Archivio

 
     
     

SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

APRILE 2000

 

SABATO 1

Sant’ Ugo di Grenoble; San Celso; Sant’Irene

Parola di Dio: Os. 6,1-6; Sal. 50; Lc. 18,9-14

IN VIAGGIO, AL BUIO; O MEGLIO, AL LUME DELLA FEDE

"QUELL’UOMO CREDETTE ALLA PAROLA CHE GLI AVEVA DETTO GESU’ E SI MISE IN CAMMINO". (Gv. 4,50)

Nel pellegrinaggio della mia vita ho avuto una Grazia, quella di aver incontrato migliaia di persone che, forse perché vedevano il mio sacerdozio, hanno avuto la bontà di condividere con me la loro storia. Ebbene, ve lo dico con franchezza, grazie a queste esperienze, posso garantirvi che i miracoli ci sono davvero. Ci sono fatti inspiegabili con il ragionamento o con le sole scienze umane, ma soprattutto ci sono miracoli continui (pensate anche solo alla vita, alla natura) e miracoli operati dalla fede. Ho visto malati distrutti nel corpo da anni e anni di malattia ancora pieni di speranza e di carità, direi di gioia vera letta in mezzo alle smorfie di dolore del loro volto. Ho visto e vedo ogni giorno eroi non da medaglia per azioni straordinarie, ma da ‘miracolo’, perché ogni giorno, nonostante le delusioni, hanno il coraggio di ricominciare la loro opera a favore dei drogati, dei barboni…Fatelo anche voi questo esame di ‘miracoli’ nella vostra vita e in quella delle persone che conoscete, e per una volta, con equilibrio, non mettiamo in evidenza solo il negativo. Proviamo a pensare a quel padre del Vangelo di oggi che è andato da Gesù a chiedere la guarigione del figlio. In questo brano, di miracoli ne vedo due e collegati tra loro. E quello più grande, per me, non è tanto la guarigione finale del ragazzo, quanto piuttosto quello di quest’uomo che, sulla parola di Gesù, senza avere sicurezze se non la fede, si mette in cammino.

E’ vero, a Gesù e attraverso Gesù possiamo chiedere tutto, anzi è Lui stesso ad invitarci a domandare, ma la prima cosa da chiedere è la fede. Senza questa non c’è il terreno su cui possano ‘attaccare’ gli altri ‘miracoli’.

Credere è vivere. La vita senza fede è un bene posseduto non completamente, un bene che crea non poche avversità. La fede rende intelligibile la Parola di Dio e sospinge alla coerenza nel cammino della vita, fra le gioie e i dolori. La fede crede al miracolo che l’Onnipotenza divina può compiere, perché questo è segno della sua premurosa attenzione ai problemi dell’uomo. La fede salva, è una liberazione. La fede è la forza di impegno, è l’accettazione, è la sicurezza di risurrezione, è gioia pura, è determinazione di vita. La fede è Dio dentro di noi.

 

 

DOMENICA 2

4^ Domenica di Quaresima B

San Francesco da Paola; Sant’Abbondio

Parola di Dio: 2Cron. 36,14-16.19-23; Sal. 136; Ef.2,4-10; Gv. 3,14-21

PRIMA LETTURA (2 Cr 36, 14-16. 19-23)

Dal secondo libro delle Cronache.

In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato in Gerusalemme. Il Signore Dio dei loro padri mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché amava il suo popolo e la sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l'ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi incendiarono il tempio, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutte le sue case più eleganti. Il re deportò in Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all'avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore, predetta per bocca di Geremia: "Finché il paese non abbia scontato i suoi sabati, esso riposerà per tutto il tempo nella desolazione fino al compiersi di settanta anni". Nell'anno primo di Ciro, re di Persia, a compimento della parola del Signore predetta per bocca di Geremia, il Signore suscitò lo spirito di Ciro re di Persia, che fece proclamare per tutto il regno, a voce e per iscritto: "Dice Ciro re di Persia: Il Signore, Dio dei cieli, mi ha consegnato tutti i regni della terra. Egli mi ha comandato di costruirgli un tempio in Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il suo Dio sia con lui e parta!".

 

SECONDA LETTURA (Ef 2, 4-10)

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini.

Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.

 

VANGELO (Gv 3, 14-21)

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna".

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è gia stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.

 

RIFLESSIONE

 

Per cercare di comprendere meglio il senso del discorso che Gesù fa a Nicodemo è bene conoscere il contesto in cui si svolge questa scena. Nicodemo è uno dei maggiorenti dell’ebraismo, fa parte del sinedrio, è dottore di Israele. Però è un uomo in ricerca sincera della verità. Ha sentito parlare di Gesù e dei suoi segni, conosce quanto i capi hanno ormai deciso nei suoi confronti. Decide di andare a conoscere Gesù. Lo fa però di notte, per paura di compromettersi davanti ai suoi zelanti compagni di fede. Che cosa si aspetta da questo incontro? Di trovare dei segni per arrivare alla fede in Gesù o di trovarne altri per smascherare una fantasia religiosa.

Gesù, per prima cosa, gli dice che se vuol capire qualcosa di Lui deve lasciarsi guidare dallo Spirito Santo e deve rinascere un'altra volta. Davanti alla risposta ironica di Nicodemo che gli chiede se deve rientrare nel seno di sua madre per poter rinascere, Gesù spiega che se Lui vuole entrare nel mistero di Dio deve abbandonare i suoi schemi mentali, i suoi presupposti anche religiosi. Non si tratta di lasciare la fede, tutt’altro, non deve abbandonare l’ebraismo, la Legge, l’alleanza, la storia della salvezza, ma lasciare le schematizzazioni, i luoghi comuni, deve aprirsi per comprende l’agire di Dio. In pratica è come se Gesù gli dicesse:

"Tu ti aspetti un Messia forte, glorioso, liberatore, una specie di novello Mosè che liberi il popolo ebraico dalla schiavitù romana, ebbene Dio ha fatto ancora qualcosa di più grande, ha mandato nientemeno che suo Figlio e per liberare l’umanità.. E anche qui, caro Nicodemo, se davvero vuoi capire deve approfondire il tuo modo di intendere. Tu sei un monoteista assoluto, affermi esserci un Dio Unico, ti fa difficoltà pensare che Dio abbia un Figlio e che ci sia lo Spirito Santo per farti rinascere. E’ vero che Dio è Unico, ma se tu accogli il suo Spirito Egli ti farà vedere nel Figlio il volto del Padre.

E perché Dio ha mandato il suo Figlio e il Figlio ha accettato di venire nel mondo?

Se ragioni con la tua mentalità, Nicodemo, risponderesti che Dio ha mandato suo Figlio per fare giustizia, per giudicare il mondo, per condannare i nemici della religiosità ebraica, per instaurare per Israele un nuovo Regno. Ebbene anche qui il pensiero di Dio è diverso: il Figlio è venuto non per un regno umano e non per essere giudice immediato e inappellabile, ma è venuto per salvare il mondo e non solo Israele.

Ecco, se tu non ti sei chiuso nella grettezza dei tuoi ragionamenti anche religiosi, se riesci a diventare piccolo e ad aprire il tuo cuore alla novità di Dio, puoi credere nel Figlio e accogliere la sua luce che ti porterà a comprendere poco per volta un altro mistero ancora più grande quello del Figlio di Dio che muore nella maniera più terribile e ignomignosa su una croce, ma che risorgerà."

Gesù non chiede a Nicodemo di lasciare il suo posto al Sinedrio, di rinunciare alle sue credenze, gli chiede solo di aprirsi a Dio e, tra l'altro sembra che questo sia avvenuto se Nicodemo all’interno del Sinedrio chiederà che prima di condannare Gesù almeno lo si senta, e facendo così si prenderà gli insulti degli altri. Troveremo poi ancora Nicodemo con Giuseppe di Arimatea a chiedere il corpo di Gesù per dargli sepoltura.

Ma, anch’io, o Gesù, vengo a te di notte. E’ la notte della ricerca e qualche volta è la notte del peccato, ma vengo a te anche nella notte che mi sono creato da solo perché spesso penso di sapere già chi sei, che cosa fai, che cosa vuoi da me. Le religioni, le credenze, le abitudini ti hanno preconfezionato. E tu Gesù non mi dici di allontanarmi dalle religioni, dalla realtà del mio essere, dalle risultanze della storia, ma mi chiedi di diventare semplice per poterti riconoscere e accogliere. Mi chiedi di non ridurTi a degli schemi, a non fare della lettura della tua Parola il ripetersi di una storia trita e conosciuta, di non prendere i tuoi Sacramenti come delle abitudini, a non ridurre la mia appartenenza alla Chiesa ad una tessera o al riempire organigrammi preconfezionati, a non pensare alla carità come a dei gesti standardizzati. Anche a me, come a Nicodemo, chiedi di lasciare formule dogmatiche per scopre il tuo volto e mi pare che tu dica a me e ai miei fratelli:

"Sono il Figlio di Dio fatto uomo non per giudicare il mondo e condannarlo, ma per salvarlo. Smettetela di pensare a Dio come a Colui che a causa di una mela o di qualche peccato codificato più da voi uomini che Lui sia solo e sempre pronto a sparare fulmini su chi sbaglia, smettetela di pensare a Dio goduto di vedere i suoi figli bruciare tra le fiamme dell’inferno. Non c’è niente di più sbagliato: Dio è Padre e vuole bene ai suoi figli, li vuole salvi, fa di tutto perché si salvino, ha mandato Me perché attraverso me voi possiate giungere a Lui, non importa se con il bianco vestito dell’innocenza o sporchi e laceri. Egli è il Padre buono che vuole rialzarvi e abbracciarvi. Io sono venuto per perdonare e per accogliere, e perché voi erigete barriere e dividete, Io non giudico e voi avete innalzato i vostri tribunali religiosi per giudicare nel mio nome. Io apro la porta a tutti senza distinzione di razza e alcuni di voi, pensando di essere gli unici detentori della verità chiudono le porte della mia Chiesa. Io sono venuto per rivelare il vero volto di mio Padre, per imprimerlo sul vostro volto e voi spesso con le vostre tristezze, con le vostre delusione, con le vostre vite così poco speranzose ne mostrare al mondo delle caricature. Io sono la luce del mondo, sono venuto per illuminare, ma tu vuoi essere illuminato? O forse preferisci il buio perché nel buio è più facile nascondersi, non far vedere, poltrire?

Io non sono come voi mi avete voluto descrivere, sono l’uomo Nuovo, ogni giorno. Vi ringrazio delle vostre religiosità, dei vostri riti, delle vostre preghiere, non vi chiedo di cambiarle, ma vi chiedo di andar oltre, di comprendere che sono ancora diverso dalle immagini in cui religiosità e teologie hanno pensato di confinarmi.

Fatevi piccoli, semplici, ritornate al Vangelo senza troppi orpelli, cercate il mio Spirito che, se lo invocate, vi verrà dato in abbondanza e che vi guiderà alla novità continua di Dio. Se lo accoglierete esso poco per volta vi guiderà a comprendere anche quell’altro scoglio che è la mia morte in croce. Essa sarà sempre dura e difficile ma sarà capita anche come è: un grande atto di amore. Anche voi comprenderete che allora non è necessario che io con la potenza di Dio venga a far piazza pulita dei peccatori e del peccato, ma venga a farmi peccato per voi, capirete che cosa vuol dire per me "essere innalzato": non è l’innalzamento del Re sul trono, non è avere tutti i popoli prostrati faccia a terra, davanti; non è neanche gioire perché masse un po’ esaltate riempiono piazza San Pietro, ma è salire su una croce, alta pochi palmi da terra e lì sopra morire tra sofferenze atroci ma perché ogni uomo, alzando anche solo un poco il proprio sguardo da terra e dai propri peccati possa vedere un volto fratello sofferente, che mostra il volto amorevole e misericordioso del Padre".

 

 

LUNEDI’ 3

San Riccardo; San Benigno; San Gandolfo

Parola di Dio: Is. 65,17-21; Sal. 29; Gv. 4,43-54

FARISEO O PUBBLICANO? "DUE UOMINI SALIRONO AL TEMPIO A PREGARE: UNO ERA FARISEO E L’ALTRO PUBBLICANO". (Lc. 18,10)

Nel nostro cammino quaresimale il Vangelo ed anche la vita ci fanno incontrare con questi due personaggi: il fariseo e il pubblicano e, se riflettiamo, viene spontanea la domanda: io, chi sono dei due?

Al tempo di Gesù poteva essere abbastanza facile, almeno esteriormente, identificare l’uno e l’altro. Il pubblicano esercitava un mestiere che lo classificava automaticamente tra i peccatori e gli intoccabili, il fariseo apparteneva invece alla elite dei migliori socialmente, economicamente, religiosamente, conosceva la legge e la tradizione ed era formalmente un osservante minuzioso di tutti i precetti.

Sempre se stiamo alle esteriorità: Chi è il buon cattolico? Per secoli lo si è identificato così: un uomo che va a Messa la domenica, obbediente alle autorità religiose, con un chiaro orientamento politico, che ogni tanto dà qualcosa in beneficenza, mentre il peccatore è uno che agisce contro la morale e la tradizione.

Oggi queste categorie sono molto più sfumate. Nessuno vuol più dirsi fariseo, anche se la razza è tutt’altro che sparita. Al contrario siamo invasi da pubblicani contenti di sé, fieri di esserlo; ‘pubblicano’ le loro colpe senza vergogna, ostentano il loro allontanamento da ogni pratica religiosa, disprezzano coloro che si appellano ad un ideale…

Quale dunque il criterio per identificare la categoria a cui appartengo?

Se sono uno che quantifica per se stesso il bene fatto, che si accontenta dell’esteriorità e della formalità della religione, che applica agli altri le norme morali, che cerca di apparire, che fa della religione un punto di orgoglio per avere potere o per sentirsi migliore degli altri, allora sono chiaramente nella posizione del fariseo e Gesù, spietatamente smaschera l’ipocrisia della mia presunta religiosità: "Non tornò a casa giustificato" e non per imparzialità del giudice, ma perché nella mia preghiera non ho neanche sentito la necessità di chiedere perdono.

Chi viene giustificato? Chi ama! Solo chi ama riesce a capire la propria povertà. Chi di noi è capace di amare come Gesù? Eppure Lui ha detto: "Amatevi come io vi ho amato". Chi di noi può avere la presunzione di essere "perfetto come è perfetto il Padre Vostro celeste"? Chi di noi è capace di perdonare settanta volte sette?

