SCHEGGE E SCINTILLE
PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI
DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA
a cura di don Franco LOCCI
NOVEMBRE 1999
LUNEDI' 1 - FESTA DI TUTTI I SANTI
"FIN D’ORA SIAMO FIGLI DI DIO, MA CIO’ CHE SAREMO NON E’ ANCORA STATO RIVELATO". (1Gv. 3,2)
Ogni giorno, dopo una rapida scorsa ai titoli dei giornali, c’è da vergognarsi di essere uomini: guerre, cattiverie, sopraffazioni, delitti, violenze… e poi diciamo di essere la specie superiore di questa terra!
Potessimo, però, ogni mattina, leggere anche le notizie che il giornale non scrive: Questa notte una mamma ha vegliato con amore e attenzione il suo piccolo malato. Le infermiere dell’ospedale, senza brontolare, hanno cambiato tre volte quella vecchietta e l’hanno rassicurata nelle sue paure. Quell’avvocato ha deciso di difendere gratuitamente quel padre di famiglia, disoccupato, sorpreso a rubare al supermercato. Quell’uomo che poteva vendicarsi del suo nemico invece lo ha perdonato. Oggi è partita quella missione di volontari per quel paese dell’Africa da vent’anni in guerra civile. E’ vero, siamo parenti di omicidi, grassatori, violenti, ma siamo anche concittadini di santi. E per me, come cristiano, è estremamente bella la festa di oggi che unisce in un solo ricordo gioioso i santi di ieri e di oggi perché mi ricorda alcune cose importanti del mio essere e del mio vivere. Qualcuno ce l’ha fatta. Chi sono i santi che la Chiesa onora? Sono migliaia e migliaia di persone come me, con storie tutte diverse, tutte personali; persone con caratteri diversi, chi più pacifico, chi più iroso, con doni diversi, che però in un modo o nell’altro, accettando l’invito di Dio, hanno lasciato emergere dentro se stessi il meglio dell’uomo e sono così riusciti a manifestare la santità del Creatore. Se ce l’hanno fatta loro, posso farcela anch’io! Nel cammino della mia vita non sono solo. Questi santi non se ne stanno in Paradiso, "beati", ma continuano con gioia il loro compito di indicarmi la strada e di intercedere per me e per la Chiesa. C’è qualcuno che anche per me loda e ringrazia in maniera piena il Creatore e, se voglio, alla loro preghiera, posso unire anche la mia. I santi mi ricordano che non posso essere pessimista nei confronti degli uomini e dell’umanità. Dio, buono e misericordioso, lento all’ira, pieno di grazia, fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi ed ha sempre speranza che, anche nel cuore più egoista, un bel mattino, spunti quell’amore che vi è già seminato.
MARTEDI' 2 - COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI
"IL SIGNORE DEGLI ESERCITI PREPARERA’ SU QUESTO MONTE UN BANCHETTO PER TUTTI I POPOLI". (Is. 25,6)
Nella mia educazione di ragazzo il giorno dei morti e un po’ tutto il mese di Novembre, mi è sempre stato presentato come un momento di tristezza, da vivere in punta di piedi (qualcuno ricorderà che in questo giorno, come al venerdì santo, la radio trasmetteva solo musica classica), visitando cimiteri, recitando rosari pieni di "requiem". Per cui, quando a otto anni, cominciando a leggere con gusto, mi capitò sottomano il famoso "Giornalino di Giamburrasca" e scoprii che questo ragazzo terribile nel giorno dei morti si divertiva a correre tra le tombe, invece di rimanerne scandalizzato, guardai a lui con invidia. Crescendo ho capito un’altra cosa: Giamburrasca è un bambino che, come tutti i bambini forse ha capito anche che cosa sia la morte e chi siano i morti. Morte non è solo il triste rito della sepoltura e i morti non sono solo quelle meste figure che ci guardano da lapidi dove sono scritte di solito le più ipocrite e false parole che eredi ed imprese di pompe funebri abbiano potuto inventare. Morte per il credente è triste per il dolore che comporta ma è atto di fede nel Dio della vita; morti non sono solo i nostri cari che certamente ricordiamo con tanta nostalgia, ma sono anche i viventi in Dio. E allora, senza scandalizzare nessuno, mi immagino che i nostri morti che ci vedono in questi giorni nei nostri "mesti pellegrinaggi ai cimiteri" (ci scommetto che anche quest’anno il telegiornale e i giornali useranno proprio queste parole) sarebbero contenti di vedere dei Giamburrasca correre tra le lapidi, giocare a nascondino tra le tombe sussiegose, raccogliere fiori dai campi, invece di portarli. Mi piace immaginarli così come sono, "viventi", unirsi alla gioia della vita dei piccoli e ricordarci che non siamo in cammino verso una tomba e un triste cimitero, ma verso la vita.
MERCOLEDI' 3
"CHI DI VOI, VOLENDO COSTRUIRE UNA TORRE, NON SI SIEDE PRIMA A CALCOLARNE LA SPESA, SE HA I MEZZI PER PORTARLA A COMPIMENTO?". (Lc.14,28)
Una parabola molto breve, quella che meditiamo oggi e, in sé, anche di immediata comprensione. Ma per capirla nel suo significato più profondo, bisogna leggerla nel contesto del discorso che Gesù sta facendo.
L’entusiasmo di aver trovato un maestro che ha parole bellissime, che comprova quello che dice con miracoli strabilianti, che dà da mangiare gratis a cinquemila persone, hanno fatto sì che molti vogliano seguire Gesù. Egli modera questi facili entusiasmi: "Prima di prendere una decisione – dice - pensaci bene; fai attenzione e vaglia bene ciò che ti chiedo: lasciare l’attaccamento alle cose, amare meno di me (‘odiare’ in Luca significa questo) le persone che hai care, sapere che il finale non è glorioso come lo intende il mondo ma c’è una croce che ti aspetta". Anche a noi, per poterlo seguire, oggi Gesù chiede questo esame di coscienza. Hai davvero la volontà di seguirmi totalmente e fino in fondo?Ricordati che una torre la cui costruzione non viene ultimata non è una torre incompleta: è semplicemente un fallimento, una costruzione ridicola nella sua pretestuosità. Le cose fatte a metà non sono qualcosa rimasto a metà: sono niente. Nella scelta cristiana non basta dire, bisogna fare; non basta correre qua e là saltabeccando da un gruppo di spiritualità ad un altro, non basta fare proposte a consigli parrocchiali o fare tanto can-can intorno a Sinodi diocesani: bisogna calcolare le forze e poi fare secondo esse. Sai con realismo misurare le tue forze? Cioè, ti conosci? Sai valutare le tue capacità di preghiera, di azione, di sopportazione delle prove, di amore? Tienine conto. Sei pronto a giocarti tutto? Dopo l’inventario fatto in te stesso ti sarai scoperto povero, incapace, incostante… Tutto ciò con realismo ti limita, ma non ti deve bloccare. Non significa adeguare gli ideali alle nostre debolezze. Ricordati che la meta è Dio e la strada è Cristo e la forza è lo Spirito. Allora tu conosci i tuoi limiti, ne tieni conto nei tuoi progetti ma ti fidi abbandonandoti nelle mani di Dio. Come fa, Maria? Sa che è impossibile alle capacità umane divenire Madre di Dio e lo dice concretamente all’Angelo, ma poi si fida e si affida: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola". E ciò che è impossibile agli uomini diventa possibile a Dio.
GIOVEDI' 4
"CHI DI VOI, SE HA CENTO PECORE E NE PERDE UNA, NON LASCIA LE NOVANTANOVE NEL DESERTO E VA DIETRO A QUELLA PERDUTA FINCHE’ LA RITROVA?". (Lc. 15,5)
Il senso generale della parabola è facile da cogliere, ma penso sarà venuto in mente anche a voi, almeno una sola volta: "Questo pastore tutto dedito alla ricerca della pecora perduta, non è ingiusto nei confronti delle novantanove che non sono scappate e che lui molla lì, nel deserto?".
