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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

LUGLIO 2000

SABATO 1

Parola di Dio: Is. 61,10-11; Salmo da 1Sam 2,1.4-8; Lc.2,41-51

 

Cuore Immacolato di Maria; Santa Ester; San Secondino

"MA ESSI NON COMPRESERO LE SUE PAROLE…

SUA MADRE SERBAVA TUTTE QUESTE COSE NEL SUO CUORE". (Lc. 2,50.51)

Per cercare di capire quanto grande e materno sia il Cuore di Maria ci possono venire in aiuto queste due frasette del Vangelo della perdita e del ritrovamento di Gesù nel tempio di Gerusalemme. Maria, dopo un giorno di viaggio per tornare a casa dopo il pellegrinaggio, si accorge che Gesù non è nella carovana dei nazaretani. Con Giuseppe torna indietro e trova Gesù nel Tempio. Al suo rimprovero per la ‘scappata’ di Gesù, per la paura della sua ricerca, si sente rispondere ‘male’: "Non sapete che devo occuparmi delle cose del Padre mio?". E, allora, Maria e anche Giuseppe "non capiscono". Qualcuno si è scandalizzato di questa frase e qualche teologo, madonnaro bigotto, ha fatto di tutto per nasconderla dietro interpretazioni artefatte e fasulle. Il Cuore di Maria non capisce! Una Madre che non ritrova il Figlio e lo cerca per "tre giorni" (non ci sarà un riferimento alla sofferenza di Abramo che cammina per tre giorni nel mistero e nel dolore di un Dio che gli sta chiedendo di sacrificargli il suo unico figlio, oppure ai tre giorni di buio prima della risurrezione?) è una madre angosciata e, pur essendo familiare con Dio è pur sempre a contatto con un mistero più grande di Lei. Per ora Maria è al buio come tutti noi. Ma la parola scomoda, dura, buia, non viene rigettata, rimossa, ma accolta, custodita ("serbava queste cose nel suo cuore"), viene meditata, fatta oggetto di adorazione. Ci saranno nella vita di Maria altre frasi, altri episodi da incastonare con questa frase. Frasi e episodi che a volte illuminano e a volte fanno piombare anche di più nel mistero. Maria è proprio "una di noi", infatti, anche a noi succede così. Ci sono nel Vangelo frasi ed insegnamenti difficili. Noi vorremmo spiegarci tutto per filo e per segno, oppure vorremmo sbarazzarcene con il pretesto che sono incomprensibili. No. Bisogna accettare certe difficoltà, certe parole estranee alla nostra mentalità, ai nostri gusti, ai nostri schemi. Per camminare abbiamo bisogno anche delle difficoltà, dei momenti di buio. Sono lo stimolo per andare avanti. Sono quel muro contro il quale cozzare per ricordarci che siamo piccoli. Il cuore di Maria ha conservato la luce di Gesù, l’amor di Dio ma anche il suo mistero e dolore. E’ l’insieme di questi ingredienti che lo ha reso un cuore così grande, capace di accogliere Dio e con Lui tutti i suoi figli.

 

 

DOMENICA 2

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  -  Sant’ Ottone

Parola di Dio: Sap. 1,13-15; 2,23-24; Sal. 29; 2 Cor. 8,7-9.13-15; Mc.5,21-43

 

1^ Lettura (Sap. 1,13-15; 2,23-24)

Dal libro della Sapienza.

Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l'esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse non c'è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia è immortale. Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono.

 

2^ Lettura (2 Cor. 8,7.9.13-15)

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, come vi segnalate in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest'opera generosa. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: Colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno.

 

Vangelo (Mc. 5, 21-43)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: "La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva". Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita". E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: "Chi mi ha toccato il mantello?". I discepoli gli dissero: "Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?". Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: "Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male". Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: "Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?". Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: "Non temere, continua solo ad aver fede!". E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato, disse loro: "Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme". Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina.Presa la mano della bambina, le disse: "Talità kum", che significa: "Fanciulla, io ti dico, alzati!". Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.

 

RIFLESSIONE

 

Come credenti e cristiani ci saremo fermati molte volte a riflettere sul senso della fede.

Probabilmente, se siamo abituali frequentatori di ritiri o di esercizi spirituali avremo sentito dotti teologi dissertare ampiamente su questo tema, ma penso che gli interrogativi e anche le risposte su questo argomento ci siano venute soprattutto dalla esperienza. Esperienze magari difficili della fede che si scontra con la presenza del male e del dolore o esperienze di incontri con persone di fede profonda o con altre di fede apparente.

Gesù, nel Vangelo, a parte il fatto di chiedere abitualmente fiducia in Lui, nel Padre e nello Spirito Santo, non ci spiega a parole che cosa sia la fede, ma ce la fa vedere operante nella sua persona. Pensate anche solo alla preghiera nell’orto degli ulivi: "Padre, non la mia ma la tua volontà sia fatta", o alle sue ultime parole sulla croce: "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito"… Poi, sempre attraverso i fatti, ci indica anche il cammino per arrivare alla fede.

Il Vangelo che abbiamo letto oggi è emblematico in questo.

Il racconto di due miracoli si interseca, ma il loro significato profondo è unico: si arriva all’incontro con il Dio della vita che guarisce e risuscita attraverso un cammino di fede che, pur essendo personale, ha delle tappe ben precise.

Guardando ai due esempi odierni sembra che la fede parta dall’esperienza della sofferenza: questo padre sta vedendo morire sua figlia, questa donna da dodici anni convive con una malattia.

Non vuol dire che la sofferenza, il dolore portino direttamente alla fede; anche essi, come tutto sulla terra, sono ambivalenti, possono portare alla fede, come alla disperazione.

Le prove sono una occasione (se abbiamo occhi ce ne sono molte altre) in cui noi possiamo renderci conto della nostra finitezza e della nostra incapacità di dare, da soli, una risposta compiuta ai nostri interrogativi esistenziali.

Davanti alla figlia che muore, quel padre, pur essendo un uomo di religione (era uno dei capi della sinagoga) prova tutta la sua impotenza, e quella donna che le ha tentate tutte per dodici anni spendendo inutilmente soldi in medici e medicine, sa di non poter ottenere la guarigione da sola o con le sole risorse della scienza.

Finché penso di bastare a me stesso, di trovare nella ragione o nella scienza tutte le risposte al mio essere e al mio vivere, non sento il bisogno di Dio.

Oggi gran parte del mondo tende a farci credere questo:

"Hai dei bisogni? Con il denaro puoi comprare tutto quello che ti serve. La scienza e la medicina hanno allungato la vita… Qualche piccola modifica al codice genetico ed avremo il superuomo…"

E poi scopro che posso comprare quasi tutto ma non la felicità, scopro che non me ne faccio niente di una statistica che mi dice che il 70% della popolazione può aspettarsi di vivere dieci anni di più ma che non mi dice se io farò parte di quel 70%, e tutte queste manipolazioni genetiche mi fanno inorridire perché finiscono e finiranno sempre nelle mani dei ricchi e dei potenti.

L’uomo è grande per quello che ha dentro, ma è estremamente piccolo, debole, mortale; l’uomo da solo non ha senso; la storia dell’uomo, nel suo insieme è una storia di imbecillità enormi e di autodistruzione (pensate solo alle guerre); l’uomo si crede padrone dell’universo ed a mala pena è arrivato alla luna, è signore della scienza ed un piccolo virus può ucciderlo.

Capite allora che non è la sofferenza per la sofferenza che lo può portare a guardare in alto ma è la consapevolezza della propria realtà.

Ma come accostarci a Colui che può guarirci?

Le strade sono diverse: quel padre si reca da Gesù magari tra gli sguardi di commiserazione dei suoi colleghi della sinagoga. Par di sentire certi sapientoni cristiani: "Che bisogno c’è di andare a Lourdes per chiedere una grazia, quasi che Dio e la Madonna le facciano solo in Francia!".

Questo padre chiede anche con autorità e con fermezza, senza mezzi termini e senza tanti ‘per piacere’: "Vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva". E Gesù accetta questo modo così deciso: "Gesù andò con Lui", anzi, quando vengono a comunicare al padre la morte della figlia sarà proprio Gesù a rincuorarlo e a chiedergli di non perdere la sua fede: "Non temere, continua solo ad aver fede"

Ma c’è anche un altro modo per accostarsi a "Colui che può guarire" ed è quello semplice, forse anche un po’ superstizioso di quella donna che ha talmente fiducia nella capacità guaritiva di Gesù da pensare che anche solo l’ombra del Maestro o il tocco della frangia del suo mantello la possa guarire, ed ecco allora quel suo gesto furtivo, quasi da ladra.

I modi per accostarsi alla fede possono essere molto diversi.

C’è chi si rivolge a Dio pregando, chi urlando, chi con grande dignità, chi con mezzi che ad altri possono sembrare superstiziosi ma, se dietro a qualunque di questi gesti c’è davvero la persona che si rivolge a Lui, statene certi che Dio lo ascolta.

Proviamo a scorrere alcune pagine del Vangelo: le lacrime della vedova di Naim toccano e commuovono Gesù; il desiderio di vedere Gesù che porta Zaccheo a salire su una pianta lo fa incontrare con Lui; la forma quasi ironica che la Samaritana mette nel suo dialogare con il Maestro la porterà a diventare testimone di Lui; l’insistere e il non lasciarsi smontare da Gesù che la tratta da cane infedele fanno si che quella straniera possa ottenere la guarigione della figlia… Anzi, sono proprio questi diversi modi di manifestare la fiducia piena in Lui che permettono il miracolo: "Avvenga secondo la tua fede", "La tua fede ti ha salvato".

E ancora una cosa mi sembra estremamente importante nel Vangelo di oggi.

La fede è un qualche cosa di molto profondo, di molto personale, intimo, che non ha bisogno di folle, di piazzate.

La donna malata è sì in mezzo alla folla che si stringe attorno a Gesù, ma il suo toccare furtivo è percepito personalmente da Gesù.

Per fare il miracolo di risurrezione della figlia di Giairo Gesù "caccia fuori tutti".

Non è la massa che conta. Non sono i ritualisti della morte che esprimono la fede. La fede non è mai urlata. Quando la fede monta sul palcoscenico non è più fede, ma ipocrisia; quando si contrabbandano gesti di piazza come gesti di fede, si fa il peggior servizio alla fede; quando si seguono le mode, quando si fa salotto sulla fede, quando certa chiesa si fa giovanilista per stare con i giovani ma non sa svecchiarsi dentro, è tutto fumo, quando ci si riempie la bocca di chiacchiere sulla fede, vuol dire che si sta parlando d'altro.

L’episodio della risurrezione della figlia di Giairo termina con una raccomandazione che può sembrare curiosa da parte di Gesù: "Ordinò di darle da mangiare".

Gli esegeti si sbizzarriscono: qualcuno dice che è una battuta ironica di Gesù: "Per uno che viene dalle regioni della morte non c’è niente di meglio che una buona tavola per fargli apprezzare la vita"; qualcun altro dice che questa frase è detta per dimostrare la concretezza del miracolo. Non sarà forse anche che sotto sotto Gesù vuol dire a noi: "Se vuoi che la tua fede ci sia, cresca, ricordati di darle da mangiare tutti i giorni".

 

 

LUNEDI' 3

San Tommaso

Parola di Dio: Ef. 2,19-22; Sal. 116; Gv. 20,24-29

 

"BEATI QUELLI CHE HANNO VISTO E CREDUTO". (Gv. 20,29)

Oggi, festa di San Tommaso apostolo, ritroviamo nel Vangelo una beatitudine che a prima vista va contro un nostro modo abituale di intendere. Noi infatti diremmo, con un pizzico di invidia: "Beati quelli che erano là. Che hanno visto e toccato perché così sono sicuri!". Noi, infatti, come Tommaso, ci vantiamo di essere dei razionalisti materialisti. Eppure, mentre diciamo questo siamo già in contraddizione con noi stessi; infatti abbiamo formulato un pensiero, e chi l’ha mai visto e toccato un pensiero? Eppure esso esiste; tutto ciò che c’è di grande nella storia dell’uomo fu fatto dal pensiero. Come dunque si può dichiarare di credere solo a ciò che si vede? Noi crediamo alla giustizia, alla verità, per esse siamo disposti anche a batterci, ma che aspetto ha la giustizia? Di che colore è la verità? Domande assurde: nessuno ha mai visto giustizia o verità. Le cose grandi e care spesso non cadono direttamente sotto il dominio dei sensi. Qualcuno dice: "Ah, Dio, se lo vedessi, se lo toccassi, se mi desse dei segni concreti!…"

I segni ci sono, ed anche grandi e quotidiani, ma se non c’è la fede a comprenderli, non servono a nulla. Pensiamo: all’epoca di Gesù quanti lo hanno visto e toccato, ma quanti hanno avuto fede in Lui? Dov'erano tutti i miracolati di Gesù quando la folla gridava: "A morte, a morte!"? I Sommi Sacerdoti, gli scribi e i farisei avevano davanti Cristo in Croce eppure non solo non lo riconoscono ma lo beffano chiedendo ancora un segno: "Se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce e ti crederemo". Segno di Dio è la creazione, sono io stesso vivente, è la storia della salvezza; siamo quotidianamente immersi nel miracolo, ma se dietro non c’è la fede che ci dà occhi per leggere questi eventi, essi, da soli, fisicamente, non si impongono. I sensi servono, ma bisogna saper andar oltre e per fare questo bisogna affidarsi alla fede. L’unica che abbia la chiave del tuo cuore, della natura e del cuore di Dio stesso.

