. E’ la novità, è il senso della vita, è l’entusiasmo. E’ il più grande ideale: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli", è la conquista della felicità, della giustizia, della speranza, dell’immortalità.

La fede non è un lusso o una occupazione per pensionati, non è e non deve essere un allevamento per esaltati religiosi o per bigotti decrepiti, non è neanche il giardino di infanzia per bambini o l’oratorio per ragazzi sottosviluppati che hanno paura di confrontarsi con i propri coetanei sul loro terreno di vita, non è il rifugio dei falliti, degli invertebrati, dei rinunciatari.

Il cristianesimo è gioventù continua, è impegno duro, ma splendido. Ci insegna la fede nell’invisibile, la speranza nell’impossibile, l’amore dell’inafferrabile; è autodisciplina, ma senza costrizione, è conquista senza rapina…

Non troverete santi melanconici, pessimisti, rinunciatari, tristi, disfatti. Chi ha fatto delle rinunce le ha fatte non per meschinità, ma per magnanimità; essi sono dei vinti che però sono vincitori, sembrano miserabili ma sono signori, obbedienti ma non servili.

Quando la fiamma di Dio si accende nel cuore di un uomo non c’è più requie: la fede è impaziente, le avversità non lo scoraggiano ma lo provocano. Se incontra un ostacolo, lo salta e se non può lo aggira, ma non si ferma. Vive nel mondo con i piedi ben ancorati sulla terra, ma non è del mondo, è prudente come un serpente, ma libero e semplice come una colomba, non disdegna niente e non esclude nessuno. Piange con coloro che piangono e ride con coloro che ridono. Neanche la morte lo ferma perché sa con chi può superarla.

Come mai non abbiamo ancora incendiato questo nostro mondo?

 

 

VENERDI’ 27

San Frumenzio

Parola di Dio: Ef. 4,1-6; Sal. 23; Lc. 12,54-59

 

"SAPETE GIUDICARE L’ASPETTO DEL CIELO E DELLA TERRA, COME MAI QUESTO TEMPO NON SAPETE GIUDICARLO?". (Lc. 12,56)

Questa frase sembra in contraddizione con un altro insegnamento di Gesù: "Non giudicate". Ma qui Gesù, più che invitarci a dare dei giudizi, ci sprona a imparare a leggere la storia dell’umanità e in essa anche la nostra personale.

Provate a sentire come nei tanti salotti televisivi viene giudicata la nostra storia contemporanea. Normalmente si cade nei luoghi comuni che vanno dall’estremamente negativo: niente funziona, non ci sono più valori, la gioventù è bacata, non c’è più fede…; all’estremamente ottimistico: la scienza sta risolvendo ogni problema, la nostra aspettativa di vita è estremamente alta, presto l’uomo giungerà alla soluzione di tanti suoi problemi…

Per noi non è questione di dire bene o male della nostra generazione: questo giudizio aspetta a Dio che, aldilà delle apparenze, scruta e conosce i cuori. Per noi si tratta di leggere con gli occhi della fede il bene e il male della nostra storia per vedere ciò che Dio sta operando e ciò che Lui ci chiede. Diceva già il Concilio Ecumenico Vaticano II°: "E’ dovere permanente della Chiesa scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo, cosicchè, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi dell’uomo sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto".

Ma anche la nostra storia, i piccoli avvenimenti di oggi sono da leggere con gli occhi di Dio: quell’incontro con quella persona non è forse un richiamo di Dio? Dio mi sta forse suggerendo qualcosa?

Proviamo oggi a leggere così quello che ci capiterà e, anche se non è sempre facile leggerlo subito, scopriremo un lungo dialogo di amore di Dio con noi.

