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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCI

 

AGOSTO 2000

MARTEDI’ 1

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori

Parola di Dio: Ger. 14,17-22; Sal. 78; Mt. 13,36-43

 

"SPIEGACI LA PARABOLA DELLA ZIZZANIA NEL CAMPO". (Mt. 13,36)

"Signore, perché c’è tanta cattiveria nel mondo? Perché ogni tanto non vieni a far un po’ di pulizia del male e dei malvagi? Perché non permetti che i tuoi contadini (noi) vadano a togliere quella zizzania che infetta il buon grano e gli impedisce di crescere liberamente?…".

Stavo riflettendo più o meno così a proposito della parabola odierna. Quando mi è tornato in mente un episodio della mia giovinezza.

Negli ultimi anni del seminario, noi, giovani seminaristi, avevamo la possibilità di scegliere il luogo dove passare una settimana di esercizi spirituali. Con un gruppetto di amici avevamo scelto un monastero e avevamo chiesto all’abate di farci vivere per una settimana come vivevano abitualmente i suoi frati: la preghiera delle ore sia di giorno che di notte, i momenti di riflessione e il lavoro manuale. Per eseguire quest’ultimo ci vennero dati dei compiti molto semplici. Io fui mandato nell’orto a togliere le erbacce. Era una novità per me, cittadino, e mi accinsi a farlo con entusiasmo. Dopo un quarto d’ora venne il frate giardiniere che, dopo essersi messo le mani nei capelli mi allontanò di brutto (per fortuna avevano il vincolo del silenzio!). L’Abate, la sera, mi disse che il giorno dopo sarei andato in biblioteca a togliere la polvere ai libri: nell’orto ero riuscito ad estirpare quasi tutte le piantine dei piselli.

"Se ci fossi io a fare giustizia!", diciamo noi. Ma siamo poi proprio sicuri di conoscere intimamente cose e persone per essere giudici giusti del bene e del male? Certo, delle indicazioni le abbiamo. Certo, facciamo bene a dire e a combattere ciò che a noi sembra essere il male: se non lo facciamo ne diventiamo conniventi, ma sta a noi andarlo ad estirpare?

Per fare un grande esempio: quando la Chiesa, oltre che bollare il male, ha pensato di avere anche l’autorità di eliminarlo, sono nati i roghi dell’Inquisizione che, oltre che essere un tradimento del Vangelo, insieme ai cattivi hanno estirpato anche tanti giusti, non sono riusciti a liberare la Chiesa dai malvagi ed hanno fatto tanto danno che ancora oggi sono motivo di scandalo e di ostacolo per tanti.

Quando, dunque, sono tentato di mettermi a fare io Dio giudice, sono ben contento che lo Spirito Santo con il suo sussurro mi dica: "Franco, ricordati dei piselli!".

 

 

MERCOLEDI’ 2

Sant’Eusebio da Vercelli; San Pietro G. Eymard

Parola di Dio: Ger. 15, 10.16-21; Sal. 58; Mt. 13,44-46

 

"IL REGNO DEI CIELI E’ SIMILE AD UN TESORO NASCOSTO IN UN CAMPO; UN UOMO LO TROVA E LO NASCONDE DI NUOVO, POI VA, PIENO DI GIOIA E VENDE TUTTI I SUOI AVERI E COMPRA QUEL CAMPO". (Mt. 13,44)

Una parabola a prima vista non molto ‘raccomandabile’ se esalta l’atto di un uomo che avendo scoperto un tesoro in un campo altrui lo nasconde di nuovo per esserne il solo compratore, ma il senso è chiaro: ci viene proposto da Gesù di scoprire un valore che ci permette con gioia di rinunciare a tutto il resto.

Fino a non molto tempo fa (in alcuni casi leggi: ancora oggi) l’educazione cristiana predicava il distacco e il sacrificio come valore a se stante e a forza di insistere sul dovere di rinunciare a tutto, ci si dimenticava di scoprire ciò che motivava questo spogliamento.

Ma, il cristianesimo è rinuncia o scelta?

L’uomo che vende tutti i suoi beni per acquistare il campo del tesoro non ha nulla del masochista: egli fa un eccellente affare.

Noi spesso usiamo il termine ‘mortificarsi’ in modo assai sbagliato, certamente non cristiano. Mortificare vuol dire uccidere, mettere a morte. San Paolo allora può dire che dobbiamo mortificare le nostre cattive inclinazioni che ci dominano: mortifichiamo il nostro egoismo, la nostra gelosia, l’ira… ma non dobbiamo mortificare, dare la morte a noi stessi. Il cristiano non rinuncia se non per liberarsi in vista di un’altra cosa, per conoscere una gioia migliore. Il cristiano non cerca la croce. Cristo stesso non ha cercato la sofferenza, l’ha combattuta. Ha accettato la croce solo come conseguenza di un amore totale. Non bisogna accettare la croce che per imparare da essa un amore migliore.

L’essenziale è dunque trovare tutto ciò che ci permette di rinunciare al resto. Se non hai trovato il tesoro non andare a vendere i tuoi beni. Tu lo rimpiangeresti e lo faresti pagare caro a tutti! Ma se Gesù, per te è davvero il tesoro, il senso della tua vita, allora il rinunciare al resto non è più un sacrificio, è fare un affare, il più grosso affare della tua vita e anche gli altri godranno di questo.

 

 

GIOVEDI’ 3

Santa Lidia

Parola di Dio: Ger.18,1-6; Sal. 145; Mt. 13,47-53

 

"OGNI SCRIBA DIVENUTO DISCEPOLO DEL REGNO DEI CIELI E’ SIMILE AD UN PADRONE CI CASA CHE ESTRAE DAL SUO TESORO COSE NUOVE E COSE ANTICHE". (Mt. 13,52)

Pensando agli "scribi del nuovo Regno" ho recuperato dalla ormai datata (febbraio 1991) rivista "Vita Pastorale", questa lettera che una cristiana scrive ad un qualsiasi sacerdote; penso rispecchi alcune verità sia nel mondo dei preti che in quello dei laici.

"Carissimo amico, sono una cristiana veneta e non mi riesce facile scriverti questa lettera poiché mi riprometto di dirti tutte le "mie verità" sul ruolo che tu svolgi nella Chiesa. Ti prego, non considerarli giudizi: come potrei giudicarti se ti voglio tanto bene?

Il tanto auspicato confronto con i laici e la loro considerazione da parte tua è proporzionale a quanto questi condividono le tue idee, il tuo modo di agire e di essere. Tu ti senti "il maestro", il conduttore, il pastore… ma non ti accorgi di quante pecore si perdono? Ti osanni (o ti consoli) per quelle che hai, ma guarda al di fuori del tuo piccolo recinto: quanto ateismo, quanta depravazione in tutti i capi, quanta indifferenza e quanto rifiuto della Chiesa e soprattutto di Colui al quale hai dedicato la tua esistenza.

E, purtroppo, io penso che tu sia uno degli artefici di questa desolazione! Fai e dici tante cose, sei costantemente sotto pressione, quasi il Regno di Dio fossi tu a costruirlo. Conosci la Teologia Biblica, costruisci case e chiese, dai da mangiare ai poveri, sai parlare all’assemblea; ti esalti, ti amareggi, ti arrabbi, ti difendi: dimmi, per piacere, che posto occupa Dio in questa tua grande azienda? Sei dipendente o autonomo?

Ti osservo mentre celebri l’Eucaristia: le tue labbra parlano "con Dio", ma dov’è la tua mente? Osservi tutto ciò che avviene in chiesa, parli in fretta e all’aria… non pensi che ciò che avviene sull’altare dovrebbe meritarsi tutta la tua attenzione?

Ascolto l’omelia. Disquisizioni su Gesù, esegesi sulla parola, interpretazioni che nei secoli si sono date… sempre parole sulla Parola, ma il tuo cuore dov’è? La tua esperienza di Dio non la sento, il Dio del quale mi parli è molto lontano… Certi punti della Parola non li tocchi, mentre calchi la mano su certi altri, il più delle volte colpevolizzando l’assemblea.

E’ "Gesù vivo e presente" che devi far nascere in mezzo a noi, dentro di noi, e tu stesso devi essere Gesù e noi dovremmo poterti riconoscere. Invece ti mimetizzi, ti vergogni, fai il "moderno" per conquistare i giovani e i giovanilisti; fai le battute spinte e parli di Dio soltanto in chiesa e in occasioni particolari… e così distruggi la Chiesa di Dio perché hai perso i rapporti con Lui.

Il popolo accorre a te e ti aspira il tempo e le energie e tu sei costretto a difenderti, anche se ti fa piacere essere protagonista. A chi ti avvicina, attraverso la tua esperienza, fa’ scoprire la bellezza di un Gesù perennemente vicino. Loro lo cercano da te perché pensano che tu ce l’abbia. Fallo scoprire nella preghiera, nella presenza reale dello Spirito Santo, negli avvenimenti lieti o tristi della loro vita; insegna loro a ringraziare e lodare Dio anche nelle difficoltà, Attraverso il tuo cuore insegna loro ad ascoltare il proprio cuore perché è il luogo dove Gesù si rivela.

Quanta paura hai delle apparizioni, dei miracoli, delle guarigioni, per non parlare delle profezie! Le consideri anche pubblicamente cose pericolose da fuggire! Un Dio imprevedibile non riesci ad accettarlo.

Sei tanto sensibile ai complimenti quanto sei permaloso e irritabile nelle critiche, anche le più benevole. Ti giustifichi, ti irrigidisci, ti senti vittima, fai sentire in colpa chi le formula. La tua cultura, la tua dialettica riescono a mortificare chiunque si permetta di esprimere una opinione diversa dalla tua e per questo le nostre assemblee sono silenziose e anonime.

Contesti, critichi, ironizzi e ridicolizzi i movimenti (molte volte senza conoscerli); ti lamenti che il mondo è "ateizzato", perché la gente va ai Sacramenti non preparata (oppure non ci va affatto), ti senti burocrate, ma ti rendi conto che se siamo arrivati a questo punto, anche tu hai una parte di colpa? Perché non torni indietro e scopri dove sono stati i tuoi e gli altrui errori, quelli dentro e quelli fuori di te? Cerca l’umiltà come dono di Dio: è la consapevolezza che solo Lui è il costruttore (…) Ho incontrato uomini di Dio (basta guardarli per riconoscerli): il popolo corre da tutte le parti per ascoltarli, mentre nella stragrande maggioranza delle nostre chiese regnano apatia e indifferenza. Io mi sono sempre sentita amata da te, so che mi stimi, ma il sapere queste cose, il sentirle da tanto tempo senza poterle dire, mi fa immensamente soffrire, anche perché ti considero il nostro condottiero. Quando parli della responsabilità dei laici nella Chiesa ormai mi viene da sorridere: arrivismo, protagonismo, professionalità, esibizionismo, efficientismo; osservati intorno, sono peccati presenti oppure no in te stesso, nella tua parrocchia, nella tua comunità sacerdotale?

Analizza il tuo cuore, poiché è lui che trasmetti! I sentimenti buoni o cattivi che incontro nella Parola li riscontro costantemente anche dentro il mio cuore… ed è bellissimo ‘sentire’ amore come Giovanni amava Gesù, rabbia e pentimento come Pietro, delusione come i discepoli di Emmaus, tradimento come Giuda, assaporare la diffidenza e il perdono come la Maddalena, la gelosia come Sara, la curiosità come Zaccheo, ecc. ecc. Peccato e grazia, tutto avviene e tutto è offerta consapevole che tutto è accolto… Ma la cosa fondamentale è avere l’umiltà di riconoscere i limiti e le grazie, anche di fronte ai familiari e alla comunità, così che Gesù possa plasmarci e trasformarci, rendendoci simili a Lui, oltre che coscienti dei suoi doni.

Come può renderci "belli" se siamo convinti di "essere bellissimi" e che, se abbiamo qualche neo, la colpa è sempre degli altri?".

 

 

VENERDI’ 4

San Giovanni Maria Vianney

Parola di Dio: Ger. 26,1-9; Sal. 68; Mt. 13,54-58

 

"SE NON MI ASCOLTERETE IO RIDURRO’ QUESTO TEMPIO COME QUELLO DI SILO E FARO’ DI QUESTA CITTA’ UN ESEMPIO DI MALEDIZIONE PER TUTTI I POPOLI, DICE IL SIGNORE". (Ger. 26,6)

Il messaggio dei profeti rischia di scandalizzarci, infatti ci presenta spesso un Dio che minaccia con castighi il suo popolo che ha peccato.

Catastrofi naturali, guerre, ingiustizie perpetrate da uomini su altri uomini sarebbero dunque punizioni di Dio? Questa immagine di un Dio vendicativo ci è insopportabile.

Proviamo ad addentrarci in questo problema partendo da un racconto che diventa per noi quasi un parabola.

Un giovane andando in moto in modo spericolato ha un incidente grave. Finisce in ospedale, deve affrontare una lunga degenza, lo attorniano medici e infermieri… e una infermiera che ha cura di lui, si innamora. Si vogliono bene e un bel giorno, guarito dalle ferite, i due si sposano.

E’ probabile che questo ragazzo dica alla sua donna: "In fondo ho avuto fortuna ad essermi fracassato, altrimenti non ti avrei conosciuta".

Noi troviamo questa frase accettabile, ma troveremo odioso che, invece un cappellano, lo riceva dicendogli: "Sei fortunato".

Perché? Nel primo caso è l’interessato stesso, che dal suo intimo e a fatti compiuti, trova un senso al suo incidente: questa spiegazione non gli viene imposta dall’esterno. Del resto l’incidente resta per lui un male. Ciò che egli considera una fortuna è l’effetto buono scaturito da questa disgrazia.

Proviamo adesso a trasformare il racconto per ricollegarlo ai testi profetici che parlano di "punizioni di Dio". Supponiamo che questo ragazzo conducesse, prima dell’incidente, una vita dissoluta ed egoista. La sofferenza, i lunghi mesi di solitudine, lo conducono a riflettere sul vuoto della sua vita. Così esce dall’ospedale un ragazzo cambiato, deciso a cambiar vita, a mettersi a servizio degli altri. Avendo anche ritrovato la fede è probabile che un giorno dica a Dio: "Hai fatto bene a permettere quell’incidente, perché così ho trovato un senso alla mia vita". Di nuovo troviamo accettabile questa preghiera , ma ci sembrerebbe odioso se il cappellano avesse detto: "Lo vedi, Dio ti ha punito!".

