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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

SETTEMBRE 2000

 

VENERDI’ 1

Sant’Egidio; San Vittorio

Parola di Dio: 1Cor. 1,17-25; Sal 32; Mt. 25,1-13

 

"A MEZZANOTTE SI LEVO’ UN GRIDO: ECCO LO SPOSO, ANDATEGLI INCONTRO!". (Mt. 25, 6)

La parabola delle dieci vergini che attendono lo sposo che tarda a venire si presta a diverse interpretazioni, tutte adatte al nostro vivere da cristiani.

Noi viviamo il tempo intermedio tra l’ascensione e la venuta definitiva di Cristo, viviamo il tempo dell’attesa del gioioso banchetto finale. Questa attesa è caratterizzata dall’atteggiamento della vigilanza. Si veglia non per paura ma per essere pronti a cogliere tutti i segni di Cristo e per prepararsi a partecipare alla sua gioia.

La sapienza delle cinque ragazze che hanno olio per le loro lampade non è la sapienza o anche la semplice previdenza che anche il nostro mondo può suggerirci, è invece l’aver puntato tutto sul fatto che la festa per Gesù che viene riesca in pieno, è, cioè, la dimensione pratica della fede che aiuta il cristiano a scegliere davanti ai segni dei tempi e a seguire i valori morali.

Quanti cristiani tengono la lampada della loro fede spenta o morente e passeggiano per la vita senza saperle dare un senso e un valore, senza personalità propria ma vivendo all’ombra di altri, di abitudini, di mode, senza una consistenza evangelica, storditi, ottusi, incapaci di cogliere l’urgenza dell’ora attuale. Altri vivono senza orizzonte nè speranza di futuro immersi soltanto nel presente: denaro, potere, egoismo, sesso, materialismo con i loro molteplici tentacoli.

Abbiamo bisogno della sapienza della fede che ci dia mentalità nuova, che risvegli in noi la chiamata alla gioia del regno che viene, che ci aiuti ad essere attivi e previdenti. Questa sapienza è l’unica adatta a superare il vuoto, la noia e la volgarità di una vita superficiale che si accontenta di qualsiasi surrogato di Dio.

 

 

SABATO 2

Sant’Elpidio

Parola di Dio: 1Cor. 26-31; Sal. 32; Mt. 25,14-30

 

"E IL SERVO FANNULLONE GETTATELO FUORI NELLE TENEBRE, LA’ SARA’ PIANTO E STRIDORE DI DENTI". (Mt. 25,30)

Se partiamo da questa ultima frase della parabola dei talenti, essa ci pare tanto lontana dalla misericordia. Chi ha sciupato i doni di Dio va buttato fuori, nelle tenebre, gli va tolto tutto. In realtà qui è l’atteggiamento di Gesù che vuole scongiurare i suoi fratelli perché non sprechino la possibilità di partecipare alla gioia di Dio, utilizzando quanto è stato posto nelle loro mani.

Infatti, se leggiamo con attenzione, è una parabola di gioia che vuol portare la gioia a cui si contrappone la paura che porta all’inettitudine e poi all’esclusione.

Dio dà i talenti con abbondanza e secondo le capacità perché l’uomo gioisca di questi doni.

La gioia dei primi due è immediata, li mette subito in movimento impegnando le loro capacità, l’inventiva pur di far fruttare i talenti ricevuti. C’è la voglia di dimostrare che la fiducia riposta in loro è stata riposta bene. Non c’è per loro modo migliore di essere grati che dimostrarlo con i fatti.

Il saper vedere positivo, l’avere sentimenti di gratitudine, il decidere di rischiare sono tutti sentimenti che la gioia potenzia, mentre d’altra parte minimizza gli ostacoli e le fatiche. Quando uno è contento è nella forma migliore di rendimento.

La gioia è la più giusta forma di reazione all’amore di Dio ed è il premio che Egli dona per sempre a chi lo porta nel cuore, come riflesso della sua presenza, a chi sa difenderla dal ‘nemico’, a chi sa farne una molla per la propria fedeltà: "Entra nella gioia del tuo Signore."

Il terzo servo ha invece una reazione che sembrerebbe prudenza, ma è invece, come confesserà egli stesso, paura. E la paura è sempre cattiva consigliera, specialmente nei confronti di Dio; essa blocca ogni sviluppo di bene, non comprende l’amore di Dio, ci rende uomini di poca fede.

La gioia invece è l’atteggiamento di chi si sente amato, di chi si sente oggetto di fiducia, di chi vive da figlio di Dio.

Un metodo molto semplice per sapere se stiamo o meno trafficando i talenti che Dio ci ha affidato è quello di capire se il nostro agire nei suoi confronti è guidato dalla paura o dalla gioia.

 

 

DOMENICA 3

XXII^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  -  San Gregorio Magno; San Marino

Parola di Dio: Deut. 4,1-2.6-8; Sal. 14; Giac. !,17-18.21-22.27;Mc. 7,1-8.14-15.21-23

 

1^ Lettura (Dt. 4, 1-2. 6-8)

Dal libro del Deuteronomio.

Mosè parlò al popolo dicendo: "Ora dunque, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, perché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso del paese che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore Dio vostro che io vi prescrivo.

Le osserverete dunque e le metterete in pratica perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente. Infatti qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E qual grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi espongo?".

 

2^ Lettura (Gc. 1, 17-18. 21.27)

Dalla lettera di san Giacomo apostolo.

Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto e discende dal Padre della luce, nel quale non c'è variazione né ombra di cambiamento. Di sua volontà egli ci ha generati con una parola di verità, perché noi fossimo come una primizia delle sue creature. Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira. Accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime. Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi.

Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo.

 

Vangelo (Mc. 7,1-8.14-15.21-23)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame quei farisei e scribi lo interrogarono: "Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?". Ed egli rispose loro: "Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini". Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: "Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo". Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo ".

 

RIFLESSIONE

 

Non finisco mai di meravigliarmi, leggendo il Vangelo (oggi abbiamo ripreso la lettura del realistico e sintetico Marco), di scoprire come esso sia universale in tutto, non solo nell’insegnamento di Gesù che tocca ogni uomo, ma anche nel riportare gesti e fatti che a distanza di duemila anni si ripetono esattamente nello stesso modo.

Nel brano odierno ci troviamo poco dopo la moltiplicazione dei pani.

Potremo dire che in giro si sente ancora il buon odore del pane, la gioia di una folla che mangia insieme, all’aperto.

Ed ecco arriva qualcuno a guastare tutto.

Provate a pensare se non succede così nelle piccole o grandi cose della vita; magari hai trovato un angolino tranquillo in montagna dove stai così bene con te stesso, nel silenzio, a contatto con la natura ed ecco che arriva il solito buzzurro armato di radio stereo a pieno volume; hai con fatica trovato il tuo equilibrio in una situazione difficile e arriva qualcuno che, volendotela risolvere dal di fuori, ti ripropone con se stesso il problema nuovamente aperto e ingrandito impantanandoti in esso.

Questi farisei e scribi venuti da Gerusalemme ammorbano l’aria.

Sono la classica commissione ‘informale’ di inchiesta.

Anche se non c’era il telefono né Internet, le notizie giravano in fretta e pare evidente che, davanti all’insegnamento di Gesù, alla fama e al seguito che si sta guadagnando, invidia e preoccupazione fanno fremere il Sinedrio. Meglio essere informati di prima mano, meglio costruire su questo Gesù un dossier in cui raccogliere tutte le sue eresie, potrà diventare sempre utile in altre occasioni!

Ecco allora questo gruppetto di "persone per bene" che va a "nasare", che, con buoni modi, cerca di provocare, che, prendendo Dio per pretesto, riesce a guastare le cose belle.

Naturalmente sono persone ‘fini’, hanno studiato, conoscono la diplomazia. Non attaccano direttamente Gesù e neanche se la prendono con la folla di quei cinquemila che certamente nel deserto aveva mangiato pani e pesci senza lavarsi le mani. No! Cercano l’anello più debole della catena: puntano il dito contro i discepoli per ferire il maestro.

Ditemi se oggi non succede così. Non siamo più all’epoca delle Inquisizioni anzi, anche a livello civile abbiamo persino diversi ‘Garanti’, ma siamo tutti schedati dai vari poteri della terra: economico, politico, religioso… Ne volete le prove? Provate a dire o fare qualcosa che non corrisponda alle norme, agli schemi o ai luoghi comuni del pensare di questi vari poteri, e vedrete se avrete vita lunga ad esempio nel vostro posto di lavoro; magari non vi cacciano ma vi emarginano; non vi accusano direttamente ma vi tagliano gli amici; non vi lasciano "fare carriera", cercano di rendervi impotenti, cercano in parole povere di stancarvi e magari di farvi dimettere.

Gesù conosce questa categoria di persone.

Gesù ama tutti; ha anche amici tra i farisei. In altri passi del Vangelo dirà pure di mettere in pratica ciò che essi insegnano, ha dunque rispetto della loro ortodossia, ma non sopporta il comportamento ipocrita ed ecco le sue accuse ad essi e ad ogni ipocrita di ieri e di oggi: "Onorate Dio con le labbra e non con il cuore, dimenticando Dio (siete atei), fate passare per Legge di Dio ciò che è tradizione degli uomini".

Fermiamoci un momento su queste accuse proprio perché, come ci suggeriva San Giacomo nella seconda lettura, vogliamo capire quale sia "la religione pura e senza macchia, davanti a Dio nostro Padre".

L’esteriorismo è una piaga che vediamo continuamente in tutti i campi. Il migliore diventa spesso quello che appare il migliore: quello che ha più soldi, quello che parla meglio, quello che ha un aspetto fisico bello è anche il migliore, il modello. Ma sei sicuro che dietro al sorriso, alla presunta cultura, alla bellezza fisica, alle parole suadenti, ci sia poi vera sostanza?

Nella Chiesa, dietro a certi personaggi, c’è davvero amore sviscerato verso Dio e la comunità, o c’è solo un desiderio di esibizione e di arrivismo?

La seconda accusa di Gesù è ben più pesante: ateismo!

Spesso gli atei non sono da cercare tra coloro che negano Dio ma tra i sedicenti credenti che hanno sotterrato Dio tra norme e religiosità costruite per i propri fini e interessi.

La terza accusa è quella di far passare per divino ciò che è solo umano.

Noi sappiamo benissimo che Gesù non è venuto per abolire la Legge, anzi è venuto per portarla a compimento.

I dieci Comandamenti sono la Legge che Dio ha dato perché su di essa l’uomo possa regolare i suoi rapporti con Dio e con il prossimo, nel rispetto di se stesso. Gesù riafferma in pieno i dieci Comandamenti, ritornando anche all’integrità di essi quando, lungo i secoli, "per la durezza del vostro cuore", erano state fatte delle deroghe. Ma Gesù guarda soprattutto al ‘come’ i comandamenti vengono capiti e vissuti, e soprattutto, distingue tra quello che è la legge universale ed eterna di Dio e quelle che sono manifestazioni temporali e relative degli uomini.

Per capirci meglio faccio un esempio; chi ha i miei anni o più di essi lo ha vissuto sulla propria pelle.

Noi amiamo il Sacramento dell’Eucaristia, desideriamo rispettarlo proprio perché riconosciamo la grandezza di questo dono.

Fin dai tempi antichi ci furono segni di rispetto davanti all’Eucaristia, ed anche la legge del digiuno Eucaristico prima di accostarsi al Sacramento, era nata per una forma di rispetto. Il senso era (e lo è anche adesso) proprio questo: ti accosti ad un Pane diverso dal pane comune quindi distinguibile dagli altri cibi (ed anche qui se si volesse ci sarebbe anche solo da chiedersi perché Gesù, invece, dà l’Eucarestia proprio "mentre cenavano").

Poco per volta la norma del digiuno ha preso il sopravvento sul suo significato. Bisognava essere assolutamente digiuni da mezzanotte (ricordo personalmente certi preti che mangiavano e bevevano con l’orologio in mano), se si interrompeva il digiuno anche inavvertitamente non si poteva più fare la Comunione, se poi per caso si riceveva la Comunione si commetteva peccato mortale e sacrilegio. Ricordo che il giorno della mia Prima Comunione (avevo 6 anni) una delle preoccupazioni che mi avevano messo in testa, a scapito dell’incontro con Gesù, era proprio quella di non mettere nulla in bocca.

Oggi, grazie al cielo, non è più così, ma quanta gente ha rinunciato a fare la Comunione per la paura di non osservare una norma che certamente non era di "origine divina"?

E, oggi, quante di queste norme vengono fatte passare per ‘divine’ mentre sono solo frutto di mentalità, epoche, abitudini, convenienze? Moltissime norme della morale sessuale, ad esempio, hanno sì il grandissimo pregio di richiamarci ai valori divini del rispetto dell’uomo, ma non possono venirci imposte come leggi volute direttamente da Dio e tanto più poi essere legate a sanzioni ecclesiali che renderebbero l’uomo ‘inabile’ davanti a Dio.

Quanto possiamo essere ipocriti anche noi, sacerdoti confessori, quando amministriamo questo Sacramento della misericordia di Dio solo attenendoci scrupolosamente a norme nate per dare degli indirizzi e non per uccidere ciò che c’è di buono nel cuore di chi cerca davvero la riconciliazione.

Il discorso di Gesù va poi ancora avanti. Non abbiamo spazio né tempo per approfondirlo qui, ma rifacciamoci soltanto al grande principio da Lui annunciato: "Non c’è nulla fuori dell’uomo che entrando in lui possa contaminarlo".

La vera morale non è più quella delle cose("Quella cosa è peccato"), ma quella del cuore("Dipende da ciò che ci metto io perché quella cosa sia o meno un male").

