Archivio

 
     
     

SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

MARZO 2000

 

MERCOLEDI’ 1

Sant’Albino, Santa Eudossia; Santa Nina

Parola di Dio: 1Pt. 1,18-25; Sal. 147; Mc. 10,32-45

"GESU’, PRENDENDO IN DISPARTE I DODICI, COMINCIO’ A DIR LORO QUELLO CHE GLI SAREBBE ACCADUTO". (Mc. 10, 32)

Ci sono nella mia vita due o tre episodi di cui mi vergogno tristemente, e sono episodi in cui, davanti ad una persona che ti stava facendo una confidenza o che ti offriva di partecipare ad un momento intimo della sua esperienza vitale, io, per l’incapacità di comprendere, per paura di non essere all’altezza, in fondo per incapacità di amare, cercavo di mascherare la situazione nascondendomi dietro a sciocche battute, a luoghi comuni, a chiacchiere.

Agli apostoli del Vangelo di oggi succede così: Gesù li chiama in disparte per confidare loro il mistero di se stesso. Li considera amici, pensa che abbiano già fatto un po’ di strada con Lui e che quindi possano essere in grado di avvicinarsi al mistero della sua morte. Quelli non lo ascoltano neppure. Due di loro, anzi, chiedono i posti d’onore nel prossimo Regno di Gesù e gli altri si indignano con loro perché anch’essi ambiscono ai medesimi posti.

E per noi non è forse ancora un po’ così? Gesù ci parla della sua morte e noi non vogliamo sentire parlare di morte e sofferenza, Lui ci sta facendo una confidenza perché pensa che un amico potrebbe avere un po’ di comprensione e noi discutiamo sulla bontà o meno del Padre che permette la sofferenza di suo Figlio; Gesù ci parla di se stesso e della sua donazione a noi e noi continuiamo a parlare soltanto di noi stessi o di Chiesa.

E se avessimo, io per primo, un po’ più di pudore davanti al mistero della Croce? Se la smettessimo di sbandierare crocifissi e segni di croce e stessimo un po’ più zitti davanti alla croce di Gesù, questa, con la sua voce forte ma tenue, non avrebbe ancora tante confidenze da farci?

 

 

GIOVEDI’ 2

San Quinto il Taumaturgo

Parola di Dio: 1Pt. 2,2-5.9-12; Sal. 99; Mc.10,46-52

"EGLI, GETTATO VIA IL MANTELLO, BALZO’ IN PIEDI". (Mc.10,50)

Quando è avvenuta la guarigione del cieco Bartimeo?

Indubbiamente Marco, in questo racconto indica catechisticamente tutto un cammino per poter "vedere Cristo", guarire dalla nostra cecità, e andargli dietro; se volete (lo abbiamo già fatto altre volte) basta prendere i verbi del racconto per scoprire il cammino indicato: I verbi della malattia: "stava seduto", ‘mendicava’. Essere ciechi, oltre che non permetterti di vedere, ti costringe all’immobilità, e se non ti muovi non puoi neppure provvedere a te stesso, e, allora, per cavartela, già grazie se riesci a mendicare qualcosa dagli altri. Ma se non hai avuto il dono della vista non abbatterti, non scoraggiarti, hai altri doni che puoi affinare: "al sentire che c’era Gesù… cominciò a gridare". In ogni uomo ci sono dei doni, delle possibilità. Un vecchio prete, davanti ai miei piagnistei su presunti doni mancati, mi diceva: "Quando giochi a scopa e ti vengono tutte "lecce", che cosa fai? Butti le carte? No, giochi lo stesso. Sei sicuro di non farcela a fare primiera e neanche il settebello, ma carte e ori possono essere tuoi e con carte basse e doppie si possono moltiplicare le occasioni di scopa!". E mi piace anche questo cieco che non si lascia intimidire neanche dalla ‘elemosina’ che pensano di fargli i benpensanti cercando di zittirlo e di non fargli fare brutta figura.

Quando arriva la chiamata, "balzò in piedi… e venne da Gesù", come dire: "non ci vedo, ma se c’è una voce che mi chiama, che mi orienta…!"

E che dire del fatto che, dopo la guarigione, "prese a seguirlo per la strada"? E’ colui che è stato illuminato e che ora segue la luce.

Ma a me piace leggere il momento della guarigione non tanto solo nel dialogo tra Bartimeo e Gesù, quanto in un gesto, forse impulsivo, ma che il cieco fa quando ancora non ci vede. "Egli, gettato il mantello…". Quel mantello era la sua casa, il suo riparo, la sua possibilità di guadagno. Per un povero cieco era tutta la sua ricchezza. Pensate che l’Antico Testamento diceva che se anche uno avesse avuto un grande debito, non era giusto requisirgli il mantello, o al massimo bisognava restituirglielo per la notte… Il mantello era la coperta del cieco, era il panno su cui si sedeva a mendicare, era il luogo sul quale cadevano le monete delle offerte. Perché, dunque, Bartimeo butta via il mantello? Perché nella sua fede ormai è sicuro del miracolo, è sicuro che quel mantello non sarà più la sua casa costringente, ora potrà farne a meno, libero di muoversi, di guadagnarsi da vivere con il proprio lavoro. Veramente grande la fede di quest’uomo! Ma, la sua rinuncia è poi gran cosa rispetto al dono che riceve?

 

 

VENERDI’ 3

Santa Cunegonda; San Marino di Cesarea

Parola di Dio: 1Pt. 4,7-13; Sal. 95; Mc. 11,11-26

"NESSUNO POSSA MAI PIU’ MANGIARE I TUOI FRUTTI". (Mc.11,14)

E’ quello della maledizione del fico uno degli episodi evangelici che lasciano più perplessi. Gesto di rabbia di Gesù per una fame non appagata? Gesto premonitore? E poi, perché l’Evangelista ci complica ancor di più la vita dicendoci che quella non era la stagione dei fichi?

Ho letto almeno una ventina di tentativi di interpretazione da parte degli esegeti, ma nessuno troppo convincente. E allora, con voi, mi accosto con umiltà a questa pagina.

Secondo me Gesù non va a cercare fichi perché ha fame (veniva da Betania e, figuriamoci se Marta si era lasciata scappare l’occasione di preparargli una buona colazione!). Gesù va a cercare frutti dal suo popolo, là dove quella sua pianta, coltivata da Dio nei secoli, trapiantata, difesa, concimata, potata, dovrebbe portare i frutti. Gesù vorrebbe trovare sempre almeno il frutto della riconoscenza, del perdono ricevuto e donato, i frutti dell’amore… non ci sono stagioni per questi frutti.

E, l’albero dell’ebraismo che frutti ha portato, almeno nella sua ufficialità? (ricordiamoci che siamo alle porte di Gerusalemme) Una religione fonte di potere, l’ipocrisia, una legge che uccide invece di salvare…

E sull’albero della Chiesa ci sono frutti?

E quando Gesù alza gli occhi verso la mia pianta, che cosa ci trova?

E’ inutile dire: "Non è ancora stagione! A suo tempo provvederò (sono forse io il padrone del tempo?)". Per il Signore è sempre la stagione dei frutti e per tutto quello che Lui ha fatto per me, ha tutti i diritti di venirli a cercare, e, davanti a Lui, non basta neppure dire: "Ma guarda quante belle foglie ci sono!". Come non bastano le adunate oceaniche per dire che la Chiesa è viva, così non bastano le mie chiacchiere di cristiano per dimostrare la fede, non bastano le tante buone intenzioni se tali rimangono, non bastano programmazioni, sinodi diocesani che normalmente producono… tonnellate di carta, non bastano neanche le "Schegge e scintille" se non portano a qualche frutto concreto sia per chi le scrive che per chi le legge.

Il buon Gesù, il dolce Gesù che sulla croce perdona i suoi crocifissori in questo caso maledice il fico ed esso secca. Non so spiegarmi l’episodio ma pensando alle mie tante foglie e ai miei pochi frutti, un po’ di turbamento mi rimane.

 

 

SABATO 4

San Casimiro; San Lucio I°

Parola di Dio: Gd. 17.20-25; Sal. 62; Mc.11,27-33

"GLI SI AVVICINARONO I SOMMI SACERDOTI, GLI SCRIBI E GLI ANZIANI E GLI DISSERO: CON QUALE AUTORITA’ FAI QUESTE COSE? O CHI TI HA DATO L’AUTORITA’ DI FARLE?"(Mc.11,28)

Il potere, ogni forma di potere, si regge su norme ben definite. Se la piramide non è ben costruita, se coloro che gestiscono il potere non ne accettano anche le regole ferree, ecco che in un attimo tutto crolla. Chi vuol far soldi deve accettare le leggi del denaro, poi si destreggerà all’interno di esse; potrà perfino sembrare che ne contrasti qualcuna, ma se vorrà rimanere a galla dovrà farsi servo delle leggi del denaro e del mercato.

Chi vuole avere autorità all’interno di un’azienda, di un ufficio, di un partito deve sottostare a tutto un modo di intendere, di agire, di comportamenti, sempre cercando di aver ben chiara la meta per la quale a volte si sacrificano ideali, persone, tempi, affetti.

Può stupire, allora, che siano proprio sacerdoti, scribi, anziani, cioè rappresentanti della religione che fanno una domanda sull’autorità a Gesù?

Purtroppo non stupisce, anche se lascia molto amaro sia in Gesù (che diventa ironico), sia in noi.

Erano preoccupati: se non si mantiene la giusta ortodossia, crolla la costruzione; ognuno può dire e fare quello che vuole; i capi perdono autorità e prestigio; anche i soldi non circolano più bene… Un bel segno di autorità dà l’idea che l’istituzione tenga (provate a leggere la storia di ieri e di oggi: una "bella" guerra può aiutare a vincere le elezioni).

Il pensiero di Gesù è ben lontano. Lui non cerca l’autorità, Lui è l’autorità perché è Dio, Verità , Amore. Ma l’unica, grande, vera autorità non si impone, si propone, non ‘governa’, ma serve, non muta ad ogni soffio di vento, rimane inchiodata, nell’amore, sulla croce.

Questa è l’autorità di Gesù e questo tipo di autorità ha partecipato Gesù ai suoi apostoli e alla Chiesa. Noi siamo Chiesa quando abbiamo al centro della nostra vita l’unica Autorità che è Cristo. Noi siamo Chiesa quando siamo a servizio della Verità e non delle ‘verità’ di passaggio dettate dalle necessità o dal mantenimento di certe tradizioni di comodo. Noi siamo Chiesa quando tutto il nostro essere diventa proposta e non imposizione. Noi siamo Chiesa quando con i fatti mostriamo al mondo il servizio concreto di Cristo ad ogni uomo.

 

 

DOMENICA 5

9^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B  -  Sant’Adriano di Cesarea; San Teofilo

Parola di Dio: Dt. 5,12-15; Sal. 80; 2Cor. 4,6-11; Mc. 2,23-3,6

PRIMA LETTURA (Dt 5, 12-15)

Dal libro del Deuteronomio.

Così dice il Signore: "Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato ".

 

SECONDA LETTURA (2 Cor 4, 6-11)

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, Dio che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre ", rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo. Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale.

 

VANGELO (Mc 2, 23 - 3, 6)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano, e i discepoli, camminando, cominciarono a strappare le spighe. I farisei gli dissero: "Vedi, perché essi fanno di sabato quel che non è permesso?". Ma egli rispose loro: "Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni? Come entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatàr, e mangiò i pani dell'offerta, che soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare, e ne diede anche ai suoi compagni?". E diceva loro: "Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato". Entrò di nuovo nella sinagoga. C'era un uomo che aveva una mano inaridita, e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. Egli disse all'uomo che aveva la mano inaridita: "Mettiti nel mezzo!". Poi domandò loro: "E` lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?". Ma essi tacevano. E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell'uomo: "Stendi la mano!". La stese e la sua mano fu risanata. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.

 

RIFLESSIONE

 

Non vi siete mai chiesti perché Dio abbia creato tutte le cose e perché si sia dato tanta pena per farsi conoscere dagli uomini?

Lo scopo non è stato certamente quello di ottenere che gli uomini, conoscendolo, lo obbedissero come schiavi. Lui è Signore di tutto che cosa se ne fa della nostra obbedienza?

Neppure si è fatto conoscere nella sua grandezza perché noi, ammirati lo lodassimo. Egli è la pienezza e "le nostre lodi non accrescono la sua grandezza".

L’unico motivo della creazione, della rivelazione della redenzione, motivo anche molto ben spiegato nella Bibbia, è l’Amore.

L’Amore ci ha creato e ci ha fatti a sua immagine e somiglianza, il suo Amore ci ha fatti suoi interlocutori, il suo Amore, offeso dall’egoismo dell’uomo, è stato più forte del peccato, perché Lui non ci ha abbandonati, è venuto a cercarci, ci ha fatto suo popolo, ci ha liberati, ci ha mandato Patriarchi e Profeti e soprattutto ci ha donato suo Figlio Gesù che per dirci che ci voleva bene ci ha regalato la sua vita.

E allora come mai, se Dio è amore ci ha dato dei comandamenti, i dieci comandamenti? Quando si ama c’è ancora bisogno di dare delle leggi?

L’uomo ha bisogno di vedere la meta della sua vita ed ha bisogno di indicazioni per non perderla di vista. I dieci comandamenti rispondono proprio a questi bisogni dell’uomo. Non è forse vero che noi desideriamo conoscere Dio e che gli chiediamo: "E che cosa devo fare per vivere felice e per arrivare fino a te?".

Dio, attraverso Mosè, rispettando fino in fondo l’uomo, la sua storia, le sue esigenze di socialità e volendo farsi conoscere nella sua santità, propone all’uomo delle strade che diventano "la via della vita". I comandamenti hanno questo unico scopo: sono gesti d’amore di Dio perché l’uomo possa camminare verso di Lui ed incontrarlo.

Prendiamo ad esempio la legge del sabato di cui si parlava nella prima lettura di oggi. Perché Dio chiede all’uomo di riposare un giorno alla settimana?

I motivi sono molti. Eccone alcuni: è Dio che conduce e guida la creazione, l’uomo, fermandosi, riconosce di non essere lui con il suo lavoro il fine della creazione; il sabato diventa anche il momento della memoria, memoria di Dio, della sua opera, ma anche momento della memoria dei valori familiari, delle necessità del prossimo; il sabato è il momento della lode corale, della gioia, della condivisione anche del cibo particolarmente curato; il sabato è il rispetto dei tempi della natura; il sabato diventa anche anticipo e speranza del sabato definitivo. Quindi Dio dà questa legge per il bene dell’uomo, per la liberazione dell’uomo, per indirizzare l’uomo, la creazione verso di Lui. Ma quando l’uomo perde di vista il motivo per cui una legge viene data o, peggio, diventano gestori di queste leggi coloro che si servono delle leggi per ampliare un potere di religione, ecco che queste leggi diventano schiavitù. La festa del sabato diventa paura di non aver osservato tutte le norme, il riposo diventa tempo per studiare meglio come guadagnare di più, la preghiera diventa un obbligo e non un atto di amore…

Abbiamo parlato del sabato ebraico, ma proviamo concretamente a pensare alla domenica cristiana. Essa è la duplice gioia del ricordo della creazione e della redenzione, è la celebrazione gioiosa della risurrezione di Cristo, è il momento della familiarità della fraternità, del riposo, della gioia della preghiera. E certi moralisti e liturgisti l’hanno fatta diventare una serie di norme: non si può lavorare? E quali saranno i lavori che invece sono permessi? Bisogna andare a messa, pena il peccato mortale, moltiplichiamo allora le messe, non importa se tirate giù in fretta, per dare a tutti la possibilità di farsi gli affari loro e di andare a messa e di non commettere peccato. Si è arrivati addirittura a stabilire i limiti di tempo per dire se una Messa è valida o meno.