I profeti sono come il ragazzo, non come il cappellano. Ezechiele viene deportato con il popolo, Geremia è perseguitato e porta su di sé anticipatamente le sofferenze del popolo. Essi riflettono su avvenimenti che per loro rimangono un male. Ma dall’intimo di questi fatti essi tentano di dare un senso a quegli avvenimenti, di vedere l’effetto buono che essi possono produrre: conducono il popolo a riconoscere che sta vivendo male, che deve cambiare vita. Questi avvenimenti sono per essi, anche se si esprimono in forma un po’ brutale, meno punizioni di Dio che occasioni per scoprire l’amore di Dio che li invita ad una vita diversa.

 

 

SABATO 5

Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore; S. Osvaldo

Parola di Dio: Ger. 26,11-16.24; Sal. 68; Mt. 14,1-12

 

"QUESTO UOMO MERITA UNA SENTENZA DI MORTE, PERCHÉ HA PROFETIZZATO CONTRO QUESTA CITTA’ COME AVETE UDITO CON I VOSTRI ORECCHI!". (Ger. 26, 11)

Pensavo all’ingratitudine dei concittadini di Geremia, nei confronti di chi cercava con la sua profezia di riportarli alla giusta via o all’ingratitudine di Erode che ricambia il richiamo di Giovanni Battista dandogli la morte, quando mi è capitato sotto gli occhi questi racconto.

Un saggio indiano, andando verso la reggia, s'incontrò in un circo, che teneva una tigre in gabbia.

Mosso dalla compassione, aprì la gabbia e lasciò libera la tigre. L'animale feroce, per tutta risposta, voleva divorare il saggio, che le disse:

"Come? Io ti ho liberato, ti ho fatto del bene, e tu mi divori? Che giustizia, che gratitudine è questa?"

"È la gratitudine di tutti in questo mondo", gli rispose la tigre. Ma il saggio riprese:

"Io ti voglio dimostrare che è il contrario. Dammi la possibilità d'avere un avvocato difensore".

"E sia", rispose la tigre.

II saggio indiano, non vedendo nessuno, prese come difensore un meraviglioso albero, in mezzo al cortile.

"Dimmi tu albero, ho ragione io o la tigre? Da chi ti fa del bene è naturale aspettarsi del male?"

Rispose l'albero:

"Purtroppo è così! Anch'io do ombra e refrigerio e, per tutta risposta, tagliano i miei rami per foraggio al bestiame e per fare legna".

Alla tigre soddisfatta il saggio indiano chiese un'altra prova:

"O tu, cardellino del bosco, dimmi la soluzione: è vero che devi aspettarti del male anche da colui al quale fai del bene?"

Rispose l'uccellino:

"Purtroppo sì! Anch'io faccio del bene, rallegro con il mio canto, mangio le zanzare ed altri piccoli insetti, eppure la gente cerca di catturarmi ed uccidermi".

Dalla tigre, più che mai sorridente, il saggio ottenne una terza ed ultima prova.

Incontrarono una volpe.

"Non riesco a capire il tuo problema... Di grazia, fatemi per bene vedere come il fatto è capitato, perché possa esprimere un parere veramente giusto".

La volpe volle che si ritornasse vicino alla gabbia, volle che tutto si rifacesse davanti ai suoi occhi... volle perfino che la tigre mostrasse dov'era e come fosse riuscita ad uscire dalla gabbia.

Ingenua, la tigre, per rifare l'accaduto, rientrò nella gabbia e disse:

"Ecco, stolta volpe, dov'ero..."

Ma mentre così parlava, la volpe rinchiuse per bene la gabbia e la tigre fu di nuovo prigioniera.

Le disse la volpe:

"Così impari a rendere male per bene!"

Poi disse al saggio indiano:

"In questo mondo si vorrebbero tutti buoni e riconoscenti, ma purtroppo non è così!".

 

 

DOMENICA 6

TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE

Parola di Dio: Dan. 7,9-10.13-14; Sal. 96; 2Pt. 1,16-19; Mc. 9,2-10

 

1^ LETTURA (Dan.7,9-10.13-14)

Dal libro del profeta Daniele,

Io continuavo a guardare, quand’ecco furono collocati troni e un vegliardo si assise. La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo erano candidi come la lana; il suo trono era come vampe di fuoco con le ruote come fuoco ardente. Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a lui., mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano. La corte sedette e i libri furono aperti.Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno; Tutti i popoli, le nazioni e le lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto.

 

2^ LETTURA (2Pt. 1,16-19)

Dalla seconda lettera di Pietro

Carissimi, non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto". Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con Lui sul santo monte. E così abbiamo conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finchè non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori.

 

VANGELO (Mc. 9, 2-10)

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli.Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.E apparve loro Elia con Mosè, che discorrevano con Gesù.Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù:

"Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: "Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!". E subito, guardandosi intorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.

Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti.Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.

 

RIFLESSIONE

 

Quest’anno abbiamo già letto e meditato il Vangelo della trasfigurazione nella seconda domenica del tempo di Quaresima, ma capitando il 6 di agosto di domenica, siamo invitati di nuovo a ripercorre questa pagina grandiosa e gioiosa del Vangelo.

Infatti la trasfigurazione è la firma, il sigillo, l’autentica di Dio su Gesù. Gesù ci viene presentato nella sua umanità e nella sua divinità da Dio stesso: "Questi è il mio Figlio prediletto: ascoltatelo!"

E’ Gesù quella figura grandiosa e misteriosa di cui abbiamo sentito nelle visioni di Daniele. E’ Lui la continuazione, il compimento delle promesse di Dio, è Lui il Redentore che ci apre alla prospettiva dell’eternità.

Se allora noi scopriamo Gesù come Figlio di Dio, Salvatore ecco che quella montagna del Tabor diventa un chiarissimo richiamo a ciò che è l’essenza del Vangelo: un annuncio di gioia.

Il Tabor non è una "grande vetta", però, vista dal basso, questa montagna che si drizza isolata ad una altezza di 588 metri sulla pianura sottostante, appare veramente maestosa. Per la sua forma e le sue pittoresche caratteristiche, per la sua vegetazione e per lo splendore del panorama che da essa si può ammirare essa è unica. Se poi pensiamo che da sempre i monti sono stati considerati dall’uomo per la loro "vicinanza al cielo" i luoghi privilegiati dell’incontro tra Dio e gli uomini, se pensiamo che Gesù accetta questa lettura infatti le beatitudini sono state proclamate sul ‘monte’, Gesù sarà crocifisso sul Calvario, ecco che per i tre apostoli chiamati a salire il Tabor con Gesù, l’invito non doveva suonare solo come una gita, ma come andare insieme a Lui in un posto sacro, in un luogo di preghiera.

Un altro fattore poteva mettere in guardia gli apostoli sull’importanza del momento. Gesù aveva scelto tre dei suoi più cari amici per accompagnarlo. Ora nella mentalità ebraica, un fatto affinché avesse valore giuridico doveva essere confermato da almeno due testimoni. Gesù prende questi tre (il numero perfetto) che erano già stati testimoni della risurrezione della figlio di Giairo e che saranno testimoni dell’agonia nell’orto degli Ulivi.

E lì, in mezzo allo splendore della natura, avviene la Trasfigurazione. Notiamo anche solo velocemente i particolari, tutti estremamente significativi di questo racconto.

Il volto di Gesù è luminoso: Gesù è la luce del mondo

Il suo vestito diventa candido: è il vestito della festa, della purezza, della fede.

Ed ecco Mosè colui con il quale Dio, proprio su altro monte, aveva stretto la prima Alleanza che ora viene portata a compimento ed allargata a tutti i popoli da Gesù.

E c’è anche Elia, il grande profeta che richiama la continua attenzione di Dio verso il suo popolo. Con Gesù, Mosè ed Elia stanno parlando della sua prossima passione, morte e risurrezione.

E non possiamo non provare una certa tenerezza di fronte all’imbarazzo, alla genuinità e alla gioiosità generosa di Pietro che chiede a Gesù di fare tre tende quasi a fissare quel momento bello e glorioso del Maestro. Pietro ha visto la gloria di Gesù, ha provato la gioia indicibile di stare lì con tutta la storia del suo popolo e con Dio stesso! Anche noi, pur sbigottiti davanti alla nube e alla maestosità della voce di Dio, avremmo detto la stessa cosa infatti ogni uomo cerca la gioia. Dio stesso ci ha fatti per la gioia.

Come mai allora, spesso le religioni sono diventate qualcosa di tutt’altro che gioioso?

Come può un cristiano essere triste quando sa che Dio ha pensato a Lui dall’eternità, che Dio lo conosce e chiama per nome, che, nonostante le colpe e i peccati, Dio non lo abbandona ma intesse tutta una storia per venirgli incontro, che manda addirittura suo Figlio Gesù che pur di redimerci accetta di versare Lui il suo sangue per noi ? Come si può ridurre la fede a tristezza quando sappiamo di essere redenti e di essere chiamati ad una eternità gioiosa con Dio?

Quando si riduce la fede all’osservanza di norme per paura dei castighi, quando i cristiani riducono la religione ad una forma di potere piramidale a paragone dei poteri civili, quando non si incontra più un Cristo vivo, ma soltanto un Gesù ammuffito in vecchi libri e in ancora più vecchie tradizioni religiose, la religione invece di essere una liberazione dell’uomo diventa un peso, un castigo.

La gioia e la felicità che ci vengono dalla fede in Gesù sono l’essenza stessa di tutto il messaggio evangelico.

Attenzione, non confondiamo gioia e felicità con semplice soddisfazione. E’ infatti l’assenza di gioia che fa sì che andiamo sempre più alla ricerca di piaceri sempre nuovi, sempre più eccitanti che però alla fine non soddisfano mai pienamente. E’ solo Dio stesso che è gioia che può colmare il nostro cuore fatto a misura di Lui.

Don Bosco affermava che la gioia è la più bella creatura uscita dalle mani di Dio, San Gregorio Magno affermava che "segno infallibile di essere in grazia di Dio è la gioia del cuore" e il Cardinal Wyszynski diceva che il Cristianesimo è la religione della gioia. E’ una gioia profonda che sgorga da Cristo e che nessuno può toglierci. Ed i grandi martiri della chiesa di Roma non riuscivano ad andare a morire con ‘gioia’ nel nome di Gesù? E lo scrittore Luigi Santucci dice: "La religione è il più potente arsenale di gioia che mai possa esistere sotto il sole".

Tutta la rivelazione di Gesù è un annuncio gioioso, una buona notizia. Lui si è rivelato "perché abbiate la gioia e la vostra gioia sia piena". Non si tratta allora di fermarsi "alle tre tende", anche se esse possono darci un anticipo di felicità, si tratta di gustare Colui che è sulla montagna benedetta, si tratta di scendere da quella montagna per portare la nostra Gioia nel quotidiano, si tratta di donarla la Gioia, infatti come diceva padre Dehon "la gioia di vivere nasce nel momento in cui abbandoni la ricerca della felicità per tentare di donarla agli altri". Si tratta di aprire gli occhi per vedere tutte le possibilità della realizzazione della gioia intorno a noi. Si tratta anche di salire un'altra montagna molto meno attraente del Tabor, il Calvario, sapendo che anche lì, nella donazione totale e nella volontà di Dio, può esserci la vera gioia.

 

 

LUNEDI’ 7

San Sisto II°; San Gaetano; San Donato di Arezzo

Parola di Dio: Ger. 28,1-17; Sal. 118; Mt. 14,13-21

 

"DATE LORO VOI STESSI DA MANGIARE"(Mt. 14,16)

Prima di compiere il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù provoca i suoi amici e provoca anche noi. Aver compassione non significa dire : "Poveretti" e poi andarsene per i fatti propri, significa avere il coraggio e la gioia di cominciare a mettere in comune quei poveri cinque pani e due pesci che hai e che sembrano una miseria di fronte alle necessità di tanti. Del fratello o si è davvero responsabili o forse è meglio non considerarlo fratello.

Alcuni anni fa c’era un programma alla radio Vaticana che raccontava un fatto e poi lasciava in aria la domanda: "Come vi sareste comportati voi?"

Ecco il fatto:

Un tale, trovandosi in una chiesa romana durante una Messa vespertina si sentì invitato dal sacerdote a "scambiare il segno di pace" col proprio vicino di banco. Questi era un barbone, molto male in arnese. Quando si sentì stringere la mano dal signore in questione, disse, fissandolo negli occhi, con un sorriso beato:

"Questa sera vengo a cena da te".

Il signore rimase piuttosto interdetto e, mentre la Messa volgeva alla fine, rifletteva furiosamente se gli convenisse o no portarsi a casa il barbone, ed era assai imbarazzato. Tanto che quando costui l’incalzò dicendogli: "Allora, vengo a cena a casa tua?", rispose turbato: "Bene, bisogna vedere: io ti conosco appena, capisci…"

"Ma se non mi conosci – ribattè stupendamente il barbone – perché mi hai stretto la mano?"

 

 

MARTEDI’ 8

San Domenico; San Ciriaco

Parola di Dio: Ger. 30,1-2.12-15.18-22; Sal. 101; Mt. 14,22-36

 

"PIETRO GLI DISSE: SIGNORE, SE SEI TU, COMANDA CHE IO VENGA A TE SULLE ACQUE! EGLI GLI DISSE: VIENI!". (Mt. 14,28-29)

Tante volte mi sono chiesto che cosa volesse dire Gesù con il "Vieni!" in risposta all’assurda richiesta di Pietro di mettersi a camminare sulle acque del lago in tempesta. Sarà forse una battuta sorridente, un :"Provaci, se sei capace!" o un: "Vediamo fino a che punto hai fede"? Una accondiscendenza o un invito?