Il cuore dell’uomo e la sua coscienza (che sia formata e informata) sono il luogo dell’accoglienza e del rifiuto, sono la possibilità del bene e del male.

Che cosa tireremo fuori di lì, noi, oggi?

 

 

LUNEDI’ 4

San Mosè; Santa Rosa da Viterbo; Santa Rosalia

Parola di Dio: 1 Cor. 2,1-5; Sal. 118; Lc. 4,16-30

 

"C’ERANO MOLTI PROFETI IN ISRAELE AL TEMPO DEL PROFETA ELISEO, MA NESSUNO DI LORO FU RISANATO SE NON NAAMAN IL SIRO". (Lc. 4,27)

"Venne tra i suoi, ma i suoi non lo accolsero". Giovanni sintetizza così la missione di Cristo. Il racconto della sinagoga di Nazaret, città in cui Gesù è cresciuto, esprime proprio visivamente questa non accoglienza, ed ecco che Gesù allora guarda, diremmo quasi con nostalgia ai pagani.

Israele era un popolo religioso, avevano stupende strutture religiose: sinagoghe, un Tempio meraviglioso, libri sacri, pratiche innumerevoli, sacerdoti e leviti, un insegnamento religioso ben organizzato. E’ una cosa strana, paradossale, quanto il potere della religione possa indurire e rendere impermeabili le anime che plasma. I contemporanei di Gesù si sono addormentati nelle loro strutture religiose. Credevano alla religione, nei loro sacerdoti, nei loro antenati e non riuscivano più a vedere Dio. Credevano da così lungo tempo che alla fine non credevano più, pregavano da così lungo tempo che non facevano più altro che recitare preghiere, aspettavano da così lungo tempo che erano sicuri che niente sarebbe venuto a sconvolgere questa abitudine di attendere, che era divenuta a poco a poco un’abitudine di non attendere niente.

In questo troviamo un avvertimento chiaro per tutti coloro che, come noi, si credono familiari con le cose divine. Anche noi abbiamo delle strutture forse ancora più imponenti di quelle degli Ebrei di allora. Tutto sta nel sapere se noi ci serviamo di queste strutture per arrivare all’incontro con Cristo nel quotidiano o se siamo diventati passivi schiavi di esse, infatti nessuna struttura, per santa che sia, può salvare in se stessa, addirittura Gesù stesso non era di alcun aiuto e di nessun effetto a coloro che lo toccavano o urtavano senza fede. Le strutture servono se sono vivificate dalla fede, dall’iniziativa personale, dalla capacità di conversione e di rinnovamento.

Per dirla con Louis Evely:

"Bisognerebbe dire ai cristiani: non fate affidamento sulle vostre strutture religiose. Non rassegnate le dimissioni nelle mani del clero. Non accontentavi di recitare dei "Credo" o delle preghiere, di frequentare i sacramenti o di praticare la domenica. Non conservate il deposito della rivelazione nelle biblioteche: scrutatelo. E non crediate di conoscere Gesù Cristo: scopritelo!".

 

 

MARTEDI’ 5

San Lorenzo Giustiniani

Parola di Dio: 1Cor. 2,10-16; Sal. 144; Lc. 4,31-37

 

"NELLA SINAGOGA C’ERA UN UOMO CON UN DEMONIO IMMONDO E COMINCIO’ A GRIDARE FORTE". (Lc. 4,33)

La lettura del Vangelo di oggi che ci ha presentato la liberazione dell’indemoniato nella sinagoga di Cafarnao ci dà occasione, proprio partendo dai testi evangelici, di dire qualcosa a proposito della presenza del male e dei suoi demoni nella realtà della nostra vita.

Proprio in questo stesso capitolo di Luca (4,1-13) abbiamo visto, nelle tentazioni di Gesù, che il potere del diavolo e le esigenze di Gesù si trovano faccia a faccia e la lotta iniziata allora continua e continuerà sempre.

Dunque, per la Bibbia e per Gesù il male esiste, è concreto e tenta in vari modi.

La forza dei demoni è superiore all’umano, ma anche i demoni appartengono al piano del creato e si distinguono nettamente dal divino, sono perversi perché sottomessi allo spirito ribelle che si chiama Satana o diavolo. Essi cercano di deviare l’uomo e di possederlo e la prima espressione della loro presenza è il peccato a cui spesso si uniscono infermità fisiche e soprattutto psichiche.

I demoni, però, proprio perché creature, possono essere vinti con la forza del Creatore. Gesù, nel Vangelo di oggi, si comporta come un vero e proprio esorcista. Proviamo a seguire cronologicamente l’avvenimento:

Se Gesù caccia il demonio, accoglie invece l’indemoniato come un malato che ha bisogno di essere guarito. Il demonio subito manifesta due cose: conosce Gesù come il Santo di Dio (il diavolo è tutt’altro che ateo!) e manifesta la sua paura di Lui. Quindi il demonio che come spirito ha una conoscenza ed un potere maggiore di quello degli uomini, sa di essere, davanti alla volontà di Dio e di chi agisce nel suo nome, uno sconfitto. Gesù gli ordina di tacere e di non approfittare delle sue conoscenze.

Poi con forza gli ordina di andarsene. Conclusione della scena con un gesto visivo della liberazione (l’uomo sbattuto a terra) con il demone che se ne va ("Senza fargli alcun male") e con lo stupore e gli interrogativi meravigliosi che la folla si pone sulla figura di Gesù. Quali conclusioni può tirare un cristiano di oggi? Il male c’è e c’è colui che si oppone a Dio e che manifesta questo tentando l’uomo per portarlo via dal Suo progetto di amore. La potenza dell’impero del male attecchisce soprattutto dove c’è peccato, cioè allontanamento da Dio e si manifesta con tutto ciò che è contrario a Dio, alla sua creazione e al vero bene dell’uomo. Lo spirito del male è intelligente e l’uomo da solo non riesce a vincerlo. Dio, però vuole aiutare chi è oppresso dal male. Se ci si rivolge con fede a Dio e si esprime con sincerità il desiderio di staccarci dal male, è Dio stesso ad operare la sconfitta e l’allontanamento dal male.

 

 

MERCOLEDI’ 6

San Zaccaria; Sant’Onesiforo

Parola di Dio: 1Cor 3,1-9; Sal. 32; Lc. 4,38-44

 

"GESU’, USCITO DALLA SINAGOGA, ENTRO’ NELLA CASA DI SIMONE".(Lc. 4,38)

Come già aveva fatto Marco, anche Luca sintetizza, in una ‘giornata tipo’, l’attività di Gesù: prima la preghiera comune con la lettura della Parola di Dio e l’insegnamento alla sinagoga, poi la vita familiare nella casa di Simone, poi le folle, poi, al mattino presto, la preghiera personale in un luogo deserto. Ma in ciascuno di questi momenti appare, come filo conduttore, l’attività taumaturgica di Gesù. Egli è venuto per liberare, per guarire e lo fa attraverso la sua Parola e i miracoli.

Tutti noi pensiamo che la libertà sia uno dei doni più preziosi da ricercare.

Tutti tendiamo alla libertà, anche se nessuno è mai completamente libero, condizionati come siamo dalla nostra natura limitata, dall’ambiente in cui siamo nati e cresciuti, dalla società in cui siamo immersi, dal bombardamento dei mezzi di comunicazione sociale abilmente manovrati.

Spesso, poi, confondiamo libertà con "fare ciò che voglio" o fondiamo il nostro essere liberi sulle cose che passano.

Uno solo è stato in ogni momento perfettamente libero: Gesù Figlio di Dio e solo Lui può liberare e dare la vera libertà.

Proviamo anche solo brevemente a scorrere alcuni dei tanti miracoli di liberazione che Gesù ci offre, sempre che noi lo vogliamo:

Ci libera anzitutto da ogni struttura opprimente, compresa la Legge, l’ordine, la tradizione. "Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato" (Mc.2,27). Ogni legge deve essere a servizio dell’uomo, per aiutarlo nella sua crescita e maturazione, non opprimerlo.

Dall’idolatria della persona. "Nessuno di voi si chiami maestro, uno solo è il vostro Maestro" (Mt. 23,8). Nessuno deve farsi schiavo di un altro né lasciarsi manipolare da alcuno. La dignità di ogni uomo è infinita perché figlio di Dio, fratello di Cristo.

All’adultera, alla samaritana che aveva avuto cinque mariti, alla Maddalena, Gesù restituisce con il perdono, la dignità perduta, il diritto inalienabile di vivere libere.

Dall’idolatria di se stessi, del potere, dell’autorità, del dominio sugli altri: "Chi vuol essere il primo cerchi l’ultimo posto e si faccia servo di tutti" (Mc. 10,44). Lui, il Maestro è venuto a servire, non ad essere servito. Nell’ultima Cena, dopo aver lavato i piedi agli apostoli dice: "Io vi ho dato l’esempio affinchè quello che io ho fatto, lo facciate anche voi". (Gv.13,15)

Dalle preoccupazioni terrene, comprese quelle più necessarie della vita: "Non preoccupatevi di quello che mangerete e di come vestirete. Il Padre sa quello di cui avete bisogno" (Gv. 13,15).

Dalla paura di un falso dio, lontano, tiranno, legalista, sbirro, vendicativo e anche da un dio fantoccio, bonaccione che chiude un occhio e magari anche tutti e due, indulgente a tutti i capricci. Soprattutto ci libera dalla tristezza e schiavitù del peccato, causa ultima di tutti i mali che ci affliggono e ci minacciano.

 

 

GIOVEDI’ 7

San Grato di Aosta; Santa Regina; San Guido

Parola di Dio: 1Cor. 3,18-23; Sal 23; Lc. 5,1-11

 

"QUANDO EBBE FINITO DI PARLARE, DISSE A SIMONE: PRENDI IL LARGO E CALATE LE RETI PER LA PESCA". (Lc. 5,4)

Nell’Antico Testamento troviamo spesso l’affermazione: "Non si può vedere Dio e poi vivere". Leggendo il Vangelo di oggi possiamo dire: "Non si può incontrare Gesù e continuare a vivere come prima". Pietro lo ha imparato fin dal primo incontro con Gesù. Gesù lo ha preparato alla sua missione togliendogli le sue sicurezze, confondendolo sull’opinione che aveva di sé.

Tutto è cominciato quel mattino, sul lago quando Gesù gli ha chiesto in prestito la barca per poter parlare meglio alla folla. E, mentre Gesù parlava, Pietro lo ascoltava con interesse, con approvazione e, forse, anche con una certa fierezza per quello che si diceva dalla ‘sua barca’. Gesù parlava molto bene, decisamente meglio di quello che aveva ascoltato fino ad allora nella sinagoga o altrove. Ma le prediche non erano il forte di Pietro. Poteva apprezzare un buon predicatore, ma il suo mestiere era quello di pescare e pescava bene.

Ed è per questo che, quando ebbe finito di parlare, Gesù si volta verso Pietro e gli dice: "Ora, Pietro, si va a pescare". Pietro rimane sorpreso come se il Signore avesse letto il suo pensiero, ma risponde da professionista: "Abbiamo faticato tutta la notte. Io conosco il lago, le correnti, i momenti in cui gettare le reti, eppure nulla. Per oggi non c’è niente da fare".

"Andiamo ugualmente", disse Gesù e si produsse il miracolo da cui Pietro fu completamente confuso. Là, nel suo campo, nella sua competenza, sul suo proprio terreno, Gesù l’aveva battuto e gli veniva rivelato che aveva bisogno del Signore anche riguardo a quello che credeva di sapere meglio.

E così comincia ogni vera vocazione cristiana. In certi momenti la religione cessa di essere un articolo di lusso, una prova della nostra buona educazione, un segno della nostra cultura. Costatiamo improvvisamente che per compiere i nostri doveri ordinari, per amare nostra moglie e nostro marito, per accettare un figlio, per sopportare il nostro lavoro, per vivere un giorno solo della nostra esistenza, bisogna cedere il posto in noi ad un altro, bisogna pregare, dobbiamo essere aiutati, bisogna che ci venga tesa una mano. Come San Pietro ha imparato che ci voleva nientemeno che la presenza di Cristo nella sua barca per poter solamente pescare, noi sappiamo che se restiamo onesti, fedeli , fiduciosi, è per una grazia incomprensibile che forse ci può riempire di confusione, ma che si rinnova così fedelmente che è bello vivere sospesi ad essa.

 

 

VENERDI’ 8

Natività della Beata Maria Vergine

Parola di Dio: Mic. 5,1-4; Sal. 86; Mt. 1,1-16.18-23

 

"ESSA PARTORIRA’ UN FIGLIO E TU LO CHIAMERAI GESU’: EGLI INFATTI SALVERA’ IL SUO POPOLO DAI SUOI PECCATI". (Mt. 1,21)

Oggi, la Chiesa, nell’antico anniversario della fondazione di una basilica costruita sul luogo dove la tradizione credeva fosse la casa di Anna, celebra la nascita di Maria di cui siamo estremamente grati al Signore perché finalmente la nostra umanità in Lei può rispondere un sì definitivo alle iniziative del Padre, perché Lei diviene la ‘porta’ attraverso cui Dio viene nella carne per liberarci, ma anche la ‘porta’ attraverso cui noi possiamo accedere a Lui.

Il pensare alla storia di Maria ci fa riflettere anche sul fatto che Dio ha un progetto su di Lei come ha un progetto su ciascuno di noi.

Nessuno di noi è nato a caso, siamo tutti creature pensate ed amate da Dio.

