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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA

PAROLA DI DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

NOVEMBRE 1998

 

 

 

DOMENICA 1 NOVEMBRE 1998 - FESTA DI TUTTI I SANTI

"Dopo di ciò apparve una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua". (Ap. 7,9)

Mi è sempre piaciuto leggere le vite dei santi. Da ragazzo mi colpivano soprattutto gli esempi di coraggio e di eroicità, oppure la meraviglia dei miracoli che avvenivano attorno alla loro vita. Oggi, nella loro storia, cerco soprattutto di scoprire la loro gioia quotidiana di poter vivere con il Signore e per il Signore. Ed è meraviglioso, sfogliando un’enciclopedia dei Santi, scoprire come Dio, con "stoffe" tanto diverse sia riuscito a confezionare tanti abiti diversi che alla fine dicono una cosa sola: la sua bellezza. Allora, se penso alla mia santità, scopro che essa non sarà mai per mia conquista (sono troppo realista per fidarmi di me stesso, della mia volontà) ma sarà per dono, se il dono so accettare. Dio non si spaventa della mia stoffa, sbrindellata, piena di macchie, non si spaventa del mio caratteraccio, dei buchi, dei peccati, Dio può fare il vestito bello, gioioso della santità anche con un tipo come me, anzi sono proprio i miei difetti che manifestano la grandezza del sarto.

 

 

LUNEDI’ 2 NOVEMBRE 1998 - COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

"Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrà Dio". (Gb. 19,26)

Il cantante Claudio Villa in una intervista poco prima della sua morte gridava: "Morte, ti odio!". Anche noi in certe occasioni abbiamo pensato e detto frasi simili. Quando muore un bambino innocente, quando una mamma lascia soli i suoi piccoli non si può che provare rancore, rammarico, delusione. Quando attraverso la morte si viene privati degli affetti più cari, per lo meno ritorna quella domanda: "Perché?". Eppure, lo sappiamo, morte e vita, gioia e dolore vanno a braccetto ogni giorno. Ogni giorno noi nasciamo un po’ e moriamo un po’. Oggi ripenso ai miei cari defunti: alcuni sono morti da tanto tempo, altre morti sono più recenti. Ma se da una parte la nostalgia mi prende, dall’altra oggi io voglio celebrare la vita, il Dio della vita, il Cristo risorto e allora scopro che come la mia vita è frutto di tante vite e morti precedenti, così i miei morti, tutti i morti non possono essere solo delle persone che furono e non sono più. Dio ama talmente la sua creatura che ha bisogno di ciascuna di essa. "Cari miei morti, voi che siete più vivi di me, fate che le tristezze del vostro ricordo, non vi facciano morire un altra volta. Il pensiero di voi in Dio rinnovi in me la fiducia in Colui che non è il Dio dei morti, ma dei viventi".

 

 

MARTEDI’ 3 NOVEMBRE 1998

"Un uomo diede una cena e fece molti inviti. All’ora della cena mandò il suo servo a dire agli invitati: venite, é pronto. Ma tutti all’unanimità cominciarono a scusarsi". (Lc 14,16-17)

"Vorremmo parlare con il parroco". "Per che cosa?". "Per il battesimo di mio figlio". "Naturalmente siete dei buoni cristiani che vogliono aiutare il figlio ad essere un buon cristiano". "Certamente!". "E’ da tanto che abitate in questa parrocchia?". "Sono più di 10 anni". "Come mai allora io non vi ho mai visti e voi non sapete che il parroco sono io?". Imbarazzo. E poi tutta una serie di scusanti: "Ma noi lavoriamo... siamo credenti non praticanti... non abbiamo tempo. Questa scena si ripete abbastanza sovente nell’ufficio parrocchiale e può anche essere occasione di un inizio di dialogo. Certo è che molti sono come gli invitati a nozze nella parabola del Vangelo odierno. Tutte le scuse sono buone per declinare un invito. Cerchiamo però di cercarne la causa. Spesso non è che manchi la fede in un Dio. Spesso c’è anche una forma di religiosità, direi innata, tradizionale. Manca la fede nel Dio di Gesù. Si rifiuta l’invito perché non si conosce Colui che ci invita o lo si conosce in maniera sbagliata. Si pensa al Dio che chiede e non al Dio che dona e si dona, e allora tutto diventa pesante, tutte le altre cose più immediate hanno la precedenza. L’invito non è per una sepoltura, è per un banchetto!

 

 

MERCOLEDI’ 4 NOVEMBRE 1998

"Siccome molta gente andava con Lui, Gesù disse: Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi non è degno di me". (Lc. 14,25.33)

Specialmente durante le scorse vacanze sarà capitato a ciascuno di noi, o sulla spiaggia, o magari durante un viaggio in treno di sentire o dover partecipare a qualche chiacchierata: quanti luoghi comuni, quante parole inutili, quanti pettegolezzi, sentiti dire... e soprattutto quale mentalità c’è dietro a persone che vogliono emergere, che hanno da dire su tutto e su tutti? Una mentalità a volte molto lontana dal Vangelo. E quello che è peggio è, con un certo senso di vergogna, accorgerci che, spesso anche noi cadiamo in questa mentalità, qualche volta per comodo o per non essere da meno dei nostri interlocutori, e qualche altra volta perché è proprio la nostra mentalità. Quando Gesù, nel Vangelo, ha delle frasi così drastiche come quella di oggi, allora, vorrà solo parlare di rinunzie materiali, di denaro, di vendita di beni? Credo che Gesù dicendo che sono degni di essere suoi discepoli solo coloro che rinunziano a tutto, volesse principalmente dire che se noi vogliamo essere degni del nome di cristiani dobbiamo avere il coraggio di uscire dalla massa, dobbiamo smetterla di essere qualunquisti, dobbiamo con coraggio rifarci ai valori evangelici, dobbiamo in parole povere cambiare mentalità. Già, ma come fare? La strada è una sola: seguire con pazienza Gesù, ascoltare il suo Vangelo e farlo diventare nostro, anche quando ci è scomodo, o ci mette in posizioni scomode.