Se leggo questo: "Vieni!" nella mentalità di Gesù, così come scaturisce dal Vangelo e dall’esperienza della mia vita, provo a leggerlo così:

"Vieni!", cioè esci dalla tua terra, dalle tue sicurezze, dalla tua rotta… Esci come Abramo che lascia la sua terra per iniziare un’avventura nuova con il Signore. Se ‘vieni’ devi, però, porre tutta la tua speranza in Lui, devi dare piena fiducia alla sua Parola perché le attrattive del male non si arrendono tanto facilmente: richiami, nostalgie, dubbi cercano ancora di riprendere la nostra attenzione, la nostra volontà e cercano di inghiottirci con le loro onde.

Quel "Vieni!" è Gesù che mi dice: "Fidati di me più che di ogni altra cosa, di ogni altro richiamo, più di ogni altra persona."

Quante volte nella nostra vita Tu, o Signore, hai ripetuto a noi questo: "Vieni!".

E’ il "Vieni!" dei Sacramenti ricevuti, è il "Vieni!" degli avvenimenti e delle persone di cui tu ti sei servito per arrivare fino a noi. E Tu sai che anch’io, come Pietro, con tanto entusiasmo ti ho detto sì ed ho messo le mie gambe fuori della barca, ma sai anche quante volte sono ‘affondato’.

Eppure c’è sempre stata la tua mano pronta a tirarmi su dalla mia poca fede.

Tu questo: "Vieni!" me lo ripeti ancora.

Donami la forza di non adagiarmi nella barca, di non nascondermi dietro i precedenti insuccessi.

Tu il primo "Vieni!" me lo hai detto quando mi hai chiamato alla vita e l’ultimo me lo proporrai quando mi richiamerai alla vita che dura per sempre con Te.

Fa’ che in quel momento, anche se avrò ancora paura che la mia poca fede mi faccia affogare, abbia almeno la furbizia e la gioia non tanto di mettere le gambe in acqua, quanto di saltare direttamente dalla barca alle tue braccia.

 

 

MERCOLEDI’ 9

San Romano; Santi Fermo e Rustico

Parola di Dio: Ger. 31,1-7; Cantico da Ger. 31,10-13; Mt. 15,21-28

 

"E’ VERO, SIGNORE, DISSE LA DONNA, MA ANCHE I CAGNOLINI SI CIBANO DELLE BRICIOLE CHE CADONO DALLA TAVOLA DEI LORO PADRONI".

(Mt. 15,27)

Quante volte abbiamo letto e commentato questa pagina di Vangelo, eppure, proprio perché questa donna straniera non è né una teologa, né ha scritto libri sulla fede, ma tutto ciò che noi conosciamo di lei è condensato in queste poche righe, abbiamo sempre qualche cosa di nuovo da apprendere da lei.

La sua è una preghiera decisa, "gridata", che non solo non si lascia smontare, ma che approfitta da ciò che le viene detto, anche se a prima vista offensivo, per ottenere ciò che le sta a cuore.

La sua preghiera, in fondo, è fatta di poco e consiste nel dar ragione al Signore. E quando Lui ha ragione, quando noi siamo d’accordo con Lui, a guadagnarci siamo proprio noi: quelle briciole, a volte quasi disprezzate da chi fa indigestione di pane, diventano invece così importanti, perché desiderate, richieste, volute, da riuscire ad operare il miracolo. Si può morire di fame e di indigestione.

Ci sono cristiani che hanno tutto: Sacramenti in abbondanza, predicazione specializzata, incontri di ogni tipo, manifestazioni religiose, libri di preghiera, e non riescono ad apprezzare quasi nulla: si fa la Comunione per abitudine; si ascolta la Parola di Dio, si va magari dal predicatore a dirgli: "Bravo, bella predica!", ma niente ti ha toccato; si partecipa in massa a manifestazioni religiose ma ci si ferma alla superficie, al numero dei partecipanti, alla riuscita; si dicono mille preghiere bellissime, ma di altri; si cercano apparizioni, eventi prodigiosi, rivelazioni di misteri e ci si dimentica dei miracoli quotidiani della nostra vita; si mangia il Pane della vita e si esce da Messa tristi e scontrosi; si riceve il perdono di Dio e la nostra vita non cambia di una virgola; si va a fare il Matrimonio in chiesa e si bada al vestito, alla musica, ai fiori, alle fotografie, agli invitati… che poi ci sia Gesù Cristo o meno alla base del nostro matrimonio, poco importa… Quanto sono importanti le briciole. Qualche mese di forzato digiuno eucaristico, forse, riuscirebbe a farci desiderare veramente l’Eucaristia? La mancanza di libri di preghiera non potrebbe forse farci riscoprire di essere ancora capaci di parlare a Dio con il cuore?

 

 

GIOVEDI’ 10

San Lorenzo

Parola di Dio: 2Cor 9,6-10; Sal.11; Gv. 12,24-26

 

"COLUI CHE SOMMINISTRA IL SEME AL SEMINATORE E IL PANE PER IL NUTRIMENTO SOMMINISTRERA’ E MOLTIPLICHERA’ ANCHE LA VOSTRA SEMENTE E FARA’ CRESCERE I FRUTTI DELLA VOSTRA GIUSTIZIA". (2Cor. 9,10)

La liturgia ci propone oggi la festa di San Lorenzo. Egli era un diacono della Chiesa di Roma. Quando lo arrestarono, durante la persecuzione di Valeriano e gli ingiunsero di consegnare i beni della Chiesa, disse di averlo già fatto in quanto aveva distribuito tutto ai poveri.

Un questi giorni di vacanza in cui forse qualcuno eccede anche in sprechi, vi propongo due brani di riflessione su ricchezza, povertà, perbenismo, dono.

Da "La Chiesa dei poveri" di Umberto Vivarelli:

"Bisogna fare giustizia in maniera giusta, vale a dire su misura dell’uomo, che non è un vaso da riempire ma una realtà da capire e una creatura da amare.

Se la povertà fosse soltanto "mancanza di roba", basterebbe colmarla.

Ti manca il pane? Ti ingozzo di pane. Ti manca il vestito? Ti vesto come un manichino.

No: il povero domanda di essere amato, come ognuno di noi domanda di essere amato.

Quante volte la carità diviene il pretesto per lavarsi le mani dinanzi alla giustizia! E si dimentica la verità che il povero è Cristo: non è un estraneo o un conoscente, un amico o un nemico, un vicino o un lontano, un bianco o un nero: è mio fratello.

Se non supereremo i limiti della beneficenza non laveremo mai i piedi ai nostri fratelli: inventeremo il servizio sociale per lavare i piedi e pagheremo il lava piedi".

 

Da "Una donna maledettamente rispettabile" di Raoul Follereau:

"E’ una donna eccellente, praticante, edificante, rispettabile, maledettamente rispettabile.

Nulla da dire a suo riguardo: è un esempio, un modello…

In chiesa, ai primi posti, ha il suo inginocchiatoio rivestito di velluto rosso per meglio seguire la "sua" Messa, (perché anche la Messa è "sua").

Fa freddo. Si è bene imbottita, lei e il suo bambino, e viene avanti a testa alta, in direzione della chiesa, tranquilla e senza commozione. Va, come si dice, a fare le "sue" devozioni.

Fa freddo, pure con i guanti foderati, sente che fa freddo.

S’affretta allora ad attraversare il portico, senza notare il Povero che l’aspetta…

Ella dice: "Vado dal mio Signore, vado a pregare il Cristo, il grande che ci amò fino alla morte". E gli passa davanti senza riconscerLo.

Ma sì, è una donna eccellente… E’ sicura di sé, sicura di fare il bene e di compierlo meglio.

 

 

VENERDI’ 11

Santa Chiara; Santa Susanna

Parola di Dio; Na. 2,1-3;3,1-3.6-7; Cantico da Deut. 32,35-36.39.41; Mt. 16,24-28

 

"IL FIGLIO DELL’UOMO VERRA’ NELLA GLORIA DEL PADRE SUO, CON I SUOI ANGELI, E RENDERA’ A CIASCUNO SECONDO LE SUE AZIONI". (Mt. 16,27)

Per essere persone equilibrate e per cercare di capire le cose nel loro vero significato, dobbiamo continuamente fare attenzione a non cadere nei luoghi comuni. Quando ad esempio si parla di giudizio finale, di Gesù che tornerà per "giudicare i vivi e i morti", non si presentano forse alla nostra mente subito scene tipo Dante Alighieri o affreschi tipo il giudizio finale di Michelangelo nella cappella Sistina? E il giudice diventa l’irato dominatore del potere che, offeso nella sua Maestà, sanziona a suo insindacabile giudizio pene irrevocabili.

Come sarà il giudizio finale?

Gesù ce lo dice: il giudice "renderà a ciascuno secondo le sue azioni".

Cioè il giudizio non sarà affatto una sorpresa.

Sarà semplicemente rivedere la nostra vita per quello che essa è stata.

In fondo è una cosa che possiamo già in parte fare anche ora. Sono con il Signore? Sto cercando di agire come ha agito Lui? Ebbene Lui non farà che ratificare la mia opera. Sono ipocrita? Dico di fare come Lui ma invece agisco solo per me stesso? Ogni ipocrisia sparirà, ogni maschera sarà tolta e io stesso, avendo solo fiducia nel mio egoismo e non nella sua misericordia, mi allontanerò da Lui. L’unica differenza è che adesso noi vediamo noi stessi, la nostra storia, con gli occhi molto limitati della nostra umanità, allora li vedremo alla luce di Dio e forse, un po’ come succede guardando un negativo fotografico e poi il suo positivo scopriremo anche le differenze che oggi stentiamo a vedere e guardando Dio ‘faccia a faccia’ scopriremo anche che la sua misericordia e il suo amore sono proprio "da Dio".

 

 

SABATO 12

Sant’Ercolano

Parola di Dio: Ab. 1,12-2,4; Sal. 9; Mt. 17, 14-20

 

"SE AVRETE FEDE PARI AD UN GRANELLO DI SENAPA, POTRETE DIRE A QUESTO MONTE: SPOSTATI DA QUI A LA’, ED ESSO SI SPOSTERA’, E NIENTE VI SARA’ IMPOSSIBILE."

(Mt.17,20)

Gesù aveva appena guarito un fanciullo epilettico. Gli apostoli sono stupiti: non tanto per il miracolo di Gesù, ormai ne aveva fatti tanti, ma soprattutto perché loro, forti del comando del Maestro: "Andate e guarite i malati", non erano riusciti a guarirlo. Come mai?

Gesù nella sua risposta è chiaro: niente è impossibile a chi ha fede, il guaio che la fede degli apostoli e spesso anche la nostra non è grande neppure come un granellino di senapa.

Nella nostra epoca noi abbiamo due atteggiamenti nei confronti dei miracoli: o da buoni razionalisti li neghiamo e, al massimo, cerchiamo di spiegarli, oppure vediamo facilmente miracoli da tutte le parti proprio per cercare di fondare sullo straordinario una fede che ci è difficile vivere nell’ordinario. Eppure miracoli ce ne sono, e tanti, le guarigioni fisiche o morali, le conversioni sono possibili con la forza di Dio e nella sua volontà. Ma non sono i miracoli che fondano la fede, è la fede che fonda i miracoli.

Se io mi fido di Dio, posso chiedergli ciò che voglio, ma nella semplicità di chi si fida che Dio darà ciò che è giusto e buono non secondo la nostra misura, ma secondo la sua.

 

 

DOMENICA 13

XIX^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  -  San Ponziano e Ippolito

Parola di Dio: 1Re 19,4-8; Sal. 33; Ef. 4,30-5,2; Gv. 6,41-51

 

1^ Lettura (1 Re 19, 4-8)

Dal primo libro dei Re.

In quel tempo, Elia si inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto un ginepro. Desideroso di morire, disse: "Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri". Si coricò e si addormentò sotto il ginepro. Allora, ecco un angelo lo toccò e gli disse: "Alzati e mangia!". Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio d'acqua. Mangiò e bevve, quindi tornò a coricarsi. Venne di nuovo l'angelo del Signore, lo toccò e gli disse: "Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino". Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l'Oreb.

 

2^ Lettura (Ef. 4, 30 - 5, 2)

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini.

Fratelli, non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.

 

Vangelo (Gv. 6, 41-51)

In quel tempo, i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: "Io sono il pane disceso dal cielo". E dicevano: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: sono disceso dal cielo?". Gesù rispose: "Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".

 

RIFLESSIONE

 

Dopo la pausa di domenica scorsa in cui abbiamo celebrato la festa della Trasfigurazione del Signore, riprende, in queste domeniche di agosto, la catechesi continua che la Chiesa ci offre sul grande dono dell’Eucaristia.

Gesù aveva moltiplicato i pani e i pesci. La gente, pur essendo meravigliata davanti al miracolo, lo aveva capito solo nel senso materiale: avevano mangiato pane e pesce gratis per cui, uno capace di certe cose, è meglio farlo re.

Ma quando Gesù cerca di far capire che il dono non è una pagnotta di pane, ma è Lui stesso, il Figlio di Dio che si fa pane, ecco che quelli stessi che volevano farlo re cominciano a ‘mormorare’: "Che abbia fatto il miracolo ci sta bene, ma che adesso pretenda di essere il Figlio di Dio! Noi lo conosciamo, conosciamo la sua famiglia! E poi, dice di essere più grande di Mosè, dice di avere, anzi, di essere un pane più importante della manna, parla addirittura di darci la sua carne da mangiare: siamo mica antropofagi!?"

Eppure Gesù, "Via, Verità, Vita", è venuto proprio per questo: farsi mangiare dagli uomini, affinché, con la forza di quel pane anche noi possiamo compiere il nostro cammino e giungere alla meta del nostro pellegrinaggio.

Per comprendere meglio questo, possiamo partire dall’esempio che ci è raccontato nella prima lettura.

Il profeta Elia è un profeta grande e forte. Pensate alla sua disfida, lui, solo contro quattrocentocinquanta sacerdoti di Baal, quando, sprezzante, prima di ucciderli, li prede in giro: "Pregate più forte, perché il vostro Dio forse si è appisolato, ma forse, sentendovi gridare, si sveglierà!". Elia dalla parola sferzante. Elia che ha fatto risorgere un ragazzino…

Elia è in crisi.