Farsi questa domanda, in questo modo, significa non essere entrati nello spirito della parabola che viene raccontata proprio a degli scribi e dei farisei scandalizzati dal comportamento di Gesù che frequentava prevalentemente peccatori e pubblicani. Creare queste contrapposizioni fasulle significa ridurre la parabola a questioni di quantità, di numero, di diritti. In realtà, se ci pensiamo bene dovrebbero essere le novantanove a desiderare intensamente che il pastore parta alla ricerca della perduta, dovrebbe essere proprio la Chiesa a gioire, come fa il Padre del cielo quando un figlio perduto viene ritrovato e amorevolmente riportato a casa. Le novantanove o i supposti giusti dovrebbero così capire che a questo pastore che parte alla ricerca dell’una stiamo a cuore personalmente. Per lui non siamo una massa anonima, non una Chiesa raccogliticcia, ma persone ben definite, amate ciascuna di un amore particolare. Se scopriamo di essere ancora la Chiesa del mugugno per le scelte del pastore verso i più poveri, vuol dire che abbiamo capito poco dello stile del Maestro, vuol dire che abbiamo poco amore, che preferiamo conservare piuttosto che rischiare. Dovremmo invece sentire anche noi il desiderio di muoverci con il pastore, di sentire l’ansia della sua ricerca del fratello perduto. E qui mi fermo a pensare anche un momento alle comunità di cui facciamo parte. Ci lamentiamo di essere pochi, ed è vero, ma che cosa facciamo per aprirci a quei tanti fratelli che ogni giorno incontriamo nel nostro condominio, tra i nostri amici, nei compagni di lavoro che non la pensano come noi? E’ molto facile, quando ci troviamo tra cristiani, preoccuparci con i nostri pastori terreni di ‘custodire’ fede, tradizioni, usanze. Ma, usciamo a cercare l’altro? Senza la velleità di convertire, ma offrendo almeno a Dio una possibilità in più per avvicinarsi al fratello! E, ultima osservazione: Siamo sicuri di essere nei novantanove o il buon Pastore non è forse uscito alla ricerca proprio di noi?
VENERDI' 5
"IL PADRONE LODO’ QUELL’AMMINISTRATORE DISONESTO PERCHE’ AVEVA AGITO CON SCALTREZZA". (Lc. 16,8)
Commentando diverse volte lungo questi anni la parabola di oggi ci siamo detti più volte che qui il padrone non loda la disonestà dell’amministratore, tant’è che lo licenzia, ma l’astuzia con cui ha agito. Anche qui accenno ad una serie di temi su cui ciascuno, chiedendo aiuto allo Spirito Santo, potrà riflettere:
Si parla di un amministratore. Noi non siamo i padroni del Regno, ma coloro che amministrano i doni del Regno. La Chiesa non è padrona, non può pensare di utilizzare solo per sé i doni, deve amministrarli, metterli in circolazione, farli fruttare per Dio.
Attenzione perché nessuno di noi ha registri perfettamente in ordine, per poco che Dio ci dia un’occhiata ci sono diverse irregolarità. Ci sono delle irregolarità che Dio ama e sono quelle che vanno a vantaggio del prossimo, ad esempio: minimizzare le colpe altrui, ridurre i loro difetti, tirare righe sopra i torti. Gesù ci invita a "farci furbi". Troppe volte una spiritualità melensa ha fatto vedere un cristiano remissivo, codino, assente, dimissionario; nessuno slancio, nessuna impennata, nessun lampo di fantasia. Gesù vuole che noi siamo persone di carattere (magari anche con un caratteraccio, come Pietro), vuole che siamo capaci di buttarci, magari battendo qualche nasata, vuole persone che superino le abitudini. Se ci ha fatti amministratori dei sui doni è perché spera che li traffichiamo, magari rischiando, piuttosto che li seppelliamo.
SABATO 6
"NESSUN SERVO PUO’ SERVIRE DUE PADRONI… NON POTETE SERVIRE A DIO E A MAMMONA". (Lc. 16,13)
Ci sono alcuni chiodi su cui Gesù, nel Vangelo, batte in continuazione. Due di questi che impediscono un giusto rapporto con Dio sono l’ipocrisia e il denaro.
L’incompatibilità non è tanto tra Dio e il piacere o Dio e il sesso, quanto tra Dio e il denaro. Il figliol prodigo che ha provato tutte le avventure umane del piacere sente ancora la nostalgia della casa del padre, fosse anche solo per il bisogno del pane domestico, ma chi si è reso schiavo del denaro facendosene un idolo non ha più bisogno di Dio. Perché questo? Perché spesso la ricchezza, anche quella apparentemente conquistata con onestà, è frutto di ingiustizia, gronda sudore e sangue dei poveri, ma soprattutto perché essa spesso diventa facile strumento di ingiustizia. "Soldo chiama soldo", dice un vecchio proverbio, e per ottenerli questi soldi non si bada se tutto sia davvero regolare, onesto, caritatevole. Inoltre la ricchezza rende ciechi (pensiamo alla parabola di Lazzaro e del ricco che non riesce a vedere neppure il povero che cerca di raccogliere le briciole della sua mensa), la ricchezza e i beni soffocano la Parola (vedi la parabola del seminatore). Occorre poi anche convincersi di un’altra cosa: Dio non lo si può servire con il denaro. E’ un errore continuo tra i cristiani: "Avessi tanti soldi, quanto bene farei!", "La chiesa ha bisogno di mezzi per esprimersi!". Dio vuol essere servito nell’amore, nella donazione di sé, nella gratuità, nella semplicità, nel disinteresse. E il denaro non conosce questi termini perché i suoi sono: profitto, calcolo egoistico, ingiustizia, avidità. E allora, se è vero che nella nostra vita quotidiana i soldi servono: essi siano i servi e non i padroni.
DOMENICA 7 - 32^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
"IL REGNO DEI CIELI E’ SIMILE A DIECI VERGINI CHE, PRESE LE LAMPADE USCIRONO INCONTRO AL LORO SPOSO…". (Mt. 25,1)
La parabola delle dieci vergini che attendono lo sposo è talmente ricca che la ripercorro con voi dandovi una serie di spunti di riflessione.
Il Regno è una festa di nozze. Allora non è un mesto impegno religioso, un impegno esclusivo della volontà, un insieme di rinunce. E’ gioia profonda.
A questa festa sono invitati tutti: stolti e saggi. Non è il Regno che discrimina. Sono le persone che si dimostreranno per quello che sono. Le sagge presero dell’olio per le lampade: se si va ad una festa bisogna andarci attrezzati da festa e non da funerale. Lo sposo tardava a venire: i tempi di Dio non sono quelli degli uomini e questo ritardo delinea le posizioni. Il vero credente è colui che attende Cristo come se dovesse arrivare domani, ma anche come se dovesse arrivare molto più tardi. "Si assopirono tutte". La vigilanza non significa non dormire mai, anzi occorre vivere serenamente il tempo dell’attesa. Non confondiamo il senso dell’attesa con l’agitazione, l’affanno, con l’essere noi a dover far tutto: si rischia di essere instancabili ma non presenti. L’olio non può essere imprestato, travasato. Sembrerebbe a prima vista che le sagge siano poco caritatevoli nel non voler condividere l’olio, ma ci sono realtà, valori che non possono essere trasferiti così, di colpo. Ciascuno è protagonista insostituibile della propria storia, responsabile unico delle proprie scelte. Nessuno può sostituirsi all’altro nelle scelte fondamentali, al massimo può indirizzarlo verso la fonte. Lo sposo dice alle imprudenti: "Non vi conosco". E’ la stessa risposta che sentiranno quegli altri protagonisti di quell’altro brano di Vangelo quando diranno: "Io ho profetato nel tuo nome", "Io ho parlato di te". Bisogna averlo conosciuto Cristo, bisogna essersi lasciati conoscere e trovare da Cristo, non basta dirgli: "Io sono stato prete", "Io ho partecipato al tal gruppo", "Io sono stato fatto cavaliere per benemerenze (di solito quattrini) dalla Chiesa"…
LUNEDI' 8
"LA SAPIENZA E’ UNO SPIRITO AMICO DEGLI UOMINI". (Sap. 1,6)
Nella Bibbia sovente si parla di ‘Sapienza’ sia riguardo a Dio, sia riguardo agli uomini. Talvolta essa è addirittura personificata, è Dio stesso. Una serie di libri dell’Antico Testamento vengono detti sapienziali. Gesù stesso promettendoci lo Spirito Santo lo chiama la Sapienza di Dio "che vi farà conoscere tutto". Chi è o che cos’è dunque la Sapienza?
