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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA

PAROLA DI DIO

a  cura di don Franco LOCCI

 

OTTOBRE 1998

 

 

GIOVEDI’ 1 OTTOBRE 1998

Designò altri 72 e disse loro: "Andate"… (Lc.10,1-3)

Il mese di Ottobre inizia con la festa di Santa Teresina Una ragazza totalmente innamorata di Dio che ottiene a quindici anni il permesso di entrare in clausura nel Carmelo di Lisieux e con il vangelo che ha come imperativo "andate" Sembra una contraddizione, come sembra anche una contraddizione che la Chiesa abbia proclamato Santa Teresina Suora di clausura patrona delle missioni eppure questa piccola ragazza innamorata di Dio aveva nel chiuso del suo convento un cuore aperto a tutto il mondo, viveva completamente e in tutti i sensi la povertà che Gesù chiede ai suoi apostoli, era convinta che ogni apostolato non poteva partire se non da una profonda comunione con Gesù soprattutto attraverso la preghiera e l’Eucarestia. Gesù dice anche a noi "Andate" e questo imperativo vale sia per chi parte per la missione, per chi si fa prossimo ai suoi vicini, per chi offre agli altri il dono della preghiera. "Andate" ma per portare Gesù, non parole, non noi stessi. E allora Gesù bisogna averlo nel cuore.

 

 

VENERDI’ 2 OTTOBRE 1998

"Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli". (Mt. 18,10)

Dio è Padre Provvidente che pensa sempre a ciascuno di noi. In fondo, la dottrina sugli Angeli custodi sta a indicare proprio questo. La Provvidenza di Dio, la sua presenza, la mozione dell’uomo verso di Lui ci sono assicurate dalla presenza di un angelo che ha cura personalmente di noi. Proviamo oggi a ripercorrere la preghiera "dell’Angelo di Dio". Invitiamo il nostro angelo a custodirci, cioè ad essere per noi sentinella che ci mette in guardia contro il male e le sue tentazioni, ma anche che custodisca in noi "il buon deposito della fede". Lo invitiamo a "reggerci", cioè sorreggerci nel quotidiano; a "governarci", nel senso di guidarci nelle scelte e di tenerci d’occhio perché non ci allontaniamo dalla casa del Padre. Gli ricordiamo che il Padre ci ha "affidati" a lui per portarci gradualmente a vedere il suo volto, ora presente nella creazione e nei fratelli e in seguito nella gloria del cielo. Pensando poi alla frase del Vangelo di oggi mi piace aggiungere all’ "Angelo di Dio": "Tu, il volto del Padre lo vedi adesso e vedi anche il mio volto: fammi assomigliare un po’ a mio Padre".

 

 

SABATO 3 OTTOBRE 1998

"Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a noi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli". (Lc. 10,20)

Anche per noi, come per quei settantadue che tornano entusiasti dalla prima missione, la tentazione è sempre la stessa: fare un bilancio in base al risultato: una famiglia è una buona famiglia se tutto va bene; una parrocchia è una buona parrocchia se è ben ordinata, se c’è tanta gente in chiesa, se ha tanti gruppi, se rende bene; la Chiesa va bene se ci sono tante vocazioni, se alle grandi manifestazioni si possono contare centinaia di migliaia di persone... Gesù, invita i suoi discepoli a rallegrarsi non tanto per i risultati ma perché "i loro nomi sono scritti nei cieli", cioè perché Dio scegliendoli come collaboratori ha dato loro la gioia e l’opportunità di poterlo servire e annunciare sapendo che la grazia è per noi mentre la portiamo agli altri. Non sono i risultati della missione che mi devono interessare: una missione fatta con amore ha certamente i suoi frutti positivi nel cuore di Dio, deve invece farmi gioire il sapere di essere depositario della fiducia del Signore e di poterlo servire.

