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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA

PAROLA DI DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

APRILE 1998

 

 

MERCOLEDI’ 1 APRILE 1998

"Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato". (Gv. 8,34)

Dalla Bibbia e dalla esperienza della nostra vita, conosciamo benissimo il meccanismo della tentazione e del peccato. La tentazione si presenta sempre a noi come un bene. La mela di Adamo ed Eva era "bella a vedersi, invitante a gustarsi", le promesse erano allettanti: "conoscerete il bene e il male", "diventerete come Dio".Ogni tentazione parte da un bene presunto: "conoscerai la verità, sarai più libero, sarai felice". E questa promessa, questi desideri, oscurano ciò che noi siamo e i grandi doni che noi abbiamo. Nasce la confusione: non sappiamo più quale sia il nostro vero bene, pretendiamo allo stesso tempo di essere noi a decidere, mettiamo Dio, il suo amore, la sua legge da parte. Commesso il peccato, poi, ci accorgiamo che la felicità non era quella ma ormai non c 1e più rimedio, non siamo più noi a poter scegliere. Ormai è il peccato a comandarci. Da soli non riusciamo più a rimediare, il male comanda su di noi. Solo Dio può liberarci, solo l’amore crocifisso di Gesù può reintegrarci come figli di Dio. In particolare in questo tempo di Quaresima, Gesù proponendoci Se stesso ci invita a rompere questo meccanismo tentazione - peccato - schiavitù. Abbiamo già pensato seriamente alla nostra confessione - conversione di Pasqua?

 

 

GIOVEDI’ 2 APRILE 1998

"In verità vi dico: Se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte". (Gv. 8,51)

Lungo la nostra storia abbiamo visto morire grandi peccatori e grandi santi. E’ morto Hitler, è morta Madre Teresa, sappiamo con realtà che moriremo anche noi. Allora, come la mettiamo la promessa che Gesù oggi ci fa? Anche Gesù, il Figlio di Dio, nella sua umanità muore, e sappiamo anche in quale terribile modo, ma Gesù non perde Dio: "Nelle tue mani affido il mio spirito". Gesù, allora, non viene ad esimerci dalla morte fisica, ma viene a redimere la morte. Chi rimane in Lui, rimane nel Dio della vita. La morte non è più la parola definitiva della vita. Ogni nostra azione ha sapore di eternità, non finisce in se stessa. Se siamo uniti a Cristo e in Lui a Dio, seguiremo Lui nella sua sorte: uomini liberi, salvati, gioiosi, in cammino verso la croce ma anche verso la risurrezione. Vale la pena vivere da schiavi per terminare con la morte o vivere da figli per terminare in Dio?

 

 

VENERDI’ 3 APRILE 1998

"Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?". (Gv. 10,32)

Gesù, dice il Vangelo: "Ha fatto bene ogni cosa", "passò in mezzo al popolo sanando e beneficando tutti" eppure Gesù non solo non è accettato da parte dei capi del popolo e dei religiosi di allora ma viene addirittura respinto, odiato, accusato. Come mai? Possiamo cercare delle scusanti per quegli uomini, possiamo dire che stentavano a capire l’incarnazione di un Dio, ma, alla fine, il motivo della non accettazione è la chiusura a Dio. Essi avevano un Dio preconfezionato, rinchiuso in norme giuridiche e tradizionali, comodo perché fatto su misura, e trovare in Gesù un Dio che sceglie ipoveri, che impegna al di là delle norme, che è misericordioso con tutti stava loro stretto. Il pericolo per noi, Chiesa di oggi, è sempre lo stesso. Se il nostro Dio è rinchiuso nei codici di diritto canonico, se è esclusivamente il Dio delle norme dei libri di morale, se è il Dio "solo nostro", corriamo il rischio di non incontrare il Dio di Gesù che è libero e liberante.

 

 

SABATO 4 APRILE 1998

"E’ meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera". (Gv. 11,50)

Il pensiero di Caifa può sembrare a prima vista il ragionamento di un consumato politico: Gesù ha molto seguito. Se il suo diventasse un movimento di insurrezione contro l’oppressione dei romani, essi non esiterebbero a fare un bagno di sangue, dunque è meglio estirpare la radice, cioè Gesù. Ma pur non sapendolo, il Sommo sacerdote dice la teologia della Redenzione: Gesù muore per noi. Noi da soli non potevamo salvarci, il nostro peccato ci aveva escluso dal rapporto con Dio; Gesù, Agnello innocente, offre Se stesso per noi, con la sua morte crocifigge il peccato, dalla sua morte noi acquistiamo la nuova libertà, il suo sangue ci redime. Ci apprestiamo a rivivere i misteri della grande settimana di Gesù. Nel contemplare la sua passione, morte, risurrezione ci guidi il senso di ringraziamento e di riconoscenza per Colui che per amore ha dato la sua vita per noi.