Dove è finito l’amore?

Quando le leggi perdono il loro senso non salvano più l’uomo, lo condannano a diventare schiavo e c’è sempre qualcuno pronto ad approfittare della schiavitù degli altri.

Proviamo a pensare alla pagina di Vangelo di oggi.

I farisei sembrano degli uccelli rapaci appostati su una pianta.

Sono a caccia di eresie, di errori contro l’ortodossia della legge.

Hanno puntato i discepoli di Gesù e vedono un gesto molto semplice e spontaneo, raccogliere qualche spiga e sentire tra i denti la fragranza di qualche chicco di grano: peccato gravissimo, è come se lavorassero! C’è tutta una casistica nei loro papiri che condanna gesti come questi. Ma colpire i discepoli, per loro vuol dire colpire il Maestro, è Lui il responsabile di questo peccato, è Lui che è connivente con il loro male, e a ipocrisia si aggiunge ipocrisia.

Gesù è molto chiaro, risponde con la Bibbia e vuol cercare di riportare le cose alla loro origine: "Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato", cioè Dio con il sabato ti dà la possibilità di gioire con Lui, di essere libero, di rispettare la natura e te stesso, il sabato è un Suo gesto di amore nei tuoi confronti e può essere un tuo gesto di amore nei suoi confronti, ma se lo fai diventare solo una serie di precetti, povero te, sei ancora più schiavo e il sabato non ha nessun senso.

E la chiarezza diventa ancora più evidente attraverso il gesto che Gesù compie proprio all’interno della sinagoga dove fa mettere al centro (luogo del rabbino, del sacerdote) un malato e, proprio nella gioia e per la gioia del sabato, lo guarisce.

Ecco, la strada della legge dell’amore porta alla guarigione, alla liberazione. Mentre la strada della "ortodossia leguleia" porta questi cultori del sabato a macchinare, proprio di sabato, l’uccisione di Gesù, cioè la strada della legge per la legge porta alla morte.

I cristiani di oggi hanno bisogno di leggi?

Certamente noi siamo in cammino, nella nostra vita e nella nostra fede, e nel nostro vivere con gli altri non tutto è chiaro; abbiamo bisogno anche noi di indicazioni, di segnali, e, se volete, non abbiamo bisogno di leggi nuove, ancora sono validi i dieci comandamenti letti nella legge dell’amore che Gesù ci ha insegnato.

Se sapessimo riscoprire i comandamenti nell’amore di Gesù, come sarebbe più sereno il nostro convivere con il prossimo, il rispettare con amore le persone, le cose, la natura, il valorizzare la famiglia, la corporeità, la sessualità propria e altrui, e come sarebbe ricco anche il nostro rapportarci a Dio non con la paura, ma con la gioia, non perché ‘devo’ obbedire ma perché con Lui è bello e gioioso ricevere e dare amore.

Ma l’uomo vorrà davvero essere libero?

Qualche volta viene il dubbio di no! Sembra quasi che si cerchino sempre schiavitù nuove camuffate da libertà, il Signore apre il carcere delle leggi in cui altri uomini ti avevano rinchiuso e tu invece di uscire ti affretti a richiudere la porta e a gettar lontano la chiave; ci gloriamo di esserci liberati da pensieri retrogradi, medievali, da paure che ci obbligavano e poi siamo schiavi delle nuove mode e delle teorie di uomini che è evidente che ci sfruttano.

Gesù ci dice con serenità: "Io sono la chiave per aprire i lucchetti delle tue catene, dimmi solo se con l’amore vuoi essere libero o con le leggi per le leggi continuare a rimanere schiavo".

 

 

LUNEDI’ 6

San Colletta; Beata Agnese di Boemia

Parola di Dio: 2Pt. 1,1-7; Sal. 90; Mc.12,1-12

"VERRA’ E STERMINERA’ QUEI VIGNAIOLI E DARA’ LA VIGNA AD ALTRI". (Mc.12,9)

Ancora una volta ci troviamo davanti ad una parabola ricca di riferimenti, non solo sulla persona stessa di Gesù o per chi direttamente lo ascoltava, ma anche per ciascuno di noi. Alcuni la definiscono una parabola allegorica e, aldilà delle interpretazioni moralistiche che ne possiamo dare, possiamo farci alcune domande: Perché Gesù avrà raccontato questa parabola? Quale effetto ha sortito questa parabola? Ricordiamoci che Gesù parla ai Sommi sacerdoti, agli scribi e agli anziani. Quindi non è una parabola diretta al popolo, ma a coloro che sono responsabili della religiosità del popolo di Israele. E questi personaggi capiscono subito che sta parlando di loro, del loro modo di intendere la religione. Infatti vediamo che, alla conclusione del racconto, questi capi "cercarono di catturarlo", cioè si rendono conto che Gesù ha parlato per loro, che Gesù mette in crisi la loro autorità, che Gesù addirittura li accusa di essere bestemmiatori e uccisori di Dio. Ma perché sono rimasti così scandalizzati? Perché la parabola della vigna e dei vignaioli omicidi, è una parabola che mette in evidenza che Israele non è l’unico detentore di Dio. Il padrone di questa vigna è uno straniero che arriva, compra il terreno, costruisce con amore la sua vigna, la pianta, la prepara a portare frutto, la difende, ma poi la affida e se ne và. Dio non è il Dio che tu puoi tenere prigioniero nella tua religione. Dio continua ad interessarsi della sua vigna, Dio desidera che porti frutto per i vignaioli e anche per Lui, però Dio non lo puoi tenere prigioniero nella tua vigna. Questo dava dispiacere ai detentori della religiosità di Israele perché credevano di essere gli unici veri religiosi, e pensavano di poter imporre ciò che volevano di un Dio che credevano di conoscere a tal punto da essere capaci di intendere tutto ciò che Egli voleva da loro e dagli altri. Invece dimostrano di non essere capaci di cogliere quegli unici rapporti che sono rimasti tra Dio e il suo popolo: i profeti, i messaggeri che Dio continua a mandare nella sua vigna. Anzi, sembra quasi che chiunque richiama l’autorità di Dio dia fastidio alla povera e piccola autorità religiosa degli uomini, e allora bastonano, uccidono e non hanno rispetto neanche del Figlio di Dio. Questo Dio che per mantenere i rapporti con il suo popolo manda prima i suoi profeti e poi, per ultimo, quasi diventato povero di tutto e di tutti, manda il suo unico Figlio, si trova davanti l’opposizione più nera e più totale non del popolo, ma da parte dei capi religiosi.

Che cosa vuol dire tutto questo anche per noi?

Direi, prima di tutto, di diffidare di ogni forma di religione assolutistica. Non c’è nessuna religione che ha il potere di detenere totalmente Dio. Dio è più grande di noi, è più grande di ogni religione.

Seconda cosa, la religione serve all’uomo per entrare in rapporto con Dio, non deve mai essere un mezzo di potere umano, se no snatura la sua essenza.

Terzo: bisogna avere occhi per cogliere i continui doni che Dio ci fa anche attraverso i suoi richiami, se no corriamo il rischio di rompere quel filo di amore che Dio, con perseveranza, continua a tenere con noi e si diventa addirittura "uccisori di Dio".

In fondo, a livello pratico, nella nostra vita individuale questa parabola vuole farci comprendere l’amore di Dio e vuole anche ridimensionare le nostre supponenze religiose per riuscire nell’umiltà a cogliere colui che è stato mandato da Dio nell’umiltà della carne per glorificare la nostra vita e la nostra carne.

 

 

MARTEDI’ 7

Sante Perpetua e Felicita

Parola di Dio: 2Pt. 3,12-15.17-18; Sal. 89; Mc. 12,13-17

"E’ LECITO O NO DARE IL TRIBUTO A CESARE?". (Mc.12,14)

Questa volta a fare una domanda capziosa a Gesù sono i farisei e gli erodiani. Essi erano nemici fra di loro, ma avevano questo in comune: per quanto si proclamassero nazionalisti, in pratica collaboravano con i Romani ed ora cercavano di far dire a Gesù che non bisogna pagare il tributo a Cesare per avere il motivo di accusarlo. La trappola è perfetta. Se dice di non pagare il tributo viene eliminato dai Romani che occupano la Palestina, se dice di pagarlo si inimica il popolo ed in modo particolare gli zeloti, che attendono un Messia politico che prenda il potere e liberi il popolo dall’occupazione straniera. Non è forse vero che certa teologia è sempre di moda sotto vari nomi?

La risposta di Gesù non è una semplice astuzia per eludere il problema e non cadere in tranello. Non dice semplicemente: "Date a ciascuno ciò che gli spetta", senza determinare ciò che spetta a ciascuno. Ai suoi tempi il dominio di un sovrano si estendeva ovunque la sua moneta avesse avuto corso legale. E’ ovvio che dove circola quella di Cesare si sottostà al suo dominio, e si rispettano le regole del gioco, tra cui quella di pagargli il tributo.

Ma per Gesù il problema è un altro, è dare a Dio ciò che è di Dio. Come la moneta porta l’immagine di Cesare e appartiene a Cesare, così l’uomo è immagine di Dio e appartiene a Dio. Il tributo da pagargli è quello di darsi a Lui, amandolo con tutto il cuore e amando il prossimo come se stessi. Questo significa dare a Dio ciò che è di Dio. Così diventiamo ciò che siamo: simili a Lui, di cui portiamo l’immagine e questo non solo a livello personale ma anche nei rapporti con gli altri. Gesù, dunque, risponde con precisione alla domanda dei suoi avversari, prendendo le sue distanze da loro, ma anche dagli zeloti, che vogliono prendere il potere, pensando che per ottenere il Regno di Dio basti semplicemente cambiare etichetta al regno dell’uomo. Di illusi del genere, ingenui o meno, ce ne sono sempre tanti, in ogni epoca. Per Gesù, i termini dell’alternativa non sono Dio e Cesare, bensì Dio ed ogni tipo di movimento umano, anche chiamato di liberazione, che in qualche modo intende occupare il monopolio dell’assoluto che compete solo a Dio. Per questo ogni vero profeta resta sempre ad una discreta distanza da ogni genere di potere.

 

 

MERCOLEDI’ 8

MERCOLEDI’ DELLE CENERI

San Giovanni di Dio

Parola di Dio: Gl. 2,12-18; Sal. 50; 2Cor. 5,20-6,2; Mt. 6,1-6.16-18

CHE COSA METTERE NELLA BORSA DA VIAGGIO.

"COSI’ DICE IL SIGNORE: RITORNATE A ME CON TUTTO IL CUORE". (Gl 2,12)

Eccoci, siamo arrivati ad un'altra tappa! Un'altra data, un’altra scadenza! Qualche volta viene persino a noia il succedersi delle cose, dei tempi, delle tradizioni. Quando suonano dentro di noi certi richiami, il più delle volte uno li vede come il tempo che passa. E anche dal punto di vista religioso spesso la ripetitività spesso non aiuta: la Quaresima, poi la Pasqua, poi l’Ascensione, la Pentecoste e avanti verso le vacanze e poi… tutto ricomincia con l’Avvento, il Natale…Come venire fuori dalle abitudini che incrostano la nostra vita e la rendono piatta?

Quest’anno c’è una proposta per noi cristiani: l’Anno santo. Anche questo, lo abbiamo già detto, può essere fagocitato da mille altre cose e da interessi diversi, ma, se vogliamo, possiamo coglierne alcuni aspetti positivi. E uno degli aspetti di questo anno di misericordia e di grazia di Dio, che ci viene proposto è il pellegrinaggio. Cerchiamo di cancellare subito pullman e aerei, alberghi e porte sante di altre città da varcare.

Una volta il pellegrino partiva tra mille pericoli e si metteva in viaggio per esprimere attraverso questo gesto qualcosa di molto profondo che aveva dentro: la ricerca, il senso del pentimento, il voler incontrare Dio e la sua misericordia.

Se volete, con voi, in questa Quaresima vorrei incominciare un pellegrinaggio. Non so se questo nostro camminare ci porterà lontano, non so se per incontrare Dio e Gesù dovremo fare lunghi cammini verso mete lontane o faticosi cammini dentro noi stessi.

Ma, se volete, cominciamolo questo nostro pellegrinaggio verso la Pasqua, non solo con un po’ di cenere in testa che ci ricorda la nostra miseria e povertà umana e che esprime anche il nostro desiderio di essere purificati, perdonati dalla misericordia di Dio, ma anche rendendoci concretamente disponibili a questo cammino.

E quali sono le cose che possiamo portarci dietro, quelle che dobbiamo lasciare e quelle che dobbiamo per forza avere?

La liturgia di oggi e il modo di fare di Gesù con i primi apostoli ci dicono il necessario: "Non prendete due tuniche, ne due paia di sandali, non prendete la borsa con i denari, non prendete dietro né cibo, né troppe cose, prendete soltanto il bastone per sostenervi e mettetevi in viaggio nella speranza". Ecco allora che questo nostro pellegrinaggio comincia nella semplicità. Tre cose ci vengono dette nel Vangelo odierno: la preghiera, la carità o l’elemosina, e il sacrificio o il digiuno. Se vogliamo camminare liberi da ogni pesantezza non portiamoci dietro altro. Nel cammino verso noi stessi non ci serviranno libri, ci servirà la parola di Dio e la decisione di voler entrare in noi per scoprire l’opera di Dio. Non ci saranno necessarie tante vettovaglie, basta il pane che Dio ci dà ogni giorno, il suo Pane. Non ci saranno necessari tanti ricambi di vestiti, anche perché il più delle volte è necessario arrivare alla meta nudi, senza maschere, senza ipocrisie. Ci serve invece il bastone, quello che servì a Mosè per fare aprire il Mar Rosso, quello con il quale fece scaturire l’acqua dalla roccia. Ci serve il bastone non per darlo sulla schiena di qualcuno, ma per appoggiarci, perché le nostre due gambe da sole non bastano, ci vuole la roccia di Dio che ci sostiene. E allora ci mettiamo in cammino con la preghiera. Forse non sappiamo neppure pregare bene, ma il desiderio è che, per arrivare alla meta, per incontrare veramente Dio, ci sia già la presenza di Dio al nostro cammino e allora lo invochiamo e gli chiediamo di esserci vicino. E con Lui vogliamo andare proprio là dove Lui vuole.

 

 

GIOVEDI’ 9

Santa Francesca Romana; San Gregorio di Nazianzo

Parola di Dio: Dt. 30,15-20; Sal. 1; Lc. 9,22-25

DA CHE PARTE ANDARE ?