Le minacce di una regina, Getzabele, lo avevano spaventato ed Elia si rifugia nel Sinai. Vorrebbe quasi a ritroso ripercorrere le tappe del suo popolo ed arrivare ad incontrare personalmente il suo Dio. La strada è lunga, la delusione è tanta, Dio sembra essere così lontano, anche i successi dei giorni passati sembrano lontani dei secoli… Elia è solo sotto il sole che picchia. Davanti ci sono le insidie del deserto, dietro le minacce di morte di Getzabele…

Ecco allora l’ultima spiaggia: un ginepro alla cui ombra riconosce il proprio fallimento: "Non sono migliore dei miei padri", ed ai piedi del quale, persa ogni speranza, lasciarsi morire.

C’è sempre il momento della crisi: qualche volta è la paura del cammino, altre volte l’amarezza delle delusioni, la solitudine, altre volte la stanchezza, la ripetitività della vita. Altre volte sono le sicurezze che crollano, ad esempio avevi giocato tutto sulla tua salute, sulla tua forza e improvvisamente ti trovi in un ospedale a tremare davanti ad un termine che non sai esattamente che cosa significa ma che dentro di te hai paura di avere già identificato, oppure dopo anni di sostegno reciproco la morte ti ha portato via chi amavi e tu vedi morire una parte di te stesso senza sapere se l’altra sopravviverà. O, ancora, la crisi della fede: eri certo di Dio, avevi un Dio che in ogni evenienza ti avrebbe aiutato: non è andata così! E quando alla crisi si aggiungono, l’esaurimento, le paure, la testa ti accompagnerà ancora?

Dio si fa vicino ad Elia ed ha per Lui una cura alla sua crisi che a, a prima vista, ci sembra strana. Non si avvicina con tono consolatorio: "Povero Elia, lo vedo che sei stanco, so quanto hai fatto per me… stai sicuro: ti difendo io da Getzabele…" No! Niente di tutto questo ma, invece: "Alzati e mangia: E’ troppo lungo il cammino per te"

Detto in altre parole, davanti ad ogni crisi Dio ci dice: "Piantala di commiserarti, pensa al cammino lungo che devi ancora percorrere, mangia per averne la forza".

Ecco il senso dell’Eucaristia, pane per il cammino.

Si era un po’ perso lungo i secoli il termine ‘Viatico’ legato all’Eucaristia, si era ridotto a quell’ultima Comunione che veniva portata al morente per accompagnarlo nel suo ultimo passo sulla terra. E’ invece uno dei termini più completi per definire questo dono del Signore. Il Corpo e il Sangue di Cristo ci vengono dati come pane per camminare con Lui verso la meta.

Ecco, allora,alcune caratteristiche dell’Eucaristia:

E’ un pane per il cammino, non un pane per restare.

Non un semplice atto di culto, non solo la rinnovazione rituale di un antico sacrificio con la consumazione della vittima, ma, pane concreto, carne, e sangue concreti dati perché possiamo davvero nutrircene, in quanto abbiamo ancora tante cose da fare.

Fare la Comunione non è coccolarsi Gesù nell’intimità di una mistica spiritualistica fatta di sospiri romantici, è prendere forza, è combattere le crisi con un potente medicinale, è fare il pieno, mettere nuova energia nelle gambe per camminare, è coraggio per combattere contro il male. Non è piangere con Lui per le ferite del passato, ma rimarginarle per il futuro.

2) Nei momenti di crisi devo allora sentirmi degno o indegno dell’Eucaristia?

Scusatemi se posso sembrare brutale nel rispondere: "Non perdiamoci in sterili e inutili discussioni moralistiche! Se c’è voglia di camminare, allora: Prendi e mangia!"

"Ma io non sono migliore dei miei padri!"

"Prendi e magia perché troppo lungo è per te il cammino!"

La liceità o meno nell’accostarsi all’Eucaristia non sta nel fatto della dignità (allora quel pane sarebbe stato dato inutilmente perché non c’è nessuno degno di esso, per primi i sacerdoti che celebrano un mistero più grande di loro) ma sta nel fatto di voler prendere forza per camminare. Certo che se non vuoi più camminare, se preferisci morire all’ombra del ginepro, allora vanifichi il pane, se no: "Prendi e mangia", o, come dice Gesù: "Prendete e mangiate… prendete e bevetene tutti!"

3) Questo è il pane che "dura per la vita eterna"

La vita eterna che Cristo ci dà, non è semplicemente la vita dopo la morte, ma la vita che non conosce la morte e va oltre la morte. E’ una vita che sfida la morte e, nonostante la morte corporale, si perpetua in una esistenza immortale. E’ la persona stessa del Figlio di Dio di cui ci siamo rivestiti nel giorno del nostro Battesimo e che rivestiamo ogni volta che ci accostiamo all’Eucaristia.

4) Noi abbiamo a disposizione questo pane, perché spesso non ne approfittiamo?

Troppi, ancora oggi, restano digiuni, passivi, lontani. Troppi cristiani non mangiano perché hanno paura di dover camminare o camminano stentatamente proprio perché non mangiano.

Non si tratta di fare indigestione (anche di indigestione si può morire), si tratta di incontrare Lui, di ricevere con umiltà il suo dono, e, con la forza di quel pane di rimettersi coraggiosamente e gioiosamente in cammino.

 

 

LUNEDI’ 14

San Massimiliano Maria Kolbe; Sant’Alfredo

Parola di Dio: Ez. 1,2-5.24-28; Sal. 148; Mt. 17,22-27

 

"IL VOSTRO MAESTRO NON PAGA LA TASSA PER IL TEMPIO?". (Mt. 17,24)

Una delle parole più odiose è la parola ‘tasse’. In teoria non dovrebbe essere così in quanto la tassa dovrebbe essere quanto ciascuno mette del suo utile per il bene comune; ma, visto come sono esosi coloro che le chiedono e come spesso non vengono usate per il bene comune, ma "per il bene di qualcuno", ecco che parlare si tasse non è piacevole.

Le tasse, con i loro esattori, hanno poi per abitudine di raggiungere tutti ed anche Gesù viene avvicinato da questi individui.

Pensate: vanno da Gesù, il Figlio di Dio a chiedere la tassa per il Tempio.

Gesù lo nota con estrema ironia e risolve la questione in un modo del tutto insolito, mandando Pietro a pescare un pesce con una moneta d’argento in bocca.

Gesù è venuto sulla terra non a riscuotere le tasse per conto di Dio suo Padre, anzi è venuto Lui a ‘pagare’ il nostro debito ( il racconto del pesce con la moneta in bocca non sarà forse anche un riferimento a questo? I primi cristiani, specialmente durante le persecuzioni per indicare Gesù disegnavano il pesce che in greco si dice iXtus che nelle sue iniziali, quasi un rebus indicava Jesus Cristus).

Non solo, ma essendo ora saldato in Lui ogni debito, il cristiano ha assunto la dignità di figlio, quindi non ha più "tasse" da pagare.

Quanto cambierebbe se noi vivessimo la nostra fede sapendoci liberi e non pagando alcuna tassa. Ad esempio, la messa domenicale non sarebbe mai un qualche cosa che io devo dare a Dio, ma un momento meraviglioso in cui io, Dio e i fratelli siamo in comunione attraverso il sacrificio di Gesù. La preghiera non sarebbe un obbligo ma una gioia, il condividere i beni non una sottrazione di qualcosa ma lo sperimentare giustizia, verità, fratellanza.

La religione del dovere, delle tasse è ben triste a confronto con la religione della verità e dell’amore!

 

 

MARTEDI’ 15

ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA - San Tarcisio

Parola di Dio: Ap. 11,19; 12,1-6.10; Sal. 44; 1Cor. 15,20-26; Lc. 1,39-56

 

1^ Lettura (Ap. 11, 19; 12, 1-6.10)

Dal libro dell’Apocalisse,

Si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve nel santuario l'arca dell'alleanza. Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita. Allora udii una gran voce nel cielo che diceva: "Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo".

 

2^ Lettura (1 Cor. 15, 20-26)

Dalla prima lettera ai Corinti,

Fratelli, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi.

L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte.

 

Vangelo (Lc. 1, 39-56)

Dal Vangelo secondo Luca,

In quei giorni, Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore". Allora Maria disse: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre>>. Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

 

RIFLESSIONE

 

Se cerchiamo una definizione sintetica della festa che celebriamo oggi potremmo dire: "La festa dell’assunzione di Maria al cielo è la festa della comunione del cielo con la terra e della terra con il cielo." E, sapendo che la figura di Maria è sempre subordinata a Gesù e vuol portare noi a Lui, potremmo aggiungere che questa festa è modello per noi di quale sia stata la volontà di Dio nei nostri riguardi attraverso l’Incarnazione, Passione, Morte, Risurrezione e Ascensione al cielo di Gesù, e di quale è la sua volontà nei nostri riguardi.

Dio ama l’uomo, sua creatura, e, anche dopo il peccato, cerca in tutti i modi di ricostruire la Sua amicizia con lui.

L’amore di Dio è talmente grande che, quando l’uomo continua a non essergli fedele, allora decide di prendere Lui corpo umano per essere "in tutto simile a noi eccetto che nel peccato".

E l’incarnazione del Figlio nel grembo di una donna ci dice già quale tipo di amore sia quello di Dio per noi. Ci ama nella nostra completezza: anima e corpo.

Gesù, poi, nella sua vita, non ha amato soltanto "le anime", ha amato l’uomo. Ha gioito della sua umanità. Ha visto le sofferenze dell’uomo e su di esse si è chinato, ha sentito i morsi della fame e della sete ed ha anche allenato il proprio corpo alla prova, ma ha anche partecipato alle piccole gioie della vita, come la contemplazione della natura, la festa di un buon pranzo, la fatica del lavoro, ha dato il giusto equilibrio ai valori dell’uomo tenendo conto sia della fisicità, sia del superamento di essa a favore di "cose che non muoiono". Ha gridato davanti alla morte ed è salito in cielo portandosi dietro proprio quel corpo, ormai glorificato, che Maria gli aveva intessuto nel proprio grembo.

E Dio ha voluto che quella Madre che gli aveva donato l’umanità fosse per prima partecipe, anche con l’umanità del proprio corpo, di quella che è l’eternità.

Ci possono essere atteggiamenti molto diversi davanti al corpo.

Siamo a ferragosto e in questo giorno una certa mentalità esalta tutto quello che è la corporeità. Siamo all’apice della stagione delle vacanze. Oggi molti di noi, sono in ferie, molti altri vivono la tradizionale "gita fuori porta", quasi tutti, insomma, siamo alla ricerca di libertà, di pace, di natura, di buon mangiare, di sole o di ombra.

In questo periodo assistiamo anche all’esaltazione del corpo. Corpi senza un etto di grasso in più, stupendamente abbronzati, esposti in tutte le maniere…

Altri invece, anche saggi delle fedi, esaltando la spiritualità dileggiano il corpo umano, qualcuno lo considera semplicemente come un sacco pieno di lordura, sostegno dell’anima che deve continuamente lottare per liberarsi dai suoi tentacoli. Ecco poi, persone che disprezzano il corpo, non riescono ad accettarlo, o, al massimo, lo vedono come un nemico da combattere, bastonare, umiliare ad ogni occasione…

Qual è la vera visuale cristiana nei confronti del corpo, così come ci viene indicata dalla festa odierna?

Se Dio ha preso corpo in Maria, se Gesù ha voluto che il corpo di Maria fosse assunto in cielo, se noi nel Credo diciamo: "Credo la risurrezione dei corpi", vuol dire che il nostro corpo non è più la parte negativa dell’anima, ma è un corpo redento come l’anima.

Maria ha offerto il suo corpo alla volontà di Dio. Maria, con il suo corpo ha servito non solo generando ma anche accudendo fisicamente al Figlio di Dio, ha parlato al suo Gesù con il linguaggio del corpo, ed ora Gesù glorifica il suo corpo.

Il corpo, allora, non è un peso dell’anima ma è la possibilità dell’incarnazione dello spirito, è l’espressione piena dello spirito.

Proviamo a tirare qualche conseguenza pratica.

Il cristiano è uno che ama il suo corpo.

E’ un dono di Dio, non ne sono io il padrone assoluto, è il mezzo per comunicare con il mio prossimo e con Dio stesso.

Sono assurdi coloro che nel nome del cristianesimo disprezzano, avviliscono, misconoscono, maltrattano la propria corporeità. Sono come coloro che, avendo due gambe, pensano di tagliarsene una per andare più in fretta.

Ecco allora anche il rispetto della corporeità altrui.

Non posso vedere le sofferenze del mio fratello e restare impassibile, non posso dire a uno che soffre: "Soffri perché intanto quel che conta è la tua anima", non posso accettare tutto quello che riguarda la tortura, in qualunque modo essa avvenga, del corpo mio o altrui.

Il cristiano è uno che fa di tutto per star bene di salute e per aiutare gli altri a star bene fisicamente.

Il cristiano che crede davvero alla risurrezione del proprio corpo, lo rispetta nei suoi valori, nei suoi tempi e rispetta il corpo altrui, non ne fa una merce, non lo vende e non compra.

Nello stesso tempo però il cristiano non si fa un idolo del proprio corpo.

Non esiste solo il corpo con le sue esigenze.

Nella mia unità di uomo ci sono dei valori per cui voglio vivere che sono primari. Giovannino Gaureschi, il padre di Don Camillo, in un lager tedesco continuava a dire a se stesso e agli altri: "Possono togliermi tutto, possono umiliare la nostra vita, possono addirittura togliercela, ma non possono toccare un grammo di ciò che c’è in noi stessi". I martiri, pur amando il proprio corpo sono stati disposti a lasciarsi uccidere pur di non uccidere la propria fede.