Spesso gli uomini la confondono con il sapere. Sapienza è conoscenza, ma non tutti quelli che sanno sono automaticamente sapienti. La sapienza non è materia di insegnamento all’università, viene dall’alto, è equilibrio, armonia, è stupore, è congiunzione tra conoscenza e amore. E’ quiete, ma insoddisfatta che spinge ancora a cercare, è passione per la verità ma tolleranza, è realismo ed utopia, senso della tradizione e gioia di scoprire il nuovo. E’ lontana ma vicina, la puoi trovare alla porta della tua casa ma va sempre cercata. E’ imprevedibile: non cercarla solo dai cosiddetti ‘maestri di sapienza’ (spesso è proprio da loro che scappa), cercala in qualunque incontro, in qualsiasi esperienza. Cercala nella gente, nei libri, tra le parole, ma cercala anche nel silenzio. Essa è originale, difficilmente la troverai nel branco o nella sala riunioni o nell’accozzaglia delle idee. Cercala come cercheresti una persona, un amico, e troverai lo Spirito di Dio. Esso è estremamente semplice ma per poter operare ha bisogno di un cuore puro, umile. Prega Maria, la Madre della Sapienza, perché ti doni lo Spirito di suo Figlio. Fattela insegnare dal Vangelo di Colui che è l’unico che la possiede veramente, cercala con amore ricordandoti che Lui ha promesso: "A chi mi ama mi manifesterò".
MARTEDI' 9 - DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE
"ANCHE VOI VENITE IMPIEGATI COME PIETRE VIVE" . (1Pt. 2,5)
La festa della dedicazione della basilica Lateranense, come ogni festa di dedicazione di chiese, ci ricorda la nostra appartenenza alla Chiesa. Ma la Chiesa è poi necessaria? Che cos’è? Struttura giuridica? Famiglia dei figli di Dio? Garante di verità? Distributrice di sacramenti? Proposta per tutti gli uomini? Fine a se stessa?
Questa estate sono stato ancora una volta a Lourdes. Non so bene che cosa, ma lì c’è qualcosa che mi attira. Tutte le volte, dopo i tanti o pochi giorni di permanenza, mi chiedo se ho pregato e non so che cosa rispondere… sarà la gente, i malati, la grotta. Mentre mi mettevo in fila schiacciato dalla gente per passare nella grotta, ho avuto circa un’ora di tempo per osservare. Prima di tutto mi sono detto: chi te lo fa fare di stare in coda per tanto tempo per passare intorno ad una cavità di pietra? Sei anche tu di quelli che devono ‘toccare la pietra’? Non è forse una fede superstiziosa?
Poi ho cominciato a guardare chi mi spingeva da ogni parte: gente umile di ogni parte del mondo, gente che avendo alle spalle giorni e giorni di viaggio, nel caldo di agosto, puzzava; alcune di queste persone con in mano il rosario, altre assorte in preghiera con gli occhi alzati per vedere, man mano che la fila avanzava adagio, adagio, almeno i piedi di quella statua, altri che bellamente chiacchieravano incuranti di chi chiedeva un po’ di raccoglimento, una donna con un bidone di acqua di Lourdes da venti litri che "la faceva ripassare nella grotta per essere sicura che fosse davvero benedetta; chi aveva fazzoletti o indumenti di amici e di malati da sfregare contro quella pietra… e, davanti alla grotta il solito gruppo di suore-bacchettone e di qualche prete ben lustro in lunghe sottane che litigava con il solito barelliere accampando il diritto dovuto al proprio ruolo di passare davanti a tutti, malati compresi. Mi è venuto da dire: "Ma che razza di Chiesa!" Eppure è proprio in quel momento che penso di aver capito qualcosa della Chiesa di Gesù.
Gesù si è incarnato non perché gli Ebrei fossero un buon popolo, migliore di altri, perché fossero dei buoni religiosi, si è incarnato perché ha amato la nostra umanità. Si è fatto uno di noi in pieno, si è messo in coda con sua Madre e Giuseppe per venire presentato al tempio, è stato sballottato dalle folle tanto che "non avevano più tempo, neanche per mangiare", è stato toccato da donne come l’emorroissa che solo per averlo toccato sono riuscite a ‘rubargli la forza’ che ha dato loro la guarigione; ha provato compassione per quella gente che era "come un gregge senza pastore", è stato dispiaciuto nel vedere che i pastori amavano il gregge solo per spellarlo, è finito in croce in mezzo all’indifferenza e ai dileggi. Ecco, allora, la Chiesa di cui mi sento parte, che sento mia: non è la chiesa delle parate gerarchiche, delle verità stampate e difese anche a costo di bruciare le persone, la chiesa copia mal riuscita di imperi terreni, ma la Chiesa dei poveri, dei malati, di chi magari non ha capito molto di Trinità e che magari confonde un po’ sul ruolo di Maria, ma che la sente come Madre, la Chiesa che puzza di sudore, di fatica, di dolore, di malattia, di lungo cammino, di interrogativi non risolti. La Chiesa che Gesù ha amato: Ecco, a questa Chiesa credo, perché davvero ne sono parte con tutti i miei limiti, i miei peccati, ma anche con tutto l’amore che Gesù ha per me.
MERCOLEDI' 10
"NON SI E’ TROVATO CHI TORNASSE A RENDER GLORIA A DIO, ALL’INFUORI DI QUESTO STRANIERO?". (Lc. 17,18)
In un mondo dove tutto si paga e tutto è dovuto c’è ancora spazio per ringraziare? Sembra proprio di no. La vita? E’ mia e me la gestisco io! (eppure è così facile morire); il corpo? Quanto si spende per curarlo, per dargli da mangiare e poi per farlo dimagrire; addirittura gli affetti sono dovuti: "Deve volermi bene e cioè fare ciò che voglio io!".. E allora, altro che grazie! Dieci lebbrosi gridano la loro miseria e la loro impotenza, riescono a toccare il cuore di Gesù, ricevono la grazia, se ne vanno. Uno solo sente di dover tornare a dire grazie e, notiamolo, è anche l’unico a sentire da Gesù non solo un elogio, ma anche il riconoscimento di un’altra guarigione, quella della fede. Io sono uno che mi accorgo di dover ringraziare?
Se ci penso bene la mia vita è un insieme di doni gratuiti ricevuti: Dio mi ha dato la vita, i miei genitori non mi hanno buttato via, ho avuto il necessario per vivere, qualcuno mi ha insegnato i valori e la cultura del mio mondo… quante persone mi hanno voluto bene e aiutato! Come è assurdo dire: "Mi sono fatto da solo!". Nella mia preghiera, ringrazio?
Prendiamo la giornata di ieri. Certamente abbiamo pregato, il nostro pensiero si è rivolto più volte al Signore. Tra le cose che gli abbiamo detto, quante preghiera di richiesta ci sono state? E quante di lode e di ringraziamento? Abbiamo ringraziato per i doni ricevuti? Abbiamo ringraziato per le persone che abbiamo incontrato? Ad esempio per quel malato che vive con fede la sua sofferenza, per quella persona che sa perdonare, per chi ci ha fatto quel piacere senza pretendere nulla…?
Forse anche noi scopriamo di avere difficoltà a dire grazie. Eppure dire grazie non è solo il primo modo per riconoscere i doni ricevuti, ma serve anche per poter scoprire, a nostra volta, la gioia di poter essere dono gratuito.