"IO PONGO DAVANTI A TE LA VITA E IL BENE, LA MORTE E IL MALE". (Dt 30,15)

Ieri abbiamo preparato l’attrezzatura per il nostro viaggio. Poche cose, ma essenziali: il bastone di Dio per accompagnarci e sostenerci, la preghiera, l’essere liberi da ogni peso attraverso la carità, il saper di dover affrontare con decisione e con forza le avversità anche attraverso l’allenamento al sacrificio. Adesso ci chiediamo: "Ma dov’è la nostra meta? Dove andare?".

Dio, tramite Mosè, ci dice oggi: "Vedi, Io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male". A prima vista sembra facile poter scegliere. Noi tutti amiamo la vita, non vorremmo mai la morte e il male. Ma è proprio tutto così facile?

Spesso la morte si è camuffata da vita; provate ad esempio a pensare come il denaro passi per felicità: "Se avessi quella cifra, quella casa, quella macchina, quelle cose, come sarei felice!". Eppure spesso scopriamo che invece il denaro è morte, disperazione, angoscia, sofferenza per noi e per altri.

Ancora, spesso la vita viene considerata come qualcosa da gustare e spremere fino in fondo: pensate a certi giovani che per divertirsi arrivano a bruciare la propria vita con la droga, con dei rischi assurdi per scommettere con altri e con se stessi, con l’alta velocità delle macchine al sabato sera.

E così pure vale l’esempio opposto: ti può capitare di trovare delle persone malate, sfortunate che sono serene, ti può capitare di trovare dei barboni che hanno un cuore limpido e tranquillo pur non avendo nulla. Ecco allora la prima conclusione: la felicità, la vita come pure la morte, il dolore non stanno nelle cose.

Allora sarà la Legge che stabilisce la vita e la morte?

Certo, se noi apriamo i comandamenti di Dio, come dicevano i salmisti possiamo dire anche noi: "Nella tua legge è la mia gioia". Perché all’origine la legge di Dio serve proprio ad illuminare l’uomo sulla vita e sulla morte, sulla gioia e sulla sofferenza. Ma, attenzione, anche la legge di Dio se perde l’anima non serve più al suo scopo perché diventa osservanza di norme che si impongono all’uomo senza che l’uomo ne scopra davvero il significato profondo e quindi schiavizza l’uomo.

Dove sarà allora la vera sede per scoprire dove è la vita e dove la morte, dove è la nostra meta?

La coscienza?

E’ un elemento molto pericoloso. Una cattiva coscienza può giustificare dei crimini, pensate ad esempio come una cattiva coscienza sociale, magari spinta dai potenti di questa terra ha fatto diventare giuste addirittura delle guerre, quasi che ci fossero delle guerre cattive e delle guerre buone!

Eppure la coscienza è davvero la sede dello Spirito Santo, è la sede della Sapienza di Dio e se l’uomo è attento la coscienza può far vedere davvero con gli occhi di Dio. Ma che cosa occorre? Prima di tutto che la coscienza sia informata, cioè che la coscienza abbia dei punti di riferimento, dei punti validi e seri e che abbia soprattutto come riferimento Dio stesso. E siccome da soli questo non sempre possiamo farlo, ecco allora che, con umiltà ma anche serietà, una buona coscienza deve confrontarsi con ciò che dice la Chiesa, con ciò che dicono i fratelli, per poi trovare in se stessa e nello Spirito la capacità, in onestà, di giungere a delle conclusioni e a delle scelte di vita. Una buona coscienza poi non è una coscienza totale e definitiva per sempre, pur essendo una la verità, ma è sempre una coscienza in cammino.

Siamo dunque alla conclusione della prima domanda. Se la coscienza è in cammino, noi con la coscienza e con Dio possiamo camminare verso la strada della vita che pur non essendo sempre facile, è quell’avventura meravigliosa a cui Dio ci chiama ogni giorno.

 

 

VENERDI’ 10

San Macario; San Vittore; Santa Maria Eugenia Milleret

Parola di Dio: Is. 58,1-9; Sal. 50; Mt. 9,14-15

MA ESISTE ANCORA IL PECCATO?

"GRIDA A SQUARCIAGOLA, NON AVER RIGUARDO; DICHIARA AL MIO POPOLO I SUOI DELITTI, ALLA CASA DI GIACOBBE I SUOI PECCATI". (Is.58,1)

Abbiamo appena iniziato il nostro pellegrinaggio e subito dobbiamo fare i conti con un grande scoglio: il peccato.

Ma, esiste poi davvero o è una invenzione dei preti e dei religiosi per tener buona la gente? In che cosa consiste il peccato? E’ vincibile?

Quando a qualcuno non piace una cosa cerca di nasconderla oppure di esorcizzarla, ad esempio, a nessuno piace la morte e allora si vive come se la morte non esistesse. La si incontra tutti i giorni, ma la si irride. Negli ospedali viene nascosta da un pietoso paravento. Negli spettacoli si cerca di esorcizzarla attraverso l’ironia, le maschere, le battute che tendono a farci superare la paura di lei. Così è successo per il peccato. E’ vero, c’erano state e ci sono tante esagerazioni, ma siccome il peccato fa paura perché lo ritroviamo in noi, perché ne subiamo le conseguenze, perché se ce ne accorgiamo ci colpevolizza, perché è una fatica combatterlo, allora è più facile dire che non c’è. Provate a pensare a tante frasi, da quelle degli psicologi moderni a quelle della gente comune: "Il bene e il male fanno parte della vita", "E chi non sbaglia?"…

L’idea giusta di peccato la si recupera solo se si ha l’idea giusta di bene.

Se vedo il bene capisco ciò che gli si oppone. Se vedo Dio vedo anche tutto ciò che gli è contrario. E se onestamente scopro ciò che si oppone a Dio e al bene, scopro l’esistenza del peccato e poco per volta posso scoprire anche la strada per vincerlo.

Avete sentito l’irruenza del brano del profeta Isaia. Dio dice: "Metti il peccato davanti al mio popolo perché capisca". Capisca la santità di Dio, capisca che non si può ingannare Dio con l’ipocrisia, capisca, davanti al bene, che la vera penitenza non è un digiuno esteriore, ma è sciogliere i legami del male e fare il bene.

L’uomo riuscirà a cambiare solo quando riuscirà a capire il male che c’è dentro di lui e le sue radici e quando, con la forza stessa di Dio, troverà la forza di allontanarsi da esso e di eliminarne le cause.

Il peccato non è dire una parolaccia, non è rubare la marmellata, non è dire ho fatto "le cose sporche" (quando ero ragazzo pensavo che anche il non lavarsi le mani fosse una cosa sporca).

Il peccato è lo squilibrio tra l’amore e l’egoismo, e il peccato sia personale che sociale, lo si può vincere in un modo solo: ribaltando questo squilibrio e mettendo l’amore al posto dell’egoismo.

 

 

SABATO 11

San Costantino; Santa Rosina

Parola di Dio: Is. 58,9-14; Sal. 85; Lc. 5,27-32

RICORDA: INSIEME AL PECCATO ESISTE ANCHE LA MISERICORDIA

"IO NON SONO VENUTO A CHIAMARE I GIUSTI, MA I PECCATORI A CONVERTIRSI". (Lc. 5,32)

E’ proprio Gesù che nel Vangelo di oggi ci invita a continuare la riflessione che già facevamo ieri.

L’incarnazione del Figlio di Dio ci dice che Dio non si arrende davanti al peccato. Il suo amore è più forte dell’egoismo. Pensiamo alla storia della salvezza: quante volte Dio ha detto il suo amore verso l’uomo e quante volte l’uomo gli ha risposto di no. Ma Dio non si è stancato perché Lui non divide il mondo in due parti: peccatori e buoni. Dio ama l’uomo buono e ama l’uomo peccatore, anzi, se c’è una predilezione, e lo dice Gesù, è proprio per i peccatori.

L’uomo da solo, se onesto, scopre che non ce la fa. Non gli basta neppure l’impiego di tutta la sua volontà. Il male attorno a lui e dentro di lui lo tiene come legato, impantanato. Ci sarebbe da disperare.

Gesù, il Figlio di Dio viene non per condannare. Lui dice quello che è il male, non lo nasconde, prende le distanze dal peccato, ma ama l’uomo e lo vuole salvare e liberare. E’ come per un uomo che stia affogando nelle sabbie mobili che sempre di più lo bloccano e gli stanno giungendo alla bocca e veda arrivare un altro che gli tira una corda. Se riesce ad aggrapparsi ad essa e l’altro è forte nel tirarlo, può venirne fuori. Gesù ci tira la corda; se noi vogliamo possiamo attaccarci ad essa e siamo sicuri che Lui è forte per liberarci.

Quanto siamo piccoli e meschini a ridurre il perdono dei peccati ad un elenco (il più delle volte artefatto) di colpe ed a una assoluzione da lavanderia a gettone. Quanto è assurdo e terribile anche da parte della Chiesa e di certi suoi rappresentanti aver ridotto il sacramento della Penitenza ad un tribunale con assoluzioni e condanne e con pene fatte di tre ave Maria e tre Padre nostro. Vuol proprio dire che non abbiamo capito né il peccato né la misericordia che ci salva. Qui si tratta di annegare noi, le nostre speranze, l’idea di eternità, la possibilità di amare e di avere tra le mani il Figlio di Dio che ti dà la possibilità, accogliendolo, di venir fuori dalle sabbie mobili e di recuperare tutto: davvero Cristo è l’unica e vera misericordia di Dio per l’uomo.

 

 

DOMENICA 12

1^ DOMENICA DI QUARESIMA B  -  Santa Fina; San Massimiliano; Beato Luigi Orione

Parola di Dio: Gn. 9,8-15; Sal. 24; 1Pt. 3,18-22; Mc. 1,12-15

PRIMA LETTURA (Gn 9, 8-15)

Dal libro della Genesi.

Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: "Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con i vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall'arca. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra". Dio disse: "Questo è il segno dell'alleanza, che io pongo tra me e voi e tra ogni essere vivente che è con voi per le generazioni eterne. Il mio arco pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell'alleanza tra me e la terra. Quando radunerò le nubi sulla terra e apparirà l'arco sulle nubi ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e tra ogni essere che vive in ogni carne e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne".

 

SECONDA LETTURA (1 Pt 3, 18-22)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo.

Carissimi, Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione; essi avevano un tempo rifiutato di credere quando la magnanimità di Dio pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l'arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell'acqua.

Figura, questa, del battesimo, che ora salva voi; esso non è rimozione di sporcizia del corpo, ma invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo, il quale è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze.

 

VANGELO (Mc 1, 12-15)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto ed egli vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo".

 

RIFLESSIONE

 

Le letture di questa prima domenica di quaresima sono così ricche di spunti e di riflessioni anche così disparate e diverse che, a prima vista sembra quasi non ci venga presentato un tema unitario di riflessione. Abbiamo sentito infatti parlare di diluvio e di arcobaleno, di Spirito e di deserto, di tentazioni e di invito ad una profonda conversione per entrare nel Regno di Dio che è presente in mezzo a noi.

Senza aver la pretesa di dire tutto, proviamo in questa breve riflessione a cercare di comprendere come la parola di Dio, con tutti questi spunti, non faccia altro che aiutarci a metterci decisamente in cammino verso la Pasqua.

Il racconto del diluvio universale ci ricorda la situazione della nostra vita e della nostra storia. L’uomo, con il suo egoismo che si manifesta in mille modi, ha voluto e spesso vuole opporsi a Dio, fare da solo, relegare Dio solo nell’ambito della religione, e quindi ‘bestemmia’ Dio. Il male che l’uomo commette ha come conseguenza la morte, l’acqua del diluvio ha il duplice scopo di essere la conseguenza del male che uccide e la forza purificatrice dal male stesso. Ma Dio depone l’arco delle frecce e lo pone sulle nubi come nuova ed eterna alleanza. E’ un arco che parte dalla terra, sale al cielo, ritorna alla terra ed è pieno dei colori della gioia, della misericordia, dell’amore di Dio.

Chi sarà questo arco dell’alleanza?

E’ Gesù che, unendo l’umanità alla divinità, porta Dio agli uomini e gli uomini a Dio, ci colora dei colori di Dio e ci permette attraverso Se stesso di salire verso il Padre.

Gesù passa anche Lui, pur non avendone bisogno, attraverso le acque del Giordano. Non sono più le acque distruttrici del diluvio, ma le acque purificatrici, Lui che si è addossata la nostra povertà e miseria, le purifica e le riempie non di terrore e di morte , ma di speranza e di vita.

E con questo segno Gesù inizia anche la sua vita pubblica.

Dopo trent’anni di silenzio, di umile lavoro a Nazaret, ci si aspetterebbe un apparire più eclatante. Gesù, invece, fa l’unica cosa che dovremmo fare anche noi. Si lascia guidare dallo Spirito Santo. E, guardate le stranezze dello Spirito, che, dice la Bibbia, "soffia dove vuole e quando vuole": porta Gesù nel deserto.

Gesù, Alleanza definitiva tra Dio e gli uomini, è chiamato a ripercorrere proprio nel deserto la storia dell’umanità e la storia del suo popolo.

E’ l’Adamo che cacciato dal paradiso terrestre vive "in mezzo ad animali feroci", ma che proprio per la sua fedeltà a Dio, riapre quelle porte che furono chiuse alle spalle del primo peccatore, crea un ordine nuovo anche nella natura. Ma, ancora di più, Gesù, con i suoi quaranta giorni di digiuno e di deserto, è il popolo di Israele che ha fatto l’esperienza gioiosa della liberazione dalla prigionia dell’Egitto e che, per arrivare alla terra promessa, in mezzo ad ogni sorta di tentazioni, ha passato quaranta anni nel deserto.

Il deserto è un luogo di purificazione.

Non trovi le cose comode nel deserto. Il sole picchia forte sulla testa, le escursioni termiche tra giorno e notte arrivano fino a 50 gradi, la sabbia ti lava, ti scortica, ti entra dappertutto, ti brucia in gola.

Nel deserto si bada all’essenziale, dimenticare la borraccia dell’acqua può costare la vita, perdere l’orientamento altrettanto; lì non puoi portarti dietro le solite attrezzature che usi in città, scopri di quante cose puoi fare a meno per sopravvivere.

Nel deserto puoi fare cattivi incontri, animali selvatici affamati, subdoli serpenti e scorpioni, predoni.

Se il deserto può essere liberazione dalle chiacchiere, riscoperta del silenzio, allargamento degli spazi e degli orizzonti, è anche il luogo della prova, della tentazione.

Nel deserto puoi incontrare te stesso, Dio, il diavolo. E Gesù fa tutte queste esperienze: incontra Colui che lo ha mandato e che lo conferma, incontra in se stesso la volontà di fare in pieno la volontà del Padre, incontra anche il tentatore e la tentazione che lo accompagneranno per tutta la sua vita.

Proviamo adesso ad applicare alcuni di questi spunti alla nostra vita.