"Ma io non valgo granché. Sono un granellino in mezzo a sei miliardi di uomini, tra centinaia di miliardi di uomini passati sulla terra! Sono frutto del caso che proprio quello spermatozoo abbia incontrato in quel giorno e in quell’ora quell’ovulo! Anche Dio non sembra farci troppo conto se per una vita che nasce ce ne sono milioni che non nascono; se permette che sei milioni di uomini finiscano uccisi in campi di concentramento; se, oggi, proprio oggi, centinaia di migliaia di persone moriranno di fame tra l’indifferenza nostra e apparentemente anche sua!".

E’ vero, la vita è un mistero. La vita stessa di Maria si svolse tra le braccia del mistero e della sofferenza. Eppure tutto ha un senso. Deve avere un senso anche il dolore, se no…. Il nulla!

Dio ha un progetto per Maria, ma anche per me. Non importa neppure che io conosca bene quale sia questo progetto. L’importante è che, come Maria, mi faccia trovare al momento giusto e sappia fidarmi di Lui dicendo con fede: "Avvenga di me secondo la tua parola!".

 

 

SABATO 9

San Pietro Claver

Parola di Dio: 1Cor. 4,6-15; Sal. 144; Lc. 6,1-5

 

"IL FIGLIO DELL’UOMO E’ SIGNORE DEL SABATO". (Lc. 6,5)

Da una parte il sabato e dall’altra l’uomo; da una parte le leggi religiose, dall’altra Gesù; da una parte il dovere, dall’altra l’amore… E’ vero che non si può essere radicali in questo modo, è vero che la religione può servire l’uomo, che i riti possono diventare rapporto con Dio, che l’amore ha bisogno di essere formato e indirizzato, ma attenzione a certi compromessi: rischiano di farci diventare ipocriti. A questo proposito offro a voi e a me una pagina scritta molti anni fa da un bravo giornalista: Ettore Masina.

" La gente dei paesi del benessere ha sulle spalle generazioni di orgogliosa civiltà, di razzismo, di colonialismo; la gente dei paesi del benessere (noi tutti) finisce per dimenticare. I padri e i padri dei padri le hanno insegnato che, in fondo, è naturale che sia così: da una parte l’uomo evoluto, dall’altra l’uomo-bestia, l’uomo che va tenuto nel ghetto, l’uomo che non è uomo fino in fondo, il servo, ‘buono ma da trattare con il pugno di ferro’.

La gente del benessere (noi tutti) ha finito per pensare che a questi uomini si debba l’elemosina e, con l’elemosina magari, il battesimo della salvezza: ma non parlare da pari a pari, non dialogare, non commettere l’errore di dare fiducia.

La gente del benessere (noi tutti) si commuove quando un popolo sta per essere decimato dalla carestia; e magari mette mano al portafogli, offre, molto o poco, per vincere quella minaccia. Ma poi dimentica che la fame continua, oltre le carestie, nella normalità; e oltre alla fame ci sono l’analfabetismo, le malattie, la degradazione.

Finisce per credere che tutto possa rimanere anche così, con uno steccato intorno all’oceano.

Ma il progresso fa sempre più piccolo il mondo e due razze umane si guardano negli occhi: una è la nostra, l’altra è quella di chi sa che vivrà metà degli anni vissuti da ciascuno di noi, che mangia tre volte meno di noi, che abita in villaggi in cui seppellire un bambino è un rito quotidiano (o neppure più un rito).

Ci guardiamo negli occhi, sempre più da vicino. Mentre dai paesi più poveri affluiscono nei paesi industrializzati gli uomini da adibire ai mestieri più umili e pericolosi, il turismo spinge folle sempre più numerose dai paesi del benessere verso i paesi della fame: l’occidentale con la corona di fiori al collo, l’occidentale sul ciclo-taxi spinto dalla scheletrico indiano, l’occidentale alla ricerca di vizi che solo la grande miseria fornisce al lusso, affronta occhi che lo interrogano e lo giudicano.

Spesso egli visita queste terre senza vedere altro che meravigliosi paesaggi, senza accorgersi della atroce realtà umana che lo circonda: perché tutte le aerostazioni del mondo si somigliano, perché tutti i grandi alberghi del mondo hanno aria condizionata, acqua corrente, domestici cerimoniosi. L’uomo del benessere passa accanto alle grotte ancora popolate di Betlemme e fotografa la poesia del presepio: senza avvertire che c’è un risvolto terribile in quella poesia: il giudizio del Cristo che neppure oggi trova posto nella città."

 

 

DOMENICA 10

XXIII^ DOMENICA DELL’ANNO - San Nicola da Tolentino

Parola di Dio: Is. 35,4-7; Sal.145; Giac. 2,1-5; Mc. 7,31-37

Giubileo dei docenti universitari

 

1^ Lettura (Is. 35, 4-7)

Dal libro del profeta Isaia.

Dite agli smarriti di cuore: "Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi". Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso si muterà in sorgenti d'acqua.

 

2^ Lettura (Gc. 2, 1-5)

Dalla lettera di san Giacomo apostolo.

Fratelli miei, non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria. Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro.

Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: "Tu siediti qui comodamente", e al povero dite: "Tu mettiti in piedi lì", oppure: "Siediti qui ai piedi del mio sgabello", non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi?

Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?

 

Vangelo (Mc. 7, 31-37)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, Gesù, di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: "Effatà" cioè: "Apriti!". E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: "Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti! ".

 

RIFLESSIONE

 

Nella prima lettura abbiamo sentito una chiara parola di incoraggiamento del profeta Isaia. Perché questo profeta si sente di poter incoraggiare il suo popolo a nome di Dio stesso? Perché Dio è fedele, ha promesso il Messia e quando questi verrà si manifesterà con segni grandi e gioiosi: gli occhi dei ciechi vedranno, anche quelli di coloro che non vedono né Dio né i fratelli; i sordi sentiranno, anche coloro che sono refrattari ai richiami della fede e della coscienza; lo zoppo salterà come un cervo, anche i piedi dell’abulico, dell’ozioso, del passivo; la lingua del muto griderà, perfino il pessimista riuscirà a vedere cose positive e belle; le acque riusciranno a far rifiorire i deserti ed anche i cuori di pietra.

E’ un canto di gioia e di speranza quello di Isaia che ben si addice alla venuta di Gesù. Infatti tutti i segni della profezia di Isaia sono realizzati nella vita di Gesù al punto che nel Vangelo di oggi sentiamo dire dalla gente: "Ha fatto bene ogni cosa".

Ecco, allora, una strada ben chiara per leggere i miracoli nel Vangelo.

Il miracolo evangelico è un segno concreto che si basa sulla fede, avviene per manifestare la misericordia di Dio nei confronti della sofferenza ma apre un discorso più grande ed ha quindi una portata simbolica universale e può portare l’uomo a riconoscere in Gesù il Messia.

Con questa attenzione proviamo a ripercorrere il miracolo della guarigione del sordomuto.

Il miracolo avviene mentre Gesù è in viaggio nel territorio della Decapoli. Erano dieci città libere con popolazione di fede mista, anche pagana. Sembra dunque che Gesù, anche nel fare miracoli, superi lo stretto confine che faceva degli Ebrei gli unici fruitori della salvezza. Come Gesù, e lo vedremo proprio in questo miracolo, è venuto a sanare l’uomo intero, così la sua salvezza è per tutta l’umanità.

Il sordomuto è portato a Gesù da altre persone, come era già successo per il paralitico, e grazie a questa fede comune si può operare il miracolo. Per me il più grande valore dell’essere Chiesa sta proprio nell’appoggiare, costruire, manifestare la propria fede su e con quella di tanti altri, e nel donare la mia perché altri vi si appoggino.

Questa persona è sorda e muta.

Chiaramente oltre che alla menomazione fisica dell’individuo, qui c’è tutto un simbolismo. L’uomo è spesso sordo nei confronti della Parola del Signore che lo vuole salvare, non sente i richiami che Dio gli fa attraverso la sua coscienza. Pur vivendo in mezzo a tanti rumori e pur sentendo tante voci, non riesce ad ascoltare il fratello. Ma spesso è anche muto e balbuziente, cioè non riesce a comunicare, ha difficoltà nella preghiera ed anche nel rapporto con i fratelli.

Tutto in questo miracolo sembra giocarsi nei contrasti tra rumore e mutismo, tra silenzio e ascolto. E questo riguarda anche noi.

Oggi, parlando di inquinamento, si riconosce che la nostra civiltà soffre anche per un grave inquinamento acustico. Viviamo in una società assediata dai rumori. Nelle città il frastuono del traffico ci stordisce. Nei negozi, nei bar, nei supermercati, siamo bersagliati da messaggi pubblicitari e da annunci ad alto volume. Persino nei luoghi di villeggiatura, dove si va a cercare un poco di pace, non mancano rumori di ogni genere. In casa, poi, il regime dei rumori spesso risulta stressante: il campanello e il telefono che squillano continuamente, la radio, la T.V. dalla quale siamo talmente dipendenti che a volte, pur non seguendola, lasciamo continui a brontolare per conto suo. Già Kierkegaard, a suo tempo, aveva detto: "Se fossi medico e mi si chiedesse un consiglio, risponderei: Fate silenzio!"

Per reagire al rumore, alle troppe voci, però, spesso si cade in un altro eccesso: l’isolamento completo. Il mutismo. Vediamo così molta gente camminare per strada assente, senza parlare; l’uso delle cuffie è diventato per non pochi l’espediente normale per isolarsi dal mondo circostante, per rifiutare ogni contatto, ogni comunicazione. Il mutismo crea il vuoto, inaridisce, è rifiuto di ogni dialogo, reazione passiva non solo contro i rumori, ma anche contro ogni possibilità di ascolto.

C’è dunque un silenzio che è mutismo, e per questo non giova alla crescita dell’uomo; e c’è un silenzio che è positivo, in quanto condizione di apertura e di ascolto. In questo mondo rumoroso la Parola di Dio non può essere intesa.

La rivelazione biblica ci mostra come il rapporto silenzio-Parola sia costruttivo e salutare, mentre il mutismo è espressione di "guasto" che isola l’uomo da Dio e dai suoi simili, è malattia che va guarita. Vediamo, nel Vangelo di Luca, il caso di Zaccaria. A seguito della sua incredulità: "Ecco, sarai muto – gli dice l’angelo – e non potrai parlare… perché non hai creduto alle mie parole, le quali si compiranno a loro tempo". Se avesse creduto Zaccaria sarebbe uscito dal Tempio forse silenzioso per la gioia e per lo stupore, non muto e incapace di comunicare.

C’è inoltre ancora un silenzio che è sinonimo di latitanza di fronte a situazioni ingiuste; silenzio colpevole, perché chi tace lascia progredire il male. La seconda lettura è lì a mostrarci come nella vita delle comunità cristiane si possa facilmente indulgere ad atteggiamenti di tacita connivenza, anzi di palesi favoritismi personali, "mescolati nella fede del Signore della gloria".

Come può Gesù guarirci da queste malattie?

"Presolo in dispare, lontano dalla folla" Ecco, forse non è neppure necessario fermarsi ai gesti successivi, La guarigione per noi può già avvenire a questo punto. Gesù ci ha svelato il segreto di un miracolo che possiamo, dobbiamo ripetere anche noi piuttosto di frequente. Infatti la nostra sordità e il nostro mutismo sono ricorrenti.

E’ sufficiente portarsi in disparte, lontano dalla folla, ritrovarsi faccia a faccia con il Maestro e allora riacquistiamo immediatamente la capacità di ascoltare e il diritto di parlare.

Abbiamo bisogno di silenzio per ascoltare. Non illudiamoci di sentire la voce di Dio, della coscienza o del fratello nel frastuono. Anche come cristiani non facciamo concorrenza al rumore, allo spettacolo, al circo, alle esibizioni di piazza, ai facili applausi, ai bagni di folla. Qualche volta ci sarebbe da augurarsi che Gesù facesse il miracolo al contrario, che certi personaggi di chiesa laici o preti che si voglia, la smettano di parlare, di blaterare con prosopopea e superiorità su tutto e di tutto, col risultato di muovere tanta aria, la smettano di cercare di imitare in tutto il mondo e i suoi modi con la scusa di portare Gesù al mondo di oggi.

"Effeta", Apriti. Non significa diventa come gli altri, ma apriti dentro, lascia che Dio ti apra il cuore. Taci non per essere muto, ma per ascoltare e apri la bocca ma solo per lasciare che la tua lingua, invece di chiacchiere, possa ancora una volta dire il proprio grazie e la propria meraviglia: "Veramente Gesù ha fatto bene ogni cosa".

 

 

LUNEDI’ 11

Santi Proto e Giacinto

Parola di Dio: 1Cor. 5,1-8; sal.5; Lc. 6,6-11

 

"E’ LECITO IN GIORNO DI SABATO FARE IL BENE O FARE IL MALE, SALVARE UNA VITA O PERDERLA?". (Lc. 6,9)

Gesù aveva intenzione di guarire colui che aveva la mano inaridita e lo voleva fare proprio nel giorno di sabato, il giorno che ricordava la gioia della contemplazione di Dio che ammira soddisfatto il suo creato e il giorno che richiamava la liberazione del popolo dalla schiavitù dell’Egitto. Stupisce allora che Gesù non chieda soltanto se: "E’ lecito fare il bene di sabato" ma aggiunga anche se è lecito o meno fare il male in tal giorno.

La domanda è rivolta ai farisei che "lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato allo scopo di trovare un capo d’accusa contro di lui" e che, dopo l’avvenuto miracolo, "discutevano fra di loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù". E già! Perchè si può celebrare il Dio creatore e liberatore, salvare un uomo dal suo male, ma si può anche andare alla sinagoga o in chiesa in giorno di sabato o di domenica con il cuore tutt’altro che intenzionato a fare il bene.

