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SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

FEBBRAIO 2000

 

MARTEDI’ 1

Santa Verdiana; Sant’Orso; San Severo di Ravenna

Parola di Dio: 2Sam. 18,9-10.14.24-25.30; Sal.85; Mc.5,21-43

"UNA DONNA AFFETTA DA EMORRAGIA GLI TOCCO’ IL MANTELLO E ALL’ISTANTE LE SI FERMO’ IL FLUSSO DI SANGUE". (Mc. 5,25-29)

In tutti e quattro i Vangeli, ma specialmente in Marco, troviamo il termine ‘toccare’ riferito a Gesù. Egli tocca il lebbroso, prende per mano la suocera di Pietro per guarirla e poi lo stesso Pietro per tirarlo su dall’acqua mentre sta per annegare, prende per mano la figlia di Giairo per farla risorgere… e poi c’è anche gente come l’emorroissa che vuol toccare Gesù e che lo fa di nascosto per la sua condizione di ‘impura’ davanti alla Legge e che per questo gesto, che può sembrare anche un po’ superstizioso, riesce a ‘rubare’ un miracolo a Gesù.

Gesù è venuto ‘per toccare la nostra umanità’. Il suo non è il giro turistico del ministro che passa nelle corsie dell’ospedale per farsi vedere popolare, che scambia sorrisi e magari anche qualche stretta di mano ben sapendo che mezz’ora dopo, lavata e rilavata la mano, ha qualche incontro politico ben più importante. Gesù si è incarnato nella nostra realtà, conosce gli odori delle nostre case e delle nostre stalle, il sudore dei contadini e degli operai, l’odore delle barche, la polvere dei pellegrini, la fatica del pane quotidiano. Ha toccato con mano le nostre ‘ricchezze’ e conosce le povertà, si siede alla mensa dei ricchi e spezza il suo pane con i poveri, conosce la ruvidezza del legno non solo perché ha fatto il falegname ma anche perché lo ha sperimentato con il legno della croce. Gesù prende per mano la nostra umanità, la sua mano solleva, accompagna, guarisce, salva; diventa allora il gesto più semplice della fede quello di volerlo toccare. Noi abbiamo bisogno di toccare e di essere toccati. La fede ha bisogno di segni e soprattutto il cuore ha bisogno di lasciarsi toccare per poter liberare il meglio dei suoi sentimenti. E Gesù continua ad offrirci, al di là di ogni superstizione e magia, la possibilità di toccarlo. La sua parola è la mano tesa che ci rinnova, incoraggia, guida; i suoi
Sacramenti sono i segni che accompagnano il cammino della fede: il Battesimo ci riveste di Lui, la Cresima ci dà il tocco del suo Spirito, la sua Eucarestia è il pane concreto per il cammino quotidiano, il Perdono è la sua mano che ci rialza e ci guarisce, il Matrimonio e l’Ordine sono la sua presenza nelle scelte fondamentali della vita e l’Unzione degli infermi è la sua compartecipazione al mistero del dolore, della morte, per donare speranza qui e per la vita eterna. Lui ci tocca, noi possiamo toccarlo, ma ci vuole fede. Gesù lo dice chiaro a quella donna: "Tu mi hai toccato, mi hai rubato un miracolo col tuo gesto, ma io questo miracolo te lo ridono perché è la tua fede che ti ha guarita".

 

 

MERCOLEDI’ 2

Presentazione del Signore

Santa Caterina de’ Ricci

Parola di Dio: Ml. 3,1-4; Sal. 23; Eb. 2,14-18; Lc. 2,22-40

In San Pietro: Giubileo della vita consacrata.

"SI E’ RESO IN TUTTO SIMILE AI FRATELLI PER DIVENTARE UN SOMMO SACERDOTE MISERICORDIOSO E FEDELE". (Eb. 2,17)

Quando ero ragazzino, nel seminario minore, aspettavo con ansia e con gioia che qualche missionario, rientrato in Italia magari per un momento di riposo o molto più spesso per cure mediche, venisse a predicare a noi seminaristi.

Mi piaceva e ci piaceva perché di solito questi uomini , innamorati di Dio, ma anche dell’uomo erano molto concreti e vedendo noi ragazzi costretti da un’educazione che teneva più conto del "Regolamento" che di noi, anche attraverso il racconto delle loro avventure, aprivano gli orizzonti della nostra fantasia. Ma li aspettavamo anche perché sentivi che parlavano del Madagascar, del Tanganica, del Congo, non come di qualcosa lontano, ma come della loro vera patria, e parlavano degli indigeni non come di trogloditi o di incapaci, ma come di persone amate. Vedevi nelle parole, che quasi avevano dimenticato il corretto uso della grammatica italiana, il volto del lebbroso, non una foto anche scioccante dei giornali, ma un volto e un nome su cui il missionario si era chinato. Se non si condivide l’angoscia del povero, la miseria dell’umiliato, non si può pretendere di aiutarli veramente. Come sono freddi certi uffici missionari, o certi ricchi vescovadi, anche in terra di missione, dove si stabiliscono strategie missionarie che altri dovranno eseguire, o dove si divide la torta degli aiuti quasi pensando che solo l’economia possa risolvere ogni problema di povertà e di giustizia sulla terra. Senza solidarietà effettiva, ogni sforzo è compromesso in partenza. La festa che celebriamo oggi, la presentazione di Gesù al Tempio, ci ricorda la strada che Gesù ha scelto per redimerci. Non si è accontentato di darci qualche ricetta di morale spicciola. Non è venuto per istruirci in teologie complicate… si è fatto uno di noi, in tutto simile a noi. Quanto è bello vedere quella santa famiglia in fila con gli altri che rioffrono i figli a chi glieli ha donati, vedere Maria nel gesto dell’offerta, vedere Giuseppe che forse con senso di vergogna va a comprare il riscatto dei poveri, una coppia di colombi (due colombi per avere restituito il Figlio di Dio!) e vedere Gesù, il Re del mondo fatto bambino passare nelle braccia di due vecchi che da Lui sembrano ringiovaniti, che lodano Dio ma annunciano per Lui e per Maria anche una incarnazione di dolore e di sofferenza. Si è fatto in tutto simile a noi. Capisce le gioie ed anche le sofferenze. E capisce anche il peccato, non perché lo abbia sperimentato, ma perché si è fatto peccato per liberarci dal peccato. Lui e Lui solo può capirmi fino in fondo!

 

 

GIOVEDI’ 3

San Biagio; Sant’Ansgario (Oscar)

Parola di Dio: 1Re 2,1-4.10-12; Cantico da 1Cr. 29,10-12; Mc. 6,7-13

"E ORDINO’ LORO CHE NON PRENDESSERO NULLA PER IL VIAGGIO". (Mc. 6,8)

E’ la prima volta, nel Vangelo di Marco, che gli apostoli vengono lasciati soli, anzi, proprio mandati, e se già ci eravamo stupiti per la scelta dei dodici fatta non tra i più sapienti, i più intelligenti, ci può stupire ancora di più l’equipaggiamento di questi missionari: non hanno niente, non devono portare niente! Sono davvero ‘truppe leggere’ questo primo drappello di inviati. Portano niente di proprio per far risaltare unicamente l’opera di Dio e per essere sempre leggeri e pronti a ripartire. L’insegnamento è grande anche per la Chiesa di oggi e per ciascuno di noi che, proprio perché cristiano, dovrebbe sentire l’anelito della missione, cioè la gioia di annunciare agli altri la liberazione di Gesù. Un segno del Giubileo che stiamo vivendo non dovrebbe essere quello di riscoprire la semplicità dei mezzi che ci evitano di cadere in ogni forma di trionfalismo? Faccio qualche esempio, sia grande riguardante le istituzioni della Chiesa, sia più modesto riguardante noi. La Chiesa spesso giustifica uno smodato uso di mezzi terreni col pretesto dell’utilità e dell’efficacia di questi stessi mezzi, ad esempio: l’oratorio sarebbe un buon mezzo per offrire ai giovani delle alternative nella loro crescita. Costruiamo dunque un oratorio, spendiamo due miliardi tra l’acquisto del terreno, la costruzione, l’attrezzatura, e poi.. l’oratorio viene aperto solo in certe ore e in certi giorni perché non ci sono preti e i laici impegnati sono già talmente impegnati! E poi… ci vengono così pochi giovani e quelli che vengono sono interessati al biliardino o ai videogiochi, e poi… dobbiamo chiudere perché anche lì circolano certe pasticche! I cristiani lottano per la scuola cattolica. Giusto che in questa società ci sia un pluralismo di offerte culturali! Ma quanti edifici di scuole cattoliche in cui sono stati profusi miliardi sono quasi vuoti o dimessi ad altri usi, e quanti di quelli che hanno frequentato la scuola cattolica oggi frequentano la Chiesa? E’ vero, anche santi come don Bosco o il Cottolengo hanno maneggiato fior di soldoni, ma di certo non hanno fondato le loro opere su di essi. Dio si manifesta quando l’uomo si fida di Lui e non dei soldi o di se stesso.

Quando io voglio essere missionario e voglio convertire a tutti i costi e gioco tutto sulle mie capacità intellettive, di simpatia, di chiacchiera o sulla attrattiva delle cose, farò un servizio a me stesso o ad un certo tipo di Chiesa, ma non di certo al Vangelo e a Gesù. Non è il caso di diventare dei pauperisti. Le cose servono (alcune), ma il mondo non sarà più cristiano solo perché avremmo attirato alcuni giovani scimmiottando i mezzi del mondo o solo perché avremmo ricominciato a costruire cattedrali a base di miliardi. Forse il mondo sarà un po’ più cristiano se mi vedrà cristiano di Cristo.

 

 

VENERDI’ 4

San Gilberto; Sant’Andrea Corsini

Parola di Dio: Sir. 47,2-11; Sal. 17; Mc. 6,14-29

"VOGLIO CHE TU MI DIA, SUBITO, SU UN VASSOIO, LA TESTA DI GIOVANNI IL BATTISTA". (Mc. 6,25)

Lo sappiamo tutti che la sorte dei profeti non è mai una vita tranquilla. Sappiamo anche che in questo sono figura dell’unico, grande profeta che è Gesù e anticipano quanto capiterà a Lui, però mi ha sempre fatto pensare la figura di Giovanni il Battista, "il più grande tra i nati di donna" come lo definisce Gesù, che ci lascia la testa per la gelosia di una donna. Sia pure andata come la racconta Marco, rifacendosi ad una tradizione popolare, o come la racconta Giuseppe Flavio che nel suo libro ‘Antichità Giudaiche’ vede l’uccisione di Giovanni dettata da ragioni politiche, fatto sta che Giovanni per la verità annunciata viene martirizzato. Ma questa conclusione tragica di martirio sta già anche nella sua vita. Egli è sicuro di aver parlato a nome di Dio ed ha annunciato un Messia potente, giudice terribile, che "ha in mano il ventilabro per mondare la sua aia", ed è arrivato Gesù a farsi battezzare da lui, in fila con altri peccatori. Giovanni è stato disposto a "diminuire affinché Lui cresca", si è spogliato perfino dei suoi discepoli per mandarli dietro a Gesù, ma Gesù non sembra aver fretta di farsi conoscere e anche quando fa qualche miracolo impone il segreto messianico. Penso che Giovanni, nella solitudine della sua prigione, sapendo che era solo questione di tempo prima di venire giustiziato, si sia chiesto se per caso non avesse sbagliato tutto, e soprattutto avrà sperimentato fino in fondo quanto terribile fosse il silenzio di Dio. Continuare ad aver fede in quei momenti è altrettanto eroico, se non di più, che allungare la testa davanti alla spada. Servire Dio non è facile. Cercare di essere fedeli alla propria vocazione e alla missione a cui Lui vuole mandarci è eroico, anche perché non sempre sei sicuro. E’ vero, noi abbiamo Gesù, chi vede Lui vede il Padre, ma le scelte concrete non sempre sono così evidenti quando devi scegliere tra due beni, ad esempio, tra verità e giustizia, tra perdonare e non creare presupposti di danno per altri, tra obbedienza e ricerca di verità… E Dio sembra tacere, e la tua coscienza sembra non darti aiuto, ma solo far nascere nuovi interrogativi. Come risolve Gesù? E’ il momento della croce che apre un barlume. E’ là sopra il luogo dove Gesù grida quasi contemporaneamente due cose che sembrano opposte: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" e "Nelle tue mani affido il mio spirito". Anche per Lui la grande prova sta nel sentirsi solo, abbandonato, moribondo e fidarsi di Dio. Dio aiuti tutti coloro che vivono oggi questo martirio a fidarsi di Lui.

 

 

SABATO 5

Sant’Agata

Parola di Dio: 1Re 3,4-13; Sal. 118; Mc. 6,30-34

"VENITE IN DISPARTE, IN UN LUOGO SOLITARIO, E RIPOSATEVI UN PO’ ". (Mc. 6,31)

I discepoli sono tornati dalla missione: hanno tante cose da raccontare.