 

 

MARTEDI’ 4

Santa Elisabetta del Portogallo; Beato Piergiorgio Frassati

Parola di Dio: Am. 3,1-8; 4,11-12; Sal. 5; Mt. 8,23-27

 

"ED ECCO SCATENARSI UNA TEMPESTA COSI’ VIOLENTA CHE LA BARCA ERA RICOPERTA DALLE ONDE; ED EGLI DORMIVA". (Mt. 8,24)

La paura e il dolore, le prove e le sofferenze non piacciono a nessuno e allora, ecco da sempre, la lotta dell’uomo per vincere il dolore, dominare le malattie, cerca di dar pace agli animi. Se questo è un bene, è un usare i doni che Dio ci ha dato per migliorare il mondo e la natura, spesso l’uomo, esasperando questa ricerca, si illude di riuscire ad eliminare ogni male. Invece la realtà dell’uomo, i nostri stessi cromosomi ne parlano, è una realtà impastata di gioie e di amarezze, di bene e di male, di forza e di debolezza, di luce e di buio, di materia e di eternità. Vivere è assaporare questa realtà: provare il gusto di esistere, di amare, di donare, servire, conoscere, scegliere e anche provare la tristezza della solitudine, dell’inutilità, dell’ignoranza, della paura, del dolore…

L’episodio della barca e della tempesta che Matteo ci ha proposto oggi, secondo me è un bellissimo paragone della nostra vita.

Siamo stati chiamati al viaggio della vita non per merito nostro e abbiamo imbarcato con noi Gesù non per merito nostro. Non sono io che ho scelto di vivere, la vita mi è stata donata. Non sono io che ho scelto Gesù (se nascevo in Cina, magari non lo conoscevo neppure!) ma è Lui che mi ha chiesto un passaggio.

Il viaggio pareva calmo, nulla faceva presagire la tempesta, eppure i bravi pescatori sanno che il mare e il cattivo tempo possono sempre essere in agguato. Nessuno la voleva quella tempesta che squassa la mia famiglia, quella sofferenza mortale e apparentemente senza senso. Mi accorgo di essere debole, su un guscio di noce, in balia dello scatenarsi di forze che mi spaventano e sono più forti di me.

E lui dorme! Si deve avere un grande equilibrio o un grande sonno per riuscire a dormire in situazioni come questa!

Il suo sonno non è certo quello dello stoico indifferente. Un Gesù che piange davanti alla sofferenza altrui o che suda sangue e grida forte davanti alla propria non è certamente uno che passivamente subisca. Non è neanche un Dio che una volta creato tutto se ne lava le mani, se no, che sarebbe venuto a fare sulla terra?

Sembra assurdo allora: Gesù dorme perché spera che qualcuno lo svegli! Gesù vuol far crescere la nostra fede, vuole che ci accorgiamo di non essere in grado, pur con tutta la nostra esperienza, di governare la nostra vita da soli. Ma vuole anche che ci accorgiamo di chi c’è con noi. Non trasportiamo il cadavere di un Dio da servire solo con il formalismo di una religione ufficiale, trasportiamo il Dio vivo, Colui che può ‘sgridare’ la tempesta, il mare, il vento.

Provate a pensare all’assurdo: Gesù, dormendo, vuole svegliare noi che siamo svegli, ma solo perché noi, poi, andiamo a svegliare Lui, l’unico che può aiutarci o calmando la tempesta o dandoci la capacità di vivere bene anche il momento della tempesta.

 

 

MERCOLEDI’ 5

Sant’Antonio Maria Zaccaria; Santa Filomena

Parola di Dio: Am. 5,14-15.21-24; Sal. 49; Mt. 8,28-34

 

"DUE INDEMONIATI GLI VENNERO INCONTRO". (Mt. 8,28)

Quando qualcuno, magari con un sorriso di ironia, mi chiede se credo al diavolo, di solito rispondo che purtroppo, umanamente, mi è persino più facile credere al diavolo che credere in Dio. Certo: perché lo vedo e lo incontro quotidianamente attorno a me e in me. Non è questione di avere visioni o di vivere in una forma di magismo e neanche questione di estremizzare la presenza del male e del bene mettendosi comodamente seduti per assistere alla lotta. Non è neanche questione di vedere indemoniati o posseduti da tutte le parti (nella mia piccola esperienza qualche raro indemoniato penso di averlo incontrato, ma sono pochi; il più spesso l’isteria, i sensi di colpa, le malattie psicofisiche facevano il resto), ma l’opera del male nell’uomo è incontestabile. Quando sento di migliaia di siti Internet dedicati alla pedofilia non posso non vedere il male che possiede ed opera attraverso le persone; quando vedo la cattiveria operare e creare sofferenze e divisioni, ferite, mi è facile vedere l’opera del male, come quando vedo uomini posseduti dal denaro che a questo sacrificano la propria dignità, il sudore e l’onesta fatica del prossimo, i valori familiari, non posso non pensare al male personificato che opera. Quando vedo facce di politici con sorrisi da cinema scope e voci melliflue e suadenti che parlano "per il bene del popolo", si fanno passare per "unti di Dio" e contemporaneamente sono venduti al successo, al denaro, al potere e alle massonerie, non posso non vedere l’opera di qualcuno che non ci lascia liberi.

E’ terribilmente facile vedere l’opera del male in chi ha operato affinché sei milioni di persone finissero nelle camere a gas, ma chi è che oggi piange per i 30-40 milioni di persone che ogni anno muoiono di fame? E il male non è forse anche entrato nei meccanismi della Banca Mondiale che con le sue scelte garantisce e protegge il 20% della popolazione mondiale ricca che si riempie la pancia con quello che servirebbe anche all’ 80% che non raggiunge il sufficiente? (e io e voi e la gran parte dei cristiani sulla terra sono in quel 20%!) Dunque, anche qui, non fermiamoci a guardare un male lontano che opera solo nei grandi. Quanti soldi inutili ho speso quest’anno e quanto ho speso per aiutare i miei fratelli? Quante chiacchiere ho fatto e quante parole buone ho detto? Gesù è venuto per liberarci dal male, ma noi abbiamo voglia di essere liberati? E già, perché c’è un costo per essere liberi: c’è quella mandria di porci (un grosso valore economico) che va a finire nel lago… e, allora, forse è meglio, con buone parole, con qualche sorriso e con qualche spinta, dire a Gesù che si allontani.

 

 

GIOVEDI’ 6

Santa Maria Goretti; Sant’Isaia

Parola di Dio: Am. 7,10-17; Sal. 18; Mt. 9, 1-8

 

"CORAGGIO, FIGLIOLO, TI SONO RIMESSI I TUOI PECCATI". (Mt. 9,2)

Pochissime parole quelle di Gesù rivolte al paralitico, ma quali parole più dolci e forti potrebbero esserci anche per me, paralitico della fede?

A cicli, nella Chiesa, ritorna la tentazione che consiste nel cercare di scuotere gli indifferenti con le minacce e con le paure. Leggevo in questi giorni una serie di prediche di fine ottocento dove predicatori famosi (anche santi famosi), minacciavano piaghe, fiamme dell’inferno, vendette divine sui peccatori e mi ritornavano in mente le notti di paura quando, bambino di undici, dodici anni, predicatori ed educatori a dir poco sadici ci spaventavano alla fine degli esercizi spirituali con le prediche sul purgatorio e sull’inferno dove, nella tua ingenuità vedevi bollire anche parenti cari solo perché magari un po’ grassocci nel parlare o perché ogni tanto si lasciavano scappare qualche: "Zio…".

"Coraggio!". Il male che c’è in me, purtroppo, lo conosco. Non sono gli esami di coscienza di preti che conoscono bene il male (ma quasi sempre solo quello degli altri) che mi rendono più consapevole dell’egoismo che c’è in me.

E le minacce dell’inferno possono farmi paura ma non mi fanno sentire più amato o più capace di amore. Che bello, invece, sentirsi incoraggiati, sentire che Dio non ha perso la fiducia in te, che Lui sa e crede che tu puoi farcela. Quando a scuola ero un asino in latino non mi è mai servito il fatto che il mio "educatore" mi facesse saltare le merende; mi sarebbe servito qualcuno che mi avesse detto che forse avrei potuto farcela anch’io.

"Figliolo". Se sono figlio, anche se prodigo, continuo a sentire la nostalgia del Padre, del bello e del buono che c’è nella sua casa. Se Dio è solo il giudice terribile, non ho nessuna voglia di incontrarlo!

"Ti sono rimessi i tuoi peccati". Dio mi perdona, Lui che il male lo ha vinto con l’amore crocifisso di Gesù, fa piazza pulita, cancella, dimentica, ricomincia da capo, si fida di me e questo non per scherzo. Quando Dio dice una parola questa è definitiva, per sempre.

Se tutti noi, preti che amministrano il Sacramento e penitenti che vanno a confessarsi, avessimo capito il significato di queste parole: "Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati", con quanta più serietà e serenità vivremmo il Sacramento del perdono!

 

 

VENERDI’ 7

San Claudio; San Nicostrato

Parola di Dio: Am. 8,4-6.9-19; Sal. 118; Mt. 9,9-13

 

"VIDE UN UOMO CHIAMATO MATTEO, SEDUTO AL BANCO DELLE IMPOSTE E GLI DISSE: SEGUIMI! ED EGLI SI ALZO’ E LO SEGUI’ ". (Mt.9,9)

Matteo, l’autore del Vangelo che stiamo leggendo in questo periodo, è uno che può parlare con verità ed autorevolezza di Gesù perché ha sperimentato la sua chiamata, il perdono, la gioia di poterlo seguire, e ricorda bene quanto è avvenuto in quel momento.

Egli inserisce l’episodio della sua chiamata in un contesto dove racconta una decina di miracoli di guarigione. Il miracolo genera sempre un cambiamento, per questo il più grande miracolo è sempre una conversione e Matteo annovera la sua tra i racconti di miracoli perché sa quanto la chiamata inattesa, sconvolgente, entusiasmante del Cristo sia stata per lui fonte di guarigione, di trasformazione, di illuminazione. Era cieco, molto più cieco dei ciechi fisici perché il suo orizzonte si limitava al denaro; era paralizzato, inchiodato al suo tavolo, al suo mestiere, al suo ambiente, eppure è riuscito ad alzarsi e a seguirlo. Era lebbroso, intoccabile per i suoi compatrioti, era muto, incapace di pregare, di cantare, di ringraziare, incapace di gioia vera.

Incapacità e peccati, mali e ricchezze disoneste: è stato liberato di tutto allo stesso tempo per cominciare una vita nuova. Ed ecco i frutti della sua conversione: immediatamente diventa apostolo, invita i suoi vecchi amici per comunicare loro la sua scoperta, per far conoscere loro Colui che è capace di guarirli come ha guarito lui; e così il primo apostolato si esercita in un banchetto, in una festa. E noi, qualche volta, come quei farisei, storciamo il naso: "Una festa di peccatori non si confà alla serietà della religione! Il sacro mischiato al profano: quale orrore!".

Quando la pensassimo così saremmo dei perfetti Farisei. Ma il fariseo è l’uomo della giustizia che non può sopportare Gesù che è l’uomo del perdono. Per me suona ogni giorno la chiamata del Signore che vuole schiodarmi dal mio banco di abitudini (cattive e anche buone ma senz’anima). Se la festa, la gioia è entrata in me, vuol dire che ho accolto il suo perdono, che so di essere un ‘miracolato’. Se tutto è ancora nella tristezza come prima, vuol dire che non ho incontrato Cristo, non ho sentito la sua voce, l’ho lasciato andar oltre senza alzarmi per seguirlo.

 

 

SABATO 8

Santi Aquila e Priscilla

Parola di Dio: Am. 9,11-15; Sal. 84; Mt. 9, 14-17

 

"PERCHE’, MENTRE NOI E I FARISEI DIGIUNIAMO, I TUOI DISCEPOLI NON DIGIUNANO?". (Mt. 9,14)

A questa obiezione fatta dai soliti garanti dell’ortodossia e della religione spesso esteriorista ed ipocrita, Gesù aveva già risposto molte volte e in molti modi. C’era già tutto l’Antico Testamento e specialmente i profeti, con le loro invettive, avevano messo in guardia contro certi digiuni "fatti tra alterchi e provocazioni". Gesù aveva invitato a riscoprire il digiuno come atteggiamento profondo e interiore per entrare in comunicazione con Dio: "quando digiuni profumati il capo", cioè non farti vedere, non sentirti buono, separato dagli altri, non cercare il premio dell’approvazione degli uomini…

Ma Gesù, invece di usare queste risposte, qui porta un’altra motivazione: non si può essere tristi in compagnia dello sposo, alle nozze. Se sei stato invitato a nozze non puoi andarci come se si trattasse di un funerale; non si va ad un banchetto di festa per fare digiuno. Anzi, Gesù dice che il credente avrà molte occasioni di digiuno quando lo sposo sarà tolto (e, credo, sono soprattutto i digiuni creati dai dubbi, dalle tentazioni, dall’apparente mancanza di corresponsione agli affetti, dalle incomprensioni, dalle paure…).

Gesù è la festa del mondo, Lui è lo sposo della nostra solitudine, il vincitore delle nostre paure, il liberatore dai nostri egoismi, la via per arrivare alla verità e alla vita, il Buon Pastore che ci cerca, ci chiama, ci conduce, la vite a cui rimanere legati per portare frutto, la roccia a cui ancorarci, la luce che viene ad illuminare ogni uomo, il fratello che dà la vita per noi.

Dio è dono, è festa. Non sei tu a comperarti Lui e il Paradiso attraverso qualche digiuno ipocrita. Dio non è un commerciante cui pagare con digiuni, candele o formule di preghiera. Dio è l’amante che dona gratuitamente se stesso, cioè l’Amore che dona Amore, e l’unico modo per dimostrare di aver capito questo è accogliere l’amore con gioia e riconoscenza.