Gesù, guarendo il malato di sabato, afferma che far prevalere il legalismo sul bene dell’uomo equivale a tradire la volontà di Dio. Nella loro ostinata cecità, nella loro presunta sicurezza religiosa, questi fanatici osservanti della legge non solo non riescono a capire che l’uomo è la gloria del Dio vivente, ma non riescono più a vedere Dio.

Il grande rischio dei fanatici religiosi è quello di diventare atei.

Provate a pensare a tutte le forme di fanatismo religioso, da quelle grandi presenti anche nella storia odierna, dove in nome di Dio si fanno guerre sante o ci si uccide tra fratelli a quelle che incontriamo nelle nostre comunità dove si confonde, ad esempio, un tipo di liturgia con ‘l’unico modo di render gloria a Dio’, dove qualcuno in nome di norme ben codificate non guarda e non ascolta neppure il penitente che ha davanti, ma lo classifica e lo bolla, dove si compiono gesti religiosi per trarne gloria umana, si cacciano i poveri dalle porte delle chiese, o, al colmo della benevolenza li si manda in cantina con l’approvazione di tutti i benpensanti.

Il peccato di queste persone non è solo quello di aver tradito l’uomo, ma di aver tradito Dio. Dio non è più lì, anche se rimangono le maschere del religioso.

Gesù, superando la legge del sabato con l’amore per l’uomo non ci insegna a disprezzare il sabato, anzi, ci aiuta a riportarlo al suo vero significato e a renderlo vera lode al Signore.

 

 

MARTEDI’ 12

Santo Nome di Maria; San Silvino di Verona

Parola di Dio 1Cor. 6,1-11; Sal. 149; Lc. 6,12-19

 

"NE SCELSE DODICI AI QUALI DIEDE IL NOME DI APOSTOLI". (Lc. 6,13)

Sovente, leggendo la lista dei dodici, mi risulta facile ‘allungarla’. Per esempio, già nelle comunità primitive avevano capito che il termine ‘apostolo’ (cioè: inviato) non era riservato solo a quelli della lista, infatti anche Paolo e Barnaba vengono chiamati così. E’ allora bello pensare che la mia fede di oggi si fonda sulla base della parola e della testimonianza degli apostoli, sul sangue dei martiri, sulle preghiere e le opere dei santi, quelli autenticati dalla Chiesa e quelli autentificati dalla fede e da Dio stesso.

E scopro (non solo in quanto prete) che anch’io sono chiamato personalmente da Gesù all’apostolato; fin dal giorno del mio Battesimo sono stato chiamato per nome da Cristo per conoscere e rivestirmi di Lui e per avere la gioia di comunicare agli altri la fede,

Tutti siamo eredi del passato e il futuro erediterà il nostro presente. Siamo eredi della fede bimillenaria degli apostoli attraverso generazioni di cristiani che credettero in Cristo e lo seguirono al ritmo quotidiano delle sofferenze e delle speranze dell’umanità. E le prossime generazioni riceveranno questa fede da noi.

Pertanto nessuno è insignificante nel disegno di Dio. Siamo un anello della lunga catena di trasmissione della fede; siamo soltanto un minuto, ma necessario, nell’orologio di Dio e della sua storia di salvezza. Situati a metà tra il passato e il futuro, la nostra responsabilità di credenti e di testimoni ci impone di non far spegnere la fiaccola della fede nelle nostre mani per essere capaci di passare il testimone a quelli che ci rileveranno nella corsa.

E l’essere inviati, testimoni, apostoli, non è neanche solo ‘convertire gli altri’, insegnare loro la teologia o il catechismo, ma lasciare che la bellezza, la grandezza, la gioia di Cristo, trabocchi da noi. Il Vangelo di oggi termina con una frase riferita a Cristo che dice: "Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da Lui usciva una forza che sanava tutti". Noi non siamo Gesù, ma il nostro apostolato dovrebbe essere un po’ così: gli altri dovrebbero accorgersi che in noi c’è una forza non nostra che opera la guarigione dei cuori.

 

 

MERCOLEDI’ 13

San Giovanni Crisostomo; San Maurilio

Parola per Dio: 1Cor 7,25-31; Sal. 44; Lc. 6,20-26

 

"GUAI A VOI, O RICCHI". (Lc. 6,24)

Ieri dicevamo che la nostra fede si fonda sulla fede e la testimonianza di tanti altri. Per commentare la difficile parola del Vangelo di oggi mi piace allora attingere a testimonianze lontane e recenti.

 

Teodoreto, Vescovo di Ciro (393-460)

Gli uomini desiderano il denaro non per la sua utilità effettiva ma perché con esso possono diventare schiavi del piacere.

Tre sono le cause dell’amore per il denaro: il piacere, la vanità, la mancanza di fede. La più grave di tutte è la mancanza di fede.

Il lussurioso ama il denaro per consumarlo nei piaceri, il vanitoso per procurarsi la gloria, l’uomo in cui manca la fede per tenerlo nascosto temendo la fame, la vecchiaia, la malattia. Egli si fida più del suo denaro che di Dio, creatore dell’universo, la cui provvidenza raggiunge l’ultimo, il più basso degli esseri.

 

Basilio il Grande (330-379)

Non sempre è lodevole la povertà: solo quando viene scelta liberamente secondo il precetto del Vangelo.

Molti sono poveri nel borsellino e avarissimi nello spirito. Essi non saranno salvati per la loro povertà, ma condannati per la loro mentalità.

 

Sant’ Agostino (354-430)

Signore, quando venni in questo mondo non ci portai niente, e quando lo lascerò non porterò via niente. Se ho qualcosa da mangiare e qualcosa per coprirmi sono contento.

Perché se volessi diventare ricco cadrei nella tentazione, nei desideri stolti che travolgono l’uomo conducendolo alla morte. La radice di tutti i mali è la cupidigia: molti che ambivano alle ricchezze deviarono dalla fede e incontrarono tribolazioni.

Io invece incontrerò Te, Te che sei il vero povero perché, pur essendo ricco, per me ti sei fatto povero.

 

L. J. Lebret (contemporaneo)

O Dio, ti ho pregato per molto tempo di diventare ricco, e non mi rendevo conto che così mi mettevo in contraddizione col Vangelo. E’ vero che conoscevo male il Vangelo, lo avevo letto poco ed era per me un libro chiuso. In esso sta scritto: "Guai ai ricchi". Questa maledizione, che i preti non osano più ricordare ai fedeli senza mitigarla fino a renderla come un sedativo, non aveva mai richiamata la mia attenzione. Volevo essere ricco e cercavo di tirare anche te dalla mia parte. Non so se hai risposto alla mia preghiera o se la mia ricchezza è dovuta solo all’ardore del mio lavoro o al mio senso degli affari.

Non ho fatto fortuna disonestamente, stando a quanto è ammesso nella civiltà occidentale… Un vecchio zio sordido ed avaro mi aveva lasciato in eredità il frutto delle sue privazioni. Ho fondato una piccola società di importazione e di esportazione come ce ne sono tante. Tutta la mia abilità consisteva nel giocare sulle differenze dei costi locali, dei livelli di vita tra la manodopera indigena e la nostra, dei noli e dei cambi. Ho avuto buone occasioni di speculazione. Ho comprato per pochi soldi certi terreni che in un anno hanno centuplicato il loro valore. Ho costruito case che ho venduto a dieci volte di più. Ho pagato i miei impiegati ed operai secondo la tariffa corrente, o anche peggio, in condizioni primitive. Talvolta ho dovuto superare con la "bustarella", le esitazioni dei funzionari per rendere facile l’esecuzione dei miei progetti. Talvolta ho anche pagato la stampa perché le sue informazioni fossero tendenziose.

Tutto questo è ritenuto corretto negli ambienti degli affari. Il cristiano ne vien facilmente perdonato al tribunale della penitenza. Evidentemente il confessore non ne capisce niente. Assolve, ingiungendo di fare qualche elemosina. Dopo ogni affare lucroso, ho dato ai poveri, alle opere di carità, a chiunque mi chiedeva qualcosa. A dire la verità si trattava di un’infima frazione del mio guadagno. Sono diventato un ricco sfondato e la considerazione in cui sono tenuto è proporzionata alla mia ricchezza. Sono ritenuto un buon cristiano…

Ed ecco che rileggendo il vangelo sono stato preso da un grande turbamento. Il "Guai ai ricchi" di san Luca continua a rimbombarmi nelle orecchie. La mia ricchezza è come un muro tra te e me, come un fossato tra me e l’umanità.

O Dio, liberami dalla mia ricchezza.

 

 

GIOVEDI’ 14

Esaltazione della santa Croce  -  San Crescenzio

Parola di Dio: Num. 21,4-9 (opp.Fil. 2,6-11); Sal. 77; Gv. 3,13-17

 

"DIO HA TANTO AMATO IL MONDO DA DARE IL SUO FIGLIO UNIGENITO". (Gv. 3,16)

La croce di Gesù è la difficile chiave di lettura per poter leggere la più bella e più grande storia d’amore mai scritta. Sì, perché il più bello e più grande romanzo di amore lo ha scritto proprio Dio e lo ha scritto per tutti, ma anche per ognuno personalmente.

Perché Dio avrà creato l’universo? Per dimostrare a se stesso quanto era bravo? L’unica risposta è che abbia creato per amore; e se nel mondo troviamo qualcosa che non è amore è perché l’uomo lo ha rovinato con il suo egoismo.

Tutto è stato creato per amore dell’uomo e l’uomo, da Adamo in poi, ha spesso risposto con egoismo e allora ciò che era dono è diventato proprietà, e l’uomo pur di possedere ha rovinato il dono ed esiliato ed umiliato il donatore.

Dopo l’affronto ricevuto, Dio avrebbe potuto abbandonarci, stancarsi di noi, avrebbe potuto dirci: "Ve lo siete voluto, arrangiatevi" e, invece, si è fatto uno di noi per portare con noi il peso dei nostri mali. Non ci ha violentati nella nostra grande ma terribile libertà, ma ha bussato alla nostra porta, ha parlato la nostra lingua, si è fatto nostro compagno di viaggio, si è caricato del nostro male ed ha perfino accettato che l’egoismo, le paure di noi uomini inchiodassero Lui e il suo amore ad una croce per dirci: "Ti voglio bene!"

E anche oggi, da quella croce, ti ripete il suo messaggio d’amore. Dio potrebbe vendicarsi del fatto che l’uomo lo mette in croce e, invece, proprio dall’amore crocifisso nasce il perdono, l’acqua del battesimo, il pane della vita, la promessa di un’eternità con Lui.

Tutti in casa abbiamo un crocifisso. Fermiamoci ogni tanto davanti a quella croce anche senza dir niente. Quella croce che può sembrare sconfitta, scandalo è la chiave per entrare nel cuore di Dio.

 

 

VENERDI’ 15

Beata Vergine Maria Addolorata  -  Santa Caterina da Genova

Parola di Dio: Eb. 5,7-9; Sal. 30; Gv. 19,25-27 (opp. Lc. 2,33-35)

 

"GESU’ VEDENDO LA MADRE E LI’ ACCANTO IL DISCEPOLO CHE EGLI AMAVA, DISSE ALLA MADRE: ECCO TUO FIGLIO". (Gv. 19,26)

Ciascuno di noi avrà certamente osservato con meraviglia, direi quasi con senso di adorazione, una mamma con il suo bambino in braccio. Egli è sereno, tranquillo, solo accanto a lei si sente protetto, sicuro da ogni pericolo e minaccia.

Gesù fu protetto dalle braccia e dal cuore di Maria quando era piccolo, ma ora le braccia e il cuore di Maria non lo hanno protetto dalla cattiveria mascherata di religiosità, dei ‘buoni’ che lo ha condannato come bestemmiatore e lo ha messo in croce. Anzi, il cuore di Maria, pur ferito, non si sarebbe mai opposto alla volontà di Dio.

Ora le braccia di Maria sono tese verso quel corpo che lei gli ha formato e che ora è un corpo martoriato, sfigurato, sanguinante, percorso dai brividi e dalle convulsioni che ne preludono la morte. E Cristo, che come ogni uomo nell’approssimarsi della morte invoca il nome della madre, non può staccare le sue braccia da quel legno per trovare un rifugio sicuro sul cuore di Maria. Allora Gesù fa qualcosa di più per la Madre e per noi: ce la regala. Gli avevano tolto tutto, perfino i vestiti, gli rimaneva sua Madre: ci dona anche Lei.

Da quel momento Maria cominciò ad amare ciascuno di noi con lo stesso amore con cui ha amato il Figlio divino perché ha compreso e provato a quale prezzo Egli ci riscattava dal peccato, rendendoci figli del Padre e fratelli suoi.

Con una simile mamma al fianco, ora possiamo camminare sereni e sicuri, come ogni bambino vicino o tra le braccia di sua madre.

Ricordiamoci di questo nel nostro quotidiano, ci aiuterà a rimanere sereni anche in mezzo alle tempeste della vita. Ci aiuterà a ricorrere spesso a Lei sia nei momenti belli che in quelli grigi della nostra giornata. Abbiamo una Madre che sa che cosa significa gioire e soffrire, che è passata attraverso la Grazia e attraverso il buio del mistero, che non ha capito tutto ma ha conservato tutto nel suo cuore, una mamma che ha amato immensamente Gesù e che ama dello stesso amore ciascuno di noi perché redenti dal suo sangue.