Siamo ancora all’epoca del diluvio? Certo, da allora il male non è che sia diminuito nel mondo. Oggi, come sempre, c’è chi vede questo male presente e imperante ovunque, c’è chi dice che il male non c’è e c’è chi vive alla deriva non interessandogli né male né bene, ma lasciandosi vivere a seconda dei propri interessi.

Non abbiamo bisogno anche noi di ricordarci che c’è un arco di speranza per noi e per l’umanità? Se gratti al di sotto delle incrostazioni, in ogni uomo c’è nascosta almeno una speranza, c’è un desiderio di bello, di puro… di Dio, c’è la voglia di colorarsi dei colori di Dio e dell’universo. Lasciamoci allora guidare dallo Spirito. Questo Spirito porta anche noi nel deserto: ci porta dentro la profondità del nostro cuore. Può essere il luogo più desolato, più arido che ci sia. Qualche volta non vorremmo neppure andarci per la paura che può fare il vuoto che rischi di trovare in esso. Ma anche se fosse così, esso è il luogo dell’incontro. Lì puoi trovare te stesso, lì puoi trovare Dio e il senso della tua vita. Certamente ci sarà da fare un po’ di pulizia. Dovremmo di nuovo chiedere aiuto allo Spirito perché cambi il cuore di pietra con un cuore di carne. Dovremmo forse scorticarci le mani per eliminare rovi ed ortiche, "per riempire le valli e abbassare le montagne", ma anche il deserto può fiorire e non c’è cuore, per arido che sia, del tutto incapace di amare.

Ecco il compito del cammino quaresimale. Non è il tempo dei musi lunghi, non è scrollarsi di dosso gli ultimi coriandoli del carnevale, non impalcare "visi da quaresima" estremamente seriosi, non è neppure ridurre la penitenza a mangiare pesce il venerdì (per me è una ghiottoneria!), è invece ricordarci con gioia che Dio ha deposto il suo Arco tra le nubi. Quell’arco non tira più frecce ma è diventato l’amore di Dio incarnato, Gesù che ci offre la possibilità di rifare il cammino dell’umanità e il cammino suo, per arrivare, passando attraverso la croce, alla risurrezione. In questa prima domenica di quaresima ricordiamoci della proposta che ci è stata fatta mercoledì, quando, cercando di viverlo come segno vero e non come atto ipocrita, abbiamo messo un po’ di cenere sul nostro capo. Ci venivano indicate tre strade per seguire Cristo nel deserto, ma con gioia: il digiuno, l’elemosina e la preghiera; ebbene, se ho il coraggio di affrontare le prove e la tentazione, se il frutto delle mie rinunce diventa pane per chi non ne ha, se davvero, sgomberato il cuore lo lascio battere sui ritmi del cuore amante di Dio, certamente il mio cammino verso la Pasqua, sarà non solo per rivivere un fatto lontano duemila anni, ma per lasciarsi illuminare, colorare, dalla Pasqua di Gesù e ritrovare i segni di speranza non solo per noi ma anche per il nostro mondo.

 

 

LUNEDI’ 13

Santa Patrizia; San Rodrigo; Sant’ Ansovino

Parola di Dio: Lv. 19,1-2.11-18; Sal. 18; Mt. 25,31-46

PER DIO E CON DIO NON CI SONO MEZZE MISURE.

"SIATE SANTI PERCHE’ IO, IL SIGNORE, DIO VOSTRO, SONO SANTO". (Lev.19,2)

"In medio stat virtus" recitava un vecchio detto latino: "la virtù sta nel mezzo, la virtù è equilibrata, non ci sono eccessi nella virtù". E se la saggezza popolare può avere la sua parte di ragione in quanto l’equilibrio evita gli eccessi e le esagerazioni sia nel male che nel bene, con Dio le cose non funzionano così. Egli è l’eccesso: Egli è. Egli è la Verità, la Giustizia, la Vita… Egli è Tutto, e Tutto al massimo grado. E fin qui ci può star bene, ma quando Lui, innamorato al massimo di noi, ci dice: "Siccome sei mio figlio, siccome sei fatto a mia immagine e somiglianza, sii santo perché io lo sono", ecco che noi perdiamo l’equilibrio.

Non c’è nessuno che sia giusto come lo è Dio (non possediamo neppure in modo pieno la verità e la giustizia), nessuno è onesto totalmente, nessuno sa vivere fino in fondo la realtà della sofferenza e del dolore, del perdonare totalmente, della preghiera più profonda… Perdiamo l’equilibrio e se caschiamo dalla parte di Dio, finiamo tra le sue braccia, ma se caschiamo dall’altra parte, la santità scimmiottata rischia di farci sfracellare e di farci perdere anche la nostra identità umana… E sì, perché un certo modo moralistico, mellifluo di intendere santità e virtù, rischia di presentarcele poco appetibili, senza nerbo, un insieme di occhi bassi e di umiltà pelose, di gesti schivi e monacali, insomma, una santità che puzza di acido e di vecchie sacrestie. Ho dei forti dubbi quando (cosa già difficile in sé, se non assurda) si vuole stabilire la santità di qualcuno in base a "virtù provate" (quasi ci fosse il termometro per misurare la virtù) o peggio ancora a colpi di miracoli. Se penso alla vita dei santi (da leggersi ognuno nella realtà concreta dell’epoca in cui è vissuto), vedo sempre persone concretissime, innamorate di Dio e degli uomini, piene di eccessi, con dei limiti e soprattutto persone che non sapevano di essere santi. Vi stupite se vi dico che di santi negli anni della mia vita ne ho incontrati tanti? E non erano tutti preti o monache, e qualcuno di questi non andava neanche a Messa, e qualcun altro aveva le mani piene di calli; con qualcuno ci ho pure litigato, qualcun altro era scorbutico e angoloso, qualcuno era anziano e qualcuno bambino… perché?

Perché santità non è adempimento stretto di norme morali, reliquiario ammuffito di cose vecchie, santità è lasciar trapelare qualcosa di Dio, e allora ho visto la paternità e la maternità di Dio in quei genitori che hanno fatto tutto quello che potevano, magari anche sbagliando, pur di "salvare" il figlio drogato; ho visto la misericordia di Dio quando al posto del giustificato odio è stato dato il perdono, ho visto un po’ di Verità di Dio quando qualcuno ha pagato di persona, cantando fuori del coro, perché i vari poteri non l’avessero ancora una volta vinta; ho visto la Carità di Dio quando quella suora non ha detto il suo breviario per stare vicina ad un malato; ho visto un po’ di Amore, di Affetto di Dio quando, pur con certe occhiatacce rivelatrici del suo carattere, quell’uomo non ha risposto, per amore, alle ire della moglie; ho visto Semplicità e Donazione di Dio quando quel bambino, con un po’ di fatica, ma anche con semplicità ha condiviso il suo giocattolo con un altro…

Così posso essere santo anch’io. Non perfetto, non lo sarò mai e non me ne importa granché (di Dio ce n’è uno solo), ma un po’ santo, un po’ squilibrato (dalla parte di Dio per evitare tonfi), e sarei contento se alla fine della vita qualcuno potesse dire: "era uno con un caratteraccio terribile, non troppo equilibrato, un po’ orso, ma qualche volta, in mezzo ai suoi mille difetti, lasciava scappare qualche lampo di Dio".

 

 

MARTEDI’ 14

Santa Matilde; San Leone

Parola di Dio: Is. 55,10-11; Sal. 33; Mt. 6,7-15

SE VUOI PREGARE METTITI IN MOVIMENTO "VOI DUNQUE PREGATE COSI’…". (Mt. 6,9)

Fin dal mercoledì delle ceneri, quando abbiamo deciso questo pellegrinaggio, ci siamo detti che una delle poche ma essenziali cose da portarci dietro era la preghiera. La liturgia di oggi viene proprio a purificare un po’ la nostra idea di preghiera e il nostro modo di pregare.

I maestri di spiritualità hanno detto tante cose sulla preghiera e noi ne prendiamo atto: la preparazione, il raccoglimento, il luogo adatto, le posizioni da assumere, la lectio biblica, la revisione di vita, i silenzi, la liturgia… grazie! Ma che cos’è la preghiera?

Non sono un maestro di spiritualità, ma mi permetto, per i tentativi della mia povera esperienza, di dire che la preghiera è un movimento.

Puoi essere anche inginocchiato nella tua stanzetta, ma se la preghiera non è movimento, forse non stai pregando.

La preghiera è un movimento che parte da lontano: è Dio che si mette in moto per venirci a cercare. E’ la Parola di Dio che crea, è lo "Spirito di Dio che aleggia sulle acque", è l’ ‘alito di Dio’ che dà vita ad Adamo, è Dio che al crepuscolo va a passeggiare nell’Eden chiacchierando amichevolmente con la sua creatura, è lungo il filo della storia della salvezza, mai interrotto, che Dio continua a proporre se stesso all’uomo attraverso i patriarchi e i profeti che parlano ed agiscono in nome suo mentre uomini sordi e ciechi non sanno cogliere la sua presenza, è Dio che si fa parola con Gesù e che parla con tutto se stesso ai suoi contemporanei e a noi. E’ Dio che ancora oggi ci cerca, ci parla attraverso la natura, la storia, Gesù, i Sacramenti, la Chiesa…

Prima di pensare a ciò che devo dire nella preghiera, devo rendermi conto del movimento di Dio verso di me. E’ Dio che ha qualcosa da dirmi e da darmi, prima di tutto.

E poi ci sono io in movimento. La mia vita è tutto un movimento, un cammino, una serie di incontri.. Io non sono più lo stesso di ieri, ed eccomi, allora con il mio "ieri, oggi e domani" davanti al mio Creatore, al mio Padre che scopro innamorato di me. Tra due persone che si vogliono bene tutto parla del loro amore. Sarebbe assurdo se un fidanzato innamorato cotto della sua ragazza dicesse durante la giornata: "Adesso mi preparo il discorso da fare alla mia ragazza questa sera: primo punto, secondo, terzo…"

Il movimento mio è portare tutto me stesso davanti a Dio. Riscoprire il mio essere creatura bisognosa nelle mani di un Padre.

Ma se la preghiera è movimento di Dio verso me, è movimento mio verso Lui, c’è ancora un terzo movimento essenziale: dopo aver pregato non posso più essere lo stesso di prima; l’incontro, l’ascolto, le parole, i silenzi, lo Spirito devono avermi cambiato e devono spingermi ad agire in un modo diverso, più consapevole, più in assonanza con Dio.

Se dopo la preghiera dentro di me non si è mosso nulla, se esco dall’Eucaristia uguale a come sono entrato, non ho pregato, ho fatto dei gesti, detto parole ma non ho pregato.

La preghiera è un motore propulsore della vita, è la serenità di un incontro che ti spinge ad altri incontri. Tu hai portato a Dio l’uomo e Dio, con la sua forza, ora manda te dall’uomo.

Se vista così la preghiera è tutt’altro che un affare di sacrestia, di colli torti, di biascicamenti di parole, è gioia, movimento, fantasia…

 

 

MERCOLEDI’ 15

Santa Luisa de Marillac; San Clemente M. Hofbauer

Parola di Dio: Gio. 3,1-10; Sal. 50; Lc. 11,29-32

SEGNI DA LEGGERE E SEGNI DA DARE "QUESTA GENERAZIONE CERCA UN SEGNO". (Lc.11,29)

Quando cammini ed hai tanto tempo per pensare, ecco che ti passano tante cose per la testa: ricordi ma anche speranze… "E se Dio mi apparisse, se Gesù si mettesse a camminare con me come ha fatto con i discepoli di Emmaus, oppure mi facesse vedere la sua potenza come a Saulo sulla via di Damasco…?".

E chiediamo a Dio dei segni, indicazioni precise, mappe dettagliate, regole sicure.

Poi rialzi la testa e vedi che cammini da solo sul ciglio di una strada mentre sfrecciano accanto a te le macchine del progresso, del potere, della ricchezza, del successo. Tanta carne in scatola che corre come formiche impazzite davanti al formicaio distrutto da una pedata del bambino dispettoso.

Dacci un segno!

Ma, apri gli occhi e vedi quanti segni sono dati! Dice il libro del Siracide: "Il sole mentre appare nel suo sorgere dice: << Che meraviglia è l’opera dell’Altissimo>>"; ti parla l’erba al ciglio della strada meravigliosa nel suo crescere e piena di polvere, ti parlano le piante come i grattacieli, ti parla la storia degli uomini, il ritmo dei tuoi passi come il battere del tuo cuore ha qualcosa da gridarti; persino nei giornali o alla T.V. puoi trovare i segni di Dio.

Ma se fosse anche Dio a dirti: "Dammi un segno!"? "Dammi un segno del fatto che hai capito che ti voglio bene".

Le occasioni per dare qualcuno di questi segni non ci mancano se, per esempio, lottiamo senza scoraggiarci contro i difetti del nostro carattere per migliorare a poco a poco; se nei momenti in cui c’è bisogno di rotture drastiche e dolorose siamo coerenti con le nostre scelte battesimali; se agiamo senza farci bloccare da complessi, autogiustificazioni, amor proprio ferito, risentimenti, suscettibilità e soggettivismo; se accettiamo con fede e con coraggio le sorprese della vita; se non ci lasciamo amareggiare né feriamo gli altri con la critica distruttiva; se perdoniamo di cuore chi, secondo noi, ci ha danneggiato; se superiamo le situazioni avverse senza diventarne vittime e senza bloccarci in lamenti sterili; se dividiamo il nostro denaro, il nostro tempo e il nostro affetto con i fratelli bisognosi, quelli che sono malati soli e abbandonati…

Fare tutto questo nella vita significa porre davanti a Dio e anche davanti agli uomini i segni della nostra conversione evangelica. Anche qui non aspettiamo i momenti eccezionali per dimostrare la nostra fedeltà a Dio. I segni di Dio che ci parla e i segni della nostra risposta stanno soprattutto nelle piccole ma importanti cose quotidiane.

 

 

GIOVEDI’ 16

Sant’Agapito; Sant’Eriberto; San Taziano

Parola di Dio: Est. 4,1.3-5.12-14; Sal.137; Mt. 7,7-12

ESISTE LA SOLITUDINE? "MIO SIGNORE, VIENI IN AIUTO A ME CHE SONO SOLA E NON HO ALTRO SOCCORSO FUORI DI TE". (Est 4,3)

Siamo tutti pellegrini, e tutti, nel cammino della vita, abbiamo fatto esperienza della solitudine. Lungo la strada puoi incontrare tante persone, alcune ti passano accanto e restano dei perfetti sconosciuti, con qualcuno che incroci c’è solo un cenno di saluto, altri, poi, un po’ a tutte le età, diventano compagni di viaggio, alcuni gradevoli che, quando girano per la loro strada, senti il dispiacere della separazione, altri che non vedi l’ora di scaricare. E sono poi, rarissimi, gli amici veri e le persone con cui hai condiviso o desideri condividere la tua strada. Se hai la fortuna di averne incontrato qualcuno, hai davvero trovato un tesoro. Ma, anche qui tutto è molto precario… basta un incidente, una malattia e anche la persona con cui con gioia e fatica hai condiviso la tua vita, ti lascia, e tu ti senti ancora più solo.

Quanti, in questo mondo "globalizzato" dove informazioni e comunicazioni avvengono ormai in tempo reale, non comunicano più con nessuno?