 

 

DOMENICA 5 APRILE 1998

"Benedetto Colui che viene nel nome del Signore". (Lc. 19,38)

Ecco alcuni spunti su cui possiamo ritornare in questa domenica delle Palme:

Gesù entra trionfalmente in Gerusalemme: Desidero davvero che Gesù venga nella mia vita? Ho paura ad accoglierlo di rimetterci qualcosa della mia libertà? Gesù, nella processione delle Palme passa in mezzo alle nostre case: Riusciamo in famiglia, qualche volta, a pregare insieme? Tra le beghe che ci sono in ogni famiglia, il mio atteggiamento è quello di uno che cerca e porta la pace e il perdono o forse certe liti che perdurano dipendono anche dalla mia caparbietà? Il ramo d’ulivo portato a casa è benedizione del Signore: Dio può davvero benedirmi (cioè dire bene di me)? Sono una "benedizione" per la mia famiglia? Gli altri, vedendomi agire, possono dire di me: "E’ un uomo di pace"?. La passione di Gesù ci ripropone un Dio che ci ama fino a dare la sua vita: Ascoltando la Passione, so commuovermi davanti all’amore di Gesù? In che maniera mi rendo disponibile davanti alle sofferenze dei fratelli? Mi fermo, ogni tanto a contemplare il crocifisso?

 

 

LUNEDI’ 6 APRILE 1998

"Maria, presa una libbra di olio profumato cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli". (Gv. 12,3)

E’ una gioia potersi trovare in casa di amici veri, sentirsi accolti, non dover dipendere da gesti formali ed esteriorità, parlare e saper ascoltare, condividere con semplicità e gioia. Gesù si trova bene in quella casa di Betania. C’è Lazzaro, l’amico da Lui risuscitato, c’è Marta che, buona padrona di casa, fa di tutto per mettere a loro agio gli ospiti, c’è Maria che ama, sa ascoltare, dà tutta la sua disponibilità. In quella sera, poi, c e anche questo gesto gratuito, un gesto di riconoscenza e di affetto che diventa anche profezia della morte di Gesù.

Gesù si troverà bene da me? Come Marta e Maria anch’io ho ricevuto grazie (soprattutto quella della risurrezione dai miei peccati). C’è riconoscenza nel mio cuore? Sono capace di qualche gesto di gratuità? Ricordo un fatto che mi ha colpito un giorno: tra i tanti poveri che passano in parrocchia, avevo dato le 3 mila ad uno e le avevo rifiutate ad un altro in quanto in quel mese era già passato tre o quattro volte. I due non si conoscevano. Eppure, uscito, il primo ha preso mille lire delle sue ed ho visto che le ha allungate all’altro.

 

 

MARTEDI’ 7 APRILE 1998

"In verità vi dico: uno di voi mi tradirà". (Gv. 13,21)

In quella sera così bella, così intima, deve essere scesa come una mazzata l’affermazione di Gesù. "Sarà mai possibile? Gesù è entrato trionfalmente in Gerusalemme.., siamo tutti amici.. "Sono forse io?". La stessa domanda possiamo farcela anche noi perché, purtroppo, abbiamo questa terribile possibilità, possiamo tentare Dio, mettendoci al suo posto; possiamo barattare Dio per i nostri interessi; possiamo vendere Dio, rinnegarlo per paura, fuggire lontano da Lui... Non c’è solo un Giuda su cui puntare il dito: la possibilità di essere Giuda è anche mia e purtroppo, qualche volta, l’abbiamo anche realizzata. Gesù lo sa e trepida per noi, non ci accusa, spera solo che noi ci lasciamo portare dal suo amore e non dal nostro egoismo.

 

 

MERCOLEDI’ 8 APRILE 1998

"Quanto mi volete dare perchè io ve lo consegni?". E quelli fissarono trenta monete d’argento. (Mt. 26,15)

Trenta monete, ben poca cosa vale la vita di un uomo. Poche migliaia di lire per una mina antiuomo, e un bambino che gioca salta in aria. Poche migliaia di lire per guarire un lebbroso, e migliaia di lebbrosi, all’inizio del terzo millennio muoiono di questa malattia. Per quanto poco, anche oggi, si può vendere un uomo, una vita, una speranza. Gesù è stato tradito e venduto per il valore di uno schiavo. Ma Gesù, il Figlio di Dio sì è consegnato nelle nostre mani, schiavo d’amore. Trenta denari erano la paga di un pastore e Gesù, il Buon Pastore, per trenta denari, dà la vita per le sue pecorelle. Per poco denaro oggi si vendono i genitori anziani, per pochi denari si feriscono le amicizie, per denaro si vende il proprio corpo e la propria dignità. Tu, Gesù, l’hai detto: "non si può servire Dio e il denaro". Aiutami a non vendere la mia anima per pochi denari, a non vendere Te per denaro, a non vendere nessuno per quel denaro che tanto alletta ma che alla fin fine non ci porteremo nella tomba.

