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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

GIUGNO 2000

 

GIOVEDI’ 1

San Giustino

Parola di Dio: Atti 18,1-8; Sal. 97; Gv. 16,16-20

 

"VOI SARETE AFFLITTI, MA LA VOSTRA AFFLIZIONE SI CAMBIERA’ IN GIOIA". (GV. 16,20)

Bisogna fare molta attenzione all’uso di frasi come quella di Gesù che meditiamo oggi.

Immaginiamoci che un medico ci abbia appena diagnosticato un cancro molto brutto, incurabile, destinato a farci soffrire a lungo; o immaginate quella mamma che ha appena perso il suo figlio; si avvicina un cristiano e vi dice: "Dio ti ha scelto, ti vuole bene: soffri, soffri adesso, ma poi vedrai che gioia in paradiso!". Che cosa gli rispondereste? Vi dico sinceramente che io lo manderei a quel paese e questo per diversi motivi: per prima cosa non mi consola per niente un atteggiamento del genere, anzi, è una irrisione della sofferenza; secondo, mi fa apparire Dio come un sadico che gode della nostra sofferenza e allora di un dio così non so proprio che cosa farmene. In questo contesto evangelico Gesù parlava con realismo di se stesso agli apostoli, li stava preparando allo scandalo della croce. Il Figlio di Dio, avendo scelto la strada della Verità e dell’Amore aveva accumulato su di sé le ire dei potenti e dei religiosi e queste portano ad una conclusione: Gesù deve morire. La croce è dunque una conseguenza di una scelta di Verità e di Amore e non fine a se stessa. In sé la croce è brutta, farà soffrire e morire Gesù, scandalizzerà i discepoli. Non è Dio che sceglie la sofferenza, è l’opposizione alla Verità e all’Amore che crea la croce ed è allora proprio solo l’Amore che, accettando la Croce, ne vien vinto fisicamente, ma la vince perché la trasforma.

E la Risurrezione di Cristo sarà la firma di Dio che accetta questo Amore e conferma le scelte di Gesù dando loro compimento pieno, e tutto questo procurerà gioia, non una gioia effimera e passeggera, ma la gioia profonda di chi, affrontando il male con Amore e nella Verità scopre che Dio stesso lotta con lui contro il male e, pur non togliendolo, alla fine ce ne rende vincitori.

Per ritornare agli esempi che facevo prima, quale può essere il nostro atteggiamento davanti a chi soffre? Prima di tutto di rispetto: siamo davanti ad un mistero difficile e ognuno lo affronta come può e come riesce; secondo atteggiamento: la solidarietà; non fatta di "poveretto" o di pacche sulla schiena, ma fatta di concretezza: " Forse non so e non posso fare molto per te, ma, silenziosamente, sappi che ti apprezzo in questa tua difficile lotta e sono a tua disposizione per ogni evenienza". Terza cosa: iniezione di speranza per noi e per chi soffre. Gesù ha sofferto ma ha anche vinto e se Lui è con noi e noi cerchiamo di stare con Lui…

 

VENERDI’ 2

Santi Marcellino e Pietro; Sant’Erasmo

Parola di Dio: Atti 18,9-18; Sal. 46; Gv. 16,20-23

 

"NON AVER PAURA, MA CONTINUA A PARLARE, NON TACERE". (At 18,9)

Sono molti i motivi per cui un cristiano oggi è tentato di tacere, di non manifestare la propria fede. Proviamo ad esaminare qualcuna di queste tentazioni.

"Sono finite le epoche delle crociate. Ciascuno, se vuole, oggi, può arrivare alla fede anche senza le tue parole e il tuo esempio!". E’ vero, non è giusto convertire a colpi di spada, ma se Gesù ha mandato in tutto il mondo a predicare, testimoniare, battezzare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, io posso dire che la fede è solo questione personale?

Noi, oggi, poi, diamo scontato che nella nostra società delle comunicazioni in tempo reale, della scuola obbligatoria, tutti abbiano cultura e possibilità di conoscere, scegliere, approfondire personalmente una fede. Ma è vero? Io, più vado avanti negli anni e più mi convinco che sotto tantissimi aspetti questa è un’epoca di grande ignoranza, di "globalizzazione" e di appiattimento dei valori, ma verso il basso. Ho incontrato tante persone dotate di lauree universitarie, impiegati in ‘posti nevralgici’ della grande industria, imprenditori, liberi professionisti, preti di una ignoranza unica, pieni di luoghi comuni nel parlare, incapaci di scelte proprie, acculturati negli ultimi termini dell’informatica, ma incapaci di dirigere se stessi e la propria famiglia.

E a livello di fede? Poveri noi! Provate a leggere certi libri di certe case editrici cattoliche che vanno per la maggiore: una raccolta di stupidaggini teologiche alla moda mischiate ad occhieggiamenti ai vari esoterismi ma con piene affermazioni di fedeltà alla chiesa gerarchica, oppure, provate a sentire qualche dibattito religioso (oh, quanto vanno di moda, riescono perfino a fare audience!) nei salotti televisivi. A parte alcune eccezioni, ci troviamo davanti a squallore, supponenza, ignoranza.

Quando Dio ci dice di parlare, non vuol farci parlare per far ginnastica alla lingua; ma, possibile che tu, cristiano, non abbia una gioia da trasmettere, una buona notizia da comunicare?

E non nasconderti neanche davanti al fatto che "ho bisogno io di confermare la mia fede, altro che dirlo agli altri!". Pensa a Gesù che manda in missione i suoi apostoli prima ancora della sua passione e risurrezione, quando più volte essi hanno dato prova di aver capito proprio poco di Lui.

Se è vero che non c’è bisogno di dire chissà che e che la fede non la si annuncia con le chiacchiere, non rischiamo per questo di diventare pusillanimi che preferiscono tacere o ridurre Dio ad un facile intimismo, "io e Lui", che il più delle volte finisce per essere "io e io".

 

 

SABATO 3

Santo Carlo Lwanga e compagni; Santa Clotilde

Parola di Dio: Atti 18,23-28; Sal. 46; Gv. 16,23-28

 

"IN VERITA’ VI DICO: SE CHIEDERETE QUALCOSA AL PADRE NEL MIO NOME, EGLI VE LO DARA’ ". (Gv. 16,23)

Gesù sovente parla di preghiera, invita alla preghiera, insegna a pregare… ma capita che ci chiediamo: "Perché pregare?".

Se qualcuno chiedesse ad un innamorato: "Perché amare?", egli si troverebbe imbarazzato e perfino impossibilitato a ‘giustificare’ il proprio amore.

Perché due persone che si vogliono bene devono incontrarsi, parlarsi, stare insieme, incrociare gli sguardi, sospirare, ascoltarsi? Non solo questa è una domanda difficile, è una domanda inutile. Non andate a chiedere ad un poeta il perché della sua poesia!

Quando uno pretende delle motivazioni per amare, vuol dire che ha paura di amare. O entri nella logica dell’amore, nella prospettiva della vita e allora le ragioni sono inutili, o stai ai margini, e allora anche le più puntigliose motivazioni si rivelano insoddisfacenti.

Chi non prega considera la preghiera superflua.

Chi prega ritiene superflue le ragioni del pregare.

Se uno, prima di lanciarsi nell’avventura della preghiera, pretende chiarire tutti i dubbi, risolvere tutte le questioni, esaminare e appianare in partenza tutte le difficoltà, affrontare teoricamente tutti problemi, essere equipaggiato delle formule giuste adatte a tutti gli usi, garantirsi circa i vantaggi e i risultati, non partirà mai. Passerà magari tutta la vita a leggere libri sulla preghiera, ma risulterà sostanzialmente estraneo a quel mondo.

La preghiera è un esperimento che va condotto in proprio.

Si tratta di decidersi a compiere un passo, insistere, provare, tentare, ritentare, cercare… Prega e vedrai. Prega e capirai. Meglio: capirai che non c’è affatto bisogno di capire.

 

 

DOMENICA 4

ASCENSIONE DEL SIGNORE

Parola di Dio: Atti 1,1-11; Sal. 46; Ef. 4,1-13; Mc. 16,15-20

 

1^ Lettura (At 1, 1-11)

Dagli Atti degli Apostoli.

Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo. Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre "quella, disse, che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni". Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: "Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?". Ma egli rispose: "Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra". Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo".

 

2^ Lettura (Ef 4, 1-13)

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini.

Fratelli, vi esorto io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti. A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo sta scritto: Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini. Ma che significa la parola "ascese", se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose. E' lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.

 

Vangelo (Mc 16, 15-20)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, Gesù apparve agli Undici e disse loro: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno". Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano.

RIFLESSIONE

Festa di una conclusione o di un inizio?

Ritorno a casa per ricevere il giusto premio e "sedere alla destra del Padre", o rimanere "con noi ogni giorno"?La festa della Ascensione ci può lasciare perplessi per tanti motivi, non ultimo anche il brano di Vangelo dove Gesù in partenza manda gli Apostoli e fa loro cinque promesse di cui puntualmente non se ne realizza una.Proviamo allora, con umiltà e invocando lo Spirito santo, a ripercorrere alcune piste di questa festa.Prima di tutto mettiamoci nei panni di Gesù.

Lui, Dio, perfetto, beato, eterno, ha accettato per amore di farsi uomo, limitato, sofferente, legato al tempo. Per amore del Padre e nostro ha detto: "Eccomi, manda me!" ed ha sperimentato nella sua carne concreta le nostre gioie, i dolori, le ansie, la paura, la morte, la fedeltà di Dio nella risurrezione. Durante la sua vita ci ha parlato, ci ha istruiti sui misteri del Regno di Dio, ci ha mostrato il volto misericordioso del Padre, ci ha detto di essere Lui stesso la Via, la Verità, la Vita, ci ha insegnato a costruire il suo Regno nella carità vicendevole, ci ha lasciato dei segni-sacramenti… e adesso se ne va, torna al Padre, gli dice: "Missione Compiuta!, si riveste di nuovo di beatitudine, eternità, perfezione tra cori di angeli e di santi plaudenti.Ma sarà proprio così? Gesù non ‘ritorna al cielo ‘ come prima, si porta dietro il suo corpo, quel corpo che "concepito per opera di Spirito Santo" gli è stato intessuto nel grembo di una donna, vergine, ma fatto di carne concreta. Quel corpo che sì, è glorioso (i Vangeli raccontano che dopo la risurrezione Gesù passa attraverso porte chiuse), ma non è "un fantasma", è un corpo concreto con ben visibili i segni della passione che si possono toccare (ricordiamo l’episodio di Tommaso). Questo corpo che Gesù si porta in cielo sarà anche il segno visibile e continuo presentato al Padre per ricordargli la sua eterna nuova Alleanza con l’umanità non più fondata su tavole di pietra o su arcobaleni deposti tra le nubi, ma nel sangue stesso di suo Figlio. Ma questo corpo è anche un corpo che lega Gesù per sempre con la nostra umanità. Permettetemi qualche colpo di fantasia: Gesù, salendo al cielo, si è portato dietro un bel po’ di polvere di terra attaccata ai suoi piedi, e questa polvere è per Lui nostalgia tale che fa sì che Lui, glorioso presso il Padre, sia ancora e sempre pellegrino di questo mondo.