 

 

GIOVEDI’ 5 NOVEMBRE 1998

"C’è gioia davanti a Dio per un solo peccatore che si converte". (Lc. 15,10)

La mia esperienza di prete mi ha spesso aiutato a fare delle riflessioni particolari. Sovente mi è capitato di confessare delle persone che per anni si sono portate addosso il peso di colpe che o non potevano o volevano confessare. Quando, dopo lungo tempo lo Spirito li ha aiutati a trovare la decisione e il coraggio di chiedere perdono a Dio e si sono sentiti dire che il Dio misericordioso attraverso il sangue di Gesù cancellava le loro colpe, ho visto spessissimo rinascere nei loro occhi la gioia, che magari si esprimeva con lacrime di commozione, e altrettanto spesso mi è capitato che queste persone, comunicando la loro esperienza gioiosa mi abbiano a loro volta portato altri che magari vivevano la loro stessa situazione perché anch’essi sperimentassero la gioia del perdono.

Il peccatore che si converte non fa solo gioire gli angeli davanti a Dio, ma prova a sua volta una gioia incontenibile, una gioia che forse noi abituati a recitare "confesso" e "atti di dolore", non gustiamo più. Eppure, non dovrebbe il nostro cuore riempirsi di gioia nel sapere che Dio non ci abbandona neanche quando noi abbandoniamo Lui, che Dio pazientemente ci cerca, che Dio è contento e gioisce nel poterci perdonare? Non sarà forse che abbiamo perso la gioia dell’essere perdonati perché abbiamo perso il senso del peccato e della misericordia di Dio?

 

 

VENERDI’ 6 NOVEMBRE 1998

"I figli di questo mondo, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce". (Lc. 16,8)

Leggendo certi fatti di cronaca o scoprendo, magari dopo anni, certi imbrogli o raggiri sostenuti con fantasia, scienza, furbizia, estrosità, non si può non provare, insieme alla riprovazione, anche un senso di ammirazione verso coloro che, pur per un uso malvagio, hanno avuto tanta inventiva. Anche Gesù esprime ammirazione verso l’amministratore disonesto. E nel bene, i cristiani sono altrettanto furbi? Un certo modo di insegnare e di vivere i valori cristiani indirizzato all’abitudinarietà, al perdono non costruttivo, all’umiltà melensa e pelosa, fa quasi credere che il cristianesimo con le sue norme morali sia la religione dell’abbandono, della non fantasia, della stupidità eretta a valore morale. Non c’è niente di più falso. Scorriamo le pagine del Vangelo e scopriamo un Gesù fantasioso, ironico, costruttivo, acuto, capace di sfruttare i momenti, che stimola, che non lascia mai addormentati, che scuote dalle abitudini e dai ritualismi. I santi, poi, erano furbi. Pensate a un don Bosco, un contadino che tiene in scacco i potenti del suo tempo e che "li sfrutta" per i suoi fini di bene. E Madre Teresa, per i suoi poveri e moribondi non ha forse saputo invischiare anche coloro che erano tutt’altro che buoni? insomma, Gesù ci invita ad usare bene i doni che ci sono stati dati. I seguaci di Gesù sono i furbi che hanno venduto tutto pur di avere la perla preziosa, sono coloro che, collaboratori del Regno, usano della stessa creatività fantasiosa di Dio per portare la gioia del suo annuncio, tutt’altro che bacchettoni dal collo torto.

 

 

SABATO 7 NOVEMBRE 1998

"Ho imparato ad essere povero e ho imparato ad essere ricco; sono iniziato a tutto in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in Colui che mi dà forza". (Fil. 4,12 -13)

Paolo ha capito il significato profondo della povertà e della ricchezza. Nessuno di noi ama la povertà in se stessa: essa è causa di tanti mali per l’uomo. Ma sappiamo anche che la ricerca esasperata della ricchezza porta a mali altrettanto grandi. E’ solo pensando che le cose sono di Dio che noi troviamo il giusto equilibrio. Se i beni di questa terra sono di Dio, prima di tutto li rispetto: non sono a mio uso e consumo indiscriminato. Se sono di Dio, e Dio li ha messi a disposizione di tutti, non posso capitalizzarli solo per me a scapito degli altri. Eccomi dunque pronto, come Paolo ad essere ricco, ma a non fidare la mia vita sulla ricchezza; eccomi dunque capace a condividere con gli altri, perché riconosco in essi fratelli con i miei stessi diritti; eccomi dunque capace anche ad essere povero, semplice, a sapermi accontentare perché sempre ricco di Dio. Guardiamo a Gesù: "Il Figlio dell’uomo non ha neanche un sasso su cui riporre il capo" eppure è l’uomo più libero e più contento. Non disdegna di andare a mangiare in casa di ricchi al punto da venir considerato un "mangione e un beone". Ha una tunica intessuta in un sol pezzo, una ricchezza per quel tempo, tant’è vero che i soldati se la tirano a sorte, ma sa vedere il vestito dei "gigli del campo". Accetta che le donne di alto rango sovvenzionino con i loro denari l’attività del suo gruppo, ma nella cassa degli apostoli c’è sempre qualcosa da "dare ai poveri". Per essere cristiani non c’è bisogno di pauperismi esagerati, né di compromessi con questa o quella cultura vigente (leggi: capitalismo o marxismo), basta dare il giusto posto a Dio e ai doni che da Lui derivano.