 

 

GIOVEDI’ 9 APRILE 1998

"Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate voi". (Gv. 13,15)

Ecco alcuni temi su cui fermare la nostra riflessione in questo Giovedì Santo:

- Gesù, celebrando la Pasqua ebraica ricorda le meraviglie di Dio.

Mi accorgo dei doni che Dio mi ha fatto e mi fa quotidianamente? Quale spazio c’è nella mia preghiera per la riconoscenza e per la lode?

- Gesù vive un gran momento di intimità con i suoi apostoli.

Come sono i miei momenti di ringraziamento dopo la comunione? In questi giorni della Settimana Santa perché non prevedere una mezz’ora in silenzio davanti all’Eucaristia?

- Gesù si fa Pane per noi.

Qual è il mio atteggiamento davanti all’Eucaristia domenicale? So condividere i miei doni con i fratelli?

- Gesù istituisce il sacerdozio sacramentale.

Come esercito nella mia vita il sacerdozio universale che mi è stato affidato fin dal giorno del mio Battesimo? Qual è il mio rapporto con i preti? Prego affinché il Signore doni alla Chiesa santi sacerdoti?

 

 

VENERDI’ 10 APRILE 1998

"Tutto è compiuto". E chinato il capo, spiro. (Gv. 19,30)

Davanti alla tua croce, Gesù, mi sento piccolo e grande. Piccolo perché riconosco le mie estreme povertà: l’incapacità di amare totalmente, l’egoismo, il peccato. Piccolo, perché faccio parte di questa umanità che ti ha messo in croce e che continua a metterti in croce e a "mettere in croce", piccolo perché so di non meritare un amore così grande. Ma mi sento anche grande perché amato in tal modo dal Figlio di Dio che soffre e si è fatto peccato per me, grande perché tempio, tabernacolo del tuo Spirito, grande perché il tuo sangue versato si trasfonde in me e mi dà vita, grande perché Tu mi hai detto che tua Madre, Maria è mia Madre, grande perché tu mi hai affidato, nonostante i miei tradimenti, il tuo Regno. E’ un mistero, perché proprio quella croce che schiaccia e distrugge l’Uomo è quella che dà equilibrio all’uomo. Mi mette nella giusta dimensione di chi non ha nulla di suo e di chi ha ricevuto tutto da un Amore senza limiti, mi dà l’idea della sofferenza e della redenzione, della caducità e della morte ma anche delle possibilità di vita e di risurrezione.

 

 

SABATO 11 APRILE 1998

"Se siamo completamente uniti a Lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione". (Rom. 6,5)

Pensieri che possono aiutarci in questo giorno di silenzio e di attesa.

- Con la morte e sepoltura di Gesù, il mondo sembra essersi fermato. Tacciono

le urla della crocifissione. Si impone il silenzio della meditazione. Che cosa sarebbe il mondo, la vita con la "morte di Dio"?

- "Vegliare" per ricordare le opere di Dio significa rafforzare in noi la speranza fondamentale sulla storia del suo amore per noi. Non sono un puntino vagante in un universo sorto per caso, sono parte di una storia, di un popolo, di un progetto. Dio ha in mente per me "cose grandi".

- La luce, nel buio della notte, è un riferimento. La risurrezione di Gesù è il senso della croce, è la finalità della vita: dove è passato Lui, passeremo anche noi.

- Il Battesimo mi ha fatto morire con Cristo per rinascere con Cristo. Non è una cerimonia, è la vita di Cristo comunicata. Rinnovare in questa notte il Battesimo è rivestirsi del Cristo, accettare la sua vita donata per noi.

 

 

DOMENICA 12 APRILE 1998 – DOMENICA DI PASQUA

"Mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore". (Gv. 20,20)

"Ma allora è proprio tutto vero!" si dicono i discepoli. "Il male, la morte, la violenza non ce l’hanno fatta! Gesù è vivo! Gesù è proprio il Figlio di Dio!". E’ la stessa sorpresa gioiosa che oggi entra nel nostro cuore. Il male, la morte, non sono la parola definitiva della vita. Se Gesù, passato attraverso la croce e il sepolcro è vivo e può mostrarci le sue ferite gloriose, vuoi dire che anche noi, con tutte le ferite materiali e morali della nostra vita, potremo mostrarci gloriosi al Padre che dona la vita. La risurrezione di Gesù è opera dello Spirito Santo creatore. La nostra speranza si fonda su di Lui che è capace di ridare vita alle membra stanche, che può risanare le ferite del peccato, che fonda la nostra gioia.