Se capisco questo, capisco di aver bisogno di Dio, per essere perdonato e per imparare da Lui che è l’Amore.

Attenzione! Non è questione di diventare persone che esternano continuamente colpe (anche in questo può esserci tanto fariseismo e ipocrisia), si tratta di voler amare a tutti i costi e di riscoprire che da soli non ci riusciamo. Si tratta allora di rivolgerci a quel Giudice che di professione non fa il contabile di Messe ascoltate o di norme di Chiesa osservate, ma è Colui che è l’Amore, che giudica con amore e sull’amore e che proprio per insegnarci l’amore ci perdona ( sempre se glielo chiediamo davvero!).

 

 

MARTEDI’ 4

Sant’Isidoro

Parola di Dio: Ez. 47,1-9.12; Sal. 45; Gv. 5,1-3.5-16

SOLITUDINE: BRUTTA BESTIA! "SIGNORE, NON HO NESSUNO CHE MI IMMERGA NELLA PISCINA, QUANDO L’ACQUA SI AGITA". (Gv. 5,7)

Tutte le malattie sono brutte, tutte le povertà sono terribili, ma peggio di ogni altra cosa è scoprire di "non avere nessuno". Non aver nessuno che ti aiuti, che condivida le tue gioie, le tue sofferenze, che ti spinga, che magari ti scocci, ma che ci sia. Oggi in queste grandi città che invecchiano tra paure, porte chiuse, diffidenze, la grande malattia è proprio la solitudine. E’ capitato ad un signore che stava facendo una telefonata di sentirsi rispondere dalla voce di una vecchina. "Mi scusi, ho sbagliato numero" – disse precipitosamente il signore. "Ma si figuri – rispose l’anziana - Anzi… mi fa talmente piacere sentire una voce che se avesse la bontà di parlare un poco con me…".

Ma la solitudine non è solo una malattia tipica dell’anziano: colpisce a tutte le età, dal bambino piccolo relegato davanti al televisore perché i genitori hanno molti impegni, al giovane che si stordisce in una discoteca affollata di gente e di rumore ma che non ha nessuno da poter, con sincerità, chiamare amico.

Anche l’uomo malato del Vangelo di oggi soffriva di solitudine, infatti nella sua speranza di salvezza si vedeva superato solo perché non aveva nessuno che gli desse la mano giusta al momento giusto.

Ma siamo poi proprio veramente soli? Il Vangelo viene a ricordarci che Gesù, proprio per non lasciarci soli è venuto nel mondo a donarci la sua presenza e la sua salvezza; quindi anche se ti trovassi solo, abbandonato da parenti e amici, ricordati che Gesù non ti abbandona mai: "Anche se una mamma si dimenticasse del suo bambino, il Signore Dio non si dimenticherà mai di te".

E poi, ricordati, che se anche la solitudine è quella malattia che può intristire, rendere pessimisti, creare vuoti spaventosi c’è un rimedio contro essa: se non hai nessuno prova tu a farti qualcuno per gli altri. Prova a non pretendere che tutti vengano da te, vai tu dagli altri. Non piangerti addosso, serve solo a inumidirti gli abiti e a farti prendere i reumatismi. Ma prova a vedere quanti nel mondo hanno bisogno di te.

 

 

MERCOLEDI’ 5

San Vincenzo Ferrer

Parola di Dio: Is. 49,8-15; Sal.144; Gv. 5,17-30

HO PAURA DEI VIVI MORTI "E’ QUESTO IL MOMENTO IN CUI I MORTI UDRANNO LA VOCE DEL FIGLIO DI DIO E QUELLI CHE L’AVRANNO ASCOLTATA VIVRANNO". (Gv. 5,25)

Anche per servizio, nella mia vita ho visto tanti morti. Non sono un ‘patito dei cimiteri’, ma quando mi capita ci vado volentieri perché penso che la morte, al di là della sua tragicità e del suo aspetto di paura e di sofferenza, è parte importante della nostra vita. Qualcuno mi ha chiesto: "Ma i morti non ti spaventano?" No, in fondo con tutto l’affetto che uno può avere per quel corpo materiale, sono convinto che la persona non è più lì. In quelle tombe viene posta la carcassa, anche amata, ma non la persona. Se siamo credenti in Gesù, ci fidiamo di Lui ed in questo non abbiamo dubbi.

A me fa paura incontrare i vivi morti, e qualche volta, specchiandomi, mi chiedo se sono vivo o morto. Perché purtroppo spesso camminiamo in mezzo a morti viventi. Li vedi alla televisione, li senti parlare, li incontri per la strada: sono coloro che non hanno senso di vita. Quando vedo giovani senza nerbo, eternamente stanchi, perdutamente schifati da tutto e da tutti, arenati in una moda stupida e ripetitiva, vedo dei morti viventi. Quando incontro manager che corrono dietro ai loro affari, al loro potere, bruciando per questo stile di vita, affetti, famiglia, vedo dei morti che corrono dietro a cose morte. Quando incontro cristiani tristi, musoni, gente abitudinaria, osservante solo per tradizione o per paura, scopro dei morti che adorano un dio morto. Quando vedo dei preti che celebrano come fossero dei teatranti o che abbozzano preghiere solo cercando di far presto e che non hanno tempo per incontrare la gente, che pensano solo a mantenere il proprio ruolo di superiorità sugli altri, vedo preti ben incollettati o anche ben bardati da liturgia solenne, ma già distesi in una cassa da morto che essi stessi si sono costruita, una cassa ben inchiodata, dalla quale neanche Gesù Cristo può schiodarli.

Eppure a me, quando sono scoraggiato e non ho più voglia di ricominciare, ad ogni uomo che si lascia vivere diventando morto-vivente, Gesù dice: "E’ questo il momento di uscire dai sepolcri. Lascia entrare in te la nuova vita, abbi ancora speranza e fiducia in essa, in chi te l’ha data e continua a dartela. Dai spazio alla fantasia, alla creatività, abbandona le cose morte, occupati dei viventi attorno a te, ritrova l’entusiasmo di una fede, il positivo in te e attorno a te, il sorriso che deriva da una vera pace interiore. E’ questo il momento; sì, perché se la morte terrena ti trova vivo, tu l’hai già vinta.".

 

 

GIOVEDI’ 6

Santa Virginia; San Celestino; Santa Sabina

Es. 32,7-14; Sal.105; Gv. 5,31-47

IL TOCCO DEL MAESTRO "VOI SCRUTATE LE SCRITTURE EBBENE SONO PROPRIO ESSE CHE MI RENDONO TESTIMONIANZA MA VOI NON VOLETE VENIRE A ME PER AVERE LA VITA"(Gv. 5,39-40)

Non vi è mai capitato di leggere interi capitoli dell’Antico Testamento o pagine di Vangelo con superficialità, abitudine, distrazione? Oppure, sentendo leggere la nascita di Gesù o la sua passione e morte, non vi è mai scappato di dire: "Tutti gli anni è sempre uguale! Ma, queste cose le sappiamo già!". Qualche volta, poi, scrutiamo le Scritture per i nostri fini, vorremmo trovare risposte ben chiare od ogni nostro problema, cerchiamo la giustificazione al nostro agire, vivisezioniamo parole e racconti fino al punto di perdere di vista il loro fine e il loro messaggio.

La Bibbia, senza Dio, è solo un vecchio, noioso, terribile, libro di storia e di mitologia. I Vangeli senza Gesù, vero uomo e vero Dio venuto per noi, possono essere un libro edificante, la raccolta del meglio di certa sapienza umana o le parole di un gruppo di invasati.

Quando apri quel libro, non fermarti alle apparenze: cerca il tocco del Maestro!

Ad una vendita all’asta, il banditore sollevò un violino. Era graffiato e scheggiato. Le corde pendevano allentate e il banditore pensava non valesse la pena perdere tanto tempo con il vecchio violino, ma lo sollevò con un sorriso.

"Che offerta mi fate, signori?"- gridò – "partiamo da …100 mila lire!"

"Centocinque!" disse una voce. Poi "Centodieci". "Centoquindici" – disse un altro… la cosa andava avanti a rilento.

Dal fondo della stanza un uomo dai capelli grigi avanzò e prese l’archetto.

Con il fazzoletto spolverò il vecchio violino, tese le corde allentate, lo impugnò con energia e suonò una melodia pura e dolce come il canto degli angeli.

Quando la musica cessò il banditore, con voce calma e bassa, disse: "Quanto mi offrite per il vecchio violino?". E lo sollevò insieme con l’archetto.

"Un milione". "E chi dice due milioni?". "Due milioni!". " E chi dice di più?". "Tre milioni!". "Tre milioni e uno. Tre milioni e due. Tre milioni e tre. Aggiudicato", disse il banditore.

La gente applaudì, ma alcuni chiesero: "Che cosa ha cambiato il valore del violino?".

Pronta giunse la risposta: "Il tocco del Maestro".

 

 

VENERDI’ 7

San Giovanni Battista de la Salle; Sant’ Ermanno

Parola di Dio: Sap. 2,1.12-22; Sal.33; Gv. 7,1-2.10.25-30

I GIUSTI, QUESTI ROMPISCATOLE ! "DICONO GLI EMPI: TENDIAMO INSIDIE AL GIUSTO PERCHE’ CI E’ DI IMBARAZZO…".  (Sap. 2,12)

E’ luogo comune pensare che i giusti, i saggi, siano persone equilibrate, gentili, raffinate, di bella espressione, persone attuali, alla moda… e qualche volta ci sembra, almeno a prima vista, di identificarli con quei damerini salottieri che sono saggi perché dicono cose risapute o pensate dalla maggioranza, vantano ‘scuole alte’, appaiono imperturbabili, hanno tutta una serie di risposte preconfezionate, se la prendono con superiorità sprezzante contro chi non la pensa come loro e ogni tanto infilano nel loro parlare un po’ di spregiudicatezza, che oggi va tanto di moda! Ma se abbiamo un po’ di coscienza, ci accorgiamo ben presto che "la giustizia" e "la sapienza" non stanno di casa lì. Se guardiamo lungo la storia, i giusti e i saggi sono sempre stati delle persone che apparivano squilibrate, degli avventurieri (nel senso che hanno amato la vita rischiandola) dei "non allineati", degli scocciatori. Prediamo Gesù, "il giusto", "il saggio". Biglietto di presentazione del vecchio Simeone: "Egli è qui, segno di contraddizione". Autopresentazione: "Non sono venuto a portare la pace, ma la spada". Come lo ha giudicato la vecchia religione: "Ha bestemmiato! E’ reo di morte!". Che cosa ne pensava il potere politico-religioso: "E’ meglio che muoia un solo uomo piuttosto che tutto il popolo debba soffrire".

E, oggi, non è forse la stessa cosa? Danno più fastidio Eminenze impomatate e reverendi venditori di abitudini stantie o preti come don Ciotti che fanno scelte a rischio che puoi anche non condividere, ma che sono direttamente in prima linea a servizio degli ultimi?

Il mestiere del giusto e del saggio è quello del rompiscatole, è quello di costringerci a pensare, di buttarci in faccia la nostra ipocrisia, di scollarci dalle abitudini, dai luoghi comuni.

Se non vogliamo lasciarci scuotere, come faremo a liberarcene? I metodi sono da sempre questi tre. Primo: eliminazione fisica, morale, sociale. Secondo: blandirlo al punto da ricondurlo alla logica del potere. Terzo, il più terribile, rendersi assolutamente impermeabili, amorfi ad ogni stimolo.

Certo, come dice il brano della Sapienza che meditiamo oggi, gli empi possono farcela ad eliminare il giusto, ma: "si sbagliano, la loro malizia li ha accecati" perché l’eliminazione del giusto li priva della giustizia, il mettere a tacere la saggezza li priva del senso profondo della vita e soprattutto: "non conoscono i segreti di Dio, non sperano un salario per la santità, né credono alla ricompensa delle anime pure".

 

 

SABATO 8

San Dionigi; San Gualtiero (Walter)

Parola di Dio: Ger. 11,18-20; Sal. 7; Gv. 7,40-53

MOSTRACI IL TUO VOLTO, O SIGNORE! "ALCUNI DICEVANO, QUESTI E’ DAVVERO IL PROFETA. ALTRI DICEVANO, QUESTI E’ IL CRISTO, ALTRI DICEVANO: MA IL CRISTO VIENE FORSE DALLA GALILEA?" (Gv. 7,40-41)

Ieri dicevano che Gesù è stato ed è segno di contraddizione. Davanti a Lui le genti si sono divise: chi lo ha accettato e chi lo ha respinto. Noi Cristiani dovremmo essere di quelli che lo abbiamo accettato con gioia. Ma lo conosciamo?

Qual è il tuo volto, Signore? Nei momenti di sosta del pellegrinaggio della vita spesso ho trovato leggende, racconti, parabole che nella loro semplicità dicevano grandi cose. Oggi ve ne ripropongo una che ho trovato raccontata in modi molti diversi ma sempre con un unico significato. In Sicilia, il monaco Epifanio un giorno scoprì in sè un dono del Signore: sapeva dipingere bellissime icone. Voleva dipingerne una che fosse il suo capolavoro: voleva ritrarre il volto di Cristo. Ma dove trovare un modello adatto che esprimesse insieme sofferenza e gioia, morte e resurrezione, divinità e umanità? Epifanio non si dette più pace: si mise in viaggio; percorse l’Europa scrutando ogni volto. Nulla. Il volto adatto per rappresentare Cristo non c’era.

Una sera si addormentò ripetendo le parole del salmo: "Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto". Fece un sogno: un angelo lo riportava dalle persone incontrate e gli indicava un particolare che rendeva quel volto simile a quello di Cristo: la gioia di una giovane sposa, l’innocenza di un bambino, la forza di un contadino, la sofferenza di un malato, la paura di un condannato, la bontà di una madre, lo sgomento di un orfano, la severità di un giudice, l’allegria di un giullare, la misericordia di un confessore, il volto bendato di un lebbroso. Epifanio tornò al suo convento e si mise al lavoro. Dopo un anno l’icona di Cristo era pronta e la presentò all’abate e ai confratelli che rimasero attoniti e piombarono in ginocchio. Il volto di Cristo era meraviglioso, commovente, scrutava nell’intimo e interrogava. Invano chiesero a Epifanio chi gli era servito da modello. Non cercare il Cristo nel volto di un solo uomo, ma cerca in ogni uomo un frammento del volto di Cristo.

