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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

MAGGIO 2000

 

LUNEDI’ 1 MAGGIO

San GIUSEPPE LAVORATORE

Parola di Dio: Gen. 1,26-2,3 (Col 3,14-15.17.23-24); Sal 89; Mt. 13,54-58

Giubileo dei lavoratori

 

"NON E’ EGLI FORSE IL FIGLIO DEL CARPENTIERE?". (Mt 13,55)

La festa di San Giuseppe lavoratore, che inizia questo mese di maggio dedicato a Maria, ci apre alla prospettiva di quella casa di Nazaret dove Gesù si è incarnato nel quotidiano del nostro vivere.

Giuseppe, "il carpentiere", con il suo silenzio, il suo lavoro, la sua dedizione a Maria e a Gesù è, secondo me, una figura tutt’altro che marginale nella storia della salvezza, non solo perché richiama i Patriarchi e l’Alleanza dell’Antico Testamento, ma soprattutto perché ci riporta ad un Dio che non disdegna, anzi, ama la concretezza del quotidiano: pensate che Giuseppe è quell’uomo che fa crescere, che educa Dio in casa sua!

Sorridendo (come penso non abbia potuto fare a meno di fare tante volte Giuseppe in casa sua) mi viene in mente il famoso "De Pretore Vincenzo" di Eduardo De Filippo.

De Pretore era un "mariuolo". Uno di quei tanti che "arrangiava la vita", ma anche un "devoto" tutto all’italiana di San Giuseppe. Quando muore e arriva davanti al tribunale, la giustizia di Dio non può che condannarlo. De Pretore che anche in paradiso ha portato le sue caratteristiche tipiche (e questo è bello e teologicamente esatto) si rivolge a San Giuseppe per la solita raccomandazione e San Giuseppe (che sembra anche lui avere caratteristiche molto napoletane), fa la sua perorazione in favore del suo devoto. Niente da fare: la giustizia è giustizia! "Se è così, - dice Giuseppe – allora qui non conto niente, perciò me ne vado all’inferno con De Pretore Vincenzo". Ma mentre si sta incamminando, Maria si alza e gli va dietro: "Io sono sua moglie e devo e voglio seguire mio marito". Si alzano Sant’Anna e San Gioachino: "Noi siamo gli suoceri e dove vanno Maria e Giuseppe, andiamo anche noi". E così, poco per volta, fanno tutti i santi. Per ultimo si alza anche Gesù: "Non posso abbandonare i miei vecchi, vado anch’io con loro".

"Basta così! Tornate tutti qui, De Pretore Vincenzo compreso, o mi svuotate il paradiso" – dice il padre Eterno.

Si può sorridere sulle cose sacre e nello stesso tempo dire delle grandi verità. Dio si è talmente imparentato con gli uomini che si è fatto legare da essi le mani delle pur giuste punizioni per lasciarsi toccare nel suo punto debole: la misericordia.

 

MARTEDI’ 2

Sant’ ATANASIO

Parola di Dio: Atti 4,32-37; Sal. 92; Gv.3,7-15

 

"IN VERITA’ VI DICO: DOVETE RINASCERE DALL’ALTO". (Gv. 3,7)

L’uomo non si costituisce con nove mesi di gestazione e poi una nascita; e neppure dopo anni di studio, al conseguimento di una laurea, o perché ha compiuto gli anni della maggiore età.

Noi pensiamo che si nasca uomini. E invece uomini si diventa. Pagando il prezzo di lunghe fatiche, dopo e all’interno di momenti di sofferenza. Dopo trafile di studi, e non soltanto sui libri. Sottoponendosi ad estenuanti sacrifici. Affrontando la tribolazione di esami (non solo scolastici) che non finiscono mai. Col rischio permanente di dover ricominciare da capo ogni volta che una prova va male.

Ma quello che diceva Gesù a Nicodemo, la rinascita che Lui chiede, va ben oltre.

L’uomo da solo è già tanto se diventa uomo. Per riscoprirci uomini nuovi, figli di Dio, chiamati a costruire una umanità nuova, bisogna lasciare spazio allo Spirito di Dio.

E’ lo Spirito di Gesù che ci rende capaci di eternità. E’ lo Spirito di Gesù che fa sì che il nostro agire cooperi alla creazione del nuovo mondo. E’ lo Spirito di Gesù che rende accessibile la misericordia del Padre. E’ lo Spirito di Amore che intercorre tra Gesù e il Padre che ci rende capaci di amore, ed è sempre lo stesso Spirito che ci aiuta a trasformare sofferenza e morte in speranza e amore.

Se dunque tutti i giorni noi, con la nostra volontà, con l’esperienza, con fatica, dobbiamo diventare uomini, lasciamo che lo Spirito di Gesù agisca in noi e ci faccia diventare "uomini nuovi" a misura dello stesso Cristo.

 

MERCOLEDI’ 3

Santi FILIPPO E GIACOMO; San GIOVENALE

Parola di Dio: 1Cor. 15,1-8; Sal. 18; Gv.14,6-14

 

"DA TANTO TEMPO SONO CON VOI E TU NON MI HAI CONOSCIUTO, FILIPPO?". (Gv. 14,9)

L’uomo è un essere che si rapporta, quindi da sempre ha bisogno di conoscere, dal bambino che già dal ventre materno "sente", fino all’uomo che cerca di entrare nell’intimo dell’altro e delle cose. Si vorrebbe conoscere tutto, e oggi, in questa "globalizzazione", si riesce ad avere persino la presunzione di poter ‘in tempo reale’ entrare in rapporto con ogni persona e con ogni conoscenza. Ma, se non conosci un grande scrittore, non è un gran male, perché la letteratura è un bene, ma non è il bene, quello che in fondo tu cerchi. Se non conosci un grande scienziato, non è un gran male, perché la scienza è anch’essa soltanto un bene, non il bene. Se non conosci un artista, neppure è un gran male. Né sarà una sventura se non conoscerai i grandi politici o i famosi campioni, o le ‘star’ o i reclamizzati signori padroni del mondo. No, non sarà un gran male, e più facilmente sarà un gran bene. Perché nessuno di questi ti potrà salvare o soddisfare in quanto tu sei un uomo che è aperto agli assoluti, alla felicità completa, alla vita immortale. E nessuno di quelli ti potrà dare tutto ciò. C’è uno solo che può rispondere ai tuoi desideri, ai tuoi interrogativi, al tuo desiderio di bello, di vero, di eterno, ed è Gesù, il Figlio di Dio, il Vivente per sempre, Colui che non ha mai deluso nessuno di quelli che lo hanno cercato e incontrato.

Per trovare e conoscere i ‘personaggi’ devi viaggiare, o studiare, o fare anticamere, hai bisogno di raccomandazioni, di presentazioni e prenotazioni; con quelli corri il rischio di essere frainteso, sospettato e respinto. Lui invece puoi sempre trovarlo dove vuoi, in te, nella tua stanza, nel tuo lavoro, per strada, in chiesa: è Lui che ti invita. Quelli si credono grandi, si chiamano grandi, ma son tutti piccini, hanno bisogno di pubblicità, di titoli accademici, di onorificenze, di aggettivi qualificativi appunto perché il loro nome, il solo nome dice tanto poco. Il nome di Gesù dice tutto: fu chiamato Gesù che vuol dire Salvatore.

 

 

GIOVEDI’ 4

San CIRIACO; Santa ANTONIA; Sant’ ADA; San VIVALDO

Parola di Dio: Atti 5,27-33; Sal. 33; Gv. 3,31-36

 

"COLUI CHE VIENE DALL’ALTO E’ AL DI SOPRA DI TUTTI". (Gv.3,31)

Ieri meditavamo sul fatto che all’uomo, sempre in ricerca non sono sufficienti varie conoscenze, è necessario conoscere Lui. Infatti gli uomini spesso imparano tante cose sciocche; gareggiano a chi ne impara di più; imbottiscono la loro testa di carta o il loro cuore di paglia; ingeriscono in larga misura date e dati, ingoiano favole di filosofi e fandonie di politici, conoscono i capricci delle dive e le cifre di tutti gli sport; ma spesso non sanno dirvi chi veramente può salvare la loro vita e questa nostra società. Chiamano Cristo un grande, e non sanno che così lo impiccoliscono; lo chiamano un profeta, e non sanno che così lo abbassano; lo chiamano un martire, e così lo riducono, lo chiamano un saggio e così cercano di sistemarlo nei loro schemi.

Cristo non è un sapiente, ma è la Sapienza, non è un grande, è il Signore del cielo e della terra, non è un martire ma è la Vittima per gli uomini, non è un filantropo o un riformatore, ma è il Salvatore dell’umanità. Egli non è soltanto un uomo, ma è Dio, non è un personaggio storico, ma è l’Eterno vivente. Nulla e nessuno ci potrà salvare senza Lui. Ma noi lo conosciamo? Spesso ci siamo solo avvicinati a Lui, gli siamo passati vicino. Per cui Gesù forse anche oggi può ripeterci: "Io sono la luce e voi non mi vedete; Io sono la via e voi non mi seguite; Io sono la verità e voi non mi credete; Io sono la vita e voi non mi cercate; Io sono il maestro e voi non mi ascoltate; Io sono il capo e voi non mi obbedite; Io sono il vostro Dio e voi non mi pregate; Io sono il vostro amico e voi non mi amate. Se dunque siete infelici, non mi rimproverate".

 

 

VENERDI’ 5

Santa IRENE da Lecce; San GOTTARDO

Atti 5,34-42; Sal.26; Gv. 6,1-15

 

"GESU’ PRESE I PANI E, DOPO AVER RESO GRAZIE, LI DISTRIBUI’". (Gv.6,11)

L’amore di Gesù non è certamente fatto di promesse o di sentimenti sdolcinati o di parole. L’amore di Gesù è concretezza, è pane. C’è gente che ha fame? E Lui dà pane e pesci. C’è gente che ha fame di verità, di giustizia, di bello, di Dio? E Lui si fa pane nell’Eucarestia.

Tutto questo dovrebbe essere insegnamento concreto per chi vuol seguire Cristo, eppure la più grande vergogna di oggi è il rischio di morte per fame di due terzi della popolazione mondiale. I mezzi di comunicazione sociale hanno ripetuto tante volte statistiche sconcertanti, hanno presentato fotografie e film impressionanti. Ma il fatto cade nell’indifferenza della maggior parte degli uomini.

Passo vergognoso tra gli scaffali di un supermercato stragonfi di ogni ben di Dio; c’è anche, come in tutti i supermercati che si rispettino una corsia dove si vendono solo alimenti per cani e per gatti, eppure nel mondo milioni di persone agonizzano… Vedo la fame fisica e le altre fami profonde dell’uomo e mi sento a disagio: che cosa posso fare? I miei pochi pani, la mia poca fede che cosa possono fare? Eppure Gesù per sfamare quella moltitudine ha avuto bisogno proprio di pochi pani e di pochi pesci dati da qualcuno con amore.

Pensate che già nel 1960 Giovanni XXIII°, parlando alla FAO, diceva:

"Nessuno può, oggi, in un mondo in cui le distanze non contano più, scusarsi dicendo che i bisogni del fratello non gli sono conosciuti o che l’aiuto che gli si deve dare non lo riguarda. Noi tutti siamo solidarmente responsabili delle popolazioni sottoalimentate."

Potrà continuare a permettere la comunità cristiana che resti ancora una tavola vuota? In parrocchia, dove la vita media è agiata, possono rimanere alcune famiglie digiune?

 

 

SABATO 6

San DOMENICO SAVIO

Parola di Dio: Atti 6,1-7; Sal. 32; Gv. 6,16-21

 

"IL MARE ERA AGITATO PERCHE’ SOFFIAVA UN VENTO FORTE". (Gv. 6,18)

Capitano, nel cammino della vita, giorni in cui c’è tempo brutto e vento forte, momenti in cui ci si sente smarriti, carichi di incertezze, di tristezza. Ci pare di non farcela. Siamo stanchi. Chi ci potrà aiutare? Non sembra forse tutto inutile ciò che abbiamo fatto? Arriveremo mai ad una meta?

Un fiume, durante la sua tranquilla corsa verso il mare, giunse a un deserto e si fermò. Davanti, ora aveva solo rocce disseminate di anfratti e caverne nascoste, dune di sabbia che si perdevano all’orizzonte. Il fiume fu attanagliato dalla paura.