Oggi una certa filosofia naturistico - materialista, porta molti all’esagerato culto del corpo nel suo apparire. Bisogna per forza essere tutti belli a qualunque età, e secondo i crismi della moda imperante. E per questo si è addirittura disposti a sacrifici altrimenti impensabili: ci si fa succhiare la pancia, stirare le rughe, accorciare il naso… Per il vero cristiano non è questo che conta. Il vero credente convive con amore con se stesso, conosce e accetta i ritmi e i tempi della vita, guarda sì all’estetica perché il bello è sempre bello, ma sa andare oltre alle apparenze per cogliere in tutto, anche nei nasi lunghi, nelle pance adipose, quella luce di Dio che è seminata in ogni uomo. E, credo che da questo principio venga anche fuori la moralità vera che non scada in semplice moralismo.

Qualcuno è inorridito dal nudo.

Certamente, come mi diceva mia madre: "Se già noi ci sentiamo a disagio chissà che cosa direbbero i nostri vecchi se tornassero oggi e vedessero tutto quello che si vede nelle spiagge, sui giornali, alla televisione!"

E’ vero, ogni eccesso porta sempre in se una cattiva lettura dei valori. Ma se invece di puntare solo il dito e poi magari sbirciare di nascosto, sapessimo vedere con occhio puro, semplice, gioioso, anche la bellezza, le possibilità del nostro e dell’altrui corpo, non riusciremmo a dare una bella botta in testa a tutti i venditori di pornografia e di sesso facile?

Qualcuno di voi me lo ha già sentito raccontare altre volte. Da un caro sacerdote, padre spirituale, a cui dicevo che ogni tanto il mio occhio veniva attratto da qualche bella ragazza, con un gran senso di liberazione e di gioia mi son sentito rispondere: "E’ tutta questione di occhio… e se tu le guardassi come Grazia di Dio ben presentata?"

San Paolo, che a fatto di educazione moralistica ci stava bene, nella prima lettera ai Corinti dice: "Glorificate Dio nel vostro corpo" e la festa di oggi, presentando la gloria del corpo di Maria, la tutta bella e la tutta santa non ci invita solo a pensare all’aldilà (che ci auguriamo meraviglioso anche se stentiamo a rappresentarcelo nei suoi particolari) ma anche all’aldiqua dove con tutto me stesso, anima e corpo sono chiamato a realizzare per me e per i miei fratelli una umanità più buona, disposta ad accogliere nel quotidiano concreto i doni che Dio continua a farmi.

In parole povere: il cielo vuol continuare ad unirsi alla terra e si vuol servire anche di me per far sì che la terra, vivificata da Dio, possa unirsi fin d’ora a quel cielo dove speriamo di arrivare per contemplare anima e corpo, con Maria e tutti i Santi, la fonte di ogni nostro bene, cioè Dio stesso.

 

 

MERCOLEDI’ 16

Santo Stefano d’Ungheria; San Rocco

Parola di Dio: Ez. 9,1-7; 10,18-22; Sal. 112; Mt. 18,15-20

 

"SE IL TUO FRATELLO COMMETTE UNA COLPA, VA E AMMONISCILO TRA TE E LUI SOLO; SE TI ASCOLTERA’, AVRAI GUADAGNATO TUO FRATELLO…". (Mt. 18, 15)

Iniziamo oggi la lettura, in Matteo, del cosiddetto "discorso comunitario", cioè alla luce di quanto Gesù aveva detto, le prime comunità si chiedevano: "Come facciamo ad essere veramente cristiane?". E ringrazio veramente Dio ed anche l’evangelista Matteo che riporta le parole di Gesù e la sua esperienza di comunità perché, per prima cosa, risulta che nella comunità cristiana ci sono dei peccatori, non si parla di comunità di perfetti, ma di "santi peccatori": questa è davvero la mia Chiesa in cui mi riconosco.

Seconda cosa: più che di peccato da individuare e poi castigare si parla di recupero del peccatore, cioè l’attenzione non è rivolta al peccato ma all’uomo.

Terzo: il metodo non è quello dell’inquisizione ma quello della delicatezza. Non si parte mormorando sul peccatore, tagliando colletti, facendo piazzate, si comincia da un rapporto personale. Non si va a caccia del peccatore per "eliminare i rami secchi", per ricostruire la comunità dei perfetti, si cerca invece di ristabilire (senza falsità e ipocrisie) un rapporto di amore che rischia di essere interrotto dal peccato.

Attenzione però perché prima di tutto bisogna vedere se c’è davvero il peccato. Il fratello non pecca contro di me solo se non ha le stesse mie idee. Bisogna essere molto attenti a non confondere peccato con ciò che non rientra nei nostri schemi.

Quarto: il metodo non può mai essere quello del processo e questo neanche nella confessione sacramentale. La persona che ha sbagliato, prima di sentirsi giudicata deve sentirsi amata.

Quinto: non si convince l’altro di un errore a base di parole o di discussioni ma dando testimonianza con la propria vita e con le proprie scelte.

E anche quando, nel caso estremo, dovesse arrivare la ‘scomunica’, essa non può mai voler dire una porta definitivamente chiusa né per la comunità né, tanto meno, per il cuore di Dio. Come si è comportato il Padre misericordioso nella parabola del Figliol Prodigo? Non ha forzato il figlio a non andarsene di casa, ma ha aspettato con ansia che la fame e la nostalgia facessero il loro corso e quando il figlio è tornato non solo non ha tirato fuori il bastone ma "commosso, gli corse incontro".

 

 

GIOVEDI’ 17

San Giacinto; Sant’Alberto da Pontida

Parola di Dio: Ez. 12,1-12; Sal. 77; Mt. 18,21-19,1

 

"SIGNORE, QUANTE VOLTE DOVRO’ PERDONARE AL MIO FRATELLO?"(Mt.18,21)

Proprio a causa della nostra poca fede non è facile parlare con verità del perdono così come ce lo ha insegnato Gesù. Propongo allora a me e a voi la riflessione di due Padri della Chiesa.

Giovanni Crisostomo: A chi spetta fare giustizia.

Come potete levare le mani al cielo, muovere le labbra, chiedere perdono per voi stessi? Dio sarebbe disposto a perdonare i vostri peccati, però voi glielo impedite, non perdonando al fratello i peccati suoi.

Mi dite: "Ma è brutale, è violento, si comporta in modo che non possiamo non castigarlo!".

Proprio per questo dovete perdonargli. Avete subito mille torti, siete stati derubati, vi ha calunniato, lo volete vedere punito? Concedetegli il vostro perdono. Se vi fate giustizia da voi – a parole o coi fatti – Dio non se ne occuperà: ci avete già pensato voi stessi. E non solo Dio non farà giustizia, ma punirà voi per averlo offeso.

E’ imprudente far giustizia da soli, soprattutto quando il giudice è Dio.

Prostratevi davanti a Lui. Egli risolverà il vostro guaio meglio di quanto riesca a voi. A voi ha comandato unicamente di pregare per chi vi ha fatto un torto. In quanto al modo di trattare questo tizio, vi ha prescritto di lasciare che se ne occupi Lui e solamente Lui.

Giovanni Climaco : Il ricordo delle offese è un veleno per il cuore.

Il ricordo delle offese è rimasuglio di collera, odio della giustizia, custodia di peccati, rovina della virtù, veleno del cuore, tarlo della mente, ripugnanza al raccoglimento, paralisi della preghiera, allontanamento dall’amore, chiodo confitto nell’anima.

Chi ha placato la collera ha già soppresso il ricordo delle offese, mentre finché vive la madre resiste il figlio. E per placare la collera è necessario l’amore.

La memoria della passione di Gesù guarirà l’anima dai suoi risentimenti, facendola vergognare di sé nel ricordo della pazienza del Signore.

 

 

VENERDI’ 18

Sant’Elena; Santi Floro e Lauro

Parola di Dio. Ez. 16,1-15.60.63; Cantico da Is. 12,2-6; Mt. 19,3-12

 

"SE QUESTA E’ LA CONDIZIONE DELL’UOMO RISPETTO ALLA DONNA, NON CONVIENE SPOSARSI". (Mt. 19,10)

Gesù ha appena parlato di matrimonio e non si è lasciato prendere al laccio dalle solite discussioni su divorzio -si, divorzio – no. Ha detto che bisogna ritornare alle origini e mantenere intatto il progetto di Dio sulla coppia. I discepoli reagiscono ingenuamente, dicendo che, in questo caso, è meglio il celibato piuttosto che il matrimonio indissolubile.

Provate un po’ a pensare se la reazione degli apostoli non è ancora comune a molti nel nostro secolo. Vediamo che ci si sposa sempre di meno e sempre in età più adulta. Perché? Motivi sociologici possono esservene ma uno dei motivi più reali è che si ha paura di legami fissi. Il voler realizzare se stessi nell’ambito del lavoro, lo star bene nelle famiglie di origine, la facilità con cui si diventa compagni e compagne di viaggio, spesso messe a confronto con l’impegno costante della vita della famiglia e con le indubbie rinunce che per essa bisogna fare, non invogliano di certo al matrimonio. Sì, perché non è solo questione di avere leggi giuste o liberali sul matrimonio, in esso è fondamentale una questione di amore, e non solo amore sentimento, questo ad un certo punto può anche passare o mutare, ma di amore fatto di donazione continua, di dimenticanza di sé, di voler davvero e sempre il bene dell’altro. Mi prendo ben guardia dal giudicare i fallimenti matrimoniali, le separazioni e i divorzi, perché so benissimo quanto siano complesse le situazioni che si creano attorno ad una coppia e ad una famiglia e quanto grandi siano le influenze di fattori esterni alla famiglia stessa, però penso di poter dire che in molti casi si arriva a questo non perché non ci sia stato amore, ma perché l’amore non era quello vero e le abitudini, la polvere del quotidiano, poco per volta, lo ha reso opaco, e dell’altro ho cominciato a vedere solo i difetti, solo ciò che mi pesava, finché sono arrivato a non sopportarlo più. Dunque più che leggi è importante una educazione costante all’amore e in questo noi cristiani siamo fortunati in quanto ogni amore vero viene da Dio, che è l’Amore, e deve condurre a Lui come alla sua sorgente e al suo fine; per questo l’amore umano e quello cristiano non stanno su piani differenti, ma unificati. Dio aiuta con la sua grazia gli sposi e i genitori che si mantengono in contatto con lui attraverso la fede e la preghiera, vivendo così completamente la dimensione religiosa del matrimonio cristiano.

 

 

SABATO 19

San Giovanni Eudes

Parola di Dio: Ez. 18,1-10.30-32; Sal. 50; Mt. 19,13-15

 

"LASCIATE CHE I BAMBINI VENGANO A ME PERCHÉ DI QUESTI E’ IL REGNO DEI CIELI". (Mt. 19,14)

Forse è insito nella natura stessa degli uomini per la loro sopravvivenza, ma da bambino desideravo diventare grande in fretta. I bambini sembrano valere così poco!

E allora, anche perché me lo dicevano, ho pensato che la scuola, il sapere la scienza mi avrebbero fatto crescere, mi sono buttato sui libri ed ho imparato solo a balbettare qualche parola di ciò che è l’immensità, di ciò che è l’immensamente grande o l’infinitesimamente piccolo. Mi hanno fatto credere che avere un posto, un ruolo, un potere nella vita fosse l’essenza dell’adulto e sono allora entrato nella corsa per il potere accorgendomi però che per avere un ruolo, un potere dovevo diventare schiavo di tanti altri e del potere stesso, e in compenso per questo ho speso l’innocenza e tanti anni di vita.

Il mito dell’eterna giovinezza, della bellezza del corpo l’ho visto cadere e sfiorire nelle mie stesse mani. Ho pensato che lo star bene fosse il fine ultimo della vita ed ho cercato in tutti i modi di curare la salute, di prevenire i mali, ma nulla può fermare il corso della natura e se, con attenzione posso prevenire qualche malattia, la mia vita è nella precarietà, giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. La ricerca della felicità, della gioia mi ha guidato ed ho lasciato le piccole gioie semplici del bambini per cercare in molte strade il piacere e la felicità senza mai trovarla in modo definitivo. Ho abbandonato l’ingenuità pensando che nella vita ci volesse scaltrezza e diplomazia e così ho imparato a mentire prima agli altri e poi anche a me stesso ed ho indossato le maschere dell’ipocrisia. Ho riso delle fiabe ed ora ho paura dei sortilegi, ho disprezzato i piccoli giochi ma spesso mi sono trovato a giocare sui sentimenti degli altri. Capisco allora perché il Regno dei cieli, la gioia del Vangelo mi sono così lontane, perché prevale in me il religioso al posto della fede, perché certe pagine del Vangelo mi sono così ostiche e ne ho perso la chiave: mi manca il cuore della semplicità, della giocosità, dell’accoglienza, della disponibilità, della fantasia… mi manca il cuore del bambino. Bisognerà tornare indietro? No! Basterà ridestare il fanciullo che dorme dentro di noi, recuperare la bontà, l’innocenza e cominciare di nuovo con la semplicità di bambini a chiamare Dio con nome di "Padre nostro".

 

 

DOMENICA 20

XX^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  -  San Bernardo; San Samuele; San Filiberto

Parola di Dio Prov. 9,1-6; Sal. 33; Ef. 5,15-20; Gv. 6,51-58

 

1^ Lettura (Prov. 9, 1-6)

Dal libro dei Proverbi.

La Sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso gli animali, ha preparato il vino e ha imbandito la tavola. Ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della città: "Chi è inesperto accorra qui!". A chi è privo di senno essa dice: "Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate la stoltezza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza ".

 

2^ Lettura (Ef. 5, 15-20)

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini.

Fratelli, vigilate attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio. E non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.

 

Vangelo (Gv. 6, 51-58)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, Gesù disse alla folla: "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?". Gesù disse: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno ".