Basta guardarsi intorno per vederla, palparla, la solitudine.

Sul tram affollato dove parla, anzi grida, solo più la teppaglia, nel ricovero degli anziani dove vedi davanti alla vetrata esposta al sole una lunga fila di sedie e di carrozzelle che già fanno pena, ma dove resti sconvolto, passando lungo quel corridoio animato di fantasmi, soprattutto dal silenzio: non si parla più. Ti ritrovi la solitudine nelle case, dove l’unica a parlare è la T.V. perennemente accesa per riempire il vuoto della comunicazione…

Chi non ha fatto l’esperienza della solitudine? E chi non ha cercato di riempirla con cose o persone che il più delle volte l’hanno resa ancora più accentuata?

A questo punto vengono proprio ad hoc le parole che meditiamo oggi dal libro di Ester. Questa donna si sente sola. Il suo popolo è oppresso dal re Assuero. Ma soprattutto sembra un popolo rassegnato: non c’è niente da fare. Ester vuole tentare qualcosa, ma è donna, è sola. Allora si rivolge all’unico che non ci lascia mai soli, Dio.

E già, perché in certi momenti potremo lamentarci che Dio non risponde direttamente alle nostre domande, ma non potremo mai dire che Lui ci lascia soli: se Egli si dimenticasse anche un solo momento di noi, non esisteremmo più!

Non sono mai solo: "Dio ti vede", scrivevano anche sui muri i nostri santi torinesi (e qualcuno, interpretando a modo suo, è andato a scriverlo anche sui muri dove, di solito aspettano le prostitute), ma Dio non è lì con lapis e calepino per annotare buone e cattive azioni, è lì perché ti ama, perché vuole comunicare con te, perché Lui, sì che si fa vero compagno di viaggio. E’ discreto, non ti asfissia, non si impone, non ti porta via nulla ma è sempre disposto a condividere se stesso, la sua amicizia, il suo pane.

Quando, per stare a certe canzonette della mia epoca, "la festa appena cominciata è già finita e gli amici se ne vanno", oppure quando "in certe domeniche d’agosto non trovi neanche un prete per chiacchierar", accorgiti che vicino a te c’è sempre Qualcuno.

 

 

VENERDI’ 17

San Patrizio; Santa Gertrude di Nivelles

Parola di Dio: Ez. 18,21-28; Sal: 129; Mt. 5,20-26

SI PUO’ DISCUTERE CON DIO ? "VOI DITE: NON E’ RETTO IL MODO DI AGIRE DEL SIGNORE. ASCOLTA DUNQUE POPOLO DI ISRAELE: NON E’ RETTA LA MIA CONDOTTA O PIUTTOSTO NON E’ RETTA LA VOSTRA?". (Ez. 18,25)

Quanto è facile cadere in certi luoghi comuni! Ad una mamma, amareggiata per la sorte di sua figlia disoccupata, dell’altro figlio ammalato, del marito con lavoro precario e quindi sempre iroso con tutto e con tutti, mi era scappato di dire: "Chissà quante cose avrà da dirci il Signore quando saremo in paradiso, per spiegarci il perché di tutto". Lei mi rispose: "Io non voglio aspettare il paradiso, ho già tante cose che non vanno da dirgli adesso!". Subito mi sembrò una forma di ribellione a Dio, ma ripensandoci capii che la sua era vera preghiera.

Ci hanno insegnato un Dio perfetto e asettico; più che preghiere ci hanno messo in mano formule teologiche. E pensare che basta sfogliare la Bibbia per scoprire che Dio ama discutere con l’uomo. Alcuni esempi? Abramo contratta come un buon venditore arabo perché Dio salvi Sodoma e, partendo da cinquanta giusti, riesce ad arrivare a strappare un ‘sì’ a Dio se ne troverà cinque. Giacobbe fa a botte con Dio e le prende, naturalmente, ma riesce a strappargli la benedizione e il nome. Mosè "sta sulla breccia" davanti a Dio che è stufo del suo popolo e lo blandisce, addirittura sembra giocare sui suoi sentimenti: "Che cosa diranno gli altri di un Dio che si è scelto un popolo e poi lo fa fuori?". La donna Cananea non si lascia smontare dalle parole offensive di Gesù, anzi, lo rimbecca con ironia, e ottiene il miracolo. I ciechi, i lebbrosi devono gridare con insistenza, ma così manifestano la fede sulla quale Gesù può operare.

Certo, Dio è più grande di noi, alla fine "ha ragione Lui", ma se ci discuti insieme almeno vuol dire che lo hai incontrato.

Che ne dite di questa provocazione di Louis Evely?

"Vi sono alcuni che, non avendo incontrato il Signore né nella sua Parola, né nel suo perdono, né nella fede (sovraumana), né nel prossimo (troppo umano), né nella propria vita (troppo profana), hanno ancora un’ultima speranza: incontrarlo… in cielo!

Un ultimo compito ci resta: disingannare questa speranza, dissipare al più presto possibile questo equivoco che rischia di farLo perdere per sempre a chi Lo spera in tal modo.

Se non hai incontrato Dio sulla terra, non Lo incontrerai in cielo. Il cielo non è un altro mondo in cui si possa evadere. Il Regno dei cieli è già in noi, e dobbiamo costruirlo con la grazia che Dio ci dà."

 

 

SABATO 18

San Cirillo di Gerusalemme

Parola di Dio: Dt. 26,16-19; Sal. 118; Mt. 5,43-48

AMORE, CARITA’, ELEMOSINA: CHE CONFUSIONE! "SE AMATE QUELLI CHE VI AMANO, QUALE MERITO NE AVETE?". (Mt. 5,46)

Oggi si fa nostro compagno di viaggio un datato libro di quell’apostolo dei lebbrosi che fu Raoul Follereau.

Due episodi forse ci possono provocare, ma anche aiutare a capir qualcosa sulla carità.

"Signora, sono venuto per i poveri".

La Signora dal bagno risponde: "Dategli il vecchio abito del Signore e la bambola che Marilena non vuole più. Ah… e poi il piccolo orso, sapete quello che sta là in alto, sull’armadio. E’ rotto ma piacerà lo stesso".

E mentre l’importuno si confonde di gratitudine, la porta sbatte, Madama si distende nella vasca, lo sguardo vago e compreso, con il pensiero al "bene che ho fatto".

Eppure ha appena commesso un gesto riprovevole.

No, signora, i Poveri non devono sbrogliarsela con i vostri rifiuti. Sbarazzarsi sul dorso degli infelici o tra le braccia dei loro piccoli di quanto si sarebbe certamente gettato nel secchio dei rifiuti è un gesto sordido. E non c’è di che farne inorgoglire il vostro cuore… Voi non avete ben capito che i poveri sono degli uomini, che i bimbi dei poveri sono figli di esseri umani e che, anche se l’accettano per crudele necessità, non vogliono quello che voi non volete più.

Carità questa?

La carità dell’osso che si getta al cane.

Secondo episodio raccontato da Follereau:

Con una bella banconota tutta nuova, questa signora, altrimenti molto ‘distinta’, mi indirizza le seguenti righe che "suonano bene":

"Non mandatemi più simili libretti con quelle orribili fotografie dei lebbrosi. Ne ho, da due notti, dei sogni orribili. Eccovi dieci franchi per loro; ma per l’amor di Dio (dove va a finire l’amor di Dio!) che non ne senta più parlare!"

Le ho risposto:

"Che Iddio faccia sì che i vostri cattivi sogni durino ancora. E’ il bene più grande che io possa augurarvi. Fino al giorno in cui queste fotografie che trovate orribili (Ah! Se si potessero fotografare le anime!) non provocheranno più la vostra ripugnanza e meno ancora una pietà che siete incapace di esprimere in altro modo che con una vignetta della Banca di Francia, ma un illuminato e coraggioso amore. Vi rimando la vostra banconota, perché è mal donata e di essa, perciò, non saprei che farmene. Voi stessa la darete a un Povero, quando vi sentirete capace, anche al prezzo delle vostre confortanti insonnie, di aprire gli occhi sulla miseria e di tendergli le mani.

Avete pensato di fare l’elemosina? In verità, volevate, nello stesso tempo, sbarazzarvi di noi. Di noi, e di loro".

Che il buon Dio doni a tutti noi dei cattivi sogni, se questi ci conducono sulla strada dei nostri fratelli.

Che Egli ci faccia la grazia di essere angosciati della miseria del mondo. Di modo che noi, gente terribilmente felice, noi, possiamo farci perdonare il nostro benessere, imparando ad amare.

 

 

DOMENICA 19

2^ DOMENICA DI QUARESIMA B  -  San Quinto

Parola di Dio: Gn. 22,1-2.9.10-13.15-18; Sal. 115; Rm. 8,31-34; Mc. 9,2-10

 

PRIMA LETTURA (Gn 22, 1-2. 9. 10-13. 15-18)

Dal libro della Genesi.

In quei giorni Dio mise alla prova Abramo e gli disse: "Abramo, Abramo!". Rispose: "Eccomi!". Riprese: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò". Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l'altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull'altare, sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: "Abramo, Abramo!". Rispose: "Eccomi!". L'angelo disse: "Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio". Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. Poi l'angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: "Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce".

 

SECONDA LETTURA (Rm 8, 31-34)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.

Fratelli, che diremo? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?

 

VANGELO (Mc 9, 1-9)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!". Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: "Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!". E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti.

 

RIFLESSIONE

 

Nella prima domenica di quaresima siamo stati invitati a guardare al deserto come luogo di purificazione e di prova, oggi invece abbiamo sentito parlare di montagne.

La montagna, nella Bibbia, è il luogo privilegiato dell’incontro con Dio, è, figurativamente, il punto più vicino tra il cielo e la terra quindi il luogo dove Dio abita quando vuole entrare in comunione con l'uomo. Non per niente la Legge viene data sul Sinai, Gerusalemme, la città di Dio, viene chiamata "il monte di Sion", i luoghi di culto normalmente sorgono sulle alture.

La prima lettura ci ha parlato di un monte verso il quale con tre giorni di cammino deve recarsi Abramo per immolare a Dio il proprio unico figlio Isacco.

Dio glielo ha chiesto alla stessa maniera con cui gli aveva chiesto di lasciare la sua terra e di andare verso l’imprevisto e, Abramo, ‘tentato’ non dal diavolo ma da Dio stesso, affronta questa prova disumana: parte portando il fuoco e il coltello del sacrificio, mentre Isacco, figura di Gesù nella Via Crucis, porta sulle proprie spalle le fascine di legna che serviranno per bruciare la vittima.

Abramo non ha la certezza che Dio gli fermerà la mano, ma si fida lo stesso di quel Dio a cui ha votato tutta la sua vita e la sua speranza. Davvero Abramo è padre della fede per tutti noi.

Io, personalmente, non so come mi sarei comportato. Ogni mattina quando recito il Padre nostro e arrivo a quella frase, anche strana nella sua formulazione, che dice "E non ci indurre in tentazione", nelle varie chiose che faccio alla preghiera, dico al Padre: "Vacci piano con le prove, perché sai benissimo quali sono i miei limiti, sai che i miei relè scattano in fretta, quindi non permettere che la tentazione, la prova sia superiore alle mie povere forze, altrimenti ho paura di non farcela".

Dio ha fermato la mano di Abramo, ma Dio su un altro ‘monte’, il Calvario non fermerà la mano di chi crocifiggerà il suo unico Figlio, Gesù. E qui siamo davvero davanti al mistero del dolore e dell’amore.

Gesù aveva parlato della sua passione agli apostoli, li aveva messi in guardia: la sua storia e la loro storia non andava incontro ad un successo strepitoso, andava incontro allo scandalo della croce. Gli apostoli non hanno capito, si era creato uno stato di disagio, ed ecco allora che Gesù vuol far sperimentare la pienezza del suo messaggio che sarà sì di morte ma anche di risurrezione. E arriva allora quest’altra montagna, quella della trasfigurazione, dove avviene questo momento di gloria, di bellezza di luce, di vestiti candidi come la neve, che conferma Gesù nella sua missione, che galvanizza gli apostoli (Pietro non sa più quello che dice), che fa loro comprendere come Gesù sia il completamento del messaggio della legge e di quello dei profeti, che, in parole povere dice che la croce e la risurrezione sono un unico messaggio.

Tutto questo avviene in una manifestazione che a sua volta è mistero. Bisogna entrare sotto il tetto di quella ‘nube’ che è la presenza di Dio che si svela ma che continua anche ad essere il totalmente altro. La casa di Dio, il luogo dove incontrarlo non è la tenda che Pietro si offre di costruire per Gesù, per Mosè e per Elia, è la nube stessa di Dio che ha preso dimora presso gli uomini, che illumina, accoglie, protegge ma anche che vela per dare il giusto posto al mistero di Dio stesso. E nel mistero di questa nube di Dio noi scopriamo il volto di Cristo trasfigurato e sfigurato. Il volto di Gesù è il volto del crocifisso, è il volto del dolore, dell’ingiustizia che uccide e del giusto che è ucciso, è il volto della povertà e del povero che subisce violenza ma nello stesso tempo è il volto trasfigurato, sfolgorante, vittorioso che raccoglie i volti degli sconfitti per portarli alla vittoria, che diventa luce per tutti coloro che camminano nelle tenebre.

Quante volte, o Cristo, ho contemplato e posso contemplare questo tuo volto sfigurato e trasfigurato. Ti ho visto morire sfigurato nel volto di quel giovane malato di Aids: eri solo più scheletro coperto da pelle lucida, ed ho scoperto il tuo volto trasfigurato negli occhi semplici e profondi di un bambino; ho visto il tuo dolore nel dolore di quella mamma che gridava per la morte improvvisa del figlio e di quell’altra mamma diventata muta, gelida davanti alla morte del suo bambino di due anni, ed ho visto il tuo volto trasfigurato nella gioia prorompente di quella coppia di fidanzati.

Devo entrare anch’io in quella nube non tanto per fermarmi in quel momento di gioia, non è ancora l’ora. E’ bello stare lì, ma c’è ancora da discendere da quel monte per fare ancora un buon tratto di cammino prima di salire l’altra collinetta del Calvario e prima di arrivare a vedere definitivamente il tuo volto. No, devo entrare in quella nube di Dio perché anche il mio volto venga trasfigurato. Ora è sfigurato dal peccato, dall’egoismo, ora è spesso mascherato dall’ipocrisia, ma tu lo puoi e lo vuoi cambiare. E c’è anche un metodo sicuro per ottenere questo. Nella nube si sente la voce di Dio che dice: "Ascoltatelo".

E’ solo ascoltando te, Signore, che io potrò capire il tuo dono, potrò accettare la tua morte, potrò godere della grazia della tua risurrezione, potrò cambiare poco per volta il mio volto nel tuo volto.

Tu l’hai detto: "Io sono con voi per tutti i giorni della vostra vita"; questa intimità avrebbe già dovuto farmi diventare te: san Paolo poteva dirlo: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me". Chissà se gli uomini che mi vedono agire, che mi sentono parlare, riescono a scorgere anche solo un piccolo raggio del tuo volto?