"E’ la mia fine. Non riuscirò ad attraversare questo deserto. La sabbia assorbirà la mia acqua ed io sparirò. Non arriverò mai al mare. Ho fallito tutto", si disperò.

Lentamente, le sue acque incominciarono ad intorpidirsi. Il fiume stava diventando una palude e stava morendo.

Ma il vento aveva ascoltato i suoi lamenti e decise di salvargli la vita.

"Lasciati scaldare dal sole, salirai in cielo sotto forma di vapor acqueo. Al resto penserò io", gli suggerì.

Il fiume ebbe ancor più paura. "Io sono fatto per scorrere tra due rive di terra. Liquido, pacifico e maestoso. Non sono fatto per volare in aria".

Il vento rispose: "Non aver paura. Quando salirai nel cielo sotto forma di vapor acqueo, diventerai una nuvola. Io ti trasporterò di là del deserto e tu potrai di nuovo cadere sulla terra sotto forma di pioggia, e ritornerai fiume e arriverai al mare.

Ma il fiume aveva troppa paura e fu divorato dal deserto.

Molti esseri umani hanno dimenticato che c’è un modo solo per superare gli improvvisi deserti dei sentimenti e le aridità feroci che sbarrano talvolta il tranquillo fluire dell’esistenza.

E’ la vita spirituale. E’ lasciarsi trasformare dal sole che è Dio e trasportare dal Vento dello Spirito. Ma è un rischio che pochi accettano di correre. Perché, come dice Gesù, "il vento soffia dove vuole: uno lo sente, ma non può dire da dove viene né dove va".

 

 

DOMENICA 7

3^ DOMENICA DI PASQUA B  -  Santa FLAVIA DOMINICI; Santi FLAVIO E AUGUSTO

Atti 3,13-15.17-19; Sal. 4; 1Gv. 2,1-5; Lc. 24, 35-38

Al Colosseo: Commemorazione ecumenica per i "nuovi martiri"

 

PAROLA DI DIO

1^ Lettura (At 3, 13-15. 17-19)

Dagli Atti degli Apostoli.

In quei giorni, Pietro disse al popolo:

"Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l'autore della vita. Ma Dio l'ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni.

Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi; Dio però ha adempiuto così ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo sarebbe morto. Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati

 

2^ Lettura (1 Gv 2, 1- 5)

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo.

Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. Da questo sappiamo d'averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: "lo conosco" e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; ma chi osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente perfetto

 

Vangelo (Lc 24, 35- 48)

Dal vangelo secondo Luca.

In quel tempo, di ritorno da Emmaus, i due discepoli riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: "Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho". Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: "Avete qui qualche cosa da mangiare?". Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: "Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse: "Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni"".

 

RIFLESSIONE

 

Forse può stupirci: da poco abbiamo terminato la Quaresima con i suoi continui inviti alla conversione specialmente davanti all’amore crocifisso di Gesù, e ora, in tempo di gioia pasquale ecco di nuovo questo invito a cambiare mentalità. Pietro termina una delle sue prime prediche su Gesù morto e risorto dicendo: "Pentitevi dunque, e cambiate vita perché siano cancellati i peccati", Paolo, invitandoci a trovare gioia e verità in Cristo dice: "Vi scrivo queste cose perché non pecchiate, ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Avvocato presso il Padre".

Ma abbiamo ancora bisogno di convertirci, quando siamo ormai nella gioia della risurrezione?

Il Vangelo ci ricorda che gli apostoli, che avevano sentito l’annuncio delle donne, che avevano visto la tomba vuota, che avevano sentito la testimonianza dei discepoli di Emmaus, quando Gesù appare loro: "erano stupiti e spaventati perché credevano di vedere un fantasma".

Ecco quello da cui dobbiamo convertirci: dal credere Dio un fantasma o dal credere al fantasma di Dio.

Infatti quanti modi sbagliati di intendere Dio fanno si che noi non vediamo più il suo vero volto, ma lo confondiamo con il fantasma, cioè con le figure che noi abbiamo applicato a Lui.

Mi fermo con voi solo su un aspetto, ma che ha talmente condizionato il mio modo di intendere Dio che, ancora oggi, se non faccio attenzione e non mi faccio un po‘ di violenza, mi confonde sulla sua stessa essenza.

Fin da piccolo (e non sempre per cattiva volontà da parte dei miei educatori), mi hanno insegnato una religione di paura.

Penso che chi come me ha superato i cinquanta, me ne dia atto: Dio era soprattutto il tutore della morale, il suo occhio, disegnato su un triangolo, ci sorvegliava anche in assenza di qualunque testimone.

Dio era terribile nel controllare che le sue leggi (ma chi lo ha detto che fossero poi proprio tutte sue!) venissero rispettate; un poco d’acqua o, peggio, una caramella mangiata prima della Comunione, un boccone di carne mangiato il venerdì, un lavoro fatto la domenica, un peccato omesso nella confessione, una Messa mancata in giorno d’obbligo, bastavano perché Egli aprisse le porte brucianti dell’inferno per mandarci a rosolare per tutta l’eternità.

Il sentimento religioso era fondamentalmente l’incubo del peccato mortale, con conseguente dannazione eterna, e la principale ambizione cristiana era quella di arrivare senza incidenti e pagando il minor scotto possibile, al paradiso.

Tutto questo è Dio o un brutto fantasma di Dio?

La paura è sempre stata un mezzo per poter avere potere sugli altri. Questo tipo di educazione umana e religiosa teneva buoni, manteneva tranquille le autorità civili e religiose, permetteva spesso di imperare sulle coscienze (mi sono accorto che sto parlando al passato: non sarò un po’ troppo ottimista nel pensare che tutto questo sia solo cosa di ieri?).

Certo, se avete ben terrorizzato un bambino con i castighi eterni, potete star quasi sicuri che avrà abbastanza paura di Dio per non lasciare la messa della domenica, per un bel pezzo. Ma non lo amerà più.

La paura è il segno di una mancanza di amore e di una mancanza di fede.

Tutto il Vangelo è scandito dal motivo: "Non abbiate paura!". Comincia con l’annunciazione e termina con le apparizioni del Cristo Risorto: agli apostoli "atterriti e spaventati" da questo fantasma, schiacciati dalla coscienza della loro colpevolezza, rosi dal dubbio, il primo messaggio del Maestro è sempre una parola di misericordia e di gioia: "La pace sia con voi"; "Non abbiate paura!"

Se scopriamo di essere stati allevati nella paura di Dio, dobbiamo far di tutto per scrollarcela di dosso infatti essa è un peccato, una grande offesa a Dio, un’astuzia del diavolo per impedirci di amare Dio, quel peccato contro lo Spirito santo, contro la Misericordia di Dio di cui parla Gesù.

Il "timor di Dio" invece, è un’altra cosa, è dono dello Spirito santo, è un segno di amore, una delicatezza del cuore.

Aver paura di Dio è pensare che la Sua volontà sia solo e sempre la nostra sofferenza, è pensare che Egli ci farà del male, ci punirà, si vendicherà, ci manderà catastrofi e per finire ci schiafferà all’inferno. Mentre il timor di Dio è riconoscere chi sia Dio in se stesso, attribuirgli il giusto posto nel mondo e nella nostra vita, ma anche accorgerci che nel rapporto con Lui noi possiamo rispondergli con amore o ferire il suo cuore.

Ci hanno sempre presentato un Dio forte, invincibile, impossibile, che minaccia e punisce; con questo molti pensano di adorare Dio, di glorificarlo, mentre adorano solo il fantasma della forza e della paura. Eppure Gesù è la rivelazione della debolezza di Dio, un Dio che ama talmente gli uomini, ingrati per tutto quello che hanno già ricevuto da Lui, da mandarci addirittura sua Figlio.

Anche gli Ebrei si aspettavano un Messia potente, ma è arrivato un bambino bisognoso di tutto che riesce a mala pena a fuggire davanti a un re che, per paura di perdere potere, vuole ucciderlo, è arrivato un Messia che entra trionfalmente in Gerusalemme su un asino, è arrivato un Maestro che lava i piedi, che si fa pane, è arrivato un crocifisso, agnello mansueto portato al mattatoio, ed è arrivato un risorto che rassicura, si fa toccare, mangia con gli apostoli.

E’ un Dio che non si impone mai, che chiede sempre permesso, che bussa alla porta e aspetta, senza mai forzare la serratura; è un Dio che, davanti alle nostre obiezioni: "Non sono degno, sono impuro, sono un peccatore", risponde: "Non importa, io vengo a cercare i peccatori; il mio mestiere, la mia gioia è quella di poter perdonare i tuoi peccati".

Può un Dio fatto bambino farci del male?

A un bambino si può far del male, ma lui non è in grado di farne a noi.

Può uno che accetta di soffrire, godere della nostra sofferenza?

Un crocifisso è qualcuno a cui sono state inchiodate le mani: non può dare schiaffi, può solo riceverli. E’ uno che ha i piedi costretti al legno dai chiodi, non puoi aspettarti pedate da Lui. Quando uno è crocifisso tu puoi fargli tutto il male che vuoi, sicuro che Lui non può farne a te.

E che dire del Risorto che ogni volta che appare augura la pace, invita a non aver paura, si inchina alla volontà di Tommaso di toccarlo per credergli e quando ricorda il tradimento di Pietro gli chiede solo: "Mi ami ,tu?".

Non si può e non si deve aver paura del Dio di Gesù, di un Dio fattosi nel mondo mendicante di un po’ di amore dalla sua creatura.

 

 

LUNEDI’ 8

San VITTORE IL MORO; Santa MADDALENA DI CANOSSA;

MADONNA DI POMPEI

Parola di Dio: Atti 6,8-15; Sal. 118; Gv. 6,22-29

 

"VOI MI CERCATE NON PERCHE’ AVETE VISTO DEI SEGNI, MA PERCHE’ AVETE MANGIATO QUEI PANI E VI SIETE SAZIATI". (Gv. 6,26)

Facendo per tanti anni il prete di parrocchia, Dio mi ha dato la grazia di incontrare tantissime persone a cui sarò sempre riconoscente in quanto ognuna mi ha dato qualcosa. Ma conoscere tanti, se non ti fermi alla superficie, è anche, a volte, veder rispecchiati negli altri se stessi. Ad esempio, quando la gente cerca Dio? Sono moltissimi i tempi e i modi della ricerca di Dio, ma oserei dire che la maggioranza di noi lo cerca quando ne ha bisogno. E questo non è del tutto sbagliato in quanto è proprio il constatare la nostra povertà e finitezza che può aprirci a quel desiderio di bello, di vero, di trascendente, insito in noi e qualche volta assopito nel materialismo. Il guaio è che spesso si cerca Dio quando si ha bisogno e poi ci si ferma all’esaudimento del bisogno riducendo Dio al potente implorato per risolvere i nostri bisogni. Molti di quelli che erano andati a cercare Gesù, erano andati perché pensavano fosse bello e facile avere un Messia che, quando voleva, con cinque pani poteva sfamare gratis cinquemila persone.

Quante volte ho visto arrivare in chiesa gente piangente a chiedere una grazia, disposta, pur di ottenerla a fare qualunque cosa, persino a promettere di cambiar vita, e ottenuto quello che voleva, sparire.

Gesù rimprovera la folla perché lo cerca, ma solo per vedere facili miracoli. Paradossalmente rimprovera quella gente, sfamata perché non ha più fame. Ossia non ha fame di qualcos’altro. La mancanza di appetito è sempre un segno preoccupante per la salute fisica o morale di una persona. Gesù è come se ci dicesse: "Comincia a preoccuparti quando ti senti saziato dalle cose, dal denaro, dal successo e invece non senti più il desiderio del bello, del giusto, di Dio." E’ solo assecondando questi stimoli che partirai alla ricerca, che scoprirai che da solo non puoi saziare quelle fami e che allora avrai l’umiltà di chiedere: "Signore, dacci sempre questo pane!".