 

 

DOMENICA 9

5^ Domenica di Quaresima B

Santa Maria di Cleofa

Parola di Dio: Ger. 31,31-34; Sal. 50; Eb.5,7-9; Gv. 12,20-33

PRIMA LETTURA (Ger 31, 31-34)

Dal libro del profeta Geremia.

"Ecco verranno giorni dice il Signore nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l'alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato".

 

SECONDA LETTURA (Eb 5, 7-9)

Dalla lettera agli Ebrei.

Cristo, nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

 

VANGELO Gv 12, 20-23

Dal vangelo secondo Giovanni.

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: "Signore, vogliamo vedere Gesù". Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: "E` giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome". Venne allora una voce dal cielo: "L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!". La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: "Un angelo gli ha parlato". Rispose Gesù: "Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me". Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.

 

RIFLESSIONE

 

Spesso Gesù sembra non rispondere direttamente alle aspettative di coloro che si rivolgono a Lui. Noi ci aspetteremmo delle risposte immediate alle domande che si rivolgono a Lui, mentre invece Lui sembra rispondere parlando d’altro. Abbiamo sentito nel Vangelo di oggi che ci sono dei greci che vogliono vederLo e per far questo si sono rivolti agli apostoli. Gesù davanti alla richiesta, invece di accontentarli (dal Vangelo non sapremo mai se questi Greci sono poi riusciti a incontrarlo o meno), risponde mettendosi a parlare della sua futura sofferenza, della paura della morte, di chicchi di grano che cadono nella terra e per portar frutto devono morire, di perdere la vita per trovarla, di essere elevato su una croce per poter attirare tutti a sé.

Insomma, caro Gesù, nel nostro mondo sono già così pochi quelli che sentono il desiderio di vederti e Tu, invece di presentarti come l’eroe vincente, il solutore di ogni enigma e problema dell’umanità, ti fai vedere come un comune mortale che ha timore della morte e della sofferenza, come uno che invece di gloria sta per andare incontro ad una morte ignomignosa…

Ma, se ci penso bene non è che non hai risposto a quella domanda, anzi, hai risposto non secondo le aspettative di chi ti chiedeva di vederti, ma presentandoti davvero per quello che sei e per quella che è la tua missione. Chi ti vuole vedere deve davvero vedere il tuo volto e quello di tuo Padre non secondo gli stereotipi o le aspettative suscitate da secoli di incrostazioni religiose.

Il tuo volto è il volto dell’Amore vero, non dell’amore sdolcinato, non delle maschere dai colli torti e dagli occhi lacrimevoli, non è solo l’amore fatto di sentimento o di sesso, ma l’amore che è donazione totale, un amore che costa.

Il tuo volto è proprio simile al mio e a quello di ogni uomo: tu non sei l’eroe intemerato ma incapace di sentimenti e di sofferenze umane, tu hai paura della sofferenza e, come me, al pensare alla sofferenza futura tremi, tu non hai la facile risposta alla sofferenza, tu non l’hai vinta, ma la trasformi con fatica, come siamo chiamati a fare noi ogni giorno. Tu non vieni a proporci facili soluzioni, il tuo linguaggio parla ancora oggi di sacrificio, duro e poco piacevole.

Il tuo volto è un volto che illumina sul mistero di Dio, ma anche un volto che non dice tutto di esso, è un volto che più lo guardi e più lo trovi semplice, ma anche dai molteplici aspetti, un volto in cui anche la tua umanità sembra perdersi e quindi trasformarsi nel volto di ogni uomo della terra.

Oggi sembra che le richieste per vedere il tuo volto siano in nettissimo calo. Gli uomini spesso si accontentano di vedere i volti dipinti sulle banconote, i volti dei divi che esprimono il successo, i volti dei potenti che se da una parte sono criticati vengono poi seguiti, ricercati, quasi adorati per quello che sembrano aver raggiunto. Spesso addirittura gli uomini non hanno più volto, hanno abdicato alla propria identità, non riconoscono il fratello e neppure se stessi o si accontentano delle maschere, negli ospedali il malato è un numero, dal salumiere: "Tocca al numero 98", la famiglia è diventata una statistica dove il tanto per cento si sposa, si divorzia, dove oggi si fa un figlio e mezzo a coppia e non di più. Oggi ci sono maschere per tutte le ore e per tutte le attività: sul lavoro devi comportarti in quel determinato modo per riuscire a sopravvivere alla concorrenza, ma al sabato sera puoi indossare la maschera della facile liberazione e del divertimento, di solito sei timido, ma quando sei chiuso e ben protetto nella tua scatola a quattro ruote puoi diventare prepotente e aggressivo. E il mondo non si presenta forse mascherato quando ci suggerisce che l’importante è rispondere esclusivamente alle esigenze materiali o quando davanti a noi sfilano riveriti e adorati i miti del successo, del potere e del denaro?

Ma se c’è disinteresse per il Tuo volto, mi chiedo, non sarà forse anche perché noi cristiani ci siamo accontentati di portare al nostro mondo delle immaginette religiose piuttosto che rischiare di presentare il Tuo volto nel nostro?

Quando i credenti pensano che per annunciare il volto e il nome di Dio bastino i preti, quando pensiamo sia sufficiente ogni tanto fare il nome della religione nei salotti della T.V. o presentare una ‘fiction’ con qualche prete o suora o addirittura con qualche personaggio biblico, quando continuiamo a fare "settimane di studio Cattoliche" dove si pensa di sviscerare Dio come potrebbe fare un medico che fa l’autospia ad un cadavere, ecco, sbagliamo, non presentiamo il volto di Gesù, ma il volto più o meno bello delle religioni e delle teologie. Cristo non lo si insegna, Cristo lo si mostra.

Se è vero che oggi sono pochi coloro che esplicitamente cercano il volto di Dio, sono convinto che invece, dietro le maschere, dietro le croste del benessere ci sia una grandissima nostalgia di Lui. Se è vero che c’è ancora tanta ignoranza per cui le pseudo religioni spesso attecchiscono con le loro risposte immediate, credo che forse mai come in questa società ci sia assopito un desiderio di purezza, di pulizia, di occhi candidi che incontrano altri occhi che ti scrutano dentro e che ti possano dare forza e serenità. E noi credenti che dovremmo aver posto il nostro sguardo nel suo, noi che dovremmo già essere attirati da quella croce di redenzione dovremmo essere lo stimolo di questa nostalgia.

Il mondo non ha bisogno di prediche, non ha bisogno neanche di morali più o meno fedeli al messaggio di Gesù, ha bisogno di segni concreti che mostrino chi è Dio.

Il volto di Dio noi possiamo farlo vedere attraverso gesti magari difficili, dolorosi, come il dare il perdono, come l’essere disposti a donare senza pretendere il contraccambio, come l’essere disposti a pagare per l’onesta o per la giusta denunzia dei mali dei grandi di questa terra, come il saper morire perché un altro abbia vita, come il servire anziché il comandare… Il mondo ha bisogno di questi segni, non segni dell’eroe vittorioso, ma di colui che fa fatica, che stringe i denti, che non cerca la sofferenza ma che ci passa in mezzo magari urlando ma con un fine, di chi crede ancora al sacrifico per la conquista di valori.

Noi spesso, per portare a Cristo abbiamo voluto addolcire la sua croce, o quasi nasconderla e abbiamo finito di presentare un Cristo che non è più Lui. La croce c’è. Fa paura. Ma è anche il segno della nostra salvezza. "guarderanno a colui che hanno trafitto e saranno salvati" "quando sarò innalzato attirerò tutti a me", "se il chicco di frumento non muore non porta frutto".

Signore, sono venuto oggi per vedere il tuo volto, mi aspettavo un volto glorioso, ho trovato invece un fratello come me timoroso, ma disposto a donare tutto, Sono riuscito ad intravedere alcuni tuoi lineamenti, anche diversi da ciò che mi aspettavo ma che rispecchiano il mio volto e il volto di ogni uomo della terra, sono venuto a cercare la gloria della risurrezione, ma la intravedo appena tra le braccia di una dura e sofferente croce. Eppure più guardo quella tua croce e più incomincio a capire quelle frasi della Bibbia: "Ha tanto amato il mondo da dare la sua vita per noi"… "E’ morto in croce per noi mentre noi eravamo peccatori".

 

 

LUNEDI' 10

San Terenzio; Sant’Ezechiele

Parola di Dio: Dan 13,1-9. 15-17.19-30.33-62; Sal. 22; Gv. 8,1-11

SI PUO’ VEDERE IL PECCATO, OPPURE L’UOMO. "MOSE’ NELLA LEGGE CI HA COMANDATO DI LAPIDARE DONNE COME QUESTA. TU, CHE NE DICI?".

(Gv. 8,5)

L’abbiamo commentato tante volte questo brano meraviglioso. Non finirò mai di ringraziare Gesù per l’amore che ha avuto verso l’adultera.

Come sono tristi, sciagurati, disumani questi ‘uomini per bene’, scribi e farisei che col loro fiuto poliziesco e con la loro morale pelosa, hanno ‘beccato’ una peccatrice e nel nome di Dio vogliono farne carne da macello e sentirsi, per questo, ancora più buoni!

Come fanno pena e come sono tristi anche oggi, coloro che facendosi scudo del Vangelo e di una morale ben codificata da religiosi abituati a giudicare gli altri e non se stessi, indagano per entrare nell’intimo della vita altrui per potervi mettere censure.

Grazie, Gesù. Tu non hai visto la peccatrice, hai visto la donna.

Una giovane donna tornava a casa dal lavoro in automobile. Guidava con molta attenzione perché l’auto che stava usando era nuova fiammante, ritirata il giorno prima dal concessionario e comprata con i risparmi soprattutto del marito che aveva fatto parecchie rinunce per poter acquistare quel modello.

Ad un incrocio particolarmente affollato, la donna ebbe un attimo di indecisione ed andò ad urtare il paraurti della macchina che la precedeva.

La giovane donna scoppiò in lacrime. Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito?

Il conducente dell’altra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi i dati per la denuncia all’assicurazione.

La donna cercò i documenti in una grande busta di plastica marrone.

Cadde fuori un pezzo di carta.

In una decisa calligrafia maschile vi erano queste parole: "In caso di incidente… ricorda, tesoro, io amo te, non la macchina!".

Tu, Gesù, sai che cos’è il peccato. Lo hai combattuto, smascherato, e poi… ti sei fatto peccato per noi. Ma proprio perché sai il male che il peccato porta in sé, hai amato e ami il peccatore. Quante volte mi è già sembrato di sentire fischiare sopra la mia testa le pietre lanciate da seriosi tutori della morale, che in teoria avevano pure ragione a riconoscere il mio peccato, ma alzati gli occhi sull’unico che poteva condannarmi, ho trovato solo gli occhi di un Dio che mi ama.

 

 

MARTEDI’ 11

San Stanislao

Parola di Dio: Num. 21,4-9; Sal. 101; Gv. 8,21-30

ANCHE PER DIO E’ DIFFICILE FARSI RICONOSCERE "QUANDO AVRETE INNALZATO IL FIGLIO DELL’UOMO, ALLORA SAPRETE CHE IO SONO". (Gv. 8,28)

Tutte le pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento sono segni di Dio per farsi riconoscere, ma quanta difficoltà per Lui a manifestarsi, e quanta difficoltà per l’uomo a riconoscerlo davvero così com’è.

Le rappresentazioni che noi ci facciamo di Lui sono spesso così menzognere e pericolose che gli è necessario combatterle piuttosto che servirsene. Gli uomini si sono talmente sbagliati su Dio che Egli è dovuto venire a spezzare i loro idoli e rivelare il volto del suo amore. Come è vera la parola di san Giovanni: "Dio, nessuno l’ha mai conosciuto!". Spontaneamente gli uomini immaginano Dio a somiglianza delle loro ambizioni di potenza, di ricchezza e di invulnerabilità e credono che per avvicinarsi a Lui si debba acquistare potere, denaro, prestigio, cioè disumanizzarsi.

Le idee popolari su Dio generano la paura o l’interesse e finiscono per farne uno spauracchio o un utensile, un essere di cui ci si serve o un essere che ci minaccia.

La vicinanza di Dio sconvolge l’uomo al punto di affascinarlo o di atterrirlo. L’irruzione di Dio fa uscire l’uomo da se stesso e lo altera, lo fa salire in alto con la mistica o lo fa scendere in basso con la magia.

Anche Gesù ha trovato difficoltà a farsi conoscere perché la sua umanità, che è il segno migliore della sua volontà di manifestarsi, per qualcuno è diventata ostacolo. Per altri, invece, è ostacolo la divinità: insomma, anche Gesù non rientra nelle nostre categorie! Gesù stesso, allora, ci indica che la prospettiva migliore per comprenderlo è quella di guardare a "Colui che avrete innalzato" cioè alla croce, all’atto di amore totale che Gesù fa per noi, a quello che è il punto di congiunzione tra "il lassù e il quaggiù". Lì è Dio che si abbassa fino a terra, fino all’ultimo dolore dell’uomo, ed è l’umanità di Gesù che, caricandosi il peccato dell’uomo e crocifiggendolo, lo innalza fino a Dio.

Ecco come un uomo semplice, che da fratello laico è rimasto trentasette anni in Paraguay ad insegnare a coltivare i campi, aveva capito profondamente questo e così pregava:

"Mentre morivi sulla croce, Signore Gesù, hai pregato anche per me.

Hai pregato per quelli che hanno voluto e ancora oggi vogliono condannarti a morte.

Hai pregato per tutti quelli che ti hanno deriso, chiamato pazzo, coperto di insulti, flagellato, messo in capo una corona di spine, perforato mani e piedi, e alla fine con un colpo di lancia ti hanno aperto il cuore.

E tu, o Gesù, come risposta hai pregato dicendo: "Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno".

Quella preghiera era anche per me.

O Gesù, non sono forse anch’io tra quelli che ti condannano?

Anche per me hai pregato e preghi ancora, perché Dio Padre perdoni tutte le mie colpe.

Continua, o Gesù, a pregare per me."