 

 

DOMENICA 8 NOVEMBRE 1998

"Questa donna, dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie?". (Lc. 20,33)

Una domanda che spesso ci facciamo o sentiamo da altri è questa: "Come dobbiamo immaginarci l’aldilà?". Il fatto è che dobbiamo credere nell’aldilà, non immaginarcelo o cercare di descriverlo. Il "come sarà" non è affare nostro. Il mistero, quando non è circondato di rispetto e discrezione, rischia di venire profanato, banalizzato dalla curiosità. Ogni mia immagine dell’altra vita è sempre un prolungamento della mia esperienza, un tentativo di concretizzare i miei desideri. Tutti i paradisi raffigurati dagli uomini sono artificiali. lo non ho bisogno di sapere com’è il Paradiso e che cosa ci farò. Mi fido più della fantasia di Dio che delle costruzioni della mia immaginazione. La fede nella risurrezione è basata sul Dio "amante della vita", sul Dio che non è il Dio dei morti, ma dei vivi". Il Signore è fedele. Ora ,se Lui è fedele a se stesso e alle sue promesse, perché devo preoccuparmi io, nel tempo, di colui che è Eternità e che in essa vuol donarsi a me per sempre?

 

 

LUNEDI’ 9 NOVEMBRE 1998 - FESTA DELLA DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE

"E’ giunto il momento in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità". (Gv. 4,23)

Dio, dunque, lo posso incontrare? Dove? Come deve essere la mia preghiera? Ci sono delle formule per arrivare al cuore di Dio, ci sono dei rituali da adempiere o tutto è preghiera e Dio è più immediato di me stesso? Se posso raccontarvi la mia esperienza, non pensando che essa sia l’unica strada, posso dirvi che Dio l’ho cercato nei riti qualche volta talmente formali e ripetitivi da diventare superstiziosi, l’ho cercato nel ragionamento frequentando le biblioteche del sapere umano, l’ho cercato nei santuari dove si affollano migliaia di credenti e lo cerco ancora oggi nel creato, nelle persone, nei sacramenti, nel silenzio per scoprire chi sia, quale sia la sua volontà. L’ho trovato? Penso che Lui mi ha trovato, lo continuo il mio cammino tra chiari e scuri, tra storia e speranza, tra ragionamenti e dubbi. L’unico punto che non voglio perdere è Gesù, suo Figlio e la sua parola, magari misteriosa ma anche illuminante che mi appoggia ad ogni svolta della mia ricerca. lo non so pregare, balbetto. Ma Gesù prega per me e con me.

 

 

MARTEDI’ 10 NOVEMBRE 1998

"Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite: siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare". (Lc. 17,10)

Quante volte con quella sapienza che è tipicamente popolare, mia madre, vedendomi correre, strafare mi diceva di non fare "Gigin l’afanà". Quante volte, anche nel bene, noi corriamo il rischio di pensare che la salvezza del mondo dipenda da noi: ‘‘Se manco io non si combina più nulla di buono", e poi ti accorgi che una malattia, un cambiamento fanno sì che le cose vadano avanti lo stesso e qualche volta anche meglio. Gesù, chiamandoci servi inutili, vuoi farci rimettere le cose al loro giusto posto: tutto è dono, opera di Dio. Il suo amore c’è ed è per tutti, non dipende da me, anche se Lui può servirsi di me per manifestarlo. lo dovrei essere gioioso solo per il fatto che Lui mi permette di collaborare, che Lui si serve anche delle mie miserie. Allora, anche nel servizio agli altri, quale maggiore disponibilità e libertà avremmo! "Ti amo perché Dio ti ama. Ti servo come ti servirebbe Dio che ti ama. Ma senza affanno e con gioia, rispettandoti, perché so che se anche io non riesco ad amarti e servirti come Lui, nonostante i miei errori, la mia pochezza, Lui realizza per te quello che il suo amore ha progettato per te ed anche per me".

 

 

MERCOLEDI’ 11 NOVEMBRE 1998

"Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla". (Salmo 22,1)

Ci facciamo aiutare nella meditazione di questo Salmo da una riflessione di Carlo Carretto: Credere che Dio è il mio Pastore che mi conduce, che mi chiama per nome, mi dà tanta sicurezza e tanta tenerezza. La mia debolezza sta nel sentirmi solo nella grande città. E’ soprattutto quando le cose non si capiscono, quando soffro, quando piango, quando l’esperienza del mio limite mi conduce contro il muro della mia incapacità, quando la mia povertà mi fa capire che cosa significhi essere uomo, è allora che devo fare il salto nella speranza e credere al Dio dell’impossibile. E invece? Troppe volte mi ripiego su me stesso e dimentico ciò che gli ho detto nelle mie preghiere: "Signore, Tu sei il mio Pastore". E lo dimentico nel momento in cui ne ho bisogno. Non siamo soli nel cammino della vita; questo dovrebbe essere il pensiero costante della mia fede. Possiamo contare su Dio, e concretamente. E’ Lui che ci può aiutare. La nostra debolezza è guardare a noi, sempre a noi, solo a noi.

 

 

GIOVEDI’ 12 NOVEMBRE 1998

"Il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: eccolo qui o eccolo là. Perché il Regno di Dio è in mezzo a voi".

(Lc. 17,20 - 21)

Dio solo è colui che regge il cosmo. Dio solo sa quale sarà l’ora della mia morte. Dio solo sa quando si convertirà la Russia o la Cina. Perché assumerci responsabilità che non abbiamo, perché stupirci se l’Islam non ha ancora scoperto il Cristo e se il Buddismo regna senza inquietudini e crisi in mezzo a milioni di fratelli? Verrà l’ora, ma questa non dipende da me. Abramo non conobbe Cristo se non nella speranza, ma non per questo fu perduto o dimenticato dal Padre. Non era giunto il momento dell’incarnazione. Ci sono piani di Dio, e questi contano, ci sono piani umani e questi non contano, o almeno contano in rapporto al loro sincronizzarsi con i primi. Ma è Dio che precede e non l’uomo. Maria stessa poteva morire nell’attesa senza vedere il Cristo, se Dio non decideva essere giunta l’ora dell’incarnazione. Gli uomini di Galilea avrebbero continuato a pescare nel lago e a frequentare la sinagoga di Cafarnao, se non fosse venuto Lui a dire: "Venite". Ecco la verità che dobbiamo imparare nella fede: l’attesa di Dio, e questo non è un piccolo sforzo. Questo "attendere", questo "non preparare piani", questo "far silenzio" è la cosa più interessante che compete a noi. Poi verrà anche l’ora della chiamata, l’ora in cui si deve parlare, l’ora della messe. Ma guai a noi se anche in quell’ora penseremo di essere gli attori di tali meraviglie: la meraviglia, semmai, è che Dio si serva di noi così miserabili e poveri.