 

 

MARTEDI’ 9

San PACOMIO

Parola di Dio: Atti 7,51-8,1; Sal. 30; Gv. 6,30-35

 

"IL PANE DI DIO E’ COLUI CHE DISCENDE DAL CIELO E DA’ LA VITA AL MONDO". (Gv. 6,33)

Quando Gesù dice queste parole non si riferisce solo al dono di se stesso che ci fa nell’Eucarestia ma al grande mistero dell’Incarnazione: un Dio che si fa uomo per amore; un Dio che si fa pane per la nostra fame. Il nostro non è un Dio che si è fatto una capatina in mezzo ai mortali per scagliare qualche fulmine, dettare qualche legge nuova, accaparrarsi tasse o belle donne, compiere qualche impresa gloriosa tra cori di lodi e poi tornarsene nella sua beatitudine. Il nostro Dio, invece, si è caricato di povertà e di miseria da cui non riuscirà più a scrollarsi, è un Dio che per sempre continuerà ad incarnarsi nella nostra storia e nella povertà di un pane spezzato e donato.

Un Dio che si fa "mangiare" dall’uomo! Mi ha sempre meravigliato e stupito un Dio perfetto che per amore della sua creatura, traditrice e infida, accetta di lasciare la sua eternità felice per farsi uomo, povertà, peccato. E’ un po’ come una persona che avesse tutto, salute, serenità, gioia, ricchezze, affetti corrisposti, e rinuncia a tutto, diventa povero, sofferente, rischia la vita per dare un po’ di pane a un povero che non sa neppure apprezzare questo dono. O è un matto, o un innamorato! Dio è così ‘innamorato pazzo’ di noi: ci ama fino al punto di farsi pane, pane con la sua vita, il suo esempio, pane con la sua Parola e pane concreto nell’Eucarestia. E noi, qualche volta, ci lamentiamo di Dio che è lontano da noi, piangiamo quando non otteniamo qualche grazia, non apprezziamo il dono della sua Parola, rinunciamo per qualche banalità alla Messa, riduciamo l’Eucarestia ad un rituale ripetitivo. Siamo degli affamati e soffriamo di inappetenza. Abbiamo il Pane della vita e ci lasciamo morire di inedia.

 

 

MERCOLEDI’ 10

Sant’ ANTONINO; San CATALDO

Parola di Dio: Atti 8,1-8; Sal.65; Gv.6,35-40

 

"IO SONO IL PANE DELLA VITA. CHI VIENE A ME NON AVRA’ PIU’ FAME E CHI CREDE IN ME NON AVRA’ PIU’ SETE". (Gv. 6,35)

Specialmente in Oriente, ma anche in altre parti del mondo si usa invitare parenti e amici del defunto a partecipare a un banchetto funebre, accanto alle spoglie del morto, quasi a continuare nel pasto il legame di amore che unisce oltre la morte.

Il banchetto, infatti, è il momento più privilegiato nel quale i commensali realizzano una profonda comunione tra loro.

Anche l’Eucarestia è la rinnovazione del banchetto celebrato dal Signore Gesù con gli apostoli, nell’Ultima cena, prima della sua passione e morte e risurrezione. Ma noi non commemoriamo un morto, celebriamo il Dio della vita. Purtroppo, però, molti cristiani arrivano alla Messa con il volto tirato, quasi fosse un dovere pesante da compiere. Forse l’abitudine di assicurarsi, pagando, contro le malattie, il furto, gli incendi, la vecchiaia, la morte stessa, ha finito per trasformare anche la pratica religiosa in una polizza di assicurazione per la vita eterna. Dobbiamo tutti reimparare a incontrare Dio, a dialogare, a conversare con Lui, magari per ripetergli con il cieco di Gerico: "Signore, fa’ che io veda", o con gli apostoli: "Accresci la nostra fede".

La Messa realizza questo incontro di comunione con Dio e con i fratelli. Nella prima parte, la liturgia della parola, Dio dialoga con noi poveri pellegrini, disorientati, smarriti, brancicanti forse nelle tenebre del dubbio, accecati dalla violenza delle passioni: "Perché siete tristi?", ci ripete Gesù come ai discepoli di Emmaus. "Non abbiate paura, io ho vinto il mondo".

Nella seconda parte, la liturgia Eucaristica, dopo l’offerta del pane e del vino, quel Gesù che ha ridato la vista ai ciechi, la vita ai morti, si rende presente sull’altare, invitando tutti a partecipare al banchetto della vita: "Prendete e mangiatene tutti… Prendete e bevetene tutti…". Tutti, anch’io, anche tu e voi, poveri peccatori. "Venite voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò". Mangiando Dio sotto la specie del pane e del vino, noi siamo divinizzati, trasformati in Lui: la nostra carne si fonde con la carne di Dio, il nostro sangue si mescola al suo. Questa volta il sogno dei nostri progenitori di essere simili a Dio si fa realtà.

 

 

GIOVEDI’ 11

Sant’ IGNAZIO DA LACONI

Parola di Dio: Atti 8,26-40; Sal.65; Gv. 6,44-51

 

"SE UNO MANGIA DI QUESTO PANE VIVRA’ IN ETERNO". (Gv.6,51)

Voi che leggete questa pagina e che mi conoscete, sapete quanto ho sempre insistito nello scoprire l’Eucarestia non come premio per i buoni, ma pane per il cammino. E sempre ho trovato qualcuno che, storcendo il naso, mi ha ricordato certe norme della Chiesa per potersi accostare all’Eucarestia. Oggi non parlo io, ma vi propongo un brano di Alessandro Pronzato:

"No. Non siamo i buoni, i più meritevoli.

Confessiamo le nostre debolezze, i nostri errori, le stanchezze e le nequizie, le miserie e le colpe, le diserzioni e le inadempienze.

L’Eucarestia non è un premio. Nessuno di noi "merita" l’Eucarestia.

Occorre possedere una discreta dose di presunzione per dichiarare che facciamo la Comunione perché ci sentiamo a posto, abbiamo compiuto il nostro dovere, ci siamo comportati in maniera irreprensibile.

Al contrario: tendere le mani verso quel Pane significa riconoscersi deboli, malati, incapaci, bisognosi.

Accostare le labbra a quel calice vuol dire ammettere di aver bisogno di purificazione.

Non ci sentiamo affatto a posto. Ci sentiamo, invece, perdonati, riconciliati, amati, nonostante le nostre miserie.

Veniamo accolti perché ci riconosciamo ‘impresentabili’.

Accostarsi al banchetto eucaristico equivale ad andare a ricevere l’abbraccio della misericordia del Signore.

Io vivo, riprendo il fiato, ricomincio a camminare, grazie alla memoria di quell’abbraccio, che mi rinnova e si rinnova quotidianamente. Io sto in piedi per merito di quell’abbraccio.

Paolo dice che dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia.

Strana davvero quella bilancia. I piatti non sono mai in equilibrio. Nonostante tutto il peso di sciocchezze che noi gettiamo in uno di essi, è l’altro piatto che acquista maggior peso quando Dio interviene.

L’Eucarestia, ossia la bilancia che si squilibra sempre dalla parte della misericordia."

 

 

VENERDI’ 12

San NEREO E ACHILLEO; San PANCRAZIO; San LEOPOLDO

Parola di Dio: Atti 9, 1-20; Sal. 116; Gv. 6,52-59

 

"COME PUO’ COSTUI DARCI LA SUA CARNE DA MANGIARE?".(Gv. 6,52)

Penso che anche noi, spesso, ci siamo posti questa domanda che i Giudei rivolgono a Gesù.

La risposta, pur contenendo un mistero stragrande è poi molto semplice: colui che ci ha amato fino a dare la sua vita per noi, dà se stesso nel suo Corpo. Scopriamo allora che il termine "Comunione" si allarga a dismisura. Non è "l’andare a prender l’ostia" o "l’andare a prender Messa". E’ essere consci del dono, è entrare in sintonia con il Signore che ci parla, è diventare talmente "parenti" con Gesù da essere una cosa sola con Lui, è comunicare e partecipare alla sua vita, alla sua misericordia, alla sua solidarietà con tutti gli uomini.

Qualche volta, un po’ stupidamente, noi ci chiediamo quali siano le preghiere che dobbiamo dire dopo aver fatto la comunione. Se fossimo coscienti di ciò che ci fa la Comunione Eucaristica, in fondo non ci fideremo tanto delle parole da dire, ma dovrebbe esserci nel cuore l’ammirazione, la lode, il ringraziamento, la gioia. Chi dovrebbe essere allora il devoto dell’Eucaristia? Il devoto dell’Eucaristia è un patito di fraternità, condivisione, unità. Un operatore di pace, un appassionato per la giustizia. E’ uno capace di perdono, solidarietà, rispetto, tolleranza, accettazione della diversità. E’ un geloso custode della dignità e della sacralità del fratello. Lo si riconosce non tanto dalle mani giunte ma dalle maniche rimboccate e dal cuore non rattrappito, ma dilatato, reso sensibile, vulnerabile.

Il devoto dell’Eucaristia non si segnala per i sospiri, le lamentazioni o le invocazioni, ma per l’impegno concreto a favore della comunione fra tutti gli uomini. Se c’è un profumo caratteristico dell’Eucarestia, non è certamente quello dell’incenso, ma quello penetrante dell’umanità. Guai se l’Eucarestia perde il suo inconfondibile sapore di pane.

 

 

SABATO 13

MADONNA DI FATIMA;  -  Santa MARIA DOMENICA MAZZARELLO

Parola di Dio: Atti 9,31-42; Sal. 115; Gv. 6,60-69

 

"E’ LO SPIRITO CHE DA’ VITA, LA CARNE NON GIOVA A NULLA". (Gv. 6,63)

Che cosa è mai un uomo se in lui lo spirito si eclissa? Che cosa è mai un uomo se perde la capacità di pensare, di volere, di amare, se si estingue in lui il gusto del bello, del vero, del nobile, il senso morale, se viene meno l’ansia della perfezione? Cosa resta più di umano in un uomo che non sa intenerirsi davanti all’innocenza, che non sa commuoversi davanti al dolore, non sa gioire delle cose belle, non sa ammirare la sapienza? Un essere umano senza tutto questo è un ingombro di poche decine di chili, una macchina che produce e consuma.

Eppure quanti uomini vivono così. C’è un vero culto del corpo, una vera idolatria. Si esaltano i muscoli di un atleta, ci si entusiasma per la forza di un pugile, si impazzisce per una partita di calcio, c’è chi sarebbe disposto a vendere l’anima pur di partecipare ad un concorso di miss, chi spende delle ore a lucidarsi le unghie, chi è disposto a sacrifici sovrumani, che certamente non farebbe per realizzare qualcosa a favore del suo prossimo, per mantenere la linea… e spesso non si pensa minimamente che prima o poi dovremmo rimetterci la linea, le unghie, i denti, i capelli, persino la pelle.

Ma lo spirito resta. Durano i valori spirituali ai quali il tempo non può che dare maggior valore.

San Francesco non era un bell’uomo, era pure piccolotto. Il corpo di Francesco ora non è che un po’ di cenere, ma lo spirito di Francesco è vivo dopo settecento anni e parla ancora al profondo di tanti cuori.

Non è questione di disprezzare il corpo e la materialità: ci sono stati dati come dono, sono anch’essi destinati alla risurrezione. Gesù non vuole disincarnare l’uomo, anzi, Lui si è incarnato. Ma è proprio solo vivificando il materiale con lo spirituale che noi possiamo dare il giusto valore alle cose.

 

 

DOMENICA 14

4^ DOMENICA DI PASQUA B  -  San MATTIA; Sant’AMPELIO

Parola di Dio: Atti 4,8-12; Sal. 117; 1Gv. 3,1-2; Gv. 10,11-18

 

1^ Lettura (At 4, 8-12)

Dagli Atti degli Apostoli.

In quei giorni, Pietro, pieno di Spirito Santo, disse: "Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato ad un uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la salute, la cosa sia nota a tutti voi e a tutto il popolo d'Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo. Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d'angolo. In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati".

 

2^ Lettura (1 Gv 3,1-2)

Dalla prima lettera di Giovanni Apostolo

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui.

Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.

 

Vangelo (Gv 10, 11-18)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, Gesù disse: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio".

 

RIFLESSIONE

 

Oggi, lo abbiamo sentito dal Vangelo, è una domenica del tempo pasquale che potremmo intitolare: "La domenica del Buon Pastore". Immagine immediata, almeno per noi adulti, per i bambini di città forse un po’ meno perché pecore e pastori li hanno visti solo in televisione… Ma propri perché è un immagine familiare, corriamo il rischio di ridurre quanto Gesù vuole dirci. Penso ci siano alcuni errori da evitare:

La figura del Buon Pastore con la pecora sulle spalle non è un’immagine mielosa e romantica, ma una figura biblico teologica da riscoprire per conoscere l’identità di Cristo nel suo rapporto con noi.