 

 

MERCOLEDI’ 12

San Giulio I°; San Zeno

Parola di Dio: Dan. 3,14-20.46-50,91-92.95; Cantico da Dan. 3,52-56; Gv. 8,31-42

DALLE CATENE ALLA LIBERTA’ "NON SIAMO MAI STATI SCHIAVI DI NESSUNO. COME PUOI TU DIRE: DIVENTERETE LIBERI?" (Gv. 8, 33)

Racconta in un suo libro Louis Evely:

"Predicavo davanti all’assemblea sonnolenta e triste di una vecchia cattedrale. Ai primi posti c’erano delle suore e rari fedeli, ma gli altri erano sparsi qua e là fino al fondo.

Spiego che la lettura del Vangelo è sempre viva e cerco di attualizzare il vangelo del giorno. Comincio a rileggerlo: "I pubblicani, i peccatori, le donne di facili costumi erano sempre ai primi posti per ascoltare Gesù…" Sensazione! Le prime file arrossiscono e si rintanano, gli altri gioiscono della loro confusione e si guardano sorridendo.

Ma io continuo guardando gli ultimi: "E i farisei e gli scribi mormoravano fra loro dicendo: costui accoglie i peccatori e mangia con essi".

E fu la loro volta di abbassare la testa.

Ma non è sorprendente che una lettura di Vangelo in un’assemblea cristiana abbia per effetto quello di scontentare tutti?

Sappiamo bene di essere peccatori, ma proviamo soddisfazione solo a crederci giusti."

In sostanza, per tornare al Vangelo di oggi, se noi pensiamo di essere già liberi, non abbiamo bisogno di qualcuno che ci liberi.

Ma lo siamo liberi? Quando rabbia e odio ci dominano, siamo liberi di perdonare? Quando la tentazione, l’egoismo, il peccato ci precludono un rapporto sereno con noi stessi, con il prossimo e con Dio, possiamo ancora impunemente dirci liberi?

Ma se io riconosco questa mia situazione di schiavitù, di impotenza, posso accogliere chi viene da me a liberarmi dalle catene, a ridarmi la dignità di uomo.

L’importante non è credersi giusti, ma schiavi liberati, peccatori redenti.

 

GIOVEDI’ 13

San Martino I°; Sant’Ermenegildo

Parola di Dio: Gen. 17,3-9; Sal. 104; Gv. 8,51-59

A CHE SERVE UN GESSETTO COLORATO?

"SE UNO OSSERVA LA MIA PAROLA NON VEDRA’ MAI LA MORTE". (Gv. 8,51)

Gesù, perdonaci perché non ti abbiamo preso sul serio. Tu ci hai donato te stesso e noi ci accontentiamo di formule religiose. Tu sei il pane della vita e noi ci accontentiamo di poche briciole secche. Tu ci parli di vincere la morte e noi viviamo una cultura di morte.

Nessuno sapeva quando quell’uomo fosse arrivato in città. Sembrava essere sempre stato là, sul marciapiede della via più affollata, quella dei negozi, dei ristoranti, dei cinema eleganti, del passeggio serale, degli incontri degli innamorati. Ginocchioni per terra, con dei gessetti colorati, dipingeva angeli e paesaggi meravigliosi, pieni di sole, bambini felici, fiori che sbocciavano e sogni di libertà.

Da tanto tempo la gente della città si era abituata all’uomo. Qualcuno gettava una moneta sul disegno. Qualche volta si fermavano e gli parlavano.

Gli parlavano delle loro preoccupazioni, delle loro speranze; gli parlavano dei loro bambini, del più piccolo che voleva ancora dormire nel lettone e del più grande che non sapeva che Facoltà scegliere, perché il futuro è difficile da decifrare…

L’uomo ascoltava. Ascoltava molto e parlava poco.

Un giorno, l’uomo cominciò a raccogliere le sue cose per andarsene.

Si riunirono tutti intorno a lui e lo guardavano. Lo guardavano ed aspettavano.

"Lasciaci qualcosa: per ricordare…"

L’uomo mostrava le sue mani vuote: che cosa poteva donare?

Ma la gente lo circondava e aspettava.

Allora l’uomo estrasse dallo zainetto i suoi gessetti di tutti i colori, quelli che gli erano serviti per dipingere gli angeli, i fiori, i bambini, quelli che avevano dato corpo alle speranze e ai sogni, e li distribuì alla gente.

Un pezzo di gessetto colorato per ciascuno; poi, senza dir niente, se ne andò.

Che cosa fece la gente dei gessetti colorati?

Qualcuno lo inquadrò, qualcuno lo portò al museo civico di arte moderna, qualcuno lo mise in un cassetto, la maggioranza se ne dimenticò.

E’ venuto un Uomo ed ha lasciato anche a te la possibilità di colorare il mondo. Tu che hai fatto dei tuoi gessetti?

 

 

VENERDI’ 14

Santa Liduina; San Tiburzio; San Valeriano

Parola di Dio: Ger. 20,10-13; Sal. 17; Gv. 10,31-42

LA GUERRA DELLE PIETRE E’ SEMPRE ATTUALE

"I GIUDEI PORTARONO PIETRE PER LAPIDARE GESU’". (Gv.10,31)

A molti sembra facile risolvere i problemi a base di colpi di pietra.

Gesù non la pensa come noi? Accusiamolo di essere un bestemmiatore perché dice di essere Figlio di Dio, e poi una buona dose di pietre risolve il problema, toglie l’impiccio, dà sfogo all’odio ed è persino giustificato dalla religione!

E il metodo delle pietre è sempre andato avanti lungo i secoli per le piccole e le grandi cose. Qualcuno si oppone alla mia politica? Un bel linciaggio morale, un bel po’ di pietre vere o anche di armi più sofisticate aggiustano tutto. Quell’uomo ci dà fastidio con i suoi modi che rinfacciano la nostra ipocrisia? Ogni uomo ha sempre qualche lato debole, basta trovarlo per demolire quell’uomo, oltretutto potremmo sempre mascherarci da perbenisti che hanno fatto questo per salvare la verità e la giustizia. Dilaga la delinquenza? Ripristiniamo la pena di morte. Abbiamo difficoltà di convivenza in famiglia? Usiamo i metodi del più forte per risolvere.

Le pietre, le armi, i processi ingiusti, le mistificazioni per ammantare di onore, le azioni più nefande che trovano sempre giustificazioni, sono i modi del potere. Da millenni la storia si impernia su questo barbaro concetto: che esista qualcuno che è lecito odiare, colpire, uccidere, perché ci è "nemico". Ma quello che è ancor più triste è che noi, discepoli di quel maestro che ci ha detto: "Se non renderete bene per male, se non amerete i vostri nemici, non entrerete nel Regno dei cieli", spesso nel grande e anche nel piccolo del quotidiano, troviamo motivi per giustificare armi, guerre, violenze, soprusi.

E se invece di accumulare pietre, armi, odi e vendette, accumulassimo perdono, bontà, non violenza?

Ogni guerra, ogni odio, segna sempre la sconfitta dell’uomo. Anche se si crede legittima una guerra è sempre il risultato di una somma di peccati e l’occasione di grandi delitti e alla fine di una guerra, di una faida, di una vendetta, non ci sono più né vincitori né vinti, non c’è altro che un muro di pianto e la sconfitta dell’umanità.

 

 

SABATO 15

Sant’Annibale; Sant’Anastasia

Parola di Dio: Ez. 37,21-28; Cantico da Ger. 31,10-13; Gv. 11,45-56

UN APPUNTAMENTO DA NON PERDERE

"CHE VE NE PARE? NON VERRA’ EGLI ALLA FESTA?". (Gv.11,56)

La quaresima è al termine. Domani inizia la grande settimana di Gesù.

Anche quel pellegrinaggio che ci eravamo proposti all’inizio di questa quaresima nell’anno giubilare, si conclude. Abbiamo ricevuto dalla Parola di Dio, dalla vita concreta, da vari amici incontrati, molti stimoli, e alcune provocazioni.

Siamo pronti a celebrare la Pasqua del Signore? Abbiamo capito che essere cristiani ha un prezzo? Abbiamo fatto diventare realtà nella nostra vita il motto che apriva questi quaranta giorni: "convertitevi e credete al Vangelo"?

I contemporanei di Gesù si chiedevano se Egli sarebbe andato alla festa.

Di questo possiamo essere sicuri. Gesù non manca all’appuntamento con l’Amore, anche se l’amore sarà la delusione, il tradimento, la sofferenza e la croce.

Mi chiedo piuttosto: non mancherò io alla festa?

Alla festa della gratitudine per l’amore ricevuto, all’appuntamento ai piedi di quella croce per contemplare un Dio che mi ama e che versa il suo sangue per me, all’appuntamento sulla croce per trasformare anche il mio dolore in amore, all’appuntamento con i tanti uomini che sulla croce ci sono ancora, all’appuntamento davanti a quella tomba vuota per sentire ancora una volta nel profondo del cuore le parole della speranza: "non è qui!"?

Alla fine di un cammino spesso si arriva stanchi, sporchi, laceri, ma l’importante è arrivarci.

Gesù è puntuale all’appuntamento e non si spaventa né della stanchezza, né della sporcizia, mi chiede solo di esserci.

 

 

DOMENICA 16

Domenica della Palme B

Santa Bernardetta Soubirous; San Lamberto

Parola di Dio: Is. 50,4-7; Sal 21; Fil. 2,6-11; Mc. 14,1-15,47

VANGELO ALLA BENEDIZIONE DEI RAMI D’ULIVO (Mc11,1-10)

Dal Vangelo secondo Marco

Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Betfage e Betania presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: "Andate nel villaggio che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale nessuno è mai salito. Scioglietelo e conducetelo. E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo?, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito".Andarono e trovarono un asinello legato vicino ad una porta, fuori sulla strada, e lo sciolsero. E alcuni dei presenti però dissero loro: "Che cosa fate, sciogliendo questo asinello?". Ed essi risposero come aveva detto loro il Signore. E li lasciarono fare. Essi condussero l’asinello da Gesù, e vi gettarono sopra i loro mantelli, ed egli vi montò sopra. E molti stendevano i propri mantelli sulla strada e altri le fronde, che avevano tagliate dai campi. Quelli poi che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro gridavano: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!"

 

PRIMA LETTURA (Is 50, 4-7)

Dal libro del profeta Isaia.

Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati. Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso.

 

SECONDA LETTURA (Fil 2, 6-11)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi.

Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.

 

VANGELO

Per il testo della passione vedi Marco 14,1-15,47

RIFLESSIONE

 

Sono ormai moltissimi anni che l’esperienza mi porta a dire che c’è molta più gente in chiesa (o nei dintorni di essa) la domenica delle Palme che non la domenica di Pasqua. Perché? Tra i vari motivi, forse sarà perché oggi si respira già il clima di festa, ma non si è ancora legati ai vincoli del "ponte" o della festa da trascorrere secondo canoni prefissati, oppure perché oggi c’è il richiamo del rametto di ulivo da portare a casa, per qualcuno invocazione di pace e segno di benedizione e per altri quasi un talismano allontana guai… o non sarà anche perché è più facile accompagnare Gesù nel suo ingresso trionfale a Gerusalemme che accettare la difficile risurrezione che passa prima attraverso la croce?Ma è poi proprio stato un ingresso trionfale quello di Gesù a Gerusalemme? Certo, in molti, specialmente nei più umili, si era creata tutta un’aspettativa nei confronti di Gesù, da chi vedeva in Lui colui che aveva dato da mangiare gratis alle folle, a chi aveva sentito le sue parole di attenzione ai poveri e agli ultimi, parole di speranza, a chi lo vedeva come il giusto riformatore della religiosità, a chi aspettava per vedere come sarebbe andato a finire il suo rapporto burrascoso con i Sommi Sacerdoti, agli zeloti che forse si aspettavano da Lui un segnale per la riscossa nei confronti dei romani invasori ed oppressori. Questi desideri terreni e religiosi si intrecciano intorno al piccolo corteo che avanza verso la città santa e anche gli Osanna e i titoli che vengono usati nei confronti di Gesù, risentono di queste aspettative.

Ma questo ingresso in Gerusalemme non è il trionfo dell’eroe, l’accoglienza al conquistatore, l’ingresso del Re che prende possesso del potere. È Gesù, il Figlio di Dio che va verso il suo destino di sofferenza con forza, con desiderio di "ricevere questo battesimo", ma anche con debolezza, con coraggio ma con paura, con fiducia in Dio, ma anche con consapevolezza che dovrà in questa settimana "spogliarsi" di tutto per tutto donare.Dimostra questo atteggiamento la scelta dell’asinello preso a prestito e poi restituito. Non è il cavallo delle imprese di guerra, è l’animale mite, silenzioso, testardo, lavoratore, semplice, come è semplice, deciso a tutto, silenzioso in mezzo alle acclamazioni Colui che lo monta. Non sarà proprio questo asinello colui che oggi ha più diritto di parlarci? Vi ripropongo poche righe di Alessandro Pronzato a questo riguardo: "Il Signore ha bisogno di te. Ha bisogno di un asino per qualche ora. Nient’altro che questo. Se ne fossimo convinti, saremmo sempre disponibili, senza tuttavia prenderci troppo sul serio, e senza darci arie da padreterni…Quell’asino dovrebbe entrare di diritto in un trattato sull’umiltà. Essere l’asino che sta lì, pronto a venire utilizzato come e quando e quanto a lui piacerà, e poi rimandato indietro, perché non serve più, ed è contento lo stesso, il trionfo (o la donazione totale) è dell’Altro, lui torna al suo posto, "vicino alla porta", non pretende il primo piano della televisione, un asino da niente, però sempre pronto nel caso lo venissero ancora a requisire un’altra volta, purché sia per un servizio, non per una premiazione. Un asino, tra l’altro, che ha il grosso merito di stare zitto. Dobbiamo metterci bene in testa che il Signore ha bisogno soltanto di un asino per qualche ora. Mentre noi non possiamo fare a meno di Lui neppure per un minuto".