 

 

DOMENICA 9

XIV^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  -  Santa Veronica Giuliani

Parola di Dio: Ez. 2,2-5; Sal. 122; 2Cor. 12,7-10; Mc. 6,1-6

 

1^ Lettura (Ez. 2, 2-5)

Dal libro del profeta Ezechiele.

In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava.

Mi disse: "Figlio dell'uomo, io ti mando agli Israeliti, a un popolo di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri hanno peccato contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: Dice il Signore Dio.

Ascoltino o non ascoltino perché sono una genia di ribelli sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro".

 

2^ Lettura (2 Cor. 12, 7-10)

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di Satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza". Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.

 

Vangelo (Mc. 6, 1-6)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: "Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?". E si scandalizzavano di lui. Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua". E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando.

 

RIFLESSIONE

 

Sembra abbastanza facile, dopo aver ascoltato le letture di questa domenica, collegare il rifiuto di Gesù da parte dei suoi concittadini, con l’indurimento del cuore che rende aspra e difficile la missione del profeta Ezechiele; insomma sembra proprio che il tema che ci viene proposto oggi sia il rifiuto, le contraddizioni, le angosce che incontra colui che incarna la presenza di Dio nel mondo.

Gesù proviene da Cafarnao, dove aveva compiuto numerosi miracoli.

La fama di questi miracoli lo aveva preceduto presso i suoi compaesani. Anch’essi forse si aspettano qualche segno grandioso.

Lì lo conoscono tutti, vi ha passato circa trent’anni, alcuni hanno giocato insieme a Lui da bambini, sono andati con Lui alla sinagoga, hanno conosciuto ed apprezzato il lavoro suo e di suo padre, conoscono tutti i suoi parenti e l’origine umile del suo ceppo familiare.

Noi ingenuamente penseremmo: "Gesù qui avrà sicuramente successo, gioca in casa!" E invece no, tranne qualcuno, la maggioranza non lo accoglie…

Come mai?

Non era certo un paese di atei o di gente più cattiva di quella di altri paesi. Certamente anche loro, come tutti gli ebrei, sognavano la venuta del Messia, aspettavano il Regno di Dio. E come mia proprio quando il Messia è venuto non sono stati capaci di riconoscerlo?

Eppure il Vangelo stesso dice che erano meravigliati e pieni di stupore sia per la dottrina che per i miracoli che Gesù aveva compiuto in precedenza.

Non lo accolgono perché "si scandalizzavano di Lui", cioè proprio a causa di Lui, della conoscenza che ne avevano non riuscivano a credergli.

Contro Gesù come maestro che porta un messaggio di liberazione, niente da dire; è proprio Gesù che fa difficoltà. Come si può credere ad un messaggio così grande, ad un Messia che si propone come Figlio di Dio quando Gesù lo conosciamo, conosciamo Maria, Giuseppe, i suoi parenti?

L’annunzio dunque non viene respinto perché troppo alto, troppo lontano, troppo difficile, troppo divino, ma al contrario proprio perché è così vicino, così semplice, perché arriva a noi in forma troppo umana, così umile.

Conseguenza di questo atteggiamento dei suoi compaesani è che Gesù, lì non poté operare molti miracoli perché il presupposto perché un miracolo avvenga è proprio la fede in chi opera il miracolo.

Ed è proprio in questo senso che Gesù ripropone il vecchio proverbio sui profeti respinti nella propria patria. Egli sa bene che quella reazione non è solo dei suoi compaesani o di tutto il popolo ebreo: è la reazione dell’uomo.

Anche oggi, molti nostri contemporanei sarebbero magari disposti a credere in un Dio che arriva attraverso esperienze straordinarie, che ci fanno uscire da quella che è la vita di ogni giorno, mentre invece trovano difficile credere in un Dio che ci viene incontro come uomo e attraverso uomini, attraverso le situazioni della vita a volte oscure e dolorose, un Dio che viene a noi sotto gli umili segni del pane Eucaristico, dell’assoluzione pronunciata su di me da un povero sacerdote, della parola che può dirmi un fratello, un Dio che viene a noi attraverso una Chiesa che per i suoi errori fa fatica a mostrarci il suo volto.

E allora la visita di Gesù fallisce, l’incontro sognato da Gesù non si realizza, l’episodio di Nazaret si ripete continuamente anche oggi.

Ma questo succede anche tra noi cristiani. Noi che dovremmo essere i suoi. Noi che portiamo il suo nome.

Dobbiamo confessare che anche tra noi Gesù "non opera molti prodigi", la sua parola spesso è trascurata, resa innocua e sterile. E questo succede "a causa della nostra incredulità".

I Nazaretani respingevano Gesù per i falsi pregiudizi contro di Lui, noi, spesso, pur conoscendolo, non lo prendiamo sul serio. Non osiamo e non vogliamo schierarci con decisione a suo fianco. Non ci fidiamo e tanto meno ci sentiamo di rischiare sulla sua parola… Conosciamo la parola del Signore e sappiamo che è una parola esigente. Se la prendessimo sul serio, dovremmo cambiare la nostra vita, i nostri criteri di giudizio, il nostro modo di pensare, gli atteggiamenti, i comportamenti. Sappiamo che sarebbe giusto e doveroso farlo ma ci costa troppo e preferiamo mantenere le nostre abitudini, anche molto discutibili.

Ci creiamo degli alibi.

Forse siamo anche scontenti e insoddisfatti, ma abbiamo fatto l’abitudine anche alla infelicità e siamo affezionati alle nostre schiavitù, in una parola: abbiamo il cuore indurito.

L’indurimento del cuore è la tipica situazione dell’uomo peccatore che neppure la Parola di Dio riesce a sanare.

Però "ciò che è impossibile agli uomini non è impossibile a Dio", Lui "può cambiare il cuore di pietra in un cuore di carne". Il cristiano che vive il mistero del male può rivolgersi fin da adesso a Dio per chiedere aiuto e soccorso perché Gesù prenderà su di se il peccato dell’uomo e con la sua morte e risurrezione renderà possibile la donazione del cuore nuovo, del suo Cuore che ci renderà capaci di accogliere Dio così com’è e non come noi lo abbiamo preconfezionato, che ci darà le ali dello Spirito per scoprire ogni giorno vie nuove di amore per Dio e per i fratelli.

Anche qui mi chiedo: come mai noi cristiani non abbiamo questa novità di vita, questa creatività gioiosa, questa fantasia nel realizzare i doni ricevuti?

Credo che sia dovuto al fatto di aver sclerotizzato il cuore nella religiosità artefatta, costruita a tavolino, legata a codici di comportamento stereotipi che si rifanno più alle società e al loro desiderio di potere che non al Vangelo.

Quando Dio deve rientrare nei nostri schemi religiosi, ci sta stretto o non ci sta per niente e noi, se non ci lasciamo fare da Lui, corriamo il rischio di aver fatto finta di crederci religiosi per tutta la vita e di non esserlo affatto, pensiamo di aver costruito il Regno di Dio e invece abbiamo fatto solo delle chiesuole.

Il mistero dell’iniquità è grande e ci tocca tutti, ma il mistero della redenzione è ancora più grande ed è desiderio di Gesù salvarci, Lui viene a trovarci, anche oggi in mille modi, non "scandalizziamoci " di Lui, non chiudiamogli al porta in faccia non la chiuderemmo solo a Lui ma anche a noi stessi e al senso ultimo della nostra vita.

 

 

LUNEDI’ 10

Sante Rufina e Seconda

Parola di Dio: Os. 2,16-18.21-22; Sal. 144; Mt. 9,18-26

 

"QUELLI SI MISERO A DERIDERLO, MA DOPO CHE FU CACCIATA VIA LA GENTE, EGLI ENTRO’, LE PRESE LA MANO E LA FANCIULLA SI ALZO’ ".

(Mt. 9,24-25)

L’abbiamo letta nel brano odierno di Vangelo la storia di questo padre che davanti alla morte della sua bambina va da Gesù e perentoriamente gli chiede di imporle le mani e farla rivivere. E Gesù, obbediente davanti a questa fede, lo segue fino in casa. Qui Gesù chiede che sia "cacciata via la gente" prima di operare la risurrezione.

Gesù ama la gente, è venuto per la gente. Predicava a grandi folle, è sempre stato in mezzo alla gente; ci sono però momenti in cui fugge la gente o caccia via la gente.

Quando Gesù vuole pregare o vuole dire parole importanti ai suoi discepoli, si allontana dalla folla e quando, come nel vangelo di oggi, occorre compiere un grande atto di fede, c’è bisogno di solitudine, di silenzio, di intimità.

La nostra società è quella del fracasso: ci sono i mille rumori delle strade, delle fabbriche, ci sono le cose non più dette ma gridate, si grida da balcone a balcone, più c’è rumore e più ci si diverte, perfino il canto e la musica per essere alla moda devono essere ‘sparati’ a molti decibel. Vai al supermercato e la "musica di sottofondo" ti stordisce al punto che quando esci scopri di aver comprato più di quello che ti serviva. E poi ci sono i rumori delle parole: i telegiornali non sono più letti, ma gridati, negli spettacoli televisivi, per far ridere, bisogna gridare (soprattutto qualche parolaccia) altrimenti il sorriso non scatta. Nelle discussioni non si ha la buona creanza di rispettare dei turni per parlare: ci si parla (anzi, si urla) ‘addosso’ col risultato che non si capisce più nulla e ciascuno se ne va esattamente come era arrivato.

Anche in ambito religioso si parla, si urla di tutto. Nel supermercato delle religioni sembra che abbia la vittoria chi vende più specchietti colorati urlando più forte degli altri…

"Cacciata via la folla": chi grida, chi urla, chi vende e compra tutto a base di parole non può capire nulla del sacro, anzi rivestirebbe il sacro, la preghiera, la fede, il miracolo solo di urla da fiera e da baraccone.

La sofferenza, la preghiera, la fede, il miracolo hanno bisogno di intimità, profondità, silenzio. La gioia, poi, porterà il lieto annunzio, ma prima dell’esplosione del fiore e del frutto c’è bisogno del silenzio dell’inverno e della terra per stendere le radici.

 

 

MARTEDI’ 11

San Benedetto, Santa Olga; San Savino

Parola di Dio: Prov. 2,1-9; Sal. 111; Gv.15,1-8

 

"SE ACCOGLIERAI LE MIE PAROLE E CUSTODIRAI IN TE I MIEI PRECETTI, ALLORA COMPRENDERAI IL TIMORE DEL SIGNORE". (Prov. 2,1.5)

Mi sono sempre chiesto che cosa significhi accogliere le parole del Signore.

Prima di tutto bisogna concretamente conoscere e leggere le parole della rivelazione. Un cristiano che non mastichi quotidianamente un po’ di Parola di Dio rischia di diventare un "religioso" senza fondamento, senza radice, può essere manipolato da tutti, rischia di essere un superficiale ed anche un ipocrita. Ma non basta leggere, studiare, magari anche sapere a memoria la Parola per essere entrati nel cuore della Parola. Anche per mestiere ho letto molti libri di esegeti famosi e studiosi della Parola. Persone che prendono un termine della Bibbia, te lo vivisezionano, te lo sviscerano, ci scrivono su un libro e alla fine… "bla, bla" e basta; non un palpito, uno stimolo, un cambiamento procurato da quella Parola.

Penso che, invece, la strada per capire, entrare nel cuore della Parola e lasciare che sia la Parola a dominare noi, ci sia ben indicata da un gesto che l’apostolo Giovanni compie durante l’Ultima Cena. Egli ha posato il suo capo sul cuore di Gesù e Gesù è, a sua volta, Colui che da tutta l’eternità è "nel seno del Padre"(Gv.1,18).

La parola di Dio non è allora solo questione di sapere, di studiare, è incontrare non tanto un libro, un codice di morale, una vecchia storia, ma incontrare un persona: Gesù Cristo, vivo. E’ l’appuntamento non per chissà quando ma per oggi. Scrive Pronzato:

"Oggi devi dare la tua risposta alla Parola.

Oggi devi nascere dall’alto.

Oggi devi lasciarti trovare.

Oggi devi scegliere la luce.

Oggi devi chiedere l’acqua viva.

Oggi deve accogliere il pane della vita.

Oggi è per te la Parola irripetibile.

E se la lasci passare senza rispondere al suo appello non ritornerà più.

Un appuntamento rimandato è un appuntamento mancato".

 

 

MERCOLEDI’ 12

San Giovanni Gualberto

Parola di Dio: Os. 10,1-3.7-8; Sal.104; Mt.10,1-7

 

"E, STRADA FACENDO, PREDICATE CHE IL REGNO DI DIO E’ VICINO". (Mt. 10,7)

Gesù, mandando i dodici in missione, vuol farci capire una cosa molto semplice: se tu hai trovato una cosa bella, l’unica maniera di gioirne appieno è di farne partecipi gli altri; e, ancora: se tu hai a cuore le prove, le difficoltà, la ricerca dell’uomo, tu ami quest’uomo non solo dicendogli: "poverino!", ma aiutandolo a trovare Colui che è il senso del suo gioire e del suo soffrire.

Quanto è diverso il "modo missionario" di Gesù da certi "modi missionari" organizzati dalle chiese!