Quando ero chierico al seminario di Rivoli, il sabato e la domenica ci lasciavano andare nelle parrocchie a fare un po’ di esperienza: chi agiva in oratorio, chi con la San Vincenzo, chi animava la liturgia. Alla domenica sera si tornava stanchi, ma con tante cose da raccontare, con desideri e propositi per migliorare la testimonianza, con nel cuore la sofferenza di qualche malato, la gioia di qualche bambino… e si passavano ore a parlarne tra noi.

Gli apostoli sono meravigliati di quanto è successo proprio a loro, poveri pescatori di pesci che si scoprono capaci di pescare uomini. Mi è facile immaginare quel gruppo che entusiasticamente parla. Le voci si sovrappongono: "Io ho fatto…", "Io ho detto…","Quella persona si è aperta con me…", "Ho visto quel malato sorridere…"," Tanta gente ha accolto la parola di Gesù"… E Gesù, che sembra commosso dall’entusiasmo di questi neofiti missionari, dice loro: "Venite in disparte e riposatevi un po’". Gesù è attento alle necessità umane dei suoi (ricordate, ad esempio, quando fa risorgere la figlia di Giairo, appena la rimette tra le braccia dei genitori dice loro: "Datele da mangiare"). Gesù aveva detto: "Ogni operaio ha diritto alla propria mercede" e qui sembra dire: "Dopo il lavoro ci vuole il giusto riposo". Ma Gesù non avrà anche voluto dire un’altra cosa? Davanti a questi facili entusiasmi che facilmente possono portare gli apostoli a sentirsi protagonisti indispensabili della missione, Gesù non avrà voluto anche ridimensionarli un po’? Gesù, invitandoli a ritirarsi in disparte, forse vuol far capire a loro e a noi di non lasciarci prendere dai troppo facili trionfalismi. Anche la Chiesa di oggi spesso soffre di questa malattia. Si contano i partecipanti alle manifestazioni religiose quasi come i gestori dei programmi televisivi contano l’indice di ‘audience’; si pensa di essere unici e indispensabili perché quel gruppo funzioni; il giusto zelo religioso rischia di renderci cristiani affannati, stressati, troppo ‘impegnati’ e questo moltiplica strutture, burocrazie e alla fine si dimentica il perché della missione. "Venite a riposarvi" non sarà, allora, anche: "Venite a fare il pieno di Me"? Sì, perché se non hai Lui nel cuore, che cosa puoi dare agli altri?

 

 

DOMENICA 6

5^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (B)

Santi Paolo Miki e compagni; Santa Dorotea; San Gastone

Parola di Dio: Gb. 7,1-4.6-7; Sal. 146; 1Cor. 9,16-19.22-23;Mc. 1,29-39

PRIMA LETTURA (Gb 7, 1-4. 6-7)

Dal libro di Giobbe.

Giobbe parlò e disse: "Non ha forse un duro lavoro l'uomo sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d'un mercenario? Come lo schiavo sospira l'ombra e come il mercenario aspetta il suo salario, così a me son toccati mesi d'illusione e notti di dolore mi sono state assegnate. Se mi corico dico: "Quando mi alzerò?". Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi fino all'alba. I miei giorni sono stati più veloci d'una spola, sono finiti senza speranza. Ricordati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene".

 

SECONDA LETTURA (1 Cor 9, 16-19.22-23)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Quale è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il vangelo senza usare del diritto conferitomi dal vangelo. Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro.

 

VANGELO (Mc 1, 29-39)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, si recò in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni; ma non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: "Tutti ti cercano!". Egli disse loro: "Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!". E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni.

 

RIFLESSIONE

 

San Paolo, nella seconda lettura di oggi, ricordando che il suo è un annuncio, gioioso, libero, gratuito del Vangelo, dice che proprio per questo amore, "Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, mi sono fatto debole con i deboli, mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno". Paolo ha capito che il Vangelo non è l’annuncio di qualche teoria, di qualche morale, di una legge, è l’annuncio di un Dio incarnato nel reale della vita di ciascuno e solo partendo di lì si può fare esperienza di Lui.

Noi, nella nostra vita piena di mistero e di interrogativi, spesso cerchiamo risposte e vorremmo che queste fossero sempre chiare ed esaustive, quasi che se un giorno, ad esempio, ci fosse spiegato per filo e per segno il senso del dolore, noi non dovessimo soffrire più. Invece, man mano che gli anni passano, ci accorgiamo sempre più di vivere nel mistero, come Giobbe.

Giobbe, colpito da disastri economici, familiari, di salute si chiede angosciosamente il perché della sua sofferenza. Alcuni amici lo vanno a trovare e gli dicono che se soffre vuol dire che ha peccato contro Dio. Ma egli non ricorda di aver peccato: soffre da innocente. Un altro amico gli dice che Dio permette il male non solo per punire, ma anche per purificare e preservare dal peccato. Ma, anche questo non lenisce o consola totalmente il suo dolore.

Il problema del dolore rimane, fa male.

Ci sono momenti particolari della nostra vita in cui questo problema sembra sovrastarci perché entra a più riprese, devastante nella nostra vita e in quella delle nostre famiglie, nella nostra storia. Per prendere un esempio universale che superi i nostri dolori personali, penso abbiate ancora tutti presente una settimana del mese di novembre dello scorso anno: arrivavano notizie di guerra e di morte dalla Cecenia, un aereo con più di 280 persone a bordo si inabissa: tutti morti; il terremoto si abbatte ancora una volta sui già pochi e malandati superstiti della Turchia; a Foggia una casa si accartoccia addosso alle persone che dormono e sono lutti per tante famiglie, e muoiono bambini innocenti, un altro aereo dell’O.N.U con delle persone che hanno dato il loro tempo per un servizio di volontariato cade: tutti morti… Perché? Ma che cos’è la nostra vita? Come si può accostare l’idea di un Dio buono e Padre con queste carneficine?

Giobbe non ne può più: "Mi sono toccati mesi di illusione e notti di dolore mi sono state assegnate. Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi fino all’alba… E’ un soffio la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene", e poi rappresenta la propria vita come una spola del tessitore che si srotola. Ma, attenzione, nel linguaggio ebraico c’è un particolare, in questo paragone, che diventa determinante: il termine tikva significa filo. Ma vuol anche dire speranza.

La vita cessa quando si spezza il filo, quando non c’è più filo. Ma, anche la vita si interrompe allorché viene meno la speranza. Giobbe stesso, nonostante tutto concorra a portarlo alla disperazione, sembra afferrarsi a questo filo-speranza quando si lascia sfuggire: "Ricordati che è un soffio la mia vita".

Tutto è niente. Lui si sente già morto, eppure si rivolge a Dio con uno struggente: "Ricordati". Evidentemente è rimasto ancora un filo di speranza. E questo può portare lontano… E Giobbe rispondeva così, ma non aveva Gesù, perché Gesù è la Parola che Dio ci dà come risposta al dolore e al peccato; non una risposta teorica, non una serie di norme per spiegarsi tutto per filo e per segno e neppure una serie di riti per evitare la sofferenza, ma un Dio-uomo che viene per vivere in tutto la nostra storia e la nostra esperienza, un Dio che ha provato tutto e che ha sofferto tutto; è colui che ha dato un volto al dolore, è la mano tesa che solidarizzando con l’uomo lo rialza dal dolore e lo spinge al servizio come è successo alla suocera di Pietro di cui si parla nella pagina odierna del Vangelo.

Aveva ragione Simone Weil, un’ebrea vissuta ai margini della fede e della Chiesa cattolica, di affermare: "La grandezza del Cristianesimo viene dal fatto che esso non crea un rimedio soprannaturale contro la sofferenza, bensì un impiego soprannaturale della sofferenza".

Don Carlo Gnocchi fu quel prete che, dopo essere stato cappellano degli Alpini nella campagna di Russia (Alpini che furono decimati dalle armi russe e dal freddo della steppa) decise di dedicare la sua vita ai figli dei caduti e ai piccoli mutilati: voleva non solo recuperarli fisicamente, ma anche dare un senso e uno scopo alle loro sofferenze. Ecco come andarono le cose.

Un giorno don Gnocchi si trovò accanto al letto di Marco, un povero ragazzo che, per lo scoppio di una bomba, aveva dovuto subire l’amputazione delle gambe. Gli chiese: "Dimmi, Marco, quando i medici ti strappano le bende, ti frugano le ferite, ti fanno piangere, a chi pensi?".

"A nessuno!", egli rispose.

"Ma tu non credi che ci sia Qualcuno al quale potresti offrire il tuo dolore, per amore del quale tu potresti reprimere i lamenti e inghiottire le lacrime, e che potrebbe aiutarti a sentire meno il tuo dolore?".

Marco fissa nel vuoto il suo viso devastato, guardando con l’unico occhio stranito, risponde: "Non capisco…"

Alla vista di quello stupore, don Gnocchi ha un’intuizione: perché non raccogliere tutti i ragazzi mutilati che soffrono e insegnar loro a dare al proprio dolore un volto, un indirizzo di amore? Così è nata l’opera di don Gnocchi che ha cercato di dare un volto ed un indirizzo alla sofferenza soprattutto degli innocenti.

Il credente non ama il dolore, non cerca il dolore, grida nel dolore, non conosce tutto il senso del dolore, ma dà un volto al dolore.

Scriveva Henry Perreyre, un grande scrittore di ascetica del secolo scorso: " Se piangi, piangi con Gesù, perché pianse Egli pure. Se ti lamenti, sia con Gesù, perché Egli pure si è lamentato. Se invochi il termine delle tue angosce, fallo con Gesù, poiché Egli pure lo invocò, ma domandalo come Egli lo domandò, dicendo: "O Padre mio, se è possibile passi da me questo calice; però che si faccia non come voglio io, ma come vuoi Tu".

Unisciti a Cristo, non correre il rischio di perdere quella parte così preziosa della vita che è il dolore. Fidati come Lui si è fidato, ma fatti anche prendere per mano da Gesù come è successo alla suocera di Pietro e come succederà a Pietro stesso, quando starà per affogare nelle acque del lago. Quella mano farà sì che il tuo dolore non diventi il centro del mondo, il problema inspiegabile, il peso che uno cerca di riversare sugli altri perché è insopportabile portarlo da soli, ma diventi invece servizio a Cristo e al mondo.

 

 

LUNEDI' 7

San Teodoro

Parola di Dio: 1Re 8,1-7.9-13; Sal. 131; Mc. 6,53-56

"E DOVUNQUE GIUNGEVA, IN VILLAGGI O CITTA’ O CAMPAGNE, PONEVANO GLI INFERMI NELLE PIAZZE E LO PREGAVANO DI POTERGLI TOCCARE ALMENO LA FRANGIA DEL MANTELLO; E QUANTI LO TOCCAVANO, GUARIVANO." (Mc 6,56)

Marco, in uno dei suoi riassunti, senza cercare né spiegazione né collegando direttamente le guarigioni con le parole dell’annuncio della Buona Novella, ci parla dell’azione taumaturgica di Gesù. A che cosa servono i miracoli? Gesù era un guaritore? I miracoli confermano la divinità di Gesù? Perché Gesù non ha guarito tutti i malati? Quanti interrogativi tipici della nostra mentalità razionalistica occidentale! Nel mondo antico il male, in qualunque modo si manifesti, si oppone al bene, cioè a Dio. Il male, poi, dà all’uomo la giusta dimensione, cioè lo aiuta a pensarsi non autosufficiente, ma debole, finito, bisognoso di aiuto. Dio non ama il male, né il peccato, né le sue conseguenze, anzi aiuta l’uomo a combatterlo. Gesù è la risposta più grande di Dio alla lotta contro il male. E Gesù raccoglie tutto il male del mondo per inchiodarlo sul legno della croce, per morire di lui e con lui, per trasformare peccato, male, sofferenza, morte in risurrezione e vita eterna. Dicendo questo so di aver detto molto, ma so anche di aver balbettato su un mistero enorme nel quale tutti noi siamo inseriti. Gesù, in questo brano di Marco, non parla, agisce, guarisce. Non fa distinzioni su qualità di fede più o meno superstiziosa, su malati meritevoli o meno di guarigione. Gesù ‘si lascia toccare’ e guarisce. E’ l’aspetto più concreto, più consolante della Buona Novella. Che poi questo sia la realizzazione delle profezie, la conferma della divinità di Gesù, è tutto vero, ma intanto le guarigioni sono segno concreto che l’impero del male non è invincibile, che basta una frangia del mantello di Gesù o la sua ombra per cacciarlo. Non chiedetemi perché Gesù, oggi, non operi o non possa operare questo o quel miracolo, non cercate le spiegazioni di qualcosa che proprio perché è miracoloso non potrà mai essere spiegato (ricordate il cieco nato? Davanti alla ridda delle interpretazioni e delle domande dei farisei risponde con le uniche parole valide di fronte al miracolo: "Io so che prima non ci vedevo e adesso ci vedo"); a me, questa Buona Novella che comincia con delle guarigioni fisiche di gente che soffre, piace proprio, e mi piace altrettanto, e mi fa pensare, la parola che Gesù dice ai primi discepoli: "Andate, guarite i malati, cacciate i demoni, e predicate che il Regno di Dio è qui".