 

 

VENERDI’ 13 NOVEMBRE 1998

"E in questo sta l’amore: nel camminare secondo i suoi comandamenti". (2 Gv. 1,6)

Quando leggiamo nella Scrittura frasi come questa, noi pensiamo subito che amare sia seguire una sfilza di comandamenti, ma il primo di questi comandamenti non sarà proprio quello di lasciarci amare, di entrare nel suo amore? Dio ti ama e il suo amore è gratuito. Non ti ama per quello che vali, ti ama perché Dio non può fare a meno di amarti: è l’Amore! Egli ci considera come figli. E’ vero: noi siamo scappati tante volte, abbiamo preferito i paesi stranieri alla sua casa, ma ora queste cose sono passate, non pensiamoci più, è giunto il tempo di amare. Ma come posso amare chi non conosco, rispondere al suo amore che non vedo? Dio, l’inconoscibile, essendo Amore si è fatto conoscere attraverso Gesù. Tu accettando Lui gli permetti di farti dono della sua conoscenza; tu offrendogli la lavagna pulita della tua anima, gli dai la possibilità di disegnare su di essa i tratti del suo volto. Amando si può trovare Dio. Ed in fondo il riassunto di tutta la storia, la nostra storia. Dici di non aver fede? Ama e la fede verrà. Dici di essere triste? Ama e la gioia verrà. Dici di essere solo? Ama e la tua solitudine si romperà. Dici di essere nell’inferno? Ama e conoscerai il paradiso, perché il paradiso è l’amore.

 

 

SABATO 14 NOVEMBRE 1998

"Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?". (Lc. 18,8)

Ma che cos’e la fede? Ci facciamo aiutare anche oggi da una riflessione di Carlo Carretto:

Sì, sovente l’esperienza mi ha fatto pensare che se Dio non fosse esistito saremmo stati costretti ad inventarlo perché senza di Lui e di ciò che Lui rappresenta non riusciamo a vivere e siamo già in difficoltà ai primi vagiti, ai primi passi. Senza la fede in Dio è come se abitassimo in una casa senza tetto o volessimo leggere di notte senza lampada. Ma Dio non occorre inventarlo, perché è già inventato ed è così vicino che possiamo sentirne il respiro quando tacciamo o preghiamo. Certo esistono problemi di visibilità, ma questi non dipendono da Lui, ma dalle nostre complicazioni infinite. Dio è semplice e noi lo facciamo complicato. E’ vicino e noi lo pensiamo lontano. E’ nel reale degli avvenimenti e noi lo cerchiamo nei sogni o nelle utopie impossibili. Il vero segreto per entrare in rapporto con Dio è la piccolezza, la semplicità di cuore, la povertà di spirito: tutte cose che vengono frustrate in noi dall’orgoglio, dalla ricchezza e dalla furbizia. Il vedere o non vedere Dio dipende dal nostro occhio: se è un occhio semplice lo vede, se è un occhio maligno non lo vede. Dio dà la vita all’uomo, gli dà il pane per sostenerlo e gli dà questa intuizione che è la fede per guidarlo e illuminargli il cammino. E la dà a tutti.

 

 

DOMENICA 15 NOVEMBRE 1998  -  33^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO "C"

"Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime". (Lc. 21,19)

A proposito di perseveranza ecco una esperienza in prima persona di Alessandro Pronzato: C’era una volta un prete... Lavorava con passione in una casa di riposo per anziani. Sarebbe stato felice se non ci fosse stata "quella". "Quella" rimaneva insensibile ad ogni invito, a qualsiasi discorso religioso. Un’alzata di spalle, un brontolamento, quasi un grugnito, e se ne andava scuotendo la testa. E aveva superato gli ottantacinque anni. Lui la salutava cordialmente, le sorrideva, si intratteneva con lei: impossibile contare le ore impiegate per scrutare l’apparire di un minuscolo spiraglio, in cui introdurre una preghiera, un’invocazione, un pensiero diverso, almeno un dubbio. Nessuna incrinatura in quel muro di imperturbabilità. "Quella" scrollava le spalle, sfoderava un sorriso ironico, e se ne andava scuotendo il capo e mugugnando: "A me il prete non la conta". Quando lui regalava una benedizione alla sua compagna di camera, "quella" si voltava ostentamente dall’altra parte. La domenica, quando il prete recava la Comunione alle inferme che non erano in grado di partecipare all’Eucarestia in chiesa, "quella" rimaneva provocatoriamente seduta immersa nella lettura di una rivista neppure troppo castigata. Così per oltre cinque anni. Lui continuava a reggere l’esile filo dell‘amicizia, dell’ascolto, del sorriso non ricambiato, dell’interessamento ai vari malanni fisici. E "quella" rimaneva quella". Qualche tempo fa però si è registrato un piccolo miracolo. Al momento della Comunione delle compagne, "quella" ha lasciato cadere il rotocalco sulla sedia e si è alzata in piedi, chinando leggermente la testa (imbarazzo, vergogna, buona educazione, nostalgia segreta? Chissà…) Non fosse stato che reggeva il ciborio, il prete avrebbe fatto salti di gioia. Niente di spettacolare. Semplicemente il gesto di mettersi in piedi e di chinare il capo. Gesto che può essere letto in diversi modi. Ma il prete si ritiene più che soddisfatto. Valeva la pena spendere tutto quel tempo, investire un capitale di preghiere per ottenere quel passo. Forse neppure un passo: pochi centimetri di avvicinamento. Posso assicurare che il prete è disposto a spendere altri cinque anni per arrivare ad un altro avvicinamento di dieci centimetri da parte di "quella". Ritiene che il prezzo sia giusto. Lo so per certo perché, si dà il caso, che il prete sia io.