 

RIFLESSIONE

 

Capita, a volte, di incocciare in persone che, molto sicure di sé, della propria sapienza, non la smettono di esibirsi. In questi giorni, in treno, mi è capitato di assistere ad una lunghissima e stucchevole esibizione di una donna che voleva "far ragionare" la propria figlia di quattordici o quindici anni la quale, o troppo buona o troppo inibita, subiva passivamente quel profluvio di parole, senza minimamente reagire: "Voi giovani siete smidollati! Perché non sei felice? Sei in vacanza, dovresti essere contenta! Prendi un foglio e scrivi su le cause di questa tua noia. Analizzati a fondo. Perché con i tuoi amici non organizzate qualcosa? Sai da quanto tempo ti sto dando delle buone idee, ma non ne ho vista nessuna messa in pratica. E poi, non contare su di me, io ho i miei impegni, non posso sempre farti da palo…"Davanti ad una esibizione di tale ‘sapienza’, fatta per di più spudoratamente davanti ad altri, mi si rivoltava lo stomaco. Guardai, allora la ragazza quasi, se mi avesse a sua volta guardato, a farle intendere che solidarizzavo con lei, ma la cosa che maggiormente mi colpì fu il vuoto assoluto di quel viso. Sarà stato a causa di una madre così, sarà stato un momento di crisi proprio della sua età, ma in quel volto non c’era uno sguardo vivo, non una minima mossa davanti alle bordate della madre. Unica cosa evidente era un senso di apatia e di noia.Ma la noia non è solo una ‘malattia’ tipica di certe età di cambiamenti e di insicurezze, non è neanche tipica solo di una gioventù che ha tutto e non desidera nulla, essa è sempre più retaggio comune di molte persone che non riescono a trovare senso al proprio vivere. La noia non è tanto una qualità delle cose, è una realtà interna dell’uomo che non ha ancora trovato un centro vero della sua vita e non sa bene perché vive e perché muore.Attraverso un esempio figurato, abbiamo sentito nella prima lettura che la Sapienza invita gli inesperti e i privi di senno ad un banchetto per abbandonare la stoltezza e vivere.Guardando a Dio, alla sua Sapienza, noi possiamo capire il senso della nostra vita e il grigio della noia può riacquistare i colori del gusto di vivere, e il vuoto della ripetitività può ritrovare il senso della novità e dell’avventura.Ma per poter accedere al banchetto della Sapienza bisogna riconoscersi "inesperti e privi di senno".E qui cominciano i guai perché nessuno ha piacere di venire considerato ignorante, ognuno pensa di saperne più degli altri, ognuno si pensa idoneo ad insegnare, non certo ad imparare, sempre pronto a parlare ma senza voglia di ascoltare.

E in ambito religioso? Siamo tutti dei teologi e dei moralisti ferrati. Non ci parlino di catechesi, il catechismo è una cosa da bambini. La Parola di Dio? La conosciamo, ma, poi, è una cosa talmente vecchia che conta ancora?

Per poter imparare qualcosa, per poter trovare il senso della vita, per incontrare Dio occorre soprattutto una cosa: l’umiltà.

Solo un recipiente vuoto può accogliere qualcosa, quello pieno rifiuta qualunque altra cosa.

E la stessa umiltà ci vuole per comprendere il meraviglioso dono di cui Gesù ci parla nel Vangelo di oggi.

Per capire, riconoscere, desiderare, ricevere, lasciarsi cambiare dal pane Eucaristico ci vuole umiltà. I Giudei, davanti a questa proposta sconvolgente: "Vi darò la mia carne da mangiare", non capiscono e si fermano alla discussione intellettuale: "Ma come può costui darci la sua carne da mangiare?", altri, lungo i secoli ridurranno l’Eucaristia ad un simbolo, altri ancora ad un rito, altri ad una pratica religiosa magari anche importante ma che non cambia nulla… C’è, lo dicevamo già domenica scorsa, chi fa indigestione di Eucaristia. Capita di incontrare persone che arrivano addirittura a dire: "Non posso fare a meno della Comunione! Quando non la faccio è come se mi mancasse qualcosa!". Ma spesso sono proprio queste le persone che mangiano ma non assimilano perché la loro vita è sempre uguale. E c’è anche chi invece sta morendo di fame e si trova davanti ad una tavola imbandita ma non ha il coraggio di alzarsi da terra per sedersi alla gioia di quel banchetto. E c’è pure chi, comodamente seduto a tavola, cerca, nel nome della serietà del banchetto, di allontanare chi umilmente si propone di avvicinarsi per partecipare alla festa. Eppure, anche solo scorrendo il Vangelo di oggi, sentiamo da Gesù che cosa sia quel Pane che Lui stesso ci dà:

"Io sono il pane del cielo".

Non vado a ricevere un pezzo di pane qualunque, vado a ricevere il Figlio di Dio. Quello stesso Gesù di cui bastava toccare con fede la frangia del mantello per essere guariti, il Figlio di Dio "per cui tutte le cose sono state create", Colui che è morto e risorto per noi. Pensate a certi assurdi: noi magari facciamo pellegrinaggi per andare a vedere il prezioso lenzuolo in cui, con ogni probabilità, Gesù è stato avvolto dopo la morte, e trascuriamo di incontrare e di ricevere Gesù stesso vivo nel suo pane."Il pane che io vi darò è la mia carne". La carne concreta di Gesù, quella carne che lo Spirito Santo ha intessuto nel grembo di Maria, quella carne che ha gioito, quelle mani che hanno benedetto, quel viso che si è chinato sulle sofferenze dell’uomo, quel sorriso che è stato rivolto ai piccoli, quella carne che ha sofferto la flagellazione e gli sputi, che è stata crudelmente inchiodata ad una croce, che risorta per sempre porta i segni della passione. "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui". Io, ricevendo l’Eucaristia, divento tabernacolo e ostensorio. Dio mi sceglie, come Maria affinché anch’io rivestito di Cristo possa generarlo. Altro che gesto rituale, quello dell’Eucaristia! Cristo da senso a tutta la mia vita, la muta, la cambia. Non può più esserci noia. Se Dio dimora in me ed io in Lui, mia patria è l’universo intero, il mio cuore poco per volta si allarga alla misura del Suo per abbracciare tutti, strade difficili, impossibili alla sola umanità, come quella del perdono, diventano invece possibili e percorribili.

"Chi mangia la mia carne vivrà per me".

Se davvero hai incontrato Dio, il resto diventa secondario. Non ci perdi nulla, non sei chiamato a rinunciare a nulla, però tutto si trasforma, tutto assume più o meno senso, più o meno valore a seconda della tua comunione con Lui.

"Chi mangia questo pane vivrà in eterno".

Io mangio il corpo di Colui che è passato attraverso la morte ma che ora è vivo per sempre, entro dunque nella sua dimensione. Incontrerò anch’io la morte materiale ma le potrò opporre Colui che l’ha vinta una volta per tutte. Quante leggende e mitologie sono sorte intorno alla ricerca dell’immortalità da parte dell’uomo. Ebbene, ricevendo Cristo, vincitore della morte, io entro già fin d’ora nell’eternità. E non è un inganno perché è Dio stesso che me lo dice.

Nell’Eucaristia noi abbiamo tutto questo a nostra disposizione, perché allora tanti non vanno a ricevere Gesù per futili motivi? Quanto sono assurdi i nostri: "Non ho tempo!" E perché così spesso le nostre Messe sono celebrazioni così ripetitive e noiose? Qualche volta nelle nostre chiese sembra di assistere alla sepoltura di Dio piuttosto che alla gioiosa celebrazione del Dio della vita.Gesù con l’Eucaristia ci ha messo in mano una bomba che può cambiare la nostra vita e quella degli altri. Non chiamiamo pompieri ed esercito per disinnescarla, lasciamo invece che esplodendo ci trasformi da credenti annoiati in cristiani che sprizzano da tutti i pori vita (e anche vita eterna).

 

 

LUNEDI’ 21

San Pio X

Parola di Dio: Ez. 24,15-24; Cantico da Deut. 32,18-21; Mt. 19,16-22

 

"MAESTRO, CHE COSA DEVO FARE DI BUONO PER OTTENERE LA VITA ETERNA?". (Mt. 19,16)

Quante volte anche noi ci siamo posti o abbiamo posto questa domanda: vorremmo delle ricette ben precise, delle norme chiare. Gesù risponde al giovane ricco indicano i comandamenti e, visto che questi erano già patrimonio di quell’uomo, gli indica la via della perfezione nello slegarsi dalle cose terrene per poterLo seguire.

Se Gesù, oggi, dicesse a me e a voi: "La via della perfezione è lasciare segni sugli alberi, noi sorrideremmo, ma proviamo a meditare questa storia della tradizione dei Sukuma (Tanzania):

Un villaggio stava diventando troppo grande, e il capo, dopo aver consultato gli anziani, decise che era giunto il momento di fondarne un altro in terre più lontane, meno abitate.

Allora chiamò i due suoi figli maschi e disse loro: "Andate a cercare un posto adatto dove fondare un nuovo villaggio. Ma non dimenticate di mettere dei segni sugli alberi dove passerete, così che io possa tornare a visitare la località con voi. Chi di voi due troverà la località più adatta sarà il capo del nuovo villaggio".

I due giovani partirono in opposte direzioni.

Il maggiore, mentre camminava non dimenticava di lasciare dei segni sui tronchi più grossi.

Il minore bussò alla porta di molte capanne, fu invitato a entrare, si fermò a conversare con tutti, condividendo il cibo che gli veniva offerto.

Il maggiore tornò dopo una settimana, descrivendo entusiasticamente la località che aveva individuato, con terre fertili e un torrente di acqua limpida non lontano.

Il minore tornò dopo un mese.

Il padre disse: "Bene, adesso voglio andare a vedere personalmente le località che avete scelto".

In due giorni di cammino veloce, senza neanche fermarsi a mangiare, il padre e il figlio maggiore, seguendo i segni lasciati sugli alberi, arrivarono alla località prescelta. Il padre ne fu entusiasta e dopo altri tre giorni di cammino furono di ritorno.

La settimana successiva il padre partì con il figlio minore. La distanza da percorrere non era lunga, ma il viaggio durò parecchi giorni perché, ovunque il figlio minore arrivava, veniva accolto festosamente dagli amici che si era fatto in ogni villaggio lungo la strada. La località prescelta dal figlio minore non era bella come la prima. Il viaggio di ritorno durò ancora di più perché gli amici, questa volta, offrirono doni da riportare a casa.

Qualche giorno dopo il padre chiamò entrambi i figli e disse loro: "Ho visto le località che avete scelto. Avete fatto entrambi un ottimo lavoro, ma il minore ha fatto la scelta migliore, perciò sarà lui il fondatore del nuovo villaggio".

"Ma come - protestò il maggiore - lui non ha neanche eseguito il tuo ordine di lasciare un segno sugli alberi dove sarebbe passato, e poi tutti dicono che il posto che io ho trovato è migliore!".

"Figlio mio – disse il padre – tuo fratello minore ha lasciato un segno di amicizia su tutte le porte su cui ha bussato e il suo villaggio sarà circondato da amici. La sua scelta è stata più saggia".

Per questa ragione i Sukuma usano l’espressione "lasciare un segno sugli alberi" per indicare lo stabilire rapporti di amicizia e di una vasta rete di relazioni umane.

 

 

MARTEDI’ 22

Beata Vergine Maria Regina; San Fabrizio

Parola di Dio: Ez. 28,1-10; Cantico da Deut. 32,26-28.30.35-36; Mt. 19,23-30

 

"CHIUNQUE AVRA’ LASCIATO CASE, O FRATELLI, O SORELLE, O PADRE, O MADRE, O FIGLI, O CAMPI PER IL MIO NOME, RICEVERA’ CENTO VOLTE TANTO E AVRA’ IN EREDITA ‘ LA VITA ETERNA". (Mt. 19,29)

La legge del nostro mondo è avere, accumulare, quasi che le tante cose possano davvero darci la felicità. L’indicazione per essere discepoli di Gesù è esattamente l’opposto: lasciare, abbandonare, spoliarsi…

Dunque le cose sono un male?

Per rispondere a questa domanda bisogna trovare il fine per cui siamo invitati a lasciare le cose: " Chiunque avrà lasciato case, o fratelli… per il mio nome".

L’essenza, il senso della rinuncia, dunque, sta lì: io rinuncio a qualcosa di bello (se no, che rinuncia sarebbe!) per il nome di qualcuno di ancora più bello e soddisfacente.

Il mondo ci dice che le cose fanno la nostra felicità: ma quale felicità intende? La felicità dei soldi, del non avere preoccupazioni finanziarie, del poter comprare, dell’aver considerazione dalle ‘persone in su’, del poter divertirsi, del dominare… Queste ‘felicità’ abbiamo avuto l’opportunità in qualche modo di assaporarle e sono una buona soddisfazione, possono anche far contenti in certi momenti, ma sappiamo anche che sono molto lontane dalla felicità piena, in quanto le cose assorbono le persone, non solo non ci tolgono le preoccupazioni ma ce ne danno delle altre, sono precarie e si possono sempre perdere e certamente andranno tutte perse nel giorno della nostra morte.

Rinunciare "nel suo Nome", invece, significa mettersi nelle mani di Dio, lasciarsi portare come bambini da Lui, significa scoprire che davvero Lui è il nostro tutto che non delude, che il suo amore riesce a dare senso anche al nostro soffrire, che con la Sua vita donata per noi riesce a cancellare i nostri peccati, che presentandoci un Dio Padre di tutti ci permette di riscoprire condivisione e fratellanza.

Dunque io rinuncio a ‘felicità’, ma solo per trovare "la Felicità" che non delude né ora, sulla terra, né dopo nell’eternità.

 

 

MERCOLEDI’ 23

Santa Rosa da Lima

Parola di Dio: Ez. 34,1-11; Sal. 22; Mt. 20,1-16

 

"NEL RITIRARE IL DENARO, MORMORAVANO CONTRO IL PADRONE" (Mt. 20, 11)

Su Dio c’è una vastissima letteratura, e siccome Dio è l’estremamente grande trovi su di Lui tantissimi modi di vederlo e di crederlo. Il più delle volte, poi, Dio assume le caratteristiche desiderate da colui che lo ha pensato.