 

 

MARTEDI’ 8

San Girolamo Emiliani

Parola di Dio: 1Re 8,22-23.27-30; Sal. 83; Mc. 7,1-13

"TRASCURANDO IL COMANDAMENTO DI DIO VOI OSSERVATE LA TRADIZIONE DEGLI UOMINI". (Mc. 7,8)

Davanti a critiche fondate alla religione, si possono assumere atteggiamenti diversi, da chi applaude e, continuando ad aggiungere critica su critica, spesso va oltre dimenticando quanto il religioso porta in sé di veritiero e di giusto, a chi si ritira scandalizzato perché, almeno formalmente, ritiene l’ambito religioso intoccabile, a chi erge subito barriere difensive accusando a sua volta di irreligioso o di ateo chi si è permesso di esprimere una critica.

Alla luce di questo, immaginiamoci adesso la scena del Vangelo di oggi: "Si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni scribi venuti da Gerusalemme". E’ una vera e propria commissione di inchiesta. I sommi sacerdoti hanno sentito parlare di Gesù, le voci corrono e il centro del potere religioso ha orecchie molto lunghe, sono preoccupati di questo predicatore che ‘canta fuori del coro’, sono preoccupati della sua ortodossia, sono preoccupati per ‘il bene del popolo’ in quanto sono unicamente loro, con la loro politica e diplomazia a conoscere quanto e quale sia il bene per la gente… e, allora… mandiamo una commissione della santa inquisizione a vedere, a prendere atto, a contestare, a raccogliere prove, a formulare atti di accusa. Ma questi trovano non uno che davanti a ‘cotanti’ personaggi importanti si spaventa, ma uno che dice loro con la massima libertà pane al pane e vino al vino.

Gesù non odia i farisei, Gesù ama tutti, Gesù non è un a religioso o un contestatore alla moda sempre contro tutte le forme di autorità. Gesù è un osservante dei precetti, ma è anche l’uomo più libero, più giusto, e se fa dei rimproveri li fa per migliorarci.

Esaminiamo, allora, il contesto di ciò che Gesù critica e scopriamo che va proprio bene sia per i farisei e gli scribi di allora che per vescovi, sacerdoti e religiosi di oggi, e che va proprio bene anche per me e per te. Quante tradizioni umane vengono fatte passare per dottrine volute da Dio! Ad esempio certe norme morali date come dottrina divina che sono solo aspetti culturali di certe epoche, di certe paure, o dettate solo per la difesa di supposti principi, oppure certi ritualismi che hanno perso significato ma che vengono mantenuti solo per l’aria di mistero e di superiorità che sembrano supporre. Si disserta sul cappello dei vescovi o sull’abito dei sacerdoti dimenticando che sotto il cappello o dentro o fuori di una talare ci debba essere un vero uomo di Dio. Si parla tanto di Chiesa, di missione, di ortodossia dei teologi e spesso ci si dimentica di far riferimento a Gesù o, peggio ancora, si usa arbitrariamente del Vangelo leggendolo a senso unico per confermare le proprie posizioni. Troviamo spesso ipocrisie piccole o grandi di cristiani che si danno il segno di pace, ma non si salutano per strada; che ritengono importante appartenere ad una comunità soprattutto per il prestigio che dà loro ricoprire in essa qualche compito rilevante. Vediamo ancora una Chiesa che continua a concedere monsignorati o cavalierati per ‘meriti cristiani’ (che, detto in altri termini, significa corse agli onori o soldi versati per "pie iniziative ecclesiastiche"). So benissimo che, dopo aver letto questa pagina, qualcuno storcerà il naso e alla prima occasione mi dirà che non amo la Chiesa, che punto il dito, che non ho misericordia…(tutte cose già sentite) ma, amare la Chiesa sarà stare zitti o cercare di cambiarmi e di cambiarla anche solo una briciola perché sia davvero un po’ più specchio del Vangelo?

 

 

MERCOLEDI’ 9

Santa Apollonia; San Rinaldo

Parola di Dio: 1Re 10,1-10; Sal. 36; Mc. 7,14-23

"DAL CUORE DEGLI UOMINI ESCONO LE INTENZIONI CATTIVE: FORNICAZIONI, FURTI, OMICIDI, ADULTERI, CUPIDIGIE, MALVAGITA’, INGANNO, IMPUDICIZIA, INVIDIA, CALUNNIA, SUPERBIA, STOLTEZZA". (Mc. 7,21-22)

Sulla falsariga di una pagina di Alessandro Pronzato ripercorro alcuni vizi di questa lista che Gesù ci ha proposto come elenco di mali che escono dal cuore dell’uomo, e, se lo dice Lui che sa quello che c’è nel cuore dell’uomo, deve essere vero.

Gesù parla di "invidia". Il termine usato significa "avere occhio cattivo", quindi non essere sereni nel giudizio sia con il prossimo che con Dio. E’ non essere contenti del bene altrui ma anche mugugnare nei confronti di Dio, essere meschini e incapaci di vedere le sue vie.

La "superbia" è intesa come orgoglio, alterigia, arroganza. E’ l’atteggiamento di chi si crede qualcuno, di chi presuppone di "essersi fatto da sé". E’ contraria all’umiltà e alla verità.

La "stoltezza" non ha bisogno di grandi spiegazioni, basta guardarsi attorno per vederne infinite applicazioni. Gesù chiama stolti gli ipocriti che puliscono l’esterno ma dentro son pieni di rapine e di malizia, quindi è stolto soprattutto chi bada solo alle apparenze, chi bada alle minuzie e trascura le cose importanti.

La "cupidigia" è anche questa una forma di stoltezza perché significa dare alle cose più valore di quello che hanno.

Questi e gli altri prodotti di questo elenco purtroppo li conosciamo e sappiamo che escono dal cuore corrotto dell’uomo.

Però dal cuore dell’uomo nascono anche le cose buone. Di queste Gesù non fa un catalogo. Ci può essere un catalogo dei vizi ma le cose buone e pulite non possono essere codificate. Un giorno una signora mi diceva: "Chissà lei che confessa, quante ne sente!" Non è affatto vero, non c’è niente di più vecchio e ripetitivo del peccato. In quel campo non si inventa nulla, al massimo si aggiornano cose vecchie. Nella bontà, invece, è possibile la creazione di qualcosa di veramente nuovo e insospettato. Solo in questo territorio sono possibili le scoperte, le invenzioni più sensazionali, le cose più incredibili.

Gesù affermando la morale del cuore e non solo delle azioni ci invita alla retta intenzione. Dice Bruno Maggioni: "Il primo dovere di coscienza per Gesù è di tenere pulita la coscienza, prima di seguirla". Il cuore deve essere pulito e allora diventa il luogo dove Dio si rivela e il luogo da cui, con l’aiuto dello Spirito, parte ogni creatività.

 

 

GIOVEDI’ 10

Santa Scolastica

Parola di Dio: 1Re 11,4-13; Sal. 105; Mc. 7,24-30

"NON E’ BENE PRENDERE IL PANE DEI FIGLI E GETTARLO AI CAGNOLINI".

"SI’, SIGNORE, MA ANCHE I CAGNOLINI, SOTTO LA TAVOLA, MANGIANO LE BRICIOLE DEI FIGLI". (Mc. 7,27-28)

Il bellissimo dialogo di fede tra Gesù e la donna cananea si svolge intorno al tema del pane, un tema caro a Marco e alla comunità primitiva: il pane essenza di vita, il pane moltiplicato e condiviso da Gesù con 5000 persone, Gesù che si fa pane e si dona a noi nell’Eucarestia e attorno ad essa si ritrova e forma la comunità. Ecco, allora, che questo Pane è il Segno per eccellenza dei cristiani. In esso si "fa memoria della passione, morte e risurrezione di Gesù", esso diventa il segno della solidarietà e della condivisione, esso va rispettato, non gettato. E qui, poco per volta nascono le norme per regolare l’accesso all’Eucarestia. Chi può o non può ricevere questo Pane?

Gesù alla donna pagana, venuta a chiedere un miracolo di guarigione per sua figlia, risponde: "Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini". Dunque, il pane è per i figli. E qui teologi e moralisti si sono sbizzarriti: chi saranno i figli? Il popolo di Israele? Ma è restrittivo! Saranno i battezzati? Ma quando Gesù ha parlato dicendo questo non aveva ancora mandato a battezzare… Sarò semplicista, ma a me sembra evidente che i figli sono tutti, perché ognuno è figlio di Dio, fatto a sua immagine e somiglianza. L’unica cosa è averne coscienza e aver coscienza della divinità di Gesù. Forse la distinzione tra figli e cagnolini sta proprio in questo: l’idolatra, il materialista, l’ateo professo non ha coscienza di essere figlio di Dio e quindi il pane dei figli non è per lui.

Vedete che se la ragioniamo così, il criterio di accostarsi o meno all’Eucarestia non può essere un criterio dettato da norme che pur sono un buon punto di riferimento per la formazione di una retta coscienza, ma deve essere un qualcosa che parte dal profondo dell’uomo che riconoscendosi figlio, magari anche peccatore, indegno, si decide a mettersi in cammino per tornare alla casa del Padre ed ha bisogno di mangiare lungo la strada per non venir meno.

Comprendiamo bene! Non è che questo metodo sia meno severo di quello delle norme. Se le norme, infatti, si possono sempre eludere, aggirare, la coscienza, se sei onesto, no. Con questo criterio, però, si sposta il centro da fredde norme (spesso volute da elucubrati ragionamenti umani per tenere in potere gli uomini attraverso il dominio sulle loro coscienze) all’uomo stesso.

Questa pagana che è giudicata con superiorità dai benpensanti, conscia delle proprie debolezze, ma che sa usare le stesse debolezze per proclamare i suoi diritti, alla fine non solo mangia le briciole ma, "per questa sua parola", ottiene il desiderato miracolo.

 

 

VENERDI’ 11

Madonna di Lourdes; Sant’ Adolfo

Parola di Dio: 1Re 11,29-32;12,19; Sal. 80; Mc. 7,31-37

In San Pietro: Giubileo degli ammalati e degli operatori sanitari

"APRITI!". (Mc. 7,34)

Oggi, festa delle apparizioni della Madonna a Lourdes, la lettura continua del Vangelo di Marco che stiamo facendo, ci propone la guarigione di un malato sordomuto. Viene spontaneo, per chi è stato in quella cittadina ai piedi dei Pirenei, ricordare le lunghe sfilate di carrozzelle davanti alla grotta o la benedizione Eucaristica dei malati.

Quante malattie, quante sofferenze là come in ogni ospedale, in ogni famiglia. E quante persone che invocano una guarigione o del corpo o del cuore. E ripenso anche alla sfilata di migliaia di "sani" davanti a quella grotta, sani a volte più malati dei malati.

E allora, senza nulla togliere alla concretezza e materialità del miracolo del Vangelo, mi piace, oggi, leggere quell’ "Apriti!" di Gesù come rivolto a noi.

Tu che sei sordo davanti all’universo, alla natura, apriti per comprendere che non sei frutto del caso, che non viaggi verso il nulla; ascolta, leggi nei segni della creazione l’opera di un creatore provvidente.

Tu che dici di cercare Dio ma che cerchi solo te stesso, apriti al Dio che ha parlato lungo tutta la storia della salvezza e che "nella pienezza dei tempi ci ha parlato attraverso Suo Figlio" fatto uomo per noi.

Tu che vivi esclusivamente nel tuo guscio, per te stesso, apriti al mondo non fatto di estranei e di concorrenti ma di fratelli perché figli dello stesso Dio.

Tu che sei triste, musone, apriti alla parola gioiosa del Vangelo, apri il tuo volto al sorriso, i tuoi occhi alla serenità, il tuo spirito all’ottimismo.

Tu che vivi con rabbia la tua sofferenza, la tua malattia, la tua solitudine, apriti a chi può darle un senso e un valore.

Apri le tue labbra per dire una parola di incoraggiamento piuttosto che un giudizio, lascia che dal tuo cuore riconoscente sgorghi un canto di lode.

Apri soprattutto il cuore perché cessando di essere un cuore di pietra diventi di carne, capace di lasciarsi ferire e di amare, capace di ricevere e di donare.

Apriti alla speranza di un Dio che, non ancora stanco del rifiuto dei suoi figli, ti offre quotidianamente il sacrificio di Gesù nell’Eucarestia.

Smettila con i chiavistelli e le porte blindate che ti chiudono al mondo e a Dio, lascia entrare un raggio di sole in casa tua e sii un po’ luce anche per chi vive con te.

 

 

SABATO 12

San Damiano; Santa Eulalia

Parola di Dio: 1Re 12,26-32;13,33-34; Sal. 105; Mc. 8,1-10

"E DOMANDO’ LORO: QUANTI PANI AVETE?". (Mc. 8,5)

L’episodio raccontato dal brano odierno del Vangelo comincia da un profondo sentimento di Gesù: "Sento compassione di questa folla", e sappiamo che per Gesù compassione non vuol dire: "Poverini!", ma è: "Che cosa possiamo fare per loro?".