GIOVEDI' 11
"IL REGNO DI DIO NON VIENE IN MODO DA ATTIRARE L’ATTENZIONE". (Lc. 17,20)
Nel nostro modo abituale di usare il linguaggio spesso ci serviamo dei termini nel loro significato approssimativo per cui certi vocaboli, anche molto abituali dei nostri modi di dire, poco per volta rischiano di perdere significato e di non essere più specifici. In campo religioso, poi, è ancora più facile in quanto già in chi ha usato la prima volta certi termini, questi, rivestendo realtà più ampie, erano dei paragoni. Cerco di spiegarmi: Quando Gesù usa il termine: "Regno dei cieli" intende parlare del Regno di Dio suo Padre in contrapposizione con i regni di questa terra, però il termine ‘regno’ ci fa pensare ai regni umani, per cui l’abitudine, la comodità ha spesso portato erroneamente a fare dei paragoni. Qualcuno lungo la storia ha pensato di identificare il Regno di Dio con i regni umani ed ha voluto applicare ad esso le stesse regole di potere dei regni terreni. Ma ne sono nati solo danni, soprusi, conversioni forzate, guerre di religione, esteriorità formale e riti astrusi che non corrispondono né alla volontà del fondatore, né al cuore dei partecipanti. Che cosa intendere dunque per il Regno dei cieli che viene? E’ l’amore di Dio al di sopra del tempo che, concretamente, nel tempo, si realizza nei nostri confronti. E’ quella realtà quotidiana inaugurata da Gesù venuto, morto e risorto per noi che, come il piccolissimo granello di senape caduto in terra sembra morire senza alcun valore, ma rinasce prima come piccolo stelo, poi come pianta grande sulla quale possono trovare riposo anche gli uccelli del cielo. No, il "Regno" non è come i regni della terra, anzi, è tutto l’opposto: non cercare il Regno là dove c’è il potere, esso è servizio. Non cercarlo nelle manifestazioni di massa, non è qualcosa per i branchi, esso interpella le persone ad una ad una e, se rispondono, esse imparano a volersi bene. Non confonderlo neanche con le grandi liturgie, è un regno che solitamente indossa vestiti feriali… Eppure esso viene e nessuno può fermare questo amore misericordioso di Dio; viene nella semplicità di quella mamma che, accettato suo figlio handicappato, soffre con esso, viene nel povero che ha fiducia in Dio, viene nella preghiera del semplice… viene ogni volta che il tuo amore prende la misura di quello di Dio.
VENERDI' 12
"MANGIAVANO, BEVEVANO, COMPRAVANO, VENDEVANO, PIANTAVANO, COSTRUIVANO…COSI’ SARA’ NEL GIORNO IN CUI IL FIGLIO DELL’UOMO SI RIVELERÀ" (Lc.17,29-30)
Se fossi accusato di un grande crimine e sapessi che donami si riunisce il tribunale che, ascoltate accusa e difesa, pronuncerà poi una sentenza irrevocabile che andrà dalla assoluzione piena alla condanna a morte, non sarei tranquillo. Ancora più mi darei da fare se sapessi che sono in grado, oggi, di trovare le prove che domani potranno liberarmi da una condanna. Noi ci stiamo giocando l’eternità. Nel breve volgere di pochi minuti o di pochi anni, con quel dono meraviglioso ma terribile che è la tua libertà ti comprometti il tuo futuro eterno. Faccio un paragone, non per spaventarci, ma per guardare con realtà la nostra vita. Se ti dicessero: "Guarda, hai ancora dodici ore di tempo, poi non avrai più tempo". Che cosa faresti? Perderesti le dodici ore a disperarti? Ti toglieresti tutte le voglie possibili? Continueresti a preoccuparti per il mangiare e per il vestire? Andresti a fare un’adorazione Eucaristica?…
Un santo rispondeva: "Continuerei a fare quello che ho sempre fatto". Bisognerebbe essere così: sempre pronti a rispondere della speranza che è stata seminata in noi, ma proprio per questo dovremmo dare ad ogni momento della nostra vita un senso di eternità. Se in questo momento sto scrivendo con fatica, ma con amore perché qualcuno leggendo ami di più il Signore, sto dando senso al mio "ora" e al mio "per sempre". Se oggi ho fatto da mangiare per la mia famiglia cercando di accontentare tutti e di renderli sereni ho realizzato sia il mio oggi che la mia eternità. Se pur di essere onesto ci ho rimesso ma non mi sono appropriato di cose non mie, sono nella verità e nella giustizia ora e con la Verità e la Giustizia per sempre.
SABATO 13
"C’ERA UN GIUDICE CHE NON TEMEVA DIO E NON AVEVA RIGUARDO PER NESSUNO. E C’ERA UNA VEDOVA CHE ANDAVA DA LUI E GLI DICEVA: FAMMI GIUSTIZIA!". (Lc.18,2-3)
Sono già state diverse le occasioni in cui abbiamo meditato insieme questa parabola. Fermiamoci anche questa volta su alcuni particolari.
Prima di tutto proviamo ad esaminare i personaggi. C’è un giudice: un brutto tipo che nessuno di noi vorrebbe incontrare. E’ uno che non crede in nulla. E’ ateo e disumano, non gli importa di nessuno, insomma, un perfetto egoista inattaccabile sul cui cuore anche le suppliche più accurate rimbalzano come palle di gomma. Dall’altra parte c’è una vedova. E’ sola, priva di appoggi, non ha raccomandazioni da nessuno, non ha avvocati difensori, neanche d’ufficio. Deve battersi da sola non solo contro il suo contendente, ma anche contro il giudice. E’ debole, la battaglia sembra persa in partenza eppure questa poveretta non si perde d’animo: essa incalza, perseguita questo giudice, lo bracca in tutte le occasioni, gli toglie il fiato, non si spaventa delle male parole, e quello, alla fine, toccato proprio nel suo egoismo, deve cedere. Ecco il primo grande insegnamento di questa parabola: la debolezza ha prevalso sulla forza.
E’ come se Gesù dicesse: "Non preoccuparti, non spaventarti della tua debolezza: è allora che, se giochi bene le tue povere carte, sei forte. Guarda mia Madre: lo aveva capito bene quando lodava Dio perché guardando alla sua debolezza aveva fatto cose grandi in Lei. Quando sei sicuro di essere debole non andare a cercare appoggi altrove: l’arma decisiva è proprio la debolezza. Non stancarti se la risposta si fa attendere, non perderti d’animo se anche Dio sembra essere sordo. Ricordati che se tu sei debole, anche Dio ha una debolezza, è un Dio che ama, quindi ben vulnerabile. Dio non è come il giudice ingiusto: Egli gradisce che tu vada ad importunarlo".
DOMENICA 14 - 33^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
"VENUTO COLUI CHE AVEVA RICEVUTO UN SOLO TALENTO DISSE: SIGNORE, SO CHE SEI UN UOMO DURO, CHE MIETI DOVE NON HAI SEMINATO. PER PAURA ANDAI A NASCONDERE IL TUO TALENTO SOTTOTERRA; ECCO QUI IL TUO". (Mt. 25,24-25)
Ditemi che sono puerile. E’ vero, non mi offendo, anzi qualche volta lo ritengo un dono ricevuto da investire. E, allora, permettetemi di immaginare il giudizio finale in questo modo. E se volete, provate anche voi a farvi personaggi di questa storia. Tre persone morirono e si trovarono in una enorme aula d’attesa vuota. Erano seduti su tre sedie lontane le une dalle altre. "Sapevano" che al di là della porta si sarebbe svolto il grande, terribile, definitivo giudizio universale. L’attesa era snervante: erano in tre, ma ciascuno si trovava solo con se stesso. Il primo cominciò a pensare: "Ecco vedrò la grandezza, la forza, la potenza di Dio ed Egli mi chiederà di rendergli conto della mia vita. Che cosa raccontare? Ho avuto molti doni; salute per tanti anni, una famiglia buona, una moglie splendida, discreta fortuna negli affari. Ma questo anche Lui lo sa, sono i suoi doni. Però, non sempre li ho usati bene. Ho sprecato parte della mia salute per cose che non erano importanti. Non ho sempre amato, rispettato e messo in pratica i buoni insegnamenti della mia famiglia, ho perfino tradito mia moglie, e in questo momento me ne dispiace veramente: non lo meritava. E i beni non ho saputo sempre condividerli: il mio è un bilancio fallimentare… Non potrò che appellarmi alla misericordia del Giudice". Anche il secondo pensava alla sua vita: non era stata una vita ’fortunata’; orfano fin da piccolo, stenti, difficoltà a trovare un lavoro, un matrimonio non d’amore, una separazione, una lunga malattia: "Quante volte sono stato sul punto di bestemmiare la vita e il mio Creatore… forse lo avrò anche fatto ma poi ho sempre ricominciato da capo, non ho mai perso la fiducia in modo definitivo né in Dio, né negli uomini. Racconterò questo a Dio e la sua bontà che ha accolto i lamenti della mia vita, accoglierà anche la mia supplica". Il terzo, guardando in terra, quasi a rientrare meglio in se stesso, faceva i suoi conti: "Dio è terribile, il suo giudizio severo, ma io lo sapevo e posso dirgli: Ecco il tuo! Non ho sprecato niente di quanto mi hai dato, anzi non l’ho neppure usato per potertelo restituire. Ho osservato le norme: sono andato a Messa anche se mi costava. Ho partecipato (secondo le mie forze) a qualche raccolta di beneficenza. Ho perdonato dicendo: Non capiti un’altra volta… ". In quel momento gli sorse un dubbio: "E se Dio non fosse stato un buon ragioniere?".