 

 

DOMENICA 4 OTTOBRE 1998

Gli Apostoli dissero al Signore: "Aumenta la nostra fede!". (Lc. 17,5 - 6)

Da come Gesù risponde a questa richiesta degli apostoli, noi comprendiamo che la domanda doveva essere posta in un altro modo: "Signore, donaci la fede", infatti Gesù dice che se essi ne avessero un granello potrebbero far spostare piante e montagne. Anche noi spesso facciamo l’errore degli apostoli: crediamo di credere, chiamiamo fede ciò che è tutto meno che fede; pensiamo che sia fede una filza di verità da credere o un complesso di dottrine da sottoscrivere e ci dimentichiamo che fede è incontrare una Persona, aderire totalmente ad un Altro, fare affidamento su un Altro. La fede non ci spalanca un cammino di facilità. Non ci fa camminare, come privilegiati in una luminosa galleria con l’aria condizionata, al riparo dalle tempeste che si abbattono sui comuni mortali. La fede, semplicemente, ci permette di camminare al buio, aggrediti dai soliti elementi ostili, in mezzo alle difficoltà di tutti con l’unica sicurezza di una Presenza, di una mano che ci afferra, non per sottrarci alle intemperie ma per sostenerci, come è accaduto a Pietro che rischiava di affondare.

 

 

LUNEDI’ 5 OTTOBRE 1998

"Per caso passava un sacerdote.. Anche un levita.. Lo vide ma passò oltre". (Lc.10,31 - 32)

Nella parabola del Buon Samaritano, il sacerdote e il levita che passano vicino all’uomo incappato nei briganti, si sono comportati, nei confronti di quel poveraccio, peggio dei banditi. Questi, infatti, l’hanno rapinato, l’hanno spogliato dei suoi beni, gli hanno sottratto, sia pure con la violenza più brutale, delle cose materiali. I due funzionari del sacro, invece, l’hanno rapinato della sua dignità, l’hanno spogliato del suo valore di persona, l’hanno depredato del tesoro più prezioso: la sua importanza in quanto uomo. "Passando oltre", indifferenti, è come se gli avessero dichiarato: "Per noi tu non conti niente... E’ come se non esistessi... Ci sono cose e faccende assai più importanti di te... La tua condizione non merita una sosta, un frammento del nostro tempo". Negare l’attenzione al nostro prossimo significa cancellarlo dal nostro orizzonte, sopprimerlo. L’indifferenza può essere omicida. L’estraneità, il non coinvolgimento, può essere una forma di violenza. E’ possibile massacrare un uomo anche soltanto "passandogli accanto", senza sfiorano...

 

 

MARTEDI’ 6 OTTOBRE 1998

"Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta". (Lc. 10,42)

Indubbiamente queste due sorelle, amiche di Gesù, hanno entrambe una grande carica di simpatia. Gesù vuol bene a tutte e due. Dicendo che Maria ha scelto la parte migliore non vuol dire che una è più brava dell’altra, vuol solo mettere in evidenza che la scelta di Maria, che non si lascia "agitare da molte cose", la mette in una prospettiva di privilegio perché le apre la possibilità di incontrare a fondo l’Ospite e quindi le dà poi la possibilità di conformarsi con amore alle esigenze della sua sequela. Non è tanto questione di classifiche sul fatto che sia meglio la vita contemplativa o quella attiva, è questione di metterci nella situazione migliore per accogliere Gesù, capirlo a fondo, e poi seguirlo in pratica. Se siamo sempre frastornati da mille cose, dalle ansie e preoccupazioni rischiamo di far diventare noi stessi il centro del mondo e allora è facile perdere la fiducia. Se noi ci fidiamo di Lui e lo ascoltiamo, allora è Lui il centro del mondo, come deve essere, e tutto diventa più chiaro e più semplice.

 

 

MERCOLEDI’ 7 OTTOBRE 1998

Quando pregate dite: "Padre…". (Lc. 11,2)

Un commento di A. Pronzato:

A pensarci bene, è una cosa stupefacente. Centinaia di migliaia di volumi su Dio. Dotti trattati per sviscerare il suo mistero. Dispute teologiche aggrovigliate. Elucubrazioni filosofiche, itinerari mistici, dottrine esoteriche. Prove, confutazioni, dimostrazioni, negazioni, definizioni, eresie... Se si entra in una biblioteca, si rimane sconcertati, intimiditi. Si è colti da un senso di vertigine, perfino di scoraggiamento. Dunque, Dio è racchiuso là dentro? Per arrivare a Lui, è proprio necessario passare attraverso tutta quella carta polverosa? Per saperne qualcosa corre l’obbligo di consultare quelle pagine indigeste? Per fortuna, "no". La strada della preghiera non passa attraverso una filza di libri ponderosi. Dio non ti costringe a una prolungata anticamera in una biblioteca, prima di dedicarti un po’ di attenzione. Se hai imparato a dire "Padre", hai imparato tutto quello che c’è da sapere.