Certo, con l’Ascensione è finita l’esperienza storico-temporale (come intendiamo noi, ma sarà proprio così?) dell’uomo Gesù, ma è tutt’altro che finita la sua incarnazione. Riusciamo allora ad avvicinarci alla conclusione del Vangelo di oggi e a comprendere meglio l’apparente contraddizione: "Fu assunto in cielo" e "Egli operava insieme con loro" Caro Gesù, la tua missione non è finita. Quel corpo che Maria ti ha dato, che tu hai offerto per noi sulla croce, che Dio ha glorificato nella risurrezione, ti costringe ancora alla terra; ti richiama le piccole, ma profonde gioie umane, le carezze di una mamma, i baci sui tuoi piedi di quella peccatrice riconoscente, la sete sedata dall’acqua della donna Samaritana al pozzo, i pasti mangiati insieme, la vigoria delle lunghe camminate, la gioia di poter crollare in un sonno profondo e ristoratore, gli occhi per vedere le meraviglie della creazione o per poter cogliere la riconoscenza di quei genitori a cui avevi restituita viva la figlioletta morta. Ma anche questo tuo corpo ti richiama alle prove e alla sofferenza che ti ha legato per sempre a questa nostra umanità: la tua paura della sofferenza che è la nostra eterna paura del buio, del dolore, degli affetti incrinati, della solitudine, degli odi, delle guerre; la tua fame che è ancora la fame di milioni di uomini che oggi non hanno il necessario; le tue ferite che sono ancora oggi i segni dei tradimenti, degli sfruttamenti, delle passioni; il tuo grido finale che richiama ancora il grido dell’uomo davanti alla morte, il grido di colui che nella paura non ha ancora imparato a rinascere. Caro Gesù, questo tuo corpo ti vincola in mezzo a noi. E Tu ci stai ben volentieri, perché ci ami totalmente. Non ci hai lasciato nei Sacramenti dei segni-ricordo, come purtroppo spesso li consideriamo noi, neppure dei segni-celebrativi come qualche volta li riducono certi tuoi preti, ci hai lasciato te stesso. Sei tu che battezzi, è davvero il Tuo Corpo quello che mangiamo, è il Tuo Spirito quello che riceviamo, è il Tuo perdono che ci rinnova, è la tua presenza che ci fa attuare le scelte più importanti della vita e dare senso anche alla nostra sofferenza. Sei ancora Tu davvero presente nella comunità piena di povertà ma che si riunisce nel Tuo nome, e sei Tu nel povero, nel sofferente, nel fratello: non è una "pia finta" per tenerci buoni, ci sei Tu, davvero. Signore Gesù, allora la festa di oggi e tutt’altro che una festa dell’addio piena di rimpianti, è tutt’altro che rimanere con il becco in aria e perderci in mistiche speranze di futuri e comodi paradisi. La festa di oggi è sapere di avere una meta. Ma è anche camminare verso la meta nella concretezza della terra sicuri però di averti per compagno. E’ continuare a vivere nella fede ma nell’oscurità, avendo la certezza della gloria dovuta al tuo amore misericordioso, ma che non esclude il dubbio, l’incertezza, la contraddizione. Tutto è compiuto e tutto resta da fare. Niente è più come prima anche se tutto va avanti come prima. Lo sguardo e il cuore restano ancorati verso la realtà ultima mentre i passi battono le vie del provvisorio. Da una parte abbiamo la forza delle tue promesse e dall’altra sperimentiamo dolorosamente una realtà che smentisce le promesse con gli insuccessi e i rifiuti, con le proprie debolezze. Da una parte c’è il tuo fuoco o Gesù e il desiderio di amarti e di farti amare e dall’altra la pazienza da esercitare in mezzo alle indifferenze generali che sembrano soffocare ogni cosa. Riceviamo da Te l’incarico di proclamare il Vangelo, di parlare a nome di Dio, ma nello stesso tempo siamo costretti a confessare di non possedere le risposte per tutte le domande, le soluzioni per tutti i problemi, obbligati a riconoscere con onestà che la nostra scienza si arresta davanti ai segreti di Dio e che le nostre parole sono semplici balbettamenti rispetto alla grandezza del messaggio. Caro Gesù, oggi ringrazio particolarmente lo Spirito Santo e Maria che, nella volontà del Padre, nella tua adesione, ti hanno regalato quel corpo che pur nella gloria ti costringe alla terra e ti fa concretamente fratello e compagno di cammino. Ma contemporaneamente ringrazio anche per il mio corpo che mi limita, ma che nello stesso tempo mi permette di incontrarti concretamente, già qui, al buio, per provare l’emozionante avventura di poter collaborare con Dio alla venuta definitiva del Tuo Regno.

 

 

LUNEDI' 5

San Bonifacio; Santa Valeria

Parola di Dio: Atti 19,1-8; Sal. 67; Gv.16,29-33

 

"IO HO VINTO IL MONDO". (Gv. 16,33)

Spesso mi capita di mettermi davanti a Te, o Signore, con la realtà della mia vita e della mia storia, e non è sempre un bello spettacolo: grandezza e povertà, tentativi di bene e peccato, gioie e tante sofferenze, tensioni, paure… E oggi sento Te che dici: "Io ho vinto il mondo".

Eppure, se guardo la Tua vita scopro anche in te tanti segni di sconfitte.

Tu, Figlio di Dio, sei vissuto come un poveraccio, hai predicato e i tuoi amici non ti hanno compreso; coloro che avevi miracolato, guarito, al momento buono sono spariti; i tuoi apostoli sono fuggiti; ti hanno venduto al prezzo di uno schiavo; i tuoi avversari ti hanno preso quando hanno voluto, un piccolo procuratore Romano mandato in provincia ti ha giudicato, condannato.

Ti sei proclamato Re e la tua incoronazione fu una burla feroce; ti proclamasti Figlio di Dio e fosti condannato perché bestemmiatore; ti dicesti Messia e sei stato considerato un sobillatore del popolo; ti presentasti come il Salvatore e non riuscisti a salvare nemmeno te stesso… e dici di aver vinto il mondo!

Sì, qualcuno dice che lo hai vinto dopo, il mondo, con la tua risurrezione, con la tua Chiesa. E’ vero dopo duemila anni si parla ancora di Te, ma, Gesù, quanti delitti ci sono stati e ci sono ancora, perpetrati all’ombra del tuo nome! C’è ancora la tua Chiesa, ma quanto è peccatrice! Anche oggi tu sei tradito nelle idee, nella fede, sei venduto lungo le strade, continui a morire di fame, sei abbandonato come un povero… e dici di aver vinto il mondo!

Gesù, anche senza guardare troppo gli altri: io ho poca fede, io ti tradisco, stento a capirti e seguirti, io prometto e non mantengo, io sono un egoista che parla molto e fa poco per gli altri….Mi sembra di cogliere nel silenzio la tua risposta: "Il mondo non l’ho vinto perché ho avuto successo, perché il male sia stato bandito definitivamente da esso e dalla strada dei giusti, il mondo l’ho vinto perché l’ho amato e lo amo e ti amo. Questa è la mia vittoria: Io ci credo all’Amore! Se voi, più di mezzo miliardo di cristiani, ci credeste davvero con i fatti non avreste vinto anche voi il mondo avvolgendolo in una trama d’amore?".

 

 

MARTEDI’ 6

San Norberto; Santa Paolina; San Gerardo

Parola di Dio: Atti 20,17-20; Sal.67; Gv.17,1-11

 

"QUESTA E’ LA VITA ETERNA: CHE CONOSCANO TE, UNICO VERO DIO, E COLUI CHE HAI MANDATO, GESU’ CRISTO". (Gv. 17,3)

Quando ci chiediamo quale sia stato il compito di Gesù nella sua Incarnazione, rispondiamo dicendo: "E’ venuto per salvarci!" e, giustamente, pensiamo subito alla sua passione, morte e risurrezione. Ma Gesù ci ricorda anche che la sua salvezza avviene attraverso la conoscenza di Dio.

Quando parliamo di "conoscenza" non fermiamoci però, al senso che abitualmente diamo a questo termine: "ricercare ed apprendere nozioni su una determinata cosa".

Sappiamo che nella Bibbia "conoscenza" significa entrare in intimità con una persona. Il termine "conoscere" nella Bibbia viene addirittura usato per indicare il rapporto sessuale.

Gesù ci fa conoscere Dio non attraverso una descrizione analitica, non attraverso le elucubrazioni della filosofia o della teologia, ma attraverso l’esperienza unica e profonda che Lui stesso ne ha. Ecco allora che Gesù usa la parola "Padre". Il suo rapporto con Dio non è di sudditanza, è un rapporto familiare di un Padre e di un Figlio che si vogliono enormemente bene e che vogliono bene alla loro creatura, l’uomo. E l’uomo, proprio grazie a Gesù, può anche lui dire con verità, in intimità profonda quella bellissima parola: "Padre…".Non più Dio da ricercare unicamente nell’aridità delle idee, non più generico Signore superiore a tutto, non più Padrone con il quale mercanteggiare o da ingraziarsi attraverso doni e sacrifici, non più idolo legato a formule religiose, non più Dio ammuffito in biblioteche, ma "mio Padre", "nostro Padre", "Padre nostro…"; un Padre che mi è intimo, di cui porto (nonostante tutto) i segni della somiglianza, un Padre che vuol vedermi crescere nella libertà che mi ha dato, che non può volere che unicamente il mio bene, che mi ha dato tutto e come dono più grande mi dà Gesù e mi fa tempio del suo Spirito…Se ci penso bene capisco perché certi padri della Chiesa cominciavano a pregare al mattino il Padre nostro e, alla sera, erano ancora fermi, pieni di gioia e di commozione alla parola "…Padre..".

 

 

MERCOLEDI’ 7

Sant’Antonio M. Giannelli

Parola di Dio: At 20,28-38; Sal.67; Gv.17,11-19

 

"PADRE SANTO, CUSTODISCI NEL TUO NOME COLORO CHE MI HAI DATO, PERCHE’ SIANO UNA COSA SOLA COME NOI". (Gv. 17,11)

In questa grande preghiera che Gesù fa proprio per noi, una delle grandi richieste che viene più volte ripetuta è quella che invoca l’unità dei credenti.

Il modello a cui questa unità deve puntare è la Trinità stessa: come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, pur essendo persone distinte, sono un unico Dio, così i credenti, avendo scoperto di essere amati così tanto da Dio, nell’amore vero scoprono di essere un unico corpo, una cosa sola.

Come mai, allora ci sono tante divisioni tra credenti? Come mai cattolici, protestanti luterani, evangelici, presbiteriani, ortodossi, copti…? Come mai credenti nello stesso Cristo si fanno la guerra tra loro? Come mai nelle nostre stesse comunità cristiane non riusciamo ad andare d’accordo e ci dividiamo in gruppi, in fazioni opposte?

La risposta è semplice: dove c’è divisione, dove manca amore, dove si fa discriminazione non c’è Gesù.

Se Gesù è venuto per tutti, perché io sono geloso degli altri?

Se Gesù è morto per tutti, perché io penso che Lui sia solo dalla mia parte?

Se abbiamo capito che il cristiano è uno che, come Gesù, è al servizio degli altri, perché le Chiese sono ancora troppo spesso dominate dal potere, dalle diplomazie, dagli onori?

Lo sappiamo benissimo che unità non vuol dire uniformità, che obbedienza non vuol dire becera sequela di chi, approfittando del suo ruolo, fa i propri interessi, sappiamo anche che lo Spirito dà carismi diversi, sappiamo che le divisioni storiche non possono materialmente essere cancellate con un semplice colpo di spugna, ma perché non puntare a valorizzare i doni reciproci, a capire che se c’è unità nel rispetto dei valori propri e di quelli dell’altro, tutti collaboriamo alla crescita dell’unico Corpo di Cristo?

 

 

GIOVEDI’ 8

San Medardo

Parola di Dio: Atti 22,30. 23,6-11; Sal. 15; Gv. 17, 20-26

 

"PADRE, VOGLIO CHE ANCHE QUELLI CHE MI HAI DATO, SIANO CON ME DOVE

SONO IO". (Gv. 17,24)

Questa grande preghiera che Gesù fa, si chiama "preghiera sacerdotale" non tanto perché riguardi i preti, quanto perché è Gesù il Sommo Sacerdote che offre se stesso per noi.

E’ estremamente bello e consolante pensare che noi, che viviamo venti secoli dopo, eravamo già presenti nella preghiera di Gesù: Lui ha pregato per la nostra fede, la nostra santità, la nostra unità e chiede al Padre che noi siamo là dove Lui è.

Ma Gesù dov’è?

E’ nella gloria del Padre ma è ancora con noi tutti i giorni di vita, è nel Sacramento dell’Eucarestia e in tutti gli altri Sacramenti ma è anche sulla Croce insieme alle sofferenze di ogni uomo, è là dove due o tre sono riuniti nel suo nome come nell’affamato che aspetta un pane da noi, nello straniero che bussa alla nostra porta, nel carcerato, nell’ammalato.

Allora questa sua richiesta è consolante: Gesù è in Paradiso e vuole che anche noi siamo là. Ma questo è anche impegnativo perché ci vuole anche sulla sua croce fino a dare la vita per amore, vicino alla croce dei fratelli e alle loro povertà per spezzare con loro solidarietà e pane.

Essere con Cristo significa assumerlo in pieno, fare come ha fatto Lui, avere la sua solidarietà e la sua forza, avere la speranza della risurrezione e della vita eterna ma anche fare le sue scelte difficili, a volte misteriose e dolorose, significa sentire la sua "passione" sia per Dio che per gli uomini, spendersi con amore per i fratelli.