Si aprì una porta e un Angelo sorridendo disse: " Signori, il giudizio universale è finito, ciascuno di voi sa dove andare".
LUNEDI' 15
"GLI DOMANDO’: CHE VUOI CHE IO FACCIA PER TE?". (Lc.18,41)
E’ sconcertante e può sembrare addirittura strana questa domanda che Gesù rivolge al cieco di Gerico. Dopo tutto il trambusto successo in questo paese di villeggiatura per ricchi, dopo che il cieco si è messo a gridare anche usando termini messianici e quindi, a detta dei sapienti, sconvenienti se applicati ad uomo, dopo che nessuno è riuscito ad azzittirlo, dopo che barcollando è riuscito a giungere ai piedi di Gesù, si sente chiedere: "Che cosa vuoi che io faccia per te?". Il cieco avrebbe potuto pensare: "Io sono cieco, ma tu, o Gesù, sei sordo: che cosa può volere un cieco?".
Eppure questa domanda di Gesù non è inutile. Proviamo a pensare alle nostre preghiere: spesso non sappiamo neppure bene che cosa domandiamo; ad esempio un’impressione che provo spesso la domenica, alla preghiera dei fedeli che dovrebbe essere il momento in cui si raccolgono le preghiere più pressanti dei presenti, ebbene, spesso le formule che vengono lette sono così formali, così astruse, pure difficili nell’uso corrente della lingua che quell’ "Ascoltaci o Signore" ha l’impressione di essere una firma su un assegno in bianco. Noi spesso chiediamo male perché confondiamo il vero bene con il bene immediato (se sapessimo dove ci porterebbe e quali difficoltà comporterebbe l’essere esauditi in certe nostre richieste, ringrazieremmo Dio che è stato sordo davanti alla nostra preghiera).
Gesù con la sua domanda al cieco vuole semplicemente dirci: "Sei convinto di quello che chiedi? Lo vuoi veramente? Hai fede che Colui che hai davanti, a cui ti rivolgi, possa darti ciò che chiedi? Ecco, se davvero chiedi consapevolmente, se davvero hai fede e se questa fede la impegni nel concreto, allora sappi che la tua fede può addirittura spostare le montagne. Allora posso dire anche a te come al cieco non: adesso ti faccio il miracolo, ma: la tua fede ti ha salvato".
MARTEDI' 16
"MENTRE STAVA PER MORIRE SOTTO I COLPI DISSE TRA I GEMITI: IL SIGNORE SA BENE CHE POTENDO SFUGGIRE LA MORTE, SOFFRO NEL CORPO ATROCI DOLORI MA NELL’ANIMA SOPPORTO VOLENTIERI TUTTO QUESTO PER TIMORE DI LUI". (2Mac. 6,30)
La morte è uno dei momenti più importanti della vita, eppure l’uomo perso davanti a questo mistero reagisce nei modi più strani. C’è chi non vorrebbe mai sentirne parlare per cui esiste solo il mito dell’eterna gioventù ed ecco allora spiegato quel gran successo di tutte quelle cure, quelle palestre che mettono in evidenza la prestanza fisica, ecco che donne e uomini maturi manifestano comportamenti adolescenziali o vecchietti e vecchiette che a tutti i costi vogliono provare gli stessi sentimenti e sensazioni dei vent’anni. Ci si nascondono gli anni, gli acciacchi, la realtà che è fatta di vita e di morte. Per contro assistiamo sempre più alla presentazione realistica e sensazionalistica della morte degli altri, prendete un telegiornale qualunque, è fatto per più del cinquanta per cento di notizie e di immagini di morte: guerre, omicidi, calamità naturali…prendete i film o i telefilm: a parte i ‘gialli’ che si fondano sulla morte di qualcuno il novantanove per cento di essi gioca sulla tragicità di avvenimenti. Davanti a questo, la morte non è mai la mia, ma sempre quella degli altri, al massimo è qualcosa da esorcizzare e se non basta ‘toccare ferro’, ci hanno pensato i super-americani inventando la carnascialesca "notte di Allowaj" (o come diavolo si scrive), dove ci si veste da scheletri, si fanno macabri scherzi e parate quasi a dirsi con questo che la morte non esiste e che di essa si può solo ridere. Che la morte nostra o degli altri con il suo carico di dolore e di mistero faccia paura, è vero. Non credo molto alle storie di eroi impavidi che davanti alla morte violenta che li aspetta hanno ancora il tempo di pensare e pronunciare frasi famose e non credo neanche molto a certi cristiani, anche ’santi’ che non vedevano l’ora di arrivare alla morte (per andare in paradiso): un po’ di tremore e qualche dubbio l’avranno avuto anche loro. Penso dunque alla morte con voglia di vivere: voglia di vivere qui nella realtà che se è dono di Dio non disprezzo e voglia di superare la morte sconfiggendola con la vita del sempre, superandola non con le mie forze, ma con la forza stessa di Dio.
MERCOLEDI' 17
"CHIAMATI DIECI SERVI CONSEGNO’ LORO DIECI MINE DICENDO: IMPIEGATELE".
(Lc. 19,13)Davvero Dio si fida di noi! Nonostante i nostri no, le defezioni, i limiti, si fida al punto da affidarci quel regno che è costato il sangue di suo Figlio. Ci affida la sua parola con il rischio che noi la nascondiamo o la interpretiamo male, si affida alla testimonianza delle nostre povere parole o della nostra vita. Possiamo permetterci di deluderlo? Possiamo solo permetterci di puntare il dito contro gli errori degli altri senza rischiare anche noi? Se invece di vedere solo i difetti della Chiesa, ciascuno, pieno di gioia per la fiducia che Dio gli accorda, dicesse: "Io sono la Chiesa", e ognuno da parte sua portasse il suo valido contributo, quanto migliorerebbe il volto della Chiesa. Non basta dire: "Nessuno si impegna", ma: "Oggi comincio io". Non basta dire: "Si parla solo di comunità, ma la comunità non c’è", ma: "Oggi comincio a mettere qualcosa in comunione con te" o meglio: "Oggi vivo la comunione con te, cominciando a chiedere perdono del mio egoismo". Non basta dire : "I preti non capiscono niente", ma: "Che cosa sto facendo per aiutare il mio prete ad essere fedele alla sua missione?". Non basta dire: "Si da poco peso alla Parola di Dio, alla preghiera", ma bisogna cominciare ogni giorno a leggere e meditare un po’ di Bibbia cercando di applicarla alla vita e trovare quotidianamente spazi per la preghiera. Per il successo dell’immensa opera della creazione, Dio ha bisogno di una cosa sola: che tu faccia del tuo meglio. Se tu dai quello che sei capace di dare (compresa la tua debolezza), sarai unito in massimo grado alla sua opera creatrice e allora il Padre sarà fiero del suo figlio che lo ha ringraziato trafficando i suoi doni.