Tu lo sai che fin dalla mia giovinezza mi è sempre piaciuto andare in montagna, arrampicare con sulla schiena anche solo un po’ di pane e salame ed una borraccia di vino e poi attraversare boschi, salire su pietraie, godere il fresco dei laghetti alpini… La montagna mi ha dato tanto. Mi ha insegnato la fatica, il mettere un passo dopo l’altro, il non arrendersi, il saper guardare in alto verso la meta e il saper guardare in basso dove mettere i piedi, mi ha insegnato i limiti, il rischio, la paura, il rispetto della natura e delle sue forze, la solidarietà con i compagni di viaggio, la gioia di una meta raggiunta. Oggi, gli anni sono passati, e se le gambe ancora riescono ad arrampicare, il fiato si è fatto più corto, ma Signore, aiutami a frequentare ancora, anzi sempre più le montagne del Tabor e del Calvario perché solo guardando Te, ascoltando Te, possa scoprire il tuo volto, e nel tuo quello di tutti i miei fratelli gioiosi o sofferenti e rivestendomi di Te possa portarti a loro e con loro arrivare anche a vederti nella maniera definitiva.

 

 

LUNEDI’ 20

SAN GIUSEPPE

Parola di Dio :

Nella festa di S. Giuseppe: 2Sam 7,4-5.12-14.16; Sal 88; Rm 4,13.16-18.22; Mt. 1,16.18-21.24

Nella liturgia della quaresima: Dn 9,4-10; Sal 78; Lc.6,36-38

Giubileo degli artigiani

PROSSIMO: O CONCORRENTE O FRATELLO "NON GIUDICATE E NON SARETE GIUDICATI". (Lc. 6,37)

Sabato, nella nostra riflessione sul Vangelo ci ha accompagnato un apostolo moderno, oggi ci facciamo aiutare da due antichi Padri della Chiesa, il primo, Doroteo di Gaza, è del VI° secolo, mentre Massimo il confessore è vissuto tra il 580 e il 660.

"I Padri ci insegnano che nulla è più grave del giudicare il prossimo. Ciò nonostante, si commette un male così serio anche per cose – diciamo così – di scarsa serietà.

Tutto comincia con vaghi sospetti e con pensieri come questi: Che cosa importa se ascolto ciò che dice il tale? Che male c’è se vado a vedere che cosa fa il talaltro? La mente pian piano dimentica i propri peccati e si interessa sempre più alle faccende altrui. Da ciò i giudizi temerari, le maldicenze, il disprezzo. Alla fine si cade negli stessi difetti che si condannano negli altri. Quando uno non si cura di se stesso e dei propri peccati, quando "non piange sul proprio morto", è assolutamente impossibile che si corregga: non fa che ficcare il naso nella vita del prossimo. E niente irrita Dio, niente immiserisce l’uomo quanto il parlar male del prossimo e il giudicarlo.

C’è differenza tra il parlar male e il giudicare.

Parlare male significa dire: "Il tale ha mentito, si è arrabbiato, ha fornicato", o qualcosa del genere. Giudicare significa dire: "il tale è menzognero, collerico, fornicatore". Si giudica anche la disposizione permanente della sua anima, si giudica tutta la sua vita. E questo è grave". (Doroteo di Gaza)

 

"Fa il possibile per amare ogni uomo. Se non sei ancora capace, perlomeno non odiare nessuno. Ma neanche di questo sarai capace se non avrai raggiunto il distacco delle cose del mondo.

Bisogna amare ogni uomo con tutta l’anima, però sperando solo in Dio e onorandolo con tutto il cuore.

Gli amici di Cristo non sono amati da tutti gli uomini, però li amano sinceramente tutti. Gli amici del mondo non sono amati da tutti gli uomini, però nemmeno li amano tutti.

Gli amici di Cristo perseverano nel loro amore sino alla fine, Gli amici del mondo perseverano solo finché non si trovano in disaccordo sulle cose del mondo.

Un amico fedele è un protettore efficace. Nel successo ti dà buoni consigli e ti mostra concretamente la sua simpatia. Nella sventura ti difende generosamente ed è un alleato profondamente partecipe."

(Massimo il Confessore)

 

 

MARTEDI’ 21

San Nicola di Flue; San Filemone

Parola di Dio: Is. 1,10.16-20; Sal. 49; Mt. 23,1-12

GIU’ LA MASCHERA ! "SULLA CATTEDRA DI MOSE’ SI SON SEDUTI SCRIBI E FARISEI". (Mt. 23, 1)

Anche nella ricerca del peccato, a seconda dei tempi, ci sono state delle ‘mode’. In certi periodi (del tutto passati?) il peccato contro "le verità" veniva ricercato, smascherato, e qualche bel rogo o prigione riportava "le verità" (o il potere) al suo posto. C’è stato un periodo in cui tutto sembrava girare esclusivamente intorno al problema del sesso; un altro periodo in cui non esisteva più il peccato personale, ma solo quello sociale.

Ma vi siete mai chiesti quali sono i peccati a cui Gesù è proprio allergico?

Sono l’egoismo e l’ipocrisia. In quanto queste sono le radici di ogni altro peccato. E, guardando sempre al Vangelo, chi è più esposto ad ammalarsi di questi peccati? I religiosi e i potenti.

I poveri hanno poco da difendere e nulla da mascherare, il ricco deve difendere i suoi beni e mascherarsi per difendere il ruolo del proprio potere, e quando la religione diventa potere e non servizio, ecco che egoismo e ipocrisia la infettano.

La "cattedra di Mosè" era la cattedra del servizio, del mediatore tra Dio e gli uomini e tra gli uomini e Dio, era la guida alla legge di Dio, alla liberazione, alla conquista di una terra e di una dignità, ma quando è stata conquistata o usurpata da uomini che ne hanno fatto la maschera per i propri interessi è diventata: legge oppressiva, guida gravosa, osservanza di tradizioni umane, uccisione di Dio. Egoismo, potere, ipocrisia vanno a braccetto.

Ma, allora, in certi luoghi di potere umano o religioso si può essere puri? Personalmente ritengo sia molto difficile e solo a due condizioni: a base di continui richiami concreti al servizio e al coraggio di lasciarsi mettere in croce piuttosto che scendere a compromessi.

Siamo un po’ tutti farisei. Vogliamo, per attirare l’attenzione, per bisogno di affetto o per altri motivi, farci più belli di quanto siamo; siamo tutti attaccati ai nostri ruoli e per conservarli, a volte siamo disposti anche a mascherarci. Qualche volta usiamo perfino il mantello del buonismo e della religione per nasconderci e apparire migliori, e allora, anche a noi, sia che occupiamo posti importanti o meno, Gesù dice: "Io la tua faccia e il tuo cuore li vedo per quello che sono, non per quello che vuoi farli apparire, e allora non sarà ora di far finire questo carnevale mascherato che dura tutto l’anno?".

 

 

MERCOLEDI’ 22

San Benvenuto; Santa Lea; Sant’Ottaviano

Parola di Dio: Ger. 18,18-20; Sal. 30; Mt. 20,17-28

SIGNORE, NON HO MAI CAPITO LA SOFFERENZA

"IL FIGLIO DELL’UOMO SARA’ CONSEGNATO AI SOMMI SACERDOTI E AGLI SCRIBI CHE LO CONDANNERANNO A MORTE E LO CONSEGNERANNO AI PAGANI PERCHE’ SIA SCHERNITO E FLAGELLATO E CROCIFISSO". (Mt 20,19)

Signore, dopo tutti questi anni in cui mi hai ricolmato di tanti doni, in cui ho avuto per compagna la tua parola, in cui ho pensato, meditato, predicato, scritto anche tanto sulla sofferenza, in sincerità, con molto sconforto, ti dico: non ho capito la sofferenza. Se già mi è difficile capire la morte che pure ha una sorte di giustizia nei confronti dell’uomo, non capisco il soffrire. Non capisco la sofferenza di una donna che da circa sessant’anni è bloccata nel suo agire ed ogni piccolo movimento è per lei causa di enormi sofferenze, non capisco le interminabili agonie, mi fanno star male le tante piaghe che scopro nei corpi dei miei fratelli e delle mie sorelle, mi fa male, già adesso, pensare alle eventuali sofferenze mie, mi fa male, e, scusami, capisco poco anche la tua sofferenza: perché proprio la croce per dire: "Ti amo, ti salvo"?

Provo a mettermi in ascolto per sentire la tua voce e spero sia proprio la tua:

"Non rimanere turbato se non capisci la sofferenza. Non saresti tutto a posto se la amassi per se stessa e non renderesti neanche testimonianza a Dio ma lo faresti diventare complice del male del mondo. La sofferenza c’è, è una conseguenza di quel male profondo che è l’orgoglio dell’uomo che è penetrato nella natura.

Ma come avrei potuto farvi capire il mio amore, l’amore del Padre? Certo, sono Dio, bastava una mia parola per far cessare ogni sofferenza, ma allora, la tua libertà dove finiva? Potevo parlare, quando sono venuto sulla terra, invece di soffrire, ma pensi che mi avrebbero creduto? Basta leggere le pagine della mia storia nel Vangelo per capire che la gente cercava un dio comodo, secondo i suoi interessi. Altri pensavano di essere già possessori di Dio quindi non si interessavano a me, per altri ero ancora un fenomeno da baraccone. Come far vedere l’amore di Dio? Offrendo tutto, trasformando la brutta sofferenza in amore, cambiando l’odio e l’egoismo che mi uccideva in grazia, facendo capire che anche il nero delle vostre sofferenze può diventare fede, amore, grazia. Certo non è facile. Prima di accettarlo la mia umanità si è ribellata, ho sudato sangue.

Continua pure a non avere risposte troppo sicure e a balbettare davanti alla sofferenza, abbi pudore davanti ad essa, abbi solidarietà con chi soffre ma, ti supplico, non perdere tutto quello che nella sofferenza c’è d’amore."

 

 

GIOVEDI’ 23

San Turibio de Mogrovejo; San Domizio; Santa Pelagia

Parola Dio: Ger. 17,5-10; Sal. 1; Lc. 16, 19-31

GUARDA: C’E’ QUALCUNO VICINO ALLA TUA MENSA!

"C’ERA UN UOMO RICCO CHE VESTIVA DI PORPORA E DI BISSO E TUTTI I GIORNI BANCHETTAVA LAUTAMENTE. UN MENDICANTE DI NOME LAZZARO GIACEVA ALLA SUA PORTA…" (Lc. 16,19-20)

Ripensando alla parabola del ricco che banchettava mentre il povero Lazzaro era alla sua porta, ripropongo, sintetizzandola una ‘Preghiera’ di Quoist. Probabilmente la conosciamo, l’abbiamo già letta, ma… "Ho mangiato. Ho mangiato troppo. Ho mangiato per fare come gli altri. Perché ero invitato. Perché ero nel mondo e il mondo non mi avrebbe compreso. Stentavo a mandar giù ogni portata, ogni boccone. Ho mangiato troppo, Signore, mentre nello stesso momento, nella mia città, più di 1500 persone, con la gavetta, facevano code alle cucine dei poveri; mentre quella donna mangiava in soffitta quello che alla mattina aveva raccolto nei cassonetti delle immondizie, mentre dieci, cento, mille infelici, nello stesso istante, nel mondo si contorcevano di dolore, morivano di fame davanti ai parenti disperati.

Signore è tremendo, perché so, gli uomini ora sanno, sanno che non solo alcuni infelici hanno fame sulla soglia della loro casa, ma milioni hanno fame nel mondo. Gli uomini hanno redatto la carta della fame; le zone di morte si impongono terrificanti. Le cifre erigono la loro implacabile verità. Per più di 800 milioni di creature umane, il mensile minimo degli italiani rappresenta il massimo annuo. Un terzo dell’umanità è sottoalimentato… Signore, tu vedi quella carta, tu leggi quelle cifre, non come lo statistico freddo nel suo ufficio, ma come un padre di famiglia numerosa chino sulla fronte di ogni figliolo. Tu vedevi quella carta quando narravi per me l’ultimo giudizio.

… Ebbi fame …

Signore, tu sei terribile!

Tu fai la coda alla cucina dei poveri, tu mangi gli avanzi delle immondizie. Tu muori solo di fame mentre nell’altro angolo della grande sala del mondo - con alcuni membri della nostra famiglia - mangio senza appetito quello che occorrerebbe per salvarti.

… Ebbi fame…

Tu potrai sempre dirmelo, Signore, se per un solo istante cesso di donarmi.

Non avrò mai terminato di servire la minestra ai miei fratelli: sono troppi, ve ne saranno sempre e non avranno avuto la loro parte. Non avrò mai finito di lottare per ottenere la minestra per tutti i miei fratelli. Signore non è facile dar da mangiare al Mondo.

Preferisco fare la mia preghiera, regolare, pulita. Preferisco fare astinenza nei venerdì di quaresima. Preferisco visitare il mio povero. Preferisco dare ai banchi di beneficenza e agli istituti; ma dunque non basta, dunque non è nulla se un giorno mi potrai dire:

"Ebbi fame" Signore, non ho più fame,

Signore non voglio più mangiare che il necessario per vivere, per servirti. E lottare per i miei fratelli. Perché Tu hai fame, Signore, perché tu muori di fame, mentre io sono sazio."

 

 

VENERDI’ 24

Santa Caterina di Svezia

Parola di Dio: Gen. 37,3-4.12-13.17-28; Sal. 104; Mt. 21,33-43.45

SI PUÒ ANCORA SOGNARE.

"ECCO, ARRIVA IL SOGNATORE". (Gen. 37,19)

"Mi scusi, ma lei, a cinquantadue anni, conoscendo la realtà della vita, conoscendo gli uomini, ha ancora di quelle speranze?"- mi diceva un ricco manager industriale, scafato in politica e finanza, dopo aver ascoltato una omelia, dove sulla base del Vangelo e sulla fiducia nell’uomo annunciavo la speranza di un mondo migliore e mi dicevo convinto che anche il manipolo sbrindellato dei cristiani di oggi potrebbe ancora fermentare la massa per una società più equa, più capace di condividere… "Sveglia! – mi disse – ma se oggi non la vedi neanche più la faccia di tuo fratello… oggi è Internet, il grande fratello!".

A noi, poveri pellegrini del 2000 vorrebbero toglierci anche la capacità di sperare e di sognare.

"Arriva il sognatore", dicevano i fratelli di Giuseppe, "uccidiamolo". E non si accorgevano che facendo così davano inizio proprio alla realizzazione dei suoi sogni.

Ma si può ancora sognare? Se tutto il mondo fosse solo fredda ragione, se in mezzo ai palazzi e all’asfalto non si potesse sognare un prato, se tutti i problemi si risolvessero solo con i soldi, se il fine della vita fosse solo aver successo, provare tutti i piaceri, se ci avessero disinserito la fantasia, la fiducia, l’utopia, la speranza, il sogno… poveri noi!

Se non ci fossero più sognatori come don Bosco, appassionati d’uomini come il Cottolengo, persone profonde e semplici come Gandhi, innamorate come Madre Teresa, utopisti come Carlo Carretto, La Pira, Ernesto Olivero… come sarebbe triste il mondo.