Gesù non bada che i dodici abbiano capito tutto. Non sono neppure ancora passati attraverso lo scandalo della croce, non sono neppure ancora arrivati ad affermare che Gesù è il Figlio di Dio, non sono teologi perfetti, non hanno fatto corsi di formazione missionaria, non hanno lauree universitarie né sono andati a corsi di dizione o di canto gregoriano per liturgie inappuntabili. Sono poveri perché non hanno nulla, ma sono poveri soprattutto perché non hanno nulla di proprio da portare agli altri e anche il loro messaggio è umile e rispettoso delle persone a cui è indirizzato: "Il Regno di Dio è vicino a voi". Non sono mandati perché "venga la chiesa" ma perché "venga il tuo Regno". Non hanno da dire: "Venite da me che ho la verità, che vengo a darvi il vero Dio. Venite da noi perché noi siamo i migliori", ma semplicemente: "Guardate che Dio è già qui, sta operando in voi".

Il missionario è colui che ha profondo rispetto per coloro ai quali è mandato e per quanto essi hanno già colto ed espresso di quel Dio che vive ed agisce in tutti gli uomini molto prima che essi lo abbiano riconosciuto.

La predicazione deve essere fatta "strada facendo". Non c’è bisogno di cercare chissà quali strade, ognuno di noi ha la sua strada, il suo quotidiano, il suo prossimo da incontrare ogni giorno in casa, al lavoro, in vacanza…"strada facendo" nei giorni migliori come in quelli più duri, negli incontri più impensati come in quelli più abituali.

Davvero, davanti a questo tipo di missione non abbiamo scuse per tirarci indietro.

 

 

GIOVEDI’ 13

Sant’Enrico; Sant’Anacleto

Parola di Dio: Os.11.1.3-4.8-9; Sal. 79; Mt.10,7-15

 

"GRATUITAMENTE AVETE RICEVUTO, GRATUITAMENTE DATE". (Mt. 10,8)

Il nostro modo di usare il linguaggio spesso è indicativo del tempo in cui viviamo.

Certe parole, fino a qualche anno fa erano parolacce e nessuna persona di buona educazione si sarebbe mai peritato di usarle, oggi sono sulla bocca di tutti. Il valore delle cose spesso consisteva nella qualità di esse, oggi invece sta nel prezzo: "Quanto costa?". L’uso dei pronomi possessivi che ha sempre avuto buon successo lungo la storia umana, oggi è al suo apice; tutto è "mio, tuo, suo". Facciamo un po’ come certi animali che marcano il proprio territorio con un po’ di urina, quasi a dire: "dalla puzza si riconosce il padrone".

Tutto questo ha fatto sì che per molti siano andate completamente in disuso certe parole come: gratuito, dono, grazie.

Eppure basterebbe fermarsi un momento, ragionare semplicemente, per capire che tutto quello che abbiamo è gratuito: la vita, il sole, gli affetti, la fede…

A Dio non è bastato aver condiviso con noi la creazione, ha condiviso se stesso; Gesù, fatto uomo, ha offerto se stesso "mentre noi eravamo peccatori"; ancora, Egli si fa pane per noi non per i nostri meriti ma per la sua bontà…

Se penso alla mia vita, quante cose ho ricevuto gratis: la salute, la famiglia, l’istruzione, il necessario e il superfluo quotidiano… quante cose sto ricevendo gratis proprio adesso: un cuore che batte, il respiro, il raggio di sole che entra nella mia stanza, il pensiero di voi, amici, per i quali sto scrivendo… E tutto questo gratis, non dovuto a meriti acquisiti, non comprato al supermercato pagando a caro prezzo.

Ecco perché dovremmo re imparare certe parole.

Ne suggerisco una piccola a me e a voi. Oggi diciamo almeno due volte la parola: "Grazie!" Una volta al buon Dio per tutti i suoi doni e una volta alla persona che ci è più vicina e che tutti i giorni ci fa il dono almeno di sopportarci.

 

 

VENERDI' 14

San Camillo del Lellis; San Ciro

Parola di Dio: Os. 14,2-10; Sal 50; Mt.10,16-23

 

"SIATE SEMPLICI COME COLOMBE, PRUDENTI COME SERPENTI". (Mt. 10, 16)

Un amico prete ripeteva sempre: "Il Vangelo bisogna leggerlo con il Vangelo", cioè, guai ad estrapolare una frase, portarla agli estremi solo seguendo il senso immediato delle parole o con le interpretazioni di certi spiritualismi beceri. Ogni parola, ogni frase va letta, capita, interpretata confrontandola soprattutto con il modo con cui Gesù l’ha vissuta.

Prendiamo la frase di oggi. Gesù è semplice: Lui il re dei re nasce povero, in una grotta di pastori, in un paesino, sobborgo di Gerusalemme; è un grande predicatore, folle intere accorrono a Lui ma Lui non usa mai linguaggi forbiti, parole altisonanti, parla invece sovente con esempi presi dalla natura o dalla vita quotidiana dei suoi ascoltatori. E’ un fautore della non violenza, non usa armi e ne vieta l’uso ai discepoli, si lascerà tradire e mettere in croce e, anzi, proprio in quel momento cercherà di scusare e di pregare per i suoi persecutori.

Eppure la sua semplicità è tutt’altro che bonomia o stupidità. Gesù è la Verità e sempre dice la verità senza peli sulla lingua, a costo di allontanare persone anche a Lui favorevoli, è misericordioso ma esigente ("neanch’io ti condanno, ma va’ e non peccare più"), è caritatevole verso tutti ma sa usare la polemica e l’ironia sferzante contro l’ipocrisia (non per niente dà tanto fastidio che decidono di ucciderlo), sa tacere ma quando è il momento parla liberamente anche davanti a chi pensa di avere il potere terreno di salvarlo o di ucciderlo. La sua non violenza non significa resa davanti al prepotente e al male; il suo perdono non è per paura e non diventa mai connivenza con il male; non usa le tecniche del mondo ma sa cavarsela benissimo nei confronti dei ‘potenti e sapienti’ della terra.

Se noi guardiamo a Lui, diventa allora abbastanza facile capire le indicazioni della frase di oggi.

Essere semplici significa fidarsi di Dio, non ricercare il successo proprio e delle proprie idee in se stessi, nelle proprie astuzie, nella forza, nella vendetta, nella ricchezza, ma nello stesso tempo non significa accettare stoicamente il ruolo di eterni sconfitti, essere pusillanimi, accettare qualunque cosa senza valutarla, subire le prepotenze dei malvagi, non avere nulla da dire al mondo.

Semplice non vuol dire sciocco. E’ detestabile il raggiro, non la prudenza. Si può essere avveduti senza essere impostori. E’ vietata la violenza, non la difesa. Dare la vita per l’altro è cristianesimo. Ma gettare la propria vita senza un grande motivo o senza aver tentato mille altri modi è bestemmia contro Colui che la vita ce l’ha data. E’ vietata la falsità non il silenzio.

Seguire Cristo è proprio cercare in ogni situazione di agire come farebbe Lui al nostro posto.

E quando non riusciamo a capirlo o quando lo intuiamo ma ci mancano le forze?

In questi casi almeno affidiamoci a Lui e lasciamoci portare da Lui: se non te la senti di camminare o se non sai bene dove andare lasciati prendere in braccio da Lui.

 

 

SABATO 15

San Bonaventura

Parola di Dio: Is. 6,1-8; Sal. 92; Mt. 10,24-33

 

"UN DISCEPOLO NON E’ PIU’ DEL SUO MAESTRO; E’ SUFFICIENTE PER IL DISCEPOLO ESSERE COME IL SUO MAESTRO". (Mt. 10,24-25)

Una frase, quella di Gesù, per riportarci con umiltà e verità a considerare la nostra realtà.

Quando Pietro, con tutti i suoi limiti, è dietro a Gesù, riesce a dire cose meravigliose di Lui, quando si sente troppo sicuro di sé e vuol dettar legge, allora diventa ‘satana’. Finché Pietro rimane nella barca può sperare di arrivare alla meta perché c’è Gesù con lui, quando Pietro vuol cominciare anche lui a camminare sulle acque, rischia di annegare.

Noi credenti, qualche volta, pensiamo di essere più grandi del Maestro. Ad esempio quando diciamo: "Io con le mie buone opere mi salvo". Sarebbe un po’ come avere la presunzione di salvarsi, dopo essere caduti in mare, senza saper nuotare, tenendosi a galla solo perché ci si acchiappa da soli per i capelli; quando stai per annegare devi invocare ed accettare l’aiuto di chi può salvarci.

Quando leggo certi libri di teologia e di morale dove si enuncia la tesi dell’autore, si cerca di comprovarla citando e stiracchiando i testi delle Scritture appositamente scelti alla bisogna, e dove si conclude facendo dire a Gesù cose che Lui non ha mai dette, mi sembra che il discepolo (seppure è ancora discepolo) non consideri molto il Maestro.

Quando, ad esempio, in una comunità incontro singoli o gruppi che con supponenza (quando non è arroganza), impongono le proprie idee come uniche, antepongono il proprio gruppo alla comunità dei credenti, mi dà l’idea che siamo ben lontano dal Vangelo.

Quando il ministero dei Vescovi e dei Sacerdoti dimentica l’aspetto del servizio per diventare solo "rigore della dottrina", servizio al proprio potere, diventa addirittura un dovere il lasciare il discepolo (che di discepolo ha solo la facciata) per cercare di ritrovare il Maestro.

Mi piace la battuta ironica con cui Gesù finisce questo insegnamento: è sufficiente diventare come il Maestro. E per far questo non basta il tempo di una vita, altro che pensare di essere migliori di Lui.

 

 

DOMENICA 16

XV^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  -  Beata Maria Vergine del Monte Carmelo; S. Elvira

Parola di Dio: Am.7,12-15; Sal.84; Ef.1,3-14; Mc.6,7-13

 

1^ Lettura (Am. 7, 12-15)

Dal libro del profeta Amos.

In quei giorni, il sacerdote di Betel Amasia disse ad Amos: "Vattene, veggente, ritirati verso il paese di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno". Amos rispose ad Amasia: "Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un pastore e raccoglitore di sicomori; Il Signore mi prese di dietro al bestiame e il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele ".

 

2^ Lettura (Ef. 1, 3-14)

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini.

Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l'ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria.

 

Vangelo (Mc. 6, 7-13)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, Gesù chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche. E diceva loro: "Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo.

Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro". E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.

 

RIFLESSIONE

 

Penso di avervi già detto in altre occasioni quale sia il mio modo di preparare le omelie.

Normalmente leggo con calma le letture che vengono proposte per una domenica. Cerco di chiedermi prima di tutto che cosa voglia dire il testo letto, poi mi chiedo che cosa voglia dire a me il Signore attraverso quella parola, poi mi chiedo che cosa possa voler dire il Signore a coloro che leggeranno o sentiranno questa parola, poi dedico un lungo spazio alla lettura di ciò che altri hanno detto di quella parola e normalmente mi metto a confronto con due o tre esegeti, se possibile con qualche Padre della Chiesa e poi leggo tre o quattro commenti di predicazione e, alla fine, normalmente ho ricavato non più di quattro o cinque righe: un piccolo schemino attorno al quale condensare poi le parole che possano diventare per me e per altri occasione di riflessione.

Questa volta ho trovato una certa difficoltà perché, alla prima lettura del brano di Vangelo l’indicazione mi sembra chiara e semplice: Gesù manda in missione i suoi, li munisce di un messaggio semplicissimo, chiede loro semplicità e povertà di mezzi, dà loro la possibilità di lottare con la sua forza contro il male e la malattia.

Il guaio è cominciato quando ho cominciato a sfogliare i primi commentari evangelici.

Con il fatto che i tre vangeli sinottici (Marco, Matteo e Luca), hanno alcune differenze in questo brano, i commentatori si chiedono: quali saranno le vere parole di Gesù: Marco parla di calzare i sandali, gli altri due non ne parlano, Matteo poi dice che i discepoli non devono andare dai pagani ma solo dalle pecore perdute di Israele…E da questi piccoli particolari nascono teologie diverse: da chi dice che per annunziare il Vangelo non bisogno assolutamente tener conto di mezzi, di forme, di organizzazioni particolari, a chi invece fonda la missionarietà della Chiesa sui più recenti mezzi di comunicazione sociale, da chi dice che saremo davvero missionari quando avremo convertito noi stessi per cui rivolge tutta la missionarietà all’interno della Chiesa stessa, a chi dice che dobbiamo piantarla lì di parlarci addosso e dobbiamo invece andare decisamente verso gli altri.

Non ho la pretesa di saper davvero cogliere l’essenza di questa pagina evangelica: Il vangelo lo si legge con il vangelo e nella comunità dei cristiani, e poi il Vangelo è novità continua e nessuno può inscatolarlo nei propri schemi e allora mi permetto di rileggere con voi riga per riga quanto Gesù ci propone oggi.

Gesù aveva chiamato i dodici, aveva fatto far loro l’emozionante esperienza di vivere con Lui. Lo avevano sentito parlare del Padre, del Regno, avevano ascoltato le beatitudini, avevano visto la gioia dei malati guariti, avevano sperimentato la lotta vincente di Gesù nei confronti del male e del demonio. Ora Gesù chiede loro di comunicare questa gioiosa esperienza ad altri.

Quindi, prima cosa, qual è il nucleo di ciò che devono annunciare?

Non è un insieme di parole, è l’annuncio di una persona. Gli apostoli sono mandati non per predicare teologie ma per annunciare Gesù.

Fermiamoci un momento su questo.

Oggi spesso incontriamo persone che, ciascuna a modo suo, ci invitano a far parte di questa o di quella chiesa ed anche cattolici che ci dicono : "Se vuoi essere davvero cristiano, appartieni al nostro gruppo!", troviamo spesso predicatori che ci parlano più di chiesa che di Cristo, più di organizzazioni (e spesso questo sottintende anche questioni economiche) che di gioia di un messaggio che trasforma la vita, più di fiamme dell’inferno che di felicita di Dio e nostra per la conversione, più di Quaresima che di Pasqua.