 

 

SABATO 16

Santi Cornelio e Cipriano; Sant’Eufemia

Parola di Dio: 1Cor. 10,14-22; Sal. 115; Lc. 6,43-49

 

"CHI ASCOLTA E NON METTE IN PRATICA E’ SIMILE AD UN UOMO CHE HA COSTRUITO UNA CASA SULLA TERRA, SENZA FONDAMENTA. IL FIUME LA INVESTI’ E SUBITO CROLLO’, E LA ROVINA DI QUELLA CASA FU GRANDE". (Lc.6,49)

"Ho perso la fede!". Quante volte ho incontrato persone che sono venute a dirmi proprio questo. Il più delle volte sarebbe stato istintivo rispondere: "Guarda che non hai perso proprio niente. Non si perde una cosa che non si ha". "Ma io andavo in chiesa, ho fatto fare la Comunione a mia figlia, sono andato in pellegrinaggio da Papa Giovanni e da Padre Pio… ma, adesso, siccome Dio non mi ha concesso quella grazia, siccome la chiesa ha preso quella posizione, siccome non mi piace il parroco…ho perso la fede!".

Spesso la casa della fede l’abbiamo costruita sulla sabbia e sulle apparenze della fede. Faccio qualche esempio per capirci meglio, ma ciascuno di noi cerchi di applicare a se stesso: spesso si ha la pretesa di essere cristiani solo perché si è nati in una famiglia di tradizione cristiana; spesso si pensa alla fede come ad una ics che si mette su un questionario che ti dà due possibilità: Dio c’è o non c’è (e in ogni caso è meglio scegliere Dio c’è, perché non c’è niente da perdere, e se, poi, ci fosse davvero?); ancora, si fa consistere la fede nelle apparenze del religioso e allora si fa una terribile confusione perché: sono cristiano perché vado a Messa, perché appartengo al tal gruppo, perché voto il tal partito, perché faccio salotto su cose religiose, perché seguo il tal prete o il tal teologo… E la casa viene su in fretta ed esternamente bella (gli orpelli del religioso hanno sempre saputo abbellire e indorare tutto lungo la storia), ma, e le fondamenta? In tutta la casa c’è Gesù Cristo? Non quello parlato, ma quello incontrato con fatica, quello che non sempre è così immediato, quello che è così diverso dai miei schemi, quello che invece di tranquillizzarmi mi scombina la vita.

E, ci sono le opere della fede? Non le Messe per obbligo, le offerte deducibili fatte alla Chiesa, le elemosine sbandierate e sussiegose, ma le scelte di verità. Di giustizia, di carità vera che si sporca le mani, che dona se stessi.

Se mancano quelle due fondamenta, il bel castello della ‘fede’ starà su solo fino alla prima botta, al primo colpo di vento, al primo fiume che straripa.

 

 

DOMENICA 17

XXIV^ DOMENICA PER L’ANNO - San Roberto Bellarmino; Sant’ Arianna

Parola di Dio: Is. 50,5-9; Sal. 114; Gc. 2,14-18; Mc. 8,27-35

 

1^ Lettura (Is. 50, 5-9)

Dal libro del profeta Isaia.

Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso. E` vicino chi mi rende giustizia; chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?

 

2^ Lettura (Gc. 2, 14-18)

Dalla lettera di san Giacomo apostolo.

Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede.

 

Vangelo (Mc. 8, 27-35)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: "Chi dice la gente che io sia?". Ed essi gli risposero: "Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti". Ma egli replicò: "E voi chi dite che io sia?". Pietro gli rispose: "Tu sei il Cristo". E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: "Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini". Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà ".

 

RIFLESSIONE

 

La prima lettura di domenica scorsa ci aveva presentato la gioia di tutta l’umanità per la venuta del Messia e i segni di guarigione che ne avrebbero accompagnato il suo apparire. Ora lo stesso Isaia più che dirci ciò che accadrà alla venuta del Cristo, fissa lo sguardo sul Messia e lo scopre "servo del Signore", uomo della sofferenza e del dolore che però è disposto ad affrontare tutto questo perché si fida di Dio. Egli sarà il giusto assediato dal male e dal malvagio, ma non si tirerà indietro perché sa che Dio stesso sarà la sua forza.

Tenendo presente questo, adesso fermiamoci al brano del Vangelo.

Siamo ad un passo importante in Marco, potremmo quasi dire ad un giro di boa. Nella prima parte del Vangelo Gesù ha gradualmente rivelato se stesso alle folle e soprattutto ai discepoli e molti sono arrivati ad avere fede in Lui, anche se in modo ancora molto informale, ora bisogna andare avanti ed accogliere il Cristo come Figlio di Dio che ha una missione di sofferenza e di insuccesso umano ma di amore da svolgere nella sua persona.

Ed ecco allora Gesù, in cammino con i suoi, svolge una specie di sondaggio sulla sua persona. "Chi dice la gente che io sia?". Quante volte in questi anni con i giovani e con i ragazzi del catechismo abbiamo intervistato centinaia di persone su questo argomento. Ai tempi di Gesù, come oggi, a questa domanda ci sono molti tipi di risposta: da quelli vaghi: un personaggio della storia, un fondatore di religioni; a quelli che rispettano scelte ideologiche preconcette: un millantatore, la più grande bugia della storia; a chi fa riferimento alla propria fede: il Figlio di Dio, il Salvatore… Dalle risposte che gli apostoli danno alla domanda di Gesù, apprendiamo che parecchia gente di allora aveva già capito ed apprezzato qualcosa di bello e di grande su Gesù: qualcuno lo vedeva come la logica continuazione dell’opera di Giovanni il Battista, qualcun altro lo paragonava niente meno che ad Elia, quel grande profeta che "assunto in cielo su un cocchio di fuoco" sarebbe dovuto tornare prima della venuta del Messia; qualcun altro vedeva in Lui la forza della parola e i segni degli antichi profeti. Ciascuno, a modo suo, secondo le proprie esperienze e aspirazioni aveva classificato la figura di Gesù.

Ma non basta sapere che cosa ne pensano gli altri. Gesù incalza i suoi (ed anche noi) con la domanda successiva: "Ma voi, Chi dite che io sia?".

Non si può più sfuggire, non basta riferire opinioni per cercare poi di capire dalla reazione dell’interessato a dove egli vuole arrivare. Ora bisogna rispondere personalmente. E Pietro da buon capo lo fa a nome di tutti: "Tu sei il Cristo".

Anche noi dobbiamo rispondere a questa domanda. Non si tratta di dare la risposta esatta per vincere la medaglia del concorso catechistico, non si tratta neanche di riferire la risposta dell’ultimo teologo alla moda. No! Sono proprio io che devo dire ciò che ho capito di Lui. Non posso nascondermi e sarebbe terribilmente assurdo cercare di ingannare me stesso e Lui con qualche risposta artefatta.

Pietro e i suoi amici, con la loro risposta dicono di aver capito molto di Gesù e di fidarsi di Lui.

Dire: "Tu sei il Cristo" significava indicare Gesù come ‘l’unto di Dio’ cioè il Messia. L’aver ascoltato Gesù, aver sentito le sue parole di amore e di perdono, aver visto la sua attenzione ai poveri, aver assistito a miracoli prodigiosi e a segni di liberazione dal male e dal maligno, aveva fatto sì che poco per volta gli apostoli avessero capito che in Gesù si realizzavano le promesse di Dio.

Ma di Messia avevano l’idea tipica della loro mentalità. Per loro il Messia era Colui che Dio avrebbe mandato per liberare Israele dall’oppressione, ed ecco allora che, ad esempio, chi propendeva per gli zeloti si aspettava un Messia pronto ad imbracciar spada ed arco per cacciare l’usurpatore romano e rendere nuovamente libero il popolo dell’alleanza; per chi aveva una visione più spiritualista, il Messia sarebbe stato Colui che, mandato da Dio, avrebbe purificato la fede Ebrea, avrebbe riportato il popolo a vivere correttamente i comandamenti. Dietro a qualunque idea di Messia c’era l’idea che sarebbe stato un uomo di potere. Ecco perché vedremo nel vangelo di domenica prossima che gli apostoli, di nascosto, per non farsi cogliere da Gesù, discuteranno tra loro su chi sia il più importante, su chi avrebbe potuto "sedere alla sua destra o alla sua sinistra".

"Bravo Pietro, hai risposto bene! Ma ora si tratta di fare ancora un passo avanti, bisogna capire non quale sia la tua idea di Messia, ma chi sia il Messia secondo Dio."

La stessa cosa dice il Signore a ciascuno di noi: "Tu hai risposto, come sapevi e come potevi alla domanda sulla mia identità. Mi hai detto che cosa hai capito di me ed anche il tuo desiderio di vedermi in un certo modo. Ora però si tratta di capirmi per chi sono veramente. Io non voglio assolutamente ingannarti su me stesso, voglio che se accetti di seguirmi, tu sappia esattamente dove ti porta la mia strada"

Ecco perché, a questo punto del Vangelo, per la prima volta, Gesù si mette a parlare della propria sorte e annuncia che il Figlio dell’uomo dovrà patire e soffrire molto. Seguire il Messia non è un viaggio trionfale verso la conquista del potere, è andare incontro a un fallimento. Non è avere posti e ruoli di onore è offrire agli altri tutto se stessi, non è utilizzare i metodi della prepotenza, della violenza, della vendetta, è vivere la non violenza, il perdono, la carità.

Solo così si può capire il senso completo della parola Messia: "liberatore" ma non per metterti sotto un’altra forma di potere sia pure divino, liberatore perché ti libera dal di fuori e dal dentro: dal di fuori: dalle norme, dalle leggi, dai poteri; dal di dentro perché fa scaturire da te tutto ciò che è bene, ciò che è costitutivo della nuova umanità.

Se, magari con fatica, magari deludendo le nostre aspettative umane, riusciamo a metterci al seguito del Messia che soffre per amore, allora riusciamo anche a capire quanto ci dice San Giacomo nella sua lettera: la nostra fede non può fare a meno di esprimersi nelle opere.

Le opere di cui parla non sono quelle legalistiche giudaiche, esasperate dai farisei, ma sono le opere per eccellenza: l’amore, la giustizia, la fraternità, la pace. Le opere restano necessarie, non per guadagnare o pagare il prezzo della salvezza, questa ci è stata regalata da Gesù sul Calvario, ma per manifestare la nostra fede, ossia una fede non solo detta a parole ma espressa nel concreto facendo le stesse scelte di Gesù, compresa la sua passione di amore per noi.

Tra poco diremo la nostra fede nel Cristo attraverso la preghiera del Credo. Essa non è solo la risposta teologicamente esatta della fede, ma il nostro voler camminare dietro a Cristo, per conoscerlo e accoglierlo così come Egli è, e per poter, con la sua grazia, dimostrare nella nostra vita che Egli per noi è davvero il Signore:

 

 

LUNEDI’ 18

San Giuseppe da Copertino

Parola di Dio: 1Cor. 11,17-26; Sal. 39; Lc. 7. 1-10

 

"IO VI DICO CHE NEANCHE IN ISRAELE HO TROVATO UNA FEDE COSI’ GRANDE". (Lc.7,9)

Uno dei più bei elogi uscito dalla bocca di Gesù non è rivolto ad un israelita, o a un discepolo, o a un apostolo, è rivolto ad un centurione pagano, ad un uomo che noi definiremmo "un lontano", magari anche un "nemico" o, perlomeno, "non dei nostri".

Gesù guarda il cuore ed ha riconosciuto in quest’uomo alcune caratteristiche tipiche del suo Vangelo. Proviamo ad esaminarle così come ci sono indicate dal racconto.

Un centurione, un militare pagano, ha un servo ammalato. Per i pagani, i servi erano come delle cose: erano considerati proprietà di cui il padrone poteva disporre a proprio arbitrio. Ora il servo del centurione sta per morire e il suo padrone si preoccupa e vuole salvarlo. Strano, davvero strano questo padrone se ama e rispetta la vita del servo fino a questo punto; egli rivela un cuore straordinariamente buono, un cuore sensibile, un cuore che capisce la grandezza della vita anche di un servo.

Tante volte noi, oggi, assistiamo a vere graduatorie della vita umana: questo vale, quest’altro non vale; chi è sano conta, chi non è sano sia eliminato; chi rende è favorito, chi non rende più è scartato come oggetto inutile; chi è giovane ha tutte le attenzioni, chi è vecchio è collocato… nella casa di riposo.

Non ragiona così il centurione: egli apprezza la vita del servo perché sa che ogni vita è preziosa.

Il centurione non va personalmente da Gesù a chiedere il miracolo. Egli manda alcuni anziani dei Giudei a pregare Gesù affinché Egli venga e salvi il servo. Anche qui c’è un comportamento fuori del comune. Il centurione, tutto sommato, era una piccola autorità a Cafarnao e poteva far valere la sua autorità e il suo prestigio. No, egli si sente indegno, sembra quasi avvertire la vergogna di presentarsi personalmente per chiedere il miracolo. Confrontiamo questo atteggiamento con l’arroganza di tante nostre preghiere e comprendiamo subito perché tante preghiere cadono nel vuoto.

Ancora, il centurione manda a dire a Gesù: "Signore, non stare a disturbarti. Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto…"

"Non stare a disturbarti…" Quanta delicatezza in queste parole. Il centurione non vuole che Gesù, secondo la mentalità ebraica, si contamini entrando nella casa di un pagano. A volte, invece, noi pretendiamo che Dio sia tutto per noi; esigiamo che ci ascolti subito e tentiamo anche di ricattarlo quando pensiamo di non essere ascoltati.

"Non stare a disturbarti". Questa è davvero fede, è abbandonarsi e fidarsi ciecamente. Qui c’è la fede che non pretende, ma soltanto si presenta, lasciando al Signore la libertà di agire secondo un criterio di bene che Lui solo conosce.