E per vedere se i suoi hanno capito chiede subito: "Quanti pani avete?". La vera compassione non è pietire gli altri magari dicendo dentro di sé: "Meno male che non è toccato a me", è tirare fuori il proprio poco e metterlo a disposizione. Oggi ci sono dei neologismi sempre più in voga: si parla di globalizzazione, di villaggio comune. Pensando alla moltiplicazione dei pani e al "villaggio comune" vi offro oggi una provocazione di Pronzato: "Dicono che il mondo sia diventato ‘un grande villaggio’. Un cosmonauta lo può percorrere in un’ora e mezzo, non di più. Dicono che in questo grande villaggio ci sono cento ricchi e duecentotrenta poveri. Dicono che nel quartiere dei ricchi muore in media una persona l’anno e nasce meno di un bambino. Mentre nel quartiere dei poveri ne muoiono tre e ne nascono nove. Dicono che, fatte le proporzioni, nel grande villaggio del mondo ogni anno ci sono 10 milioni di ricchi in più e sempre più ricchi. E sessanta milioni di poveri in più e sempre più poveri. Dicono che nel grande villaggio qualcuno sia molto bravo a fare i conti. Dicono che nel grande villaggio che è il mondo circola una parola miracolosa: progresso. Ma che i poveri non hanno ancora imparato a riempirsi lo stomaco con questa parola ad alto contenuto nutritivo. Signore, ti rincresce lasciare il deserto e venire a dare un’occhiata a questo grande villaggio? Ci arrivi in fretta ma è probabile debba trattenerti un po’ più di tre giorni. Ti avverto che non dovrai stupirti se qualcuno di noi, mandato a fare l’inventario delle provviste, andrà dritto e filato nelle case dei poveri. Che cosa vuoi, è l’abitudine. L’abitudine del progresso."

 

 

DOMENICA 13 - 6^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (B)

Santa Fosca; Santa Maura

Parola di Dio: Lev. 13,1-2.45-46; Sal. 31; 1Cor. 10,31-11,1;Mc. 1,40-45

PRIMA LETTURA (Lv 13,1-2.45-46)

Dal libro del Levitico.

Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: "Quando uno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo! Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento."

 

SECONDA LETTURA (1 Cor 10,31 - 11,1)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l'utile mio ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo.

 

VANGELO (Mc 1, 40-45)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi!". Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, guarisci!". Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: "Guarda di non dir niente a nessuno, ma va, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro". Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.

 

RIFLESSIONE

 

Nel nostro linguaggio ci sono parole che hanno significati diversi, ad esempio, la parola partito può designare un gruppo di persone di una determinata appartenenza politica o sociale, oppure può intendere la scelta di un determinato compagno di vita. Specialmente nel tradurre da un’altra lingua ci si trova spesso in difficoltà ancora maggiori. E’ quello che è successo a chi ha tradotto il racconto del Vangelo che abbiamo appena letto. Quando il lebbroso va da Gesù, qualcuno traduce che Egli, ‘commosso’ lo toccò; qualcun altro che Egli ‘adiratosi’ lo toccò. Quale sarà la traduzione giusta, visto che l’originale sembra avere la possibilità di entrambi i significati?

Io penso che entrambi i significati calzino a pennello sia all’atteggiamento di Gesù, sia all’episodio narrato.

Gesù, lo sappiamo, si commuove spesso, ad esempio davanti alle folle che sono come un gregge senza pastore, quando incontra la sepoltura del figlio della vedova di Naim, piange insieme al dolore di Marta e Maria, sulla tomba di Lazzaro, si commuove davanti a Gerusalemme…

Ma Gesù anche si adira: fa la voce grossa con gli indemoniati, è sferzante contro l’ipocrisia dei farisei, la sua ironia spesso cava la pelle, caccia i venditori dal tempio a suon di sferzate e di banchi dei cambiavalute capovolti.

E, nel caso del lebbroso del Vangelo di oggi, Gesù non può non provare commozione davanti ad un lebbroso, malato, sfigurato nel corpo, senza più un ruolo nella società, uno che vive o sopravvive aspettando la morte, ma nello stesso tempo si adira per quanto la mentalità dettata da una religiosità falsata e dalla paura ha fatto dei lebbrosi.

La lebbra, infatti, appariva come l’immagine più appropriata di tutto ciò che era "impuro", sia dal punto di vista morale che religioso, segno di tutto ciò che doveva suscitare ribrezzo e rifiuto. Il lebbroso, oltre che essere "un castigato da Dio", era un malato da evitare, in nome della Legge e dell’igiene. Non si possono leggere senza venir percorsi da brividi di raccapriccio le norme minuziose riguardanti i lebbrosi dettate dal libro del Levitico di cui abbiamo letto in minima parte nella prima lettura. Lo scopo dichiarato è quello di tutelare la salute dei sani, di quelli che "sono nell’accampamento". Infatti, il lebbroso viene tenuto fuori prima dall’accampamento e poi dalle città. Questi malati dovevano starsene lontani dalla società civile e religiosa. Vestiti di stracci dovevano gridare a chi si avvicinava: "Impuro, impuro". In ricompensa, e forse per aggiustarla un po’ con la coscienza, i sani dovevano provvedere a mandar loro un po’ di cibo.

Penso dunque che "l’arrabbiatura di Gesù" non sia tanto perché il lebbroso gli si è avvicinato (Lui è venuto per superare tutte le barriere), quanto piuttosto per questo aver voluto isolare le persone facendole soffrire ancor di più.

Mi chiedo se, dopo 2000 anni di quella che noi chiamiamo civilizzazione, nel mondo che è diventato "paese", nel tempo in cui si parla di "globalizzazione", non ci siano più lebbrosi o accampamenti da difendere.

Eppure la lebbra fisica c’è ancora; nel mondo dove la lebbra è curabile a volte con una spesa anche irrisoria (ricordate che Raul Follereau chiedeva, senza risultato, all’America e alla Russia di devolvere il costo di un bombardiere a testa per debellare la lebbra?) ci sono ancora circa 16 milioni di lebbrosi a cui si aggiungono milioni e milioni di persone che soffrono altre lebbre: la fame, la povertà, gli odi razziali ed etnici, l’isolamento.

E come risolvere i problemi il nostro mondo?

Nascondendo, ghettizzando, difendendosi. Sono le soluzioni più spicce. In un mondo in cui conta la bellezza, la prestanza fisica è meglio nasconderli i brutti, i poveri, i lebbrosi; in un mondo in cui conta la ricchezza, basta far finta di non accorgersi delle favelas alle porte della città. A New York c’è violenza? E il bravo sindaco, osannato da tutti, comanda alla polizia di non lasciar dormire nessuno per le strade, tutti i barboni devono andare negli ‘ospizi’. Bene, diremo noi. Peccato che una ordinanza di alcuni giorni prima prevedeva che negli ospizi potessero essere accolti solo coloro che dimostravano di avere un lavoro. E questa è la civilissima America. Ma da noi non è che vada molto meglio.

E che dire dell’accoglienza dei "nuovi" nei nostri gruppi, degli estranei? Può andar di moda in certe famiglie elitarie invitare il marocchino a pranzo il giorno di Natale, andare a dir messa ben agghindati un giorno nelle carceri, ma poi dove ti può trovare il marocchino o il carcerato nei tremendi e normali giorni feriali?

La rabbia di Gesù non è per il lebbroso, è per chi rende ancora più lebbrosi.

Ma proviamo anche a guardare a che cosa ha fatto il lebbroso del Vangelo. Egli sa benissimo quale sia la sua condizione, sa anche di non avere possibilità di guarirsi da solo, sa che non deve aspettarsi molto dagli altri che lo emarginano e allora rompe lui stesso la sua emarginazione, provoca questo maestro, strappa il miracolo. Ed ecco, colui che era costretto ad andare in giro gridando: "Immondo, immondo", d’ora in poi andrà in giro gridando, anche se non autorizzato, le meraviglie che Gesù ha compiuto in lui.

Un’ultima riflessione: noi possiamo essere malati di lebbra sia che ci troviamo "nell’accampamento" sia che ci troviamo fuori di esso; siamo malati di lebbra ogni volta che il nostro egoismo innalza delle barriere; pensate, ad esempio, a quanti malati egoisti che tiranneggiano coloro che hanno vicino e pensano di essere gli unici; pensate agli anziani acidi e pessimisti a cui non va mai bene niente; pensate a quei giovani che pensano che ogni cosa sia loro dovuta; pensate ai preti senza gusto, mestieranti, difensori di una morale senz’anima, ai cristiani bacchettoni incapaci di sorridere, a coloro che, come i farisei del Vangelo, "mettono sulle spalle degli altri pesi per i quali non muoverebbero neppure un dito".

Tutte queste lebbre fuori o dentro l’accampamento hanno un ceppo d’origine unico: l’egoismo, ed hanno una fonte di guarigione unica: l’amore di Gesù.

Gesù non si lascia spaventare dalle barriere, Lui le supera, non si spaventa del peccato, si lascia toccare dalla nostra lebbra, anzi, se la carica sulle spalle insieme alla sua croce, è venuto a cercare i peccatori, ma io sono disposto a superare le barriere costruite da me o imposte da altri per andare da Lui? sono disposto a riconoscere con verità ed umiltà che "Se vuoi, puoi guarirmi"?

 

 

LUNEDI’ 14

Santi Cirillo e Metodio; San Valentino; San Vitale

Parola di Dio: Is. 52,7-10; Sal. 95; Mc.16,15-20

"ANDATE IN TUTTO IL MONDO E PREDICATE IL VANGELO AD OGNI CREATURA". (Mc. 16,15)

Oggi, pensando a due fratelli santi, Cirillo e Metodio che furono grandi missionari dei paesi slavi, ascoltiamo ancora una volta l’invito pressante che Gesù fa agli apostoli e alla Chiesa prima di salire al cielo: "Andate…". Non è semplicemente un suggerimento, un optional, è un imperativo. Ogni credente in Cristo è un mandato. E, comprendiamo bene, anche per distinguerci da certi propagandisti di religioni che sembrano noiosi, asfissianti, tristi ‘venditori porta a porta’, andare, essere missionari non è convincere altri con eloquenza, con teologie, con promesse di dolcificanti paradisi. Andare è soprattutto uscire da sé, è rompere quella crosta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro io, è smetterla di girare intorno a noi, come se fossimo il centro del mondo e della vita. Partire non è divorare chilometri, attraversare i mari, volare a velocità supersoniche. Partire, come diceva quel piccolo grande vescovo di Recife che era Helder Camara, è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farsi loro incontro. Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre, significa avere il fiato di un buon camminatore.

La strada non la si compie con le parole, le discussioni, le dotte dispute ecclesiali, la si compie con il movimento, la fatica delle gambe e del corpo.

Chiesa seduta o Chiesa in cammino?

L’imperativo di Gesù non lascia dubbi.

Una buona notizia, se non è trasmessa, non è neppure una notizia. Ma, particolarmente per la nostra Chiesa occidentale e per me, il Vangelo è ancora una buona notizia che ti riempie il cuore e scuote dal torpore e smuove le gambe impigrite dal troppo immobilismo?

La missione è vicina a te, è in casa tua, nel tuo palazzo di illustri sconosciuti, nel tuo ufficio di qualunquisti religiosi, nella tua parrocchia in cui molti sono i benpensanti senza Dio.

Agli apostoli, però, Gesù dice di andare dopo che ha fatto far loro l’esperienza di stare con Lui. Allora come cristiano comprendo che il mondo è la mia patria ma che io porterò qualcosa agli altri solo se prima avrò fatto io l’esperienza di incontrare e di stare con Gesù.

Sentite quanto amore c’è in questa preghiera per i popoli da lui evangelizzati, fatta da San Cirillo, a quarantadue anni, consumato dal suo zelo apostolico, proprio prima di morire:

"Signore mio Dio, ascolta la mia preghiera e conserva nella fede il tuo gregge, a capo del quale mettesti me, tuo servo indegno ed inetto. Liberali dalla malizia empia e pagana di quelli che ti bestemmiano; fa crescere la tua Chiesa e raccoglili tutti in unità.

Rendi santo, concorde nella vera fede e nella retta confessione il tuo popolo, e ispira nei cuori la parola della tua dottrina.

Quelli che mi hai dato, te li restituisco come tuoi; guidali ora con la tua forte destra, proteggili all’ombra delle tue ali, perché tutti lodino e glorifichino il tuo nome di Padre e Figlio e Spirito santo. Amen".