Parlando del Buon Pastore, parliamo pure dei ‘pastori’ della Chiesa, Papa, Vescovi, Sacerdoti, ma evitiamo i luoghi comuni sia da parte dei pastori nell’esaltare certi loro ruoli e nel lamentarsi del gregge, sia da parte dei fedeli nel vedere e cercare solo le loro mancanze.

Terzo pericolo: attenzione a considerare la Chiesa solo come gregge ben identificabile dove "pecore e pecoroni" senza testa si fanno condurre senza ben sapere neppure dove.

Gesù è l’unico vero pastore.

Gesù nel definirsi così si rifà a tutta una storia pastorale del popolo di Israele, storia che nella realtà dei fatti e nei paragoni è confluita ampiamente nella Bibbia. Pastore era Abramo, pastore era Davide che racconta così il suo mestiere parlandone al re Saul: "Il tuo servo custodiva il gregge di suo padre e veniva talvolta un leone o un orso a portar via una pecora del gregge. Allora lo inseguivo, lo abbattevo e strappavo la preda dalla sua bocca. Se si rivoltava contro di me, l'afferravo per le mascelle, l'abbattevo e lo uccidevo". Fare il pastore non era quindi avere un mestiere bucolico e romantico. Ma Gesù ha anche presente i profeti che hanno usato questa immagine proprio per indicare il Messia. Sentiamo Ezechiele: " Come è vero che Io vivo – parla il Signore – poiché il mio gregge è diventato una preda e le mie pecore il pasto di ogni bestia selvatica per colpa del pastore e poiché i miei pastori non sono andati in cerca del mio gregge – hanno pasciuto se stessi senza avere cura del mio gregge - udite, quindi pastori, la parola del Signore: Eccomi contro i pastori, chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto. Perché, dice il Signore Dio, ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura… Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Andò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata…"

Gesù ha dunque questi incarichi dal Padre e fa in Buon pastore con amore estremo, sceglie di dare liberamente la propria vita per le sue pecore.

Ma. Guardando la figura di Cristo Buon Pastore, siamo autorizzati da Gesù stesso a fare un paragone con i pastori che dovrebbero essere le nostre guide e che dovrebbero continuare l’opera di Gesù buon pastore in mezzo a noi.

Di fronte alla crisi attuale della Chiesa, di fronte al fallimento del loro apostolato, molti pastori sono tentati di accusare le pecore. Vediamo sovente certi predicatori puntare il dito dicendoci che non ci sono più vocazioni perché la gioventù ha perso la generosità e la purezza, perché genitori ed educatori non propongono più la vocazione ecclesiastica come appetibile. Se non c’è fede è perché il mondo è diventato materialista e gaudente; se non c’è più obbedienza è perché non si rispetta più l’autorità. In fondo il parroco ragiona così: "Ah se le mie pecore fossero un po’ più docili, un po’ meno distratte e sbandate, mi dessero retta una buona volta, ascoltassero i miei richiami, non corressero dietro a tutti quelli che presentano qualcosa di allettante…

Ma d’altra parte succede che anche molti parrocchiani pensano in questo modo: "Se il prete fosse davvero convinto… si interessasse un po’ più ai suoi fedeli, si facesse trovare, fosse un po’ meno un burocrate della religione, fosse un po’ meno attaccato ai soldi, evitasse di… non si lasciasse condizionare da …

Ciascuno di noi si rivela abilissimo nel fare l’esame di coscienza all’altro, ad ammettere le colpe del prossimo, a battersi il petto su quello del vicino.

Forse, più che recriminare, bisognerebbe tutti ritornare a Gesù.

Guidare un gregge non è un onore, è una responsabilità. Il pastore quando va al pascolo non è imbardato da festa, non sta su un piedistallo, non guida le pecore facendo loro lunghi sermoni, è uno che cammina con, è talmente una cosa sola con il suo gregge che spesso è perfino difficile distinguere troppo tra i suoi ruoli di pecora e quelli di pastore. Il suo bastone non sfascia il groppone delle pecore, deve solo indirizzare o serve per difendere, si pretendono da lui conoscenze ben specifiche riguardanti l’orientamento, la conoscenza del territorio, dove siano i pascoli, le fonti, i luoghi da evitare, deve avere delle conoscenze riguardanti il tempo e la veterinaria. Deve essere uomo capace di prendere decisioni, deve avere fantasia, deve accontentarsi di vivere con poco, essere paziente, coraggioso, pronto a difendere il suo gregge, pronto a dare alle sue pecore ciò di cui hanno bisogno, essendo attento alle capacità di tutte, partendo dalle più deboli.

Oggi la fame di verità, di giustizia, la fame di Dio è sempre viva nella massa e sempre inappagata. Come i contemporanei di Gesù, le folle moderne si precipitano verso coloro presso i quali sperano di trovare un vero pane, una vera pace, una vera luce. E’ colpa loro se incontrano più mercenari che pastori? E mercenario non è necessariamente uno che si macchia di colpe gravi. E’ spesso un individuo che non si compromette, non si lascia coinvolgere totalmente nella vita e nella salvezza delle pecore che vengono così abbandonate in balia del nemico. Ciò che fa la differenza tra il mercenario e il Pastore è il legame profondo che lega quest’ultimo alle pecore

Allora, con un pastore di questo genere ci può star bene anche l’immagine del gregge. Non ci vergogniamo di appartenete ad un gregge, a quel gregge.

Infatti appartenere alla Chiesa, al gregge di Cristo, non significa essere intruppati e camminare con la testa bassa e rinunciare al proprio cervello e ai propri occhi.

No. Quel pastore è a servizio della mia libertà e della mia dignità. Non pensa al mio posto e neppure decide per me. Dio mi tratta da adulto responsabile. E vuole che i pastori, suoi rappresentanti facciano altrettanto.

Io dunque sono importante per Lui. Conosce il mio nome, le mie doti e i miei difetti. Ho un valore unico ai suoi occhi. Dio mi prende sul serio. E quando mi sento chiamare da Lui , non penso per prima cosa ad un rimprovero o a un castigo, ma a qualcuno che mi ama.

 

 

LUNEDI’ 15

San TORQUATO; Sant’ ISIDORO L’AGRICOLTORE

Parola di Dio: Atti 11,1-18; Sal. 41 e 42; Gv. 10,1-10

 

"IO SONO LA PORTA: SE UNO ENTRA ATTRAVERSO DI ME SARA’ SALVO: ENTRERA’ E USCIRA’ E TROVERA’ PASCOLO". (Gv.10,9)

Il Vangelo di oggi ritorna su quanto meditavamo ieri a proposito di Gesù buon pastore, e proprio di questa figura ci viene indicata un’altra sottolineatura. Gesù non è solo il buon pastore ma è anche la porta dell’ovile, cioè l’unico mezzo, l’unica strada per ‘entrare e uscire’ cioè per essere suo popolo e poter uscire camminando verso la meta che Dio ci propone. Giustamente, al termine della preghiera Eucaristica, il sacerdote, alzando il pane e il vino consacrati, dice: "Per Cristo, con Cristo, in Cristo…". Tutto ciò che abbiamo è Lui, viene tramite Lui, si realizza con Lui, perché Lui è in noi.

Anche oggi, allora, proprio guardando a Gesù porta di questo ovile, è lecito ricercare alcune caratteristiche per riconoscere i pastori che oggi lo rappresentano.

Chiunque si occupi delle pecore deve ‘passare’ attraverso Lui.

Il pastore deve essere uno che ha talmente ‘guardato’, amato, imitato Cristo, che sta divenendo una cosa sola con Lui. Diffidiamo di quei pastori che sotto la scusa del servizio all’umanità ci parlano di tutto meno che di Cristo.

Davanti a quella porta che è Gesù il pastore, prima di entrare bisogna deporre tutto il superfluo: vanità, ambizioni di carriera, portafoglio, pretese di potere, calcoli: chi va dalle pecore con queste cose non è un buon pastore.

"Le pecore conoscono la Sua voce", il Buon Pastore si fa riconoscere dalla sua voce che non grida (pensate invece come oggi si rischi quasi non riuscire a parlare: si grida solo più), non è uno che con la sua voce impone, ma suggerisce; non è la voce di uno che pretende di sentire sbattere i tacchi, ma quella voce che "trafigge il cuore".

Quanto è distante questa figura di buon pastore da certi mestieranti del religioso, formali, esteriormente impeccabili, dotati di certi sorrisi agghiaccianti, di parole che cadendo dall’alto indicano superiorità, di bocche masticanti formule. Il buon pastore è conosciuto dal suo odore, dalla sua voce, dal suo passo, dal suo stare continuo con le pecore. Il pastore non è quello che fa mille cose anche buone per le pecore, ma che poi, proprio perché preso da queste, non trovi mai, è l’eternamente occupato.

Preghiamo per i nostri pastori. Chiediamo a Gesù di aiutarli a diventare meno burocrati della religione, meno ‘affannati a far di tutto’, meno ‘ urlatori di ordini’ e più figura di Cristo, più disponibili per le pecore, più voce incoraggiante.

 

 

MARTEDI’ 16

Sant’ UBALDO; Santa MARGHERITA DA CORTONA;

Santa GEMMA GALGANI

Parola di Dio: Atti 11,19-26; Sal. 86; Gv.10,22-30

 

"LE MIE PECORE ASCOLTANO LA MIA VOCE". (Gv.10,27)

Spesso, sentendo una voce al telefono, non ti verrà magari in mente il nome di chi ti parla, ma dentro di te sei già riuscito ad identificare la persona. Il timbro della voce è un po’ come sono le impronte digitali.

Gesù ci dice che le sue pecore conoscono la sua voce. Ma io, questa voce riesco ad identificarla?

Se siamo credenti sappiamo che Gesù non ci lascia mai soli, che Dio non è un Dio muto, ma continua a parlarci. I suoi modi di farci sentire la sua voce sono tanti. Dio ci parla attraverso la creazione, la coscienza, la Bibbia, i fatti della vita, i fratelli. La sua è una voce sommessa, ma potente, può raggiungerci in un letto di ospedale o in mezzo alla folla, può parlarci attraverso una predica, la pagina di un libro, uno spettacolo televisivo o attraverso gli occhi imploranti di un fratello.

Qual è il timbro della voce di Cristo? E quindi chi è tra noi che segue il Signore, che cammina dietro a Lui? Gesù è il pastore buono che dà la sua vita per le pecore, pertanto riconoscono la sua voce coloro che, vincendo l’egoismo, si dispongono a dare la vita. Chi pensa a sé ostinatamente, non potrà mai riconoscere Dio, perché Dio è altruismo infinito. Chi si preoccupa solo di accumulare, non potrà mai riconoscere Dio, perché Dio è Colui che dona tutto se stesso. C’è quindi una vera incompatibilità tra Dio e l’avaro come c’è incompatibilità tra Dio e l’orgoglioso.

In un mondo di egoisti il Pastore può chiamare quanto vuole: l’egoista non sente. Una società che ha ridotto la vita a "tempo da godere", diventa subito allergica a Dio, per il quale la vita è il "tempo per donare".

I fatti lo dimostrano. In Occidente mancano le vocazioni perché noi abbiamo il primato del benessere, il primato dei suicidi, il primato della droga, il primato degli aborti, il primato dei divorzi: siamo i primi in graduatoria dell’egoismo.

Ma non siamo felici: solitudine, incomprensione, tristezza e nevrosi sono problemi della nostra epoca. Ma che cosa ci manca? Non ci manca qualcosa, ci manca Qualcuno.

 

 

MERCOLEDI’ 17

San PASQUALE BAYLON; Santa RESTITUTA

Parola di Dio: Atti 12,24-13,5; Sal. 66; Gv.12,44-50

 

"CHI VEDE ME, VEDE COLUI CHE MI HA MANDATO". (Gv. 12,45)

"Vede, don Franco, io, quando prego, mi rivolgo a Gesù oppure alla Madonna. Mi è più semplice, mi sono più vicini, familiari, mi sembra di poter avere confidenza. Invece non prego quasi mai Dio Padre. Mi sembra lontano, burbero, padrone; sarà, forse, perché non gli ho mai perdonato (o forse capito) il fatto di aver accettato che suo Figlio morisse così, senza muoversi neanche un po’…".