 

 

MARTEDI’ 19

San Gennaro

Parola di Dio: 1Cor. 12,12-14.27-31; Sal. 99; Lc. 7,11-17

 

"GESU’, VEDENDOLA, NE EBBE COMPASSIONE E LE DISSE: NON PIANGERE". (Lc. 7,13)

Questa frase ci dice tante cose di Gesù e del suo messaggio.

Chi non si commuoverebbe davanti alla sepoltura di un ragazzo e davanti al dolore di una mamma che ha perso il suo unico figliolo? Anche Gesù ha compassione, e il suo con-patire diventa concretezza.

Questo atteggiamento Dio lo prova verso tutte le situazioni di dolore, anche verso quelle situazioni che Egli non risolve secondo le nostre attese e soprattutto secondo la nostra fretta e il nostro metro. Però una cosa è certa: il dolore è un prodotto del peccato umano e Dio non gode per il dolore come non gode per il peccato. Egli ha compassione e la sua compassione è attiva, è una compassione che vuole modificare la folle situazione creata dal peccato umano.

"Donna non piangere!" E’ lo stesso comando che Gesù ripete di fronte a tutte le situazioni di dolore.

Non piangere. Cioè non perderti d’animo neanche davanti al dolore e alla malattia, non lasciarti vincere dalla sfiducia, prova ad entrare nel pensiero di Dio che ti dice che c’è ancora qualcosa più importante perfino della tua salute.

Non piangere. Anche quando ti sembra ingiusto che una persona muoia giovane e ricorda che non è il numero degli anni che dà più valore alla vita, ma la qualità della vita che dà valore agli anni.

Enzo Caracciolo, giovane laureando in ingegneria, diviene improvvisamente cieco. Cambia facoltà, si laurea in legge e viene eletto presidente dell’Unione Ciechi. A Lourdes, parlando durante una via crucis, esclama con convinzione: "O Gesù, quando sei passato durante la processione Eucaristica, io sentivo implorare: Signore, fa che io veda! Io – Tu lo sai – ti ho detto: Fa che io non veda; non farmi riacquistare la vista. Perché da quando non vedo più con questi occhi del corpo, si sono spalancati gli occhi dell’anima. Ed è tanta la luce che mi invade. Non vorrei perderla, o Signore".

Questo è solo un esempio di chi accettando di "non piangere", sa valutare l’oggi alla luce dell’eternità.

 

 

MERCOLEDI’ 20

Sant’Andrea Kim, Paolo Ghong e compagni

Parola di Dio: 1Cor. 12,31-13,13; Sal. 32; Lc. 7,31-35

 

"LA CARITA’ E’ PAZIENTE, E’ BENIGNA LA CARITA’; NON E’ INVIDIOSA LA CARITA’, NON SI VANTA, NON SI GONFIA, NON MANCA DI RISPETTO, NON CERCA IL SUO INTERESSE, NON TIEN CONTO DEL MALE RICEVUTO, NON GODE DELL'INGIUSTIZIA, MA SI COMPIACE DELLA VERITA’. TUTTO COPRE, TUTTO CREDE, TUTTO SOPPORTA". (1Cor.13,4-7)

Nella prima lettura di oggi ci viene proposto questo bellissimo inno all’amore cristiano.

Sarebbe assurdo volerlo commentare in poche righe. Vi suggerisco un primo modo di leggerlo personalmente fermandovi ad ogni caratteristica dell’amore per vedere come Gesù, nella sua vita terrena lo ha realizzato e poi lo ripercorro con voi dando solo alcuni spunti di applicazione pratica.

"La carità è paziente". Non: ‘tutto e subito’, non: ‘io ti amo e voglio subito vedere i risultati, quelli che io mi aspetto da te’. La pazienza è rispettare i tempi dell’altro che possono essere ben diversi dai miei. Pazienza è aver talmente fiducia nell’amore stesso da sapere che porterà frutto in ogni modo, anche se io non lo vedrò, è seminare o piantare piante che hanno un periodo di crescita e di maturazione più lungo del tempo stesso della mia vita.

"E’ benigna la carità", cioè ha un occhio benevolo, sa vedere con speranza, è positiva, non dice mai: "Con questa persona non c’è nulla da fare", dà sempre una possibilità, anche in mezzo a tante cose negative sa cogliere un fremito che indica l’esistenza di un cuore sensibile. L’amore non è mai triste o musone, non fa le cose per forza, per dovere, crea sempre possibilità di risposta.

"Non è invidiosa la carità": quando si ama, quando si cerca il bene dell’altro si può forse essere invidiosi se altri hanno trovato la strada del bene? Invidia vuol dire grettezza d’animo, incapacità di gioire.

"Non si vanta, non si gonfia". Non è un amore che diventa amor proprio ed egoismo. Ho conosciuto cristiani che perché appartenevano a qualche gruppo caritativo, o perché avevano dato qualche soldo in qualche raccolta a favore di altri non la finivano più di sentirsi i migliori di tutti e cercavano in tutti i modi di manifestarlo, un po’ come la gallina che avendo fatto un uovo canta come se fosse la creatrice dell’intero universo.

"Non manca di rispetto", cioè rispetta le persone per quello che sono, per il ruolo che hanno, ma anche: l’amore non si impone. Anche qui, ciascuno di noi conosce persone che, con l’intento di volere il tuo bene impongono se stesse, le proprie idee, ti si appiccicano addosso, ti tolgono il respiro. L’amore vero è solo e sempre propositivo e rispettoso di tutte le persone, di tutte le scelte, di tutte le strade.

"Non cerca il suo interesse": non ha doppia faccia, non sorride per ingannare, non approfitta delle occasioni… Mi vengono in mente certi spot pubblicitari dove, approfittando del bene che certi cristiani fanno, si chiedono soldi per continuare a fare quel bene e…tante altre cose!

"Non si adira". Non possono stare insieme amore e ira: l’uno elimina l’altro.

"Non tien conto del male ricevuto". Qui Paolo non dice che non vede il male ricevuto, che non sente il dolore per l’ingiustizia, dice che l’amore trova sempre la strada per superare il male e per combattere non violentemente l’ingiustizia. Nell’amore non c’è spazio per la vendetta, neanche quando si camuffa da giustizia.

"Non gode dell’ingiustizia ma si compiace della verità". Nell’amore il fine non giustifica i mezzi, non si può amare e perpetrare o accettare l’ingiustizia o usare la menzogna. L’amore vero è sempre puro, non si nasconde e non nasconde, non usa i mezzi del potere, è sincero, cerca e manifesta l’unica verità che è Dio.

"Tutto copre, tutto spera, tutto sopporta". Cioè arriva dappertutto, non ama per un particolare, è totale, sa sopportare (= portare con), sa perdonare, dà fiducia, fa emergere il bene, ha gli occhi della misericordia e della speranza propri di Dio che, nonostante tutto, continua ad amare ancora questa nostra povera umanità.

 

 

GIOVEDI’ 21

San Matteo; San Giona

Parola di Dio: Ef. 4,1-7.11-13; Sal. 18; Mt. 9,9-13

 

"IO NON SONO VENUTO A CHIAMARE I GIUSTI, MA I PECCATORI". (Mt. 9,13)

Oggi, festa di san Matteo Apostolo ed Evangelista, proviamo a pensare: Chi era Matteo prima dell’incontro con Gesù? Un "pubblico peccatore", uno che "si contaminava" continuamente per il suo rapporto con i pagani e con il denaro, un "ladro" in quanto, proprio per il mestiere che faceva, aveva facoltà di aumentare le richieste di tasse e poteva tenersene una parte, un "collaborazionista" con i Romani, gli invasori di Israele.

E Pietro chi era? Un arrogante ignorante che pretende di dettar legge a Gesù. E gli altri Apostoli? Degli arrivisti che litigano per il primo posto, dei paurosi che fuggono davanti alla prova, degli increduli, che anche davanti all’evidenza e alle testimonianze hanno ‘paura’ di credere al Risorto.

Questa è la Chiesa, la Chiesa di Gesù, che Lui si è scelta, ha amato, curato, perdonato.

Se ce ne rendessimo conto, cominciando anche dalla nostra persona, invece di criticarlo, come molti ferventi cristiani hanno fatto, avremmo apprezzato il gesto di Giovanni Paolo II° che ha chiesto perdono per i peccati della Chiesa anzi, avremmo da allungarlo quell’elenco con tante altre richieste di perdono e non solo per quanto riguarda i peccati del popolo cristiano, ma soprattutto per quello che riguarda i peccati della gerarchia della Chiesa di ieri e di oggi.

Ma soprattutto avremmo capito dove e come ci manda Cristo, oggi.

Ci manda ad offrire misericordia (la Sua e la nostra) a chi ha sbagliato. La Chiesa, allora, non è il popolo dei puri (siamo santi solo perché Lui è santo e ci fa partecipi della sua santità), ma è una comunità di "graziati", di perdonati che a sua volta diventa casa accogliente per chi ha sbagliato, segno di una misericordia ancora più grande, quella di Dio. Altro che alzare nuovi steccati, creare nuove barriere, relegare i segni della salvezza solo a coloro che sono "puri"! Certo, la misericordia non è contraria alla verità; certo, il peccato e il male devono continuamente essere chiamati con il loro nome, ma a Dio importa il peccato o interessa il peccatore?, si stizzisce per l’inosservanza delle norme o guarda alla persona? Gesù versa il suo sangue sulla croce per mandare all’inferno i peccatori o per redimere? Matteo e gli altri Apostoli, con tutti i loro peccati, le loro incapacità e incredulità, vengono cacciati da Gesù risorto, o con essi e su di essi fonda la sua Chiesa?

 

 

VENERDI’ 22

San Maurizio

Parola di Dio: 1Cor. 15,12-20; Sal. 16; Lc. 8,1-3

 

"C’ERANO CON LUI I DODICI E ALCUNE DONNE". (Lc.8,2)

Il Vangelo di Gesù è la Buona notizia della liberazione di coloro che sono prigionieri, degli ultimi e dei poveri. In queste categorie, da sempre, e non solo nella mentalità dell’Antico Testamento, c’è la donna. Se pensiamo, ad esempio, che i rabbini dell’epoca di Gesù, pregando, ringraziavano il Signore di non essere nati donna e se consideravano le donne incapaci anche solo di leggere o di capire la Legge, ci stupisce e riempie di gioia il constatare come invece Gesù abbia una grandissima attenzione alle donne. Prima di tutto esse si mostrano molto recettive al messaggio di Cristo, cominciando proprio da Maria, la Madre del Signore, fino al punto che esse sono le prime a portare agli apostoli la lieta notizia della risurrezione.

La promozione della donna da parte di Gesù è nell’essenza stessa del suo Vangelo. Gesù infrange i tabù sociali e religiosi del suo tempo a riguardo della donna. Persino gli Apostoli si stupiscono che Egli parli, al pozzo di Sicar, con la Samaritana ed essa stessa con ironia risponde a Gesù: "Come mai, tu che sei Giudeo, chiedi da bere a me che sono una donna e Samaritana?". Nel parere sul divorzio, nel caso della donna adultera, nella sua amicizia con Marta e con Maria, nell’annoverare le donne subito dopo gli apostoli nella sua opera evangelizzatrice, Gesù passa sopra ai pregiudizi rabbinici e restituisce alla donna il posto che le spetta nel piano di Dio, secondo la sua dignità personale, identica a quella dell’uomo.

Oggi, esternamente sembra che questi valori siano riconosciuti da tutti, ma non è assolutamente vero. C’è ancora da fare molta strada per superare tutti i residui di sottovalutazione femminile anche all’interno della mentalità maschilista della Chiesa. L’apporto della donna alla missione della Chiesa è decisivo se eliminiamo completamente i pregiudizi misogini, se evitiamo le volute contrapposizioni delle parti come ricerca di potere, se stimiamo effettivamente i valori femminili, se incoraggiamo l’integrazione della donna all’interno delle comunità, se creiamo canali e strutture e settori di responsabilità in cui la donna, donando il meglio di se stessa, realizzi quella complementarietà che è chiara nelle persone di Cristo e di Maria, l’uomo e la donna nuovi, nei quali appare l’immagine dell’umanità restaurata secondo il piano originario del Creatore.

 

 

SABATO 23

San Lino; Santa Tecla; Beato Padre Pio da Pietralcina

Parola di Dio: 1Cor. 15,35-37.42-49; Sal. 55; Lc. 8,4-15

 

"IL SEME E’ LA PAROLA DI DIO". (Lc. 8,11)

La parola è senz’altro il modo più comune e più diretto per comunicare. Ed è anche la via scelta da Dio per comunicare con l’uomo. Ma la parola o le parole che Dio rivolge all’uomo sono tutt’altro che chiacchiere o semplici parole da poter essere codificate e raccolte seppure in un libro importante come la Bibbia.

Quando noi, al termine di una lettura biblica, sentiamo declamare: "Parola di Dio!", non dobbiamo di certo pensare che Dio si è messo a scrivere, ad esempio, le malefatte di qualche re di Israele. La parola scritta che leggiamo è di Isaia, di Mosè o di chi per lui, dell’Evangelista Marco o Matteo, di San Paolo o San Giovanni, ma ciò che è dietro a quella parola, a quei fatti belli o brutti, ben raccontati o meno, interpretati secondo la cultura di chi scrive, è Dio stesso.

Per questo la Parola di Dio è viva; se trova un terreno disponibile, un cuore aperto, una mente in ricerca, porta frutto. E’ una parola che crea: basta pensare alla prima pagina della Bibbia, quando Dio dice: "Sia la luce!", e la luce fu.