Nella parabola del vangelo di oggi, però veniamo completamente spiazzati. Sempre, ma direi particolarmente oggi, in quasi tutti i campi, vige la meritocrazia. La società del benessere e del denaro che a tutto dà un prezzo, valuta secondo i meriti e secondo il valore presunto. Anche Dio dovrebbe comportarsi così! Siamo dunque come quegli operai che brontolano perché anche a noi sembra che il padrone (Dio) dovrebbe dare di più a chi ha lavorato maggiormente. Dio non fa così. Il Dio di Gesù non è così! Ma il motivo per cui Dio non agisce secondo i parametri umani non è dovuto alla sua ingiustizia, ma alla sua generosità. Qual è lo scopo della parabola raccontata da Gesù? Biasimare coloro che lo criticano per la sua attenzione agli ultimi e ai peccatori, rimproverarli perché non si rallegrano con Lui della gioia di quelli che erano perduti, morti, smarriti, abbandonati, e soprattutto perché sono incapaci di essere in comunione con la gioia di Dio quando Egli esercita la sua prerogativa fondamentale: la misericordia. Quando noi mormoriamo siamo delle persone che pensano che la religione sia ciò che io do a Dio, mentre essa consiste soprattutto in ciò che Dio fa per noi. Non corriamo il rischio di ridurre la generosità di Dio al conto che noi gli presentiamo. Il vero operaio, secondo Dio è quello che si disinteressa del salario, anzi, è quello che gioisce perché se è stato chiamato, a qualunque ora della giornata, sa già di essere nel Regno. Chi mercanteggia, chi ha occhio maligno nei confronti di Dio e degli altri, in fondo è nemico di se stesso, rischia di guastarsi la vita, di non cogliere la generosità di Dio, di non saper gioire con gli altri e di guastarsi pure l’eternità.

 

 

GIOVEDI’ 24

San Bartolomeo; San Tolomeo

Parola di Dio: Ap. 21,9-14; Sal 144; Gv. 1,45-51

 

"FILIPPO INCONTRÒ NATANAELE E GLI DISSE: ABBIAMO TROVATO COLUI DEL QUALE HANNO SCRITTO MOSE’ NELLA LEGGE E I PROFETI, GESU’ DI NAZARET". (Gv. 1,45)

La festa di san Bartolemeo (il Natanaele del Vangelo) ci permette, in schema, di studiare una chiamata alla fede. Quello che diciamo di lui può benissimo applicarsi a noi.

Natanaele è uno che cerca, legge la Bibbia, la studia con amore è "un vero Israelita in cui non c’è falsità". Corre però il rischio di voler incasellare la grandezza di Dio e la sua opera negli schemi della religione: la Bibbia parla della Giudea per la venuta del Messia, cosa dunque può venire di buono da quel paesucolo della Galilea che è Nazaret?

La ricerca spesso è sollecitata da qualcuno (in questo caso Filippo), ma deve portare l’uomo a lasciare qualcosa (i propri schemi su Dio) per uscire e constatare di persona ("Vieni e vedi").

E’ indispensabile continuamente e lealmente verificare l’autenticità del nostro cercare.

I "segni" (in questo caso Gesù rivela qualcosa di personale successo a Natanaele) favoriscono e sollecitano la ricerca. Ma i segni non sono mai conclusivi, essi stimolano e approfondiscono l’esigenza di un ulteriore ricercare.

Non è detto che il ricercare e il trovare siano automatici. Ogni cammino ha momenti di crisi, di dubbi, smarrimenti, anche errori, ma chi cerca sul serio non si arrende.

Cristo, quando lo trovi, è sempre diverso da come te lo aspettavi e una volta incontrato Lui non è finita la ricerca, anzi, il cammino si fa più arduo in quanto bisogna rivestirsi di Lui. Ma quando lo si incontra si scopre anche che Lui era partito prima di noi alla nostra ricerca, che Lui già ci conosceva, che Lui ha accompagnato i nostri passi, che, in fondo, la nostra ricerca è frutto della sua ricerca.

 

 

VENERDI’ 25

San Ludovico; San Giuseppe Calasanzio

Parola di Dio: Ez. 37,1-14; Sal. 106; Mt. 22,33-40

 

"DA QUESTI DUE COMANDAMENTI DIPENDE TUTTA LE LEGGE E I PROFETI". (Mt. 22, 40)

Si dice sempre che Gesù e il suo Vangelo sono una novità. Ma in che cosa consiste la novità del Vangelo?

Questo dottore della legge che si rivolge a Gesù per chiedergli quale sia il più grande dei comandamenti, a prima vista, potrebbe non essere stupito dalla risposta di Gesù. Tutto l’Antico Testamento era fondato sull’amore di Dio e moltissime norme antico testamentarie richiedevano l’amore del prossimo.

La vera originalità è che questi due comandamenti sono unificati da Gesù: l’amore vero di Dio è l’amore vero dell’uomo, e ogni amore vero dell’uomo è un amore vero di Dio. Ecco la grande novità prodotta direttamente dalla incarnazione di Cristo. Non siamo più divisi tra due amori, non dobbiamo più togliere all’uomo un po’ del nostro tempo, del nostro denaro, del nostro cuore, per donarlo a Dio. Dio non è un rivale dell’uomo: "Ogni volta che avrete dato anche un sol bicchier d’acqua a uno di questi piccoli lo avrete dato a me".

Attraverso l’incarnazione Dio si è fatto uomo, si è fatto solidale con tutti gli uomini, Dio e l’uomo sono inseparabili. La grande novità che si è realizzata in Cristo è l’umanizzazione di Dio e la divinizzazione dell’uomo.

Bisogna smettere di distinguere. Non è più il momento di parlare di orizzontalismi e verticalismi ed è assurdo parlare di mistica e di cristianesimo sociale come qualcosa di contrapposto.

La preghiera, la contemplazione, il culto, la mistica hanno valore solo se esprimono e nutrono un’autentica carità, cioè un servizio reale, pratico, diretto dell’uomo.

Stando al Vangelo si deve ammettere che non c’è vero amor di Dio senza amore dell’uomo, mentre si può avere un amore dell’uomo senza un esplicito amor di Dio che però, davanti a Dio conta lo stesso (anche i giusti come i peccatori del giudizio finale raccontato in Matteo 25 si chiedono: "Signore, quando ti abbiamo veduto?"), cioè ci si può salvare senza culto, ma non ci si può salvare senza carità fraterna. Pensiamo anche solo alle parole di Gesù: "Andate dunque a imparare che cosa significa: misericordia voglio e non sacrificio", oppure: "Lascia la tua offerta là, davanti all’altare, e va prima a riconciliarti con tuo fratello", oppure a quanto dice San Giovanni: "Dio nessuno l’ha mai contemplato; se ci amiamo scambievolmente, Dio dimora in noi e il suo amore in noi è giunto a perfezione".

 

 

SABATO 26

San Zefirino; Sant’Alessandro

Parola di Dio: Ez. 43,1-7; Sal. 84; Mt. 23,1-12

 

"SULLA CATTEDRA DI MOSE’ SI SONO SEDUTI GLI SCRIBI E I FARISEI".(Mt. 23,2)

Oggi, lunedì, martedì e mercoledì leggiamo un capitolo di Matteo che potremmo definire un esame di coscienza approfondito soprattutto per la chiesa gerarchica. Ma ciò che Gesù condanna in chi ha responsabilità nelle comunità è anche qualcosa che può riguardare ciascuno di noi, quindi con il realismo di Gesù vediamo pure e bolliamo certi comportamenti tutt’altro che cristiani di chi dovrebbe essere guida ed esempio, ma cerchiamo di fare attenzione affinché le parole di Gesù aiutino anche noi ad emendarci da ogni forma di ipocrisia.

Una delle prime cose che viene rimproverata agli scribi e ai farisei di allora e di oggi non è una mancanza di dottrina, infatti Gesù invita a mettere in pratica ciò che essi dicono, ma l’ipocrisia. Cioè parlano a nome di Dio e agiscono in nome proprio.

Provate a pensare a quanto sia facile ingannare e farsi ingannare dalle apparenze: "Quel prete, quel Vescovo è in gamba, è dei nostri, parla come noi, è spiritoso, è alla mano, nelle prediche dialoga sempre con i bambini…" e non ti accorgi che appena terminato di parlare si batte da solo una pacca sulla gamba per dirsi: "E anche questa è fatta, e anche qui ho acquistato benevolenza!". Provate a pensare come certi personaggi della politica hanno acquistato prestigio e voti con soldi, con savoir faire, buonismo esagerato, sorrisi (qualcuno si è pure fatto stirare la bocca per sorridere più largo), provate ancora a pensare a come iniziative di solidarietà, anche in parte valide, si servono, per beccar soldi, di pubblicità mielose, strappalacrime, insulse e indegne del nome di cristiano; provate a pensare a certi cristiani che, a mala pena fatto il loro dovere, vendono la loro buona azione come se fosse l’unica al mondo e "gli altri, se vogliono salvarsi, devono fare come faccio io". Un’altra accusa che Gesù fa è quella dei doppi pesi, cioè si richiede agli altri ciò che non chiediamo a noi stessi; la misericordia è usata per qualcuno, mentre per gli altri il giudizio; il matrimonio è indissolubile per tutti: per qualcuno un po’ meno; "Noi vogliamo bene a tutti gli uomini, esclusi gli zingari perché sono ladri e gli albanesi che sono assassini"; c’è chi parla e scrive di pastorale dei malati senza aver mai lavato un sedere o curato una piaga, chi vorrebbe dettar legge su ogni forma di educazione ma che non ha mai avuto figli propri e quelli degli altri li vede solo in occasioni "ben protette", chi scrive documenti sulla famiglia e famiglia non ha e neppure fa lo sforzo di partecipare a certe difficoltà familiari di altri, ben difeso dai vantaggi della propria casta di celibi. Per capire quanto certe mentalità siano lontane dal Vangelo basta pensare a Gesù che non è venuto ad imporci pesi e gioghi, ma a portare Lui i nostri.

 

 

DOMENICA 27

XXI^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - Santa Monica

Parola di Dio: Gs. 24,1-2.15-18; Sal. 33; Ef. 5,21-32; Gv. 6,60-69

 

1^ Lettura (Gs. 24, 1-2.15-17.18)

Dal libro di Giosuè.

In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d'Israele in Sichem e convocò gli anziani d'Israele, i capi, i giudici e gli scribi del popolo, che si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: "Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire: se gli dei che i vostri padri servirono oltre il fiume oppure gli dei degli Amorrei, nel paese dei quali abitate. Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore". Allora il popolo rispose e disse: "Lungi da noi l'abbandonare il Signore per servire altri dei! Poiché il Signore nostro Dio ha fatto uscire noi e i padri nostri dal paese d'Egitto, dalla condizione servile, ha compiuto quei grandi miracoli dinanzi agli occhi nostri e ci ha protetti per tutto il viaggio che abbiamo fatto e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Il Signore ha scacciato dinanzi a noi tutti questi popoli e gli Amorrei che abitavano il paese. Perciò anche noi vogliamo servire il Signore, perché Egli è il nostro Dio ".

 

2^ Lettura (Ef. 5, 21-32)

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini.

Fratelli, siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!

 

Vangelo (Gv. 6, 60-69)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: "Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?". Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: "Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? E` lo Spirito che dá  la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono". Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E continuò: "Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio". Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: "Forse anche voi volete andarvene?". Gli rispose Simon Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio ".

 

RIFLESSIONE

 

In queste domeniche, se siamo riusciti a seguire le indicazioni della liturgia, leggendo il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, abbiamo forse capito un po’ di più che cosa sia l’Eucaristia.

Gesù conosce le nostre ‘fami’, i nostri bisogni e desideri e allora si fa pane per noi. E’ venuto sulla terra per condividere in tutto la nostra umanità, ci ha regalato la sua vita, ora vuole rimanere con noi per sempre e quindi ci da la sua carne e il suo sangue perché noi, attraverso il suo mistero di morte e risurrezione, possiamo essere salvati, possiamo combattere tutto ciò che è male e trovare il senso della nostra vita.

Ma molti non lo hanno capito.

I Giudei si sono fermati alla discussione dialettica e se ne sono andati sempre più convinti che Gesù sia un bestemmiatore che si fa Dio, uno che crede di essere più grande di Mosè, un matto che parla invitando a contaminarsi con il suo sangue e che sembra invitare all’antropofagia.

Ma anche molti dei suoi discepoli sono perplessi: "Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?". E’ difficile aver fede in uno che ti scombina tutto nella vita, che ti invita a lasciare tutte le cose che con fatica, giorno per giorno, hai accumulato, che ti propone la semplicità, l’umiltà, che non ti promette felicità terrene, che ti chiede di prendere la croce per seguirlo, che ti scombina il tuo credo religioso presentandosi come il Dio del cuore e non della Legge, che ti invita a superare la legge del taglione per farti arrivare a perdonare sempre, che ti dice di amare il nemico, che si rivolge soprattutto ai peccatori e non alle persone perbene… Molti dei discepoli hanno colto la pericolosità di Gesù: uno così non può far strada, il potere, prima o poi, dovrà toglierlo di mezzo, ed anche la religione gerarchica non può permettersi un elemento di disturbo di tal fatta.

Qualcuno avrà detto: "Belle le sue parole, ma andargli dietro è troppo compromettente".

"Volete andarvene anche voi?"

Gesù non pratica sconti, non indora la pillola, non scende a compromessi, non dice: "Poiché voi Dodici siete i miei amici, avrete trattamenti di favore". No! Gesù chiede di scegliere.

La stessa cosa ci è stata presentata nel racconto della prima lettura.

Giosuè, dopo la conquista del Canaan, trovandosi Israele in mezzo a popoli idolatri, chiede di prendere solennemente una decisione: o con Dio o con gli idoli.

Dopo le parole bisogna arrivare a una decisione, dopo l’incontro con Gesù non si può più essere gli stessi di prima: o con Lui, o contro di Lui. Dopo l’Eucaristia non si può più dire: "Adesso la Messa è finita, e tutto ricomincia come prima".