Il messaggio che gli Apostoli devono portare non è tanto quello di: "Venite con noi, vedrete i miracoli più belli. Troverete il Messia che vi siete costruiti e che vi aspettate. Sarete felici e contenti ed avrete risolto ogni problema" ma piuttosto: "Noi abbiamo incontrato un uomo, Gesù che ha detto e fatto cose meravigliose, che ci ha ridato la gioia di credere in un Dio Padre… Provate ad accoglierlo, ad andare da Lui… Che sia Lui il Messia?" (E’ già, perché Gesù li manda in missione ancor prima di aver posto loro la fatidica domanda: "E voi chi dite che io sia")

La missione del cristiano non è dunque convertire ad una ideologia o ad una religione, è proporre una persona, Gesù. La validità o meno di un missionario non la si misura sul numero di battezzati che ha portato alla chiesa, ma se ha testimoniato Gesù.

Non importa se io ho portato tutti al mio gruppo, se ho fatto dire tanti rosari, ma, se con la mia vita e con la forza che viene dal Signore, ho stimolato qualcuno ad incontrare Cristo, a confrontarsi con Lui.

Gesù poi li manda a due a due.

Allora era un criterio per rendere valida una testimonianza, ma penso che con questo gesto Gesù volesse soprattutto dirci: "Attenzione agli individualismi" cioè il messaggio da portare non è costruito in base al messaggero, è un messaggio unico. Detto in altre parole non sei chiamato a portare il Cristo che ti piace, ma il Cristo integrale; in questo senso la comunità ed anche il magistero della Chiesa diventano preziosi, proprio per garantirmi che non sto annunziando me stesso, ma Lui.

"Diede loro potere sugli spiriti immondi".

Dicevamo che il messaggio non è principalmente dire delle parole. E’ fare e far fare esperienza di Gesù. Ecco allora i gesti del cristiano che devono essere i gesti di Cristo, soprattutto gesti di liberazione dell’uomo dalle tante schiavitù del male, gesti di speranza, di carità concreta, di lotta contro le sofferenze e le malattie. E questo non soltanto per bontà personale, ma con l’autorità stessa di Cristo che combatte ogni male.

Il missionario è povero (lo vedremo subito dopo) ma è ricco della forza di Gesù, il Figlio di Dio.

"E ordinò loro che no prendessero nulla per i viaggio…"

Ecco le innumerevoli discussioni sulla povertà, totale, parziale, spirituale…

Il senso, invece non potrebbe essere semplicemente questo?

E’ talmente grande il messaggio che sei chiamato a portare, la forza di Cristo è talmente forte che non può che essere annunciata dalla povertà del messaggero.

Proviamo anche qui a fare una serie di esempi grandi e piccoli per capirci meglio.

E’ vero che il messaggio di un prete che utilizza una emittente radiofonica raggiunge più persone dello stesso prete che predica in un giorno feriale a quindici vecchiette. Non dobbiamo però né disprezzare le quindici vecchiette né idealizzare come unico, indispensabile mezzo quello della radio, l’importante è che in un caso o nell’altro si annunci davvero Cristo.

E’ vero che in una parrocchia possono servire oratori, sale da gioco attrezzate per i ragazzi, campi sportivi, sale riunioni, ma se lì si riuniscono solo sportivi, o gente che parla di organizzazione, di se stessa e magari il prete, proprio perché preso da tutte queste cose mette in secondo piano la predicazione di Cristo, la disponibilità per incontrare le persone, per ascoltarle, allora non ci siamo!

I "Piani pastorali" possono servire per dare delle indicazioni, delle mete, degli stimoli ma se, dietro i piani pastorali, non ci sono le persone e soprattutto non c’è Gesù Cristo, allora non servono a nulla.

Per concludere qualcuno potrebbe dirmi: "Abbiamo fatto una bella riflessione sul Vangelo, ma questo riguarda soprattutto Vescovi, preti, magari anche i religiosi…": No. Questa riflessione riguarda sia me che te perché il compito di dire al mondo la gioia di essere cristiani non è riservato a vescovi o preti ma ad ogni credente che in Lui pensa di aver trovato il fine del proprio essere. Io e Te abbiamo ricevuto il dono di aver potuto incontrare Gesù, forse malamente, forse abbiamo ancora bisogno di camminare molto con Lui ma io e te abbiamo già ricevuto da Lui i suoi doni, la forza di combattere il male, la gioia di essere protagonisti nel suo Regno, la capacità di chiamare Dio con il nome di Padre. Se tutto questo è per me e per te una realtà non possiamo tenercelo per noi: è una gioia, un piacere che altri possano fare la nostra stessa esperienza. E allora non diciamo che è compito di altri altri, non pensiamo che non siamo all’altezza, non aspettiamo di avere chissà quali mezzi, diciamo con semplicità a tutti che Cristo è la nostra gioia.

 

 

LUNEDI’ 17

Sant’Alessio; Santa Marcellina; Santa Marina

Parola di Dio: Is. 1,10-17; Sal. 49; Mt. 10,34-11,1

 

"NON CREDIATE CHE IO SIA VENUTO A PORTARE LA PACE SULLA TERRA". (Mt. 10,34)

Come potremmo definire la pace? Forse come serenità di rapporto dell’uomo con se stesso, con la natura, con il prossimo, con Dio. Gesù allora è o non è la pace dell’uomo? Se noi pensiamo alla pace come soluzione di tutti i problemi, di tutte le sofferenze, le divisioni allora Gesù non è la pace perché durante la sua vita uomini si sono divisi pro o contro di Lui, perché la gente ha continuato a soffrire e morire, perché i potenti hanno continuato a comandare e imperare sugli altri, perché Gesù stesso è stato tradito, abbandonato, rinnegato, arrestato, ha sofferto fisicamente e moralmente ed è morto dopo un’agonia terribile appeso ad una croce. E dopo la sua assunzione al cielo le lotte, le sofferenze, le ingiustizie, la morte hanno continuato a dividere gli uomini. Eppure, se noi apriamo i vangeli troviamo che alla sua nascita gli angeli cantano sulla grotta di Betlemme: "Gloria a Dio e pace agli uomini", vediamo il Risorto che ad ogni sua apparizione augura: "La pace sia con voi", vediamo Gesù che ci aiuta a comprendere la natura con gli occhi meravigliati di chi sa di farne parte, vediamo il suo sforzo continuo perché gli uomini lascino ogni forma di violenza, superino le divisioni e le barriere, imparino ad amarsi profondamente tra loro, scopriamo ancora di più che se Gesù è la Via, la Verità e la Vita, non c’è via verso Dio se non quella della pace, non esiste Verità che non riempia il cuore della serenità e della bellezza e non c’è vita senza armonia con Dio e con il prossimo.

La non pace, la spada che si estrae nel nome di Gesù allora è proprio la negazione stessa di Lui. L’uomo che non ascolta la pace che Dio ha seminato nel suo cuore, che lascia che i tumulti e le passioni del suo cuore la soffochino, non è capace di accogliere Gesù e allora dà spazio al suo opposto, cioè a tutto ciò che gli è contrario.

Gesù, con la parola di oggi che a prima vista sembra contraddittoria, è invece molto chiaro: il dissidio tra il bene e il male non è finito con la sua venuta, anzi, scegliere Lui significa come Lui combattere con tutte le forze contro il male, contro una mentalità che non lo accetta; significa avere nel cuore la tranquillità, la pace di Dio che ti dà la forza di lottare. Gesù non è un anestetico contro le difficoltà che con Lui spariscono, ma è il coraggio per affrontare la lotta contro il male.

 

 

MARTEDI’ 18

Sant’Arnolfo; San Federico

Parola di Dio: Is. 7,1-9; Sal. 47; Mt. 11,20-24

 

"GESU’ SI MISE A RIMPROVERARE LE CITTA’ NELLE QUALI AVEVA COMPIUTO IL MAGGIOR NUMERO DI MIRACOLI". (Mt. 11,20)

Una delle situazioni umane che maggiormente ci fanno soffrire, è quando hai cercato di far del bene a qualcuno, ti sei speso per lui, e questa persona beneficata ti è indifferente, o contraria o pretende solo da te. Noi con Dio, qualche volta, ci comportiamo così.

Spesso le nostre giornate passano senza neppure che noi siamo consapevoli che esse sono un dono gratuito di Dio. Eppure, se io non fossi nel pensiero di Dio, anche solo per un istante, io non ci sarei più. Ci lamentiamo dei piccoli ‘bubù’ o di quelle cose che ci mancano e invece ci dimentichiamo di avere in dono un cuore che batte, l’aria che respiriamo, il sole che sorge… Anche nei confronti diretti di Dio ci lamentiamo della sua misteriosità, del suo apparente essere lontano dalla vicende terrene, imputiamo spesso a Lui la colpa della morte dell’innocente, della sofferenza del giusto, della fame, delle pestilenze e non ci accorgiamo della sua continua, paterna, non invadente presenza; non ci rendiamo conto che Lui è l’innocente che è stato condannato, che è Lui che ha sofferto e che soffre per dare senso alla nostra sofferenza. Chiediamo segni e miracoli quando noi stessi, il mondo in cui viviamo, le persone che incontriamo sono un segno e un miracolo continuo. Noi siamo irriconoscenti perché non siamo consapevoli. La mistica orientale, che oggi ha molta presa nel mondo giovanile, insiste particolarmente su una cosa: essere consapevoli, presenti a se stessi, a ciò che si è, a ciò che si fa, alle cose che abbiamo, al momento presente. Se noi, invece di lasciarci vivere, viviamo, la cosa è ben diversa; se noi, invece di subire la sofferenza, la facciamo nostra, le diamo un senso, è ben diverso; se, ad esempio, il nostro affetto di marito e di moglie, invece di mettere la muffa dell’abitudine, è riscoperto ogni giorno nei suoi aspetti magari faticosi, ma positivi, crescerà. Se scopri che tutto è un dono di Dio, il grazie a Lui sboccerà immediato e non avrà bisogno di attendere le formule della preghiera. E se scopro di poter essere riconoscente anche tutto il mio rapporto con Dio assumerà le dimensioni non del dovere, ma dell’amore.

 

 

MERCOLEDI’ 19

Santa Macrina; Sant’Epafra

Parola di Dio: Is. 10,5-7.13-16; Sal. 93; Mt.11,25-27

 

"TI BENEDICO O PADRE PERCHE’ HAI TENUTO NASCOSTE QUESTE COSE AI SAPIENTI E INTELLIGENTI E LE HAI RIVELATE AI PICCOLI." (Mt. 11,25)

In questa preghiera di lode così spontanea di Gesù c’è una grande attenzione per i semplici e per i piccoli. Il mondo è dei forti, dei potenti, dei prepotenti. I semplici sono perdenti in partenza. I semplici (qualche volta inteso come i ‘sempliciotti’) servono solo in un caso, quando possono fare da base, da piedistallo ai potenti (pensate a come tutte le forme di potere, comprese quelle religiose, hanno manipolato i poveri, le folle, per ottenere poi, proprio sulla loro pelle, ciò che volevano).

Quando Gesù parla dei piccoli e dei semplici non parla di ‘sempliciotti’ o di persone da manipolare, ma vuol farci capire che, nel Mistero (di Dio, della vita, della sofferenza…) si entra solo attraverso la semplicità.

Essere semplici vuol dire essere veri, liberi, non fare calcoli, sapersi accontentare. Aperto ad ogni situazione, l’uomo semplice non ha privilegi da custodire per suo conto. Il semplice non è orgoglioso, sa perdere con dignità, riconosce volentieri gli errori commessi, sa chiedere e ringrazia tutti coloro che con i loro consigli lo aiutano. Non ha ricette preconfezionate, non vuole apparire, non si avvilisce davanti a cose che potrebbero smontarlo.

Il Padre ama questi uomini i quali, senza usare la bacchetta magica, vincono quanti si dicono sapienti ed intelligenti perché conoscono le cose nascoste di Dio.

Dio, in Gesù, si è manifestato nell’umiltà e per gli ultimi.

Gesù ha predicato per tutti, ma gli scribi e i farisei, eccetto qualcuno molto libero, si sono forse convertiti? Zaccheo che ha colto il Suo sguardo d’amore che era andato a snidarlo su una pianta, ha cambiato vita. I pescatori del lago hanno riposto in Lui la speranza e sono diventati apostoli. La donna che con tremore ma con fiducia tocca il mantello di Gesù è guarita.

E oggi non è forse la stessa cosa?

Chi è che capisce, manifesta, rappresenta Gesù sulla terra?

Le lussuose automobili targate Città del Vaticano, i cappelli svettanti di certi Vescovi o le Messe con invito personale e con successivo buffet di cardinali romani o la fede semplice, magari anche un po’ superstiziosa di certi "campesinos" dell’America Latina che hanno capito che il Vangelo li fa uomini liberi?

E’ più facile incontrare Gesù nelle riunioni zonali dei preti, in certi consigli pastorali, in certi "dibattiti sulla fede" o negli occhi buoni di quel volontario che ha passato metà del suo sabato insieme ai vecchietti del ricovero?

La verità della vita è più facile trovarla nelle aule delle università, nei corridoi dei seminari, o nelle mani rovinate di quella mamma che tribola, ma con dignità e coraggio, per portare avanti la sua famiglia?