Arcibald Cronin in un suo scritto ricorda una sua esperienza di primo dopo guerra in un paesino quasi totalmente distrutto della Liguria. Coloro che erano rimasti vivevano di stenti, accampati insieme in case fatiscenti. Lo scrittore tutte le mattine vedeva una vecchia con la nipotina che , portando su un carrettino il rado pesce pescato dagli ultimi pescatori rimasti, faceva il giro del lungomare e dei pochi ‘budelli’ ancora praticabili del paese offrendolo in vendita. Un giorno, parlandole, le disse: " Ma perché restare ancora qui, in mezzo a questa desolazione?". Non ricevette risposta ma vide una specie di sguardo di intesa tra la nonna e la nipotina.

Alcuni giorni dopo, nel primo pomeriggio, vide che la nonna e la nipotina con una gerla sulle spalle si incamminavano verso una pietraia dove già altri anziani e bambini (in paese erano rimasti quasi solo loro) raccoglievano, scegliendole, pietre che poi si caricavano sulle spalle e trasportavano verso uno spiazzo in alto, sopra il paese dove, si intuiva dalle forme, stava nascendo ex novo una chiesa, non una cappelletta, ma una chiesa, grande, spaziosa.

Sognare significa costruire una chiesa grande in un paese semidistrutto, dove il buon senso ti dice di andare via.

E poi, si può ancora sognare se il più grande sognatore è proprio Dio. Dopo tutti questi millenni, dopo aver operato prodigi, mandato patriarchi e profeti, duemila anni dopo suo Figlio, con degli uomini testoni e orgogliosi, Lui sogna ancora che l’uomo possa farcela, che io possa farcela.

 

 

SABATO 25

Annunciazione del Signore

Parola di Dio: Is. 7,10-14; Sal. 39; Eb. 10,4-10; Lc.1,26-38

UNA RISPOSTA DATA PER NOI

"ECCOMI, SONO LA SERVA DEL SIGNORE, AVVENGA DI ME QUELLO CHE HAI DETTO". (Lc. 1,38)

San Bernardo ha delle bellissime e originali omelie su Maria. Oggi, festa dell’annunciazione ve ne propongo alcuni brani:

"Hai udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito Santo. L’angelo aspetta la risposta: deve fare ritorno a Dio che l’ha inviato. Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi oppressi miseramente da una sentenza di dannazione.

Ecco che ti viene offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti saremo subito liberati. Noi tutti fummo creati nel Verbo eterno di Dio, ma ora siamo soggetti alla morte: per la tua breve risposta dobbiamo essere rinnovati e richiamati in vita.

Te ne supplica in pianto, Vergine pia, Adamo esule dal paradiso con la sua misera discendenza; te ne supplicano Abramo e David; te ne supplicano insistentemente i santi patriarchi che sono i tuoi antenati, i quali abitano anch’essi nella regione tenebrosa della morte. Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano.

O Vergine, dà presto la risposta. Rispondi sollecitamente all’angelo, al Signore. Rispondi la tua parola e accogli la Parola: dì la tua parola umana e concepisci la Parola divina, emetti la parola che passa e ricevi la Parola eterna.

Perché tardi? Perché temi? Credi all’opera del Signore, dà il tuo assenso ad essa, accoglila. Nella tua umiltà prendi audacia, nella tua verecondia prendi coraggio. In nessun modo devi ora, nella tua semplicità verginale, dimenticare la prudenza; ma in questa sola cosa, o Vergine prudente, non devi temere la presunzione. Perché, se nel silenzio è gradita la modestia, ora è piuttosto necessaria la pietà nella parola. Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all’assenso, il grembo al Creatore.

Ecco, colui al quale è volto il desiderio di tutte le genti, batte fuori alla porta. Non sia che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso.

"Ecco, dice, la serva del Signore: avvenga di me quello che hai detto".

 

 

DOMENICA 26

3^ Domenica di Quaresima B  -  Santa Lucia Filippini; Sant’Emanuele; San Marciano

Parola di Dio: Es. 20,1-17; Sal. 18; 1Cor. 1,22-25; Gv. 2,13-25

PRIMA LETTURA (Es 20, 1-17)

Dal libro dell'Esodo.

In quei giorni, Dio pronunziò tutte queste parole: "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti da  il Signore, tuo Dio. Non uccidere. Non commettere adulterio. Non rubare. Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo".

 

SECONDA LETTURA (1 Cor 1, 22-25)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

 

VANGELO (Gv 2, 13-25)

Dal vangelo secondo Giovanni.

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: "Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato". I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?". Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. Gesù però non si confidava con loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello che c'è in ogni uomo".

 

RIFLESSIONE

 

Una pagina movimentata quella del Vangelo di oggi. Siamo ormai vicini alla Pasqua Ebraica e Gerusalemme è piena di pellegrini (se volete fate conto di essere a Roma in pieno giubileo). I pellegrini sono sempre stati anche un affare, ed ecco che i mercanti, già abituati a frequentare il grandioso Tempio di Gerusalemme, già soliti a trattare soldi di tanti popoli diversi, già soliti a vendere animali grandi e piccoli da utilizzarsi per i sacrifici, sono piazzati ad ogni angolo con la benedizione e gli interessi tangentisti dei politici e dei religiosi di allora. Quindi allora, come oggi, dal semplice venditore di immaginette e ricordini, alla grande mafia, dal procacciatore di affari ai soldi non troppo puliti che finiscono nelle casse di Roma, di Erode e dei sacerdoti, tutto sotto la bella facciata del rendere culto a Dio.

Gesù, il buon Gesù, il misericordioso Gesù, non ne può più! "Lo zelo per la sua casa", dirà l’evangelista, lo fa scattare. La giusta ira del veder ridotto l’amore di Dio a commercio lo porta a dare qualche bella sferzata e a far volare qualche bancarella.

Risultato? Probabilmente qualche ’accidente’ nei suoi confronti dai venditori che prontamente hanno già risistemato le loro cose e l’intervento pronto dei religiosi a difesa dei loro affari. Questa volta Gesù l’ha fatta grossa, non si è limitato a parole, li ha toccati nel portafoglio. E’ il segnale definitivo che bisogna eliminare questo "elemento di disturbo", questo pazzo che parla di distruggere e riedificare in tre giorni un Tempio costruito in quarantasei anni, questo "rabbi di periferia" che pensa di poter dire la sua nel cuore della religiosità.

Ma perché Gesù ha fatto questo gesto? Il suo non è un semplice gesto di ira, o un atto di contestazione o protesta pubblica. Il suo è un atto di amore per Dio e per l’uomo. Gesù vuole aiutarci a capire che la religiosità vera non può e non deve mascherare ateismo ed affari. Il Tempio non è importante per le quattro pietre, per il numero dei fedeli che ci vanno, per le questue che si raccolgono, è importante perché è luogo dell’incontro con Dio. Dio non lo si compra con le candele, le devozioni, i ritualismi, i sacrifici o le Messe, e tanto meno con i soldi. Dio aspetta te, il tuo cuore. E’ lì il vero tempio, ma anche lì, forse, c’è da fare pulizia e allora oggi ci aiuta particolarmente la prima lettura con l’enunciazione dei Comandamenti.

Ma vale ancora la pena parlare di comandamenti?

Un tempo li si imparava a memoria fin da ragazzini e non sempre li si metteva in pratica da grandi, oggi forse non li conosciamo neppure più tutti, eppure essi sono la strada che Dio ci indica per realizzare noi stessi, la società, il senso ultimo della vita.

Il Decalogo non è la legge di un Dio dispotico che richiede cieca obbedienza all’uomo, esso non ci rinvia a delle costrizioni, bensì a delle decisioni. Non sono dunque parole per schiavi, ma per uomini liberi. Esse partono dal Dio Creatore e Liberatore e sono per la vita e per la libertà, sono le parole di un Dio infinitamente Sapiente, infinitamente Buono, infinitamente Innamorato di noi che vuole indicarci la strada della felicità e della piena comunione con Lui.

Lo spazio è breve, ma proviamo a riecheggiare alcune di queste parole, facendoci aiutare dalla sferza di Gesù. Può diventare anche un principio di esame di coscienza per la nostra confessione pasquale.

Dio è uno solo. A questo ci crediamo, anzi, spesso, dicendo così difendiamo tutte le credenze religiose con il rischio che Dio non abbia più la sua identità ma diventi un Dio generico, ‘l Suprem’ come dicevano i vecchi piemontesi, e non si sapeva bene se era il Dio della Bibbia o qualcosa di molto vago. Il nostro Dio ha una identità precisa: è il Dio di Gesù che si manifesterà pure in mille modi diversi ma che ha le caratteristiche precise delineate in tante pagine della Bibbia e attraverso la sua storia con noi uomini. Un Dio che in qualche cosa può anche lasciarci perplessi quando, ad esempio, leggiamo nel brano di oggi che è un Dio "che punisce le colpe dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione".

E’ vero, noi oggi non abbiamo più idoli di pietra (?) ma non siamo ancora tanto idolatri se crediamo e ci sacrifichiamo al dio denaro, al successo, al potere? E non fanno forse un certo effetto, ad esempio, quelle automobili dove sul cruscotto trovi : il Sacro cuore, San Cristoforo, Padre Pio, Papa Giovanni e il cornetto rosso e magari, dentro il cassettino del cruscotto, anche il profilattico "per ogni evenienza, non si sa mai". Dio è Dio, ci insegna la frusta di Gesù.

Non bestemmiare. "Beh, a parte qualche ‘Cristo!’, o qualche ‘Zio….!’, ma proprio solo nei momenti in cui sono arrabbiato…". La bestemmia di parole è qualcosa di molto brutto per la fede ed anche per la semplice buona educazione, ma non sono bestemmie ancora più grandi quelle con cui maltratti e distruggi la creazione? Non è una terribile bestemmia contro Dio che nel mondo si lascino morire di fame milioni di persone? E le guerre che l’uomo civile fa e che uccidono scientemente interi popoli, non sono forse la bestemmia più atroce nei confronti del Dio della vita?

Ricordati di santificare la festa. "Signore, non ho tempo…". Eppure ti ricordi di respirare, di mangiare, di divertirti… per te, per Dio non hai tempo. Ti chiedessero di fare chissà che cosa, ma ti viene offerta la preghiera che il Figlio di Dio fa per te e tu non hai tempo? E poi, la domenica è davvero festa? Vedono gli altri la tua gioia di credente?

Onora il Padre e la madre, non rubare, non uccidere, non dire falsa testimonianza, non commettere adulterio e atti impuri, non desiderare la donna e le cose degli altri.

Sono le indicazioni di base per vivere serenamente e rispettosamente con gli altri, non secondo la falsa sapienza dell’interesse e dell’egoismo, ma secondo la sapienza stessa di Dio. Se riconosco in Dio mio Padre, riconoscerò negli altri dei fratelli e allora se rispetto la mia famiglia è giusto rispettare quella altrui; il non rubare non è più perché c’è una legge e se non la rispetto rischio la galera, ma è semplicemente perché rispetto mio fratello e quindi le sue cose; il non uccidere non è solo non ammazzare fisicamente, ma anche e soprattutto lasciare il giusto spazio all’altro, il non distruggere le idee altrui solo perché le ha pensate un altro e non io, il saper ascoltare, il saper correggere con amorevolezza e non solo con autorità; il rispettare il proprio corpo e quello degli altri, deriva dalla consapevolezza del dono ricevuto da Dio, dal sapere che siamo tempio dello Spirito, del saper gioire della propria sessualità senza ridurla a bestialità. Credo che spesso dovremmo tornare su queste "dieci parole" non tanto per scoprire moralisticamente i peccati, quanto per individuare un cammino di libertà spesso ancora quasi tutto da compiere.

 

LUNEDI’ 27

Sant’Alessandro; san Ruperto

Parola di Dio: 2Re 5,1-5; Sal. 41 e 42; Lc. 4,24-30

LA MISURA DELL’EROISMO.

"SE IL PROFETA TI AVESSE INGIUNTO UNA COSA ONEROSA, NON L’AVRESTI FORSE ESEGUITA? TANTO PIÙ ORA CHE TI HA DETTO: BAGNATI E SARAI GUARITO"(2Re 5,13)

Nel pellegrinaggio della nostra vita, penso, almeno in qualche occasione, abbiamo avuto motivo di incontrarci con "gli eroi". Se un certo modo di vedere la vita ed anche una certa propaganda esageravano e oggi abbiamo un’idea ridimensionata di ‘eroismo’, eppure l’eroe è colui che, per certi valori, ha saputo dare tutto, è l’uomo di virtù incontaminata, tutto d’un pezzo, dalla volontà ferrea.

Mi sono sempre chiesto: vale di più l’eroismo di un momento o ci vuole tanto eroismo per vivere bene, onestamente, con coraggio i ‘momenti della vita’?

Naaman, generale di corpo d’armata del re di Aran (quindi persona che, almeno sulla carta, avrebbe dovuto avere una certa esperienza di ‘eroismo’), è lebbroso. Gli dicono di intraprendere un lungo viaggio e poi di recarsi da Eliseo per essere guarito e si sente dire di andare a lavarsi sette volte nel Giordano. "Che stupidaggine è mai questa? Il bagno potevo farmelo anche a casa mia!". Ma un servo lo tocca nel vivo: "Se il profeta ti avesse chiesto di andargli a conquistare una terra, di combattere contro un mostro, di intraprendere un lungo e pericoloso pellegrinaggio, tu, eroe, lo avresti fatto; ti ha chiesto una piccola cosa e non te la senti solo per i tuoi stupidi pregiudizi?".

Se Dio per avere una dimostrazione del tuo amore ti avesse chiesto di finire in croce come suo Figlio che cosa gli risponderesti, "eroe della fede"? Ma Dio ti chiede "solo" di mettere amore nel tuo quotidiano, ti chiede "solo" di avere pazienza con quel molesto compagno di lavoro, ti chiede ‘solo’ di perdonare ancora una volta quel tale di cui non ti fidi proprio, ti chiede ‘solo’ di dare ancora segni di speranza mentre tutti sono pessimisti…".

Per me in quel "solo" ci sta tutto l’eroismo.

Il nostro Dio è un Dio esigente, ti chiede "solo", ogni giorno, di essere "perfetto come è perfetto il Padre che è nei cieli".

L’eroismo dei santi può anche essere culminato nel martirio ma è stato ‘solo’ il cercare di essere santi ogni giorno che poi li ha portati anche alla capacità di un amore portato all’estremo.

Ma, allora, l’eroismo, la santità sono frutto esclusivamente di volontà?

Per me: no! Sono frutto di amore. La volontà può affinarmi al sacrificio, l’amore riesce a far diventare scelta gioiosa anche il sacrificio.

Non aspettiamo la grande occasione per ottenere il miracolo, basta, anche solo alla fede, bagnarsi sette volte in un fiumiciattolo sporco come il Giordano.