Secoli di storia, modi educativi ci hanno presentato Dio come il Supremo, il Giudice, l’Indagatore, Colui che essendo pura Verità, Giustizia, è lontano, al di sopra di tutti, un Dio quindi da temere; e Gesù invece come il Buono, il Sofferente, Colui che ci capisce, che ci perdona. Non dimentichiamo quello che diciamo nel credo: Trinità e Unità! (e, sì, non dobbiamo dimenticarci che c’è anche lo Spirito Santo!). "Dio non lo conosciamo, ma Cristo ce lo ha rivelato". Allora facciamo un po’ piazza pulita di tutte le immagini di Dio e guardiamo all’immagine che ci ha dato Gesù di Lui: Dio è Padre, Padre buono. Egli rispetta i suoi figli, fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi, li lascia liberi di andarsene di casa o di stare con Lui; è sempre disposto ad accogliere chi vuol tornare alla sua casa; si è sempre preso cura della sua vigna e a più riprese ha mandato Patriarchi e Profeti e poi, "nella pienezza dei tempi ha mandato suo Figlio"; non gode della caduta del peccatore, è venuto a cercare la pecora perduta; con Gesù e nello Spirito offre se stesso all’uomo, ci aiuta a dare senso al dolore, ci assicura che la morte è vinta…

In Gesù il Dio della paura ha ceduto il posto al Dio dell’amore.

Ma se Gesù mi mostra il Padre, io, oggi, dove posso incontrare Gesù?

E’ Gesù stesso che ce lo indica: "Io sono con voi tutti i giorni", "Fate questo in memoria di me", "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro", "Quando avrete dato anche un solo bicchiere d’acqua nel mio nome, l’avrete dato a me…" Avevo fame, e tu mi hai dato da mangiare…".

Il Signore ci dia occhi per vederlo, orecchie per ascoltarlo e cuore per incontrarlo.

 

 

GIOVEDI’ 18

San GIOVANNI I°; San FELICE; San LEONARDO MURIALDO

Parola di Dio: Atti 13,13-25; Sal. 88; Gv. 13,16-20

 

"CHI ACCOGLIE COLUI CHE IO MANDERO’ ACCOGLIE ME; E CHI ACCOGLIE ME, ACCOGLIE COLUI CHE MI HA MANDATO". (Gv. 13,20)

A prima vista può sembrare un po’ complicata e astrusa questa frase di Gesù. Secondo me è semplicemente la definizione della Trinità nella sua vita intima e nel suo rapporto con noi.

Cominciamo ad esaminarla dal fondo: "Chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato".

L’uomo cerca ciò che lo può rendere felice, ciò che può dare senso al suo vivere; e, se siamo onesti, nella nostra ricerca non c’è umanamente nulla di così definitivo da appagare in pieno questo desiderio. Solo Dio può essere il ‘riposo’ del desiderio del nostro cuore. Noi vogliamo dunque accogliere Dio. Ma non un Dio tappabuchi che risponda solo alle nostre esigenze, ma un Dio così com’è. E chi può darcelo se non suo Figlio che con Lui è ‘uno’?

Ecco, allora, il senso delle parole di Gesù: se accogliamo Lui, accogliamo il Padre, ma anche, come ci ricorda ancora Gesù, ‘Colui che Lui manderà’. E chi è Colui che Lui manderà?

Gesù ha promesso lo Spirito Santo. Quindi, Colui che viene nel nome di Gesù è il suo Spirito. Ma c’è anche qualcun altro che Gesù manda: "Io avevo fame e tu mi hai dato da mangiare…" Allora i poveri, i piccoli, i diseredati, i malati, gli extracomunitari, sono coloro che Gesù manda nel suo nome, insieme allo Spirito Santo che ci dà la grazia di riconoscerLo in essi.

Accogliere Gesù e il suo Spirito è accogliere il prossimo.

Ma facciamo ancora un’ultima riflessione: anch’io, per gli altri sono prossimo, anch’io sono l’incarnazione di Gesù! Gesù è in me e attraverso me si presenta al mio prossimo. San Paolo arriva a dire: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me". Chissà, se con la mia vita, riesco a far conoscere il vero volto di Cristo a chi mi incontra?

 

 

VENERDI’ 19

San CELESTINO V°; Sant’ IVO

Parola di Dio: Atti 13, 26-33; Sal. 2; Gv. 14,1-6

 

"IO VADO A PREPARARVI UN POSTO". (Gv. 14,2)

Siamo un insieme di contraddizioni. Da una parte desideriamo il ‘paradiso’ ma dall’altra abbiamo paura di andarci: c’è di mezzo la morte!

Gesù dice che è andato a prepararci un posto, ma noi spesso ci attacchiamo ai posti di questa terra come se fossero eterni. Eppure siamo tutti avventizi, nessuno è in pianta stabile. Anche tu che ti senti sicuro, che hai vinto qualche concorso, che ti senti sistemato, ormai avanti nella carriera, anche tu sei provvisorio, da un momento all’altro puoi essere ‘licenziato’. Neppure la casa che abiti, che con tanta fatica ti sei costruito, è tua per sempre. Nel giro di qualche decennio altra gente vi abiterà.

Il tuo vero posto, quello definitivo è lassù. Il Signore Gesù ti ha preceduto ed ha preparato un posto per te. Così come tu lo vuoi, come lo hai sempre cercato, senza mai trovarlo definitivamente quaggiù. Egli sa tutto quello che tu vuoi ed ha tutto predisposto: ti farà conoscere tutta la verità senza più dubbi o esitazioni, sarai perfettamente libero senza più alcuna limitazione, ti farà possedere tutta la giustizia senza alcuna oppressione, ti darà un amore senza confini, senza finzioni, una gioia limpida e pura senza malizia e sottintesi. Egli sa tutto quello che vuoi e ha accumulato per te le bellezze delle aurore e dei tramonti, l’incanto dei cieli stellati, la grazia e le tinte dei fiori, le maestà delle vette e i sorrisi del mare; ti ha riservato le commozioni più profonde, i più dolci incontri, le tenerezze materne, fedeltà di amici, estasi di mistici, esaltazioni di geni, i ricami dell’arte, le delizie dell’armonia, le emozioni dei canti…Favole? No! Promesse del Figlio di Dio.

E allora non sarà questione di bramare la morte per poter andare là dove Lui è andato, ma è questione di renderci conto che la nostra casa definitiva non è qui, che, anzi, se noi vogliamo arrivare al ‘paradiso’ dobbiamo incominciare a vedere di incontrare Gesù là dove Egli è oggi.

Gesù promettendoci un posto con Dio non ci illude, non ci aliena dalla realtà, anzi ci mette nella realtà quella più cruda, quella più povera: è lì che facciamo l'esperienza del Cristo sofferente per arrivare poi a stare per sempre con il Cristo glorioso.

 

 

SABATO 20

San BERNARDINO DA SIENA

Parola di Dio: Atti 13,44-22; Sal. 97; Gv. 14,7-14

 

"GLI DISSE FILIPPO: MOSTRACI IL PADRE E CI BASTA". (Gv. 14,8)

Davanti alla risposta di Gesù: "Chi ha visto me ha visto il Padre", nasce il sospetto che Filippo se non proprio deluso sia rimasto almeno sconcertato.

Lui aveva in testa un’immagine grandiosa di Dio, avrebbe gradito qualche bel miracolo, gli sarebbe piaciuta una bella ‘teofania’ tipo quelle del Sinai con tanto di tuoni e di fulmini.

Gesù invece manifesta un Dio così umile, così familiare, perfino ‘debole’, umano da lasciare interdetti. E dice di non impressionarci per il fatto che le due immagini non combaciano, anzi risultano decisamente sfasate. Chiede solo: "Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me". Quasi implorasse: "Credetemi almeno un po’, fidatevi un po’ di me invece delle vostre rappresentazioni".

E Gesù ci manifesta il Padre non soltanto con le sue parole, ma con i suoi gesti, le sue scelte, le sue azioni.

Quando nel Vangelo vediamo Gesù accordare la sua preferenza ai piccoli, mostrare compassione per i sofferenti, concedere largamente il perdono ai peccatori, ridare la fiducia agli squalificati, frequentare gli esclusi, esercitare la misericordia verso ogni genere di miseria umana, non nascondere la propria simpatia per gli ultimi, tenersi alla larga dai potenti, apparire così umano, pieno di tenerezza, piangere per la morte di un amico, gradire piccoli gesti di delicatezza, noi ‘impariamo’ il Padre, siamo in grado di abbozzare i lineamenti del suo volto.

Anche a noi , dolcemente, Gesù dice come a Filippo: "Da tanto tempo sono con voi e non vi siete ancora decisi a stracciare l’altra immagine di Dio, la vostra… Quando imparerete a conoscermi, e quindi a ‘vedere’ Dio?

 

 

DOMENICA 21

5^DOMENICA DI PASQUA B  -  San VITTORIO; Santa GIULIA

Parola di Dio: Atti 9,26-31; Sal. 21; 1Gv. 3,18-24; Gv.15,1-8

 

1^ Lettura (At. 9, 26-31)Dagli Atti degli Apostoli.

In quei giorni Paolo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi con i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo. Allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva a Gerusalemme, parlando apertamente nel nome del Signore e parlava e discuteva con gli Ebrei di lingua greca; ma questi tentarono di ucciderlo. Venutolo però a sapere i fratelli, lo condussero a Cesarea e lo fecero partire per Tarso. La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria; essa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo.

 

2^ Lettura (1 Gv. 3, 18-24)

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo.

Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità. Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio; e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

 

Vangelo (Gv. 15, 1-8)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete gia mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli".

 

RIFLESSIONE

 

Chissà quante volte nella nostra vita abbiamo letto o sentito leggere questo paragone della vite e dei tralci, e quante volte, anche, ne avremo sentita la dotta o semplice spiegazione da parte di vari predicatori. Rischiamo di pensare di sapere già tutto. Ma, attenzione, quando le cose sono così ovvie, immediate, non è detto che altrettanto immediato sia il nostro modo di viverle. Con umiltà, allora, riprendiamo il testo evangelico. Per prima cosa a me sembra che il paragone usato da Gesù sia uno spaccato di vita Trinitaria: è Dio, che, attraverso la parabola, manifesta se stesso nella sua intimità e nel suo rapporto con noi. C’è un Padre, il vignaiolo; un Figlio, il ceppo, la radice della vite; lo Spirito Santo che porta la linfa vitale; e ci sono tralci, ora secchi, ora potati, ora pieni di frutti che siamo noi.Il Padre, il vignaiolo, è Colui che ha piantato la vite. Basta sfogliare l’Antico Testamento per renderci conto che proprio lo stesso paragone di Gesù era già sulla bocca dei profeti: Israele è la vigna che il Signore ha piantato, curato, difeso, ma anche una vigna che spesso non ha dato frutto o si è inselvatichita. Ricordiamo, ad esempio, il profeta Osea: "Rigogliosa vite Israele, che dava frutto abbondante; ma più abbondante era il suo frutto, più moltiplicava gli altari, più ricca era la terra, più ricche faceva le stele dell’idolatria". E’ una vigna dove il Padre a più riprese ha mandato i suoi messaggeri. Questa vigna però si è imbastardita e allora il Padre ha piantato una nuova vite: Gesù. Il Figlio ha accettato di ‘interrarsi’ (l’Incarnazione), ha steso le sue radice nel profondo della nostra umanità, in tutto simile a noi eccetto che nel peccato, ha conosciuto la precarietà e la gloria dell’uomo, la fatica e le lacrime insieme ai sentimenti, alle speranze, alle sue gioie. Gesù, potato per primo nel suo Sangue versato, ci ha chiamato a Lui, ci ha purificati e innestati in sé, perché noi potessimo diventare le sue braccia, le sue mani, il suo cuore e potessimo portare i suoi frutti. Lui fa scaturire dalle profondità della terra, da se stesso e dalle cure del Padre, lo Spirito, la linfa vitale che crea, porta vita, genera foglie, fiori e frutti. Ma lo Spirito deve poter passare per arrivare fino a noi. Se il passaggio è interrotto la linfa non arriva e il ramo secca e il legno dei tralci è talmente debole e vale così poco che serve solo ad essere bruciato.