 

 

GIOVEDI’ 8 OTTOBRE 1998

"Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto". (Lc. 11,9)

Quante volte ci sembra che questa frase di Gesù non corrisponda a verità. Abbiamo chiesto, abbiamo pregato, ma non abbiamo ricevuto risposta e forse ci siamo sentiti anche più abbattuti di prima, e con la fede scossa dal dubbio. Proviamo a riflettere: non sarà anche perché spesso noi sbagliamo il nostro atteggiamento nel chiedere? Pensiamo che Dio debba essere al nostro servizio. Lo trattiamo come un domestico dal quale pretendiamo determinate prestazioni o come il negoziante che in cambio del nostro denaro deve darci merce corrispondente. Che cosa e come chiedere? Con la confidenza di figli possiamo chiedere ogni cosa, ma con l’atteggiamento dei bambini, lasciando a Lui la possibilità di manifestare la sua bontà attraverso il dono di ciò che Lui sa essere il meglio per noi.

 

 

VENERDI’ 9 OTTOBRE 1998

"Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde". (Lc. 11,23)

La diplomazia, il desiderio del quieto vivere, la paura di offendere o di comprometterci troppo personalmente ci fa diventare spesso maestri del compromesso. Compromessi di vita: preferisco cedere piuttosto che crearmi delle grane; compromessi della fede: non prendiamocela tanto calda, non facciamoci nemici, mischiamo le necessità del mondo con Dio. E troviamo anche tutta una serie di scusanti: io non sono un integralista; Gesù è stato accogliente con tutti; mica voglio diventare un "collo torto", viviamo con i piedi per terra... Gesù è invece terribilmente chiaro: o con me, o contro di me; non si possono servire due padroni; chi pone mano all’aratro e poi si volge indietro non è degno di me... Il peggior tradimento che noi facciamo alla fede cristiana non è quello di negarla, ma quello di ridurla. Non è questione di diventare beceri integralisti o formali legalisti, è questione di accettare una fede che non estraniandoci dal mondo ci metta però in netta opposizione ad esso, è questione di non far diventare la fede etichetta di appartenenza ad un gruppo ma di farla entrare decisamente e profondamente nelle nostre scelte di vita.

 

 

SABATO 10 OTTOBRE 1998

"Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!". (Lc. 11,27)

Ci uniamo anche noi al grido spontaneo ed entusiastico di quella donna che davanti alla bontà, alla potenza, alla misericordia di Gesù non può fare a meno di lodare ed esaltare sua Mamma. E Gesù è contento di questa lode a Maria ma ci ricorda che Ella è grande soprattutto perché si è fidata di Dio e si è affidata a Lui, cosa che anche noi possiamo fare. Anche noi, se vogliamo, siamo parenti di Gesù. Per noi Lui è venuto, ha dato il suo sangue, in Lui noi siamo figli di Dio, fratelli suoi; Lui stesso ci ha regalato Maria come Madre. Come fare per rendere vivi questi doni? Gesù ci indica due cose:

1) Ascoltare la Parola di Dio, riconoscere che è una Parola che salva perché non è una chiacchiera, è una persona: Gesù; ascoltare non come semplici uditori smemorati, ma lasciare che questa Parola operi in noi ciò per cui Dio l’ha mandata.

2) Osservare la Parola ascoltata, cioè essere buon terreno, mettere in pratica, tradurre in scelte di vita ciò che essa ci indica. Se facciamo questo, come Maria, anche noi possiamo davvero dirci "felici".

 

 

DOMENICA 11 OTTOBRE 1998

"Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero". (Lc 17,18)

La riconoscenza è una di quelle virtù che sembrano essersi perdute. Non scatta più di fronte alle cose che abbiamo dinanzi agli occhi ogni giorno, in presenza dei miracoli offerti dalla esistenza quotidiana. Li consideriamo diritti acquisiti. Non sappiamo più apprezzarli come eventi straordinari pur nella loro puntualità ordinaria. Ci è mai successo, aprendo gli occhi al mattino di urlare per la sorpresa di credere e di dire grazie al Signore perché abbiamo ancora la fede all’inizio del nuovo giorno? Già, la fede, che è il più grande miracolo, viene considerata qualcosa che va da sé. Non la sappiamo cogliere nel suo aspetto di "evento straordinario" e, soprattutto, di dono. Dobbiamo convincerci che tutto è grazia. Niente ci è dovuto. Nulla è meritorio. E se tutto è grazia, tutto deve essere rendimento di grazie.