 

 

LUNEDI’ 16 NOVEMBRE 1998

"Incominciò a gridare: Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me". (Lc. 18,38)

E’ molto facile fermarci alle apparenze. Anche le cose più evidenti spesso nascondono qualcos’altro Che cosa c’è di più evidente di un cieco? E’ uno che non ci vede! Eppure questo cieco del Vangelo che in effetti non ci vede, sembra vederci più degli altri. Gli altri vedono Gesù ma non lo colgono, il cieco non lo vede ma coglie Gesù nella sua essenza. Gli altri sono spettatori di eventi anche miracolosi ma il cieco ne è l’interprete. Gli altri sembrano statici, Lui il cieco, a rischio di inciampare, è l’unico che corre. Gli altri ammutoliscono davanti al Maestro, lui, il cieco è dotato di un’ugola potente e riesce a farsi sentire anche quando tutti vogliono zittirlo. Mi chiedo, sarà cieco lui o noi? Noi abbiamo visto Gesù fin dalla nostra infanzia e spesso Lui è diventato "una buona abitudine della nostra vita", abbiamo ascoltato la sua Parola e ricevuto i suoi sacramenti e la nostra vita è sempre quella di prima, non abbiamo il minimo dubbio sulle capacità della nostra vista e allora non chiediamo di guarire, preghiamo per formule ed abitudini e alla fine abbiamo l’impressione di non essere ascoltati... Lui, il cieco di Gerico, sa di non vederci, vuole vederci, sfrutta la sua cecità, sa sentire con attenzione, sa informarsi, sa gridare, sa alzarsi in piedi, sa rischiare anche di cadere pur di ottenere ciò che vuole, non si lascia intimidire dagli altri, è costante... Mi sa che abbiamo tutto da imparare da questo cieco.

 

 

MARTEDI’ 17 NOVEMBRE 1998

"Zaccheo voleva vedere Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura". (Lc. 19,3)

Fin da ragazzo Zaccheo mi è stato simpatico: io sono piccolo di statura e da ragazzino ero sempre il più piccolo e il più gracile e forse anche il più imbranato di tutti per cui mi sentivo sempre preso in giro dai compagni, sempre il primo della fila, sempre quello che nei giochi veniva messo da parte. Ma almeno in questo mi sono fatto furbo: perché non sfruttare questo handicap a mio favore? Non mi piaceva giocare a pallone, gli altri non mi volevano: avevo tutto il tempo per dedicarmi alla lettura che mi attirava tanto; ero il primo della fila? ma questo mi concedeva di sedere anche sempre in prima fila, al cinema per esempio; ero piccolo, ma questo attirava la tenerezza dei grandi, perché non sfruttarla a mio favore? Zaccheo aveva un problema (vedere Gesù) e un handicap (la piccolezza), gli è bastato non perdersi d’animo e fare un gesto (salire sulla pianta) non solo per vedere Gesù, ma anche per attirare la sua attenzione e addirittura "la salvezza è entrata in casa sua". Dovremmo imparare tutti a non piangere troppo sui nostri limiti, ma a saperli utilizzare a nostro favore: non solo non passeremmo la vita a commiserarci facendoci venire grosso il fegato, ma a sfruttarli per ottenere ciò che vogliamo. Non sei bello? non perdere tempo in cure inutili per apparire diverso da quello che sei: fatti passare davanti i personaggi della storia che hanno realizzato cose grandi e guarda quanti non belli sono riusciti. Hai un caratteraccio? Anche Pietro era così. Sei un peccatore? Gesù non è forse venuto proprio per loro?

 

 

MERCOLEDI’ 18 NOVEMBRE 1998 - DEDICAZIONE DELLE BASILICHE DEI SANTI PIETRO E PAOLO

"Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto; avevo paura di Te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato". (Lc. 19,21)

Il servo che restituisce l’unico talento ricevuto per paura di trafficano ci aiuta a continuare la riflessione che facevamo ieri a proposito dei limiti di Zaccheo. Quali sono i due più evidenti errori di questo servo? Il primo errore è stato quello di fare paragoni con gli altri: "Quelli sono degli avventati. Rischiare con i soldi del padrone. E poi perché? per fare ancor più ricco un padrone che ha già tutto?". E il secondo errore, quello evidente che egli ammette che è quello di aver paura del padrone, cioè non lo ama. Sono gli stessi errori in cui spesso incappiamo anche noi. L’errore del paragone che può voler dire giudizio nei confronti degli altri e che in qualche caso nasconde anche una sfiducia in noi stessi o molto più banalmente che attraverso il giudizio degli altri tende a nascondere la nostra non voglia di rischiare: "Chi me lo fa fare? perché impegnarsi?". Ma questo primo errore dipende dall’altro: il non amare, l’avere solo paura. Quante volte siamo "buoni" solo per paura dell’inferno? "Dio è più grande di noi, misterioso, giudice terribile, meglio non rischiare, meglio tenerselo buono". Solo quando mi rendo conto che Dio mi ama, ha fiducia in me, rischia del suo su di me perché mi stima, allora sono invogliato ad aver fiducia in me stesso, a rischiare anche sulle mie debolezze. Basta aprire la Bibbia per renderci conto che Dio non ci gode a mandarci all’inferno, che la sua grandezza non si fonda sulle nostre paure di Lui, ma che Lui, nonostante i nostri errori, continua a fidarsi al punto di chiamarci a collaborare alla sua creazione. Se capisco che il talento mi è stato dato non per mettermi alla prova e trovarmi colpevole, ma mi è stato dato per amore della mia libertà, allora l’amore ricevuto mi porta a trovare coraggio, fantasia, gioia di poter rispondere a Lui con amore.