 

 

SABATO 28

Santi Simone e Giuda; Sant’Elio

Parola di Dio: Ef. 2,19-22; Sal. 18; Lc. 6,12-16

 

"GESU’ SE NE ANDO’ SULLA MONTAGNA A PREGARE" . (Lc. 6,12)

Quando commemoriamo gli apostoli, una delle cose che maggiormente stupisce è l’eterogeneità dei caratteri, la diversità degli ambienti e delle formazioni culturali da cui derivano (ad esempio oggi ricordiamo Simone detto zelota, cioè appartenente a quel gruppo che per fedeltà al Dio di Israele predicavano anche la rivolta armata contro i romani, una specie di religioso integralista e Giuda Taddeo, uno che non riesce a capacitarsi perché Gesù si sia rivelato solo ai discepoli e non al mondo).

Gesù non cerca apostoli preconfezionati con lo stampino, cerca uomini che con la loro storia e la loro esperienza, anche di peccato, si mettano a servizio di Dio e degli uomini.

Ed è per questo che l’unica cosa che Gesù fa prima di scegliere gli apostoli è quella di passare una notte in preghiera.. Gesù per scegliere i suoi apostoli non ha fatto "test attitudinali", non ha neppur preteso di scegliere i più bravi, i più furbi, i più pii…, ha pregato, ne ha parlato con suo Padre, ha chiesto per i suoi amici la forza dello Spirito Santo.

Qualche volta, per noi, pregare è diventato "dire le preghiere", ripetere delle formule, celebrare dei riti, ed ecco allora che la preghiera diventa noiosa, pesante, un dovere da adempiere.

Per Gesù, pregare, invece, significa mettersi in ascolto del Padre, capire quale sia la sua volontà, chiedere luce, essere in comunione.

Se riscopriamo la preghiera nella sua essenza di comunione con Dio, allora ne ritroveremo il vero spirito ed anche il desiderio, il gusto e l’impegno che ne deriva.

Perché ogni scelta non diventi solo la mia scelta ma quella della volontà di Dio ho bisogno continuo di essere in comunione con Lui.

 

 

DOMENICA 29

XXX^ DOMENICA DELL’ANNO

Parola di Dio: Ger. 31,7-9; Sal. 125; Eb. 5,1-6; Mc. 10,46-52

Allo Stadio Olimpico: Giubileo degli sportivi

 

1^ Lettura (Ger. 31, 7-9)

Dal libro del profeta Geremia.

Così dice il Signore: "Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: Il Signore ha salvato il suo popolo, un resto di Israele". Ecco li riconduco dal paese del settentrione e li raduno all'estremità della terra; fra di essi sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente; ritorneranno qui in gran folla. Essi erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li condurrò a fiumi d'acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno; perché io sono un padre per Israele, Efraim è il mio primogenito.

 

2^ Lettura (Eb. 5, 1-6)

Dalla lettera agli Ebrei.

Ogni sommo sacerdote, scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anch'egli rivestito di debolezza; proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo. Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato. Come in un altro passo dice: Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchìsedek".

 

Vangelo (Mc 10, 46-52)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!". Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!".

Allora Gesù si fermò e disse: "Chiamatelo!". E chiamarono il cieco dicendogli: "Coraggio! Alzati, ti chiama!". Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: "Che vuoi che io ti faccia?". E il cieco a lui: "Rabbunì, che io riabbia la vista!".

E Gesù gli disse: "Và, la tua fede ti ha salvato". E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.

 

RIFLESSIONE

 