 

 

LUNEDI’ 12 OTTOBRE 1998

"Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi". (Gal. 5,1)

La libertà che Gesù ci ha regalato è quella di essere figli di Dio. Per gustare questa libertà bisogna mantenersi lontani da ogni allettamento di false libertà fondate su onori e potere. Un saggio cinese racconta:

Un filosofo stava pescando nel fiume quando fu raggiunto da due alti ufficiali. "Il nostro Principe, gli dissero, ha deciso di affidarvi l’incarico di amministrare lo Stato". Il filosofo seguitò a pescare senza volgere il capo. Poi disse: "Ho sentito parlare di una tartaruga sacra che mori all’età di tremila anni. Il principe conserva accuratamente questa reliquia, chiusa in un cofano nel tempio degli Avi. Ora che ve ne pare? quella testuggine preferirà essere morta e far venerare i suoi resti, oppure le sarebbe più caro esser viva e dimenar la coda nel fango?". "Certo preferirebbe esser viva e dimenar la coda nel fango", risposero all’ unisono i due ufficiali. "E allora, lasciatemi in pace!", esclamò il filosofo.

 

 

MARTEDI’ 13 OTTOBRE 1998

"Date in elemosina quel che c’è dentro". (Lc. 11,41)

Che cosa avrà voluto dire Gesù dicendo questa frase? Qualche esegeta, vedendo il contesto in cui viene detta, ha pensato che Gesù volesse dire a quei farisei tanto precisi nel voler onorare Dio rispettando norme di pulizie di piatti, che Dio era più contento se condividevano quel che c’è dentro il piatto. E questa è una interpretazione evangelicamente corretta. Ma Gesù più che di piatti non avrà voluto parlare dell’interno del cuore? Infatti è proprio lì il centro del nostro rapporto con Dio. Non basta allora abbellire la facciata, farci vedere buoni, uomini di fede, riempirei la bocca di buone parole... Occorre un cuore capace di amare. Ma c’è ancora un’altra osservazione. Nel mio cuore, insieme all’amore, ai buoni sentimenti albergano anche gli egoismi, le cattiverie, la voglia di vendetta, cattivi pensieri e desideri. "Dare in elemosina" queste negatività non vorrà forse anche dire buttar via, far piazza pulita di tutto ciò che è contrario all’amore?

 

 

MERCOLEDI’ 14 OTTOBRE 1998

"Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di se". (Gal. 5,22)

La riflessione di oggi la prendo, saltabeccando, dal libro "Il gigante invisibile" di Pino Pellegrino.

Lo Spirito Santo ha bisogno di una buona campagna promozionale. Troppe volte gli abbiamo messo il silenziatore. Eppure lo Spirito Santo non merita di essere trattato da cenerentola della Santissima Trinità. Lo Spirito Santo è una realtà immensa. In Lui tutto è grande: grande la sua forza (come vento impetuoso); grande la sua libertà (nessuno lo può inscatolare); grande la sua generosità (il suo soffio non si stanca mai); grande il suo mistero (nessuno lo può comprendere fino in fondo). Lo Spirito Santo distrugge ciò che è negativo. Ad esempio distrugge i "ma", i "Vorrei... ma"; "sarebbe bello.. .ma". Distrugge i "se": "se avessi.. "se vivessi in un altro ambiente. Distrugge gli "uffa": distrugge soprattutto gli sbadigli che hanno fatto più male agli uomini di tutte le sigarette del mondo.Il fuoco dello Spirito trasforma i ma in voglio"; i se in si "Sì, accetto quello che ho e mi impegno a migliorano". Liberato dalle scorie, l’uomo attacca la vita.

 

 

GIOVEDI’ 15 OTTOBRE 1998

"Guai a voi dottori della Legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l’avete impedito".

(Lc. 11,52)

Ogni volta che prendo la penna in mano per scrivere queste poche righe di commento alla Parola di Dio ed ogni volta che mi accingo a predicare c’e dentro di me un certo tremore: avrò capito che cosa vuol dirmi la parola di Dio? Riuscirò a trasmettere il suo messaggio? Non farò dire a Gesù ciò che voglio io? Troppe volte ho visto teologi e predicatori usare la Parola a proprio uso e consumo da non sapere il rischio che corro! E, allora, ricorro ad una preghiera che ho imparato tanto tempo fa da un anziano sacerdote e che suggerisco anche a voi: "Spirito Santo, che mi chiami ad essere annunciatore del mistero della tua Parola fa che la capisca e l’annunci così come essa è. Fa che non ti faccia dire delle cavolate, fa che dica solo ciò che Tu vuoi dire ad ogni persona che ascolterà o leggerà. La Parola è tua, non mia: essa porti il frutto per cui tu l’hai mandata".