 

GIOVEDI’ 20

Sant’Elia

Parola di Dio: Is. 26,7-9.12.16-19; Sal. 101; Mt. 11,28-30

 

"VENITE A ME VOI TUTTI CHE SIETE AFFATICATI E OPPRESSI, E IO VI RISTORERO’ ". (Mt. 11, 28)

Mi scriveva una cara amica, mamma alle prese con figli che crescono, lavoratrice con problemi non indifferenti in ufficio, sola a dover affrontare tutta una serie di problemi familiari che vanno dalla salute dei genitori fino ai difficili rapporti con il marito esistente solo per certe sue esigenze e latitante per tutto il resto: "Sono quasi vergognosa quando mi chiedono: ‘Come stai?’ di dover continuamente rispondere: "Sono terribilmente stanca ".

Ci sono momenti nella nostra vita in cui "siamo stanchi". Abbiamo tentato e percorso tutte le strade, ci siamo scorticati mani e piedi nel cercare di arrancare ogni giorno, nel cercare il senso del nostro vivere e i perché della nostra e altrui sofferenza, ed ogni giorno è uguale, ti alzi al mattino e non hai ancora smaltito la stanchezza di ieri, il bruciore delle amarezze incontrate.

Tante volte la speranza vacilla, perde luce come la fiammella della candela che improvvisamente "si abbassa", perde luminosità. In certi casi si giunge persino ad avvertire l'inutilità del proprio lavoro, l’insufficienza delle proprie capacità, si prova la debolezza, la delusione, la frustrazione. Sembra non ci sia più nulla da fare. Sembra di battere continuamente la testa contro un muro…

Fermiamoci un momento.

Apriamo la Bibbia e troviamo in Isaia 40,28-31: "Non lo sai forse? Non hai udito? Dio eterno è il Signore, Creatore di tutta la terra… Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore dello spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi".

Sentiamo Gesù che dice: "Io vi ristorerò". E’ il Figlio di Dio che non ci promette facile soluzione al problema della sofferenza con tutti i suoi addentellati, non la elimina come se fosse la cosa più cattiva della terra, ma la assume su di sé e ci aiuta a darle senso. Lui non ha ricette, ma porta il peso con noi.

Se siamo soli quel peso ci opprime ma se con noi lo porta il Figlio di Dio, possiamo farcela.

E se noi, imparando da Lui, riusciamo ad aiutarci a vicenda nel portare i nostri pesi, ce la faremo ancora di più.

 

 

VENERDI’ 21

San Lorenzo da Brindisi; Santa Prassede

Parola di Dio: Is. 38,1-6.21-22, Cantico da Is. 38,10-12.16; Mt. 12,1-8

 

"ORA VI DICO CHE QUI C’E’ QUALCUNO PIU’ GRANDE DEL TEMPIO". (Mt. 12,6)

Il Tempio di Gerusalemme, all’epoca di Gesù, era una delle meraviglie del mondo di allora. Per gli Ebrei era poi il richiamo costante dell’Alleanza che Dio aveva stabilito con il suo popolo, era il segno della presenza stessa di Dio tra la sua gente. Era il luogo per eccellenza della religiosità.

Gesù stesso è molto rispettoso di questo segno. Fin da bambino, con la sua famiglia vi si reca nelle feste stabilite, partecipa alle varie preghiere secondi i riti del suo tempo, in esso si incontra e si scontra con la religiosità.

Ma Gesù non si ferma al Tempio.

Già quando Davide aveva espresso a Dio l’idea di costruirgli una casa di pietra si era sentito rispondere: "Il Dio che i cieli dei cieli non possono contenere abiterà forse in una casa di pietra costruita da mani d’uomo?"

Gli uomini ammirano le pietre. I religiosi spesso dietro le pietre ammirano e coltivano il proprio potere, Gesù, oltre il Tempio, vede Dio e vede dove Dio ama abitare, essere accolto, onorato, servito: nel tempio dell’uomo.

Un grandissimo errore che spesso commettiamo è quello di guardare all’esteriorità dimenticandoci dell’essenziale.

Si pensa di costruire chiese e cattedrali per onorare Dio e ci si dimentica di Dio. Si fanno pellegrinaggi, giubilei, manifestazioni e si guarda più al numero delle persone, agli affari più o meno puliti che vengono conclusi, piuttosto che al mutamento vero del nostro cuore. Percorriamo le strade del religioso fino a diventare magari scrupolosi osservanti di tutte le più piccole norme e dimentichiamo di incontrare Gesù Cristo nel suo Tempio preferito: il nostro cuore e il cuore di ogni uomo.

Gesù insiste su questo argomento: "Qui c’è ben più del Tempio", "Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo ricostruirò", tra le accuse che serviranno alla sua condanna una sarà proprio quella di aver parlato della distruzione del Tempio.

Amo le costruzioni-chiesa, mi piace sentire in esse l’odore non tanto dei ceri o dell’incenso ma dell’umanità che soffre, gioisce, prega. Amo specialmente le vecchie chiese dove mi pare di poter palpare il Corpo mistico che fa del presente e del passato un unico popolo in preghiera. Amo, quando ancora riesce, rimanere un po’ in silenzio davanti al grande dono della presenza Eucaristica, ma non devo e non posso dimenticarmi che il vero Tabernacolo di Gesù è il cuore dell’uomo. Proprio lì, in mezzo alle passioni e agli affetti, agli slanci e alle meschinità, Gesù, il Figlio di Dio incarnato desidera abitare e lì, davvero, noi possiamo rispettarlo e onorarlo.

 

 

SABATO 22

Santa Maria Maddalena

Parola di Dio: Cantico 3,1-4 (opp. 2Cor 5,14-17) Sal. 62; Gv. 20,1.11-18

 

"LE DISSE GESU’: DONNA, PERCHÉ PIANGI?". (Gv.20,15)

Tu, o Signore, con la domanda fatta a Maria Maddalena continui a chiedere il perché delle nostre lacrime.

Ma, come, Tu, Signore che sai tutto, chiedi a noi perché piangiamo?

Io, mamma del terzo mondo, piango perché vedo la pancia gonfia del mio bambino e non ho di che dargli da mangiare.

Io, anziano, piango perché è morta la mia compagna di vita e non so trovare senso alla mia solitudine.

Io, giovane, piango perché sembra che per me non ci sia posto nel mondo del lavoro e il mio domani è pieno di interrogativi e di incertezze.

Io, accusato, piango perché la giustizia dei tribunali terreni non è uguale per tutti.

Io, prete, piango perché vedo ancora una chiesa tanto lontana da Te e vedo tanto disinteresse nei tuoi confronti.

Io, malato, piango perché in ospedale vengo considerato "un caso", "un numero" e non una persona.

 

Tu le conosci le nostre sofferenze.

Tu puoi tutto e chiedi perché piangiamo?

Siamo anche noi con le lacrime agli occhi davanti a quella tomba dove è stata sotterrata la nostra dignità, la nostra speranza, la nostra gioia, ed ora, rubandoci le spoglie di queste cose, ci vogliono portare via anche le nostre lacrime…In mezzo al pianto, alla testa bassa, alla paura che non ci permette più di vedere, abbiamo bisogno di sentirci chiamare per nome. E se anche gli occhi non vedono, abbiamo bisogno di riconoscere quella voce ferma, ma dolce…

"Maria…, Franco…, Anna…, Antonio…!"

E’ la voce del Buon Pastore che conosce le sue pecore una per una.

E’ la voce del Maestro che ci offre il suo amore e ci chiama a seguirlo.

E’ la voce dell’uomo dei dolori che conosce ogni nostro soffrire.

E’ la voce del compagno, dell’amico che ci invita alla sua festa.

E’ la voce del senso della sofferenza, della gioia, della vita…

"Rabbunì! Maestro buono!"

 

 

DOMENICA 23

XVI^ DOMENICA DELL’ANNO  -  Santa Brigida; Sant’Apollinare

Parola di Dio: Ger. 23,1-6; Sal. 22; Ef. 2,13-18; Mc. 6,30-34

 

1^ Lettura (Ger. 23, 1-6)

Dal libro del profeta Geremia.

"Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo". Oracolo del Signore. Perciò dice il Signore, Dio di Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: "Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io mi occuperò di voi e della malvagità delle vostre azioni. Oracolo del Signore. Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho lasciate scacciare e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; di esse non ne mancherà neppure una". Oracolo del Signore. "Ecco, verranno giorni dice il Signore nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele starà sicuro nella sua dimora; questo sarà il nome con cui lo chiameranno: Signore nostra giustizia ".

 

2^ Lettura (Ef. 2, 13-18)

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini.

Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.

 

Vangelo (Mc. 6, 30-34)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’". Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero.

Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

 

RIFLESSIONE

 

Il brano di Vangelo di oggi, di solito, capita in questo periodo di inizio di grandi vacanze e, allora, può diventare facile per il predicatore giustificare il tempo del riposo dicendo: "Vedete, anche Gesù invita i suoi amici, dopo un momento di forte apostolato, a concedersi qualche tempo di riposo". E giù a parlare di vacanze non come momento di spasmodica ricerca di tutto quello che abitualmente non si può fare durante l’anno, ma come periodo di recupero di tempi, valori, rapporti con se stessi, con gli altri, con la natura e con Dio.

Molto vero tutto questo, ma il Vangelo di oggi vuol dire un’altra cosa.

Gli Apostoli con la loro fede ancora molto incerta, erano stati inviati in missione; Gesù li aveva mandati con povertà di mezzi a predicare che: "Il Regno di Dio è vicino", e aveva dato loro potere di fare miracoli nel suo nome. Sono dunque persone mandate da Gesù che parlano e agiscono nel nome di Gesù. Ecco, quindi, che, finita la missione, devono tornare da Gesù per confrontare con Lui il valore di questa esperienza.

Essi erano carichi di entusiasmo. Avevano avuto esperienze positive: molte persone li avevano ascoltati ed era nato in molti il desiderio di incontrare Gesù di persona. In altri casi avevano provato l’amaro della delusione e avevano dovuto scuotere la polvere dai loro calzari a testimonianza contro coloro che li avevano cacciati. Avevano sperimentato con meraviglia che potevano "cacciare gli spiriti immondi e guarire i malati".

C’è bisogno di tornare da Gesù, c’è bisogno di parlarne a Lui e con gli altri, c’è bisogno di chiedere la sua approvazione o meno a quanto si è operato. Ci sono tanti perché da chiedergli, c’è da parlargli di tante persone. C’è da chiedere il perché della durezza di cuore di alcuni, il perché di certi miracoli che non avvengono…

Ecco perché Gesù dice loro: "Venite in disparte con me…riposatevi un po’ ".

Non si può e non si deve sempre solo correre: "Non chi dice: Signore! Signore! Entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli", ma, attenzione a non strafare dimenticando "la cosa più importante" che è ascoltare Colui che ci manda, e tutto questo per non correre il rischio di agire a vuoto.

Anche il cristiano, ciascuno di noi, deve tornare spesso da Gesù.

Uno dei grandi errori che noi sovente facciamo è quello di dare per scontato che noi siamo cristiani: "Io sono battezzato, sono andato al catechismo, ho letto i Vangeli, vado quasi sempre a Messa alla domenica, do l’otto per mille alla chiesa cattolica, dunque sono cristiano".

E’ tutto da vedere!

Certi cristiani che vanno in chiesa solo per farsi vedere e per primeggiare sono dei seguaci di Cristo o di se stessi?

Certe "brave donne", tanto pie, che una buona mezz’ora prima della Messa occupano i banchi di prima fila per avere giusto il tempo di spettegolare e tagliar colletti, sono poi proprio cristiane?

Certi preti, pieni di "potere sacerdotale" che dominano il gregge parlando e sdottoreggiando di tutto, facendo passare le proprie idee o quelle della propria casta per idee evangeliche, sono proprio annunciatori di Cristo?

Mi è capitato più volte di vedere in T.V. sedicenti maghi pieni di crocifissi e di madonne che dicono di sciogliere o mandare fatture, di sapere tutto del futuro nel nome di Gesù e so di molti cristiani che ufficialmente non crederebbero ad un miracolo ma poi vanno a dare speranza e soldi proprio a questi fattucchieri.

Abbiamo bisogno di tornare da Gesù, abbiamo bisogno di confrontare la nostra fede non con delle idee, ma con Lui.

Conclusione di qualcuno: "Andiamo a fare i santi spirituali esercizi".

Conclusione di qualche altro "bel cristiano": "Andiamo a fare "turismo religioso" in qualche convento o casa religiosa: oggi va così di moda, e poi costa anche un po’ meno che i soliti alberghi, si mangia sano e si aiutano "questi poveri frati" a sopravvivere".

Gli esercizi spirituali, gli eremi, i predicatori di grido, in qualche caso, possono anche servire, ma la salvezza, il confronto non deve fermarsi lì, è in Gesù.

E’ da Lui che devo andare per vedere se ho creduto e annunciato Lui o me stesso; è da Lui, e non da altri che devo andare con tutti i miei dubbi e i miei interrogativi. E’ con Lui e con il suo Vangelo che debbo confrontare le mie scelte di vita in casa e sul lavoro, è a Lui e non ad altri che devo portare i miei amici, le mie e le altrui sofferenze dure e altrimenti inspiegabili.