Tutto questo può essere faticoso ma è anche estremamente bello pensare di non essere soli né adesso né domani, pensare anzi, che Gesù, oggi, il Figlio di Dio, vuol servirsi di me per essere ancora, con me, nel mondo e per far sì che io e i fratelli, poco per volta, diventiamo come Lui per stare con Lui per sempre.

 

 

VENERDI’ 9

Sant’Efrem

Parola di Dio: Atti 25,13-21; Sal.102; Gv. 21,15-19

 

"SIMONE, MI AMI?". (Gv. 21,16)

Se dovessi sceneggiare il Vangelo mi piacerebbe farlo attraverso gli occhi di Pietro perché, tra tutti gli Apostoli, mi sembra il più concreto, il più uomo. Altri sono preoccupati ad inquadrare Gesù nei loro schemi religiosi o politici, altri interessati ad accaparrarsi i primi posti nel nuovo regno, ma chi rappresenta in pieno l’umanità per cui Gesù si è incarnato è proprio questo Pietro che ha la stoffa del capo, ha dubbi, è irruente, è generoso, è pauroso… Pietro e Gesù vanno d’accordo. A loro basta un’occhiata, un cenno per capirsi. Gesù poteva lodarlo ("Beato te, Simone…"), o riprenderlo aspramente ("Tu sei Satana per me"), poteva dirgli sorridendo davanti alla sua richiesta: "Su, prova a camminare sulle acque, ma poi gli allungava la mano per salvarlo, accettava le sue parole apparentemente insensate ("Facciamo qui tre tende"), avrà sorriso nel vedere Pietro che nella fretta di vedere il Maestro risorto emerge dalle acque del lago bell’e nudo, e davanti alle sue sparate ("Non ti tradirò mai!") poteva ricordargli di essere più umile.

Perché questo rapporto? Perché i due non erano compagni di viaggio, non erano il capo e il suo vice, erano due che si amavano. Gli errori, le irruenze, addirittura i peccati di Pietro non contano, conta solo che Gesù ama Pietro e che Pietro si ricordi sempre di amare Gesù e di amarlo nel modo giusto.

Quanto siamo lontani dalla mentalità di Gesù e del Vangelo quando distinguiamo i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, quando diciamo "Questo peccato è veniale, questo è mortale", quando stabiliamo, codice alla mano, chi può fare la Comunione e chi non può farla.

Il criterio non è quello!

Gesù non ci vuole bene perché siamo buoni, irreprensibili, senza peccati. Che cosa può farsene Gesù di ‘gatte morte’, incapaci di male, ma anche di bene, di gente di ottima apparenza, ma che non è nulla, perché senza carattere, senza passioni, amorfa, senza spina dorsale. Il criterio non è il peccato, ma l’amore.

Gesù mi vuole bene come sono. Mi ama se mi vede sincero, ha fiducia nonostante i limiti e le imperfezioni. I peccati ci pensa Lui a perdonarli se riesce a vedere che gli voglio davvero bene.

E’ perfettamente inutile e antiproducente stare a crogiolarsi nel peccato e nei sensi di colpa o piangersi addosso. Ama e il peccato non diventa più motivo di distacco dalla santità, paura della perdizione, ma motivo per imparare con umiltà ad amare di più chi immensamente ti ama perdonandoti.

 

 

SABATO 10

San Maurino

Parola di Dio: Atti 28,16-20.30-31; Sal.10; Gv. 21,20-25

 

"VI SONO ANCORA MOLTE ALTRE COSE COMPIUTE DA GESU’, CHE SE FOSSERO SCRITTE UNA PER UNA, PENSO CHE IL MONDO STESSO NON BASTEREBBE A CONTENERE I LIBRI CHE SI DOVREBBERO SCRIVERE". (Gv. 21, 25)

Siamo arrivati alla vigilia della grande festa di Pentecoste e la liturgia di oggi, quasi a concludere la testimonianza scritta su Gesù per lasciare spazio allo Spirito di darne di nuove, ci presenta la conclusione del Vangelo di Giovanni.

Ieri dicevamo dell’amore di Gesù per Pietro, oggi possiamo vedere un altro modo di amare nei confronti di Giovanni. Questi era il più giovane degli Apostoli e il suo amore nei confronti del Maestro era pieno di ardore e devozione; egli è presente al Tabor e all’Orto degli Ulivi, accompagna da lontano Gesù al Calvario, sotto la croce, a nome di tutti, accoglie il dono di Maria, ha confidenza con Gesù, può porre il suo capo sul petto di Lui nell’Ultima Cena, arriva per primo al sepolcro il giorno della risurrezione…

Come Gesù ha visto amore nell’irruenza di Pietro, vede l’amore nella mistica di Giovanni e la ricambia. E Giovanni, al termine del suo Vangelo sembra quasi rammaricato nel dire che non ha scritto tutto su Gesù. Ma penso anche che Giovanni, che quando scrive è già anziano, in fondo, da buon mistico, ci rivolga una strizzata d’occhio: "Il Vangelo scritto è tutto qui, ma Gesù è sempre nuovo. Come ha amato me personalmente, personalmente ama te. Non chiudere Gesù in nessuno schema, neppure nelle pagine di un Vangelo scritto".

Gesù, il Vangelo lo sta scrivendo anche oggi perché la sua incarnazione non è finita, ha ancora tanto da dirci. E noi possiamo aiutarlo. Possiamo diventare evangelisti anche noi.

Oggi, se vuoi puoi scrivere una meravigliosa pagina di Vangelo!

Cerca di scoprire Cristo vivo in te, nelle persone che incontrerai, nelle notizie del telegiornale, vedi l’opera dello Spirito Santo nel mondo, lascia che Gesù operi in te, ami attraverso te i fratelli, perdoni attraverso il tuo perdono, compia in te il miracolo di far nascere un sorriso su un volto triste… e questa sera il Vangelo sarà ricco di una meravigliosa e irrepetibile pagina in più.

 

 

DOMENICA 11

PENTECOSTE

San Barnaba

Parola di Dio: Atti 2,1-11; Sal. 103; Gal.5,16-25; Gv. 15,26-27; 16,12-15

 

1^ Lettura (At 2, 1-11)

Dagli Atti degli Apostoli.

Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi.

Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: <<Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio>>.

 

2^ Lettura (Gal 5, 16-25)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati.

Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge. Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c'è legge. Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.

 

Vangelo (Gv 15, 26-27; 16, 12-15)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: << Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà.

 

RIFLESSIONE

 

Se entrando una domenica in una chiesa, chiedessi a bruciapelo a dei credenti: "Chi è lo Spirito Santo?" Con ogni probabilità sentirei delle risposte balbettanti, e, se da una parte non dobbiamo stupirci di questo in quanto lo Spirito Santo non potrà mai essere definito o costretto nelle nostre categorie umane, d’altra parte ciò denoterebbe che noi conosciamo abbastanza Gesù, tramite Lui riusciamo a comprendere la paternità di Dio, ma ben poco sappiamo dello Spirito che pure ogni domenica affermiamo essere "Signore che dà la vita"

Forse è bene allora rispolverare, anche se parziali, alcune definizioni studiate nel nostro catechismo di bambini e poi soprattutto recuperare ciò che di Lui ci ha detto Gesù nel suo Vangelo e ciò che lo Spirito Santo ha operato e opera.

Il catechismo ‘a domanda rispondo’ diceva : "Lo Spirito Santo è la terza persona della Santissima Trinità". Quindi non è soltanto un qualcosa di ‘etereo’, di ‘spirituale’, ma persona e Persona divina come il Padre e come Gesù. E’ l’Amore personificato che intercorre tra il Padre e Gesù, ma è anche l’Amore, la Forza, il Consolatore, l’Avvocato che opera in nostro favore. E’ lo Spirito di Dio che "alleggiava sulle acque" e che ha operato la creazione di tutte le cose; i profeti dell’Antico e del Nuovo Testamento sono mossi dallo Spirito che "soffia dove vuole e come vuole". Lo Spirito Santo, accogliendo il sì di Maria, la trasforma in Madre del redentore. L’azione di Gesù è guidata e sostenuta dallo Spirito fin dal momento del suo battesimo nel Giordano. Gli Apostoli fin dalla sera della Pasqua ricevono il dono dello Spirito da Gesù stesso: "Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete non saranno rimessi". Ed è ancora lo Spirito Santo che nel giorno di Pentecoste li aiuta a superare le paure, li fa uscire dal chiuso del Cenacolo e li rende coraggiosi testimoni del risorto. Ed è ancora lo Spirito che guida la comunità, fa nascere i ministeri, e ci permette di celebrare i Sacramenti.

Cerchiamo adesso di capire un po’ meglio che cosa lo Spirito voglia operare in noi se siamo disposti ad accoglierlo.

La prima cosa che lo Spirito Santo ci dà, venendo in noi, è una maggiore conoscenza ed una più profonda comunione con Cristo Gesù. Quindi il nostro atteggiamento dovrebbe essere quello di accogliere lo Spirito in modo tale che Cristo diventi presente e operante in tutta la nostra vita. Tutto questo è graduale e continuo nella nostra vita, è una fatica che non finisce mai che dura per tutta l’esistenza e non dovremmo, in un certo senso avere mai pace, sino a che non avremmo dato a Cristo la nostra vita.

Lo Spirito ha bisogno che noi gli offriamo la nostra umanità per poter operare.

"Venne all’improvviso dal cielo un rombo come di vento gagliardo e riempì la casa dove si trovavano".

Prima di tutto viene all’improvviso. Non dopo una novena. Non ha orari stabiliti, non lo si chiama a bacchetta, non sceglie luoghi privilegiati o persone con gradi ed onori particolari.

Lasciamolo venire, permettiamogli che porti scompiglio nella nostra vita, che sollevi le maschere dove nascondiamo il nostro perbenismo, consentiamogli di far volare via dalle nostre giubbe e dalle nostre teste i gradi del nostro piccolo potere, i cappelli, le cuffie, le mitrie e se qualche volta strappa qualche pagina dai nostri codici di morale o qualche foglio di prediche preparate soprattutto per far colpo… meno male!

Lasciamolo entrare nelle nostre chiese a portare una ventata di novità, a rovinare la riga dei capelli dritta come un’autostrada di certi preti sussiegosi, a scompigliare certi paramenti grandiosi indice non tanto di rispetto per il sacro, ma manifestazione indecente di ricchezza alla faccia dei tanto declamati poveri, lasciamo che alzi un po' le sottane a certe pie donne che tengono troppo le mani giunte e gli occhi puntati sul prossimo per poterlo cogliere in fallo e condannare. Lasciamolo scombinare certe organizzazioni parrocchiali o diocesane studiate solo a tavolino e sulla pelle degli altri. Preghiamolo, invochiamolo, supplichiamolo. Ma poi, per carità, non corriamo ai ripari, abbiamo il coraggio, almeno una volta di lasciarci abitare dal vento

Un'altra osservazione che possiamo fare è che il fatto di aver accolto lo Spirito ha maturato negli Apostoli la fede. Prima, ogni volta che il Signore parlava, capivano poco, mentre ora sono loro a dire di Lui cose che neppure Lui aveva detto: La Rivelazione continua per bocca loro e gli uomini conoscono Gesù e Colui che lo ha mandato attraverso questi Apostoli. Quindi lo Spirito matura nella fede; dove lo Spirito agisce e vivifica la fede cresce ogni giorno di più.

Il racconto della Pentecoste usa poi ancora un'altra immagine per indicare lo Spirito Santo: " Apparvero loro come lingue di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno"

E a questo proposito voglio terminare la nostra riflessione lasciandoci provocare da un brano di Alessandro Pronzato:

"Questo fuoco non è un fuoco decorativo, una fiamma dipinta, Non è il tepore benefico che emana dal nostro rassicurante caminetto privato.

Non decidiamo noi ciò che deve essere bruciato dal fuoco. Lo Spirito viene ad accendere una passione.

Mani delicate, siete disposte a maneggiare il fuoco?

Bocche sapienti avete qualche esitazione a lasciarvi scottare dai carboni ardenti?

Funzionari, burocrati, vecchi irreprensibili e sentenziosi che ne direste se oggi vi ritrovaste innamorati, se sulle vostre labbra esangui fiorissero parole appassionate?

Giudici pieni di sussiego, brontoloni incorreggibili, officianti dai gesti controllati, servi cerimoniosi, deponete le vostre paure e le vostre prudenze, e ritrovate almeno oggi uno slancio, una vibrazione, un fremito, un’emozione, una commozione, un gesto spontaneo.