Questa domenica, dunque, più che invitarci a celebrare trionfi terreni gloriosi di Cristo, ci anticipa il mistero ed anche lo ‘scandalo’ della croce. Sì, perché noi preferiamo il trionfo alla croce. La croce non è mai bella, né quella di Cristo, né quella degli uomini. Per avvicinarsi alla croce, per tentare di capirla, per cercare di trasformarla, occorre uno sguardo diverso. E’ lo sguardo di gratuità e di amore che abbiamo visto nel volto e nei gesti di quella donna che sente la gioia di poter fare un gesto di amore, ringraziamento, riconoscenza nei confronti di Gesù, e gli unge i piedi con quell’olio profumato. Lei non lo sa che anticipa la sepoltura di Gesù, ma ha imparato che Lui è dono gratuito, misericordioso, al quale non si può rispondere che con altrettanta gratuità. E’ lo sguardo delle pie donne che con apprensione, paura, dolore, ma anche partecipazione e coraggio (gli apostoli sono scappati) seguiranno Gesù, e pur non comprendendo saranno con Lui sia ai piedi della croce che la mattina di Pasqua. E’ lo sguardo di Maria, sua Madre, che nel suo cuore addolorato ripercorre il cammino che Dio le ha dato di fare. Chiamata ad essere Vergine e Madre, chiamata a generare quel "frutto benedetto del suo grembo" che ora è frutto maturato e arrossato nel sangue versato per amore; chiamata ad essere educatrice all’amor di Dio e del prossimo che ora vede pienamente manifestato in quel suo Figlio; chiamata a vivere il Mistero di un Dio-uomo e di un figlio, Figlio di Dio; chiamata, proprio davanti a quella Croce, ad essere Madre di coloro che lo crocifiggono e la Madre di tutti i crocifissi del mondo; chiamata, proprio lì sul Calvario a ridire il ‘sì’, quello più duro e difficile della sua vita, ma anche chiamata ad avere speranza, proprio mentre la morte sembra aver vinto definitivamente. E’ lo sguardo di Simone di Cirene, che mentre brontola perché hanno requisito proprio lui a portare la croce, incrocia lo sguardo sofferente di Gesù e, allora, è disponibile a dare un po’ di sollievo. Ma è soprattutto lo sguardo di Gesù.

Colpisce, nell’ascolto del racconto drammatico della passione, la varietà dell’umanità che attornia Cristo. Ci sono gli apostoli, ci sono le guardie, i giudici, i governanti, il popolo che si lascia sobillare e chiede la liberazione di Barabba, le donne che piangono, gli scaltri e i semplici, i sensibili e gli indifferenti, i poveri e i ricchi, i religiosi ufficiali e i non credenti ufficiali... Gesù ha incontrato e guardato questa nostra umanità nell'orto dell’agonia, nel tribunale, lungo il cammino del supplizio, dall’alto della croce. Ha guardato e abbracciato tutta la storia, ogni uomo nato nel mondo in ogni tempo passato e futuro: il debole e il forte, lo sconfitto e il vincitore. Ma dalla croce il suo sguardo è lo sguardo della misericordia di cui l’uomo mai potrà compiutamente rendersi conto. Aveva detto: "Ho pietà di questa folla". La croce è il momento della verità. La pietà di Gesù non è sentimento ostentato o istintivo, quasi obbligato o subito per obbedienza, è forza concreta di donazione per gli altri. La croce, attraverso lo sguardo di chi sopra vi sta morendo diventa allora rivelazione della misericordia di Dio. Il nostro sguardo che ha accompagnato oggi l’ingresso di Gesù nella città santa e che ha seguito il cammino doloroso del Salvatore diventi come lo sguardo di quel centurione che di fronte alla croce, "vistolo spirare in quel modo disse: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio".

 

 

LUNEDI’ 17

Lunedì santo; Sant’Aniceto; San Roberto

Parola di Dio: Is. 42,1-7; Sal. 26; Gv.12,1-11

IL PROFUMO DELLA FEDE "MARIA, PRESA UNA LIBBRA DI OLIO PROFUMATO, COSPARSE I PIEDI DI GESU’ E LI ASCIUGO’ CON I SUOI CAPELLI". (Gv. 12,3)

Dopo il clamore gioioso degli ‘Osanna’ che abbiamo sentito ieri, prima degli ‘a morte!’ che sentiremo venerdì, ecco questo momento di pacata gioia familiare.

Sembra quasi che Gesù si sia allontanato volentieri dal chiasso della grande città, dalle dispute teologiche, dagli intrighi religioso-politici. Dagli affari di chi specula sul religioso, per trovare calore in una famiglia di amici.

Betania è la casa dell’amicizia, c’è la gioia di Marta e Maria che ospitano Colui che ha ridato loro vivo il fratello Lazzaro.

Direi che è una casa piena di profumi. C’è il profumo dell’accoglienza gioiosa, c’è il profumo di buoni piatti che Marta, la signora della casa sa preparare, c’è il profumo di questo unguento che Maria versa sui piedi di Gesù. C’è ammirazione, riconoscenza, trepida attesa, c’è gratuità di Gesù, di Marta, di Maria, di Lazzaro, c’è il profumo della fede… unica nota stonata, unico profumo non gradito è l’accenno al denaro, al calcolo, all’ipocrisia.

Gesù, se fossi vissuto io ai tuoi tempi, pochi giorni prima di morire saresti venuto a casa mia sicuro di trovarvi tanta amicizia, pace e tanti buoni profumi?

Vorrei che per Te, anche il mio cuore fosse sempre Betania. Non ti ho ancora capito fino in fondo, non sono ancora capace di accoglierti come si dovrebbe, ma ti voglio bene. Sono ancora preso dai miei peccati che ti mettono in croce, ma voglio stare ai tuoi piedi come Maria. Non so darti molto e neppure esprimere con le parole quello che intuisco esserci nel cuore, ma il tuo grande amore e il mio povero amore riempiono ancora di profumo la mia casa. E soprattutto non permettere che il danaro e l'attaccamento alle cose trasformi il profumo in puzza. Aiutami a capire il gratuito del tuo amore, perché mi ami senza alcun mio merito, e tutto quello che ho è dono. E insegnami la gioia del donare gratuitamente e ad imparare che è estremamente bello poter rendere contenta una persona senza pretendere niente.

 

 

MARTEDI’ 18

Martedì santo; San Galdino; San Calogero

Parola di Dio: Is. 49,1-6; Sal 70; Gv. 13,21-33.36-39

UN MODO NUOVO DI USARE LA TESTA

"ED EGLI (GIOVANNI) RECLINO’ LA TESTA SUL PETTO DI GESU’" (Gv. 13,25)

Giovanni, l’autore del Vangelo, ricorda bene l’episodio. Questo atto di appoggiare la testa sul cuore di Gesù è un momento di intimità profonda. E’ un insegnarci ad usare la testa in modo diverso. Si dice: "avere la testa sul collo", per indicare una persona equilibrata; si dice: "ha una gran testa" per indicare uno che conosce tante cose. La testa la usiamo per ragionare, per giudicare, per dirigere… Giovanni "usa la testa" per abbandonarsi all’amico, quasi a captare i battiti del suo cuore. Se la nostra preghiera qualche volta fosse così: un farsi piccoli, un perdersi, un abbandonare i gesti formali, le parole per arrivare a Lui, al suo cuore!

Non è intimismo e neanche sentimentalismo, è entrare nel cuore di Dio, un cuore che batte per ogni uomo sulla terra, che porta in sè tutte le passioni, le sofferenze, le solitudini, le miserie. Un cuore che gioisce con i piccoli della terra, un cuore che si fa parte ai poveri, un cuore che accoglie speranze e desideri, che trepida per le scelte dei suoi figli, che legge nelle intenzioni dei cuori.

Chi, nella preghiera, sa entrare in quel cuore entra anche nel cuore del mondo amato da Dio. Ecco la vera preghiera mistica che diventa amare come ama il cuore di Dio e che diventa dilatare il proprio cuore, battere all’unisono col cuore di Gesù.

E quando, come Giovanni, rialzerai il capo non sarai più come prima: tu sarai ancora di più nel suo cuore e nel tuo cuore ci sarà il Suo per amare i fratelli.

 

 

MERCOLEDI’ 19

Mercoledì santo; Santa Emma di Gurk

Parola di Dio: Is. 50,4-9; Sal. 68; Mt. 26, 14-25

AMORE E TRADIMENTO SIEDONO ALLA MEDESIMA TAVOLA  

"UNO DI VOI MI TRADIRA’". (Mt. 26,21)

Gesù aveva già annunciato che "il Figlio dell’uomo dovrà molto soffrire, essere tradito (consegnato) nelle mani degli uomini ed essere crocifisso", ma adesso "è giunta l’ora", e l’ora di Gesù prende l’avvio dalla sua donazione totale a Dio per noi.

Nel vangelo sono quasi contemporanee due domande: "Dove vuoi che prepariamo per la Pasqua?" nella quale Gesù donerà se stesso, e "quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?" cioè Gesù che accetta di essere ‘consegnato’ per diventare l’Agnello Pasquale immolato per noi.

In quella cena convergono il servizio (Gesù che lava i piedi) e il potere del denaro (trenta denari per il Figlio dell’uomo), la gioia più profonda (pane e vino donati, benedetti, consumati per la nostra salvezza) e la tristezza di un cuore incompreso, tradito.

Penso che in qualche modo ciascuno di noi lo ha sperimentato: ami una persona, ti metti gioiosamente al suo servizio, condividi con essa quello che hai e poi scopri che la tua amicizia è incompresa, il tuo servizio utilizzato per quanto può rendere in denaro e potere, scopri che le tue parole sono volutamente travisate, che tu sei venduto per niente. E non ti consola neanche il pensiero che come hanno tradito te tradiranno altri perché stanno tradendo se stessi.

Gesù ama Giuda, ama tutti i dodici ma vede la loro debolezza e paura e sa che il tradimento, l’abbandono arriverà in un modo o in un altro da parte di tutti e nonostante questo li amerà ancora, ma prova tutta la delusione di non essere capito nel suo amore.

E’ inutile ‘cercare il colpevole’, Giuda è troppo mio fratello per giudicarlo, ha troppe caratteristiche simili alle mie per cui non mi sento talmente sicuro di non fare come ha fatto lui. Anzi è meglio che giudichi di più me stesso, infatti quante volte ho detto: "Signore, ti amo con tutto il cuore" e poi per un po’ di denaro, per un po’ di gloria, per un gradino in più nel mio posto di lavoro… "non tradirò mai un fratello: sono fedele" e poi quante volte cambiando l’aria sono cambiate le amicizie, le ‘fedeltà’ agli ideali e alle persone. Chiedo solo al Signore di non far mancare almeno un po’ di luce nel momento della tentazione e un po’ di luce nel momento del peccato perché la disperazione non abbia il sopravvento ma il pensiero della misericordia crocifissa faccia nascere la nostalgia del ritorno a casa.

 

 

GIOVEDI’ 20

Giovedì santo; Santa Adalgisa; Sant’Agnese di Montepulciano

Parola di Dio: Es.12,1-8.11-14; Sal.115; 1Cor. 11,23-26; Gv.13,1-15

PRIMA LETTURA (Es 12, 1-8. 11-14)

Dal libro dell'Esodo.

In quei giorni, il Signore disse a Mosè e ad Aronne nel paese d'Egitto: "Questo mese sarà per voi l'inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno. Parlate a tutta la comunità di Israele e dite:

Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per consumare un agnello, si assocerà al suo vicino, al più prossimo della casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l'agnello, secondo quanto ciascuno può mangiarne. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo serberete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. E` la pasqua del Signore! In quella notte io passerò per il paese d'Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto, uomo o bestia; così farò giustizia di tutti gli dei dell'Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio, quando io colpirò il paese d'Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne".

 

SECONDA LETTURA (1 Cor 11, 23-26)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga.

 

VANGELO (Gv 13, 1-15)

Dal vangelo secondo Giovanni.

Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?".

Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo". Gli disse Simon Pietro: "Non mi laverai mai i piedi!". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me". Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!".

Soggiunse Gesù: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti". Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: "Non tutti siete mondi". Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. "

 

RIFLESSIONE

 

La giornata di oggi è un invito di Gesù a partecipare al suo mistero.

Quel cenacolo in cui Gesù ha invitato i suoi amici per celebrare nel ricordo, nella gioia, nella lode e nel ringraziamento la Pasqua degli Ebrei, è anche il luogo dove Gesù invita noi a far memoria, ad essere gioiosamente e teneramente partecipi di Lui e del suo mistero di amore nei nostri confronti.

"Nella notte in cui stava per essere tradito…"

Gesù ha anticipato tutti.

I Sommi sacerdoti, gli scribi, i farisei da tempo sono all’opera per catturarlo. Gesù li anticipa facendosi catturare da ogni uomo che voglia riceverlo.

Giuda ha già pattuito il prezzo per ‘consegnare’ Gesù, e Gesù si consegna prigioniero nell’Eucaristia per restare con noi ogni giorno di vita.

Gli aguzzini stanno preparando gli strumenti di tortura e la croce e Lui offre già al Padre per noi il "suo sangue versato".

Cenacolo, momento della tenerezza, della fraternità, del servizio, dell’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio, ma anche momento di grandi contrasti: c’è l’amore più squisito e totale e il tradimento, la gioia ma anche il dolore, le promesse e le paure, il servizio e la voglia di primeggiare, la ricerca del colpevole, l’affermazione della propria sicurezza…

Ebbene, a quel cenacolo sei invitato.

Gesù è venuto apposta per chiederti di essere suo commensale. Non c’è nessuno che possa chiuderti la porta del cenacolo in faccia. Ogni uomo era ed è nel cuore di Dio che vuol compartecipare se stesso.

A quel cenacolo si partecipa con gioia e meraviglia, ma soprattutto con umiltà. La stessa umiltà delle cose scelte da Gesù: un grembiule, un catino, dell’acqua, del pane e del vino.

Non devi portare niente se non te stesso, non ti rubano niente di tuo, non ci sono tasse da pagare, devi solo lasciarti lavare i piedi da parte di Dio e riceverai perdono, Eucaristia, sacerdozio, missione.

Se ti lasci fare da Gesù entrerai in comunione con Lui, una comune unione al suo corpo e al suo mistero.

Riceverai, offrirai, consumerai quel suo Corpo che Maria ha intessuto all’ombra dello Spirito santo nella sua gravidanza e nella sua maternità, quel corpo gioioso, esuberante di vita che ha lavorato e riposato, che ha camminato e gioito, che ha sofferto, che è stato flagellato, bestemmiato, ricoperto di sputi, incoronato di spine, crocifisso, che è morto e risorto. Diventerai, poco alla volta un’anima sola e un corpo solo con Lui. Potrai, poco per volta dire con Paolo: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me".