 

 

GIOVEDI’ 19 NOVEMBRE 1998

"Gesù, alla vista di Gerusalemme, pianse su di essa". (Lc. 19,41)

Credo che l’espressione non solo fisica ma anche di identità dell’uomo risieda negli occhi: essi sono l’espressione di chi sia l’uomo e dei suoi sentimenti. Gli occhi dicono gioia, paura, pianto, stato d’animo. I Vangeli, spesso, ci parlano degli occhi di Gesù: il suo, a volte, è uno sguardo di autorità, di ironia, di comprensione, di misericordia. I suoi occhi sorridono, ridono, piangono. Il nostro Dio, incarnandosi ci ha detto chiaramente che nulla gli è estraneo di questa nostra umanità. Sa che cosa vuol dire accoglienza e che cosa rifiuto, conosce gli occhi e i cuori sinceri e quelli che vogliono ingannare, conosce ed esprime attraverso i suoi occhi quelli che sono i sentimenti di amore per l’uomo. Anche il piangere su Gerusalemme, una cosa in fondo inanimata, ci dice l’amore di Gesù per il Padre che ha tessuto una lunga storia d’amore con questa città e i suoi abitanti, ci dice l’amore per il suo popolo che è stato curato come un bimbo tra le braccia di sua madre, ci dice anche la tristezza di un amore incompreso, ripudiato. Ci stiamo preparando al grande Giubileo del Duemila. Roma si sta rifacendo la facciata, chissà che cosa farebbe Gesù, vedendo da uno dei suoi sette colli la città che rappresenta i suoi discepoli. Gesù sorriderebbe compiaciuto, magari mettendosi in fila con i pellegrini del giubileo o piangerebbe dicendo: "Se avessi compreso anche tu, in questo giorno la via della pace, ma ormai è nascosta ai tuoi occhi"?

 

 

VENERDI’ 20 NOVEMBRE 1998

"Prendi questo libro e divoralo: ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce Come il miele". (Ap. 10,10)

Attraverso questa immagine, il libro dell’Apocalisse ci suggerisce il valore della Parola di Dio. Essa è un dono prezioso per la nostra crescita. Interiorizzare la parola, permetterle di portare frutto in noi non è però così facile; è "amaro" perché essa a prima vista va contro tutto quello che è il modo di pensare del mondo. E’ una parola che ci parla di valori eterni, quindi di difficile comprensione, è una parola che ci invita a tagli per ottenere dei beni maggiori e a nessuno piace rinunciare. Se però la "digerisci" essa ti porta la dolcezza di scoprire un Dio che ti è Padre, fratello, amico, ti dà occhi per riscoprire il tuo prossimo, valorizza tutto il tuo vivere, sofferenza compresa, ti apre a possibilità che vanno al di là del tempo e della morte. Noi, ogni giorno abbiamo la possibilità di "mangiare" di questo libro, l’Eucarestia stessa è fatta di pane e di parola. Bisogna "farci la bocca", non tanto per abituarci, ma per comprenderla così com’è: Parola di Dio che, scesa dal cielo, non ritorna al Padre se non dopo aver portato il frutto per cui Lui l’ha mandata.

 

 

SABATO 21 NOVEMBRE 1998 - MEMORIA DELLA PRESENTAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

"Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre".  (Mc. 3,35)

Mi piace leggere questa frase che Gesù dice in occasione di una visita da parte di sua Madre, come un’indicazione chiara: "Se vuoi avere fede, una fede vera, guarda a mia Madre e lasciati guidare da Lei". infatti, se c’è una persona che non ha gridato davanti al mistero, non ha scambiato per fantasma l’Arcangelo Gabriele ma è rimasta dolcemente serena davanti al divino è proprio Maria di Nazaret. Come resto incantato davanti a tanta serenità e a tanto coraggio! Avrei chiesto mille spiegazioni, avrei tremato all’idea di passare come peccatore davanti alla mia comunità (Maria infatti accettò di passare per ragazza madre per velare il mistero della paternità divina), come avrei gridato a Dio perché mi evitasse di essere "la madre del condannato a morte". Maria tu mi sei Madre, ma mi sei anche sorella e maestra nel cammino della fede. Come Madre, lo sai, mi sono sempre rivolto a Te in tutti i frangenti della vita per chiederti gli aiuti necessari e, abbi pazienza, continuerò così con la fiducia di un bambino che sa potersi fidare di sua madre, ma come sorella e maestra ti chiedo di insegnarmi quella tua fede fatta di semplice fiducia e abbandono sereno. Aiutami a leggere l’amore di Dio per me, sciogli la durezza del cuore, il continuo perdersi in mezzo a sì detti e poi ritirati, donami di lasciarmi fare, come hai fatto Tu da Colui che generando in me suo Figlio, mi rigenera alla vita nuova.

 

 

DOMENICA 22 NOVEMBRE 1998 - SOLENNITA’ DI NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

"Tutte le cose sono state create per Lui e in vista di Lui". (Col. 1,16)

Molte di queste riflessioni le ho scritte durante le vacanze; oggi pensavo alla festa di Cristo Re durante una giornata in cui sono stato in mezzo alla gente. Anche in parrocchia sono in mezzo alla gente tutti i giorni, ma normalmente chi viene in parrocchia ha già dei fini particolari, oggi, invece, vedevo gente comune con o senza fede, rilassati nelle loro vacanze, con preoccupazioni che spaziavano dal pranzo alla cena, al divertirsi e pensavo a Cristo Re dell’Universo di questo suo popolo a volte distratto, a volte senza fede, a volte preoccupato da tanti problemi materiali che sembrano aver poco a che fare con il suo Regno. Poi ho letto il Vangelo di oggi che ci presenta questo Re così diverso dagli altri, che muore su una croce per darci la sua vita in mezzo all’indifferenza del suo popolo, tra gli schiamazzi, solo con Maria, Giovanni, poche donne e con, unico frutto visibile, un ladro che morendo si affida a Lui. Gesù non ci giudica, ci ama. Gesù non si impone come re, non esige balzelli e tasse, si dona in silenzio. Gesù non è geloso delle nostre piccole gioie, vuole donarci la sua gioia. Gesù non si spaventa dei nostri peccati, muore al nostro posto per perdonarci. Gesù non toglie la morte, la subisce per trasformarla in vittoria. Tutto è suo, ma Lui aspetta da noi una parola: "Abbi pietà di me", per dirci: "Oggi sarai con me in paradiso.