Talpe sperimentate, smettetela di scavare i vostri innumerevoli cunicoli sotterranei, uscite fuori, allo scoperto, lasciatevi invadere dalla voglia di vivere e di far vivere, lasciatevi inebriare dal profumo, lasciatevi sorprendere dalla varietà dei doni che lo Spirito, nella sua prodigalità, distribuisce dappertutto e a tutti, senza chiedere preventivamente la vostra autorizzazione.

Individui seri, murati nell’ufficialità, rendetevi conto che lo Spirito – vento e fuoco - gioca, si diverte, servendosi magari dei vostri strumenti di lavoro. Oggi può capitare che non ritroviate più al solito posto i vostri timbri consunti. Oppure che premendone uno su un documento amministrativo, al posto della scritta e dello stemma aulico, vi rimanga impresso il volto di un povero, o di un fanciullo scanzonato. Già, lo Spirito ride della vostra serietà" . E, grazie al cielo, senza badare a nessuno, ma servendosi di chi gli apre il cuore continua con immensa fantasia e misericordia nella sua opera di continua creazione.

 

 

LUNEDI’ 12

Sant’Onofrio

Parola di Dio: 1Re 17,1-6; Sal 120; Mt. 5,1-12

 

"BEATI I MITI PERCHE’ EREDITERANNO LA TERRA". (Mt. 5,5)

Quando leggiamo le beatitudini ci accorgiamo che il mondo di Dio è veramente un altro mondo, un mondo nuovo al quale si accede solo attraverso una nuova nascita. I suoi valori sono diversi dai nostri, ma tutt’altro che estranei a noi. Prendiamo ad esempio questa beatitudine sui mansueti.

E’ facile pensare che siano i potenti i padroni della terra e che i regni terrestri appartengano ai violenti e ai furbi. Basta guardare la nostra quotidiana realtà di rapporti per capire che normalmente i miti e i buoni finiscono oppressi o per lo meno a mani vuote. C’è addirittura un proverbio che dice: "Ai miti il cielo, ai forti la terra". Gesù dice esattamente il contrario: i prepotenti, i furbastri finiscono per non possedere né il Regno dei cieli né quello della terra.

Essi si dicono signori, ma lo sono veramente?

Non sono padroni del tempo perché lo hanno tutto impegnato negli affari, fino a non averne più neppure per riposare tranquilli. Hanno grandi beni ma non riescono a goderne perché troppo preoccupati e angustiati. Per godere bisogna avere l’animo in pace, ed essi non ce l'hanno. Li credi sazi e contenti, ma in verità son sempre dei bisognosi. Perché l’orgoglio e l’ambizione di essere i primi in tutto non li rende mai soddisfatti.

Si dicono padroni dei popoli, ma lo sono davvero?

I prepotenti possono essere temuti, ma non amati. La bontà, non la forza, genera l’amore.

Si dicono padroni della terra, essi invece sono prigionieri della loro stessa potenza. La libertà l’han perduta per sempre. Vivono continuamente nell’ansia: un nulla può gettarli in una situazione di estrema miseria rivelando brutalmente la vanità dei loro sogni di potenza. Credono di avere nelle mani le moltitudini, e vivono invece soli in un deserto.

E non immaginiamoci che questo riguardi solo coloro che hanno poteri grandi sulla terra. Tutto questo riguarda anche noi nei nostri piccoli poteri quotidiani. Però, in ogni caso, la beatitudine che Gesù ci ha detto ci ricorda che potrai essere grande nel potere, nella scienza, nell’arte, nel tuo lavoro professionale e sarai ammirato; ma se ti mancherà la bontà, non sarai amato. Potrai invece essere ignorante, debole, magari non capito per i valori che possiedi, ma se avrai bontà e mitezza sarai sempre amabile. I mansueti sono i veri padroni della terra perché essi posseggono i cuori degli uomini e il cuore di Dio.

 

 

MARTEDI’ 13

Sant’Antonio da Padova

Parola di Dio: 1Re 17,7-16; Sal.4; Mt.5,13-16

 

"VOI SIETE IL SALE DELLA TERRA… VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO". (Mt. 5, 13; 14)

Queste frasi di Gesù spesso erroneamente sono state lette con l’orgoglio cristiano di sentirci migliori degli altri. Penso che invece di inorgoglirci, queste frasi dovrebbero suonare come terribili rimproveri per noi cristiani di oggi spesso sonnolenti, abitudinari, incapaci della novità del Vangelo. Chiediamoci: quale guerra, come cristiani siamo stati capaci di fermare? Forse sono più quelle che proprio nel nome cristiano abbiamo fatto nascere. Abbiamo abolito delle ingiustizie? Forse qualcuna, grazie al cielo, ma purtroppo ne abbiamo create parecchie lungo il corso della storia. Quali barriere, di razza, di classe, di cultura, di religione abbiamo rovesciato per permettere agli uomini di riconoscersi fratelli?

Saremo il sale del mondo solo se saremo ‘salati’ noi, cioè se la novità di Cristo ci è entrata dentro, se la sua gioia trapela dal nostro vivere in mezzo alle realtà e difficoltà quotidiane, se le nostre scelte cercheranno di avvicinarsi a quelle di Gesù.

Saremo, ad esempio, sale dell’amore umano se onoreremo l’unione dei corpi come un mistero grande di amore, momento bello e gioioso e serio non ridotto né ad un passatempo insignificante né ad un piacere breve e superficiale.

Saremo luce del mondo, se poniamo rimedio alla triste solitudine degli individui creando comunità vive e fraterne, aperte all’accoglienza gioiosa di tutti.

Daremo al mondo sempre più diviso tra ricchi e poveri, oppressi e oppressori, un esempio facendo partecipe volontariamente dei nostri averi, della nostra cultura e delle nostre possibilità chi ne è privo.

Ridaremo sapore al lavoro degli uomini associandoli alla direzione, alla responsabilità come ai guadagni.

Dovremo creare ambiti di preghiera vera, non come rifugio per i delusi di questo mondo, ma come rampa di lancio per imprese di rinnovamento profondo degli uomini e del mondo.

Quello che dobbiamo portare al mondo, non è un messaggio della nostra virtù, della nostra superiorità, delle nostre qualità personali, Dio solo è comunicabile nonostante la nostra povertà e miseria: solo se avremo Lui potremo illuminare della sua luce o dare sale e gusto alla vita nostra e dei fratelli.

 

 

MERCOLEDI’ 14

Santi Rufino e Valerio; Sant’Eliseo

Parola di Dio: 1Re 18,20-39; Sal. 15; Mt. 5,17-19

 

"NON PENSIATE CHE IO SIA VENUTO AD ABOLIRE LA LEGGE O I PROFETI; NON SONO VENUTO PER ABOLIRE MA PER DARE COMPIMENTO". (Mt. 5,17)

La figura di Gesù è così grande che la si può cercare di incontrare in molti modi e, proprio per questo, se non si ritorna continuamente e anche con fatica alla Parola del Vangelo si può rischiare di averne una visione parziale se non addirittura travisata.

La frase che meditiamo oggi penso dia diverse indicazioni per una corretta lettura di Gesù e del suo messaggio.

Mettendosi nella continuità della Storia della Salvezza, Gesù ci fa capire che Lui non è un extraterrestre buono capitato a caso sulla terra che, una volta datoci il suo messaggio, se ne torna nei suoi cieli.

C’è tutta una storia di amore che Dio, fin dalla creazione e poi attraverso patriarchi e profeti, ha intessuto con il suo popolo. Dio, fin dall’inizio dei tempi, ha iniziato la sua "incarnazione" scendendo dal cielo e parlando il linguaggio degli uomini perché essi lo potessero capire. Nello scorrere di questa storia, "nella pienezza dei tempi", Dio ha mandato suo Figlio.

Ora il Figlio è il completamento della rivelazione, la Novità, il superamento di ciò che era prima però non nella frattura con il passato.

Se prima c’era la Legge con tutte le sue norme, ora c’è l’Amore che è la strada per dare senso alla Legge; se prima c’erano i sacrifici di animali a lode di Dio, ora c’è l’Agnello di Dio che si offre per noi; se prima c’era la morale della paura, ora c’è l’impegno creativo dell’Amore; se prima c’era l’elezione esclusiva di un popolo, ora c’è l’Alleanza con ogni uomo…cioè Cristo non abolisce nulla del passato ma lo rinnova dal di dentro.

Gesù non è il contestatore che viene, distrugge e se ne va. Gesù non distrugge la Legge ma ci chiede di non diventare legalisti ("Io non uccido, non rubo, santifico le feste…" e poi sono un perfetto egoista che si ritiene a posto con Dio: "Fossero tutti come me!").

Gesù supera la legge, ma non per questo ci dice di diventare dei senza legge (quanti sono quelli che dicono che basta fare ciò che uno sente: "Prego quando mi sento, non vado a Messa, ma entro in chiesa quando mi sento… non prego mai ma il lavoro è preghiera, quindi prego sempre…, perdono quando mi va bene, amo il prossimo che mi sono scelto da amare…).

Dio non va contro se stesso. La Legge di Dio è una cosa buona per gli uomini.

I cambiamenti non vanno cercati nel buttare all’aria la società. La vera rivoluzione è quella che avviene in noi, nel nostro modo di porci davanti alle strutture. E proprio in questo consiste la perenne novità, la perenne giovinezza del Cristiano il quale trova in Cristo la capacità di rinnovarsi ogni giorno, di dare vitalità a norme e tradizioni e di essere estremamente libero da ogni formalismo legalista nell’amare.

 

 

GIOVEDI’ 15

San Vito

Parola di Dio: 1Re 18,41-46; Sal. 64; Mt. 5,20-26

 

"SE LA VOSTRA GIUSTIZIA NON SEPARERA’ QUELLA DEGLI SCRIBI E DEI FARISEI, NON ENTRERETE NEL REGNO DEI CIELI". (Mt. 5,20)

Quante volte sentendo di processi che durano anni, di omicidi che, "in permesso per buona condotta", compiono altri crimini, di persone rovinate per tutta la vita a causa di un piccolo errore, mentre ladri patentati viaggiano liberamente e sono pure riveriti, ci è venuto da dire: "Ma dov’è la giustizia?". E, allora ognuno dice la ‘sua giustizia’. Eppure di giustizia deve essercene una come una sola è la verità.

L’uomo spesso si costruisce giustizie e verità, ma con gli occhi velati. Ad esempio noi vediamo un male, e questo rimane tale, e per il bene dell’umanità noi dobbiamo prenderne le distanze e condannarlo, ma, riusciamo sempre a leggere fino in fondo nel cuore della persona che l’ha commesso?

Dio solo è la Verità, Dio solo è la Giustizia, Lui solamente conosce le profondità del cuore umano.

La Legge che Dio ha dato a Mosè è un dono. Lo scopo fondamentale di questa Legge è quello di mettere Dio al centro della vita del suo popolo, e far sorgere da questo rapporto con la divinità ogni suo comportamento. Ma quando scribi e farisei di ieri e di oggi riducono il rapporto dell’uomo con Dio all’osservanza di una serie di norme, travisano Dio e il suo pensiero sull’uomo riducendo Dio ad un padrone e l’uomo al suo schiavo.

Gesù, dicendoci che la nostra giustizia deve superare quella degli scribi e dei farisei, non vuole dire che le norme che essi ci insegnano non abbiano la loro validità, ma vuole aiutarci a ritrovarne il senso: io non devo essere buono per obbedire a Dio, per tenermelo buono, per conquistarmi il paradiso, devo invece riconoscere l’amore di Dio che mi spinge a realizzare e manifestare la santità del suo nome, cioè non mi accontento delle norme ma scelgo, capisco e vivo l’amore.

 

 

VENERDI’ 16

San Quirido e Giulitta; Sant’Aureliano

Parola di Dio: 1Re 19,9.11-16; Sal.26; Mt. 5,27-32

 

"SE IL TUO OCCHIO TI E’ OCCASIONE DI SCANDALO, CAVALO…". (Mt. 5,29)

Questo discorso di Gesù può sembrarci disumano. Gesù parla di tagli, di grandi sacrifici, ma, per che cosa?