Per fare Eucaristia, l’unica clausola che ci è chiesta è di lasciarci lavare i piedi e di imparare a lavarci i piedi. Per il resto è Lui la fonte del sacerdozio universale e ministeriale; Lui è il senso dell’Eucaristia.

Pietro, pieno di meraviglia e, come al solito, avendo capito poco, non vuole che Gesù faccia il gesto dello schiavo nel lavare i piedi al suo padrone, ma Gesù con umiltà e fermezza gli chiede di lasciarsi lavare i piedi.

Gesù è venuto, Lui, il Figlio di Dio, per farsi schiavo al nostro posto.

Lui è l’Agnello immolato che versa il suo sangue per noi.

Non ha paura dei nostri piedi sporchi.

I nostri peccati gli spiacciono in quanto mancanza d’amore, ma non lo spaventano.

Chiesa di Dio, lasciati lavare i piedi da Cristo!

Non arrogarti il diritto di sentirti già Chiesa di puri.

Non metterti al posto di Dio!

Non costruire barriere e non mettere inciampi nel cammino dei poveri peccatori, anzi, amali come Cristo li ha amati!

Sono più sporchi i piedi di Pietro, di Giovanni o di Giuda? Non importa! Cristo è ai piedi di Pietro e li lava, ai piedi di Giovanni e li lava, ai piedi di Giuda e li lava. Starà poi a Pietro, a Giovanni, a Giuda capire, comprendere, accettare.

Lo stesso farà Gesù con il suo Corpo: si ‘consegnerà’ sia a chi posa il suo capo sul Suo petto, sia a chi cerca il traditore per togliersi un peso e per poter condannare qualcuno, sia a colui che tronfio di se stesso giura e spergiura di essere sicuro di non tradire e di difendere Gesù a costo della vita, sia a Giuda.

Chiesa di Dio, non dire mai a nessuno: di quel pane non puoi mangiarne, aiuta tutti invece a scoprire in quel Pane, il Pane dei peccatori che sono amati e che vengono redenti, aiuta a capire che non è il peccato come violazione di norme morali (spesso difficilmente distinguibili se volute dalla volontà di Dio o da quella degli uomini), a impedire l’accesso al pane di Dio. L’unica cosa che fa bestemmia all’Eucaristia è non riconoscere chi è e chi ci dà quel Pane, è non lasciarsi trasformare da quel Pane, è abusare di quel Pane per sentimentalismo, per false spiritualità, per abitudine, per ritualismo.

E il sacerdozio ministeriale da dove nasce?

Certo da quel: "Fate questo in memoria di me", inteso non solo però come: "fate i Sacramenti, avete il potere", ma "siate come me", anzi, forse ancor più: "siate come coloro che hanno bisogno e servono".

Anche noi, preti, anzi, forse ancora più degli altri perché più abbiamo ricevuto, abbiamo bisogno di farci lavare i piedi, di purificarci dal nostro stupido orgoglio di casta, di imparare non solo a dettare norme per la salvezza degli altri, ma di lasciarci salvare. Abbiamo bisogno di riscoprire la nostra umanità povera ma redenta, abbiamo bisogno di smetterla di sentirci dei "messi da parte", dei "privilegiati", ma di riscoprire la gioia del servizio. E’ ora di smetterla di correre dietro ad onori mascherati da servizi, è l’ora di capire che l’unica nota stonata in pieno in quel cenacolo sono i trenta denari che non comprano né vendono Gesù perché per amore Lui si è già consegnato nelle nostre mani, ma che hanno venduto Chiesa e Gesù proprio nel momento in cui uomini di Chiesa li hanno ritenuti importanti.

E allora, oggi, nell’intimità gioiosa di quel cenacolo mi riscopro peccatore come tutti i miei fratelli, riscopro i piedi sporchi, ma anche Cristo chinato davanti a me a lavarmeli, riscopro un pane non premio per i buoni ma che mi dà forza per il cammino e che se riconosco e accetto mi trasforma, riscopro una Chiesa non fatta di gerarchie e di potere, ma di partecipazione e servizio, scopro la Croce, dura, ma come dono, scopro e spero di usare sempre un pane da spezzare, del sangue da donare e un catino ed un asciugamano da usare come ha fatto Gesù.

 

 

VENERDI’ 21 - Venerdì santo; Sant’Anselmo; Santa Sandra

Parola di Dio. Is. 52,13-53,12; Sal. 30; Eb. 4,14-16; 5,7-9:

Gv. 18,1-19,42

 

 

SABATO 22 - Sabato santo; San Leonida; Santi Apelle e Lucio

 

 

DOMENICA 23 - Pasqua di Risurrezione del Signore - San Giorgio; Santa Norina

Parola di Dio: Atti 10,34.37-43; Sal. 117; Col. 3,1-4 (oppure 1Cor. 5,6-8); Gv. 20,1-9

PRIMA LETTURA (At 10, 34. 37-43)Dagli Atti degli Apostoli.

In quei giorni, Pietro prese la parola e disse:

"Voi conoscete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunziare al popolo e di attestare che egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio. Tutti i profeti gli rendono questa testimonianza: chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome>>.

 

SECONDA LETTURA (Col 3, 1-4)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi.

Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.

 

VANGELO (Gv 20, 1-9)

Dal vangelo secondo Giovanni.

Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!".

Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.

Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò.

Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte.

Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.

 

RIFLESSIONE

 

Durante la celebrazione della scorsa notte, in chiesa, al buio, è entrata la luce di una candela. Essa era piccola, tremolante, ma proprio perché buio, tutti hanno potuto vederla. Poi, poco alla volta, proprio partendo da quella luce, tutti hanno acceso le loro candele e la luce ha riempito la chiesa."Dio ha risuscitato Gesù il terzo giorno", dice san Pietro nella prima lettura di oggi."Non è qui", dice l’angelo indicando alle donne il sepolcro vuoto. "Se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù", ci ha ricordato Paolo. Che effetto fa, oggi, nel 2000, gridare gioiosamente, celebrare, dire: "Cristo è risorto"? Buona parte del nostro mondo non conosce neppure Cristo. Per altri la risurrezione è un mito: Gesù è stato un grand’uomo della storia, ha detto cose rivoluzionarie e quindi è finito male perché il potere e l’ordine costituito non potevano permettersi un elemento di disturbo come era lui; molte delle cose che ha detto possono essere valide, ma tutto finisce lì. Per molti altri la risurrezione c’è stata, ma è un fatto personale di Gesù (beato Lui!), infatti dopo duemila anni tutti moriamo ancora. Ed ecco, allora, che anche oggi molti "cristiani" si recano in chiesa per tradizione, per abitudine a compiere dei riti religiosi spesso celebrati con altrettanta abitudine ripetitiva da sacerdoti più becchini della morte che ministri della vita. Maria di Magdala, quel mattino, non correva, il suo era un andare triste verso quella tomba dove avevano messo a riposare il corpo amata del Maestro. Oggi, almeno in città, non siamo più abituati, anche la morte va in fretta e in carro funebre automobilistico e se ti perdi un semaforo rischi di arrivare a tomba chiusa, ma ricordo certe sepolture di paese dove a passo lento, magari accompagnati dal suono di una marcia funebre suonata da una ‘banda’ sgangherata o dall’alternarsi del Miserere tra il prete e le voci delle ‘rosine’, in silenzio (finché durava) si seguiva il feretro fino all’ "ultima dimora". Eppure la tristezza di Maria Maddalena viene disturbata: "Vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro". Anche la pace di un cimitero è stata sconvolta. Ricordo il senso di dramma che provai quando, visitando certi cimiteri del Friuli, subito dopo il terremoto, vedevo che il sisma non aveva rispettato neanche i morti, e mentre si cercava spazio per seppellire i corpi di chi era stato vittima del terremoto, si doveva riseppellire chi, già morto, era stato rimbalzato fuori da loculi e cellette. Maria di Magdala non riesce a capire quella tomba vuota, ma lascia il suo passo da sepoltura per mettersi a correre: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo hanno posto". Vi siete mai chiesti perché tanto stupore, paure, incredulità negli apostoli e nelle donne?

Non sarà perché è più facile accettare la morte piuttosto che credere che si possa averla vinta su lei? Non amiamo la morte, cerchiamo in tutti i modi di combatterla, ma alla fine la accettiamo e ogni giorno non solo la subiamo ma le diamo sempre più spazio per operare collaborando a distruggere il creato, a mettere a rischio la nostra vita, a spianare la sua strada . La morte ci fa piangere e gridare, ma renderci conto che la morte è stata vinta, ci turba, disturba il nostro modo miope di vedere la vita solo per ciò che si vede e si tocca. L’antica sequenza di Pasqua che abbiamo letto diceva: "Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa". E, allora, è ora di smetterla di andare alla sepoltura di Dio. Chi va in chiesa, oggi, non va a visitare una tomba. Il Tabernacolo non è un’urna cineraria, lì c’è il Pane della vita. L’Eucaristia non è un rito commemorativo organizzato da un’impresa di pompe funebri in occasione di un anniversario di morte, è la memoria viva dell’amore di Dio morto e risorto e operante in mezzo a noi. Oggi l’angelo della risurrezione, guardando a certe messe e a certi cristiani dovrebbe dire tante volte: "Non è qui! Qui opera ancora la morte, questa religiosità è idolatria superstiziosa e formale, questo cristiano di Cristo non ha niente perché non solo non sa vivere la croce ma la subisce, ma soprattutto non sa vivere la vita e la immola continuamente alla morte." Il più grande nemico della Pasqua non è l’incredulità, è l’indifferenza o l’abitudine. Qualcuno mi dirà: "Ma cammina con i piedi per terra! Dov’è che la morte è vinta? Dopo quella ‘risurrezione’ ci sono quasi duemila anni in cui i cimiteri hanno continuato a riempirsi: grandi e piccoli, poveri e ricchi, umili e scienziati, nessuno si è salvato dalla morte!" E’ vero, ma se credi, da dopo la risurrezione di Gesù, la morte non è più la stessa, è cambiato anche il dolore, si sono aperte porte che danno una prospettiva diversa. Ripetiamoci ancora la frase di Paolo: "Se siete risorti con Cristo…" Il senso della nostra Pasqua è qui. Se risorgere è solo qualcosa che tocca Cristo e non noi, oggi, è una cosa, ma se ci riguarda adesso, cambia tutto. Non è possibile celebrare la Pasqua se non siamo disposti a lasciarci mettere in discussione, a rivedere la scala dei valori. Una festa che non incida sulle scelte, sugli orientamenti di fondo della nostra esistenza, che non ci metta dentro la voglia di una "nuova creazione", che non semini nel nostro cuore il tormento e la nostalgia di un futuro diverso, è una parodia della festa cristiana. Vivere la risurrezione è soprattutto permettere che Lui sconfigga la nostra paura più inguaribile: la paura di uscire fuori dal sepolcro… Eppure la pietra tombale, quella che ci murava nel nostro mondo vecchio, soffocante in cui eravamo rimasti prigionieri e soprattutto cui eravamo ormai rassegnati, è stata scaraventata lontano da Cristo. E noi possiamo e dobbiamo uscire con Lui fuori dalla prigione. Lui ci fa passare (Pasqua) nel mondo nuovo. Dobbiamo abituarci alla luce, all’amore, alla libertà, alla pace. Gesù è "passato per primo", è "passato avanti", il che significa che anche noi possiamo ‘passare’ dove è passato Lui. Credere alla risurrezione significa guardare avanti, non voltarsi indietro. La vita cristiana per offrire una testimonianza completa deve unire due momenti : quello del Calvario e quello della risurrezione. Si arriva alla gioia del mattino di Pasqua soltanto passando attraverso le tenebre del Venerdì Santo. Ma chi rimane fermo al Calvario è in ritardo sul Vivente e chi scavalca la Croce non potrà mai riconoscere il risorto, ossia colui che porta le ferite della croce. Siamo dunque disposti ad accogliere e recare questa buona notizia al mondo? Attenzione ad una cosa, però: solo una persona viva che cioè vive in pienezza è in grado di annunciare il Vivente.

 

 

LUNEDI’ 24

Lunedì dell’Angelo; San Fedele da Sigmaringen; Sant’Erminio

Parola di Dio: Atti 2,14.22-32; Sal. 15; Mt. 28,8-15

SI PUO’ CREDERE A CERTI TESTIMONI?

"QUESTO GESU’, DIO LO HA RISUSCITATO, E NOI TUTTI NE SIAMO TESTIMONI". (Atti 2,32)

Secondo voi è facile dar credito a qualcuno che afferma di essere testimone della morte di un uomo e poi della sua risurrezione? Anche perché la morte di quell’uomo può essere provata con inoppugnabili dati storici, mentre, per quanto riguarda la sua risurrezione, essa sta solo nelle affermazioni di chi dice di averlo visto e toccato vivo dopo la sua morte.

Quand’è che noi possiamo accettare una testimonianza?

Umanamente, quando qualcuno afferma una determinata cosa senza che vi siano altre strade per provare quanto dice, si cerca di capire chi sia il testimone e che credibilità possa meritare.

Stando ai documenti, testimoni di aver incontrato Gesù vivo dopo la morte sono Maria di Magdala e le pie donne, qualche discepolo, a più riprese gli undici apostoli, ed un imprecisato gruppo di circa 500 persone.

Le donne offrono credibilità proprio grazie alla loro semplicità: non possono essersi inventate una cosa del genere con apparizioni e la loro stessa paura di quanto sta succedendo gioca a loro favore. Qualcuno però può dire: "Erano innamorate, soggiogate da Gesù, quindi persone facilmente suggestionabili".

Gli apostoli: qualcuno può pensare: "Dire che Gesù è risorto è tutto a loro favore. Possono far credere di non essersi sbagliati, possono sperare che i vecchi seguaci di Gesù si riaggreghino a loro". Ma vi sembra che quegli undici fossero così astuti da costruire un apparato così perfetto? In precedenza non hanno dimostrato tanta sagacia e poi, non sono scappati tutti per paura di far la stessa fine di Gesù, ed ora riproponendo Gesù vivo e sottolineando la sua divinità non si mettono nella situazione di venir condannati anche loro come bestemmiatori? I Vangeli stessi poi parlano di apostoli nascosti, paurosi, dubbiosi su se stessi, incapaci, da soli, fino alla discesa dello Spirito Santo, a dare testimonianza.

Ma, aldilà di questo c’è per me una duplice prova del fatto di poter credere alla testimonianza della comunità primitiva e della Chiesa sulla risurrezione di Gesù.