GIOVEDI' 18
"SIGNORE, SE SEI TU, COMANDA CHE IO VENGA DA TE SULLE ACQUE". (Mt.14,28)
Non finirò mai di essere grato agli evangelisti perché hanno raccontato con fedeltà la ricchezza e la povertà della fede di San Pietro. Questo obbliga i liturgisti a tornare su questi episodi anche nei giorni in cui, ricordando la dedicazione delle basiliche di San Pietro e San Paolo, vorrebbero solo farne motivo di magnificenza e di fasto per la Chiesa. Ditemi quello che volete, ma le grandi costruzioni di pietra, come le fedi che si manifestano troppo sicure, troppo dogmatiche mi lasciano perplesso. Mi è molto più vicino il Pietro del Vangelo di oggi, facilmente spaventabile, un po’ superstizioso, credulone di fantasmi, che dopo essere stato rassicurato da Gesù: "Coraggio, sono io, non abbiate paura!" un po’ con l’infantilismo di un bambino e un po’ per vedere se è proprio vero chiede a Gesù: "Fai un po’ provare anche me a camminare sulle acque". Quante volte anch’io ho chiesto qualche miracolo in soprappiù. Ed ecco che Pietro ed io, "uomini di poca fede", cominciamo a camminare sulle acque.Ma lo straordinario, il miracolismo non basta a Pietro e la mia fede fondata sull’esteriore, affonda. Pietro ed io abbiamo bisogno di quella mano che ci tiri su da quel mare in cui abbiamo voluto cacciarci. E Gesù che a questo punto potrebbe dirci: "Te la sei voluta", ci dà ancora questa mano affinché io e Pietro impariamo ad essere più umili, a fidarci meno delle nostre forze e delle esteriorità, a credere di meno a una chiesa di pietre e di codici e di più ad una Chiesa debole e povera ma ricca di Cristo che le dà una mano per salvarla da sicuro annegamento.
VENERDI' 19
"COMINCIO’ A SCACCIARE I VENDITORI DEL TEMPIO DICENDO: STA SCRITTO: LA MIA CASA SARA’ CASA DI PREGHIERA. MA VOI NE AVETE FATTO UNA SPELONCA DI LADRI" . (Lc.19,45)
Per Gesù, il Tempio è importante: è il segno concreto della presenza di Dio nel suo popolo, è la casa del Padre, è il cuore della fede di Gerusalemme, è il richiamo continuo all’Alleanza. Maria e Giuseppe, da buoni Ebrei, avevano caro il Tempio, lì avevano presentato Gesù, lì avevano sentito le profezie del vecchio Simeone. Lì Gesù si era fermato a parlare con i dottori della legge, lì Gesù adulto si era recato tante volte a pregare. Gesù ama il tempio, ed è per questo che diventa violento, grida, sbatte fuori. Egli vuole purificare il Tempio, togliere le false superstizioni, cancellare in questo luogo di Dio l’ateismo imperante dettato dalla legge del commercio e del potere. Gesù ama le nostre chiese: in esse Lui si è fatto prigioniero, pane nel tabernacolo, nei sacramenti. Certamente Gesù vede nelle pietre delle nostre chiese la fede dei nostri padri che le hanno costruite, la fede umile e semplice di chi vi ha pregato e vi prega, ma Gesù non desidererà che anche le nostre chiese siano purificate ad esempio dalle tante forme di superstizione religiosa, dal verbalismo vuoto di certe chiacchiere religiose, dall’osservare solo l’esteriorità, da ritualismi portati avanti senz’anima, da preghiere e spiritualità imposte, da fariseismi e ipocrisie, da commerci religiosi e da dio-denaro imperante?
E c’è anche un altro tempio che sta particolarmente a cuore a Gesù ed è il tempio del nostro cuore. Amici, anche qui non ci sarà bisogno di qualche sferzata con successivo sgombero?
SABATO 20
"I FIGLI DI QUESTO MONDO PRENDONO MOGLIE E PRENDONO MARITO, MA QUELLI CHE SON GIUDICATI DEGNI DELL’ALTRO MONDO E DELLA RISURREZIONE DAI MORTI NON PRENDONO MOGLIE NE’ MARITO E NEMMENO POSSONO PIU’ MORIRE, PERCHE’ SONO UGUALI AGLI ANGELI, E, ESSENDO FIGLI DELLA RISURREZIONE, SONO FIGLI DI DIO". (Lc. 20,34-36)
A commento di questo versetto vi offro oggi una riflessione di A. Malliot. Forse non è facile, certamente è provocatoria. "Arriva il giorno in cui tutto diventa irreversibile. E’ il giorno dopo il quale non c’è più giorno, non ci sono più occasioni possibili. E’ il giorno in cui non si possono trovare altre persone all’infuori di quelle che si sono trovate fino a quel momento. Ormai tutto è fissato, inciso irrimediabilmente nel granito della storia passata. E senza ritocchi possibili. E’ il giorno in cui il solo avvenire è quello di essere esclusivamente colui che si è stati, il giorno a partire dal quale è possibile essere unicamente al passato. Non esiste altro avvenire che ieri; si è condannati ad essere per sempre colui che si è voluto essere ieri. La morte non è altro che questo. D’altra parte, bisogna constatare che molti viventi sono semplicemente dei morti viventi, contratti in un personaggio solitario che non hanno voluto abbandonare, pietrificati in un comportamento definitivo. La saggezza popolare dice che soltanto gli imbecilli non cambiano mai. Io preciserei che soltanto i morti non cambiano mai, non si convertono e rimangono sempre gli stessi. Per cui l’eternità non fa altro che cambiarli… in ciò che sono, trasformarli in se stessi.
DOMENICA 21 - 34^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
FESTA DI NOSTRO SIGNORE GESU' CRISTO RE DELL' UNIVERSO
"IO STESSO CONDURRO’ LE MIE PECORE AL PASCOLO, E IO LE FARO’ RIPOSARE". (Ez. 34,15)
Nessuno di noi fa fatica a riconoscere il titolo di re a Gesù, anzi, siamo ben felici di avere per re il Figlio di Dio che è venuto apposta ad intercedere per noi. Forse però, proprio per capire, onorare, ringraziare meglio Lui e per comprendere quale tipo di sudditi Egli desidererebbe da noi, è bene vedere come Egli esercita il suo potere regale. "Preso un grembiule se lo mise ai fianchi e si mise a lavare loro i piedi". "Non vi chiamo più servi, ma amici". "Non c’è amore più grande che dare la propria vita per l’amico". "Sono il buon pastore. Il buon Pastore dà la vita per le sue pecore". Gesù prova commozione davanti alle sofferenze, piange per la morte di un amico, prende le parti dei più deboli, non è a caccia di onori e di primi posti, anzi prende in torta coloro che sono così, non è venuto ad esigere da noi tasse e gabelle ma ci ha fatti ricchi di se stesso, non è venuto a prendere i nostri figli per farli soldati per il suo regno, ma è venuto a ridare la libertà di figli a chi era schiavo. E’ un re coronato di spine, arrossato dal suo sangue sgorgato abbondante dalla flagellazione, sua Madre, la Regina piange ai piedi della croce, il primo ad entrare nel suo Regno definitivo è un ladro. Come dovranno essere i sudditi di un tale re?
Lui ci ha fatto popolo regale, profetico, sacerdotale, quindi anche noi siamo chiamati a reggere, a sostenere il suo Regno e con i suoi stessi metodi: il servizio, l’umiltà, la condivisione, il perdono, l’amore. Quando la Chiesa ha avuto per modello il suo re, il suo Regno ha accolto ogni uomo, ha superato barriere, ha servito il Vangelo. Quando ha scimmiottato i regni della terra divenendo potere, giuridismo, affari, ha crocifisso di nuovo Colui che era venuto a salvarla.