La Parola, poi, è Gesù: "Il Verbo si è fatto carne e mise la sua tenda in mezzo a noi". E Gesù possiamo rifiutarlo ("Venne tra i suoi, ma non lo accolsero") o riceverlo ("A quanti lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio").

Ecco, allora, il senso della parabola che abbiamo letto oggi. E’ Gesù quel "chicco di frumento che viene gettato in terra", e questo seme è stato seminato abbondantemente lungo tutta la storia, quel seme è buttato in tutti i terreni. Anche oggi posso incontrare Gesù in mille modi: adesso, leggendo e meditando la sua parola, nei Sacramenti, e nella preghiera, negli avvenimenti della mia giornata, nelle persone familiari o casuali che incontro, nella natura… si tratta solo di accoglierlo, si tratta, in fondo, di non essere un terreno già occupato come sono i primi terreni della parabola (uno occupato dalla strada, l’altro dalle spine, l’altro dalle pietre), un terreno occupato da noi stessi, dalle nostre abitudini, dalle religiosità "tutto compreso", da quello che noi ci ostiniamo a chiamare buonsenso.

Essere buon terreno, in fondo, non è neanche fare chissà che, credere che tutto dipenda da noi e dalle nostre scelte, è accogliere la Parola sgombri, sicuri della forza di questa Parola, disponibili a ricevere ciò che il seme ci porta e a dare ciò che serve al seme perché questo possa crescere.

Non è la terra che stabilisce se il seme debba essere di grano o di orzo, non è la terra che decide né la stagione della semina, nè quella della mietitura… il terreno buono lascia fare, fiducioso, al seme; l’unica sua prerogativa è di essere sgombro, magari anche arato (ferito) per poterlo accogliere.

 

 

DOMENICA 24

XXV^ DOMENICA DELL’ANNO  -  Beata Vergine Maria della Mercede

Parola di Dio: Sap. 2,12.17-20; Sal. 53; Giac. 3,16-4,3; Mc. 9,30-37

 

1^ Lettura (Sap. 2, 12.17-20)

Dal libro della Sapienza.

Dissero gli empi: "Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l'educazione da noi ricevuta. Vediamo se le sue parole sono vere; proviamo ciò che gli accadrà alla fine. Se il giusto è figlio di Dio, egli l'assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua rassegnazione. Condanniamolo a una morte infame, perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà ".

 

2^ Lettura (Gc. 3,16 - 4,3)

Dalla lettera di san Giacomo apostolo.

Carissimi, dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni.

La sapienza che viene dall'alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace.Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri.

 

Vangelo (Mc. 9, 30-37)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, Gesù e i discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse.

Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà".

Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.

Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?". Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.

Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti". E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: "Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato ".

 

RIFLESSIONE

 

Se ricordiamo Vangelo e riflessione di domenica scorsa, sappiamo che Gesù ha fatto fare un cammino di fede ai suoi discepoli e a noi sulla sua persona. Era partito da lontano: "Chi dice la gente chi io sia?", poi li aveva interpellati direttamente: "Voi chi dite che io sia?". E davanti alla risposta di fede di Pietro subito aveva concretizzato: "E’ vero che sono il Messia, ma attenzione: non un Messia come ve lo aspettate voi, ma un Messia che per amore finirà in croce". E Pietro e gli apostoli non solo non avevano capito, ma cercavano addirittura di opporsi a questa lettura strana, difficile, scandalizzante del Messia..

Eppure il Cristo non te lo costruisci tu a misura delle tue prospettive o delle tue esigenze. Egli si presenta a te così com’è e se tu continui a dire: "Tu sei il Cristo", devi accettare Gesù nel suo mistero di amore-dolore.

Ma il Vangelo di oggi vuol far fare ai discepoli e a noi un ulteriore difficile passo. Aver fede non è solo riconoscere il Cristo così com’è, ma è anche seguire Cristo non come vorremmo noi, ma come Lui stesso vuole.

Gesù, infatti, continua a parlare della sua passione, morte e risurrezione, ma essi "non comprendevano le sue parole" perché erano accecati dall’ambizione ("discutevano tra loro chi fosse il più grande") e dalla paura ("avevano timore di chiedere spiegazione").

Succede ancora così.

Provate a pensare: non è vero che il più delle volte, quando diciamo di non comprendere la volontà di Dio, è perché abbiamo paura che essa ci faccia passare attraverso la sofferenza? E allora non osiamo domandare perché intuiamo che ci verrà chiesto qualcosa di difficile e preferiamo rifugiarci nei nostri schemi artefatti, magari soddisfacendo a qualche nostra ambizione.

Gesù non ci inganna, ce lo dice chiaro: "Se il Maestro passa attraverso la croce, per la stessa strada deve passare il discepolo". Proprio durante la Via Crucis ribadirà questo concetto alla pie donne dicendo loro: "Se hanno fatto così al legno verde, che avverrà del legno secco?".

Se dunque voglio che l’insegnamento del Vangelo di oggi non vada perso per me né per la Chiesa, con coraggio, superando paura e mentalità precostituite, devo chiedermi: "Signore, in che modo ci vuoi tuoi discepoli?".

Il discepolo è un uomo in cammino con Gesù.

Tutta la scena del Vangelo di domenica scorsa e di oggi avviene in cammino. Non c’è patente né di apostolo, né di discepolo, è un qualcosa che avviene durante tutta la vita.

Non perché io sono priore della confraternita, presidente di Azione Cattolica, cavaliere del Santo Sepolcro, parroco, monsignore, cardinale…, ho il brevetto da discepolo.

Il titolo di discepolo è valido solo nella misura in cui ogni giorno tu cerchi di camminare con Gesù e cerchi di andargli dietro. Finché Pietro sta al suo posto, dietro al Messia, lo Spirito Santo può operare in Lui il dono della fede, quando gli passa davanti, quando ha la pretesa di insegnare lui al Maestro, lascia operare in se stesso Satana. La Chiesa in quanto Chiesa non è automaticamente sicura della verità, garantita dall’errore. Se cammina dietro al suo Maestro ha in sé la forza dello Spirito santo che la guida alla fede, alla verità, se ha la pretesa di dettar legge anche a Dio è Satana che opera in lei.

Ma si può star dietro al Maestro non per vedere ciò che Egli fa, non per cercare di mettere i piedi dove Lui li mette, ma per chiacchierare, discutere, dividersi la torta, vedere "chi sia il più grande", a chi spettino più onori, e tutto questo con l’assurda speranza che chi ci è davanti non se ne accorga. E si riesce così a commettere due peccati in un colpo solo: ambizione e ipocrisia.

Quante volte vediamo questo atteggiamento nelle nostre comunità. Quante persone mascherate di cristianesimo (qualcuna talmente ipocrita da pensare di essere davvero cristiana!) che tramano per un pezzetto di potere, di gloria, di primo posto. Gente che va a leggere le letture in chiesa non per fare un servizio, ma per essere riconosciuta e ammirata; lotte nascoste, a volte omicide (non nel senso fisico, ma fino ad arrivare a linciaggi morali delle persone) pur di acquistare un determinato ruolo nella comunità; preti che "pur di avere una parrocchia più grossa e più ricca sono disposti a intrallazzare insieme a compiacenti monsignori; bugiarderie che vengono scientemente dette per ottenere ciò che si desidera, magari anche giustificandosi e dicendo che quello che si fa, lo si fa per il bene della Chiesa e per maggiore onore di Dio.

No, il discepolo, sta dietro al Maestro per imparare da Lui e non per intrallazzare all’ombra delle sue spalle. Gesù a queste cose non ci sta! E’ facile immaginare il silenzio e il rossore imbarazzante dei Dodici quando si sentono rivolgere da Gesù la domanda: "Di che cosa stavate parlando lungo la strada?".

E Gesù chiarisce prima con le parole, poi con un gesto.

Il discepolo non va dietro al Maestro per avere del potere e neppure per avere un premio.

Si va dietro al Maestro per la gioia di aver incontrato il Maestro, per il desiderio di conoscerlo, di mettersi al suo servizio, perché altri possano altrettanto gioire dell’incontro con Lui.

Un discepolo per seguire il maestro deve lasciare delle cose, gli apostoli questo lo avevano già sperimentato. Ma non è tanto importante lasciare reti o barche o tavoli da cambiavalute. Bisogna lasciare la mentalità vecchia, la mentalità del potere. Gesù non è una religione fatta a misura di uomini. Gesù è una persona, il Figlio di Dio fatto uomo venuto nel mondo non per assumere il potere, per mettersi alla testa di armate, non per comandare, ma per servire, per chinarsi sulle nostre povertà sofferenze e miserie, per servire Dio facendocelo conoscere come Padre come Egli è, per servire l’uomo, per ridargli speranza, per aiutarlo ad uscire dall’egoismo, per invitarlo ad offrire la sua vita nella non violenza.

Il potere di Gesù è il trono della croce, la sua corona è la corona di spine, ma così insediato come Re Crocifisso Egli può dire ad un ladro pentito e morente: "Oggi sarai con me in paradiso":

Ecco la prima cosa che dovrebbe aver capito il discepolo: non si va dietro a Gesù per il potere e neanche per il premio, si va dietro a Gesù per cercare di fare come ha fatto Lui: servire, servire Dio e l’uomo. E allora, per essere discepoli, non c’è neppure bisogno di essere teologi, o di farsi preti, basta imparare da Gesù a servire.

Sei discepolo di Cristo nel tuo matrimonio e nella tua famiglia se in essa non cerchi esclusivamente la tua soddisfazione o il tuo ruolo o il tuo angolo di potere contrattuale, ma se con semplicità e servizio cerchi di vedere, magari di rispolverare, i valori positivi da cui essa è partita, se cerchi di lasciare agli altri almeno lo spazio che vorresti gli altri lasciassero a te, se fai di tutto per valorizzare le persone con cui vivi.

Sei discepolo di Cristo in questa società non tanto se sei riuscito a "convertire" qualcuno alla religione cattolica, quanto se in esso hai posto, nonostante tutto, qualche segno di speranza, qualche seme di amore, la sensazione che ci siano valori che superano lo stretto materiale.

Sei discepolo di Cristo se nella Chiesa ti metti al servizio degli ultimi, se sai accogliere un bambino che non potrà mai ripagarti con denaro, se dai spazio ad un vecchio per allietargli un’ora di solitudine, se, magari proprio non andando a quella riunione che ti darebbe onore nella comunità, vai invece a visitare quel malato, in ospedale, senza neppure che lui ti attenda.

Quello che Giacomo ci ha detto nella seconda lettura a proposito della Sapienza si può benissimo adattare al discepolo che si lascia guidare dalla sapienza dello Spirito Santo nel seguire il suo Maestro:

"La sapienza è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia, porta giustizia per coloro che operano la pace".

 

 

LUNEDI’ 25

Santa Cleofa; Sant’Aurelia

Parola di Dio: Pro. 3,27-35; Sal. 14; Lc. 8,16-18

 

"NESSUNO ACCENDE UNA LAMPADA E LA COPRE CON UN VASO O LA PONE SOTTO IL LETTO, INVECE SU UN LAMPADARIO, PERCHE’ CHI ENTRA VEDA LA LUCE". (Lc. 8,16)

 

Scrive Teodoreto, un Padre della Chiesa vissuto tra il 393 e il 460:

"Per guardare le cose visibili abbiamo bisogno degli occhi del corpo.

Per contemplare le cose intelligibili, abbiamo bisogno degli occhi della mente.

Per la visione delle cose divine non possiamo fare a meno della fede.

Ciò che è l’occhio per il corpo è la fede per la ragione.

Più precisamente: L’occhio ha bisogno che la fede lo metta a contatto con le cose visibili;

così la ragione ha bisogno che la fede gli mostri le cose divine."

Ma chi è la lampada che può illuminarci?

Dove può trovare luce la nostra fede?

E’ Gesù la luce del mondo, è Lui la lampada che illumina i nostri occhi su Dio,

sul mondo, su noi stessi.

 

Ma spesso questa luce non è utilizzata.

Provate a pensare: noi abbiamo la luce potente di Dio e non la consideriamo e poi andiamo ad accendere i fiammiferi delle superstizioni, delle magie, delle sette… risultato: ci bruciamo le dita e non vediamo nulla, oppure usiamo la lampada, dopo averla spenta, come ornamento della casa, e questo succede a tutti quei cristiani che in mille modi si affrettano ad annacquare la Parola di Dio, a non lasciarsi bruciare da essa, a soffocare la luce con carta ruvida, poco trasparente, perché non ci disturbi troppo la vista; però, poi, tengono in bella vista la lampada per farla vedere ad altri: "Noi siamo cristiani, cristiani moderni", fa fine e soprattutto non impegna! Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un'abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli.

 

 

MARTEDI’ 26

Santi Cosma e Damiano; San Nilo

Parola di Dio: Pro. 21,1-6.10-13; Sal. 118; Lc. 8,19-21

 

"MIA MADRE E I MIEI FRATELLI SONO COLORO CHE ASCOLTANO LA PAROLA DI DIO E LA METTONO IN PRATICA". (Lc. 8,21)

Un giorno di molti anni fa mi trovai a commentare questo brano durante un’omelia e a cercare di dire che Gesù, pur amando la sua famiglia di carne, aveva una famiglia più grande, più bella, di cui, se volevamo, anche noi facevamo parte: insomma, dicevo le cose che più o meno tutti i preti e i commentatori del Vangelo dicono a proposito di questo episodio.