In questa nostra società permissiva e godereccia, parlare di sacrificio sembra una cosa impossibile, eppure, se si vuole ottenere qualcosa, se non ci si vuole impantanare, bisogna avere il coraggio del sacrificio, del mutamento radicale; ma, attenzione a trovare il senso giusto del mutamento:

Un eremita vide una volta, in un bosco, uno sparviero. Lo sparviero portava al suo nido un pezzo di carne: lacerò quella carne in tanti piccoli pezzi, e si mise ad imboccare anche una piccola cornacchia ferita.

L’eremita si meravigliò che uno sparviero imboccasse così una piccola cornacchia e pensò: "Dio mi ha mandato un segno. Neppure una piccola cornacchia ferita viene abbandonata da Lui. Dio ha insegnato addirittura ad un feroce sparviero a nutrire una creaturina di un'altra razza, rimasta orfana al mondo. Si vede proprio che Dio dà il necessario a tutte le creature: e noi, invece, stiamo sempre in pensiero per noi stessi. Voglio smetterla di preoccuparmi di me stesso! Dio mi ha fatto vedere che cosa devo fare. Non mi procurerò più da mangiare! Dio non abbandona nessuna delle sue creature: non abbandonerà neanche me".

E così fece: si mise a sedere in quel bosco e non si mosse più di là: pregava, pregava e nient’altro.

Per tre giorni e per tre notti rimase così senza bere un sorso d’acqua e senza mangiare un boccone. Dopo tre giorni l’eremita si era già tanto indebolito, che non era più capace di alzare la mano.

Dalla debolezza si addormentò. Ed ecco apparirgli in sogno un angelo.

L’angelo lo guardò accigliato e gli disse: "Il segno era per te, certo. Ma perché tu imparassi ad imitare lo sparviero!".

Attenzione, l’occhio non è tanto da cavare per una tua perfezione personale, ma piuttosto da utilizzare meglio per vedere le necessità degli altri.

 

SABATO 17

Sant’ Imerio; Santi Nicandro e Marciano

Parola di Dio: 1Re 19,19-21; Sal 15; Mt. 5,33-37

 

"SIA IL VOSTRO PARLARE SI’,SI’; NO,NO; IL DI PIU’ VIENE DAL MALIGNO". (Mt. 5,37)

Se qualcuno ha cercato di farvi intendere che mentre l’Antico Testamento era molto esigente, la morale di Gesù è molto permissiva, rileggetevi e rileggetegli la parola che meditiamo oggi.

Gesù ci chiede una cosa a prima vista semplicissima: dire la verità. Su questo penso siamo quasi tutti d’accordo, ma appena detto questo ecco che cominciano a nascere caterve di obiezioni: "Ci sono dei casi in cui è meglio addolcirla la verità, farebbe troppo male!", "Sempre ‘a fine di bene’ è meglio usare diplomazia", "E che cosa vuoi che sia una bugia piccola, piccola, di quelle che non fanno male a nessuno?".

E tra l’una e l’altra obiezione, tra una restrizione mentale e una piccola falsità, la verità è andata a farsi friggere.

"Eppure tutti fanno così!". E’ vero, provate ad esempio ad esaminare i nostri politici, anche quelli del partito cui apparteniamo: quante falsità, mezze verità, parole inutili, quanti "forse", "ma", "mi pare", per portare altri su giudizi non veri. Quante volte la verità non vogliamo neppure cercarla perché ci costa troppo, quante volte mascheriamo dietro parole di vana cultura la nostra povertà e vuotezza interiore…

Il Signore non lo puoi ingannare.

Le "bugie" qualche volta possono nasconderti agli uomini (quando non hanno le gambe corte e quando ti ricordi di continuare a raccontarle alle persone con cui hai cominciato), qualche volta tu stesso puoi cercare a base di bugie di stordirti per ingannarti e sentirti giusto mentre non lo sei, ma Dio ti conosce dentro, nell’anima e allora quanto sarebbe meglio usare la strada delle poche parole ma sempre chiare.

Una figura esemplare anche in questo è Maria. Di lei vengono conservate poche parole (una domanda, una adesione, la richiesta indiretta di un miracolo, parole di lode neanche sue), tanta presenza e tanto silenzio e meditazione davanti al mistero. Quando Maria non sa, tace e "meditava tutte queste cose dentro di sé". Ci aiuti la Vergine della meditazione e del silenzio a considerare ancora le bugie un peccato e ad essere limpidi e trasparenti, così come il Signore ci vede.

 

DOMENICA 18

SANTISSIMA TRINITA’  -  San Gregorio Barbarigo; San Calogero

Parola di Dio: Deut. 4,32-34.39-40; Sal. 32; Rom. 8,14-17; Mt. 28,16-20

 

1^ Lettura (Dt. 4, 32-34. 39-40)

Dal libro del Deuteronomio.

Mosè parlò al popolo dicendo: "Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l'uomo sulla terra e da un'estremità dei cieli all'altra, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l'hai udita tu, e che rimanesse vivo? O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un'altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore vostro Dio in Egitto, sotto i vostri occhi? Sappi dunque oggi e conserva bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; e non ve n'è altro. Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore tuo Dio ti dà  per sempre".

 

2^ Lettura (Rm. 8, 14-17)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

Fratelli, quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!". Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

 

Vangelo (Mt. 28, 16-20)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi, disse loro: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".

 

RIFLESSIONE

 

La festa che celebriamo oggi si presta a diverse definizioni: "L’onomastico di Dio", "La rivelazione dell’essenza di Dio", "La celebrazione di un mistero"… Siamo chiamati a contemplare un mistero, a conoscere più da vicino l’essenza di Dio. Non fermiamoci dunque a quella discussione logica-illogica di uno uguale a tre. Chi di noi può avere la presunzione di parlare di Dio, o peggio ancora di poterlo definire, di poterlo intrappolare nelle nostre parole, nei nostri concetti o nelle nostre filosofie o teologie?

Forse chi può dirci qualcosa di più circa l’essenza di Dio sarebbe il mistico, ma lui non usa certamente il linguaggio delle parole.

Voler "spiegare la Trinità" è assurdo, possiamo allora rifarci semplicemente a quegli esempi e a quelle parole che ci sono rivelate nella Scrittura e nella Tradizione.

Solo domenica scorsa abbiamo celebrato il dono dello Spirito Santo, il Consolatore che ci è stato dato da Gesù per "conoscere la verità intera": Ed è solo attraverso questo Spirito di Amore che possiamo entrare nella "Famiglia di Dio", la Trinità.

Quando Dio ha creato l’uomo, guardandolo, dice: "Non è bene che l’uomo sia solo". Vi siete mai chiesti il perché di questa frase? E’ perché se l’uomo e fatto "a immagine e somiglianza di Dio", come Lui non può essere solo. Dio infatti è relazione profonda, è famiglia di Amore.

Noi veniamo tutti da una famiglia e anche se fossimo dei singoli abbiamo tutti delle relazioni familiari: che cos’è soprattutto una famiglia? Essa è rapporto, relazione, sentimenti, creatività, senso di vita, risposta ad esigenze personali e sociali… in fondo una realtà non completamente definibile, ma vitale.

Dio è così.

Noi possiamo parlare di Padre Creatore, Figlio Salvatore, Spirito Amore, ma poi vediamo soprattutto l’Unità perché lo Spirito è presente alla creazione ("Lo Spirito aleggiava sulle acque") e il Figlio è presente alla creazione ("Tutto è stato fatto per Lui e per mezzo di Lui"), perché il Padre e lo Spirito sono con Gesù nella storia della salvezza ("Questi è il mio Figlio diletto, Ascoltatelo" dice la voce del Padre mentre lo Spirito si posa su Gesù sotto la forma della colomba), perché sia il Padre che il Figlio che lo Spirito sono in se stessi Amore e donazione di Amore per gli uomini. Ruoli apparentemente diversi in relazione a noi, ma unità totale.

Ma se Dio è famiglia, noi siamo famiglia di Dio.

Siamo figli per creazione e per elezione, ce lo hanno ricordato sia la prima lettura che ci ha indicati come popolo scelto, eletto da Dio, sia la seconda lettura che ci ha detto che "abbiamo ricevuto uno spirito da figli adottivi" per mezzo del quale possiamo chiamare Dio col nome di Padre. Siamo veri fratelli di Gesù "in tutto simile a noi eccetto che nel peccato" e in Lui fratelli tra di noi, siamo tempio dello Spirito Santo che abita in noi, ci sostiene, ci dà i suoi doni perché servano per l’unità tra di noi.

Tutte queste riflessioni che sembrano difficili sono poi invece semplici e vitali.

Faccio qualche esempio: se faccio parte della famiglia dei figli di Dio, Lui non mi è estraneo, non mi è padrone, è mio Padre; Tra me e Lui c’è un rapporto unico di confidenza.

Se Gesù mi è fratello, non è un personaggio della storia lontano da me, posso capire le sue parole, posso guardare a Lui come ad un esempio.

Se lo Spirito è l’Amore che mi unisce a Dio, non è un entità astratta, solo superiore, ma forza, gioia, presenza palpabile.

In una famiglia vera ci possono essere differenze ed anche divergenze, incomprensioni, ma il rapporto familiare rimane sempre, si rinnova sempre in modi diversi. Così anche nella famiglia dei figli di Dio ci possono essere motivi di dubbi, di incomprensioni, anche di fughe, ma rimane sempre il vincolo profondo e incancellabile. Noi possiamo essere infedeli, ma Dio è fedele per sempre. Il Padre è come quello della parabola del figliol prodigo, aspetta con ansia e a braccia aperte per far festa al figlio che torna a casa, Gesù non solo non punta il dito e non scaglia la prima pietra, ma ha versato il suo sangue per noi, lo spirito abita nel cuore di ciascuno pronto a far rinascere la nostalgia di Dio e a creare situazioni sempre nuove che ci portino la salvezza.

E tutto questo Dio ce lo dà gratis.

Padre Righetto raccontava la storia di un missionario che per la prima volta aveva raggiunto una tribù di pellirossa.

Per diverso tempo aveva parlato loro dell’infinito amore di Dio Padre per l’uomo, della morte in croce di Gesù per amore, della forza dello Spirito. Questi si erano entusiasmati e commossi fino alle lacrime.

Il missionario concluse così:

"Domani ritornerò da voi e vi dirò come ricambiare questo grande amore".

Quella notte tutta la tribù vegliò in consiglio: avevano finalmente tutti trovato il Grande Spirito della verità e dell’amore, che ama tutti gli uomini come suoi figli, soprattutto quando il dolore pesa sul loro cuore. Dicevano:

"Il Grande Spirito ci ama; ma chissà quanto ci costerà ripagare i suoi grandi doni. Cosa vorrà da noi?"

Qualcuno diceva:

"Forse vorrà in sacrificio i nostri animali"

Un altro:

"Forse dovremo lavorare per Lui tutta la vita"

Quando il giorno dopo ritornò il missionario il capo tribù disse allora a nome di tutti:

"Abbiamo discusso tutta la notte e abbiamo deciso questo. Siamo disposti a tutto, anche a morire pur di essere la famiglia del Dio che ci è Padre, pur di aver per fratello Gesù e pur di lasciarci guidare dal grande Spirito"

Ma il missionario annunciò:

"Amici, il grande Spirito vi domanda una cosa sola: che vogliate tanto bene a Lui e che vi vogliate tanto bene tra voi! Questa è l’unica cosa da fare per ricambiare l’amore senza confini"

Per essere nella famiglia di Dio occorre solo questo: lasciarci amare e lasciare che questo grande amore trabocchi da noi e torni a Dio e si riversi sui fratelli. Se è così mi sembra, allora che la festa della Trinità possa essere per noi una festa di famiglia nella quale più che "voler sapere come è fatto Dio", festeggiamo la sua e la nostra famiglia.

 

 

LUNEDI’ 19

San Romualdo; Santi Protasio e Gervasio

Parola di Dio: 1Re 21,1-16; Sal.5; Mt.5,38-42

 

"AVETE INTESO CHE FU DETTO: OCCHIO PER OCCHIO E DENTE PER DENTE, MA IO VI DICO DI NON OPPORVI AL MALVAGIO. ANZI, SE UNO TI PERCUOTE LA GUANCIA DESTRA, TU PORGIGLI ANCHE L’ALTRA…". (Mt. 5,38-40)

Quando apriamo certe pagine dell’Antico Testamento e vediamo applicata la legge del taglione, un po‘ ipocritamente, inorridiamo: "Ma come, in un libro sacro si parla, si accetta, qualche volta perfino si comanda la vendetta!".