E come posso fare questo? Lo abbiamo già visto altre domeniche: per certe operazioni bisogna essere ‘lontani dalla folla’, lontani cioè dal chiasso, dal vano parlare, dalle mode, dalle fanfare pseudo religiose. Oh, anche qui non c’è bisogno di rifugiarsi nella caverna della montagna o sull’isola deserta. Anche in mezzo al rumore si può rientrare in noi stessi: un momento di rapporto con la natura, lo stimolo che ci viene dalla lettura di un libro, l’entrare in una chiesa vuota e "riposare" un attimo sul cuore di Gesù, l’avere il tempo di ascoltare e farsi parte alla sofferenza di un vicino, il riscoprire i rapporti familiari in un modo nuovo, diverso, positivo, più sereno, l’avere il coraggio di metterci nudi, senza maschere davanti al Signore, il riscoprire che Lui non è giudice, ma fratello, amico che ci incoraggia…, tutto questo è confrontarsi con Lui, è "non correre invano", è non correre il rischio di essere "pecore senza pastore", cristiani senza Cristo. E poi, attenzione alle sorprese che con Gesù non mancano mai.Tutto era pronto per quella vacanza solitaria, per quel ritiro spirituale. Si era perfino studiato il trabocchetto delle barche per passare inosservati sull’altra sponda del lago. Ma ecco l’imprevisto: la gente ha capito dove punta la barca e li precedono all’attracco e Gesù, pieno di compassione per questo suo popolo, abbandona il progetto del riposo con i suoi discepoli e, "si mise ad insegnare loro molte cose". Ma, allora, la nostra intimità con Lui, il nostro confrontarci con Lui, dove va a finire?

Con Gesù non aspettarti la strada più semplice, quella più ovvia.

Gesù che sente compassione, che condivide tutto se stesso, il suo tempo, la sua parola con questa gente assetata di amore, non è forse il miglior esempio per confrontare il nostro essere cristiani, i nostri interrogativi, le nostre aspirazioni con Lui?

 

LUNEDI’ 24

Santa Cristina di Bolsena

Parola di Dio: Mic. 6,1-4.6-8; Sal.49; Mt. 12,38-42

 

"MAESTRO, NOI VORREMMO CHE TU CI FACESSI UN SEGNO". (Mt. 12,38)

Ci sono cristiani che pare abbiano il prurito dei miracoli ad ogni costo. Sembra quasi che la loro fede dipenda dai miracoli, si puntelli su di essi. Anche la loro vita religiosa si sviluppa all’insegna dello straordinario. Non hanno capito che è la fede nel suo ordinario quotidiano che produce il miracolo. Dio è una libera proposta, non costringe nessuno a colpi di miracolo.

Ma c’è anche l’atteggiamento opposto, quello dei cristiani che vogliono ridurre tutto al materialismo e quasi si vergognano dello straordinario. Gente che vorrebbe consigliare Dio prima che Lui manifesti la sua onnipotenza.

Al di sopra, però di chi vuole troppi miracoli e di chi non ne vuole affatto, lasciando Dio (che sa le cose meglio di noi!) nella libertà di usare del quotidiano che è miracoloso o dello straordinario, rimane un obbligo preciso per noi: Gesù ci ha lasciato la consegna di "fare miracoli", anzi noi stessi dobbiamo diventare "miracoli", miracoli di speranza, di coerenza, di fedeltà, di perdono, di generosità, di gioia, di libertà, di comprensione.

Come nel brano di vangelo, anche oggi succede che persone chiedano un segno ed abbiano il diritto di ottenerlo proprio da noi che ci diciamo cristiani.

Gli uomini di oggi ne hanno basta di teorie, teologie, spiegazioni, religioni: il Cristo vogliono vederlo vivo! Il nostro mondo è malato di delusione, è accecato di violenza, è devastato dall’egoismo, è posseduto dalla noia, dunque non può più accontentarsi della nostra mediocrità, e neanche possiamo solo raccontare i miracoli di Gesù o contare su qualche suo miracolo straordinario. Dobbiamo essere noi a fare i segni di Gesù.

Mi piace molto questa definizione di Pronzato: "I miracoli sono una vacanza di Dio, ma sono anche l’occupazione quotidiana del cristiano".

 

 

MARTEDI’ 25

San Giacomo; San Cristoforo

Parola di Dio: 2Cor. 4,7-15; Sal. 125; Mt. 20,20-28

 

"SI AVVICINO’ LA MADRE DEI FIGLI DI ZEBEDEO E GLI DISSE: DI’ CHE QUESTI MIEI FIGLI SIEDANO UNO ALLA TUA DESTRA E UNO ALLA TUA SINISTRA NEL TUO REGNO". (Mt. 20,20-21)

Quanto è difficile cambiare mentalità a proposito dei primi posti!

Chi se la prenderebbe con la madre di Giacomo e di Giovanni che chiede a Gesù buoni posti per i suoi figli?

Tutti ci propongono di essere primi. "Mio figlio a quattro anni sa già suonare il pianoforte!" (non è proprio cosi, ma il ragazzino pesta abbastanza bene i tasti di un organino elettronico per la gran gioia del suo maestro che guadagna soldi, ma per la madre è un genio, il culmine, il primo fra gli altri). Ci hanno insegnato fin da bambini che bisogna essere i primi della classe, poi ci hanno insegnato che solo i primi nei vari sport sono i migliori, poi ci hanno detto che solo i primi hanno successo e stipendio migliore, poi, per essere primi ci hanno detto che bisogna tirare a fregare gli altri prima che questi freghino te e, per ultimo, ci hanno fatto credere che arrivare ad essere primi significa gloria, onore, potere, soldi, donne e… felicità! Si può credere a tante bugiarderie?

Se la madre di Giacomo e Giovanni avesse capito che essere alla destra e alla sinistra di Gesù significava imparare a servire fino al punto di andare a finire in croce di fianco a Lui, avrebbe ancora chiesto questi posti per i suoi figli?

Con Gesù si va incontro a tante sorprese: "gli ultimi saranno i primi", "le prostitute e i peccatori vi precedono nel Regno dei cieli", primo santo canonizzato da Gesù: un ladro pentito; primo santo dell’era cristiana: Stefano, uno che viene lapidato perché creduto eretico.

I primi della classe con Gesù, di solito, fanno brutta figura: pensate alla parabola del fariseo e del pubblicano oppure a quella del buon Samaritano dove un eretico è lodato mentre il sacerdote e il levita dimostrano di non aver capito il senso della Legge e della carità. Pensate alla figuraccia di Pietro quando ragiona solo con le sue forze.

Con Gesù non si fa ‘carriera’ e chi riduce la Chiesa a azienda con organigramma ben dettagliato, con ruoli da conquistare attraverso spudorate lotte al potere o con altrettanto subdole lotte mascherate di "buonismo" e di "spirito di umiltà e di servizio" non segue Gesù, segue se stesso.

Seguire Gesù non è neanche conquistarsi "un buon posto in Paradiso", è aver trovato l’amico, il senso della vita, è averlo scelto, è "essersi rivestiti di Lui", è imparare da Lui la gioia del servizio ai più umili.

 

 

MERCOLEDI’ 26

Santi Gioacchino ed Anna

Parola di Dio: Ger. 1,1.4-10; Sal. 70; Mt. 13,1-9

 

" USCI’ IL SEMINATORE A SEMINARE…" . (Mt. 13,3)

Noi siamo maestri nell’applicare le cose agli altri: "Gli altri dovrebbero fare così", "Quella pagina di Vangelo calza a pennello per quella persona"…"La parabola del seminatore va bene per i preti che dovrebbero imitare Dio nel seminare, i vari terreni sono i cuori degli uomini".

Gesù, questa parabola, l’ha raccontata per me, per mettermi davanti alla gioia e alla responsabilità del suo grande dono: la sua Parola.

La Parola di Dio non è una parola qualunque, non è una delle migliaia di parole che ascoltiamo ogni giorno.

Proviamo a pensarci: quando Dio parla crea. "E Dio disse: sia la luce. E la luce fu". Io esisto perché la sua parola mi ha voluto e mi sostiene.

La Parola di Dio è nientemeno che Gesù, suo Figlio: "La Parola si è fatta carne ed ha messo la sua tenda in mezzo a noi".

La Parola di Dio ha in sé una forza vitale. Quando noi ascoltiamo le parole degli uomini cerchiamo di assimilarle, di inserirle nelle nostre conoscenze. Per la Parola di Dio è diverso: essa possiede in sé un principio vitale capace, se assecondato, di operare trasformazioni, di creare cose nuove. Il mio compito, nei suoi confronti, è soprattutto quello di accogliere questo dono, di assecondare questo sforzo vitale che è in essa, nel non opporre ad essa alcuna resistenza.

Come mai, allora, ho ascoltato tante volte la Parola di Dio e sono sempre lo stesso?

Come mai certe volte in chiesa mi entusiasmo davanti alla Parola e poi, fuori di chiesa, vivo come se questa Parola non esistesse?

Perché ascolto parole grandi e continuo a compiere cose meschine?

Non sarà forse perché il nostro cuore spesso è indurito, il nostro terreno già occupato?

Se noi accogliessimo davvero quella Parola e la traducessimo in vita, allora saremmo anche noi creatori di novità, di bello, di Regno di Dio, allora incarneremmo anche noi Gesù Cristo.

Il seminatore ci dice: "Ecco ti do in abbondanza la mia parola. Essa è per te e se tu la accogli e la lasci portare frutto, attraverso te essa diventa seme anche per gli altri. Non ti chiedo molto, non ti porto via nulla. Soltanto, accogli il dono, fai spazio ad essa, lasciala crescere secondo la sua potenza, e vedrai che anche il deserto (tuo e degli altri) fiorirà".

 

 

GIOVEDI’ 27

San Raimondo Zanfogni; Santa Natalia

Parola di Dio: Ger. 2,1-3.7-8.12-13; Sal. 35; Mt. 13,10-17

 

"BEATI I VOSTRI OCCHI PERCHÉ VEDONO E I VOSTRI ORECCHI PERCHÉ SENTONO". (Mt. 13,1)

"Perché prendersela tanto calda per questioni di religione? Dio è uno solo e sempre lo stesso sia che lo chiamiamo Allah, Geova o Padre nostro. Lui ama ogni uomo, volete dunque che faccia distinzione tra cristiani, musulmani, induisti, scintoisti, animisti e chi più ne ha più ne metta?". Ragionamento più che corretto e più che giusto. Ragionamento da fare a da ripetere tutte le volte che diventiamo integralisti religiosi. Ma è così facile conoscere Dio attraverso le strade naturali o di religioni che esprimono il cammino dell’uomo verso Dio?

Non è forse più giusto e meno presuntuoso cercare di avvicinarci a Dio attraverso quelle strade che invece manifestano proprio il suo rivelarsi agli uomini?

E la strada migliore di tutte è proprio quella che Dio ha scelto attraverso l’incarnazione, la passione, morte e risurrezione di Suo Figlio.

Ecco il senso della beatitudine di oggi.

"Vedere" Gesù, "sentire" Gesù è una beatitudine, una fortuna, non perché ci fa migliori degli altri, ma perché ci permette di conoscere Dio ("Chi vede me vede il Padre"), di conoscerlo in pienezza ("Io sono la via, la verità, la vita"), di avere una comunione totale e continua con Lui ora e nell’eternità ("Chi mangia questo pane vivrà in eterno").

E questa beatitudine non è solo per i contemporanei di Gesù.

Noi spesso leggendo il Vangelo, un po’ stupidamente diciamo: "Beati loro, lo vedevano, lo toccavano, potevano parlargli direttamente e ascoltare di prima mano le sue risposte". No, non si tratta di vedere chiaramente con gli occhi, o di toccare con le mani o di conoscere attraverso i ragionamenti diretti, si tratta di lasciarsi aprire occhi e orecchie per arrivare non ad una filosofia o ad una religione, ma ad un incontro personale che permetta alla fede di scaturire e alla vita di riempirsi della gioia del suo dono.

 

 

VENERDI’ 28

Santi Nazario e Celso

Parola di Dio: Ger. 3,14-17; Salmo dal Cantico Ger. 31,10-13; Mt. 13,18-23

 

"QUELLO SEMINATO TRA LE SPINE E’ COLUI CHE ASCOLTA LA PAROLA, MA LA PREOCCUPAZIONE DEL MONDO, E L’INGANNO DELLA RICCHEZZA SOFFOCANO LA PAROLA ED ESSA NON DA’ FRUTTO." (Mt. 13,22)

Gesù spiega la parabola del seminatore e questo ci dà occasione di ritornare su quanto dicevamo due giorni fa. Dio ci dona abbondantemente la sua Parola, essa è per me personalmente, essa è parola che crea, essa è Gesù stesso, essa è vitale. Compito principale mio è quello di accoglierla e di lasciarle portare il frutto per cui è stata mandata. Unico guaio è che spesso il mio cuore è indurito e il mio terreno occupato da tante spine. Occupato da noi stessi, dai nostri pregiudizi, dalle nostre abitudini, dai nostri schemi, e tutto questo soffoca la Parola.Sembra quasi che facciamo di tutto per difenderci dalla Parola. Abbiamo paura della sua capacità dirompente, scomodante. Cerchiamo in tutti i modi di inserirla nella misura dei nostri schemi abituali. Non ci arrendiamo ad essa, come dovrebbe essere, ma tentiamo di adattarla a noi, la annacquiamo perché non crei troppi danni alle nostre comode abitudini anche religiose.Ma se questo è il modo di cercare di soffocare la Parola è anche il modo di soffocare noi stessi.Evitiamo la spada affilata della parola ma lasciamo soffocare noi stessi nelle abitudini che ci vivono e non ci lasciano vivere; mettiamo gli occhiali scuri per non lasciarci sfolgorare dalla sua potenza e così diventiamo tetri pessimisti, incapaci anche solo di intravedere la via della libertà; la Parola è fuoco e noi ci diamo da fare per buttarvi sopra i secchi d’acqua del nostro buon senso, della falsa prudenza, della nostra incredibile pigrizia, e facendo così ci impantaniamo sempre più in quelle che sono le sabbie mobili che poco per volta ci inghiottono.Pensiamo di difenderci da una Parola difficile e non accogliendola è come se da soli ci tagliassimo le radici che portano la linfa della vita. E pensare che Gesù, oltre che donarcela ci ha anche indicato il modo per accogliere la Parola: accoglierla come bambini, cioè con la mente sgombra da categorie mentali, da abitudini, con piena disponibilità, senza riserve, ed essa allora diventerà in noi vita, non si fermerà né solo all’intelligenza né solo al sentimento, ma potrà creare novità, vita, gioia per noi e per gli altri.