I pagani guardavano alle comunità primitive con tutti i loro dubbi di fede, ma non potevano fare a meno di dire: "Guarda come si vogliono bene!". La miglior testimonianza della risurrezione è vedere coloro che la affermano mettere in pratica, al ‘vivo’ gli insegnamenti del loro Maestro.

E la seconda prova della veridicità della testimonianza riguarda la Chiesa di oggi: se dopo duemila anni di problemi, peccati, egoismi, tentativi mai finiti di unire religione e potere, se dopo guerre sante e roghi, la Chiesa delle persone umili e semplici c’è ancora e ancora dà segni di speranza, di carità, di eroismo, di martirio è perché, dietro, deve esserci vivo quel Gesù Figlio dell’uomo e Figlio di Dio, morto e davvero risorto.

 

 

MARTEDI’ 25

San Marco; Santa Franca; Sant’Evodio

Parola di Dio: Atti 2,36-41; Sal. 32; Gv. 20,11-18

SE ASCOLTI BENE C’E’ QUALCUNO CHE TI CHIAMA PER NOME

"LE DISSE GESU’: "DONNA, PERCHE’ PIANGI? CHI CERCHI?". ESSA, PENSANDO CHE FOSSE IL CUSTODE DEL GIARDINO, GLI DISSE: "SIGNORE, SE LO HAI PORTATO VIA TU, DIMMI DOVE LO HAI POSTO E IO ANDRO’ A PRENDERLO". (Gv. 20,15)

Maria di Magdala sembra non potersi staccare da quel giardino, da quel sepolcro nella roccia dove hanno seppellito Gesù. Ha sostato davanti a quella tomba dove le bende sono piegate. Piange. Fa venire in mente l’innamorata del Cantico dei Cantici che si alza di notte e va in cerca del suo amato per tutta la città e domanda alle guardie: "Avete visto l’amato del mio cuore?".

Non sa rassegnarsi. E’ venuta presto, al mattino per compiere ancora un atto di amore e di rispetto a quel corpo così caro. Lo hanno rapito? Hanno voluto fargli ancora un ultimo disprezzo dopo tutto quello che aveva già subito?

Il desiderio di trovare il Signore, che lei chiama "mio" con grazia e riconoscenza, l’amore ardente che non le dà sosta sono le condizioni che conducono all’incontro con Gesù, che però a causa dei suoi occhi pieni di lacrime essa scambia per l’ortolano.

"Perché piangi? Chi cerchi?" E lei chiede un’indicazione. E’ disposta a tutto pur di riavere quel corpo amato per potergli dare degna sepoltura.

Ed ecco il suo nome sulle labbra di quell’uomo: "Maria!". Solo Gesù sa pronunciarlo così. E’ lui che già un’altra volta per regalarle la sua misericordia l’ha chiamata così. Gli occhi possono essere impediti dalle lacrime, ma non si può non riconoscere questa voce: "Maestro buono!".

Se vuoi incontrare Gesù, se vuoi sentire la sua voce che anche oggi pronuncia il tuo nome come lo ha pronunciato tutte le volte che ti ha regalato il suo perdono, mettiti alla sequela di Maria di Magdala, la peccatrice perdonata.

Essa ha amato con tutta se stessa Gesù. Sentimenti, riconoscenza, cuore, impegno, servizio, condivisione tutto è stato una cosa sola per Lui.

Ha sofferto per la sua morte, per la sua lontananza, ha pianto per le sue ferite, ma non si è data per vinta. L’amore l’ha portata lì, nonostante la morte del Maestro.

Ha conservato nel silenzio del cuore il ricordo di una voce e questo adesso le permette di riconoscerla.

E’ disponibile a lasciare entrare in sé la gioia ma anche a continuare a mettersi alla sequela del Maestro.

Amare, soffrire, esserci, far silenzio, conservare nel cuore, saper ascoltare, gioire, seguire, sono i verbi per sentirsi chiamare ogni giorno da Colui che amiamo, ma che soprattutto ci ama.

 

 

MERCOLEDI’ 26

San Marcellino; San Pellegrino Laziosi

Parola di Dio; At 3,1-10; Sal 104; Lc.24,13-35

FARE I CONTI "NON POSSIEDO NE’ ORO NE’ ARGENTO, MA QUELLO CHE HO TE LO DO’: NEL NOME DI GESU’ IL NAZARENO, CAMMINA!". (At 3,6)

Pietro ha imparato bene la lezione da Gesù: sa che può dare proprio quando non ha niente. Gesù ci ha salvati gratuitamente proprio quando sulla croce non aveva più niente di suo. Pietro non ha né oro né argento (che bella una Chiesa libera da queste pastoie!) e allora può dare gratis Gesù.

Quando siamo calcolatori andiamo in perdita (in perdita di amore), quando ci impoveriamo donando gratuitamente possiamo fare miracoli.

Vi propongo una piccola storia di Bruno Ferrero: forse può essere utile anche per certi rapporti educativi…

Una sera, mentre la mamma preparava la cena, il figlio undicenne si presentò in cucina con un foglietto in mano.

Con aria stranamente ufficiale il bambino porse il pezzo di carta alla mamma, che si asciugò le mani col grembiule e lesse quanto vi era scritto:

"Per aver strappato le erbacce dal vialetto: £ 5.000

Per aver ordinato la mia cameretta: £ 10.000

Per essere andato a comperare il latte: £ 1.000

Per aver badato alla sorellina (tre pomeriggi): £ 15.000

Per aver preso due volte ‘ottimo’ a scuola: £10.000

Per aver portato fuori l’immondizia tutte le sere: £ 7.000

Totale £ 48.000".

La mamma fissò il figlio negli occhi, teneramente. La sua mente si affollò di ricordi. Prese una biro e sul retro del foglietto scrisse:

"Per averti portato in grembo per nove mesi: £ 0

Per tutte le notti passate a vegliarti quando eri ammalato: £ 0

Per tutte le volte che ti ho cullato quando eri triste: £ 0

Per tutte le volte che ho asciugato le tue lacrime: £ 0

Per tutto quello che ti ho insegnato giorno dopo giorno: £ 0

Per tutte le colazioni, i pranzi, le merende, le cene e i panini che ti ho preparato: £ 0

Per la vita che ti do ogni giorno: £ 0".

Quando ebbe terminato, sorridendo la mamma diede il foglietto al figlio. Quando il bambino ebbe finito di leggere ciò che la mamma aveva scritto, due lacrimoni fecero capolino nei suoi occhi.

Girò il foglio e sul suo conto scrisse: "Pagato". Poi saltò al collo della madre e la sommerse di baci.

Quando nei rapporti personali e familiari si cominciano a fare i conti, è tutto finito. L’amore è gratuito. O non è.

 

 

GIOVEDI’ 27

Santa Zita; San Liberale

Parola di Dio: Atti 3,11-26; Sal. 8; Lc. 24, 35-48

VEDERE E TOCCARE CONFERMANO PRESENTE E PASSATO "GUARDATE LE MIE MANI E I MIEI PIEDI: SONO PROPRIO IO! TOCCATEMI E GUARDATE".

(Lc. 24,39)

Ciascuno di noi, per credere ha un bisogno innato di ‘vedere’, di ‘toccare’. Gesù risorto si fa vedere, toccare dagli apostoli. La risurrezione non è una fantasia degli undici o un’allucinazione di massa: è una realtà concreta. E Gesù, facendo vedere e toccare le ferite della sua passione, fa sì che se ci fossero ancora dubbi, esse lo identifichino vivente. Il Risorto è il Crocifisso tornato in vita. La risurrezione non solo non cancella il passato ma lo glorifica. E il Cristo glorioso continua ad essere in mezzo a noi nei segni del Crocifisso. Qualche volta siamo portati a dire: "Beati gli apostoli, hanno potuto vedere, toccare, rendersi conto che era proprio Gesù, che stava davanti a loro in carne ed ossa. Noi invece dobbiamo solo fidarci di quello che loro ci hanno raccontato". Eppure, se sai fare attenzione, il Crocifisso Risorto lo puoi incontrare quotidianamente. Puoi leggere i segni della sua passione e della sua glorificazione, oggi, in mezzo a noi. I segni della sua croce li vediamo nei corpi martoriati dalle violenze, dalle guerre, dalle malattie; i suoi dolori li incontriamo negli abbandonati, nei traditi; i segni della gloria sono presenti nella speranza e nell’amore. Cristo è ancora con noi. La sua Incarnazione non è finita e la sua resurrezione opera ancora il passaggio dalla morte alla vita, dall’egoismo all’amore, dal dolore alla speranza. Ma per incontrare il Crocifisso Risorto bisogna avere ben aperti gli occhi della fede. Gesù, poi, facendo questo gesto di mostrare le sue ferite, dice a noi anche un’altra cosa. Anche gli uomini di oggi per credere hanno bisogno di ‘vedere ‘ e di ‘toccare’. Il cristiano non può accontentarsi di dare una testimonianza fatta di parole e di teologia. "Fammi vedere che per te, Gesù è davvero il Risorto, il vivente - ci dicono i nostri contemporanei – siamo abituati a sentirne tante di parole: promesse di politici, teorie filosofiche, speranze religiose artefatte, adatte solo ad acchiappare benevolenza e soldi… Fammi vedere Gesù!" E il cristiano questo può e deve farlo. Gesù è vivo e risorto quando il cristiano si fa ‘toccare’ dalle necessità degli uomini, quando si fa ‘mangiare’ dalla loro fame, quando fa ‘vedere’ la sua gioia, la sua speranza.

 

 

VENERDI’ 28

San Pietro Chanel; San Luigi Grignon de Montfort

Parola di Dio: Atti 4,1-12; Sal 117; Gv.21,1-14

UN CUOCO SPECIALE TI INVITA A CENA

"GESU’ DISSE LORO: VENITE A MANGIARE". (Gv. 21,12)

Specialmente in questa settimana, leggendo i racconti delle apparizioni del Risorto (avete notato che in tutti e quattro i Vangeli non c’è il racconto della risurrezione? E’ un fatto di Dio, nessuno lo ha visto con i propri occhi), abbiamo capito quali sono le strade per riconoscere in Gesù il Messia Vivente: lasciarci "ardere il cuore", cercare conferma nella Parola di Dio, spezzare il pane, aprire gli occhi per vedere, sentire il proprio nome sulle labbra di Gesù, toccare e vedere.

Il Vangelo di oggi ci suggerisce un altro modo per vedere e far vedere il Risorto: Gesù Risorto prepara da mangiare e invita a mensa (non solo quella Eucaristica, ma quella della sopravvivenza e della fraternità). Ed è proprio con questo che Gesù vuol convincere gli Apostoli sul fatto che la sua risurrezione non è solo un evento straordinario, miracoloso, ma anche la completa realizzazione dell’amore fraterno. Questi pescatori, già ‘pescati’ da Gesù diverse volte, sono chiamati a vedere in Lui non solo il Risorto ma anche Colui che, proprio in virtù della sua risurrezione, chiama alla fratellanza, alla compartecipazione, alla solidarietà.

Quante volte la nostra Chiesa dovrebbe essere uno stare insieme più che un insieme di riti, di teologie, di parole. Dovremmo al di là di tutte queste cose, riuscire ancora a mettere insieme un po’ di pane, un po’ di pesce intorno al fuoco preparato da Gesù.

E poi, ancora una cosa: il credente, invitato a cena da Gesù, non dovrebbe aver imparato a spezzare il pane? E’ incredibile, eppure nei nostri paesi occidentali, cristianizzati, ogni anno buttiamo nella spazzatura migliaia di tonnellate di pane senza pensare che a poche ore di volo da noi sarebbero manna per fratelli che soffrono la fame. Gesù disse loro: "Venite a mangiare", non sarebbe il più bel segno della risurrezione, se invece di parole offrissimo un pane concreto a chi attraverso il pane donato potrebbe anche riconoscere la bontà del Dio che si è fatto pane per tutti?

 

 

SABATO 29

Santa Caterina da Siena

Parola di Dio: Atti 4,13-21; Sal.117; Mc. 16,9-15

GESU’ E IL MONDO TI ASPETTANO, NONOSTANTE LA TUA INCREDULITA’

"ANDATE IN TUTTO IL MONDO E PREDICATE IL VANGELO AD OGNI CREATURA". (Mt. 16,15)

Il Vangelo è davvero straordinario: ci spiazza sempre. Dopo le apparizioni alle donne, ai discepoli di Emmaus e più volte agli apostoli stessi, essi dubitano ancora! Gesù che ha passato tre anni ad insegnare loro con scarso successo, che li ha visti scappare davanti alla sua passione e che li vede ora dubbiosi e timorosi davanti alla sua risurrezione, potrebbe, disgustato, dire: "Basta!". E, invece, proprio in questo momento, mentre essi preferiscono rifugiarsi nel lutto, piuttosto che nel creder alla vita, Lui li fa ‘missionari’, quasi a voler guarire la loro incredulità accordando la massima fiducia.

"Signore, ho poca fede" diciamo noi, ed è vero.

"Signore ho paura a dover lasciare quelle che sono le mie sicurezze", ed è vero.

Ma Gesù dice: "Ho bisogno di te, della tua povertà, dei tuoi limiti; non preoccuparti d’altro, mi conosci: con pochi pani e pochi pesci ho sfamato folle; è bastata un po’ di fede per guarire malati e risuscitare morti. Se mi lasci arrivare al tuo cuore, se ti lasci innamorare di me, anche in te, come in mia Madre, posso fare cose grandi!"

Da quegli undici, paurosi, è nata in pochi anni una Chiesa che, senza aerei, autostrade, televisione e computer, è arrivata in Africa, in Europa e a Roma cuore del grande impero. Come mai, oggi, specialmente nei paesi cosiddetti cristiani, la fede langue? Abbiamo bellissime chiese diventate museo, tra coloro che si dicono cristiani almeno il 50% soffre di inappetenza perché non va mai all’Eucarestia, in compenso gli altri, cominciando proprio dalla chiesa gerarchica parlano, parlano, dissertano di tutto, costruiscono a tavolino o con decreti una Chiesa meravigliosa di puri ortodossi che invece nella realtà non esiste.

Gesù non ha aspettato che i suoi avessero capito tutto, che avessero studiato bene la lezione e superato a pieni voti l’esame, non ha neanche fatto piani pastorali pluriennali, ha preso quegli undici come erano e li ha mandati "in tutto il mondo" (ce n’è per la fantasia di tutti, da due metri da casa tua fino alla lande più lontane).