Eppure noi, spesso, siamo maestri di compromesso. Tante volte il nostro "buon senso", "l’equilibrio" ci fanno da sponda per non scegliere, o meglio, per scegliere di star fermi, di non cambiare niente, di vivere in schemi ben sperimentati, in religiosità ben costruite da noi e dalla pubblica opinione. Siamo capaci di mettere insieme alla religiosità il potere terreno, i soldi e la fede, mangiamo il Pane spezzato, ma non spezziamo il pane (il mio pane!) con chi ha fame, diciamo di essere in comunione con il Signore e continuiamo a vivere con i nostri progetti di non perdono…

So benissimo che mentre leggete o ascoltate questo cose, qualcuno di voi, dentro di sé sta pensando: "Il solito esagerato! Ma c’è bisogno di tutto questo per essere cristiani?" Non mi stupisco affatto di questo pensiero in quanto è così spesso anche il mio! Eppure Gesù ci mette davanti a scelte precise, e non si può scappare! Poi comprenderà anche tutta la nostra povertà e miseria, ma dallo scegliere non possiamo esimerci.

E ricordiamoci anche che per scegliere non basta neppure recitare la ‘summa’ della nostra fede, il "Credo" e non basta neanche partecipare alle manifestazioni della chiesa ufficiale. Il "Credo" è la tua vita.

Gli idoli sono molto concreti ed anche allettanti: soldi, consumismo, esasperazione della fisicità, "tutto subito e facile", vizi, indifferenza… Noi, "uomini del terzo millennio" che siamo entrati nell’atomo e nel genoma dell’uomo, pensavamo di esserci liberati definitivamente dagli idoli e invece quanti ne abbiamo ancora (se volete fare un esperimento molto semplice, sfogliate anche solo la pubblicità di un qualunque settimanale!), e il più grande di tutti è proprio l’egoismo.

Mi piace allora la risposta di Pietro a Gesù.

Anche lui avrà avuto tutti i suoi bravi dubbi, anche lui, forse ha capito quanto sia difficile seguire Gesù. Forse, questa volta, anche Pietro è un po’ consapevole della propria debolezza, e allora non dice: "Ti prometto", dice invece il suo bisogno: "Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!".

"Signore, nonostante gli anni e la frequentazione, spesso ti capisco poco, e altre volte intuisco ciò che vuoi da me, ma mi è comodo far finta di non aver capito.

So, però, che con Te non si può giocare a nascondino e, davanti alla tua domanda di scegliere Te o gli idoli, di accettare una Comunione Eucaristica che mi cambi, sai benissimo che a livello di testa, di ragionamento ti dico di sì, poi c’è la mia povera volontà e il quotidiano che spesso non corrispondono e allora, fidandomi non di me ma di Te, ti rispondo come Pietro: Signore, da chi andremo?

Le cose mi soddisfano parzialmente, le filosofie il più delle volte sono maschere messe a se stessi per nascondersi ancora di più problemi e realtà, la scienza, pur progredendo lascia capire quanto poco conosce, le religioni spesso sono forme di potere mascherato, i nuovi profeti sono solitamente venditori di fumo e imbonitori… Dove lo trovo un altro che mi parla di Bontà di Dio Padre, che mi fa partecipe del progetto stesso di Dio, che continua a darmi fiducia, nonostante i miei reiterati errori, dove lo trovo un Dio che per dirmi che mi vuol bene si fa pane e si fa mangiare da me per dirmi che "chi mangia questo pane ha la vita eterna"?

Per noi può essere difficile scegliere Te, ma per Te non è stato difficile scegliere noi, amarci e morire in croce non perché eravamo bravi, ma mentre eravamo peccatori e sapendo che molti non avrebbero neppure apprezzato quello? Solo il tuo immenso amore ha potuto questo!

E allora, Signore non voglio né andarmene, né andare da nessun altro.

Ho bisogno delle tue parole di vita eterna.

Corri, per favore, ancora una volta il rischio di tenere con Te uno che vorrebbe amarti con tutto il cuore, ma che sa di essere terribilmente debole".

 

 

LUNEDI’ 28

Sant’Agostino; Santa Adelina

Parola di Dio: 2Tes. 1,1-5.11-12; Sal. 95; Mt. 23,13-32

 

"GUAI A VOI, SCRIBI E FARISEI IPOCRITI CHE CHIUDETE IL REGNO DI DIO DAVANTI AGLI UOMINI". (Mt. 23,13)

Ho incontrato persone in cui ho visto la grazia di Dio operare. Persone in cui Dio, per strade molto diverse (incontri, sofferenze, esperienze) ha preparato e fatto gustare l’incontro con Gesù. Ho allora visto qualcuno veramente gioioso, entusiasta.

Sapete, per queste persone, qual è la difficoltà più grande? E’ quella di incontrarsi con comunità cristiane tristi, annegate in schemi e norme, incontrarsi con preti mestieranti, privi di umanità, sempre pronti a condannare.

Ricordo il caso di una signora che conobbi in seguito ad una grande prova subita nella sua vita, lontana dal cristianesimo per cultura, seppur battezzata, ma seria nella sua ricerca. Il Signore l’aveva dotata di grandi valori umani e proprio attraverso l’esercizio di questi la portò ad incontrare Gesù. Molte volte parlammo a lungo proprio di Gesù e di fede più che di norme religiose. Un bel giorno decise di incontrare, forse per la prima volta in vita sua, la misericordia del Signore attraverso il Sacramento della Penitenza e, anche per un senso di riconoscenza a Maria che era stata una figura che l’aveva portata a Gesù, si recò in un grande santuario mariano della nostra città. Ne tornò a casa sconvolta: era andata per incontrare Gesù misericordioso, aveva incontrato un prete burbero, inquisitore, incapace di capire il cammino di fede e anche le difficoltà di quella persona neofita davanti al sacramento, e si era sentita dire alla fine: "Non le do l’assoluzione perché non si è preparata bene, non conosce le preghiere, e non ha fatto l’esame di coscienza sui comandamenti e sui precetti della chiesa".Ma, anche nelle nostre comunità cristiane come è difficile, ad esempio entrare a far parte di un gruppo già formato dove, mentre magari esternamente ti blandiscono, sei poi guardato con diffidenza e con superiorità e, se proprio insisti, devi prima di tutto far atto di accettazione dei maggiorenti del momento. Ricordiamo sempre che il comando di Gesù per tutti è di andare a predicare il Regno, non quello di mettere paletti, barricate, cavalli di Frisia perché nel regno vi entrino solo quelli ‘buoni’, come noi: se così fosse si correrebbe il rischio di trovare quel tipo di regno vuoto!

 

 

MARTEDI’ 29

Martirio di San Giovanni Battista

Parola di Dio: Ger. 1,17-19; Sal70; Mc.6,17-29

 

"GUIDE CIECHE CHE FILTRATE IL MOSCERINO E INGOIATE IL CAMMELLO". (Mt. 23,24)

Anche se oggi, festa del martirio di Giovanni il Battista, ci viene raccontata nel Vangelo di Marco la storia della sua crudele uccisione, preferisco continuare con voi l’esame di coscienza che la lettura del capitolo 23 ci sta facendo fare e vi propongo due episodi raccontati da Pronzato in uno dei suoi tanti libri:

 

Il parroco di un paesino di montagna – un religioso munito di barba fluente - si lascia andare all’ennesima tirata contro le inadempienze religiose dei suoi parrocchiani. E’ diventato ormai un vezzo, e la gente comincia a mugugnare, anche perché non tutti i lagni del reverendo padre appaiono giustificati.

Stavolta aggiunge un elemento che ha il sapore del ricatto:

"Se continuate così, badate che posso anche fare le valigie e andarmene".

A questo punto lei – una vecchietta vivace – non si trattiene più. Si alza in piena assemblea eucaristica e, col tono più pacato possibile, replica:

"Senta, padre, se proprio vuole andarsene, nessuno la trattiene, anche se ci rincresce. Deve soltanto vedersela con i suoi superiori. Ma smetta, per favore, di lamentarsi. A noi donne dice di sopportare i mariti anche quando sono intrattabili, quando tornano a casa ubriachi ed escono certe cose da quelle boccacce… E allora, pure lei cerchi di avere pazienza con noi, anche se non siamo come pretende. Ci dia per primo l’esempio in questo…"

 

Ed ecco un secondo esempio, questa volta in positivo.

Una madre si recò dal grande Gandhi dicendosi preoccupata per la propria figlia, che aveva contratto la pessima abitudine di abbuffarsi di dolci. Lo scongiurò:

"Ti prego, Mahatma, parla tu con mia figlia in modo da persuaderla a smettere con questo vizio. Accetti?".

Gandhi rimase un attimo in silenzio, un po’ imbarazzato, poi concluse:

"Riporta qui tua figlia fra tre settimane, e allora io parlerò con lei. Non prima".

La donna se ne andò perplessa, ma senza replicare. Tornò come era stato convenuto, tre settimane dopo, rimorchiandosi dietro la figlia golosa, insaziabile.

Stavolta Gandhi prese in disparte la ragazza e le parlò dolcemente, con parole semplici e assai persuasive. Le prospettò gli effetti dannosi che possono causare troppi dolci. Quindi le raccomandò una maggior moderazione.

La madre, allora, dopo averlo ringraziato, nell’accomiatarsi, gli domandò:

"Toglimi una curiosità, Mahatma… Mi piacerebbe sapere perché non hai detto queste cose a mia figlia tre settimane fa…".

"Tre settimane fa", rispose tranquillamente Gandhi, "il vizio di mangiare i dolci ce lo avevo anch’io".

 

 

MERCOLEDI’ 30

San Felice

Parola di Dio: 2Tes. 3,6-10.16-18; Sal. 127; Mt. 23,27-32

 

"GUAI A VOI SCRIBI E FARISEI IPOCRITI CHE RASSOMIGLIATE A SEPOLCRI IMBIANCATI". (Mt. 23,27)

Si conclude oggi la lettura del duro discorso di Gesù contro ogni forma di ipocrisia religiosa. Se dobbiamo tirare alcune conclusioni, penso che dobbiamo ringraziare Gesù soprattutto per la sua chiarezza: un certo modo ipocrita di pensare, tipico metodo di certa chiesa, dice che i panni sporchi vanno lavati in casa, ed ecco allora tutti pronti a nascondere "scandali" per il bene dei piccoli, per salvare il buon nome, sembra quasi che di certe cose se ne possa solo parlare di nascosto, per pettegolezzo, mai apertamente.

Gesù non ha paura di buttarci in faccia i nostri errori; non per questo ci ama di meno, anzi!

E’ il peccato, l’errore, la stupidità che sta alla base di ogni ipocrisia.

L’ipocrisia è farci vedere diversi da quello che si è, è nascondere la verità, e cercare di ammaestrarla a nostro uso e consumo. E questa è la cosa più stupida che l’uomo possa fare in quanto non è perché io dico una determinata cosa, magari anche ammantandomi di potenza e di autorità, che di conseguenza l’autorità cambi. La verità è una e una rimane!

Con l’ipocrisia, poi, posso cercare di ingannare gli altri, e spesso ci riesco, specialmente dove manca il senso critico, dove si dà per assodato che l’autorità di certe persone sia intoccabile, dove scientemente si fa passare per legge divina ciò che è solo umano ed opinabile.

Ma, alla fine, se hai ingannato gli altri, che cosa hai ottenuto? Se hai ottenuto che ti battessero le mani per un certo periodo, sta sicuro che quando arriverà uno più ipocrita di te, ti lasceranno per battere le mani a lui. E poi, all’interno della Chiesa, in che cosa dovrebbe consistere il potere? Nel saperci servi e per di più anche "servi inutili".

Ancora, l’ipocrisia è la più grande stupidaggine perché forse puoi ingannare qualcuno, se sei proprio stupido qualche volta puoi ingannare te stesso, ma Dio no, non lo inganni mai; con Lui sono inutili le maschere, Lui ti conosce come sei.

Il danno dell’ipocrisia, alla fine, è soprattutto tuo, perché Dio ratifica le tue scelte e se hai cercato la maschera essa impedirà per l’eternità che ne emerga il tuo volto e Gesù è venuto a salvare delle persone, non dei burattini per di più mascherati.

 

 

GIOVEDI’ 31

San Raimondo Nonnato; Sant’Aristide

Parola di Dio: 1Cor. 1,1-9; Sal. 144; Mt. 24,42-51

 

"VEGLIATE PERCHE’ NON SAPETE IN QUALE GIORNO IL SIGNORE VOSTRO VERRA’ ". (Mt. 24,42)

Ricordo come certe prediche di esercizi spirituali oltre che magari spaventarti, ti lasciavano di stucco. Il predicatore, servendosi pure di qualche esempio di morte improvvisa ti buttava lì: "E se il mondo finisse adesso, che cosa faresti? Continueresti la tua vita come se niente fosse, oppure…"

Lasciando da parte i facili moralismi, quelli che vorrebbero cambiare modo di vita, vuol dire che condannano la loro vita presente.

Eppure noi sappiamo da Gesù che il giudizio finale non è un avvenimento lontano. Avete visto che nel brano odierno Matteo non parla tanto di cataclismi, ma di qualche cosa che avviene nell’ordinario, anzi Gesù sembra quasi insinuarsi tra noi come un ladro, quindi Gesù non è visto come un giudice che verrà nell’ultimo giorno ad esigere conti, ma come qualcuno che è già nella nostra vita e che chiede a noi di essere quotidianamente giudici del nostro comportamento nei suoi riguardi.

Il giudizio quindi avviene continuamente, non bisogna attenderlo, bisogna affrontarlo: ecco il senso della vigilanza. La nostra eternità è già cominciata, ogni istante della nostra vita ha un valore infinito. E’ adesso che posso incontrare, amare Cristo, è adesso che posso essere salvato da Lui, è il presente che eterna un mio atto di amore per i fratelli.

Per tornare alla domanda iniziale e porla in modo più corretto: "Se dovessi morire questa sera che cosa mi porterei dietro di ‘eternato’?" I miei rapporti con la natura, con mia moglie, con mio marito, con i poveri… Tutto questo durerà in eterno così come lo sto vivendo, ecco perché è importante stabilire delle relazioni che possano durare per sempre.

Diceva Gabriel Marcel che morire significa aprirsi a ciò che si è vissuto in terra; quindi il mio futuro è eternizzare ciò che sto vivendo: pensiamoci bene!

     
     
 

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