LUNEDI' 22
"VIDE UNA VEDOVA, POVERA, CHE GETTAVA DUE SPICCIOLI NEL TESORO DEL TEMPIO". (Lc. 21,2)
Gesù è un profondo osservatore e conoscitore della vita. Oltretutto Lui legge nei cuori e scruta i sentimenti. Il racconto dell’obolo della vedova è dunque ricchissimo di insegnamenti. Eccone alcuni:
Gesù non muove una critica al modo esistente allora di raccogliere offerte nel tempio. La sua critica al commercio religioso l’ha già fatta quando ha rovesciato i tavoli dei cambiavalute. La distinzione che viene fatta non è una divisione di classi: ricchi da una parte e poveri dall’altra. Per Gesù chi non mette a disposizione dell’altro ciò che possiede è ricco mentre chi vede ciò che possiede come un dono di Dio da spendere per il prossimo è da imitare come "povero". Dio misura l’offerta del cuore che offre: i due spiccioli della vedova sono graditi perché sono l’atto di affidamento totale di una povera donna che non ha che Dio a proteggerla. Anche oggi è così: Dio non guarda la quantità della tua beneficenza facendo la proporzione con il tuo conto in banca; Dio non è un ragioniere e neanche un alchimista di numeri. Dio guarda la generosità del cuore, il distacco dalle cose, la fiducia in Lui o nei denari e in ciò che essi rappresentano. Tu puoi anche considerarti buono e generoso perché hai fatto la tua offerta per la ricostruzione del Kossovo o perché hai preso dal tuo armadio un po’ di vestiti usati (è anche un’occasione per rinnovare il guardaroba) per darli a favore dei terremotati della Turchia. Dio veramente sa se quel gesto viene dal cuore e dalla generosità. La Vedova con il suo gesto non ha reso più ricco il già ricco tempio. Lei non ha fatto di questi ragionamenti. Dio non ha bisogno delle nostre offerte: suo è già tutto l’universo. Dio però gradisce dei cuori, come quello della vedova, che sanno offrire tutto a Lui perché di Lui si fidano ciecamente.
MARTEDI' 23
"VERRANNO GIORNI IN CUI, DI TUTTO CIO’ CHE AMMIRATE, NON RESTERA’ PIETRA SU PIETRA CHE NON VENGA DISTRUTTA" . (Lc. 21,5)
Qualche giorno fa meditavamo su quanto Gesù abbia amato il Tempio di Gerusalemme, eppure Gesù sa e annuncia che questa meraviglia del mondo sarà distrutta. Noi oggi siamo ammirati davanti alle grandi cattedrali, ma sappiamo anche che queste cadranno con l’andar del tempo. Abbiamo visto, dopo il terremoto dell’Umbria la corsa alla ricostruzione della grande Basilica di Assisi. Essa è stata riaperta (peccato che non si sia avuta la stessa attenzione ai terremotati che mentre vedono ricostruire una chiesa o pavimentare una strada se ne stanno al caldo torrido d’estate o al freddo gelido l’inverno dentro ai containers), ma con tutto il suo carico di fede e di opere d’arte uniche prima o poi cadrà nuovamente come sono destinate alla distruzione tutte le cose belle o brutte della nostra terra. Che cosa conta dunque? Conta ciò che rimane. I templi, cattedrali comprese, possono essere mezzi per arrivare a Dio, ma passano; è solo Dio che rimane e tutto ciò che trova fondamento in Lui. Quando l’uomo arriva verso il termine della sua vita che cosa conta per Lui? Il denaro che ha accumulato? Se non lo ha fatto prima la morte lo costringerà a darlo via. Il ruolo di potere conquistato? Non sei ancora morto e c’è già la coda di contendenti pronti ad arraffarlo. Il successo? Il tutto si ridurrà ad una lapide più o meno bugiarda che si perderà in mezzo ad altre lapidi. Rimarrà Dio, l’Eterno e in Lui ciò che tu sei stato non le tue apparenze ma la tua sostanza, rimarranno le motivazioni dei tuoi gesti, delle tue scelte, dei tuoi affetti, quello che è il senso della vita che tu hai oggi… sarà come trovarsi nudi, senza vesti apparenti che ti nascondano e potrà essere uno splendido spettacolo o qualcosa di estremamente umiliante e rivoltante.
MERCOLEDI' 24
"CON LA VOSTRA PERSEVERANZA SALVERETE LE VOSTRE ANIME". (Lc. 21,19)
Gesù non ha mai nascosto il fatto che seguirlo non sia un’impresa facile, anzi, spesso ha smorzato i facili entusiasmi di qualcuno: "Chi non prende la sua croce e non mi viene dietro non è degno di me", "Chi pone mano all’aratro e poi si volta indietro non è degno di me". Ed anche nel corso del Vangelo di oggi Gesù mette in guardia i discepoli: "Sarete perseguitati! E sarà solo la perseveranza a salvarvi!". Quanto è duro perseverare quando ti sembra di lottare contro i mulini a vento: mi confidava una santo sacerdote anziano: sono più di vent’anni che predico, che cerco di accogliere la gente, che cerco di aiutare come posso e nel territorio parrocchiale gli abitanti si sono raddoppiati e quelli che vengono in chiesa dimezzati". Davanti a certi risultati che si vedono oggi, vale ancora la pena di combattere per costruire giustizia, per sforzarsi per la pace? Non sono forse utopie, battaglie inutili visto che sappiamo che l’ingiustizia ci sarà sempre, visto che il giusto sarà bastonato e il profeta non compreso? Sì, abbiamo fermato qualche guerra ma ne stanno spuntando altre, abbiamo rinunciato a qualche armamento ma i mercanti di morte ne hanno già pronti altri, ancora più terribili. E anche nei confronti di noi stessi, vale la pena lottare contro un carattere che continuamente rispunta, contro l’ira che sembra vinta ma che scoppia improvvisa e devastante, contro una sensualità mai domata, contro un egoismo che spesso ha il sopravvento su tutti i tentativi di amore?
"Coraggio, non perderti d’animo – sembra dirci Gesù – continua a perseverare anche quando ti sembra di lavorare a svuotare il mare e per di più con un secchiellino e magari anche bucato". Maria diceva a Bernardette: "Non vi prometto la felicità in questa vita, ma nell’altra", e Gesù ripete a noi la stessa cosa: "Non otterrai pienamente quello che desideri ma nulla dei tuoi sforzi andrà perso".
GIOVEDI' 25
"LE POTENZE DEI CIELI SARANNO SCONVOLTE" . (Lc. 21,26)
Anche questa volta qualcuno ha azzardato le sue previsioni: c’è stata l’eclisse, il terremoto in Turchia, siamo alla fine del millennio e ‘Mille e non più mille’ fanno sempre paura, e allora qualcuno rileggendo questa pagina evangelica ha ancora una volta cercato di cogliervi i segni degli "ultimi giorni". No: il Vangelo non fornisce previsioni e neanche oroscopi. Il Vangelo ci mette in guardia e non soltanto sugli "ultimi tempi", ma sui "nostri tempi" perché ho l’impressione che noi rischiamo proprio non di non sapere il nostro futuro, ma di non vivere il nostro presente. Noi abbiamo il tempo e spesso lo dissipiamo. Abbiamo ora la possibilità di amare, di gioire, di servire il nostro prossimo e non la utilizziamo. Scriveva Schillebeeck: "La vita eterna ha a che fare con la qualità di amore della nostra vita terrena qui, ora". Date, tempi, modalità della fine del mondo (o anche solo della fine della nostra vita) possiamo lasciarle nelle mani di Dio ma il tempo che Lui ci dà non dobbiamo buttarlo via vuoto, esso è un dono che ci è dato ma che deve essere ritornato al Donatore pieno di qualcosa. Una delle cose di cui davvero sono dispiaciuto nella mia vita, e lo scriverlo è anche un modo per chiedere scusa a Dio e a tutti, è il fatto che ho sempre vissuto proiettato nel domani: da bambino non vedevo l’ora di diventare grande, da seminarista di essere prete, da viceparroco di essere parroco e mi sono mangiato intere stagioni della mia vita. Quanto sarebbe bello, invece, vivere oggi, in pieno il mio tempo, la mia gioia, la mia sofferenza, l’amore per Dio e per il prossimo… E questo non è anticipare l’eternità?
VENERDI' 26
"IL CIELO E LA TERRA PASSERANNO MA LE MIE PAROLE NON PASSERANNO".