 

 

MARTEDI' 15

San Faustino e Giovita; San Sigfrido

Parola di Dio: Gc.1,12-18; Sal. 93; Mc. 8,14-21

 

"I DISCEPOLI NON AVEVANO CON SE’, SULLA BARCA, CHE UN SOLO PANE E DICEVANO: NON ABBIAMO PANE… E GESU’ DISSE LORO: NON CAPITE ANCORA?". (Mc. 8,15.16.21)

Da sempre, quando si vuole indicare il ministero del Papa e dei vescovi si usa figurativamente il termine "la barca di Pietro". Fa pensare, nel nostro Vangelo di Marco, il fatto che fino ad ora abbiamo avuto tre episodi riguardanti la barca di Pietro e tre grandi insegnamenti per la Chiesa. Nel primo episodio gli apostoli si scoprono deboli e paurosi: hanno paura di affondare durante la tempesta e invece sono chiamati ad aver fede in Lui che dorme. Nel secondo lo pensano un fantasma mentre cammina vincitore sulle acque e sono chiamati a riconoscerlo nella sua divinità, senza cercare di scimmiottare la sua presenza, se no si affonda. In questo terzo episodio è ancora una volta una Chiesa più preoccupata di poco pane e di panettieri che manifesta la sua incomprensione nei confronti di Gesù. La "barca di Pietro" manifesta la poca fede, ma Gesù pur rimproverando accoratamente è su quella barca.

Gesù è l’incompreso. I rappresentanti ufficiali della religione cercano di farlo morire, i suoi apostoli si dimostrano ciechi davanti a Lui, più preoccupati della loro sopravvivenza materiale che di Lui, più propensi al pane della mensa che al pane di Gesù.

La Chiesa (noi) ha sempre con sé l’unico vero Pane, il solo capace di calmare ogni tempesta e di colmare ogni fame, ma spesso ignora questo. Spesso ci lasciamo infettare dal "lievito dei farisei e degli erodiani", cioè dalle forme delle false sicurezze religiose, dal facile ridurre la fede a norme religiose da applicare soprattutto sulla schiena degli altri, oppure dalla sete del potere e dell’avere e siamo anche abili a trovare giustificazioni (anche manipolando la Scrittura). Ma, ricordiamoci, farisei ed erodiani, potere civile e religioso sono alleati per uccidere Gesù. Se noi ci lasciamo infettare dal loro modo di essere, diventiamo come loro, contro Gesù e poco per volta il nostro cuore si indurisce e non lo comprende più, i nostri occhi diventano occhi incapaci di riconoscerlo. Lui è sulla barca, Lui cammina al nostro fianco e noi non lo vediamo. Chissà quando capiremo la lezione smettendola di preoccuparci dei nostri piccoli poteri e cibandoci di Lui, Pane di vita eterna?

 

 

MERCOLEDI’ 16

Sant’Onesimo; Beato Giuseppe Allamano

Parola di Dio: Gc. 1,19-27; Sal. 14; Mc. 8,22-26

"VEDO GLI UOMINI, INFATTI VEDO COME ALBERI CHE CAMMINANO". (Mc. 8,24)

Signore, quante volte, in questi anni della mia vita mi hai sentito chiederti: "Perché?" E "Che cosa vuoi da me?". Ti ho chiesto perché vedendo le tante sofferenze ingiuste degli uomini. Ti ho chiesto il perché insieme a quella mamma che in un momento ha perso il proprio figliolo. Ti ho chiesto perché celebrando tante volte sepolture di persone che mi sembrava avessero ancora un ruolo importante sulla terra.

Ti ho chiesto perché quando ho visto il corpo devastato e sfatto di persona malata di cancro. Ti ho chiesto perché del rantolo continuo e senza speranza dei moribondi.

Ti ho chiesto perché perfino davanti alla croce di Cristo: perché questa sofferenza per salvarci? Perché la tua bontà paterna non è intervenuta almeno per Lui, il Tuo Figlio prediletto?

E poi quante volte ti ho chiesto: "Che cosa vuoi da me?" Te l’ho chiesto cercando di chiarire una vocazione, te l’ho chiesto davanti ai miei progetti che pensavo benedetti da Te e che venivano cambiati in un momento dalla malattia. Te l’ho chiesto migliaia di volte confessando, per essere davvero Tua Parola a chi veniva a cercare il tuo perdono, e altre migliaia di volte davanti al foglio bianco che stavo per scrivere per i miei amici e per i tuoi figli.

Vedi, Signore, ci sono stati periodi in cui mi pareva di vedere e di vederci chiaro. Il periodo del razionalismo materialista che esigeva sempre risposte chiare e ben distinte, il periodo della ricerca di una teologia che spiegandomi Dio per filo e per segno mi desse il senso di ogni problema, il periodo in cui pensavo che con il volontarismo e una morale ben precisa si potesse essere noi stessi risposta ad ogni problema… ma, immancabilmente erano risposte parziali, non soddisfacenti.

Eri già intervenuto, mi stavi prendendo per mano, ma io, come il cieco del Vangelo vedevo e vedo "gli uomini come alberi che camminano".

Signore, c’è bisogno di un secondo intervento, ed anche ben deciso. C’è ancora troppo ‘squame’ nei miei occhi, troppa terra e poco cielo, troppa ragione e poca fede, troppo io e poco Tu.

Signore, se vuoi, puoi farmi vedere, e anche subito, ma se questa non è la tua volontà permettimi almeno di contemplare tutto come un’ombra, ma di scorgere almeno il Tuo Volto.

 

 

GIOVEDI’ 17

Santi sette fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria; Santa Marianna

Parola di Dio: Gc. 2,1-9; Sal. 33; Mc. 8,27-33

"E VOI, CHI DITE CHE IO SIA?". (Mc. 8,29)

Fai attenzione! Se non è ancora capitato, prima o poi succederà nella tua vita. A forza di cercare, di stare con Gesù, magari nel momento in cui non te lo aspetti, arriverà anche per te la domanda cruciale.

Fin che Gesù sembra informarsi puoi cavartela anche facendo bella figura e, rispondendo, statistiche alla mano, su che cosa il mondo pensi di Lui: basta aver letto, magari anche solo di traverso, qualche libro che pomposamente parla di sociologia del cristianesimo o, peggio ancora, certi annuari della Chiesa cattolica dove sono elencati i cristiani nel mondo, i convertiti, i battezzati, il numero dei preti e delle suore e mille altre cose inutili…

"Ma tu chi dici che io sia?".

E qui non è consentito aggirare l’ostacolo, rispondere con le definizioni dei teologi (e anche quelle del "Credo" non vanno bene se sono solo formali). Sei costretto a rispondere del tuo.

Forse sei confuso, non ci vedi bene, vorresti prendere del tempo.

Ti accorgi che a seconda della tua risposta, da questo momento cambia qualcosa.

Nel Vangelo di Marco infatti siamo al giro di boa; le folle, i miracoli, i facili entusiasmi si diradano; gli scribi, i farisei, i sommi sacerdoti si fanno agguerriti, cercano l’eliminazione non più verbale ma fisica; su tutto si allunga inquietante l’ombra della croce.

Dare una risposta a quella domanda non significa essere lo scolaro più bravo, fare bella figura, meritare una medaglia premio o un diploma di ortodossia, significa giocare la propria vita in qualcosa che non sempre è allettante, in qualcosa che non ci piace né per Gesù, nè per noi: la croce.

Al Signore non interessa neppur tanto come la penso, gli interessa sapere se sono disposto a seguirlo.

Non sarà proprio per questo che poi Gesù chiede di non parlarne? Le parole, da adesso in avanti servono a poco, serviranno di nuovo se passeremo lo scoglio del Calvario.

 

 

VENERDI’ 18

San Simeone; San Flaviano; San Claudio

Parola di Dio: Gc. 2,14-24.26; Sal.111; Mc. 8,34-9,1

"SE UN FRATELLO O UNA SORELLA SONO SENZA VESTITI E SPROVVISTI DEL CIBO QUOTIDIANO E UNO DI VOI DICE LORO: ‘ANDATEVENE IN PACE, RISCALDATEVI, SAZIATEVI’, MA NON DATE LORO IL NECESSARIO PER IL CORPO, CHE GIOVA?" (Gc. 2,16)

Tra la montagna di cose che stupidamente ho accumulato in questi anni ho ritrovato il ritaglio di questa lettera scritta da un sacerdote e pubblicata sul settimanale ‘Epoca’ del 16 aprile 1967. E’ certamente ‘datata’ e da allora alcune cose sono cambiate. Quale sarebbe il pensiero di quel sacerdote dopo questi anni? E noi che cosa ne pensiamo e che cosa facciamo?

"Voglio una Chiesa povera, senza oro, senza argento, senza conti correnti, senza fastose apparecchiature, senza costosissimi addobbi. Voglio una Chiesa che distribuisca tutto ciò che può ricevere. Non sono un eccentrico, non sono un prete di sinistra. Sono un giovane servo del Signore che vorrebbe sentire il Signore più vicino, e vorrebbe che lo sentissero più vicino tanti infelici che sono nel mondo, malati non solo di miseria ma di sfiducia, di incredulità, di solitudine e di tristezza. Quanti cuori tornerebbero a Dio davanti all’esempio di una Chiesa povera, veramente povera, senza mezzi termini! Si può dir messa senza ori e argenti. L’oro e l’argento onorano il Signore? La nostra povertà, la più totale, la più assoluta, l’onorerebbe assai di più.

Vivo in parrocchia da quattro anni e non mi sento un pastore d’anime. Mi sento un impiegato, la rotella di un meccanismo, manovro registri e schedari, "organizzo" cerimonie nuziali, discuto con gli sposi le decorazioni floreali e il prezzo delle stesse: la tariffa. Non sono un ribelle. Sono un povero timido prete che tante sere piange come un ragazzo perché gli sembra che tutto, intorno a lui, sia falso e sbagliato. Se parlo di queste cose con gli altri sacerdoti, essi mi rispondono, chi con tristezza, chi con ironia, che non sarò io a cambiare gli uomini e il mondo. Ma se vogliamo che gli uomini e il mondo cambino, dobbiamo cambiare noi, tocca a noi dare l’esempio, sbarazzarci di tutto e vivere letteralmente di carità. Tocca a noi pagare gioiosamente questo prezzo perché nella Chiesa sia visibile il Vangelo vivo, a consolazione di tutti i sofferenti, a conforto di tutti gli infelici. Tutti abbiamo il dovere, oggi, di uscire da assurdi riserbi che sono vere e proprie ipocrisie. Sono un servo che si confessa: vorrei amarvi di più perché il Signore sia amato e capito di più. Non voglio fare l’impiegato della Chiesa: voglio essere l’uomo che Dio ha mandato tra voi per soccorrervi quando siete stanchi, per abbracciarvi quando siete infelici.

Questa è la Chiesa che tanti di voi attendono di vedere".

 

 

SABATO 19

San Corrado Confalonieri; San Tullio; San Mansueto

Parola di Dio: Gc. 3,1-10; Sal. 11; Mc. 9,2-13

"USCI’ UNA VOCE DALLA NUBE: QUESTI E’ IL MIO FIGLIO DILETTO: ASCOLTATELO!". (Mc. 9,7)

Il brano della trasfigurazione, oltre ad aprirci uno squarcio di cielo, anticipo della gloria del risorto, è anche incentrato sulla voce di Dio che, confermando Gesù nella sua missione, ce lo indica dicendoci: "Ascoltatelo!". Dio, qui, parla ancora a Gesù e a noi, poi sull’altro monte, il Calvario, tacerà e ci sarà solo più la Parola crocifissa a parlarci nel silenzio delle parole.

La fede del cristiano comincia ascoltando Gesù; e per ascoltarlo bisogna ‘salire sul monte con Lui’, espressione che nella Bibbia vuol dire: andare incontro a Dio. Perché il monte, come il deserto, più che essere un luogo concreto è una situazione umana di prova e un’opportunità di contatto con Dio.

Salire sul monte con Cristo significa camminare nell’oscurità della fede e nel silenzio dell’assoluto; lasciare le nostre sicurezze, scegliere la vita attraverso la morte. Il vangelo di oggi ci rivela la chiave della fede. La voce del Padre ci invita ad ascoltare Gesù, sia sul monte splendente della trasfigurazione sia nella pianura del nostro quotidiano, perché Cristo è la Verità, la Via e la Vita, perché solo Lui ha parole di vita eterna, perché, seguendolo, la rinuncia si trasforma in libertà, il dolore in gioia, la morte in vita.

La trasfigurazione è una meta possibile per chi ascolta Cristo. La trasfigurazione è prima di tutto la nostra conversione a Dio, per poter, in un secondo momento, camminare con Cristo verso l’affascinante avventura del donarsi totalmente ai fratelli, soprattutto ai più poveri, in solidarietà con i nostri simili nelle gioie e nelle speranze, nelle tristezze e nella angosce.

 

 

DOMENICA 20 - 7^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (B)  -  Sant’Eleuterio; Sant’Ulrico; Sant’Eucherio

Parola di Dio: Is. 43,18-19.21-22.24-25; Sal. 40; 2Cor. 1,18-22;Mc. 2,1-12

PRIMA LETTURA (Is 43,18-19.21-22.24-25)

Dal libro del profeta Isaia.