E’ abbastanza agevole trovare il filo conduttore delle letture di questa domenica: Dio non abbandona il suo popolo nel momento della prigionia; un resto fatto di poveri sarà ricondotto da Dio stesso attraverso l’opera mediatrice di Gesù, nostro sommo Sacerdote, che, prima di salire sulla croce, vuole darci occhi, come al cieco Bartimeo, affinché possiamo vederlo, amarlo e seguirlo. Geremia, suo malgrado, era stato un profeta di sventure, aveva dovuto, anche con gesti che lo avevano toccato personalmente, annunciare l’esilio, ma ora non può non gridare la fedeltà di Dio. Ci sarà un resto di Israele, non fatto di sapienti, di ricchi, di potenti, ma di poveri "fra essi sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente". Questa è la nuova Chiesa, il nuovo popolo di Dio, che il Buon Pastore condurrà. Di questa profezia dovrà essersi ricordato Bartimeo, il cieco di Gerico che certamente aveva già sentito parlare di Gesù e dei suoi miracoli e che si considerava appartenente proprio ad una di quelle categorie degne dell’attenzione del Messia. E sì, perché questo racconto di Marco, oltre a descrivere un miracolo, è un brano che nella sua semplicità ha tanti significati per noi. Non è solo Bartimeo che riacquista la vista, possiamo essere anche noi che riconoscendoci al buio, gridando la nostra fede nel Messia, possiamo avere da Lui la luce sufficiente per vederlo. Ecco velocemente alcuni tratti di questo racconto. Siamo a Gerico. Gerico era (e lo è tuttora) una perla di città, un’oasi feconda in mezzo al deserto. All’epoca di Gesù era appena stata ricostruita da Erode il Grande. Essa è forse la città più bassa del mondo, posta in una depressione a più di 300 metri sotto il livello del mare. Proprio per questo e per la sua relativa vicinanza a Gerusalemme (sono circa 37 chilometri), Gerico, durante il periodo invernale e primaverile era diventata rinomata località turistica. Si potevano avere una decina di gradi in più che a Gerusalemme, c’era acqua buona e terme, si poteva trovare ogni tipo di frutta, era posta su una antica carovaniera commerciale. I ricchi abitanti di Gerusalemme venivano volentieri a svernarci.In un posto così verrebbe la tentazione di fermarsi: Gesù, invece, ci passa soltanto. Lui è diretto a Gerusalemme e si reca in quella città non come il Trionfatore, ma per esservi tradito e ucciso. A Gerico, da quanto lo stesso brano evangelico ci fa intuire, Gesù non è stato male accolto, anzi, questi facoltosi personaggi in vacanza sarebbero stati ben lieti di poter avere un diversivo in questo Maestro tanto diverso dagli altri, ma Gesù non si presta alle chiacchiere, non fa salotto del religioso. Gesù prosegue la sua strada, non si ferma alle mollezze del riposo, alle discussioni teologiche, alle chiacchiere dai mille luoghi comuni. Anche oggi ci sono tante Gerico che allettano i credenti e li allontanano dal loro fine. E’ facile nell’identificarle nella tentazione di cedere alle leggi del benessere, del "fanno tutti così", del "e che male c’è?", è la tentazione sempre presente di ridurre la fede in una persona ad una serie di affermazioni teologico moralistiche o ad una serie di gesti liturgico religiosi. Gesù non è l’oggetto di una discussione teologica, è il Figlio di Dio, il Vivente che ti invita non a sederti per discutere, ma ad alzarti per seguirlo. E proprio mentre Gesù è in cammino verso la volontà salvifica di Dio, Marco ci riferisce di questo ultimo miracolo.

Gesù, crocifisso come Re dei Giudei, non farà il miracolo di scendere dalla croce. Qui, invece, con un gesto ‘regale’, regala la vista ad un cieco, poi indosserà definitivamente i panni dell’umile, del debole, dell’umanamente sconfitto. E mi sembra sia anche significativo che l’ultimo miracolo sia quello di aprire gli occhi ad uno che non vede. La folla dei religiosi che lo circonda è una folla di persone che dovrebbero vederci benissimo ma che non ci vedono e non lo riconoscono, mentre colui che è cieco fa la sua professione di fede in Gesù Figlio di Davide, quindi Messia, Figlio di Dio. Al cieco verrà data la vista perché l’ha chiesta gridando, perché riconoscendo il Cristo lo segua e possa poi riconoscerlo anche nel momento dello scandalo della croce. Tutte le volte che presumo di vederci, di essere forte, tutte le volte che baso tutto su me stesso e sulle mie organizzazioni, quante nasate prendo! Eppure basterebbe riconoscere i propri limiti, le proprie incapacità, basterebbe fidarsi di Gesù, gridare a Lui, per dargli la possibilità di operare in noi. E già, perché bisogna gridare. La voce di Bartimeo è una voce fuori del coro. Lui non è un curioso di Gesù. Lui non ci vede, ma ci sente e grida. E questo dà fastidio ai benpensanti che cercano di zittirlo, ma lui grida ancora più forte. Le religioni del tutto prestabilito non amano "voci fuori dal coro", preferiscono i belati dell’accondiscendenza.