 

 

VENERDI’ 16 OTTOBRE 1998

"Non temete, voi valete più di molti passeri". (Lc. 12,7)

Una sera, sull’imbrunire è entrata nella mia stanza una bellissima farfalla. Sono rimasto fermo e l’ho guardata prima volteggiare, poi posarsi con le ali colorate e frementi. Dentro di me sono nati pensieri di lode al Signore che le aveva dato colori, grazia, volo... mi sembrava in quel momento di essere molto vicino al Creatore. La farfalla, dopo aver timidamente esplorato la stanza con il suo volo grazioso, ritrovò la via della finestra, della libertà. Ma proprio in quel momento un pipistrello la ghermì al volo e la farfalla non fu che cibo per lui. Ci sono rimasto male, un male fisico: mi sembrava di essere stato ghermito io e che i denti del pipistrello non solo avessero rovinato quelle ali colorate, quell’anelito di vita, ma fossero entrate anche nei miei pensieri per ferire poesia e fede. Poi ho pensato anche al pipistrello. A prima vista ripugnante, eppure è una creatura anche lui. E’ una meraviglia nel suo volo cieco. Anche lui combatte la sua lotta quotidiana per la sopravvivenza. Ma allora la vita è solo lotta? Solo guardando a Gesù e al suo mistero di morte e risurrezione posso fidarmi di valere più di molti passeri.

 

 

SABATO 17 OTTOBRE 1998

"Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio". (Lc. 12,8)

Che cosa significa "riconoscere Cristo"? E’ esprimere in parole e in fatti la nostra fede in Lui. C’è una preghiera che a prima vista può sembrare strana (non chiediamo assolutamente niente a Dio) che diciamo ogni domenica, in cui noi affermiamo pubblicamente la nostra fede in Dio. Nel "Credo" noi, riprendendo le promesse del nostro battesimo, affermiamo che il nostro Dio è uno solo in tre persone, è Padre Creatore e provvidente, è Gesù incarnato, morto, sepolto, risuscitato, giudice della nostra vita; è Spirito Santo che vivifica. "Riconoscere Cristo" è quindi affermare la nostra fede in Lui, Figlio di Dio. Ma le parole non bastano, occorre che la nostra vita, le nostre scelte, manifestino concretamente questa fede. Gesù si fida di noi perché il mondo veda ancora oggi in noi la sua presenza operante, veda il suo amore nel nostro amore, il suo perdono, la gioia che è venuto a portare. "Riconoscere Cristo" diventa quindi automaticamente manifestarlo perché altri lo riconoscano.

 

 

DOMENICA 18 OTTOBRE 1998

"E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di Lui?". (Lc 18,7)

La parabola della vedova insistente nei confronti del giudice disonesto, facendoci capire che la debolezza vince la forza ci fa riflettere sulla preghiera del povero. Per noi, povertà nella preghiera significa saper pregare anche nell’aridità, nel vuoto, nella desolazione, nel buio più fitto. Anche quando non si prova nulla, non si sente nulla, ma si è artigliati dal senso dell’inutile. Il povero, con fede ostinata cerca Dio anche quando Lui si nasconde. Non dobbiamo aver paura della nostra debolezza. Al contrario, dobbiamo rallegrarcene, essa è il canale giusto, quello della fede che porta al cuore di Dio che non solo non è un giudice iniquo ma un Dio vulnerabile perché ama.

 

 

LUNEDI’ 19 OTTOBRE 1998

"Ma Dio gli disse: stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la vita". (Lc. 12,20)

Perché Gesù dà dello stolto a quest’uomo ricco che accumulati tesori sembra quasi parlare con essi e ripone in loro ogni sua speranza e aspettativa? E’ stolto perché fonda la sua sicurezza sull’avere e non sull’essere. Perché si affanna a possedere e accumulare, invece di impegnarsi a crescere. Perché si identifica con le cose e non sa trasformarle in comunione con i fratelli. Perché crede che molto denaro significhi molta vita. Perché ritiene che il possesso egoistico dia la gioia. Perché non sospetta che, se anche i conti tornano, la sua esistenza è un clamoroso fallimento. Il ricco non è stupido perché muore (la cosa succede a tutti) ma perché sbaglia la vita in modo clamoroso, ingrandisce i silos ma non riesce ad ampliare gli orizzonti. Gesù non condanna le ricchezze ma gli ricorda che le sicurezze non vengono dai beni ma dai valori su cui uno ha impostato la propria vita.