Tra gli sparuti uditori c’era un uomo, un caro amico, che stava attraversando un momento molto difficile nelle sua famiglia. Dopo Messa me lo ritrovo in ufficio parrocchiale con sulle labbra un sorriso tra il confidenziale e il canzonatorio: "Oggi non hai fatto un buon servizio al tuo Signore". "Perché?". "Perché gli hai fatto quasi rinunciare ad una famiglia di santi, Maria, Giuseppe…, per fargli trovare una famiglia molto scombinata che è quella dei cristiani… E poi, andateci piano, specialmente voi preti non sposati, a parlare di famiglia come modello di amore e di fraternità. Non c’è neppur bisogno di indagini statistiche e sociologiche per sapere che i più grandi delitti, i soprusi, le violenze, avvengono sempre in famiglia!".

Stando al suo serio-scherzare, gli risposi:

"Fai male a rimbeccare i preti perché sai che l’ultima parola vogliono sempre averla loro! Ebbene, Gesù ha accettato, voluto, cercato proprio una famiglia così sgangherata. La famiglia di Gesù non è un modello di perfezione, è scombinata fin dalla sua partenza: poveri, peccatori, ciechi, storpi… poi, in essa i fratelli stentano a riconoscersi, ogni suo componente ha un suo carattere (che spesso è un caratteraccio), una storia sua propria. Se poi dessimo per assodato che la Chiesa cattolica è la famiglia di Gesù (il che è tutto da dimostrare), guardando la sua storia, ad esempio, non sempre possiamo dire che la gerarchia ecclesiale sia stata una buona madre, che non sempre i ‘maestri’ abbiano insegnato bene, che non tutti i veri profeti siano stati lasciati parlare mentre certi falsi profeti o chiacchieroni hanno potuto dire tutto quello che volevano… Certo ci sono i fratelli buoni, i santi, coloro che desiderano ascoltare e mettere in pratica la parola del Signore, e qualche volta ci riescono, altre volte no; ci sono quelli che scappano di casa, perché certi altri fratelli si sono appropriati della casa e l’hanno resa invivibile, ci sono lontani, come il figliol prodigo che sentono nostalgia di questa famiglia…

Hai ragione! La famiglia di Gesù è scombinata, ma Lui, sapendo questo, ha accettato lo stesso di morire sulla croce per noi!"

 

 

MERCOLEDI’ 27

San Vincenzo de’ Paoli

Parola di Dio: Pro. 30,5-9; Sal. 118; Lc. 9 , 1-6

 

"E LI MANDO’ AD ANNUNZIARE IL REGNO DI DIO E A GUARIRE GLI INFERMI". (Lc. 9,2)

Stupisce la semplicità e l’umiltà della prima missione degli Apostoli, voluta così proprio da Gesù: non ci sono grandi mezzi, il messaggio è semplicissimo: "Il Regno di Dio è qui", e i gesti sono quelli umili dell’amore.

Vi propongo, per recuperare magari qualcuno di questi valori, una pagina di quel grande ‘missionario’ che fu don Antonio Alessi:

"Diceva Archimede: ‘Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo’. Uno sforzo minimo può realizzare grandi cose. E’ sufficiente premere un piccolo pulsante per inondare di luce una sala buia; il tocco di una leva può sollevare tonnellate di peso; un semplice cambio di marcia e il bolide si avventa sulla pista a velocità vertiginosa…

Spesso, nella vita, basta tanto poco per cambiare una situazione, illuminare un’esistenza immersa nel grigiore del quotidiano. Un fiore, una parola, un sorriso possono ridar fiducia, coraggio a chi forse ha perso la gioia di vivere.

"Ti amo!", una piccola parola ma capace di trasformare una vita, creare un legame che nulla e nessuno potrà distruggere.

Una piccola quantità di lievito riesce a far fermentare e rigonfiare una massa di farina; senza di esso la farina rimarrebbe solo poltiglia, non si trasformerebbe mai in pane.

Durante l’ultima guerra percorrevo un giorno una strada assolata, con sulle spalle uno zaino carico di libri. Invano avevo cercato di fermare qualche camion militare che mi raccogliesse. Ero spossato dalla fatica, immerso in un bagno di sudore. Sentivo che non ce l’avrei fatta a raggiungere Rovigo dove ero diretto, mancavano ancora parecchi chilometri. Ad un tratto si ferma accanto a me un uomo in bicicletta.

Reverendo, dove va?

Devo raggiungere la città e spero di farcela prima di notte.

Non ci riuscirà mai! Salga qui, sulla forcella, non starà comodo ma farà sicuramente meno fatica.

Tentai di esimermi, sarebbe stata per lui una faticaccia, tanto più che non era molto giovane.

Salga, reverendo, non sono praticante, forse neppure credente, ma una

buona opera so farla anch’io.

Sono trascorsi tanti anni, ma quel piccolo gesto di carità non l’ho dimenticato mai!

Se riandiamo al nostro passato, notiamo come spesso è stato un gesto, un invito, una parola a far mutare radicalmente una situazione, a dare un orientamento diverso alla nostra esistenza.

"Vieni e seguimi", ha detto Gesù al pubblicano Levi; due parole sufficienti a trasformare una vita, a fare di un piccolo esattore, un santo, un apostolo.

Un edificio si costruisce con l’apporto di tanti mattoni, ma perché essi facciano massa occorre la calce e il cemento. Per realizzare la personalità occorrono tanti piccoli gesti, ma perché possano aderire gli uni agli altri, occorre il cemento dell’amore."

 

 

GIOVEDI’ 28

San Venceslao

Parola di Dio: Qo. 1,2-11; Sal. 89; Lc. 9,7-9

 

"VANITA’ DELLE VANITA’- DICE QOELET, VANITA’ DELLE VANITA’, TUTTO E’ VANITA’ ". (Qo. 1,2)

Ci può stare un pessimista nella Bibbia? Pensando al messaggio di amore e di speranza in essa contenuto si direbbe di no, eppure noi troviamo autori come questo Qoelet che sembra dirci che nella vita non c’è nulla che valga la pena di essere vissuto.

Se noi, però leggiamo tra le righe e con l’aiuto del senso di tutta la Bibbia, scopriamo che Qoelet voleva soprattutto metterci in guardia contro un errore ricorrente nei secoli e che, specialmente nella nostra epoca, sembra essere comune a tanti contemporanei: quello di pensare che l’uomo con la sua intelligenza e con la sua scienza riesca a dare una risposta a tutti gli interrogativi pratici e ideologici del suo esistere.

Crediamo di aver scoperto la comunicazione totale (vedi: stampa, telecomunicazioni, Internet…) e ci troviamo in un mondo di chiacchiere e di rumori; pensiamo di esserci liberati dalla ‘schiavitù’ di Dio e ci troviamo prigionieri di migliaia di idoli costruiti con le nostre stesse mani; abbiamo trovato medicine per vincere certi mali e ne sono apparsi altri; abbiamo soldi per comprare tutto, eccetto la felicità; progettiamo cibi transgenici e diciamo di farlo per sfamare ogni uomo della terra, e non siamo capaci di spezzare la nostra abbondante fetta di torta che è tolta proprio a coloro che oggi muoiono di fame; costruiamo scudi stellari che ci difendano dalla pazzia di altri armati fino ai denti, come noi; abbiamo ‘vinto l’atomo, e viviamo nella paura atomica; andiamo a spasso nell’universo e basta un monsone per uccidere centinaia di uomini-topi sotterrati dalle macerie di una discarica che il consumismo ha riempito. Abbiamo trovato filosofie altisonanti e non ci hanno soddisfatto; abbiamo "introspettato" e molti sono finiti sul lettino dello psicanalista per ‘rimuovere’, ‘andare a fondo’ e spesso ritrovarsi con più problemi di prima; siamo andati verso il ‘magico oriente’, abbiamo detto di riscoprire religioni intime, naturali e non facciamo che rifriggere malamente cose vecchie di secoli… Ma allora, scienza e progresso servono?

Io non sono ‘pessimista’ come Qoelet: ammiro l’uomo, il suo ingegno, apprezzo le invenzioni, approfitto del buono e del comodo che esse mi danno, credo nella ricerca sincera dell’intelletto… ma so di essere un moscerino, so che la mia salvezza, il mio senso, non dipendono dalle cose, dalle invenzioni, dalle ultime ricerche filosofiche o psicologiche o dalle ultime trovate religiose…

Solo il mio Creatore sa tutto, è tutto. E se Gesù me lo presenta come Padre, credo in Lui.

 

 

VENERDI’ 29

Santi Arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele

Parola di Dio: Dan. 7,9-10.13-14 (opp. Ap. 12,7-12); Sal. 137; Gv. 1,47-51

 

"VEDRETE IL CIELO APERTO E GLI ANGELI DI DIO SALIRE E SCENDERE SUL FIGLIO DELL’UOMO". (Gv. 1, 51)

Qualcuno dei teologi più ‘evoluti’, e qualcuno dei cristiani più ‘ moderni’, potrà forse dirmi che mi lascio guidare da antichi miti o che sono infantile nel mio modo di credere, ma io considero i tre Arcangeli Michele, Raffaele, Gabriele, che festeggiamo oggi, dei preziosi amici nel cammino verso Dio e quasi tutte le mattine, in quelle che i nostri vecchi chiamavano le orazioni mattutine, li invoco.

Michele è l’angelo forte, colui che combatte nel nome di Dio, colui che ha l’incarico di proteggere e difendere il suo popolo e io ho bisogno di qualcuno che combatta per me e con me contro le insidie del diavolo e del male che tutti i giorni incontro in me stesso e attorno a me. Gli chiedo che "addestri le mie mani alla battaglia", che mi aiuti nelle tentazioni che rafforzi la mia volontà nel combattere ogni forma di male che incontrerò. Ma lo prego anche per la Chiesa, per il popolo di Dio, affinché lo protegga dai potenti che vogliono manipolarlo, dagli intriganti che vogliono comprometterlo, dagli orgogliosi che vogliono ridurlo alla propria immagine, dagli idolatri che vogliono togliergli Dio.

Gabriele è "la forza di Dio", il portatore di lieti messaggi, colui che annuncia i progetti di Dio e allora lo invoco perché ho bisogno di ‘buona notizia’, gli chiedo che mi doni la semplicità e la fedeltà di Maria per accoglierla durante la giornata, gli chiedo di poter essere anch’io un po’ come Lui, annunciatore di gioia e testimone dell’amore di Dio, ma lo invoco anche perché ci sia un messaggio di speranza per tutti i sofferenti, per coloro che sono tristi, per i malati, gli chiedo di proteggere e accompagnare i missionari, i sacerdoti, i catechisti, perché nel mondo venga ancora annunciata la buona novella di Gesù.

Raffaele che già nel suo nome significa: "Dio lo ha curato" è colui che ha l’incarico di essere compagno di viaggio per la vita, e allora gli chiedo che mi prenda per mano e mi accompagni lungo la giornata, mi renda attento a tutti gli incontri, mi aiuti a districarmi in mezzo ai problemi che incontrerò, mi tenga quando sto per inciampare, mi rincuori quando non ho voglia di camminare per le strade del Vangelo, ma gli chiedo anche che accompagni tutti coloro che sono sulle strade, chi è in viaggio, chi vive senza una meta per la propria vita o per chi si è dato solo una meta umana, gli chiedo anche di accompagnare il ministero del Papa, dei vescovi e dei sacerdoti, perché guidino e accompagnino sulla strada giusta tutto il cammino della Chiesa. Quando riesco a cominciare la giornata così, mi sento in buone mani!

 

 

SABATO 30

San Girolamo; Santa Sofia

Parola di Dio: Qo. 11,9-12,8; Sal 89; Lc. 9,43-45

 

"MA ESSI NON COMPRENDEVANO" (Lc. 9,45)

Quando ero ragazzo e poi giovane pretendevo che il Vangelo avesse una risposta pronta per ogni tipo di domanda e poi, quando non riuscivo a trovarla da solo pretendevo che i preti, la Chiesa, me la dessero loro questa risposta, e possibilmente anche abbastanza vicina a quanto pensavo. Poi mi sono accorto che non sempre è così né per quello che riguarda la teoria, ma soprattutto per quello che riguarda i problemi pratici, concreti della vita quotidiana.

Credere a Gesù può anche essere esaltante, ed è bello. Ma credere a Gesù che annuncia non di conquistare il mondo, ma di andare a finire su una croce come l’ultimo dei briganti, non è facile. Credere a Gesù che ci parla di gioia, di paradiso, è entusiasmante, ma credere quando ti scontri con il dolore, quando cerchi di conciliare la morte di un bambino o di un innocente con la bontà del Padre, non è così semplice.

Uno dei motivi che oggi mi aiutano maggiormente a comprendere la verità dei Vangeli sta proprio nel fatto che gli evangelisti non hanno avuto tentennamenti nel dire che i dodici stentavano a capire e che addirittura anche Maria "non comprendeva" e doveva accontentarsi di "conservare queste cose dentro di sé, meditandole".

Essere cristiani, allora non significa aver capito tutto, essere testimoni non è avere una ricetta per tutti gli interrogativi e una risposta per tutte le domande. Ognuno di noi vive all’interno di un mistero sia pure di amore, ma sempre mistero. Anche la Chiesa, pur con tutta l’assistenza dello Spirito Santo, non è esente dalla ricerca, dagli errori temporali, dalla gioia sempre nuova di incontrarsi con il suo Salvatore.

Gesù non si spaventa delle incomprensioni, degli errori degli apostoli, non li caccia via perché non hanno capito, perché non sanno bene la lezione; Egli continua a camminare con loro. Se li rimprovera è solo per incoraggiarli, se li stimola è solo perché non si siedano lungo il ciglio della strada. Ed è esattamente la stessa cosa che, oggi, Gesù fa con noi.

     
     
 

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