 

 

LUNEDI’ 23 NOVEMBRE 1998

"Del Signore è la terra e quanto contiene". (Sal 23,1)

Fissa le cose, leggi nelle cose: non temere di perdere tempo a passeggiare lungo il mare o a guardare in un microscopio la struttura dell’infinitamente piccolo. L’intuizione di Dio, la fede in Dio nasce proprio là in quel segno che ti è davanti e non per nulla, non per caso ti sta guardando. Non pensare solo che stai vedendo cose, sforzati di credere che le cose riguardano te: Dio ti guarda attraverso tutte le luci della città in cui cammini la sera e da tutte le nubi che come gregge in marcia transitano sulla tua testa. Dio ti abbraccia servendosi del vento che ti scompiglia i capelli e ti bacia col primo sole del mattino. Le mani di Dio che ti toccano Possono essere gli strumenti del tuo lavoro quotidiano e il suo saluto il fischio del treno che passa nel viadotto vicino a casa tua. Se vuoi che i segni della creazione che ti circondano non ti distraggano, riempili della presenza di Dio. Essi ti parleranno di Lui. La presenza di Dio che viene a te attraverso i segni trasformerà l’ambiente in cui vivi in un ideale tempio dove tu potrai "adorare Dio in Spirito e Verità".

 

 

MARTEDI’ 24 NOVEMBRE 1998

"Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose". (Lc. 21,9)

Ci aiuta ancora oggi Carlo Carretto:

Quando vedrai la tempesta schiantare la foresta, e i terremoti scuotere la terra, e il fuoco bruciare la tua casa, dì a te stesso: credo che la foresta si rifarà, la terra tornerà nella sua immobilità e io ricostruirò la mia casa. Quando il peccato ti stringerà alla gola e ti sentirai finito, dì a te stesso: Cristo è risorto dai morti ed io risorgere dal mio peccato. Quando vedrai tuo figlio fuggire di casa in cerca di avventure e ti sentirai sconfitto nel tuo sogno di padre o di madre, dì a te stesso: Mio figlio non sfuggirà a Dio e tornerà perché Dio lo ama. Quando tuo padre o tua madre, tuo figlio o tua figlia, il tuo amico più caro, ti saranno dinnanzi sul letto di morte e tu li fisserai nell’angoscia mortale del distacco, dì a te stesso e a loro: Ci rivedremo nel Regno, coraggio! Questo significa credere nella risurrezione.

 

 

MERCOLEDI’ 25 NOVEMBRE 1998

"Io vi darò lingua e sapienza a cui i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere". (Lc. 21,15)

Innumerevoli storie di santi e di martiri stanno a comprovare questa promessa di Gesù. Ricordiamo oggi il martirio di S. Sebastiano. Quando Diocleziano si accorse che il numero dei cristiani si moltiplicava di giorno in giorno, decise di dare inizio ad una tremenda persecuzione. Anche Sebastiano, che era ufficiale della legione imperiale, fu accusato di essere seguace della nuova religione e fu invitato a discolparsi. Io, rispose il giovane militare, ho onorato il mio Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, pregandolo per la salvezza dell’imperatore e per la fortuna dell’impero. Io non credo negli déi falsi e bugiardi. E’ stolto adorare statue di marmo e di legno fabbricate con le nostre stesse mani. A quelle parole l’imperatore si infuriò e dette ordine ai soldati di condurre Sebastiano nella grande piazza delle sfilate e di legarlo ad un palo dopo averlo spogliato. Poi comandò che i cavalieri scagliassero le loro frecce contro di lui, finché non fu irto di frecce come un istrice. Lo lasciarono là, credendo che fosse morto. La notte seguente, una dama romana, si recò là per raccogliere il corpo del martire, ma si accorse che il giovane soldato non era morto. Lo portò a casa sua e Dio guarì miracolosamente Sebastiano. Molti cristiani consigliarono Sebastiano di fuggire da Roma e di nascondersi, ma egli rispondeva: "Se fuggissi sarebbe come tradire la mia fede". Dopo qualche giorno Diocleziano salì al tempio di Ercole a celebrare un sacrificio. Sebastiano gli si fece incontro intrepido e lo apostrofò: "Uomo malvagio, perché perseguiti noi cristiani che siamo le nuove forze dell’impero?". Diocleziano credette di vedere un fantasma. "Sì, sono proprio io, Sebastiano ufficiale del tuo esercito che hai condannato a morire per mano dei tuoi cavalieri. Ma il mio Signore mi ha salvato perché ti annunciassi che se non cessi la persecuzione, sarai condannato alle tenebre infernali". Diocleziano lo fece arrestare di nuovo e ordinò che fosse frustato fino alla morte, poi, per paura che il suo corpo diventasse oggetto di venerazione lo fece gettare in una cloaca e non volle più sentir parlare di lui.

 

 

GIOVEDI’ 26 NOVEMBRE 1998

"Riconoscete che il Signore è Dio, Egli ci ha fatto e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo". (Sal. 99)

Dio è il Creatore di tutto l’universo ma altro è fare una stella, altro è fare un figlio, altro è fare un fiore. Dio mi ha fatto prima come un frammento di stella e mi ha dato la vita, poi mi ha fatto come un fiore e mi ha dato la forma, poi ancora mi ha dato la coscienza e mi ha infuso amore. Dio ha plasmato le rocce, si è sbizzarrito nei fiori, negli insetti, nei pesci, negli animali, ma quando pensò alla mia coscienza, cercò un modello dentro di sé, nella sua vita trinitaria e mi fece a sua immagine e somiglianza: comunicazione, libertà e vita eterna. Sono dunque davvero suo figlio, e come se non bastasse mi ha anche dato Gesù come fratello. Ogni giorno, con Lui posso dire: "Padre nostro...