 

 

MARTEDI’ 20 OTTOBRE 1998

"Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli". (Lc. 12,37)

Un uomo stava scrivendo un libro molto importante quando venne l’angelo della morte che gli disse: "E’ l’ora". L’uomo supplicò: "Lasciami terminare il mio libro. Mi manca solo la finale. Senza di essa, che senso avrà?" "Avrà il suo senso, disse l’angelo, Ora vieni!". L’uomo obbedì. Il libro venne letto ed ebbe un immenso successo. Era davvero unopera importante, ma il suo fascino stava soprattutto nel fatto che era senza finale. Per anni, decenni e secoli, scrittori, filosofi, lettori congetturarono, immaginarono o scrissero finali disparate, ognuna delle quali dava all’intera opera un senso nuovo e diverso. L’uomo, affacciato dall’aldilà, si diceva: "Davvero non pensavo che ci fossero tante finali per il mio libro. La mia era molto più semplice". E l’angelo della Morte gli strizzava l’occhio.

 

 

MERCOLEDI’ 21 OTTOBRE 1998

"Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro". (Lc. 12,43)

Può sembrare perfino deludente questa affermazione di Gesù. Noi ci aspetteremo che al momento glorioso del Signore, i suoi servi, in pompa magna magari bardati con sontuosi cappelli da vescovo o evidenti colletti da prete si presentino al Signore con lunghe liste di opere fatte nel suo nome, pronti a ricevere il "meritato" premio. Invece Gesù dice che tornerà all’improvviso, non si sa quando se tra dieci minuti o mille anni. E dice che la vera gioia del padrone e del servo sarà quella di trovarci al nostro posto di lavoro. E già, perché dovrebbe essere sempre una gioia poter lavorare per il Signore, godere della sua fiducia sia quando è assente o quando è presente. Ancora una volta ci viene detto che la nostra fedeltà non è misurata nello straordinario, ma nell’ordinario, non nelle grandi occasioni dove si può apparire, ma nel quotidiano.

 

 

GIOVEDI’ 22 OTTOBRE 1998

"Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione". (Lc. 12,51)

Durante un pellegrinaggio ad un santuario mi è capitato di passare un buon quarto d’ora davanti ad una di quelle famigerate bancarelle acchiappa - pellegrini dove si vendono ricordi sacri. C’erano statuette e immaginette di ogni tipo di Gesù. Osservavo i compratori: avevano un successo enorme le immagini di Gesù alto, biondo, con gli occhi azzurri. Il buon pastore con la sua brava pecorella sulle spalle era ben richiesto. Nessuna richiesta per l’immagine di Gesù che, tutt’altro che bello, con la sferza in mano cacciava i venditori del Tempio. Dopo un po’, visto che non compravo niente, il venditore ha cercato di attaccare bottone e allora non ho potuto tenermi dall’ironizzare con lui: "Ma non le sembra controproducente tenere un’immagine del genere?". Quello, con altrettanta ironia, mi ha risposto: "Vede, è un fondo di magazzino e poi, c’è sempre qualche critico che pensando di saperla lunga per farmi rabbia, o per prendermi in giro, la compra!". Ho ricordato questo episodio perché per noi è facile farci l’immagine di Gesù così come noi lo vorremmo, ma Gesù è così com‘è. E’ segno di contraddizione. E’ buono, bello ma anche esigente. Porta la sua pace ma questa richiede divisioni. Non sono le immaginette che ci dicono Gesù, è il seguirlo sempre che poco per volta ci fa vedere il suo volto reale.

 

 

VENERDI’ 23 OTTOBRE 1998

"Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?". (Lc. 12,56 - 57)

Capita di incontrare persone che sanno giudicare tutti e su tutto. Presumono di conoscere tutto e giudicano. C’è sempre un qualcuno responsabile dei mali del mondo, e se proprio non c’é nessuno c’è sempre Dio che dovrebbe comportarsi in modo diverso. Quanto poi al giudicare da noi stessi su ciò che è giusto, oggi impera la morale del "fai da te": ognuno dice buono e giusto quello che gli interessa. Gesù ci invita a leggere i segni dei tempi con gli occhi di Dio e non secondo gli interessi umani, ci chiede di essere persone coerenti con il vero e il giusto, ma così come ci viene presentato dalla Parola di Dio.