Pensate che la legge del taglione e cioè un solo occhio per un occhio e un solo dente per un dente, era stata introdotta per mitigare chi per un occhio voleva la vita e chi per un piccolo affronto avrebbe ammazzato tutta una tribù.

Smascheriamoci: quando qualcuno ci ha offeso, non siamo forse pronti a rendergli la pariglia aumentando anche la dose? Questo sia nel grande come nel piccolo. Pensate se l’origine delle guerre non stia forse sempre nel restituire moltiplicata un’offesa ricevuta, magari mascherando il tutto con "la ricerca della giustizia, la difesa del debole, la riconquista di ciò che era mio"?

E nelle nostre famiglie? Magari per pochi stracci di eredità mal divisa, per due parole mal dette o male interpretate, per questioni di orgoglio e di puntiglio ci sono divisioni fatte di male parole, di mutismi, di dispetti, di rabbie (con relative ulcere) che vanno avanti per anni.

La ricetta di Gesù (e non è un optional riservato per alcuni particolarmente santi) è esattamente l’opposto: non solo devi rinunciare alla vendetta ma devi estirpare il desiderio della vendetta. Per Gesù l’unico modo per non innescare la spirale della vendetta è quello della non violenza assoluta che rinuncia a rispondere male per male.

Ma non sembra un’utopia? Non è forse istintivo, quando uno ti pesta un piede, reagire prima tentando di toglierlo di sotto e poi sferrando un potente calcione? Non è vero che a forza di non replicare si finisce di lasciare che il male proliferi?

Gesù sa benissimo come siamo fatti, sa anche però che l’istinto può essere controllato e guidato. Non ci insegna ad essere passivi davanti al male, vuole soltanto chiederci di purificare il nostro cuore perché il male non abbia il sopravvento sopra di noi. Se tu dai spazio all’odio, è poi l’odio che ti comanda; se tu pensi alla vendetta, è la vendetta che ti guida, ma se tu proclami la verità e la giustizia con la non violenza, è l’amore a guidarti.

Qualcuno potrà dire: "Ma, agendo così spesso si va a finire male!".

E Gesù ci risponde: "Guarda che non ti ho invitato ad una scampagnata in collina, ma a prendere la tua croce e a seguirmi!".

 

MARTEDI’ 20

San Silverio

Parola di Dio: 1Re 21,17-29; Sal. 50; Mt. 5,43-48

 

"AMATE I VOSTRI NEMICI E PREGATE PER I VOSTRI PERSECUTORI… SIATE PERFETTI COME E’ PERFETTO IL PADRE VOSTRO CELESTE".(Mt. 5,44.48)

Già ieri, davanti agli ‘impossibili’ comandi di Gesù scoprivamo con realismo che il nostro istinto non ci porta ad amare coloro che ci fanno del male, ancor più, oggi, saremmo ‘matti’ se dicessimo di amare con tutti i nostri sentimenti i nostri nemici.

Io non posso provare sentimenti di affetto per uno che mi è contrario, è più facile che il sentimento sia quello della difesa se non dell’odio.

Quando Gesù parla di amore non intende il sentimento in sé; ci indica la strada dell’amore vero, profondo: chi mi sta davanti, chiunque esso sia è un uomo figlio di Dio. Dio lo ama anche se sta sbagliando. Io, che non posso amarlo col sentimento, lo amo con l’amore di Dio e come lo ama Lui che lo rispetta e lo vuole aiutare a trovare la strada della giustizia e della verità.

E’ bello, è facile amare una moglie o un marito che ci vuole bene, una persona che ci stima e la pensa come noi, un povero umile e pulito; è più difficile amare tua moglie o tuo marito quando si litiga continuamente, quando non si viene capiti… Se Gesù avesse amato solo quelli che lo hanno accolto, amato, stimato… non sarebbe finito sulla croce per versare il suo sangue "per voi e per tutti" e non avrebbe avuto la forza di pregare: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno".

Gesù ci mette davanti degli ideali grandissimi. Essere perfetti come Dio, a prima vista ci pare una esagerazione se non addirittura una grande presunzione. Ma Gesù che cosa voleva indicarci?

Ben conoscendo la nostra debolezza, Gesù voleva farci capire che per riuscire a realizzare le sue parole dovevamo avere davanti a noi un modello da imitare e una forza da impetrare. Come si è comportato Dio che perdona in virtù del suo amore, anche tu devi perdonare; da solo non sei capace di amare i nemici, ma se guardi a Dio e gli chiedi la forza che viene dal suo Spirito e che ha guidato Gesù, ti metterai sulla strada dell’amore verso tutti.

 

 

MERCOLEDI’ 21

San Luigi Gonzaga

Parola di Dio: 2Re 2,1.6-14; Sal.30; Mt. 6,1-6.16-18

 

"GUARDATEVI DAL PRATICARE LE VOSTRE OPERE BUONE DAVANTI AGLI UOMINI PER ESSERE DA LORO AMMIRATI". (Mt. 6,1)

Continuando la lettura del discorso della Montagna, ci siamo trovati oggi davanti a quel brano che tutti gli anni ci viene proposto come inizio della quaresima, il Mercoledì delle Ceneri.

A Gesù non importava tanto parlare qui di digiuno, di elemosina e di preghiera, ma soprattutto di evidenziare gli atteggiamenti sbagliati che possono vanificare, rovinare queste preziose strade della nostra formazione spirituale. E il male più grosso è l’ipocrisia.

L’ipocrisia è una malattia terribile che si insinua ovunque, si comincia da piccoli raccontando bugie per farci vedere più belli, più bravi, superiori a quello che siamo, e si continua nella vita mascherandoci continuamente. Anche nel bene vogliamo sembrare migliori di quello che siamo. Perfino con Dio tentiamo la carta dell’ipocrisia: "Signore ho fatto bene tutto, quindi tu mi devi..".

Gesù, nel suo pellegrinaggio terreno ha incontrato persone di ogni tipo, umili, ricchi, sapienti, ignoranti, gente di fede e superstiziosi. Gesù è stato con tutti, ma, se possiamo dire, c’è una categoria che proprio non sopporta, ed è quella degli ipocriti, particolarmente gli ipocriti religiosi.

Se la religione serve a farti sentire a posto davanti a Dio, se ti camuffa davanti agli altri, non è vera religione. Se la tua elemosina, preghiera, digiuno sono solo pratiche religiose, osservanze, doveri, forse è meglio che impieghi il tuo tempo diversamente. La preghiera, la condivisione nascono dal cuore, non dalle norme del codice di diritto canonico. Chi vuoi ingannare con la tua ipocrisia religiosa? Forse Dio? Ma Lui conosce il tuo cuore e le sue motivazioni! Vuoi ingannare te stesso? Non ti serve! Prima o poi ti troverai davanti a te stesso nudo! Vuoi ingannare il tuo prossimo? A parte che agli altri interessa molto poco la tua ‘bontà’ e religiosità, ma se anche gli altri ti battessero le mani per una cosa che non sei, che giovamento ne avresti?

La preghiera, la spiritualità, la carità, come certi preziosi affreschi antichissimi sono qualcosa di delicato che finisce per sbiadire e perdere il proprio splendore davanti a Dio e ai destinatari, allorché vengono esposti alla luce del sole o dei riflettori.

 

 

GIOVEDI’ 22

San Paolino da Nola; Santi Giovanni Fisher e Tommaso Moore

Parola di Dio: Sir. 48,1-14; Sal 96; Mt. 6,7-15

 

"PREGANDO NON SPRECATE PAROLE COME I PAGANI, I QUALI CREDONO DI VENIRE ASCOLTATI A FORZA DI PAROLE". (Mt. 6,7)

Se guardiamo con attenzione a noi stessi e ai nostri fratelli ci accorgiamo che c’è chi recita le preghiere e c’è chi prega. E le due categorie di persone sono separate da un abisso. La prima categoria fonda il suo recitar preghiere sul dovere da compiere, l’altra fa nascere la preghiera dall’amore. Ci sono coloro che recitano, e per fortuna ci sono quelli che pregano davvero. I primi sono soddisfatti quando hanno macinato con le labbra tutta la serie prescritta di formule, magari scelte anche perché hanno una buona serie di ‘indulgenze’, gli altri avvertono l’esigenza di stabilire il contatto del cuore; per gli uni la preghiera sono … le preghiere, le devozioni, le pratiche, per gli altri la preghiera è il dialogo con un Tu. Chi recita, e sono tanti anche tra i preti, è preoccupato della quantità, dell’esattezza, dell’applauso di chi lo guarda ammirato, chi prega realmente pensa soprattutto all’intensità della comunione; da un lato c’è l’ossessione di non dimenticare una virgola del parlato, dall’altra l’impegno a non lasciar fuori… la persona, il cuore. Chi recita ha bisogno del testo, delle parole, chi prega riesce ad amare anche il silenzio. Per il primo la domanda fondamentale è : "Che cosa devo dire?", l’altro considera la preghiera come un "faccia a faccia" atteso e desiderato. Da una parte domina la noia, la monotonia, il ‘mestiere’, dall’altra la spontaneità, la vita, la freschezza.

Chi recita bada all’orologio (provate a seguire, se siete capaci, certe celebrazioni di Lodi o di Vespri o certi rosari dove le voci si rincorrono affannosamente, dove le "Ave Maria" e le "Santa Maria" quasi si sovrappongono e trovano pace solo quando si arriva all’Amen), chi prega non è toccato dalla fretta e neanche dalle inutili lungaggini.

Il recitante percorre la preghiera come un’autostrada dove tutto è previsto, regolamentato, segnalato. Importante è arrivare. Lui ha pagato il pedaggio.

Chi prega, invece è come un pellegrino che esplora un bosco, sa vedere, scorgere la Presenza, sentire i rumori, essere cosciente. Ha l’impressione di ricevere la preghiera come un dono, la preghiera per lui è Luce, pace, serenità.

Per concludere questa riflessione sulla preghiera vi traduco (come riesco) un foglietto che ho trovato su un banco in una chiesa francese:

"Con un po’ di commiserazione alcuni affermano che la preghiera è dovuta unicamente alla condizione di debolezza umana, per cui ci si rifugia nell’Onnipotente. Non hanno capito. Si prega perché si ama!

Pregare non è nient’altro che la ricerca costante della sua Presenza.

Pregare significa cercar casa presso di Lui, senza paura e con piena confidenza.

Pregare significa cercar Dio come si cerca la persona che si ama perché si ha coscienza che solo presso di lui si trova la sorgente del giorno, della vita, della gioia.

Qualunque cosa essa sia: grido o gemito, rivolta o ringraziamento, ogni vera preghiera è frutto naturale dell’amore".

 

VENERDI’ 23

San Giuseppe Cafasso

Parola di Dio: 2Re 11,1-4.9-18.20; Sal.131; Mt. 6,19-23

 

"DOV’E’ IL TUO TESORO LA’ SARA’ ANCHE IL TUO CUORE". (Mt. 6,21)

Basta aprire qualsiasi dizionario della lingua italiana per trovare, alla voce ‘cuore’, almeno venti o trenta modi di dire riguardanti questa parola (essere persona di buon cuore, duro di cuore, ridere di cuore, avere un cuore da leone, avere il cuore sulle labbra, avere il cuore grande come una casa, aprire il cuore a qualcuno, leggere nel cuore di qualcuno, avere il cuore spezzato, avere una spina nel cuore, mettersi il cuore in pace, rubare il cuore a qualcuno, giocare col cuore, il cuore della città…). Se poi avete qualche raccolta di proverbi, la parola cuore è una delle più fornite (qualche piccolo esempio: Cuore contento non sente stento. Parola amara vien da cuore amaro. Non l’oro, ma il cuore fa l’uomo ricco. Ogni vecchio rancore arrugginisce il cuore. Le voci del cuore non fanno rumore. Testa ferita si sana, cuore ferito non si sana mai. Freddo di mano, caldo di cuore. Dove c’è meno cuore, c’è più lingua. Chi dice ma… il cuor contento non ha. Al cuore non si comanda….).

Da sempre l’uomo ha indicato il cuore come la sede dei sentimenti. Anche Gesù utilizza un proverbio popolare per richiamare ad un valore importantissimo: la persona si costruisce e dipende da dove pone i suoi sentimenti più profondi.