La macchina ben oliata del potere (civile, religioso… qualsiasi potere) sa come far tacere le voci contrarie. Ci sono molti modi, da quelli decisivi delle inquisizioni, degli allontanamenti, degli imbavagliamenti a quelli più melliflui delle promozioni, degli inglobamenti! (quanto siamo in gamba per impedire i miracoli di Gesù!). Ma ci sono voci, gesti, che non tacciono né davanti alle repressioni né davanti né davanti alle promozioni. Sono le voci e i gesti dei veri profeti che, nonostante le persecuzioni, richiamano i credenti ad una fede più vera. In fondo, qualunque vero profeta, anche oggi grida alla Chiesa e a ciascuno di noi: "Impara a riconoscerti cieco, ma impara anche ad affidarti a Colui che solo può guarirti!". E quando riferiscono a Bartimeo che Gesù lo chiama. Egli balza in piedi e "gettato via il mantello", va da Gesù. Ogni vocazione, ogni chiamata, chiede di lasciare qualcosa: saranno le reti, il tavolo da cambiavalute o il mantello, come in questo caso. Ma il lasciare non è solo segno di povertà riscoperta, è soprattutto il segno del mutamento, della conversione di vita. Il mantello per un cieco era un po’ come la sua casa e contemporaneamente il suo mezzo di sostentamento. Sul mantello allargato davanti alle porte della città si sedeva per chiedere l’elemosina, le offerte venivano gettate sul mantello, il mantello serviva da coperta e da letto. Bartimeo, ancor prima del miracolo, può serenamente e con fede gettar via il mantello. Non ha più bisogno di quella casa, di quella sicurezza. Ora seguirà Gesù, non ha più bisogno di quel mezzo di sussistenza: vedendoci cambierà vita, sarà lui stesso a procurarsi il necessario con la sua vista e con le sue forze. Chiediamoci: Come è cambiata la nostra vita quando abbiamo incontrato Gesù? Se ci troviamo spaesati davanti a questa domanda non sarà forse perché, ancora una volta, pensando di vederci, non lo abbiamo ancora visto e incontrato davvero? "E prese a seguirlo".

E’ l’ultimo dei discepoli. Solo 37 chilometri di strada per seguire Gesù. Bartimeo non ascolterà direttamente molte parole di Gesù, non avrà tempo di fargli tante domande, oltre al suo, non vedrà altri miracoli di guarigioni, anzi, con i suoi occhi vedrà la morte del Messia e poi, sempre con quegli occhi ridonati, vedrà il Risorto.

La fede di Bartimeo che gli ha fatto ottenere la vista sarà la stessa fede che gli permetterà di diventare portatore della luce di Cristo.

E allora non ho più paura di farmi guidare da uno che è stato cieco per cominciare a gridare anch’io, come lui, sempre più forte: "Signore, che io veda!", "Che io ti veda!".

 

 

LUNEDI’ 30

Sant’Alfonso Rodriguez

Parola di Dio: Ef. 4,32-5,8; Sal. 1; Lc. 13,10-17

 

"CI SONO SEI GIORNI IN CUI SI DEVE LAVORARE. IN QUELLI DUNQUE VENITE A FARVI CURARE E NON IN GIORNO DI SABATO". (Lc. 13,14)

Ancora una volta San Luca ci mette davanti ad un miracolo di Gesù compiuto in giorno di sabato. E, l’epilogo del racconto porta a due atteggiamenti diametralmente opposti: scandalo da parte del capo della sinagoga che, insieme ai ben pensanti ebrei, pensa alla guarigione come ad un "lavoro", quindi un’offesa a Dio e alla legge del sabato, e gioia e glorificazione di Dio da parte della donna guarita e della folla.

Due mentalità opposte anche oggi.