Così dice il Signore:

"Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi. Invece tu non mi hai invocato, o Giacobbe; anzi ti sei stancato di me, o Israele. Non mi hai acquistato con denaro la cannella, né mi hai saziato con il grasso dei tuoi sacrifici. Ma tu mi hai dato molestia con i peccati, mi hai stancato con le tue iniquità. Io, io cancello i tuoi misfatti, per riguardo a me non ricordo più i tuoi peccati".

 

SECONDA LETTURA (2 Cor 1, 18-22)

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è "sì" e "no". Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu "sì" e "no", ma in lui c'è stato il "sì". E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì". Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria. E' Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito Santo nei nostri cuori.

 

VANGELO (Mc 2, 1-12)

Dal vangelo secondo Marco.

Dopo alcuni giorni, Gesù entrò di nuovo a Cafarnao. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati". Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: "Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?". Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: "Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua". Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: "Non abbiamo mai visto nulla di simile!".

 

RIFLESSIONE

 

La pagina di Vangelo che abbiamo appena letto è una di quelle pagine così semplici e lineari che, a prima vista, sembrano dire tutto a tutti, ma è anche così piena di riferimenti, di messaggi, di interpretazioni che, probabilmente, non riusciremo mai a comprenderla totalmente e pienamente, e questo è proprio il bello della Parola di Dio che rivela e nasconde per poi rivelare di nuovo e parlare sempre, purché ci sia un cuore che sia disposto all’ascolto.

Il brano di oggi è un racconto che parla di impedimenti.

Il paralitico è ‘impedito’, la sua malattia lo blocca. Egli è un uomo malato e non ci sono malattie belle o brutte, sono tutte brutte. L’uomo malato fisicamente soffre, non è più libero di fare tutto ciò che vuole, è umiliato perché dipende da altri, non riesce più ad essere autosufficiente, è limitato.

L’uomo malato moralmente è uno che ha perso l’equilibrio della propria unità, non comprende più la vita e il suo senso, vive costantemente di febbri, di desideri che non trovano appagamenti. Ha bisogno degli altri, ma gli altri non soddisfano i suoi desideri, ha bisogno di Dio ma qualche volta non può o non vuole alzare lo sguardo sia in alto e neanche in basso, dentro se stesso, perché vede solo la propria malattia.

Il paralitico è fortunato. Ha trovato quattro parenti o amici che lo portano da Gesù.

Oggi è difficile trovare di questi amici. Trovi, a volte, qualcuno che sfrutta la tua malattia, qualcuno è disposto a parlarti della tua malattia, a spiegartene le cause o anche a dirti che non sei malato affatto, ad importi se stesso e le proprie idee, a portarti da qualche santone alla moda che "ha tutti i ritrovati per guarire sia nel corpo che nello spirito", pronti magari a farti adepto di qualche ‘congrega’, ma trovare qualcuno che ti porti da Gesù non è facile; forse troverai ancora qualcuno che ti porta dal ‘suo’ Gesù, ma non da Gesù.

C’è ancora un altro impedimento: la folla, la massa dei curiosi, l’opinione pubblica, l’audience, i luoghi comuni, la fede chiacchierata, le masse che battono le mani ma che se prese dal panico uccidono, calpestano, distruggono, le folle che, a seconda dell’occasione e delle pressioni, gridano: "Osanna" oppure "A morte". Questa folla così blandita da ogni potere, compreso quello religioso, che impedisce di arrivare a Gesù, va aggirata. Non puoi mischiarti ad essa, pena il non arrivare, non puoi perderti in essa o il tuo cervello non ci sarà più e cesserai anche tu di essere persona per diventare folla anonima.

Gli amici del paralitico aggirano la folla, ma trovano un altro ostacolo, un tetto: le persone per bene non entrano in una casa passando dal tetto, ma dalla porta!

Ci vuole una fede fatta anche di fantasia e di cose pratiche per arrivare a scoperchiare un tetto, usare corde, calare di là sopra un malato dentro la sua barella! E’ vero che i tetti erano di paglia e fango, è vero che dietro la casa spesso vi erano degli scalini per arrivare facilmente al tetto che ad ogni temporale o colpo di vento forte era in pratica da riaggiustare, però, intanto, questi portatori mi dicono che la fede non si spaventa davanti agli ostacoli, è anticonformista, sa usare le cose più impensate, è fatta anche di mani, di corde, di rischi e di fantasia.

Ma c’è ancora un ultimo impedimento e sono gli scribi, gli intellettuali religiosi, le persone per bene, i saputoni, i primi della classe, coloro che hanno sempre una risposta per tutti i problemi.

Essi sono ortodossi, conoscono a menadito la Bibbia e le filosofie religiose con cui ‘da sempre’ essa viene interpretata.

Davanti a Gesù che dice al paralitico: "Ti sono rimessi i tuoi peccati", fanno un ragionamento che non fa una grinza: "Solo Dio può perdonare i peccati, quindi costui bestemmia!".

Nella loro mente precisa non è passato neppure un sospetto: " E se costui… forse… fosse davvero…"

Non sono forse gli stessi scribi che, davanti a Galileo che diceva qualcosa di nuovo e di diverso dal modo con cui da sempre era stata interpretata la Bibbia, non si sono neppure chiesti se invece non avrebbe potuto aver ragione?

Non sono forse gli stessi ortodossi incalliti che, in ogni tempo, nel nome della loro verità, hanno eretto roghi piuttosto che confrontarsi con qualcuno che ‘forse’ poteva anche aver ragione?

Non sono forse gli stessi che leggendo le proposizioni di Lutero, pur di non perdere certi privilegi e certe sicurezze, non si sono neanche confrontati con esse ed hanno preferito lasciare che la Chiesa si dividesse?

E non saranno gli stessi che nelle parrocchie e nelle comunità impediscono l’accesso ad altri perché non la pensano come loro o perché hanno vissuto esperienze diverse da quelle codificate dalla loro morale? Oppure, oggi, non saranno anche tutti quelli che, per seguire l’avanzare dei tempi, hanno deciso che il peccato non esiste più, è solo un vecchio retaggio da Medioevo, una cosa sorpassata da cui liberarsi il più in fretta possibile, coloro che per guarire un malato insistono nel dirgli che la sua malattia non esiste?

Gli scribi di allora e di adesso sono l’ostacolo più grosso, ma Gesù chiamando la malattia, malattia e il peccato, peccato, il miracolo lo fa lo stesso.

Gli unici che restano ‘impediti’ sono proprio questi scribi.

La gente davanti al miracolo riesce a meravigliarsi dicendo: "Non abbiamo mai visto nulla di simile", essi, invece non vedono né un malato guarito, né un peccatore perdonato, né colui che ha operato tutto questo: Gesù, il Messia, il Figlio di Dio, e pensare che loro, proprio per il loro ruolo non avevano neanche avuto bisogno di scoperchiare un tetto per arrivare vicino a Gesù.

E mi fermo proprio su questa scena conclusiva.

Gesù, grazie alla fede di quei portatori e del malato che hanno superato tanti ostacoli, ha potuto compiere il duplice miracolo di guarigione e di perdono.

Noi, con quella folla rimaniamo meravigliati e arriviamo a scoprire in Lui Colui che, mandato dal Padre, è venuto per liberarci da tutti i mali e pensiamo che anche noi possiamo essere a nostra volta perdonati e guariti.

Gli scribi guardano in basso e stanno scovando nei ripostigli della loro mente e della loro ‘cultura’ tutte le autogiustificazioni per dirsi: "Abbiamo ragione noi".

E in mezzo a queste persone e a questi atteggiamenti vediamo il paralitico che non ha detto una parola e davanti al quale questa volta le folle si aprono, che se ne va portandosi sulle spalle il ricordo di un impedimento fisico e morale dal quale il Figlio di Dio lo ha liberato.

 

 

LUNEDI’ 21

San Pier Damiani; Sant’Eleonora

Parola di Dio: Gc. 3,13-18; Sal.18; Mc. 9,14-29

"CREDO, AIUTAMI NELLA MIA INCREDULITA’ ". (Mc. 9,24)

Un bellissimo dialogo quello che avviene tra il padre del ragazzo posseduto dal demonio e Gesù.

Proviamo, in breve, a riprendere attraverso la scena del Vangelo, il percorso di fede che questo brano vuol farci fare.

Questo padre porta suo figlio (malato o indemoniato, in fondo è la stessa cosa) dai discepoli di Gesù. Essi avevano ricevuto da Lui l’incarico e il potere di "guarire gli infermi e di cacciare i demoni", ma questa volta non ci riescono: delusione degli apostoli ma soprattutto delusione di questo padre. "Ho provato a chiedere la grazia, sono anche andato a Lourdes e a Medjugorie, ma, niente!" Ce n’è abbastanza per dire : ciarlatanerie!

Ma Gesù si interessa a questo ragazzo fino a farselo portare davanti e allora, è tanto il desiderio di vedere guarito suo figlio che questo padre dice a Gesù: "Se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci".

E qui, Gesù vuol far prendere coscienza a quell’uomo della sua poca fede, cioè: per aumentare la fede bisogna prima di tutto rendersi conto di non averne. In fondo dice a quel padre: guarda che dipende da te. E il padre capisce che se il figlio è schiavo del male e della malattia, lui, genitore, è malato di poca fede e arriva a dire la più bella preghiera e il più bell’atto di fede che un uomo possa fare: "Credo, ma aiutami nella mia incredulità". E’ una apparente contraddizione che definisce però la fede fatta di dubbi, di paure, di povertà umane, ma anche di abbandono fiducioso.

E quando, a miracolo avvenuto i discepoli chiederanno a Gesù perché non sono riusciti compiere questa guarigione e Gesù risponderà che "questa specie di demoni non si può cacciare in alcun modo, se non con la preghiera", Gesù, secondo voi, starà parlando della Sua preghiera o della preghiera che finalmente è sgorgata dal cuore di quel padre quando ha riconosciuto la propria poca fede ma ha chiesto a Gesù di aumentargliela?

 

 

MARTEDI’ 22

Cattedra di San Pietro

Parola di Dio: 1Pt. 5,1-4; Sal. 22; Mt. 16,13-19

"A TE DARO’ LE CHIAVI DEL REGNO DEI CIELI". (Mt. 16,19)

Cerchiamo di capire il senso della festività di oggi. La "cattedra di Pietro" non è un trono come quello dei pochi re rimasti in questo mondo, è il ministero, cioè il servizio che Dio ha affidato a Pietro e alla Chiesa. Su questo tema così dibattuto oggi preferisco lasciare parlare nientemeno che Sant’ Agostino che in un suo sermone diceva così:

Quando senti dire: "Pietro, mi ami?", pensa che ti trovi dinanzi ad uno specchio e guarda te stesso.

Pietro non fu forse simbolo della Chiesa? Perciò il Signore, domandando a Pietro, domandava a noi.

Per rendervi conto che Pietro fu simbolo della Chiesa, ricordate il passo del Vangelo: "Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi dei cieli".

Un solo uomo ha ricevuto quelle chiavi? A che cosa esse servano, lo spiega Cristo stesso: "Quanto scioglierete sulla terra sarà sciolto nel cielo".

Se queste parole fossero state dette solo a Pietro, ora che lui è morto chi mai potrebbe legare o sciogliere?

Oso dire che le chiavi le abbiamo ricevute noi tutti. Noi leghiamo e sciogliamo. E anche voi legate e sciogliete.

Chi è legato è separato dalla vostra comunità, è legato da voi. Quando però si riconcilia, è sciolto grazie a voi, poiché voi pregate per lui. Tutti infatti amiamo il Signore, tutti siamo sue membra.

E quando il Signore affida il suo gregge ai pastori, tutto il numero dei pastori si riduce ad un solo corpo, quello dell’unico Pastore.

Innegabilmente Pietro è pastore, ma senza dubbio anche Paolo è pastore. Giovanni è pastore. Andrea è pastore, ogni apostolo è pastore. Tutti i santi episcopi sono pastori, non c’è ombra di dubbio.

 

 

MERCOLEDI’ 23

San Policarpo; Santa Romana da Todi

Parola di Dio: Gc. 4,13-17; Sal. 48; Mc. 9,38-40

"CHIUNQUE SA FARE IL BENE E NON LO COMPIE, COMMETTE PECCATO". (Gc. 4,17)

Credo che san Giacomo, con questa frase voglia insegnarci principalmente due cose:

  1. attenzione all’ozio

  2. i peccati non si fanno solo con le parole e con le opere, ma anche con le omissioni.