 

 

SABATO 29

Santa Marta; Santa Beatrice; Santa Lucilla

Parola di Dio: Prov. 31,10-13.19-20.30-31; Sal. 14; Lc. 10,38-42

 

"MARTA, MARTA, TU TI PREOCCUPI E TI AGITI PER MOLTE COSE, MA UNA SOLA E’ LA COSA DI CUI C’E’ BISOGNO. MARIA SI E’ SCELTA LA PARTE MIGLIORE CHE NON LE SARA’ TOLTA". (Lc. 10,41-42)

Nell’ambiente delle parrocchie e delle comunità noi spesso conosciamo troppe "Maria" che nel momento di cucinare, di darsi da fare, di lavare i piatti, pensano sia importante defilarsi per "pregare", "fare ritiri", "discutere di teologia", ma scopriamo anche molte "Marta" sommerse di lavoro e di preoccupazioni, che sospirano qualche momento di raccoglimento e di riposo.

Ma, attenzione, il Vangelo non voleva dire questo.

Non facciamo di Maria una pigra e anche una passiva. Si può essere contemplativi e attivi. Pensate ai grandi fondatori di ordini religiosi che proprio dall’orazione hanno attinto l’ispirazione e l’energia prodigiosa che poi hanno speso in viaggi, lotte e nelle loro realizzazioni apostoliche.

Ma, quando il Signore parla, che cosa c’è di più urgente da fare se non ascoltarlo?

Del resto non pensiamo poi che la preghiera, l’ascolto della parola sia poi tanto facile o gratificante.

Marta viene richiamata dolcemente da Gesù non tanto perché è attiva, quanto perché si agita e questo la mette anche nella situazione di sentirsi giudice della sorella.

Marta viene biasimata non perché lavora, ma perché è incapace di lasciarsi lavorare dalla Parola del Signore.

Gesù non loda affatto l’ozio e la pigrizia: "Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà in tal modo occupato", "Non chi dice: ‘Signore, Signore!’, entrerà nel Regno dei cieli ma colui che fa la volontà del Signore"; e Gesù disprezza coloro che non hanno fatto fruttare i talenti. Ma i maggiori nemici del lavoro ben fatto sono l’agitazione, l’impazienza, la preoccupazione, la paura, il nervosismo, il non saper ascoltare.

In fondo, se vogliamo interpretare rettamente l’atteggiamento di Gesù nel Vangelo di oggi, possiamo rifarci ad un’altra sua parola: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica".

 

 

DOMENICA 30

XVII^ DOMENICA DELL’ANNO  -  San Pietro Crisologo; Santa Donatella

Parola di Dio: 2Re 4,42-44; Sal. 144; Ef. 4,1-6; Gv. 6,1-15

 

1^ Lettura (2 Re 4, 42-44)

Dal secondo libro dei Re.

In quei giorni, da Baal Salisa venne un individuo, che offrì primizie all'uomo di Dio, venti pani d'orzo e farro che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: "Dallo da mangiare alla gente". Ma colui che serviva disse: "Come posso mettere questo davanti a cento persone?". Quegli replicò: "Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: Ne mangeranno e ne avanzerà anche". Lo pose davanti a quelli, che mangiarono, e ne avanzò, secondo la parola del Signore.

 

2^ Lettura (Ef 4, 1-6)

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini.

Fratelli, vi esorto io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

 

Vangelo (Gv. 6, 1-15)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?". Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. Gli rispose Filippo: "Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo". Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: "C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?". Rispose Gesù: "Fateli sedere". C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. E quando furono saziati, disse ai discepoli: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto". Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: "Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!". Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.

 

RIFLESSIONE

 

Per cinque domeniche consecutive la liturgia ci inviterà a riflettere su Gesù, pane vivo per la nostra fame. Può sembrarci perfino esagerata un’attenzione dedicata ad un unico tema, ma siamo davanti al mistero continuo della donazione di Gesù che si fa tutto per noi e ci permette così di entrare in piena comunione con Lui e, attraverso Lui, con il Padre.Per questa riflessione siamo partiti da un racconto concreto, quello della moltiplicazione dei pani. Ma dopo aver sentito ancora una volta questo brano, chiediamoci: siamo davanti ad un unico miracolo o a tutta una serie di miracoli?Intanto mi sembra di poter dire che un primo miracolo consiste nel fatto di una folla così grande (si parla di cinquemila uomini senza contare donne e bambini) che segue Gesù per ascoltare la sua parola. Gente che ha affrontato viaggi, intemperie, gente che sembra neppure essersi preoccupata di pensare ad una necessità primaria come il mangiare.

Mi chiedo se anche oggi avviene ancora questo miracolo. Certo, se arriva il grande cantante rock, se c’è la squadra del cuore, noi vediamo muoversi grandi masse, qualche volta ci sono anche le grandi masse per movimenti religiosi, ma c’è ancora davvero nella gran massa della gente il desiderio di incontrare Cristo? Negli anni in cui sono stato in varie parrocchie ho incontrato migliaia e migliaia di persone che venivano a cercarmi. Sapete che cosa veniva a chiedermi la maggioranza? Venivano a chiedermi delle cose: "Mi dica la messa per i miei defunti; celebri il nostro matrimonio, dia il battesimo ai bambini; quando comincia il catechismo dei piccoli? Quando ci sarà la festa di prima Comunione?". Oppure spesso venivano a cercar conforto, a sfogare le loro pene, ma non ho trovato molti che siano venuti a chiedermi: "Mi parli un po‘ di Gesù". Rischiamo di aver tempo per tutto ma di non aver tempo per Gesù.

Un secondo ‘miracolo’, cioè un segno particolarmente bello è che è Gesù stesso il primo a parlare di cibo, è Lui che si preoccupa per la gente che non ha ancora mangiato, pensa agli altri, pensa a ciascuno di noi. Neppure gli apostoli ci avevano ancora pensato: o non importava loro, o pensavano che ognuno doveva arrangiarsi per conto suo, o non sapevano come fare. Gesù invece ci pensa. Noi siamo importanti per Gesù, gli stiamo a cuore, tutti. Lui davvero è come il buon pastore che ha compassione di tutti e di ciascuno… Qualche volta gli uomini, e forse anche noi, siamo tentati di pensare: "Con tutto quello che succede sulla terra, Dio può forse darsi pensiero dei miei piccoli bubù? Vale la pena pregare per le nostre piccole preoccupazioni?". Sì, vale la pena pregare in qualsiasi situazione. Dio si interessa a me, a te, perché siamo suoi figli, perché valiamo il sangue che Gesù ha versato per noi.

Il terzo, grande miracolo è quel povero ragazzo che sa donare il suo pranzo (cinque pani e due pesci). E’ una piccola cosa davanti a cinquemila persone, ma se è dato con amore diventa tanto. E’ la condivisione che conta. Se avesse voluto invece tenere il pranzo per se solo, si sarebbe sfamato lui, ma … gli altri? Invece dal poco ce ne sarà a sufficienza per lui, per gli altri, per tutti.

Oggi, davanti al grande problema dei milioni di persone che nel mondo muoiono di fame noi siamo scandalizzati, vorremmo che davvero le nazioni pensassero ad una giusta divisione dei beni della terra, saremmo contenti se i grandi della terra convertissero qualcuno dei loro costosissimi armamenti in pane per chi ha fame, ma che cosa ci posso fare io con la mia piccola offerta? E poi, anche se la do, in quali mani va a finire, e come viene utilizzata?

Mi permettete una riflessione che a prima vista può sembrare insensata, ma che forse può farci pensare?

I milioni di uomini che a stento hanno i cinque pani e i due pesci che non riescono a calmare la loro fame sono stati depredati da altre persone che tengono nelle loro mani il cibo necessario per milioni di persone ma che non pensano minimamente di schiodare le loro mani. Se danno qualcosa sono gli avanzi, ma anche di quelli sono gelosi custodi e, con la scusa che poi non sanno se andranno a finir male, li lasciano bellamente marcire.

Oggi è il troppo che non basta mai a chi lo possiede. La proporzione è inversa: c’è qualcuno che schiatta cercando di mangiare da solo cinquemila pani e lascia morire gli altri di denutrizione. Si muore a causa dell’egoismo e dell’ingordigia di pochi non tanto per l’indigenza dei più.

Per me il miracolo più grande, allora come oggi, è chiudere gli occhi e aprire le mani, è imparare a gustare il sapore del pane, non quello che hai mangiato, ma quello che hai regalato. Se capissimo che il vero gusto del pane e delle cose non sta in ciò che accumuli ma in ciò che condividi, che il valore del tempo sta in quello che hai speso per gli altri, che c’è davvero, come dice Gesù: "più gioia nel dare che nel ricevere", se avessimo davvero capito queste cose, saremmo capaci di rinnovare il miracolo della moltiplicazione dei pani.

Non è la Chiesa ricca che fa miracoli, è la Chiesa povera che condivide la propria povertà che fa miracoli: Un papa di tre secoli fa, guardando alle ricchezze della Chiesa diceva: "Eh sì, oggi la Chiesa non è più come ai tempi di Pietro quando lui non aveva neppure una moneta da dare in elemosina al paralitico della porta Bella del Tempio, oggi noi abbiamo terre, ricchezze, potere…" . Gli rispose un saggio cardinale: "Noi abbiamo tutto, ma non siamo più capaci di dire come Pietro : << Non ho nulla da darti, ma nel nome di Gesù: Alzati e cammina>>

Un altro miracolo sono le dodici ceste di avanzi.

Da quei cinque pani ne avanza ancora. Non solo è bastato, ma ne è rimasto. Non si tratta di avanzare prima. Prima bisogna dare tutto con fiducia, i resti ci saranno dopo, perché Dio è il resto della donazione.

Abbiamo dunque assistito a tanti miracoli. Ma sono bastati per fare credere in Gesù?

La gente cerca Gesù per farlo re, ma solo perché aveva dato da mangiare gratis, e allora Gesù si ritira.

Tanti "miracoli" non bastano a suscitare la fede in Gesù. Spesso, ieri come oggi, ci si ferma alla superficie, si pensa a quello che ‘interessa’, a quello che ‘serve’, e la persona non conta, il cuore non conta, l’amore di Gesù e per Gesù non conta.

Eppure si è cristiani non per il fatto che facciamo alcune cose religiose, ma se cerchiamo Gesù per quello che Lui ci dona: la sua Parola e il suo Pane di vita che ci portano a condividere, ad amare, a servire.

Gesù non è un facile solutore di problemi, non è la macchinetta per i miracoli, Gesù ci responsabilizza, ci aiuta, ci dà la forza di fare bene la nostra parte.

Gesù moltiplica ciò che noi gli portiamo. Chi non porta niente si auto esclude dalle sue ‘moltiplicazioni’. Nessuno è tanto povero da non aver niente da donare agli altri.

Il ragazzo del Vangelo offre i suoi pochi pani e poi sparisce, nel Vangelo non si parla più di lui. Solo lui e Gesù sanno e questo basta a Gesù per poter fare il miracolo e a quel ragazzo per aver sperimentato la gioia del vedere la moltiplicazione del suo dono.

 

 

LUNEDI’ 31

Sant’Ignazio di Loyola

Parola di Dio: Ger. 13,1-11; Salmo dal Cantico Dt. 32,18-21; Mt 13,31-35

 

"IL REGNO DEI CIELI SI PUO’ PARAGONARE AD UN GRANELLINO DI SENAPA…" (Mt. 13,31)

Dicevamo l’altro ieri che il modo migliore di accogliere la parola è avere l’atteggiamento dei bambini. Infatti le parabole sono un linguaggio semplice che solo dai semplici può essere capito. Non finisco mai di stupirmi, quando racconto ai bambini una favola, come essi, con fantasia (a volte impensata) riescono subito a cogliere il nocciolo essenziale e l’insegnamento nascosto.

Troppi ragionamenti sulla parabola del granello di senapa hanno finito per travisarla; si è voluto vedere in essa l’espansione della Chiesa, la sua grandezza e invece ci si è dimenticati che qui Gesù parla soprattutto di piccolezza: Lui, il Dio grande si è fatto piccolo uomo sconosciuto, vissuto in un angolo di terra lontano dalla centralità della politica e del potere; Lui seminato con abbondanza dal Padre; Lui che si intride di terra, coglie le nostre gioie, è solidale con le sofferenze, va a cercare i piccoli, gli umili, i peccatori; Lui che diventa l’Agnello di Dio, senza unghie per graffiare, ma innocente che dona la sua vita; Lui che bagna il nostro terreno con il suo sangue; Lui che marcisce nella nostra terra per farci rinascere.

Ed ecco allora che io, cristiano, rivestito di Cristo fin dal giorno del mio battesimo, devo fare come Lui non usando le armi della potenza, della violenza o ricercando solo il successo, il risultato.

In una intervista di molti anni fa chiedevano a Giulio Andreotti di spiegare, secondo il suo pensiero, questa parabola e quella del lievito. Diceva:

"La costruzione del Regno di Dio non avviene clamorosamente e mediante atti sensazionali. E’ nel lavoro più umile e ordinario di un contadino e di una casalinga che il Vangelo raffigura questa edificazione. E a me questo sembra molto significativo". Gli chiedevano ancora: "Che cosa può significare questa parabola alla società odierna?" "A non aver fretta; ad essere umili; a credere nel risultato positivo di ciò che si fa in spirito di bontà e di servizio".

     
     
 

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