(Lc. 21,33)Ogni uomo, magari in modi molto diversi cerca la verità sul senso della vita, su se stesso, sulla morte, sul futuro. Se ripasso i miei anni scopro in me questa ricerca innata. Il bambino cerca nell’affetto dei grandi una risposta concreta alle sue esigenze vitali e di crescita. Il ragazzino dal contatto con la natura e le cose cerca una risposta al suo essere nel mondo in mezzo ad altre creature. I perché ripetuti dei bambini sono un modo per mettersi al centro ma anche un modo per conoscere e per provocare. I libri, la scuola, la televisione possono diventare veicoli per incontrare la storia, la natura, la scienza, il prossimo di un tempo e di oggi. La storia del pensiero, delle religioni, delle teologie ti mette a contatto con chi, balbettando ha cercato la verità e ne ha trovato alcuni brandelli. L’esperienza, il lavoro, gli incontri ti possono aprire spiragli. Ho frequentato il pensiero dei filosofi, dei teologi, ho incontrato tante persone comuni ed eccezionali e da tutte ho ricevuto qualcosa e spero anche di aver dato qualcosa, ma in mezzo al guazzabuglio delle idee mi trovo disorientato. Il bambino ha fatto l’esperienza che non sempre c’è l’affetto, il ragazzino si è accorto che le cose belle possono essere terribili ed anche finire, tanti perché non hanno mai avuto una risposta né teorica né vitale, i libri e la cultura balbettano e si contraddicono, l’esperienza è spesso personale. C’è davvero una cosa sola che rimane ed è la Verità di Dio e questo Dio ha parlato, si è fatto uomo in Gesù. Anche le parole che esprimono la Parola incarnata possono lasciare dubbi, ma Lui no. Lui ha firmato se stesso col più grande atto di amore: dare la vita per noi e "mentre eravamo peccatori".
SABATO 27
"VEGLIATE E PREGATE IN OGNI MOMENTO" . (Lc. 21,36)
Siamo alla conclusione dell’anno liturgico: domani, con l’Avvento, per la Chiesa inizia il nuovo anno, quello del nuovo millennio. E mi sembra bello che al termine di un cammino e alla vigilia di un nuovo viaggio vi sia una parola di Gesù che ci aiuta ad essere attenti e a vigilare. Gesù ci dice: "In questo anno di liturgia, quanti doni hai ricevuto, quanta parola di Dio, quanti sacramenti… Conservali nel tuo cuore. Non come si farebbe con una preziosa collezione di pezzi rari, ma come la terra conserva il seme facendolo marcire ma donando ad esso tutti gli elementi affinché possa diventare pianta e portare frutto. Conserva questi doni ma sempre pronto a rendere testimonianza della speranza che ti è stata data. Vigila perché il maligno non venga a portarli via e a portarti via, prega perché il Signore ti renda forte e apri il nuovo cammino con gli stessi sentimenti:
Riconoscenza : tutto ti è stato dato in dono.
Umiltà: se non ti fai piccolo non puoi accogliere le piccole cose e se non accogli le piccole cose non sei capace neanche di accogliere le grandi.
Gioia: di saperti amato in ogni occasione, anche nella sofferenza.
Preghiera: non staccare la spina, senza quella corrente non si muove nulla.
Attenzione: a Dio, alla sua parola, ma anche ai tuoi fratelli.
E con questo: Buon anno. Buon 2000, buon giubileo, quello del cuore che giubila per la misericordia di Dio".
Il commento agli ultimi giorni di novembre lo troverete in "Schegge e Scintille" di dicembre che comprende tutto il tempo dell’Avvento.
TRENTA PENSIERI PER TRENTA GIORNI
1 DANNAZIONE
Non è Dio che ci condanna, siamo noi stessi, a causa dei nostri peccati. I dannati non accusano Dio, accusano se stessi dicendo: "Ho perduto Dio, l'anima e il cielo per colpa mia". (Santo Curato d'Ars)
2 DANNO
Danneggia se stesso chi danneggia gli altri e l'azione malvagia reca danno soprattutto a chi l'ha escogitata. (Esiodo)
3 DANZA
Ci sono molti santi a cui non piaceva danzare, ci sono anche dei santi che hanno sentito il bisogno di danzare, tanto erano felici di vivere: santa Teresa con le sue nacchere, San Giovanni della Croce con Gesù Bambino e San Francesco davanti al Papa. (Madeleine Delbrel)
4 DARE
Colui che misura non dà nulla. (Don Primo Mazzolari)
5 DEBITO
Avere il senso del debito significa sperimentare la vita come un ricevere e non solo come un prendere. (A.J. Heschel)
6 DEBOLEZZA
La resistenza di una catena è quella della maglia più debole. (V. G. Rossi)
7 DECISIONE
Se qualcuno ti dice che sta per prendere una "decisione realistica", capisci immediatamente che sta per fare qualcosa di brutto. (Mary Mc Carthy)
8 DEDIZIONE
Perdersi del tutto per ciò che si ama: la cosa più bella che sia dato di pensare in terra, anzi, in cui deve consistere il cielo, se è vero che vi si è contenti e felici. (Heinrich Von Kleist)
9 DEFORMAZIONI
Il mugnaio pensa che non cresca frumento se non per andare al suo mulino. (Goethe)
10 DEFUNTI
Una lacrima per i defunti evapora. Un fiore sulla loro tomba appassisce, una preghiera arriva fino al cuore di Dio. (Sant'Agostino)
11 DELICATEZZA
La delicatezza è una grande parola che si pratica nelle piccole cose. (J. Maurus)
12 DELITTO
Le ragioni per cui ci si astiene dai delitti spesso sono più vergognose, più segrete dei delitti stessi. (Paul Valery)
13 DELUSIONE
Dio delude chi non lo conosce abbastanza, le creature deludono chi le conosce troppo. (Gustave Thibon)
14 DEMOCRAZIA
Democrazia è il nome che diamo al popolo tutte le volte che abbiamo bisogno di lui.
(G. Caillevet)
15 DEMONIO
La volontà è l'unica porta dalla quale il demonio può penetrare nella nostra anima. (Padre Pio)
16 DENARO
Quelli che pensano che con il denaro si può far tutto, sono gli stessi che per denaro farebbero tutto. (P. Beauchene)
17 DESERTO
Il deserto per il cristiano non è vuoto, ma può diventare il momento più propizio per l'incontro con Dio. (Cardinal Michele Pellegrino)
18 DESIDERIO
Chi non è contento di quello che ha, non sarebbe contento neppure di quello che vorrebbe avere. (Berthold Auerbach)
19 DESIDERIO DI DIO
Anche se si è tanto fortunati da trovare Dio, il desiderio che proviamo per Lui non diminuisce, al contrario, non fa che aumentare. (San Bernardo)
20 DESTINO
Chi subisce il destino dall'esterno ne viene abbattuto come l'animale selvatico dalla freccia. Chi lo riceve dall'interno dal più profondo dell'essere ne viene rafforzato e reso simile a un Dio. (Hermann Hesse)
21 DEVIAZIONE
Accade spesso nella vita, che una deviazione non sia poi tale, che da un germoglio laterale venga il contributo decisivo. (Ernest Bloch)
22 DEVOTI
I finti devoti della moschea sono come gli uccelletti in gabbia; appena si apre la porta, volano via. (Detto Musulmano)
23 DIALOGO
L'amore alla verità suppone la volontà di capire sempre il punto di vista dell'avversario.
(Gandhi)
24 DIAVOLO
Non potete impedire al diavolo di passare sulla vostra via, ma potete impedirgli di fermarsi a casa vostra. (Hudson Taylor)
25 DIFETTO
Conosci te stesso? Potrai rispondere di sì senza paura di sbagliare quando scoprirai in te stesso più difetti di quanti ne vedono gli altri. (F. Hebbel)
26 DIFFICILE
Nulla è tanto difficile che, a cercare, non se ne possa venire a capo. (Terenzio)
27 DIFFICOLTA'
Quando ci si trova davanti ad un ostacolo, la linea più breve tra due punti, può essere una linea curva. (B. Brecht)
28 DIFFIDENZA
Quando la diffidenza entra dalla porta, l'amore esce dalla finestra. (Horwel James)
29 DIGIUNO
Se digiunando ti senti eroico, pensa che i due terzi della popolazione mondiale sono eroici. (Kalamat)
30 DIGNITA'
Mettersi in ginocchio davanti a Dio è il mezzo migliore per restare in piedi davanti agli uomini. (A Bessieres)