E’ veramente bello comprendere con riconoscenza che tutto questo essere e agire del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo è per noi: noi siamo l’attenzione, il centro del loro amore. Dio non ama se stesso come un perfetto egoista, ma indirizza tutto il suo amore alla sua creatura. Ecco perché Gesù insiste nel dire che Lui è la ‘vera’ vite: Gesù vuole dunque porre una netta distinzione tra sé e altre viti che non giudica vere. Qui non si tratta di distinguere la vite da un'altra pianta simile, ma di distinguere tra vite capace di frutti e vite sterile; tra vite dalla quale Dio può raccogliere i frutti attesi e vite dalla quale Dio non può che raccogliere delusione.

Ma quali saranno i frutti attesi?

Noi pensiamo subito a cose, a buone azioni, a testimonianze. E’ vero, ma, prima di tutto, il frutto atteso è che l’uomo sia capace di ricevere la salvezza come dono gratuito, meritato per noi da Gesù e trasmessoci fin dal nostro battesimo. Il secondo frutto conseguente dovrebbe essere la riconoscenza che non si ferma alle parole ma che diventa: "Ho ricevuto amore, trasmetto e manifesto amore in concretezza", infatti abbiamo sentito la seconda lettura: " Figlioli non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità".

Per portare frutto, la vigna che cosa deve fare?

Anche qui noi pensiamo subito alle tante cose da fare. Mi sembra di sentire certi preti e certe comunità dove c’è sempre tutto da fare: riunioni su riunioni, chiacchiere, progettazioni pastorali, indispensabili incontri zonali di programmazione e poi… spesso in mezzo a quelle foglie stenti a trovare dei frutti, o, se li trovi, magari sono proprio la fede della vecchietta, la genuinità del bambino, la carità disinteressata del povero.

I frutti non dobbiamo essere noi a stabilirli e a classificarli, sono opera del Padre. E’ il vignaiolo che valuta il frutto e decide ciò che è indispensabile per farlo maturare.

Il compito della vite è quello di lasciarsi fare dal vignaiolo, compresa la dolorosa potatura che è una impietosa riduzione all’essenziale e che, se accettata con fede e assecondata con amore, vince il nostro egoismo, le nostre presunzioni, tanti attaccamenti e tante vanità.

Compito della vite è soprattutto di ‘rimanere’ in Gesù. Si tratta di una comunione intima e non solo Eucaristica, con Gesù. Se la Chiesa cerca di sostituire questa connessione essenziale del ‘rimanere in Lui’, con una molteplicità di tentativi per innestarsi nei meccanismi del potere, della politica, delle leggi, dell’economia, delle alleanze con i ‘grandi della terra’, della cultura, dello spettacolo, si condanna alla sterilità. I risultati appariscenti non possono mascherare il reale stato della vigna. I ‘viandanti’ non potranno saziare la loro fame ammirando la bellezza delle foglie…

"Senza di me non potete far nulla". Siamo di fronte ad un’espressione radicale che, comunque la si rivolti, denuncia il fallimento di ogni sforzo umano sganciato dalla preghiera, dall’adorazione, dall’interiorità, dall’accoglienza della parola.

Il "non portare frutto", qui, non è imputabile ad una serie di circostanze sfavorevoli, a difficoltà esterne di vario genere, ma unicamente a cattiva volontà di non stare con Lui.

Chi non porta frutto, priva anche gli altri del frutto cui avrebbero diritto e che dovrebbe essere loro destinato. Ossia non è mai una questione strettamente personale.

Non è detto che noi siamo in grado di riconoscere il frutto in quanto tale. Uno può avere l’impressione di non portare frutto, di non combinare nulla di buono, avvertire un senso di desolante fallimento.

Dobbiamo convincerci che non abbiamo noi il controllo della situazione. La bilancia di Dio è sempre misteriosa, e tarata secondo misure totalmente diverse dalle nostre.

"Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa".

La grande tentazione cui cediamo frequentemente è quella di restringere il progetto di Dio, alle misure anguste del nostro cuore. Dovrebbe essere proprio l’opposto: si tratta di dilatare il nostro cuore alle dimensioni del cuore di Dio. O almeno intuire e rispettare quella sproporzione.

Se Dio è più grande del nostro cuore vuol dire che è più grande delle nostre vedute meschine, più grande della legge, delle morali (anche quelle che son date per assolute dalla Chiesa), più grande delle discriminazioni, più grande delle condanne e non è detto che quando uno è fuori dalla verità o dalla disciplina o semplicemente dalle mie idee, dai miei gusti, dalle mie simpatie, sia automaticamente fuori dal cuore di Dio.

Certo ho l’obbligo di disapprovare il male, combatterlo, prenderne le distanze senza ambiguità. Ma non posso impedire che l’amore di Dio si introduca in territorio nemico. Non mi è lecito sostituire Dio nel pronunciare sentenze definitive.

E’ proprio a dimensione di quel Cuore che devo allargare il mio.

Solo così i frutti ci saranno, non importa quali, ma certamente meravigliosi perché voluti dal Padre, profondamente uniti all’Amore del Figlio, generati e ammantati dalla bellezza creativa dello Spirito Santo.

 

 

LUNEDI’ 22

Santa RITA DA CASCIA

Parola di Dio: Atti 14,5-18; Sal. 113; Gv.14,21-26

 

"CHI ACCOGLIE I MIEI COMANDAMENTI E LI OSSERVA, QUESTI MI AMA". (Gv.14,21)

Spesso mi sono chiesto: "Ma sono capace di amare?", "Come si fa ad amare veramente?". Mi sono guardato attorno ed ho visto dei modelli per me inaccessibili. Gente disposta a dare la vita per l’altro, persone che impegnano anni per servire il fratello, consacrati che senti palpitare di amore purissimo per Dio, persone umili che scopri eroiche… "Non ce la farò mai…"

Gesù è molto realista. Per amare bisogna partire da due cose molto semplici: accogliere i comandamenti e osservarli.

Ci sono due modi (con molte varianti) con cui mettersi davanti ai comandamenti del Signore. Il primo è quello di sentirli come un peso ma di volerli osservare scrupolosamente per essere fedeli alle norme e ‘guadagnarsi il paradiso’; il secondo, quello di vederli come un dono e di osservarli nella logica dell’amore di Dio e del prossimo.

Per capire meglio, proviamo a fare qualche esempio.

Il mio cuore e la legge del Signore mi dicono che dovrei essere onesto e non approfittare del mio ruolo per imporre la mia idea. Se però lascio parlare gli istinti essi mi diranno: "Chi pecora si fa, il lupo se la mangia; fatti furbo! Che cosa c’è di male? Gli altri se fossero al posto tuo l’avrebbero già fatto".

Se lascio parlare l’osservanza religiosa essa può suggerirmi due modi: "Ti costa, ma è scritto nella legge che devi amare, perciò obbedisci alla legge, sacrificati. Dio sarà contento di te, ti darà il premio", oppure: "E’ vero che devi amare il prossimo, ma è anche vero che se hai quel ruolo, esso ti viene da Dio e Dio ama l’autorità, dunque è giustificato che tu approfitti del tuo ruolo".

Se invece cerco di scoprire che questo comandamento mi è stato dato per amore e mi vien chiesto di osservarlo con amore, comprendo che Dio, se mi chiede di non approfittare del mio potere, lo fa per aiutarmi a scoprire i fratelli, la gioia del confronto, del servizio e allora troverò forse ancora duro rinunciare alla strada più facile, ma ho scoperto due amori, quello di Dio e quello per il prossimo che mi aiuteranno a motivare serenamente la rinuncia a qualcosa di mio.

 

 

MARTEDI’ 23

San DESIDERIO; Santa GIOVANNA ANTIDA

Parola di Dio: Atti 15,1-6; Sal. 144; Gv. 14,27-31

 

"VI LASCIO LA PACE, VI DO LA MIA PACE. NON COME LA DA’ IL MONDO LA DO A VOI". (Gv.14,27)

La pace di cui parla Cristo è completamente diversa dalla pace del mondo. La pace di Cristo resiste al dolore, alle prove, alle umiliazioni, alle privazioni di ogni genere. E’ la pace dei missionari, dei martiri, dei santi, dei veri cristiani. Una pace – come dice il Manzoni – che il mondo irride, ma che rapir non può.

Mentre la pace del mondo è soltanto tregua ottenuta spesso come conseguenza di paure e compromessi, la pace di Cristo nasce da un atto di fede totale nella bontà di Dio; nasce dalla certezza che Dio ha in pugno la vita e la storia, nasce da un abbandono confidente all’Onnipotente.

Questa pace resta anche in mezzo a malattie terribili (vedi Benedetta Bianchi Porro); questa pace resta anche in mezzo alle più orribili prove (vedi Massimiliano Kolbe); questa pace resta, anzi si nutre di povertà (vedi Francesco d’Assisi).

Siamo nel mese dedicato a Maria: vediamo come, accettando di mettersi al servizio di Dio, questa pace abbia operato in Lei. Il suo fiducioso abbandono la rende capace di fare cose impossibili agli uomini, ma possibili a Dio: una donna che diventa madre di Dio; una donna che rompe con tutte le tradizioni; una donna capace di amare al punto di accettare di essere la madre dei crocifissori del suo Figlio; una donna che non capisce tutto, ma che conserva tutto nel suo cuore perché lo Spirito Santo possa poi ordinare, dare senso, far rivivere.

Siamo in attesa di Pentecoste: prepariamoci a ricevere lo Spirito che Gesù ha promesso per salvare e riempire di gioia questi tempi e questi momenti della storia.

 

 

MERCOLEDI’ 24

MARIA AUSILIATRICE; San VINCENZO DI LERINO

Parola di Dio: Atti 15,1-6; Sal. 121; Gv. 15,1-8

 

"IO SONO LA VITE E VOI I TRALCI. CHI RIMANE IN ME E IO IN LUI FA MOLTO FRUTTO, PERCHE’ SENZA DI ME NON POTETE FAR NULLA". (Gv. 15,5)

La vite carica dei suoi frutti è certo uno degli spettacoli più belli della natura. I suoi tralci si protendono a sorprendente distanza dal ceppo, si appoggiano a qualunque sostegno, si abbracciano ai rami degli alberi, si arrampicano alle pareti delle case, si estendono sui tralicci come tende al sole. E da queste molteplici braccia pendono i grappoli numerosi, turgidi, splendenti. Forse è una delle più belle immagini della fecondità. Ma se con un colpo netto staccassimo un tralcio dal ceppo, lo spettacolo muterebbe, quel tralcio non diventerebbe che un contorto ramo secco. Sembra impossibile che tutta quella ricchezza di vita sia legata a quel ceppo sottile, sembra inverosimile che esso sia capace di alimentare tutti quei lunghi tralci, moltiplicare tutte quelle foglie, nutrire tutti quei grappoli. Eppure è così: tutta quella profusione di frutti è condizionata all’unione a quell’esile ceppo. Non è una esagerazione, è proprio così: senza Cristo le tue supreme esigenze restano insoddisfatte. Senza Lui non puoi far nulla di risolutivo. Puoi soltanto cercare incessantemente, puoi tentare tutte le vie, puoi smarrirti, puoi disperarti, ma senza di Lui non approderai a nulla. Non dico che senza Cristo tu non possa lavorare, guadagnare, avanzare nei tuoi affari, costruirti una solida posizione nella vita. Tutto questo da te lo puoi fare e ci riesci benissimo. Ma non è questo che soprattutto ti interessa. Non è qui che si placa la tua sete più profonda ed esasperante.

Se un tralcio della vite dicesse: "Sono stanco di stare qui, di vedere sempre lo stesso panorama, di rimanere bloccato a quella radice" e decidesse di andarsene, presto morirebbe. Eppure certi cristiani si comportano proprio così: "Il Vangelo è sempre uguale… la Messa della domenica è un peso… confessarsi è una cosa da Medioevo…la Chiesa è vecchia… voglio tentare lidi e strade nuove!". E magari si attaccano ad esoterismi che non hanno senso e poco per volta recidono le proprie radici e la fede languisce, la linfa vitale non arriva più, ci si inaridisce e un bel giorno si arriva a dire: "Ho perso la fede!". La fede non l’hai persa, l’hai fatta morire! "Rimanete in me", dice il Signore.