 

 

VENERDI’ 27 NOVEMBRE 1998

"Vidi poi un cielo nuovo e una nuova terra perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi". (Ap. 21,1)

Una antica leggenda araba racconta che per ogni azione cattiva compiuta dagli uomini, Allah gettò nell’Eden originario un granello di sabbia. Così si formò il Sahara, Otto milioni di chilometri quadrati, dominati da massicci alti fino a tremila metri, e caratterizzato oltre che da sassi anche dalle grandi dune di sabbia. Chissà se l’Apocalisse, parlandoci di "cieli nuovi e terra nuova" non volesse solo dirci la ricostruzione finale del mondo futuro ma volesse anche dirci che ogni azione buona toglie un granello di sabbia al deserto sconfinato, e collabora quindi alla costruzione del mondo nuovo? E’ vero che sulla terra di male ce n’é tanto, ma c’è anche tanto bene, a volte nascosto. E’ vero che fa rumore un albero che cade mentre ne fa poco una foresta che cresce. Eppure da quando Gesù il seme di salvezza del mondo, è stato seminato sulla croce e con il suo sangue ha irrigato la terra, il cielo nuovo e la terra nuova sono iniziati. Noi ne facciamo già parte, sta anche a noi creare o montagne di sabbia o prati pieni di fiori.

 

 

SABATO 28 NOVEMBRE 1998

"State ben attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in affanni della vita e che quel giorno vi piombi addosso improvviso". (Lc. 21,34)

Una antica leggenda celtica racconta che nelle Tundre del nord vivevano piccole comunità di druidi che si erano convertiti al cristianesimo e che compivano lunghi pellegrinaggi di studio frequentando astrologi e maghi e uomini di scienza per affinare il loro sapere. Quattro di questi pellegrini avevano raccolto un grande bagaglio di conoscenze. Ma mentre tre di essi erano molto abili nelle arti e nelle scienze, tanto in teoria quanto nella pratica, il quarto era meno sapiente e meno dotato, eppure eccelleva nella capacità di discernimento, i primi tre, vedendo che il loro compagno era meno dotato di loro lo invitarono ad abbandonare il gruppo per aggregarsi ad altri pellegrini del suo livello. Poiché egli si rifiutava gli permisero di continuare il viaggio con loro, ma da quel momento lo esclusero dai loro dotti conciliaboli. Un giorno, mentre camminavano tutti e quattro lungo un sentiero, si imbatterono nella carcassa di un grosso animale al quale erano rimasti attaccati alcuni lembi di carne e di pelliccia, i tre decisero di applicare le loro conoscenze per risuscitare l’animale. il quarto li tirò per una manica e obiettò: "Miei cari amici, questi resti sono di un orso. Se lo riporterete in vita ci annienterà tutti in un colpo.’ Ma i tre non badarono alle sue parole. Con le loro alchimie in un batter d’attimo fecero sì che il mucchio di ossa si rivestisse di carne e di pelliccia ed essi videro ricostituirsi sotto i loro occhi le fattezze di un enorme orso che si avvicinava minaccioso e famelico. Mentre i pellegrini sapienti erano completamente assorti nelle loro operazioni, il quarto sapiente ebbe a mala pena il tempo di arrampicarsi in cima ad un albero da cui poté assistere alla conclusione dell’esperimento: vide l’orso avventarsi sui suoi compagni, divorarli e scomparire nel bosco. L’unico sopravvissuto del gruppo discese dall’albero e proseguì il suo peregrinare riflettendo sull’insidia della superbia sempre in agguato nel cammino che porta alla Verità.

 

 

DOMENICA 29 NOVEMBRE 1998 - 1^ DOMENICA DI AVVENTO ANNO A

"Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri". (Rm. 13,14)

Il nostro Avvento inizia con dei richiami molto seri: "Svegliatevi dal sonno", "camminiamo alla luce del Signore", "vegliate", "state pronti". Ma per riuscire a "non farci sorprendere dal giorno del Signore che viene come un ladro", noi dobbiamo avere delle armi particolari. E l’arma, la nostra difesa, il nostro pungolo, la nostra gioia è proprio Colui che noi aspettiamo, Gesù, del quale noi dobbiamo già essere rivestiti. Il Battesimo che abbiamo ricevuto ci ha messo un vestito nuovo, non solo il vestitino bianco che si usava una volta, ma ci ha messi davanti a Dio Padre come Gesù: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me". Vegliare dunque significa ricordarci di questo vestito che abbiamo. Significa risceglierlo ogni giorno, non lasciarcelo insozzare, non rivestire il mondo a seconda delle sue mode. Se tutti coloro che hanno ricevuto il Battesimo si comportassero come cristiani, quale bel volto di Cristo noi manifesteremmo davanti al Padre e davanti al mondo!

 

 

LUNEDI’ 30 NOVEMBRE 1998

"Signore, io non sono degno che Tu entri sotto il mio tetto, di’ soltanto una parola e il mio servo sarà salvato". (Mt. 8,8)

Mi sembra il modo più giusto e più bello quello di iniziare il cammino feriale dell’Avvento con le parole di quel centurione pagano che va da Gesù con una fede grande in Lui, per chiedere la guarigione per il suo servo. Signore, io non sono degno della tua venuta. Non ho meriti per poterla reclamare. Sono un pagano. La mia casa e impura per ospitare Dio. Però ti cerco, ti desidero perché so che solo Tu sei il senso della mia e della nostra vita, so che solo Tu puoi aprirmi alla prospettiva di Dio, solo Tu puoi guarire me e questo mondo, perciò mi aspetto da te una parola, la tua parola, perché essa mi salva. Non sono degno di riceverti nell’Eucarestia perché Sono un peccatore, ma ho bisogno di quel pane per poter affrontare il cammino della vita nella speranza, non sono degno neppure della tua Parola perché spesso non la capisco o, peggio, non ho il coraggio di viverla, ma mi fido della potenza della tua Parola che ha creato il mondo e che può cambiarmi. Gesù, che la tua Parola mi raggiunga e operi in me il mistero della salvezza che la tua Incarnazione è venuta a portare.

     
     
 

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