Gesù chiede anche a me di fidarmi non di me stesso ma di Lui e di uscire finalmente allo scoperto, di lasciarmi scuotere il cuore dalla sua buona notizia, di uscire dal torpore, di imparare ad usare le gambe.

 

 

DOMENICA 30

2^ Domenica di Pasqua B  -  San Pio V°, San Giuseppe Benedetto Cottolengo

Parola di Dio: Atti 4,32-35; Sal. 117; 1Gv. 5,1-6; Gv.20,19-31

PRIMA LETTURA (At 4, 32-35)

Dagli Atti degli Apostoli.

La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno.

 

SECONDA LETTURA (1 Gv 5, 1-6)

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo.

Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti, perché in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Questi è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con acqua soltanto, ma con l'acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità.

 

VANGELO (Gv 20, 19-31)

Dal vangelo secondo Giovanni.

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò". Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Poi disse a Tommaso: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!". Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!". Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

RIFLESSIONE

 

Mi è sempre piaciuto chiamare questa seconda domenica dopo Pasqua non soltanto con il nome ufficiale che le viene dato, "domenica in Albis", in ricordo del vestito bianco che portavano fino a questa domenica i battezzati la notte di Pasqua, ma anche chiamarla più familiarmente "la domenica di Tommaso". Tommaso infatti è molto caro alla mia ’spiritualità’ perché mi assomiglia, per lo meno nei suoi dubbi e nella sua concretezza. Ma, sia nel ricordo dell’ottava di Pasqua, sia nelle letture che ci sono proposte nella liturgia odierna scopriamo anche tanti altri significati. Ve ne propongo alcuni lasciando poi alla sensibilità di ciascuno di approfondirli.

Il Vangelo ci ricorda due apparizioni di Gesù: la prima è proprio la sera di Pasqua, l’altra "otto giorni dopo". Questo significa che i primi cristiani cominciano a considerare il giorno successivo al sabato, giorno della risurrezione di Gesù, come il "giorno del Signore", e questo sia per continuare i valori espressi dal sabato ebraico, sia per distinguersi dall’ebraismo celebrando la risurrezione del Messia Gesù.

Che cosa significa per le comunità primitive e per noi celebrare il giorno del Signore?

Innanzitutto è riconoscere che tutto quello che abbiamo nel dono prezioso del tempo non è nostro ma ci viene dato da Dio. Quanto abbiamo bisogno di ricordarcelo sovente noi che spesso pensiamo di essere gli unici possessori dei beni della terra, gli indispensabili facitori del futuro del nostro mondo, gli unici artefici della nostra vita ("mi sono fatto con le mie mani").

Ogni attimo è un dono, la mia intelligenza è un dono, i figli sono un dono, io sono un piccolo granello di polvere grande, non per le conquiste della scienza e della tecnica, ma grande perché amato personalmente da Dio.

La domenica è rimettere Dio al suo posto, cioè al centro della vita e del mondo.

Ma la domenica è anche il ritornare alle nostre radici, è riscoprire la nostra storia e soprattutto la storia di Dio e tutto questo ci viene rivelato dalla Parola di Dio che si è intessuta lungo i secoli con la storia degli uomini.

Ecco perché ci rifacciamo alla Parola di Dio, celebrata, proclamata, ascoltata, meditata per poter poi essere vissuta. E il centro di questa parola è la Parola Incarnata, Gesù, Figlio di Dio morto e risorto per noi. Non ci rifacciamo a vecchi libri e vecchie storie, non ci rivolgiamo alle sapienze umane delle generazioni passate, ci rifacciamo a Qualcuno che ci parla oggi, che ci interpella oggi, che oggi vive e parla in mezzo a noi.

Ecco perché il giorno del Signore non lo si vive, o si subisce, lo si celebra.

Celebrare vuol dire manifestare con gioia, cantare, vivere insieme… Sono proprio così le nostre domeniche e le nostre celebrazioni? Spesso la domenica si ‘celebrano’ altri riti: il weekend fuori porta, la grande abboffata, il lavaggio della macchina… e le nostre chiese vedono spesso gente distratta, annoiata, che spesso guarda l’orologio sperando che finisca presto, si vedono celebranti, magari agghindati da festa ma distratti, abituati alla ripetitività delle parole e dei gesti, o predicatori che approfittano del silenzio imposto per poter maltrattare la gente, sdottoreggiare su tutti gli argomenti, pavoneggiarsi con quattro parole difficili .

Il giorno del Signore è poi ricevere i suoi doni: alla Messa non si va perché il Signore vuole qualcosa da noi; Lui non vuole prenderci proprio niente, vuole donarci qualcosa. Il vangelo di oggi ci ricorda almeno quattro dei principali doni che Gesù vuol farci nel "suo giorno":

"Pace a voi".

Gesù viene a portare la pace. Il suo non è un messaggio per dividere gli uomini in categorie o in sette, è per dare a ciascuno la possibilità di trovare in se stesso il senso della vita e dei suoi valori. La pace di Gesù "non è come quella che dà il mondo", una pace fatta di compromessi armati, di accordi stipulati, di rabberci in situazioni difficili, è la pace di Dio, è la forza del perdono da ricevere e da dare, è il coraggio della verità, è l’accettazione e la trasformazione della croce e della sofferenza, è la speranza nel presente e nel futuro.

"Ricevete lo Spirito Santo".

Ci viene donato quello Spirito che unisce il Padre e il Figlio e con loro è un'unica cosa, quello Spirito che "alitava sulle acque" all’inizio della creazione, quello Spirito che ha adombrato Maria e l’ha resa Madre di Dio, quello Spirito che ha fatto risorgere Gesù dai morti, quello Spirito che è il Consolatore, che rida la vita, che ci fa creature nuove, che ci rende capaci di pensare con i pensieri di Dio.

"A chi rimetterete i peccati saranno rimessi".

Il dono del perdono di Dio è affidato alla Chiesa che ce lo dà nei Sacramenti: "Se anche i tuoi peccati fossero come lo scarlatto diventeranno bianchi come la neve", "Non sono venuto per i sani, ma per i malati, non per i giusti o per quelli che si ritengono tali, ma per i peccatori". E’ proprio la croce di Gesù che continua a segnarci per il perdono: "Padre, perdonali!".

"Prendete e mangiate…".

Non solo siamo invitati alla mensa di Dio, ma Lui si fa pane per noi, ci rende capaci di comprendere e di annunciare la sua sofferenza e la sua morte, ci trasfigura di gioia con la sua risurrezione, ci rende disponibili a riconoscere la sua venuta in quel pane e nei fratelli. E sì, perché tutti questi doni ci aiutano a riscoprire l’esistenza dei fratelli, prima di tutto dei fratelli di fede: abbiamo bisogno di appoggiare la nostra fede su quella degli altri e gli altri hanno bisogno di noi, poi di tutti i fratelli con i quali condividere i doni ricevuti, con i quali imparare ogni giorno a spezzare il pane come ha fatto Cristo con noi. E allora, ecco l’Eucaristia e il Giorno del Signore come agape fraterna, come condivisione gioiosa, come momento di superamento delle divergenze: "Se mentre stai facendo la tua offerta al tempio ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì la tua offerta , vai da tuo fratello, riconciliati e poi torna a fare la tua offerta".

E, ancora, il giorno del Signore dovrebbe farci sentire che siamo mandati: "Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi".

Altro che: "La messa è finita, andate in pace!" ("meno male, ce la siamo tolta anche per questa settimana"). No! La messa è cominciata e non finisce più, la gioia che dovresti aver provato non può cessare alla porta della chiesa, i doni ricevuti non si mettono nel cassetto fino a domenica prossima, non si ripone l’abito della fede come se fosse da usare solo in certe occasioni solenni.

Ripenso ancora proprio a Tommaso.

Aveva amato Gesù, era stato chiamato da Lui, lo aveva seguito, ma quei tre anni non lo avevano ancora cambiato, e, come tutti gli altri, vedeva ancora con i suoi occhi terreni.

L’esperienza sconvolgente che lo cambia è l’incontro con il Risorto.

L’ha toccato, l’ha visto: è proprio Lui e non lo rimprovera neppure se non benevolmente per la sua incredulità. Questa esperienza viva non lo lascerà mai più, ora davvero sente di nuovo la chiamata, ora può bruciare davvero tutta la sua vita per Gesù.

Il giorno del Signore dovrebbe essere questa esperienza per noi: incontrare Cristo, poterlo sentire, toccare, vedere, dire : "E’ proprio Lui" e portare questa gioiosa e travolgente esperienza nella nostra settimana e nella nostra vita.

Quando riesci ad inginocchiarti ai piedi del Signore e a dire nell’abbandono più totale "Mio Signore e mio Dio", allora vuol dire che sei pronto a partire con Lui e per Lui.

 

TRENTA PENSIERI PER TRENTA GIORNI

 

1. GENITORI

Il problema negativo non è quello di un figlio illegittimo, ma quello del genitore illegittimo: cioè il problema di un uomo e di una donna per i quali la nascita di una creatura è soltanto un incidente. (Nazzareno Fabbretti)

 

2. GENTILEZZA

Per molte persone una parola di incoraggiamento, un atto di gentilezza o di confidenza possono rappresentare la differenza tra la disperazione e la speranza.

(J. Maurus)

 

3. GIOCO

Scopri di più su una persona in un'ora di gioco che in un anno di conversazione. (Platone)

 

4. GIOIA

E' certamente singolare che in una società nevrotica come la nostra gli uomini sprechino le loro energie per guadagnarsi la vita, e quasi mai per viverla e basta. Ci vuole un notevole coraggio per dire chiaro e tondo che lo scopo della vita è viverla, e viverla con gioia. (Yutang Lin)

 

5. GIORNALE

Nella nostra epoca travagliata, occorre più che mai distogliere gli occhi dal giornale quotidiano per alzarli verso quel giornale eterno le cui lettere sono le stelle, il cui contenuto è l'amore, e il cui redattore è Dio. (Ch. Morgenstern)

 

6. GIORNO

Chi ti dà il giorno ti dà anche il necessario al giorno. (San Gregorio di Nissa)

 

7. GIOVANE

Non ridere delle affettazioni di un giovane: sta provando un volto dopo l'altro, finché non avrà trovato il suo. (Smith Logan Pearsahl)

 

8. GIOVANI E ANZIANI

Dite ai giovani che il mondo esisteva già prima di loro, e ricordate ai vecchi che il mondo esisterà anche dopo di loro. (Giovanni XXIII°)

 

9. GIUDICARE

Nessun uomo può giustamente criticare o condannare un altro uomo, perché nessun uomo ne conosce veramente un altro. (Th Browne)

 

10. GIUDIZI

Se pensi che tutto il mondo sia sbagliato, ricordati che contiene esseri come te. (Gandhi)

 

11. GIUDIZIO FINALE

La morte è come la macina del mugnaio. Gettatevi del grano e ne uscirà farina. Gettatevi della ghiaia e ne uscirà sabbia. (Jean Debruynne)

 

12. GIURAMENTO

Chi giura, confessa che la sua semplice parola non val niente; giacché al galantuomo basta dire sì e no, per essere creduto. (Cesare Cantù)

 

13. GIUSTIZIA

Rendi giustizia a tuo fratello e finirai con amarlo. Ma se sei ingiusto con lui perché non l'ami, finirai coll'odiarlo. (Rusckin)

 

14. GIUSTO

Ci sono soltanto due specie di uomini: giusti che si credono peccatori e peccatori che si credono giusti. (Blaise Pascal)

 

15. GLORIA

Il tempo non si ferma ad ammirare la gloria; se ne serve e passa oltre. (F.R. de Chateaubriand)

 

16. GOLOSI

L'ingordigia è un rifugio emotivo: è un segno che qualcosa ci sta divorando. (F. Vries)

 

17. GOVERNARE

Chi non è capace di governare se stesso non sarà mai capace di governare gli altri. (Gandhi)

 

18. GRANDEZZA

La grandezza non consiste nell'essere questo o quello, ma nell'essere se stessi; e questo ciascuno lo può, se lo vuole. (Kierkegaard)

 

19. GRATIFICAZIONE

Una delle più grandi gratificazioni della vita è che nessuno può cercare sinceramente di aiutare un'altra persona senza aiutare se stesso. (Charles Warner)

 

20. GRATITUDINE

I bambini sono grati alla befana che mette nelle loro calze doni di giocattoli e di dolci. Posso io non essere grato a Dio che mi ha messo nelle calze il dono di due meravigliose gambe? (Chesterton)

 

21. GRETTEZZA

I fatti di tutti i giorni sono piccoli, se vediamo piccolo. (Cesare Zavattini)

 

22. GRUPPO

Il "gruppo" aumenta la possibilità di parlare: ma diminuisce quella di pensare; una testa che pensa, è esposta a tutti i venti della rosa dei venti, ha bisogno di far silenzio in sè. (Vittorio G. Rossi)

 

23. GUAI

Distogliete i vostri pensieri dai guai: prendeteli per le orecchie, per i calcagni o in qualunque altro modo vi riesca. E' l’azione più salutare che una persona possa fare. (Mark Twain)

 

24. GUERRA

Non è più possibile che gli uomini e noi, servitori della Chiesa di Cristo, ci rassegnamo all'idea di una guerra. Ogni guerra è un crimine. (Vaschen I°)

 

25. IDEALI

la meta prefissa nel mare tempestoso della vita. (Karl Schuerz)

 

26. IDENTITA’

Prima di morire, Rabbi Zusya disse: "Nel mondo che verrà, non mi chiederanno: perchè non sei stato Mosè?, ma mi chiederanno: perchè non sei stato Zusya?". (Martin Buber)

 

27. IDIOTA

Non discutere mai con un cretino. Gli altri potrebbero non accorgersi della differenza. (Arthur Block)

 

28. IGNORANZA

E' la profonda ignoranza quella che suggerisce il tono dogmatico. (La Bruyere)

 

29. ILLUSIONI

La natura ha voluto che le illusioni esistessero per i savi come per i pazzi, affinché i primi, con la loro saggezza non fossero troppo infelici. (Nicholas de Chamfort)

 

30. IMBECILLITA’

Per avere un’idea di infinito, basta pensare all’imbecillità umana. (Cartesio)

     
     
 

Archivio