 

 

GIOVEDI’ 25

San BEDA; San GREGORIO VII°; Santa MARIA DE’ PAZZI

Parola di Dio: Atti15,7-21; Sal. 95; Gv. 15,9-11

 

"VI HO DETTO QUESTO PERCHE’ LA MIA GIOIA SIA IN VOI E LA VOSTRA GIOIA SIA PIENA". (Gv. 15,11)

Spesso noi facciamo l’errore di leggere il Vangelo come se fosse un codice di norme da osservare e allora siamo spaventati dalle richieste del Signore tipo: "Vai vendi quello che hai, dallo ai poveri e poi vieni e seguimi", "Amate i vostri nemici e pregate per loro", "Porgi l’altra guancia". Ci sembra che il Signore ci chieda delle cose impossibili, dolorose. Gesù, oggi, invece ci dice: "Se vi chiedo cose difficili, ve le chiedo perché siate felici, perché abbiate la vera gioia".

Se riesci ad essere staccato dal denaro, sei libero da un mucchio di preoccupazioni ed hai più tempo per cercare valori veri.

Se preghi per il tuo nemico, presto lo vedrai come un fratello e supererai il rancore.

Se sai perdonare hai più serenità di quando gusti il frutto amaro della vendetta.

E se riesci a fare queste cose, non solo sei felice tu ma fai felici anche gli altri. Ci vuole così poco: basta una parola gentile, un saluto, una carezza, un sorriso…

C’erano una volta due blocchi di ghiaccio, si erano formati durante il lungo inverno, all’interno di una grotta di tronchi, rocce e sterpaglie in mezzo a un bosco, sulle pendici di un monte.

Si fronteggiavano con ostentata reciproca indifferenza. I loro rapporti erano di una certa freddezza. Qualche "buongiorno", qualche "buonasera". Niente di più. Non riuscivano cioè a "rompere il ghiaccio".

Ognuno pensava dell’altro: "Potrebbe anche venirmi incontro". Ma i blocchi di ghiaccio, da soli, non possono né andare né venire. E così ogni blocco si chiudeva ancor più in se stesso.

Nella grotta viveva un tasso che un giorno sbottò: "Peccato che ve ne dobbiate stare qui. E’ una magnifica giornata di sole!".

I due blocchi di ghiaccio scricchiolarono penosamente. Fin da piccoli avevano appreso che il sole era il grande pericolo.

Sorprendentemente quella volta, uno dei due blocchi di ghiaccio chiese: "Com’è il sole?".

"E’ meraviglioso… E’ la vita", rispose imbarazzato il tasso.

"Puoi aprirci un buco nel tetto della tana… Vorrei vedere il sole…" disse l’altro.

Il tasso non se lo fece ripetere. Aprì uno squarcio nell’intrico delle radici e la luce calda e dolce del sole entrò come un fiotto dorato.

Dopo qualche mese, un mezzodì, mentre il sole intiepidiva l’aria, uno dei blocchi si accorse che poteva fondere un po’ e liquefarsi diventando un limpido rivolo d’acqua. Si sentiva diverso, non era più lo stesso blocco di ghiaccio di prima. Anche l’altro fece la stessa meravigliosa scoperta. Giorno dopo giorno, dai blocchi di ghiaccio sgorgavano due ruscelli d’acqua che scorrevano all’imboccatura della grotta e, dopo poco, si fondevano insieme fondando un laghetto cristallino che rifletteva il colore del cielo.

I due blocchi di ghiaccio sentivano ancora la loro freddezza, ma anche la loro fragilità e la loro solitudine, la preoccupazione e l’insicurezza comuni. Scoprirono di essere fatti allo stesso modo e di aver bisogno in realtà l’uno dell’altro.

Arrivarono due cardellini e un’allodola e si dissetarono. Gli insetti vennero a ronzare intorno al laghetto, uno scoiattolo dalla lunga coda morbida ci fece il bagno.

E in tutta questa felicità si rispecchiavano i due blocchi di ghiaccio che ora avevano trovato un cuore.

 

 

VENERDI’ 26

San FILIPPO NERI

Parola di Dio: Atti 15,22-31; Sal. 56; Gv. 15,12-17

 

"QUESTO VI COMANDO: AMATEVI GLI UNI GLI ALTRI". (Gv. 15,17)

Il Vangelo di oggi è talmente ricco di temi che vorremmo quasi sezionare i vari versetti in quanto ognuno di essi ha messaggi specifici per noi. Eppure ogni singola affermazione ha una base comune ed è il comandamento dell’amore vissuto da Gesù e offerto a noi come strada per accogliere Dio e dare un volto al nostro rapporto con i fratelli.

Gesù ci dice che non siamo più servi ma amici, cioè Dio non è più un padrone, ma un Padre. Lui, per amore, ha coniugato insieme giustizia e misericordia e nel sangue di Suo Figlio è diventato Perdono. Noi siamo stati affrancati, ecco perché, se non sono irriconoscente, a mia volta devo diventare, nell’amore, uno che ‘libera dalle schiavitù’, uno che ‘salda i debiti degli altri’, uno che sa quanto vale la libertà e che è disposto a pagare di persona purchè altri non ricadano nelle catene.

Gesù dice: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" e ci ricorda che, se abbiamo un po’ di fede, questo è un dono misterioso del suo amore e non conquista nostra. Nella fede nessuno può essere così stupido da dire: "Mi sono fatto da solo".

E perché Gesù ha scelto me? Perché ero più bravo degli altri? Perché ero più furbo degli altri? Certamente no! Solo nell’amore posso spiegarmi i suoi doni, il suo perdono, il suo chiamarmi per mandarmi. Ed è solo nella gratitudine, nella riconoscenza che posso rispondere a così tante grazie.

Se, come Giovanni, sono stato gratuitamente chiamato a posare il mio capo sul petto di Gesù, così dovrò sentire bruciare dentro di me il suo amore da aver voglia di comunicarlo ad altri, e questo non solo con le parole ma con gesti concreti, ricordandomi che l’amore è saper dare la vita all’altro.

 

 

SABATO 27

Sant’ AGOSTINO DI CANTERBURY; San LIBERIO

Parola di Dio: Atti 16,1-10; Sal. 99; Gv. 15,18-21

 

"SE IL MONDO VI ODIA, SAPPIATE CHE PRIMA DI VOI HA ODIATO ME. SE FOSTE DEL MONDO, IL MONDO AMEREBBE CIO’ CHE E’ SUO, MA IO VI HO SCELTI DAL MONDO". (Gv. 15,18-19)

Gesù parlava con concretezza ai suoi apostoli. Non ha mai indorato la pillola. Egli sapeva di avere dei nemici. Prima di tutto il grande nemico: il Diavolo, il divisore, il beffardo, che si serviva di alleati come i Sommi sacerdoti, gli scribi e i farisei, i pubblici tutori della morale e della religione, che usavano metodi costringenti come la paura, il dolore e come ‘braccio secolare’ quello del potere terreno. Gesù sa anche che almeno in un primo momento la sua non violenza e il suo amore per tutti gli uomini saranno sopraffatti: Lui stesso dovrà morire. Allora Gesù non illude i suoi: "Se hanno fatto così al legno verde che cosa capiterà al secco?".

Da sempre la verità cristiana ha dato fastidio sia ai potenti del mondo che ai potenti della religione, perciò è stata osteggiata. Pensiamo alle comunità primitive, ai martiri di Roma, ai martiri odierni in tanti paesi di missione e a coloro che ancora oggi sono zittiti, presi in giro per le loro scelte. Ma c’è anche un altro modo di non accettare e di contrastare Cristo e i cristiani ed è quello di svilire, vanificare le loro parole e le loro opere. E l’indifferenza, l’abitudine, il "tanto così fanno tutti" può mettere a dura prova la testimonianza cristiana: è un martirio che non arriva tutto d’un colpo, ma uno stillicidio che, se non stai attento, presto ti smonta, ti toglie l’entusiasmo, ti appiattisce.

Il cristiano, seguendo il suo Maestro, è uno che non demorde, che non cerca risultati umani, che continua nella sua testimonianza sicuro che l’importante è seminare e qualche volta bagnare il terreno con un po’ di sudore, un po’ di lacrime e un po’ di sangue. A far crescere, a tempo opportuno, ci penserà il Signore.

 

 

DOMENICA 28

6^ DOMENICA DI PASQUA B  -  Sant’EMILIO; San GERMANO; San BERNARDO DI MENTONE

Parola di Dio: Atti 10,25-27.34-35.44-48; Sal.97; 1Gv.4,7-10; Gv. 15,9-17

Giubileo della Diocesi di Roma

 

1^ Lettura (At. 10, 25-27. 34-35. 44-48)

Dagli Atti degli Apostoli.

Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare (nella casa di Cornelio), questi andandogli incontro si gettò ai suoi piedi per adorarlo. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: "Alzati: anch'io sono un uomo!". Poi, continuando a conversare con lui, entrò e trovate riunite molte persone disse loro: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto". Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: "Forse che si può proibire che siano battezzati con l'acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?". E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.

 

2^ Lettura (1 Gv. 4, 7-10)

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo.

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per Lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.

 

Vangelo (Gv. 15, 9-17)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri".

 

RIFLESSIONE

 

Permettete una confessione?

Prima di mettermi a scrivere questa riflessione, come cerco di fare sempre, ho letto e riletto le letture di questa domenica, e poi mi sono detto: "Sempre le stesse cose! Questo San Giovanni più che di amore non sa parlare… per forza che poi il povero predicatore rischia di stufare dicendo sempre le stesse cose!".

Provate un po’, anche voi che avete appena udite queste letture, a chiedervi: "Che cosa mi hanno detto? Hanno smosso qualcosa dentro di me? …"

La maledetta abitudine ha incrostato il nostro cuore e noi rischiamo di ritenere ripetitivo, stancante, solito, un annuncio che dovrebbe farci fremere, esultare, traboccare di gioia.

Ecco solo alcune delle parole straordinarie ma reali, che ci riguardano personalmente, che abbiamo udito questa mattina:

"Come il Padre ha amato me, io ho amato voi": io, proprio io sono l’oggetto dell’amore di Dio.

"Voi siete miei amici". Non è stupendo sapere di avere Dio per amico? Non è più il Padrone che ci chiama servi, che si impone a noi con la paura, ma l’amico delicato che ci conosce, ci accetta, previene i nostri desideri buoni, ci consola, ci conduce… si offre a noi, non ci possiede ma ci lascia liberi…

E, ancora: "Dio è Amore", non un motore immobile, non il perfetto che contempla solo se stesso, non il dio dei filosofi o gli dèi guerrieri dei miti, ma il Dio che crea perché ama, che conserva con provvidenza, che perdona con misericordia, che dona tutto perché è amore.

"Non siete voi che avete scelto me, ma io che ho scelto voi". Cioè un Dio che non sceglie in base ai meriti, ma che mi ha chiamato per nome e che mi dà la possibilità di amare come Lui ama, un Dio che arriva sempre per primo: "Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi ed ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati", cioè un Dio che nell’amore di suo Figlio ha liquidato una volta per sempre i nostri debiti, le nostre vecchie pendenze.

Se avessimo capito anche solo qualcuno di questi doni, dovremmo essere contenti: "perché la mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia piena". Basterebbero notizie come questa o come quella che conclude l’odierno brano evangelico: "perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo conceda", per farci uscire fuori da un cristianesimo di abitudine, di ripetitività, di noia.

Infatti la nostra vita ha senso se Dio è al centro della creazione, della storia e del nostro essere e agire.

Molti uomini mettono al centro se stessi: "Tutto quello che succede gravita intorno a me; l’importante è che sia io ad approfittare della vita, degli altri, che sia io ad avere successo, ad avere denaro e quindi potere".

Ma, se sappiamo andare un po’ più a fondo ci accorgiamo quanto sia stupido questo modo di pensare. Il mondo c’era prima di me e ci sarà dopo di me. La storia si realizza con me o senza di me. Il mio successo è un attimo sfuggente, appena acceso già consumato. I miei denari non mi evitano la morte e le cose cui ho dato tante cure passeranno in mano ad altri che forse non sapranno neppure apprezzarle.

Anche i cristiani, anche la Chiesa può fare questo errore di mettersi al centro del mondo, ma la storia insegna che non basta mascherare un potere di religioso per evitare tutti i limiti e tutti i guai che questo potere genera.

Si tratta allora di rimettere le cose al giusto posto. E’ Dio il centro, il senso della creazione, della storia e anche della mia vita. Il vero motore di tutto è Lui che è amore.

Noi abbiamo conosciuto l’amore che Gesù ha per noi: "Non c’è amore più grande che dare la vita per chi si ama", e Gesù lo ha fatto. Ma Gesù stesso ci dice che questa sua capacità di amare l’ha conosciuta nel Padre "e dal Padre l’ho fatta conoscere a voi".