Provate a dare uno sguardo attorno a voi: è facile incontrare ‘persone denaro’, esse pensano che il denaro sia il centro, il motore di tutta l’esistenza e allora passano l’esistenza a servire il denaro; pensano di accumulare denaro, mentre il denaro li schiavizza. Ci sono altre persone che hanno per la testa solo il sesso, li vedete, bavosi, sporchi, non hanno più occhi per vedere il bello, considerano l’uomo a seconda delle sue prestanze in quel campo… e il sesso li schiavizza. E che dire di coloro che considerano il corpo e la bellezza fisica come valore ultimo? Sono disposti a qualunque sacrificio pur di apparire belli, snelli, muscolosi al punto giusto… anche a ottant’anni devono apparire nella forma fisica del giovanotto o della ‘star’ e per questo diventano addirittura patetici e ridicoli.

Un giorno mi chiedevo: "Perché sono così poco capace di amare Dio, di pregarlo con tutto il cuore?".

Oggi Gesù risponde a me e a voi: "Perché il tuo cuore ha tanti tesori in cui è diviso e da cui è comandato".

E immancabilmente Gesù ha ragione.

Come facevano i santi ad amare così tanto? Perché il loro tesoro era Dio e Dio è Amore e loro attingevano di lì.

Man mano che il mio cuore, i miei sentimenti, il senso della mia vita trovano il Tesoro, trovo in Lui la mia libertà ed essi si accrescono a dismisura.

 

 

SABATO 24

NATIVITA’ DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Parola di Dio: Is. 49,1-6; Sal.138; Atti 13,22-26; Lc.1,57-66.80

 

"IN QUEL MEDESIMO ISTANTE GLI SI APRI’ LA BOCCA E GLI SI SCIOLSE LA LINGUA E PARLAVA BENEDICENDO DIO". ( Lc. 1,64)

Un particolare curioso che forse a molti sarà sfuggito è che, mentre di tutti i santi la Chiesa festeggia il giorno della morte come nascita al cielo, di Giovanni Battista si celebra sì la festa del martirio, ma anche la nascita sulla terra. E questo perché con la nascita di Giovanni si è arrivati alla pienezza dei tempi, è il momento propizio per il dono più grande, la venuta del Salvatore. L’Antico Testamento è diventato muto come muto è il vecchio sacerdote Zaccaria che ha dubitato nella realizzazione della promessa che Dio gli aveva fatto di farlo diventare padre nonostante l’età.

Si apre un velario nuovo, Giovanni non prende più il nome della tradizione, ma un nome dato addirittura da Dio e che significa "Dio fa grazia". Dio "lo ha chiamato fin dal seno materno", da quel seno dove il Precursore "ha sussultato di gioia" all’incontro di sua madre con Maria che porta nel suo grembo il Messia.

Davanti a questa novità si riaprono le labbra del vecchio padre. E si riaprono solo per esprimere la lode, la meraviglia, la grandezza dell’opera di Dio.

Noi viviamo in un mondo di parole, parole gridate dalla televisione, scritte a migliaia sulle pagine dei giornali, spettegolate nei salotti, ma ci sono ancora parole di riconoscenza?

Parole per chiedere, parole per comandare, parole per discutere… ma ci sono ancora parole di fede?

Parole per rimproverare, per riprendere, per ‘indirizzare’, parole di codici, di norme da osservare… ma ci sono ancora parole solo per lodare?

Chiacchiere anche con Dio, parole di teologie astruse, formulari di preghiera ben codificati, parole di chiese che parlano di se stesse… ma ci sono ancora parole di preghiera vera?

Penso che noi spesso siamo come Zaccaria: un sacerdote che dubita (capita!) e che diventa muto, non tanto perché non parliamo più ma perché le nostre parole sono diventate vuote. Solo il capire la novità, l’opera di Dio che va avanti nonostante gli uomini, l’amore di Cristo morto e risorto, solo il vedere la creazione con occhi non di possesso ma di riconoscenza e di comunione può ‘farci parlare’ e non importa neppure che le parole siano quelle giuste: si può cantare con le labbra, si possono intonare inni religiosi o si può anche nel silenzio lasciarci riempire dalla meraviglia e dal ringraziamento.

 

DOMENICA 25

FESTA DEL CORPO E SANGUE DEL SIGNORE

San Massimo di Torino

Parola di Dio: Es.24,3-8; Sal115; Eb.9,11-15; Mc.14,12-16.22-26

 

1^ Lettura (Es 24, 3-8)

Dal libro dell'Esodo.

In quei giorni, Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose insieme e disse: "Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li eseguiremo!".

Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra metà sull'altare. Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: "Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!". Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: "Ecco il sangue dell'alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!".

 

2^ Lettura (Eb 9, 11-15)

Dalla lettera degli Ebrei.

Fratelli, Cristo, invece, venuto come sommo sacerdote di beni futuri, attraverso una Tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo, cioè non appartenente a questa creazione, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalla opere morte, per servire il Dio vivente? Per questo egli è mediatore di una nuova alleanza, perché, essendo ormai intervenuta la sua morte per la rendenzione delle colpe commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l'eredità eterna che è stata promessa.

 

Vangelo (Mc 14, 12-16. 22-26)

Dal vangelo secondo Marco.

Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: "Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?". Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: "Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta; là preparate per noi". I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua. Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo". Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: "Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio". E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

RIFLESSIONE

Nel nostro quotidiano spesso facciamo questa esperienza: chi ama davvero, desidera rimanere accanto alle persone cui vuol bene. La mamma non lascia il suo figlio malato; un papà che ha un figlio lontano fa di tutto per andarlo a trovare o per farlo tornare. Gesù stesso, raccontando la parabola del buon pastore ci diceva che questi rimane vicino al suo gregge anche quando vede arrivare il lupo. Chi ama rimane.

Gesù è Colui che ama davvero e quindi rimane sempre con noi anche attraverso un dono che è un segno concreto: il suo Pane. Attraverso questo segno Egli rimane per tutti coloro che vogliono incontrarlo, rivivere i suoi doni, la sua storia, la sua Passione e morte.

Gesù non fa una comparsa come un attore, non manda una lettera, non manda qualcuno al suo posto, rimane Lui, nel suo Corpo e Sangue, cioè nella sua Persona.

Noi spesso pensiamo che Dio si trovi in un luogo lontano e sconosciuto, nell’alto dei cieli e non ci accorgiamo che Egli invece vive vicino a noi, cammina per le nostre strade, affronta con noi i problemi di ogni giorno.

L’Eucaristia è il segno concreto della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, non un Dio lontano ma un Dio vicino; non un Dio giudice ma un Dio fratello; non un Dio solitario ma un Dio amico. Gesù ce lo aveva promesso: "Non vi lascerò mai soli, sarò con voi tutti i giorni", l’Eucaristia è dunque il sacramento di questa presenza.

L’Eucaristia è un invito ad un banchetto.

Nel mondo in cui viviamo ci sono troppe divisioni, troppe intolleranze, troppe guerre, lutti inutili, troppe tristezze che si potrebbero evitare. Il ritmo delle nostre città sembra essere fatto più per le macchine che per gli uomini.

Gesù vuole riportarci ai nostri valori fondamentali. Si serve di cose piccole ma necessarie: un po’ di pane e un po’ di vino per la fame, la sete, la fratellanza degli uomini.

Noi siamo invitati al banchetto del suo Corpo per testimoniare anche la nostra solidarietà con tutti gli uomini.

Con il corpo di Cristo vogliamo essere forti per cercare di cancellare le tristezze i soprusi, le divisioni. In Cristo vogliamo proclamare tutti gli uomini fratelli.

Partecipare al banchetto Eucaristico significa essere presenti con Cristo ovunque l’uomo soffra.

L’Eucaristia non è in primo luogo una specie di rapporto intimistico (io e il mio Dio), ma è lasciarsi portare con Lui, con la sua Passione là dove ogni uomo soffre, non è un "tenere Dio con noi" ma è un darsi con Lui ai fratelli.

Per le difficoltà del nostro cammino, Gesù si è fatto cibo adatto per noi.

Arrivano per tutti i momenti della stanchezza, della delusione, dello sconforto, quando le cose vanno male, perché ci si spaventa del futuro o si incontra l’inimicizia e il tradimento. Ecco allora il Corpo di Cristo come nostro cibo: è il pane che ci dà la capacità di tirare avanti, è il pane che mette dentro di noi il seme della gioia e la luce della speranza. E’ il sacramento dell’energia. "Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno"

L’Eucaristia, pane dell’amore deve trasformarci in amore donato. Troppe volte noi non ci sediamo vicino agli altri per ascoltarli, ma ci alziamo per giudicarli, non ci sforziamo di capire chi ha sbagliato, di asciugare le lacrime di chi piange, di essere lieti con chi è allegro.

L’Eucaristia è la manifestazione più piena di Dio Amore. Fare la comunione vuol dire allora vedere Cristo nel mio vicino. Ricevere Cristo significa capire e perdonare.

Ancora oggi tanti bambini soffrono la fame, tanti giovani perdono la speranza di un mondo più giusto, molte donne sono deluse nelle loro attese, nelle nostre città ci interessiamo sempre meno al nostro vicino.

Nell’Eucaristia Dio è solidarietà: L’eucaristia ti spinge a dividere il pane con chi ha fame, ti stimola a collaborare, pretende da te un aiuto disinteressato

L’Eucaristia è poi anche promessa per il futuro, ti fa nascere in mezzo ad un popolo nuovo, ti rinnova per vivere un’umanità migliore, ti fa diventare membro del Regno di Dio, in parole povere è il Sacramento della speranza qui sulla terra e per l’eternità, perché ricevendo e consumando il Corpo di Cristo ci rende simili a Lui.

Il dono dell’Eucaristia è quindi anche la festa dell’umanità che nel corpo del Figlio di Dio ritrova tutto il suo valore.

Ma il corpo di Gesù che ci viene offerto è anche un corpo che per noi ha sofferto ed ha versato il suo sangue. E’ dunque anche il mistero del dolore e dell’amore regalato.

Ecco perché la comunione Eucaristica non è solo un rito, non può essere ridotto ad un gesto di culto. Non è più il sacrifico degli animale o delle offerte che venivano fatte per tener buono un Dio arrabbiato con gli uomini, è la memoria di una Passione di un Dio per gli uomini, un passione culminata nell’offerta e nel perdono. Quanto è triste vedere preti e fedeli che celebrano solo dei riti, quanto è mortificante vedere delle Messe celebrate con gli occhi all’orologio o ‘recitate’ da persone assenti, Comunioni fatte per abitudine, ringraziamenti all’Eucaristia automatici fatti di preghiere preconfezionate e dette "per pagare la tassa"

Un'altra cosa che dovremmo sempre ricordare è che l’Eucaristia non dipende dalla nostra bontà o cattiveria, è sempre dono dell’amore di Cristo che "morì mentre noi eravamo peccatori".

Lasciatemelo dire ancora una volta: l’Eucaristia non è il premio per i buoni, è il pane per tutti. Ricevere il Corpo di Cristo è celebrare la memoria della sua passione, morte e risurrezione, è annunciare l’amore di Dio che salva, è essere in comunione con il suo corpo ma anche cercare di essere in comunione di idee e di azione con Cristo.

Quando San Paolo raccomandava: "Esaminatevi bene prima di ricevere il corpo di Cristo perché non sia a vostra condanna", non aveva certo pretese moralistiche da sostenere, non voleva fare classifiche di chi può ricevere la comunione e di chi non può, ma intendeva proprio questo: la nostra disponibilità a riconoscere Cristo Signore e il nostro desiderio e impegno a vivere con Lui e come Lui nella vita pratica.

 

LUNEDI’ 26

San Vigilio; Santi Giovanni e Paolo

Parola di Dio: 2Re 17,5-8.13-15.18: Sal. 59; Mt. 7,1-5

"CON LA STESSA MISURA CON LA QUALE MISURATE, SARETE MISURATI". (Mt. 7,2)

Quante volte, nella nostra vita noi rischiamo di pensare di noi stessi: "Io sono una persona onesta, non ho fatto del male a nessuno". Eppure basterebbe con onestà compiere una perquisizione nella nostra mente e nel nostro cuore, quando giudichiamo il nostro prossimo per accorgerci che molto spesso noi usiamo due pesi e due misure: una misura molto larga, abbondante, elastica per noi e un’altra limitata, stretta, rigida per il nostro prossimo. Per i nostri difetti ci sono tutte le scuse, le considerazioni e le attenuanti, per i difetti degli altri tutte le accuse, il processo alle intenzioni, le aggravanti. Quando siamo davanti agli altri diventiamo poliziotti scrutatori, siamo meticolosi, abbiamo cento occhi per la critica, ma siamo abbastanza miopi per fare l’autocritica. Chiamiamo ladro il negoziante che bara sul peso e poi noi usiamo due pesi diversi.