 

 

 

SABATO 24 OTTOBRE 1998

"Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a trovare frutti, ma non ne trovò". (Lc. 13,6)

Se Gesù, passando, questa sera venisse a cercare i frutti della mia vita che cosa troverebbe? Una pianta secca, inaridita, che sfrutta il terreno e l’aria ma che non produce nulla? Una pianta piena di foglie, invitante, con tanta esteriorità, con tante parole ma senza frutti? Una pianta imbastardita con frutti belli a vedersi ma immangiabili? Una pianta magari rovinata dalle intemperie, con qualche ramo rotto o con le foglie mangiate dagli insetti ma con qualche frutto buono? Ripenso a tante pagine della mia vita. Di alcune mi sembra di essere soddisfatto, di altre sono rammaricato. Se solo avessi avuto più fede, più capacità di amore, più volontà per allungare le mie radici in Dio, quanti frutti in più! Se fossi stato più attento alle necessità del mio prossimo, non ci sarebbe quel ramo vuoto, se non avessi pensato solo ad agghindarmi delle foglie dell’esteriorità, del voler apparire, sarei forse più spelacchiato ma con frutti buoni. Se non avessi avuto paura della sofferenza, delle potature, quante gemme nuove sarebbero sbocciate. Signore, accogli quei pochi frutti, e come quel vignaiolo abbi ancora pazienza con questa povera pianta.

 

 

DOMENICA 25 OTTOBRE 1998

"Disse questa parabola (del fariseo e del pubblicano) per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri". (Lc. 18,9)

Questa parabola è una lezione non solo per i farisei ma anche per noi. Il fariseo è pieno di sé e delle proprie opere buone. Non c’è spazio, in lui, dove collocare i doni di Dio. Le credenziali della propria irresponsabilità che si sente in dovere di presentare, non hanno alcun valore agli occhi di Dio. i titoli di benemerenza, il certificato di buona condotta, non servono nella preghiera. Davanti al Signore dobbiamo imparare, una buona volta, l’atteggiamento del povero, di chi non ha nulla, di chi non rivendica nulla. Le uniche credenziali valide, per Lui, gli unici titoli di benemerenza, sono le nostre miserie, il nostro vuoto, il riconoscimento della nostra condizione di peccatori. Soltanto quando siamo sinceramente convinti di non aver nulla di presentabile, allora possiamo presentarci davanti a Dio. Il fariseo ha bisogno di Dio per essere ammirato, perché i suoi conti siano registrati nella banca del cielo. Il pubblicano ha bisogno di Dio per ripartire da zero. E si direbbe che Lui abbia una simpatia spiccata, non per gli "arrivati", ma per quelli che, percuotendosi il petto, gli fanno segno che hanno voglia di ricominciare...

 

 

LUNEDI’ 26 OTTOBRE 1998

"Fatevi imitatori di Dio". (Ef. 4,32)

Un filosofo famoso per la sua rabbia contro Dio, diceva: "Se Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, l’uomo gli ha reso la pariglia". Dai fatti della vita e della storia è vero che spesso è difficile vedere nell’operato dell’uomo il volto di Dio ma questo è dovuto al fatto che l’uomo vuole essere indipendente da Dio. S. Paolo ci invita a farci imitatori di Dio. Per imitarlo dobbiamo averlo davanti come modello così come Egli ci è stato presentato da Gesù ("chi vede me, vede il Padre"). Dio è benevolo verso gli uomini; Dio è amore nella sua essenza; il suo amore si è concretizzato nel darci la sua vita e il suo perdono. Il credente, come figlio del Padre, dovrebbe allora essere manifestazione concreta di benevolenza verso tutti, di carità capace di donazione e sacrificio, di perdono vicendevole fondato sulla misericordia ricevuta. Noi, povere creature non riprodurremmo mai nella pienezza il volto di Dio ma possiamo lasciarlo riflettere attraverso il nostro essere.

 

 

MARTEDI’ 27 OTTOBRE 1998

"Il Regno di Dio è simile ad un granellino di senapa". (Lc. 13,18)

Sia per la nostra vita che per la vita della Chiesa noi pensiamo sempre in termini di grandezza: lo sono un buon cristiano se sono un eroe della fede. Il Regno di Dio si espande quando ci sono grandi conversioni... Gesù, invece, continua a parlare di piccoli, di granellini di senape... Racconta una favola zen che un novizio disse una volta al Maestro Shao - Chou: "Sono stato recentemente ammesso in questo monastero, e vi supplico di insegnarmi a guidarmi sulla via della perfezione. Il Maestro disse: "Hai fatto colazione?". "Sì, Maestro". "Va a lavare la tua ciotola", disse il Maestro. A queste parole, il novizio si sentì immediatamente illuminato.