 

 

MARTEDI’ 28

San Gontrano; San Sisto III°

Parola di Dio: Dn. 3,25.34-43; Sal. 24; Mt.18,21-35

FACCIAMO UN PO’ DI … CONTI

"IL REGNO DEI CIELI E’ SIMILE AD UN RE CHE VOLLE FARE I CONTI CON I SUOI SERVI" . (Mt. 18,23)

La Quaresima è una buona occasione per fare anche noi un po’ di conti, per vedere se ci sono crediti o debiti. E questo vale per noi personalmente, ma anche per i nostri atteggiamenti. Già in anni passati, questo brano di intenso e forte amore per la Chiesa di Adriana Zarri, mi aveva aiutato a fare un po’ di conti con me stesso, mi pare attuale anche oggi e per questo ve lo propongo:

"Oggi è tempo di amore per la Chiesa; ma di un amore adulto, svincolato dai puerilismi idolatranti, dai servilismi abdicatori, dai clericalismi ambigui, dai temporalismi ibridi.

E’ finita l’età dell’atteggiamento pavido e geloso che chiudeva volutamente gli occhi per timore che certe poco edificanti verità facessero crollare il nostro amore, forse la nostra fede. Il nostro amore oggi è abbastanza forte per sopravvivere allo scandalo di sagrestia e magari allo scandalo di curia, e la nostra fede sicura anche di fronte al lucignolo che fuma.

Resiste ancora qua e là, arroccato magari in qualche seggiola ufficiale, chi si fa un punto di onore nel negare ogni addebito che possa farsi alla cristianità, nell’elencare ogni benemerenza della Chiesa, nell’aggravare ogni peccato commesso dai nemici della Chiesa. Tutto questo non è amore.

L’amore per la Chiesa non si gonfia il petto, non mette tutti i lustrini della cristianità, non copre tutte le macchie della cattolicità. L’amore per la Chiesa non è adulterazione della storia: è una fede in valori che superano la storia e che nessun errore riuscirà a sopraffare.

L’amore per la Chiesa vive e patisce gli errori della Chiesa: e quando c’è vergogna da subire la subisce umilmente, senza tentar di contraffarla; e quando c’è una croce da portare la porta coraggiosamente, senza cercar di alleggerirla scaricandola su spalle sconsacrate.

Dio soltanto conosce chi è "consacrato" o meno, chi è nella Chiesa o fuori. Vergogne, poi , tutti ne abbiamo; e chi è dentro alla Chiesa ha la sua parte, chi è fuori ha la sua parte. Forse chi è fuori ha una parte più leggera perché ha qualche talento in meno. Ma è perfettamente inutile far queste contabilità. L’amore non conteggia: l’amore paga. E chi è nella Chiesa deve pagare per la Chiesa, deve patire per la Chiesa, deve portare i pesi della Chiesa."

 

 

MERCOLEDI’ 29

San Secondo di Asti

Deut. 4,1.5-9; Sal.147; Mt. 5,17-19

SI TRATTA DI INCONTRARE UNA PERSONA.

"NON SONO VENUTO PER ABOLIRE LA LEGGE O I PROFETI, MA PER DARE COMPIMENTO". (Mt. 5,17)

Se torno indietro nel cammino della mia vita, scopro che da sempre sono stato assetato di verità e che l’ho cercata in tanti modi diversi. Ho pensato di trovarla nel pensiero dei filosofi e dei letterati, e mi sono buttato "a peso morto" sui libri, ho pensato di incontrarla in alcuni personaggi del mondo contemporaneo e in mille modi ho cercato di vederli, di venirne a contatto, ho pensato che l’unica verità fosse Dio e mi sono messo a studiare la Bibbia.

Ho trovato frammenti di verità dappertutto: nei libri, nella saggezza dei popoli, nell’ordinamento delle leggi, nelle persone più umili (quanta verità e quanta saggezza mi hanno testimoniato i poveri, i barboni!), come nei saggi maturi, nella natura come nelle religioni… ma mancava sempre qualcosa: erano briciole di verità ma non era la Verità. Perché la Verità, la Saggezza, l’Amore non è una cosa è una Persona.

E questa Persona è Gesù.

Lui non è venuto per dire: "La storia non esiste, la Legge dell’Antico Testamento non serve più a nulla, le saggezze umane sono stupidaggini", è venuto a dire: "Tutto quello che hai incontrato di bello, di giusto, di vero è importante ma trova il suo compimento solo se incontri il Bello, il Giusto, il Vero: tutto questo non è un principio, una filosofia, una teologia, è la Persona del Figlio stesso di Dio che ti viene offerta, che ha desiderio di stare con te.

Chi è allora il vero saggio, il vero credente?

E’ colui che sa cercare e prendere un po’ da tutte le parti, è colui che ama la natura e la rispetta, è colui che umilmente sa cercare la verità nei fratelli e nel pensiero umano, è colui che cerca di vivere lo spirito di ogni legge buona, ma è colui che, cercando ogni giorno di incontrare il Figlio di Dio, impara da Lui poco per volta a pensare come pensa Dio e ad agire come agisce Dio. La saggezza, la verità crescono e aumentano man mano che le frequenti, l’essere davvero figlio di Dio cresce, aumenta, prende sempre maggior consapevolezza man mano che incontri, frequenti, ti lasci amare e ami il Figlio di Dio.

 

 

GIOVEDI’ 30

San Giovanni Climaco; Sant’ Amedeo

Parola di Dio: Ger. 7,23-28; Sal.94; Lc.11,14-23

QUALE SARA’ IL RACCOLTO DI UNA VITA? "CHI NON RACCOGLIE CON ME, DISPERDE". (Lc.11,23)

In questi giorni è venuta a trovarmi una cara signora che conosco da anni. Era in un momento forse di un po’ di stanca oppure in quei momenti in cui facendo un bilancio dei tuoi anni improvvisamente ti spaventi. Mi diceva: "Sono ormai tanti gli anni della mia vita, e molti li ho passati seminando nella speranza di un raccolto abbondante. Speranze umane, la famiglia, i figli, i nipoti, me stessa. Ma mi accorgo che ogni anno la messe è sempre inferiore alle fatiche e alle aspettative. Mi sembra quasi che più passano i giorni, più aumenta il deficit. Dove è finito tutto il lavoro fatto? Dove le veglie inquiete per le vicissitudini della vita? Dove è finito tutto quello che ho letto, imparato con tanta fatica? Quante delle amicizie, delle persone amate, ricercate, incontro ancora? Dove è finita tutta la sofferenza che ho incontrato e la gioia che ho goduto? Dove le parole, i gesti, gli sguardi, le emozioni, gli atti dell’esistenza, le opere?

Tutto è passato, disperso, finito. Di vivo sembra non resti che il nostalgico ricordo, il pentimento per tante cose, e questo breve attimo di vita che sta sfuggendo. Lungo il tortuoso sentiero della vita, via via si perde ogni cosa. E se guardo il piccolo futuro che mi rimane: sarà una ulteriore spoliazione!" Sarà proprio così? Se la tua vita è stato solo un succedersi di speranze umane, allora sì che ti ritrovi con un po’ di polvere nelle mani. Tutto è sprecato ciò che non è fatto in Dio e per Dio perché tutto si guasta e si corrompe se non è conservato, rinnovato dall’Eterno.

Noi siamo tutti dei naufraghi nel gran mare del tempo. Soltanto Dio emerge sopra le onde dei secoli. Tutto ciò che ti è caro affidalo a Lui se vuoi salvarlo. Se no è perduto.

 

 

VENERDI’ 31

Sant’ Amos; Santa Balbina; San Beniamino

Parola di Dio: Os. 14,2-10; Sal.80; Mc.12,28-34

L’AMORE E’ LA CHIAVE. "QUAL E’ IL PRIMO DI TUTTI I COMANDAMENTI?" (Mc. 12,28)

"Amare Dio e amare il prossimo val più di tutti gli olocausti e i sacrifici". Così conclude la sua riflessione quello scriba che era andato a parlare a Gesù. E Gesù approva. L’amore è più importante della stessa pratica religiosa, perché è ciò che le dà valore.

Quando sentiamo parlare di Cristianesimo, specialmente da parte di certi giornalisti e anche di alcuni praticanti, si può avere l’idea che esso sia un insieme religioso-morale più o meno sovraccarico di norme, di comandamenti di Dio e della Chiesa, di leggi morali, di canoni di diritto canonico, di ordinamenti gerarchici. Chi vede solamente questo si ferma alla struttura, senza arrivare alla vita che lo Spirito di Dio infonde nella Chiesa, sempre che essa sia disposta ad accoglierlo.

D’altra parte anche a livello personale, familiare e sociale, tutti noi ci sentiamo, chi più chi meno, come pezzi sparsi di un rompicapo. Spesso siamo disorientati dal modo consumistico di intendere la vita, pronti a seguire con facilità i guru delle varie religiosità attuali, sollecitati da sentimenti e affetti contraddittori, schiavi di tanti piccoli idoli della vita attuale. Davanti a questa dispersione dei nostri centri di interesse, dobbiamo fermarci un momento per chiederci qual è la nostra motivazione religiosa fondamentale, cioè il pezzo chiave di questo rompicapo. E questo non può essere altro che l'amore indissolubile per Dio e per il prossimo. Ecco che cosa darà senso, coesione e valore alla nostra vita, se ci liberiamo degli idoli morti del denaro, dell’orgoglio, della prepotenza e del dominio, dell’egoismo e del sesso, dell’ansia di vivere e di consumare.

Arrivati a metà della Quaresima, dobbiamo, nel nostro pellegrinaggio, approfondire ancora la nostra conversione a Dio e al fratello, avanzando sul cammino della fede e dell’amore, perché per questo doppio incontro non c’è via migliore né più rapida dell’amore, che è il nostro centro di gravità.

Concludo questo primo spazio di cammino quaresimale con una preghiera di Basilio Caballero:

 

Ti riconosciamo, Signore, come nostro unico Dio, che vogliamo amare e servire con tutto il cuore. Dio, Padre di tenerezza, vicino a quelli che ti invocano, infondi il tuo amore nei nostri cuori perché amiamo gli altri con lo stesso amore con cui tu ci ami. Siamo come pezzi sparsi di un rompicapo. Mettici insieme nel tuo amore, Signore. Insegnaci ad amare. Concedici, specialmente in questo tempo di Quaresima, di convertirci totalmente all’amore per Te e per i fratelli. Vogliamo abbandonare gli idoli del nostro egoismo, perché amare vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici.

 

 

TRENTUN PENSIERI PER TRENTUN GIORNI

 

1. FESTA

Oggi ci sono molte feste, ma c’è poca festa. (Mons. Tonino Bello)

 

2. FIDANZATE

Se sono ottime fidanzate, da dove vengono le cattive mogli? (Proverbio inglese)

 

3. FIDUCIA

L’uomo a volte diventa capace di un ruolo eroico soltanto per la fiducia con cui gli si chiede di assumerlo. (Padre Charles)

 

         

4. FIGLI

Quando i genitori fanno troppo per i loro figli, va a finire che i figli non faranno abbastanza per se stessi. (H Hubbart)

 

5. FIGLI DI DIO

Poiché chiamiamo Dio nostro Padre, dobbiamo regolarci da figli di Dio in modo che se andiamo orgogliosi di avere Dio per Padre, anch’Egli possa gioire di averci per figli. (Cipriano da Cartagine)

 

6. FILOSOFI

I filosofi sono più anatomisti che medici: disseccano, sezionano, ma non guariscono. (Rivarol)

 

7. FINE

Chi ha un ‘perché’ nella vita, sa sopportare quasi tutti i ‘come’. (Nietzsche)

 

8. FINE DEL MONDO

Se ti prepari bene alla tua fine, la fine del mondo non ti recherà danno: lontana o vicina, non interessa saperlo.(San Giovanni Crisostomo)

 

9. FIORE

Ho visto Dio passare in un fiore. (Linneo)

 

10. FISSAZIONE

Se l’unico attrezzo di cui disponi è un martello, finisci per vedere tutti i problemi come se fossero chiodi. (A: Maslow)

 

11. FLESSIBILITA’

Se con prudenza ad un albero tu incurvi un ramo, giungi a fletterlo; lo spezzi se una prova vi fai con tutte le tue forze. (Publio Ovidio Nasone)

 

12. FOLLA

Nella folla l’individuo dà il peggio di sé. (Giovanni Guareschi)

 

13. FOLLIA

C’è un poco di follia nell’amore, ma c’è sempre molta ragione nella follia. (Proverbio cinese)

 

14. FORTEZZA

A chi possiede animo risoluto anche le cose più pesanti diventano leggere, altrimenti anche le cose più leggere diventano insopportabili. (San Giov. Crisostomo)

 

15. FORTUNA

Bisogna amministrare la fortuna come la salute: goderne quando è buona, aver pazienza quando è cattiva e non ricorrere ad estremi rimedi in assenza di estremi bisogni. (Francois de la Rochefoucauld)

 

16. FORZA

Il più forte non è mai tanto forte da poter essere sempre il padrone, a meno che trasformi la sua forza in diritto e l'obbedienza in dovere. (Rousseau)

 

17. FRANCHEZZA

La franchezza non consiste nel dire tutto, ma nel dire il vero. (William Shakespeare)

 

18. FRATELLANZA

Quando manca il calore umano nel servire i fratelli, è perché il Diavolo si è accovacciato alla porta della nostra anima. (Santa Brigitta di Svezia)

 

19. FRETTA

Quando si ha fretta non si dà mai l'impressione di amare, e troppe persone hanno fretta. (Dottor Tournier)

 

20. FRIVOLEZZA

Se la natura non ci avesse creato un po' frivoli, saremmo molto più infelici. Per frivolezza la maggior parte della gente non si impicca. (Voltaire)

 

21. FRODE

La frode beve la maggior parte del suo stesso veleno. (Seneca)

         

22. FUGA

Non c'è fuga da Dio; non è possibile. L'esodo da Dio è una marcia verso Dio. (Leonardo Sciascia)

 

23. FUNERALE

Tutti i funerali son dei fallimenti: se son pomposi, sono ripugnanti; se sono i più semplici sono ripugnanti. Il teatro della morte fallisce sempre. (Bernard Thomas)

 

24. FURBIZIA

Ci sono più sciocchi al mondo che furbi, altrimenti i furbi non avrebbero abbastanza da vivere. (S. Butler)

 

25. FUTURO

Pensa a far bene quello che stai facendo. Il futuro dell’umanità dipende da questo. (Abrham Heschel)

 

26. GALANTUOMO

E' molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini si deve essere sempre. (Luigi Pirandello)

 

27. GALATEO

Il galateo è puramente e semplicemente la moneta spicciola di quel biglietto da lire mille che è la bontà. (G. Faldella)

 

28. GELOSIA

La gelosia è davvero un mezzo inefficace per assicurarsi l’amore, ma è un mezzo sicuro per distruggere il nostro amor proprio. (Emma Goldmann)

 

29. GENERAZIONI

Se il vecchio si comporta come i giovani è più ridicolo dei giovani. (San Giovanni Crisostomo)

 

30. GENEROSITA’

Ogni generosità si paga: proprio per questo ha valore. (Barney Clifford)

 

31. GENEROSITA’ DI DIO

Non vediamo il bene che Dio ci fa perché non smette mai di farcene. Niente colpisce meno la coscienza di un bene continuamente offerto.(Gustave Thibon)

     
     
 

Archivio