Gesù invitandoci a non giudicare ci dà delle motivazioni che guidano questo comando. Primo motivo: chi sono io per giudicare, misurare il mio fratello? Certo, le cose si vedono almeno negli effetti, ma non ho forse troppe pagliuzze o travi negli occhi per poter vedere bene, fino in fondo all’animo delle persone? Secondo motivo: il giudizio spetta a Dio, è Lui che conosce gli uomini fino in fondo. Terzo motivo: Dio è Padre e vuole giudicare con misericordia e amore, perché devo restringere questo giudizio misericordioso nei miei confronti usando io stesso un criterio diverso dal suo e molto più pesante nei confronti del mio prossimo? E poi c’è ancora un altro motivo: il giudicare gli altri rende sempre più gretti, più chiusi. Proviamo a meditare su questa parabola.

In un deserto aspro e roccioso vivevano due eremiti. Avevano trovato due grotte che si spalancavano vicine, una di fronte all’altra.

Dopo anni di preghiere e di dure mortificazioni, uno dei due eremiti era convinto di essere arrivato alla perfezione.

L’altro era un uomo altrettanto pio, ma anche buono e indulgente. Si fermava a conversare con i rari pellegrini, confortava e ospitava coloro che si erano persi e coloro che fuggivano.

"Tutto tempo sottratto alla meditazione e alla preghiera", pensava il primo eremita che disapprovava le frequenti, anche se minuscole mancanze dell’altro.

Per fargli capire in modo visibile quanto fosse ancora lontano dalla santità, decise di posare una pietra all’imboccatura della propria grotta ogni volta che l’altro commetteva una colpa.

Dopo qualche mese davanti alla grotta c’era un muro di pietre grigio e soffocante. E lui era murato dentro.

 

MARTEDI’ 27

San Cirillo d’Alessandria

Parola di Dio: 2 Re 19,9-11.14-21,31-35.36; Sal. 47; Mt.7,6. 12-14

"NON DATE LE COSE SANTE AI CANI". (Mt. 7,6)

Attenzione a come vengono usate certe frasi del Vangelo. Ricordo una signora, in lacrime, venne a confessarsi dopo circa dieci anni in cui non si era più accostata a questo sacramento. Quando le chiesi il perché, mi guardò da una parte intimorita e dall’altra irata dicendomi: "Per favore non incominci anche lei…". E mi raccontò la sua storia che consisteva in una serie di errori fatti da giovane: una famiglia di origine molto difficile dalla quale aveva pensato di liberarsi sposandosi molto giovane, un matrimonio completamente sbagliato, inesperienze, oppressioni subite, nuova fuga poi rientrata, tradimento del marito, divorzio. Dopo alcuni anni aveva trovato un brav’uomo anche lui separato e si erano messi insieme. Andata a confessarsi perché sentiva un gran desiderio di Dio si era sentita assalita dal confessore che le aveva rifiutato l’assoluzione e proibito l’Eucarestia dicendole che le cose sante non andavano date ai cani e che le perle dei sacramenti non potevano essere gettate a dei porci come loro che era pubblici peccatori incalliti.

Non giochiamo alla guerra con le parole del Vangelo perché per vedere quanta falsità c’era in quell’uso basta leggere i versetti precedenti che abbiamo meditato ieri: "non giudicare…".

Gesù è esigente, parla di porta stretta, ci chiede di avere il massimo rispetto di tutto ciò che è religioso ma queste parole se dobbiamo usarle per farci l’esame di coscienza non possiamo e non dobbiamo usarle come mazze nei confronti del nostro prossimo.

Gesù non ci chiederà, forse, di essere più rispettosi del sacro che c’è nell’anima e nel corpo di ogni mio fratello? Non ci chiederà di avere, forse, un po’ più di pudore nel rispetto delle sofferenze e delle prove altrui? Non chiederà forse alla Chiesa di essere molto più esigente con le ipocrisie presenti nelle cosiddette ‘elite parrocchiali’ che non con chi fa tanta fatica e sbaglia (e lo sa e ne piange) ma che mantiene un ‘cuore puro’ davanti al religioso e a Dio?

Chi è più ‘cane’, il pubblico peccatore o certi preti e vescovi che giocano con il religioso e con i sacramenti per i propri interessi personali? Chi è più ateo? Un ‘pubblico peccatore’ che riconosce di aver bisogno di Cristo, pane della vita, o un prete che celebra trasandato e frettoloso una Eucarestia alla quale non sa neppur bene se credere?

Il male è male ed è male dappertutto, ma, per piacere non facciamo dire a Cristo cose che usate in un certo modo non erano certamente nella sua mentalità e addirittura diventano bestemmia nei confronti della sua misericordia!

 

MERCOLEDI’ 28

Sant’Ireneo; Sant’Attilio

Parola di Dio: 2Re 22,8-13; 23,1-3; Sal.118; Mt. 7,15-20

"DAI LORO FRUTTI LI RICONOSCERETE". (Mt. 7,16)

Attorno ad ogni fattore ed evento religioso nascono sempre profeti e falsi profeti, cioè persone che nel nome di quella religione e di quel Dio esprimono con forza, fantasia, lo spirito dell’evento e persone che, o invasate o approfittatrici dell’evento ne parlano a nome proprio. Tutto l’Antico Testamento ne è pieno. In genere sono uomini capaci di affascinare le folle con le loro parole.

Anche oggi è pieno di profeti e di falsi profeti.

Profeti dovrebbero essere tutti i cristiani che in virtù del battesimo, inseriti in Cristo partecipano alla di Lui funzione Sacerdotale, Profetico, Regale. Ma ecco che anche qui ci sono persone che dichiarando di parlare e di agire a nome della divinità in persona portano un messaggio personale.

E, facciamo attenzione, parlando di falsi profeti a non pensare subito ad annunciatori di eresie (possono esserci anche quelli) ma spesso i falsi profeti si annidano nel bel mezzo dell’ortodossia. Per esempio, gli esaltati religiosi che, più conservatori della tradizione che fedeli alla novità del Vangelo fanno passare per volontà di Dio se stessi e una chiesa fatta di norme e osservanze che sono dettate dagli uomini e non da Dio. Oppure gli ipocriti a cui, pur non interessando molto il religioso, vogliono però emergere sugli altri, essere i primi della comunità e per questo sono pronti a comprare e vendere le persone a seconda degli interessi personali. O ancora, tutti coloro che non riusciti bene nel mestiere di uomini preferiscono intagliarsi una maschera di religiosità per rendersi rispettabili davanti agli altri.

Per riconoscerli ci vuole prima di tutto pazienza. Se in alcuni casi è facile vedere subito, dall’ignoranza, dal comportamento, dalla mistificazione facilmente individuabile il loro atteggiamento non conforme al vangelo, per altri occorre il tempo. Spesso fino alla maturazione dei frutti non è facile capire se la pianta produce frutti commestibili o selvatici e allora occorre la pazienza del tempo. Gesù questo lo sa e perciò ci dice: "Riconosceteli dai loro frutti", non dalle apparenze, non dalle parole, non dai ruoli che rivestono o dal numero degli applausi che ricevono, ma dalla sostanza, dal loro essere e dal loro agire.

 

GIOVEDI’ 29

SANTI PIETRO E PAOLO

Parola di Dio: Atti 12,1-11; Sal.33; 2Tim. 4,6-8.17-18; Mt. 16,13-19

"DISSE LORO: VOI CHI DITE CHE IO SIA?". (Mt. 16,15)

Noi tutti abbiamo talmente tante cose da chiedere a Dio, tanti interrogativi, tanti perché che, quasi quasi, crediamo che Dio debba essere lì apposta per rispondere alle nostre domande. Tutti ci sentiamo in diritto di sottoporlo agli esami, costringerlo a fornirci spiegazioni convincenti. E invece, nel Vangelo di oggi, vediamo che è Gesù a porre delle domande, a costringerci a dare delle risposte che non solo rivelino la nostra preparazione in tema religioso ma che ci compromettano davanti a Lui. Infatti a Gesù non interessa molto il sondaggio sull’opinione della gente su Lui, è solo un mezzo per arrivare all’altra domanda: "E tu chi dici che io sia?" (e fa bene attenzione perché rispondendo a questa domanda rispondi implicitamente anche all’altra domanda: e chi sei tu?). E qui non possiamo più scappare, non possiamo rispondere a nome del teologo Tal dei Tali o del filosofo Pinco Pallino, qui deve venire fuori la tua risposta.

"Ma Signore… è difficile, non sono ben preparato…Non c’è nessuno che suggerisca?".

"Bravo, finalmente hai trovato la strada - ci risponde Gesù – hai bisogno di Qualcuno che suggerisca. Non parlare da solo, rischieresti dei balbettamenti incoerenti, lasciati suggerire dallo Spirito Santo, cerca di ascoltare la sua voce. Vedi che cosa è successo a Pietro: quando ha parlato a titolo personale ha detto delle stupidaggini. Per fermarlo ho dovuto addirittura minacciarlo di essermi come Satana. Quando si è accorto di balbettare e si è lasciato guidare dallo Spirito Santo è riuscito a fare la sua professione di fede!".

Strana scuola quella di Gesù in cui suggerire non solo non è una colpa ma un merito e in cui ascoltare i suggerimenti non significa copiare ma arrivare, attraverso lo Spirito, a riconoscere chi è Lui e di conseguenza chi siamo noi per Lui.

 

VENERDI’ 30

SACRO CUORE DI GESU’

Parola di Dio: Os. 11,1.3-4.8-9; Cantico da Is. 12,2-6; Ef. 3,8-12.14-19;Gv. 19,31-37

"VOLGERANNO LO SGUARDO A COLUI CHE HANNO TRAFITTO". (Gv 19,37)

Oggi, festa del cuore di Gesù, la liturgia, attraverso il vangelo di Giovanni, colui che ha posato il suo capo sul cuore di Gesù, ci presenta il segno di amore per eccellenza del Salvatore: la sua Croce.

Proviamo a fermarci davanti a questa Croce essa è scuola di vita.

Stare davanti al Crocifisso, dialogare con Lui nel silenzio dell’anima, ci dà speranza, serenità, gratitudine, sicurezza di essere amati, mai abbandonati, ci consente di penetrare nel mistero dell’amore di Dio. Il cristiano si sente protetto dalla Croce: ne traccia il segno sulla sua persona nei momenti in cui cerca intimità con il suo Signore, gli vuole parlare, chiedergli aiuto; la porta al collo come segno di una scelta di vita, la pone sulle tombe come segno di risurrezione.

La Croce non è una meta, è un sentiero, una strada. Gesù la percorre per primo, perché non ci faccia paura.

Si impara più in ginocchio davanti alla croce che leggendo i migliori libri della produzione umana. Dalla Croce provengono le più grandi lezioni per la vita dell’uomo.

Una lezione di umiltà: su di essa il Cristo paga un altissimo prezzo per distruggere il nostro orgoglio, cancellare i nostri peccati.

Dalla Croce scende una lezione di obbedienza al Padre: "Se è possibile, allontana da me questo calice, tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà".

Dalla Croce viene una lezione sul dolore. Esso, diversamente dall’essere motivo di abbattimento, di disperazione, acquista una serena dignità per l’uomo che lo accetta come mezzo di espiazione, di purificazione e di salvezza, che lo offre come dono generoso per contribuire alla redenzione del mondo.

La Croce è soprattutto una lezione di amore.

"Nessuno ha amore più grande di chi dà la vita per i propri amici". Ma qui non si paga solo per gli amici, anche per i crocifissori: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". E’ un amore gratuito che richiede solo di essere accolto e di essere ricambiato.

Gesù non guarda alle nostre colpe, osserva il pentimento del nostro cuore, non guarda a ciò che meritiamo, a ciò che siamo stati… Davanti al Crocifisso mi sento amato di un amore unico che supera ogni affetto umano, che fa prevalere la misericordia sulla giustizia.

Davanti alla Croce nessuno è debole, nessuno è disperato. In essa sono racchiuse le miserie dell’uomo, i suoi peccati, i suoi dolori, per distruggere ogni segno di morte e aprire alla vita: "Chi crede in Lui ha la vita eterna".

     
     
 

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