 

 

MERCOLEDI’ 28 OTTOBRE 1998

Un tale gli chiese: "Sono pochi coloro che si salvano?". (Lc. 13,23)

Se leggi abitualmente il Vangelo puoi trarre delle conclusioni diverse: l’amore di Dio che arriva fino alla croce di Gesù salverà tutti; oppure: Gesù è molto esigente, chiede una dedizione totale al Vangelo, quindi chi si salverà? E vorremmo quindi avere delle formule, delle ricette specifiche che ci dicano per filo e per segno quali cose fare o non fare per ottenere il visto di ingresso nel Regno di Dio sulla terra e nel cielo. Gesù, invece, non distribuisce passaporti e non dà formule; ci dice solo che la strada è quella di fidarsi di Dio e di operare come Lui vuole entrando così per la porta stretta e operando una profonda conversione del cuore. Non ci si salva dunque per appartenenza a un popolo, né per aver osservato i comandamenti, né per aver rivestito ruoli anche religiosi. La salvezza è Dio stesso e ci si salva entrando in sintonia con Lui.

 

 

GIOVEDI’ 29 OTTOBRE 1998

"Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali". (Lc. 13,34)

A Gerusalemme, nelle prospicenze del monte degli Ulivi è stata costruita una bellissima chiesetta chiamata "Dominus flevit" (Gesù pianse) che ricorda proprio questo sfogo di tenerezza e di amore per la sua storia e la sua città. Dietro l’altare c’è una grande vetrata da cui lo sguardo abbraccia la città santa. Ho avuto la fortuna di andarci tre volte e tutte e tre le volte mi sono commosso al pensiero della tenerezza di Gesù. Il nostro Dio si china su di noi, non è il Dio che dall’alto della sua grandezza lascia cadere le briciole al suo servo, è veramente il Padre che gioisce e soffre nell’accompagnare il cammino dei suoi figli, e proprio come un Padre che sa voler bene sul serio, lascia che ciascuno di noi trovi la propria strada in mezzo alle difficoltà, ma non ci abbandona, ci tiene d’occhio, freme per noi, è sempre disponibile quando lo cerchiamo.

 

 

VENERDI’ 30 OTTOBRE 1998

"Sono persuaso che Colui che ha iniziato in voi la sua opera, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù". (Fil. 1,5)

Man mano che gli anni passano diventiamo forse più legati ai ricordi e viene spontaneo riflettere su di essi. Ripenso dunque sovente al gran numero di persone che ho avuto la grazia di incontrare. A quante di queste persone devo molto! Il segno di certi incontri è tuttora presente nella mia vita. Quante persone poi ho seguito, ho visto crescere in età e magari anche nella fede. Quante persone incontrate ho poi perso di vista: che cosa faranno? quel poco che ho cercato di dare sarà servito? Anche Paolo, salutando gli Efesini si chiede queste cose ma lui, nella sua fede, mi insegna la speranza: la vita può allontanare, dividere ma se i rapporti, le conoscenze sono fondati su Dio, c’e una certezza: l’amore dato o ricevuto è un seme che a suo tempo porterà il suo frutto.

 

 

SABATO 31 OTTOBRE 1998

"Gesù, vedendo come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola". (Lc. 14,7)

Anche oggi la corsa ai primi posti è sfrenata e non c’è neppure bisogno delle interviste carpite da quei mattacchioni di "Striscia la notizia" per renderci conto che politici, attori, uomini di Chiesa spesso hanno come unico scopo quello di sopravanzare altri e di acchiappare il "cadreghino" che rende meglio. Gesù, invece, ci invita all’umiltà, parola che va poco di moda. Umile deriva dal latino "humus" che vuol dire terra. Umile è quindi qualcuno che sta rasente al suolo ma è anche chi è più vicino all’origine della vita, qualcosa quindi che corrisponde alla nostra piccolezza e condizione di creature. Umile è chi, con sapienza e realismo, riconosce la distanza che lo separa dal suo Creatore. Per questo, camminare nell’umiltà è camminare nella verità.

     
     
 

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