L’amore di Dio è creativo, è liberante, è continuo ma non asfissiante, è concreto, misericordioso, è dolce e forte, è paterno e materno, è "folle"… e noi, solo "rimanendo in questo amore" possiamo avere senso pieno.

E allora, prima di ogni altra cosa lasciamoci amare!

Il grande peccato è come quello del diavolo, è l’orgoglio del non lasciarci amare, del chiudersi nella propria sufficienza, nel sentirsi qualcuno che non ha bisogno, di sentire stupidamente di bastare a se stessi.

Gesù, chiedendoci di "rimanere nel suo amore" ci prega: "Lasciati amare da Dio, lascia che i miei doni si riversino su di te!"

Quando poi questo amore giunge fino a noi, non può rimanere sterile o infecondo. Questo amore, proprio perché amore vero, tenderà a donarsi a sua volta. E qui devo fare attenzione perché spesso io vorrei amare, ma come voglio io, quando lo stabilisco io, amare quelli che voglio io, invece Gesù mi insegna che devo amare come ama il Padre e come ha amato Lui, Gesù.

Spesso io mi illudo di saper amare e di non aver bisogno di imparare, credo che l’amore sia qualcosa di naturale, che va da sé.

Ma quando vengo raggiunto da quel provocatorio: "come Io vi ho amati", comincio a sospettare che l’amore sia una materia piuttosto difficile da imparare, una possibilità ancora tutta da esplorare.

E allorché ci si mette a scuola da quel Maestro, si arriva a rinnegare se stessi, a dimenticarsi, a perdersi.

Il Cristo ci ha amati non rimanendo al proprio posto, bensì abbassandosi, svuotandosi, divenendo servo di tutti.

Io, invece, preferisco un amore che non mi costi troppo in termini di sacrifici, rinunce, spoliazione.

Vorrei amare rimanendo al mio posto, senza scomodarmi eccessivamente, senza privarmi di nessuna delle cose cui sono attaccato.

Mi riesce estremamente difficile ‘uscire’ da me stesso, dal mio egoismo, dai miei calcoli, dai miei programmi, dai miei interessi, per scendere fino all’altro, accorgermi della sua presenza, entrare nel suo problema, impossessarmi della sua sofferenza. Voglio essere io a decidere chi devo amare.

E il Cristo mi fa capire che non devo escludere nessuno, neppure gli antipatici, neppure chi mi ha fatto del male.

Il Maestro continua ad insistere che non devo essere io a scegliere il prossimo.

Il prossimo si presenta come vuole, nel momento meno opportuno, nella maniera meno elegante; con le pretese meno discrete, spesso con faccia ripugnante.

Beh, sì. Sono disposto a dare qualcosa, specialmente del superfluo, dopo aver fatto bene i conti in cassa.

E il Cristo mi spiega che non c’è amore vero se non si arriva a darsi, ossia a dare se stessi più che le cose. E questo darsi, in certe circostanze, può significare "dare la vita per i propri amici".

Allora mi nasce il dubbio di essere un analfabeta in fatto di amore, anche se questo termine ce l’ho in bocca di frequente.

Altro che non aver più nulla da imparare!

Sono un principiante che ha chiamato amore ciò che era semplicemente egoismo verniciato di buoni sentimenti.

Ma non mi perdo d’animo.

Se scopro di non essere capace ad amare come ama Dio, come Gesù, ho scoperto che ho bisogno di conversione e che da solo non posso cambiare il "cuore di pietra in un cuore di carne capace di amare", ma questa operazione, questo trapianto ha un medico pronto, capace di eseguirlo: lo Spirito Santo. Basta chiederglielo.

 

 

LUNEDI’ 29

San MASSIMO DI VERONA

Parola di Dio: Atti 16,11-15; Sal. 149; Gv. 15,26-16,4

 

"QUANDO VERRA’ IL CONSOLATORE CHE IO VI MANDERO’ DAL PADRE, LO SPIRITO DI VERITA’ CHE PROCEDE DAL PADRE, EGLI MI RENDERA’ TESTIMONIANZA". (Gv. 15,26)

Per capire la portata della promessa che Gesù fa e del dono che ci viene dato, ci chiediamo chi sia lo Spirito Santo.

Se rispondiamo con il catechismo è la terza persona della Santissima Trinità; se rispondiamo con la teologia è l’amore creativo che intercorre tra il Padre e il Figlio; se rispondiamo con la Bibbia è lo Spirito Santo di Dio che "aleggiava sulle acque" al momento della creazione, è la Sapienza che si trasforma in Legge, dono di Dio per il popolo di Israele, è lo Spirito che adombra Maria per donarci Gesù, è lo Spirito che guida Gesù a compiere la volontà del Padre, ed è ancora lo Spirito che riempie gli apostoli di coraggio per una piena testimonianza cristiana.

Gli apostoli se ne sono resi conto, dopo la Pentecoste. Loro, fifoni, diventano coraggiosi testimoni di Gesù; lo Spirito Santo fa loro compiere miracoli nel nome di Gesù. Loro, poveri ignoranti, in meno di un secolo riescono a portare il messaggio di Gesù in tutti i paesi allora conosciuti.

Ce ne possiamo rendere conto ancora noi, dopo duemila anni di cristianesimo. Ancora lo Spirito opera, ancora, nonostante i tanti errori, la Chiesa è presente e operante nel mondo, ci sono ancora i miracoli di liberazione, di carità, di servizio, di conversione. Lo stesso Spirito continua ad operare in noi e nonostante noi.

Gesù dà un bellissimo nome allo Spirito Santo, lo chiama "Il Consolatore", Colui che non ci lascia soli, ci incoraggia, ci tira su di morale.

L’uomo davanti al mistero del creato si sente piccolo, solo, davanti al mistero di Dio che lo sovrasta riscopre tutte le sue incapacità e limitazioni, davanti alla sofferenza e alla morte si sente solo e perduto. Gesù è venuto proprio per incontrare la nostra solitudine e incapacità da soli di ‘guardare in alto’. Si è fatto solidale con noi. Ma Gesù è salito al cielo, noi non lo vediamo più con i nostri occhi. Il dono dello Spirito, è allora colui che ci consola, aiuta, rafforza nella presenza di Gesù.

E’ lo Spirito che ci aiuta a riconoscere Gesù nei Sacramenti, nei poveri, nella comunità.

Lo Spirito che rende testimonianza a Gesù ci aiuta a trovare il senso ai vari misteri della nostra vita, ci apre a Dio e ci ispira e dà forza per vivere gli insegnamenti di Gesù.

 

 

MARTEDI’ 30

Santa GIOVANNA D’ARCO; San FELICE I°

Parola di Dio: Atti 16,22-34; Sal 137; Gv. 16,5-11

 

"CHE COSA DEVO FARE PER ESSERE SALVATO? RISPOSERO: CREDI NEL SIGNORE GESU’ E SARAI SALVATO TU E LA TUA FAMIGLIA " (Atti 16,31)

Quante volte nella mia vita mi sono chiesto: "Ma come si fa ad aver fede? Che cosa devo fare? La strada sarà quella della conoscenza o quella dell’esperienza? Ma sarò in grado di fare ciò che mi chiederà il Signore?".

Il carceriere di Paolo e Sila che, vedendo le celle aperte, stava per suicidarsi, davanti ai due apostoli che non solo non sono scappati, ma che lo fermano dal compiere quell’atto estremo, chiede: "Che cosa devo fare?". La risposta che viene data è semplicissima: "Credi in Gesù!, comincia di lì perché lì è l’essenza".

L’essenza è cominciare! Smettiamola di chiederci tanti perché: cominciamo!

Una tempesta terribile si era abbattuta sul mare. Lame affilate di vento gelido trafiggevano l’acqua e la sollevavano in ondate gigantesche che si abbattevano sulla spiaggia come colpi di maglio, o come vomeri d’acciaio aravano il fondo marino scaraventando le piccole bestiole del fondo, i crostacei e i piccoli molluschi, a decine di metri dal fondo del mare.

Quando la tempesta fu passata, l’acqua si placò e si ritirò. Ora la spiaggia era una distesa di fango in cui si contorcevano nell’agonia migliaia e migliaia di stelle marine. Erano tante che la spiaggia sembrava colorata di rosa.

Il fenomeno aveva richiamato molta gente da tutte le parti della costa. Arrivarono anche delle troupe televisive per filmare lo strano fenomeno.

Le stelle marine erano quasi immobili. Stavano morendo.

Tra la gente, tenuto per mano dal papà, c’era anche un bambino che fissava con gli occhi pieni di tristezza le piccole stelle di mare. Tutti stavano a guardare e nessuno faceva niente.

All’improvviso il bambino lasciò la mano del papà, si tolse le scarpe e le calze e corse sulla spiaggia. Si chinò, raccolse con le piccole mani tre stelle del mare e, sempre correndo, le portò nell’acqua. Poi tornò indietro e ripeté l’operazione.

Dalla balaustrata un uomo lo chiamò: "Ma che fa, ragazzino?".

"Ributto in mare le stelle marine. Altrimenti muoiono tutte sulla spiaggia", rispose il bambino senza smettere di correre.

"Ma ci sono migliaia di stelle marine su questa spiaggia: non puoi certo salvarle tutte. Sono troppe!", gridò l’uomo. "E questo succede su centinaia di altre spiagge lungo la costa! Non puoi cambiare le cose!".

Il bambino sorrise, si chinò a raccogliere un’altra stella di mare e gettandola in acqua rispose: "Ho cambiato le cose per questa qui".

L’uomo rimase un attimo in silenzio, poi si chinò, si tolse scarpe e calze e scese in spiaggia. Cominciò a raccogliere stelle marine e a buttarle in acqua. Un istante dopo scesero due ragazze ed erano in quattro a buttare stelle marine in acqua. Qualche minuto dopo erano in cinquanta, poi cento, duecento… Così furono salvate quasi tutte.

 

 

MERCOLEDI’ 31

VISITAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

Parola di Dio: Sof. 3,14-18; (Rom 12,9-16); Dal Cantico 2,8.10-14;Lc. 1,39-56

 

"MARIA SI MISE IN VIAGGIO VERSO LA MONTAGNA". (Lc. 1,39)

Concludiamo il mese di Maggio pensando alla visitazione di Maria a Santa Elisabetta e lasciamo che a guidare la nostra riflessione su questo mistero sia un padre della Chiesa, San’Ambrogio:

"L’angelo che annunziava il mistero volle garantirne la veridicità con una prova e annunziò alla Vergine Maria la maternità di una donna vecchia e sterile, per dimostrare così che a Dio è possibile tutto ciò che vuole. Appena Maria ebbe udito ciò si avviò in fretta verso la montagna, non perché fosse incredula della profezia o incerta dell’annunzio o dubitasse della prova, ma perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall’intima gioia.

E subito si fanno sentire i benefici della venuta di Maria e della presenza del Signore. Infatti "appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, esultò il bambino nel seno di lei, ed ella fu ricolma di Spirito Santo". Si deve fare attenzione alla scelta delle singole parole e al loro significato.

Elisabetta udì per prima la voce, ma Giovanni percepì per primo la grazia; essa udì secondo l’ordine della natura, egli esultò in virtù del mistero, essa sentì l’arrivo di Maria, egli del Signore, la donna l’arrivo della donna, il bambino l’arrivo del Bambino. Esse parlano delle grazie ricevute, essi nel seno delle loro madri realizzano la grazia e il mistero della misericordia a profitto delle madri stesse, e queste per un duplice miracolo profetizzano sotto l’ispirazione dei figli che portano.

Del figlio si dice che esultò, della madre che fu ricolma di Spirito Santo. Non fu prima la madre ad essere ricolma dello Spirito, ma fu il figlio ripieno di Spirito Santo, a ricolmare anche la madre e disse: "Beata tu che hai creduto". Ma beati anche voi che avete udito e creduto: ogni anima che crede concepisce e genera il Verbo di Dio e riconosce le sue opere.

Sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore; sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio. Se c’è una sola madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede, invece, Cristo è il frutto di tutti, poiché ogni anima riceve il Verbo di Dio. E allora ogni anima magnifichi il Signore come magnificò il Signore l’anima di Maria e il suo spirito esultò in Dio salvatore."

     
     
 

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