Ci sono gli integralisti religiosi che per mantenere leggi e tradizioni sono disposti ad ammazzare il prossimo. Ci sono certi ‘pii’ che pur di fare tante Comunioni (quasi che Gesù lo si misurasse a peso) sono disposti a lasciare a casa, solo, per una domenica, un malato. Ci sono certi preti che per non "perdersi" il breviario lo dicono tutto a macchinetta tra mezzanotte meno un quarto e mezzanotte e un quarto per ‘togliersi il fastidio’ per due giorni. Ci sono cristiani bacchettoni che vorrebbero misurare con il centimetro gonne e scollature (così intanto un’occhiata ci scappa) pur di tutelare la sana morale all’interno dei luoghi sacri… E’ tutta gente gioiosa, questa? Dio è glorificato da preghiere dette a macchinetta, da Comunioni a ripetizione, da accaparramenti di indulgenze per comprarsi il paradiso, da centimetri di stoffa in più o in meno su una gonna? Questi uomini sono stati liberati dal vangelo di Gesù o sono schiavi di norme e di tradizioni di uomini?

D’altra parte ci sono uomini che aspettano con gioia la domenica come giorno di festa, di riposo, di preghiera, come occasione per stare più insieme, per andare a trovare un anziano, gente che desidera sentire la Parola di Dio ma che sa leggere anche la Parola che Dio scrive nel quotidiano della loro vita, gente che canta volentieri in chiesa ma che sa glorificare Dio davanti ad ogni suo dono fatto a loro o ai fratelli, gente che sa anche fare dei sacrifici per andare a Messa, ma che per amore di un fratello è disposta anche a perdere Messa. Gente che non è pura, perfetta ma che cerca di amare e che vede Gesù come Dio, ma anche come Amico.

E tu, da che parte stai?

 

 

MARTEDI’ 31

San Quintino; Santa Lucilla

Parola di Dio: Ef. 5,21-33; Sal. 127; Lc. 13,18-21

 

"A CHE COSA RASSOMIGLIERO’ IL REGNO DI DIO? E’ SIMILE AL LIEVITO CHE UNA DONNA HA PRESO E NASCOSTO IN TRE STAIA DI FARINA, FINCHE’ FERMENTI TUTTA". (Lc. 13,20-21)

Mi sono chiesto tante volte chi o che cosa sia il lievito di cui parla Gesù. Vi offro alcune mie conclusioni.

Nel mondo ci sono due tipi di lievito, quello del bene e quello del male.

Il lievito del male è un intruglio terribile, un terrificante composto di tante cose negative. Sembra davvero venir fuori dal pentolone di una strega. In esso c’è una quantità enorme di egoismo, ci sono la sporcizia del danaro, gli intrallazzi del potere, le maschere del successo, la cattiveria, l’odio, la distorsione della verità e della giustizia, l’esasperazione della sensualità, la durezza del cuore… e questi elementi si sono amalgamati molto bene tra di loro in modo che dove ne trovi uno presto ci sono anche tutti gli altri. Se questo lievito entra nella farina la fermenta tutta, la rovina fino alle estreme conseguenze (divisioni di famiglie, uccisione in molti modi dell’uomo, odi, guerre…)

E il lievito buono?

Per me il lievito buono è Gesù che, venuto 2000 anni fa in un paesino sperduto del mondo ha mischiato la propria divinità alla nostra umanità. Vi ha messo la potenza di un Dio che ama, il suo sangue versato per amore, la sua parola capace di cambiare il mondo… Ne è venuto fuori un lievito che si chiama Amore e che da allora ha cominciato a far fermentare. Non è una cosa appariscente, dopo 2000 anni ancora non sempre è facile vederne i risultati e misurarne la quantità, ma opera, trasforma, amalgama, combatte il male.

Non credo che né uomini né chiese possano pretendere di sostituirsi, impossessarsi, avere l’esclusiva di questo lievito. Viene da Dio ed Egli lo ha seminato e lo semina in ogni cuore.

Unica cosa da fare: bisogna toglierlo dal frigorifero, impastarlo con la nostra farina e poi, magari, mettere l’impasto in un luogo scuro, riparato. Tutte le caratteristiche di quell’amore possono far impazzire la farina.

     
     
 

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