L’ozio è non apprezzare la vita e chi ce l’ha donata. Dice San Giovanni Crisostomo: "Che cosa c’è di più triste di un uomo che fa nulla? Che cosa più deprimente e più spregevole? L’anima è di sua natura dinamica!". E Basilio il Grande ci ricorda che non dobbiamo nascondere l’inattività neanche dietro alla scusa della preghiera: "Non si deve dire: "Ma io prego" per giustificare la propria pigrizia, il proprio orrore alla fatica. Ricordino bene costoro ciò che dice la Bibbia: "Ogni cosa va fatta a suo tempo". Ma, come ci suggerisce Giacomo, non è peccato solo la pigrizia in se stessa. Il non fare il bene che si potrebbe è male perché non si dà fiducia a Dio che invece si fida di noi e si privano gli altri di un dono che Dio aveva previsto per loro tramite noi. Facciamo su questo punto un breve esame di coscienza. Quante volte avrei potuto aiutare una persona e mi sono nascosto dietro a tante scuse: "Non sono all’altezza", "Ma poi porto via del tempo ad altre cose", "Perché sempre io?"… e quante volte abbiamo privato altri di una gioia solo per un puntiglio, per tenere il muso, per avere l’ultima parola. E questo vale per quella parola di conforto non detta solo perché avevi fretta, di quel momento di preghiera trascurato perché "c’è sempre tanto da fare", per quella iniziativa vanificata perché a parole eravamo tutti d’accordo ma quando c’è stato da agire… c’è un mio amico che usa questi termini: "Ci sono persone che si fanno in quattro… per mandare gli altri tre". La prossima volta che andremo a confessarci, mentre facciamo l’elenco dei peccati commessi facciamo anche quello dei peccati commessi proprio perché si è omesso di fare il bene.

 

 

GIOVEDI’ 24

San Sergio di Cesarea

Parola di Dio: Gc. 5,1-6; Sal. 48; Mc. 9,41-50

"VOI RICCHI, PIANGETE E GRIDATE PER LE SCIAGURE CHE VI SOVRASTANO". (Gc. 5,1)

San Giacomo nel brano di oggi ci ricorda che le ricchezze non sono la nostra salvezza. Vi offro come continuazione di questa riflessione le frasi di alcuni padri della Chiesa. Massimo il Confessore:

"Gli uomini desiderano il denaro non per la sua utilità effettiva ma perché con esso possono diventare schiavi del piacere. Tre sono le cause dell’amore per il denaro: il piacere, la vanità, la mancanza di fede.

Il lussurioso ama il denaro per consumarlo nei piaceri, il vanitoso per procurarsi la gloria, l’uomo cui manca la fede per tenerlo nascosto temendo la fame, la vecchiaia, la malattia. Egli si fida più del suo denaro che di Dio, creatore dell’universo, la cui provvidenza raggiunge l’ultimo, il più nascosto degli esseri."

Teodoreto:

"Pecca di semplicismo chi considera felici gli uomini ricchi e potenti. Sono piuttosto infelicissimi e sciagurati, perché posseggono i beni del mondo e li adoperano per il vizio e per l’iniquità.

Se perciò vediamo un uomo perverso nuotare nella ricchezza, non diciamo: "Beato lui!". E’ uno sventurato giacché ha troppe occasioni per vivere iniquamente. Se ne vediamo un altro, che a nostro parere è un uomo retto, incatenato alle avversità e alla povertà, non pensiamo subito che sia un infelice e non accusiamo Dio di ingiustizia. Quelli che vivono nel male trasformano in strumenti di malizia anche i cosiddetti beni. Quelli che amano la virtù trasformano i supposti mali in mezzi di autentica sapienza."

Agostino:

"Hai oro? Esso è un bene. Ma soltanto se ne usi bene. Non potrai farne un uso buono se sei malvagio. L’oro è un male per i malvagi, un bene per i buoni. Non perché sia un bene che li rende buoni. Si converte in bene perché trova persone buone."

Clemente Alessandrino:

Le ricchezze bisogna usarle in maniera ragionevole. Ed è necessario spartirle generosamente con gli altri, vincendo l’avarizia.

Guai se la gente dicesse di noi: < Le sue terre, il suo servo e il suo oro valgono quindi miliardi, ma lui vale tre soldi>".

Giovanni Crisostomo:

"E’ follia e demenza riempire gli armadi di vestiti e guardare con indifferenza un essere umano, un essere fatto ad immagine e somiglianza di Dio, che è nudo, trema dal freddo, è quasi incapace di reggersi in piedi."

Basilio il Grande:

"Se aiuti un povero nel nome del Signore, fai un dono e nello stesso tempo concedi un prestito.

Fai un dono perché non hai speranza di essere rimborsato da quel povero. Concedi un prestito perché il Signore salderà il debito per lui. Poca cosa riceve il Signore per mezzo dei poveri, ma pagherà molto al posto loro."

 

 

VENERDI’ 25

San Cesario

Parola di Dio: Gc. 5,9-12; Sal. 102; Mc. 10,1-12

"L’UOMO DUNQUE NON SEPARI CIO’ CHE DIO HA CONGIUNTO". (Mc. 10, 9)

Mi pare di vederli e di sentirli, perché è una scena cui ho già assistito parecchie volte: si è appena letto questo brano del Vangelo e nel gruppo qualcuno ha il volto teso: "E’ impossibile una durezza del genere". Altri invece: "Ecco la chiarezza. Gesù è contro il divorzio e contro qualsiasi separazione". A chi si esprime in questi termini mi sento di dire, con una grande schiera di studiosi della Bibbia, che non hanno capito nulla, cominciando proprio da questa pagina del Vangelo.

Vogliono tirare Gesù in una discussione moralistico legalistica (anche allora circa il divorzio c’erano diverse posizioni a seconda dei vari rabbini, da chi lo escludeva tassativamente, a chi lo permetteva in casi eccezionali ben definiti, a chi dava all’uomo la possibilità di sbarazzarsi della moglie per futilità). Gesù non solo non entra in questa discussione casistica, ma richiama a dei valori ed al progetto di Dio. La coppia è talmente importante nel progetto di Dio, che solo ritornando ad esso e riscoprendo in esso l’uguaglianza dell’uomo e della donna, la libertà delle scelte, la ‘sola carne’, la funzione della famiglia, l’amore della coppia a immagine dell’amore di Dio per l’uomo, si supera ogni forma di giuridismo.

Questa pagina è proprio il superamento delle norme, delle codificazioni, delle casistiche, è un invito a mettere al centro progetto di Dio e coscienza formata e creatrice. Gesù non è venuto né per allargare né per restringere le maglie della legge, ma per allargare gli orizzonti.

Ho presente, però, la pena e la difficoltà di tanti che hanno visto naufragare il proprio matrimonio e che poi hanno cercato per se stessi o magari anche per i figli, di ricostruire qualcosa. Gesù bolla queste persone come adultere? Penso proprio di no! Nel patto tra Dio e l’uomo, è adultero il popolo quando volutamente rompe l’alleanza e si consegna ad altri dèi. Nel caso delle persone di cui parlavo prima, c’è adulterio quando volutamente e scientemente si uccide l’amore, la coppia, i progetti di Dio e dei due per qualcos’altro, ma, vi pare che Gesù che perdona l’adultera, che accoglie i peccatori, che porta in paradiso un brigante solo per un atto di fede, possa appiccicare etichette di ignominia e di condanna a chi nella sofferenza, magari anche con dei limiti personali, ha visto sfumare un progetto di vita desiderato e ambito e, cercando di ritornare ‘al principio’ con umiltà e fatica, cerca di ricostruire qualcosa per sé e per gli altri? Se in questi casi vogliamo ritornare a leggi, a norme, andiamo proprio contro Gesù che ci ha invitato a superarle; se, invece, accogliamo, cercando di aiutare le coscienze a comprendere i progetti di Dio e poi a scegliere con vera libertà, nella serenità dell’amore e della misericordia di Dio, forse ritroveremo la strada vera del Vangelo.

 

 

SABATO 26

San Nestore; Sant’ Alessandro di Alessandria

Parola di Dio: Gc. 5,13-20; Sal. 140; Mc.10,13-16

"LASCIATE CHE I BAMBINI VENGANO A ME E NON GLIELO IMPEDITE PERCHE’ A CHI E’ COME LORO APPARTIENE IL REGNO DEI CIELI". (Mc. 10,14)

Per seguire Gesù, per entrare nel suo Regno, o meglio, per lasciare che il suo Regno entri in noi, bisogna vincere l’alterigia, la supponenza, l’orgoglio. E’ quanto ci suggerisce l’episodio narrato nel Vangelo di oggi. I discepoli non sgridavano quelli che portavano i bambini perché disturbavano il maestro, ma perché i bambini, per essi, non rappresentavano nulla.

Secondo loro il Regno di Dio era da adulti e, per raggiungerlo, era necessario fare scelte coscienti, avere certi determinati meriti, compiere opere corrispondenti.

Gesù pensa, invece, che il Regno di Dio deve essere ‘ricevuto’, cioè il Regno è iniziativa divina. Per conseguenza l’unico atteggiamento adatto per ‘ricevere’ è quello dei bambini: il Regno di Dio prima lo si riceve e poi si entra in esso.

Gesù non idealizza per nulla i bambini. Ha parlato altre volte di bambini maleducati che giocano nella piazza del mercato e vogliono ora questo ora quest’altro, e si mostrano impazienti e testardi. Ecco perché la parola citata non significa affatto che gli adulti debbano ritornare allo stadio dei bambini. C’è però una cosa che possiedono i fanciulli e che li distingue dagli adulti: il bambino è per sua natura fiducioso, disposto a ricevere ciò che gli viene donato, capace di lasciarsi guidare; ha il dono di vivere nell’istante presente: e questo è proprio l’atteggiamento di fede richiesto per accogliere il Regno.

 

 

DOMENICA 27

8^ DOMENICA DEL TEMPO ORD. (B)  -  S. Gabriele dell’Addolorata; S.Onorina; S. Leandro

Parola di Dio: Os. 2,16-17.21-22; Sal. 102; 2Cor. 3,1-6; Mc. 2,18-22

PRIMA LETTURA (Os 2, 16. 17. 21-22)

Dal libro del profeta Osea.

Così dice il Signore: "Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore".

 

SECONDA LETTURA (2 Cor 3, 1-6)

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, forse abbiamo bisogno, come altri, di lettere di raccomandazione per voi o da parte vostra? La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. É noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori. Questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio. Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito da  vita.

 

VANGELO (Mc 2, 18-22)

Dal vangelo secondo Marco.

In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: "Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?". Gesù disse loro: "Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare.

Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi".

 

RIFLESSIONE

 

Quando Maria era andata al Tempio per la presentazione di Gesù, bene aveva profetato il vecchio Simeone dicendo che questo Bambino sarebbe stato segno di contraddizione.

Il Vangelo, la persona di Gesù non sono innocui, anzi, guai a chi li rende tali: è il peggior tradimento che si possa fare alla Parola.

San Marco raccoglie ben cinque ‘controversie’ o opposizioni a Gesù.

Domenica scorsa abbiamo visto gli scribi che non solo non riconoscono in Gesù il Messia, ma non riescono neanche a comprendere una guarigione e una liberazione dal peccato e accusano Gesù di essere un bestemmiatore.

Nel Vangelo di oggi vediamo persone per bene, come i discepoli di Giovanni e i farisei, scandalizzati per il comportamento dei discepoli di Gesù che non sono troppo ‘seriosi’ e soprattutto non digiunano.

Prima di addentrarci a cercar di cogliere ciò che Gesù vuole dirci oggi con questa pagina, è bene cercar di capire qualcosa di più sul digiuno in quanto, anche noi, tra non più di due settimane, con l’inizio della Quaresima ci sentiremo proporre come opere penitenziali, insieme alla preghiera e all’elemosina, proprio il digiuno.

Nella legge ebraica era prescritto un solo digiuno, quello del giorno dell’Espiazione come segno di pentimento e di richiesta di perdono. Potevano poi essere fatti digiuni come segno di partecipazione davanti a qualche evento luttuoso o per prepararsi a qualche festa. Probabilmente i discepoli di Giovanni digiunavano perché il loro maestro era stato arrestato o ucciso. I Farisei, invece, quali splendidi eroi della loro religione, con la solita esagerazione degli esaltati, digiunavano due volte alla settimana.

A queste persone ‘affamate’ sta stretto vedere altri che fanno festa, ai volti emaciati fanno scandalo i volti gioiosi.

Che cosa risponde Gesù? Rifacendosi alla tradizione ebraica che vedeva (lo abbiamo anche sentito nella prima lettura) la venuta del Messia come compimento dello sposalizio definitivo tra Dio e il suo popolo, dice che "finché c’è lo sposo non si può digiunare". Afferma dunque la sua messianicità nel pieno senso dell’Antico Testamento: la venuta del Messia è la gioia più profonda del popolo. I discepoli digiuneranno quando Gesù sarà morto. Ma questo durerà solo tre giorni perché poi lo sposo risorge.

Ed anche adesso "lo sposo non ci è tolto" perché Gesù ci ha assicurato: "Io sono con voi tutti i giorni", "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome Io sono in mezzo a loro", "Questo è il mio corpo… Fate questo in memoria di me", "Io ho fame e tu mi dai da mangiare…". Possiamo allora essere nella tristezza? Certo, cose tristi e difficili nella vita ce ne sono tante, ma lo sposo è con noi, ci parla di speranza, di giustizia, di verità, di risurrezione, di vita, la sua mano è su di noi per darci il perdono, la sua croce ci dà forza nelle prove, la sua parola è nuova tutti i giorni!

E il digiuno? Permettetemi una battuta che poi cercherò di spiegare; il digiuno lasciamolo fare a chi vuol fare la dieta dimagrante! Non nel senso che il digiuno non possa avere una valenza religiosa, ma nel senso che se diventa tristezza, ascesi fatta per dovere, per comprarci Dio, o, peggio ancora, per farsi vedere dagli altri, è meglio mangiare in santa pace. Certo, se digiuni volontariamente per far parte delle tue cose, per condividerle con chi è obbligato al digiuno quotidiano, fai bene; se digiuni per aiutarti a capire che il fine di tutto non è solo la soddisfazione materiale di tutti i piaceri, può essere utile per te, se no, che piacere può fare a Dio vedere uno soffrire la fame quando Lui stesso ci ha dato la natura con tutti i suoi doni?

E’ ora di smetterla con certa religiosità che fa consistere la bontà o meno di una vita a seconda della sofferenza che uno ha patito.

E’ ora di smetterla di dipingere Dio come un sadico che si accontenta e si placa solo quando vede le sofferenze dei suoi figli. E’ ora di smetterla con una religione cupa, piatta, pesante e pedante, con una predicazione fatta di dito sempre puntato contro tutto e tutti, di spauracchi e di punizioni imminenti, con celebrazioni ripetitive, non convinte, non partecipate ma vissute solo per "obbligo".

E’ ora di riscoprire un Chiesa come luogo di misericordia e di umanità.

E’ ora di sentirci proporre il Cristianesimo come gioia e non come somma di decreti, pratiche, osservanze, codici, statuti.

E’ ora di riscoprire la dignità e la priorità di una coscienza informata e formata che guida alla libertà (avete sentito San Paolo: "La lettera uccide, lo Spirito dà vita").

E’ ora di riscoprire il proprio ruolo non semplicemente di sudditanza in una ben congegnata piramide di poteri religiosi. Ecco la novità di Cristo, il vino spumeggiante che se non stai attento manda in frantumi le vecchie botti sgangherate che a mala pena possono andare bene per l’aceto.

Anche oggi c’è gente che digiuna invece di mangiare, che mastica parole e parole e non sa gustare con semplicità la gioia del banchetto di Cristo.

Sovente, in parrocchia, facevo questa esperienza. Mentre magari venivano lette pagine meravigliose della Bibbia in cui si parla di liberazione, di perdono, dall’alto dell’altare lasciavo che il mio sguardo incontrasse il volto dei fedeli. Conoscendoli quasi uno per uno sapevo che c’erano volti segnati da sofferenze e dolore e li rispettavo, ma quanti altri volti amorfi, tristi, spesso gente chiusa in se stessa, o credenti che pensano che per essere tali bisogna essere sempre ingessati in un volto serio e triste.

Dov’è la novità di Cristo? Sembra che non solo non si sia cercato di cucire una toppa nuova sul vestito vecchio, ma che si ami proprio il vestito logoro, cercando magari di rivoltarlo con penosi risultati. E che dire poi, di quelli che per moda religiosa, si mascherano di nuovo, ma tengono ben stretto il vestito vecchio? Mi hanno sempre fatto difficoltà preti e laici che si rivestono di giovanilismi, che si riempiono la bocca delle ultime teologie senza conoscerle e approfondirle, che a parole sono rivoluzionari e che poi scopri untuosi con il potere, incapaci di accoglienza e di perdono, vecchi di mentalità e il vecchio non può avanzare la pretesa di utilizzare qualche scampolo di novità per mascherare le crepe e assicurarsi un po‘ di sopravvivenza. La novità del Cristo comporta una mentalità nuova. A questo dobbiamo convertirci. Le vecchie strade non servono più.

Ce lo siamo già detti tante volte ma domandiamocelo ancora: se un non credente vedesse la mia faccia e il mio operare in tutte le situazioni belle e brutte della mia vita, scoprirebbe il vuoto assoluto, la maschera della tradizione o il volto vero di Cristo?

 

 

LUNEDI’ 28

Sant’Osvaldo di Worcester; San Romano di Condat

Parola di Dio: 1Pt. 1,3-9; Sal.110; Mc.10,17-27

"ALLORA GESU’, FISSATOLO, LO AMO’." (Mc.10,21)

C’è tutto un linguaggio degli occhi.

Un’occhiata seria e di rimprovero può mettere sull’avviso un bambino che sta per combinarne qualcuna. Una semplice occhiata di intesa può far mettere d’accordo due nel compiere un’azione. Ci sono occhiate cariche di odio che ti trafiggono, occhi che esprimono gioia, nostalgia, stanchezza, solitudine…

Gesù parlava molto con gli occhi. I suoi occhi vedono e leggono il segreto dei suoi interlocutori, i suoi occhi si inumidiscono di pianto davanti al dolore di Marta e Maria per la morte del loro fratello Lazzaro, Gesù lascia che il suo sguardo colga il gesto quasi furtivo di quella vedova che offre le sue monetine nel tempio, si pone compassionevole sulle folle che sono come pecore senza pastore.

Anche davanti all’uomo del Vangelo di oggi, lo sguardo di Gesù, compiaciuto, diventa uno sguardo di amore.

Mi chiedo: ma quando quell’uomo se ne va, triste, perché è molto ricco e non ha il coraggio di liberarsi delle sue ricchezze per poter venire libero a seguire Gesù, lo sguardo di Gesù su di lui sarà mutato?

Io penso di no! Quello sguardo, quell’uomo, se lo è portato dietro per tutta la vita. Quell’amore non lo avrà più abbandonato, forse sarà diventato rimorso, richiamo, nostalgia.

Lo sguardo di Gesù si posa su ciascuno di noi e, anche se in certi casi potrebbe esserlo, non è mai uno sguardo di condanna, ma sempre d’amore, di incoraggiamento, di fiducia, di speranza. Non è lo sguardo scrutatore di chi cerca gli errori per punirli, ma lo sguardo serio e dolce di chi ci invita a seguirlo, non è lo sguardo di chi si impone, ma di chi si propone.

Lasciamoci conquistare da questo sguardo, di chi ci ha già consegnato la propria vita e che vuole accoglierci nel suo cuore.

 

 

MARTEDI’ 29

Beata Antonia di Firenze

Parola di Dio: 1Pt. 1,10-16; Sal. 97; Mc.10,28-31

"NON C’E’ NESSUNO CHE ABBIA LASCIATO CASA, O FRATELLI, O SORELLE… CHE NON RICEVA CENTO VOLTE TANTO." (Mc. 10,29-30)

Adriana Zarri, in un libro che nel titolo si rifà proprio al brano evangelico di ieri e di oggi: " E’ più facile che un cammello…", commenta così: "Come sarà, Signore, questo centuplo? So bene che certi miei fratelli sovrannaturalisti lo immaginano tutto fatto di spirito e di grazia, perché la "natura" li spaventa e con la materia non vogliono avere a che fare per non sporcarsi le mani. Ma io le mani le ho già sporche: sono, esse stesse, sporcizia perché sono materia; e io le amo così, tu le hai amate così e così le hai volute indossare, quando indossasti carne umana. Io non ho paura della carne, del suo calore, del suo amore, fatto anche di brividi terrestri. E non penso che tu voglia distruggerla e cancellare il dono che ci hai fatto, all’inizio dei secoli, quando ti sporcasti le mani anche tu, con questa nostra terra (e che altro significa quel simbolo delle tue mani che impastano il creato e modellano l’uomo con la creta, se non il tuo maneggiare senza tema la materia terrestre?). No, non penso, Signore, che la restituzione sia tutta in monete celesti: in virtù, in grazia, in gloria eterna. Sì, certo, anche, soprattutto ma non soltanto. Tu ci darai, Signore, la stessa moneta; e se ti abbiamo sacrificato un affetto, ci restituirai quell’affetto; se ti abbiamo dato una casa, ci renderai quella casa, con i quadretti alle pareti e i vasi di gerani alle finestre. Magari non ci saranno quei muri, ma sarà quella dimensione, quella possibilità, quella libertà di poterla riavere e riabitare. Saranno quei gerani che abbiamo sacrificato alla nostra libertà e all’amore esclusivo per te a fiorire per sempre: nell’eterno e in questi nostri giorni."

 

 

VENTINOVE PENSIERI PER VENTINOVE GIORNI

 

1. ESITAZIONE

Queste tre cose vanno bene a piccole dosi e male a dosi massicce: lievito, sale ed esitazione. (Talmud)

 

2. ESPERIENZA

L’esperienza è un medico che arriva sempre dopo la malattia. (Dussere)

 

3. ESPERTO

L’esperto è un uomo che sbaglia secondo le regole. (Paul Valery)

 

4. ESSENZIALE

Non comprare le briglie se non hai il cavallo. (Proverbio arabo)

 

5. ESSERE

Perché voler essere qualcosa, quando si può essere qualcuno? (Gustave Flaubert)

 

6. ESTERIORITA’

Bisogna rompere il nocciolo per avere la mandorla. (Proverbio francese)

 

7. ETA’

Non è importante quanti anni hai; sei più giovane di quanto tu non potrai mai più essere. (Current Comedy)

 

8. ETERNITA’

Più l’uomo è legato all’eternità e meglio conosce ciò verso cui si avvicina, meglio si dispone a vivere. (Frere Roger Schutz)

 

9. EUCARESTIA

Bisogna chiarire un terribile malinteso. I fedeli a Messa si annoiano perché vogliono che la Messa ‘renda’. Ma non si va a Messa per ricevere grazie, tutt’altro: ci si va per dire grazie per quelle già ricevute. (Louis Evely)

 

10 EVANGELIZZAZIONE

Il Cristo ha ordinato di andare a cercare la centesima pecora che si fosse perduta. Ma quando sono le novantanove che mancano, non è di esse che innanzitutto bisogna preoccuparsi? (A. Solzenitsyn)

 

11. EVOLUZIONE

Non è la natura che si evolve. E’ Dio che sviluppa la sua idea in tutti i dettagli. (Paul Claudel)

 

12. FALSITA’

L’albero che cerca di ingannare la vita vivendo nell’ombra, avvizzisce quando lo si trapianta al sole. (K. Gibran)

 

13. FAMA

La fama è come il fiume che tiene a galla le cose leggere e gonfie, e trascina al fondo le cose pesanti e solide. (Francesco Bacone)

 

14. FAME

Non ho visto un vitello aggirarsi affamato per le strade di Rio de Janeiro, invece vedo ogni giorno bambini che frugano nella spazzatura alla ricerca di avanzi per sfamarsi. (Botto Fray)

 

15. FAMIGLIA

Meglio è pane di farina ed acqua con un cuore che ama, che ricchi cibi conditi con discordia. (Proverbio)

 

16. FANATISMO

Morire per la religione è una cosa bella; ma non si deve né vivere, né morire per fanatismo. (Gandhi)

 

17. FANNULLONE

Il fannullone pensa: "Se la pigrizia è una malattia, voglio essere malato". (Adolfo L’Arco)

 

18. FANTASIA

Il Cristiano ha così poca fantasia che il suo prossimo muore di fame. (H. Petit)

 

19. FARE

Bisogna lavorare in basso, guardando in alto. (Gustave Thibon)

 

20. FASCINO

Tutte le persone affascinanti hanno qualcosa da nascondere: di solito la loro totale dipendenza dall’apprezzamento altrui. (C. Connolly)

 

21. FATICA

Quello che con maggior fatica abbiamo acquistato, maggiormente amiamo. (Aristotele)

 

22. FATTI

I fatti devono provare la bontà delle parole. (Seneca)

 

23. FAVOLE

Con le favole tua madre ti dava delle dolci illusioni mentre i libri si son sempre solo preoccupati di toglierle. (Giovanni Guareschi)

 

24. FAVORE

Se volete che un favore vi si faccia, chiedetelo sempre a chi ha molto da fare. (Proverbio Napoletano)

 

25. FEDE

Chi vuol percorrere un reale cammino di fede deve avere sempre presente un avvertimento: è più facile farsi inchiodare con Cristo sulla Croce, che divenire con Lui un bambino balbettante. (Norman Warren)

 

26. FEDELTA’

L’amore che non vuol essere fedele è una gran menzogna detta non solo a parole ma con tutto il corpo. (B. Haring)

 

27. FEDELTA’ A DIO

La fedeltà è guardiana e prova dell’amore. Evitate, dunque, di scervellarvi per sapere se amate nostro Signore; chiedetevi piuttosto se siete fedeli alla volontà di Dio che conoscete. (Cardinal Saliege)

 

28. FELICITA’

Se solo smettessimo di voler essere felici a tutti i costi, ce la passeremmo abbastanza bene. (Edith Warton)

 

29. FELICITA’ E DOLORE

La felicità tiene per mano il dolore e insieme danzano in punta di piedi. (Angelo Branduardi)

     
     
 

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