 

 

LUNEDI’ 13 APRILE 1998

Gesù Risorto venne loro incontro dicendo: "Salute a voi!". (Mt. 28,9)

Oggi e domani, quasi a raccogliere alcuni dei sentimenti che la Pasqua ha suscitato in noi, vi propongo una preghiera di quel grande Vescovo che fu Tonino Bello:

"Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita. Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati. A volte, in momenti di confidenza, oso pensare, Signore, che anche Tu abbia un ala soltanto. L’altra la tieni nascosta, forse per farmi capire che anche Tu non vuoi volare senza di me. Per questo mi hai dato la vita perché io fossi tuo compagno di volo. Insegnami, allora, a librarmi con Te, perché vivere non è trascinare la vita, non è strappare la vita, non è rosicchiare la vita. Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano, all’ebbrezza del vento, vivere è assaporare l’avventura della libertà; vivere è stendere l’ala, l’unica ala, con la fiducia di chi sa di avere nel volo un partner grande come Te. Ti chiedo perdono per ogni peccato contro la vita. Anzitutto, per le vite uccise prima ancora che nascessero. Sono ali spezzate. Sono voli che avevi progettato di fare e ti sono stati impediti: viaggi annullati per sempre, sogni stroncati sull’alba. Ma ti chiedo perdono, Signore, anche per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi; per i voli che non ho saputo incoraggiare, per l’indifferenza con cui ho lasciato razzolare nel cortile, con l’ala penzolante, il fratello che avevi destinato a navigare nel cielo. E Tu l’hai atteso invano, per crociere che non si faranno più."

 

 

MARTEDI’ 14 APRILE 1998

"Ho visto il Signore!". (Gv. 20,18)

"Aiutami, o Signore, a dire che antipasqua non è solo l’aborto ma ogni accoglienza mancata. E’ ogni rifiuto del pane, della casa, del lavoro, dell’ istruzione, dei diritti primari. Antipasqua è la guerra: ogni guerra. Antipasqua è lasciare il prossimo nel vestibolo malinconico della vita, dove si tira a campare, dove si vegeta solo. Antipasqua è passare indifferenti vicino al fratello che è rimasto con l’ala, l’unica ala, inesorabilmente impigliata nella rete della miseria e della solitudine e sì è ormai persuaso di non essere più degno di volare con Te. Soprattutto per questo fratello sfortunato, dammi, o Signore, un’ala di riserva."

 

 

MERCOLEDI’ 15 APRILE 1998

"Non possiedo nè argento nè oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!". (Atti 3,6)

Tutti noi abbiamo fatto esperienza della nostra impotenza. Quante volte, davanti alle sofferenze dei cristiani abbiamo sperimentato l’incapacità di poter venire loro incontro; davanti a certi gridi di aiuto che ci vengono dal mondo intero, constatando che certi problemi non dipendono da noi o dalle nostre possibilità, abbiamo sentito dentro di noi una voce dirci: "E tu che cosa ci puoi fare?" Anche Pietro e Giovanni constatano di non aver soldi per aiutare quello storpio che chiede loro l’elemosina. Però si rendono conto che se non possono allungargli qualche soldo, possono dargli qualcosa d’altro: possono dargli Gesù. Davanti ad un malato che soffre, non puoi far niente, o quasi, ma puoi dargli te stesso, la tua presenza amorevole, premurosa; davanti ad un moribondo puoi solo mettere la tua mano nella sua per accompagnarlo nel suo viaggio; davanti a chi soffre gravi problemi psichici puoi solo cercare di fargli capire che non lo giudichi ma che lo ami. Davanti alla fame del mondo, alle guerre, alle violenze, dopo che hai fatto il poco in tua possibilità, puoi solo continuare a lottare per la pace... E poi... hai una grande ricchezza... quel poco che puoi fare, fallo nel nome di Gesù... Non sempre succederà il miracolo così come desidereresti, ma certamente qualche "miracolo" succederà... per lo meno in te stesso.

 

 

GIOVEDI’ 16 APRILE 1998

"Guardate le mie mani e i miei piedi: Sono proprio io! Toccatemi e guardate". (Lc. 24,39)

Ciascuno di noi, per credere ha un bisogno innato di "vedere", di "toccare". Gesù Risorto si fa vedere, toccare dagli apostoli. La risurrezione non è una fantasia degli apostoli, una allucinazione di massa: è una realtà concreta. Anche gli uomini di oggi per credere hanno bisogno di "vedere" e di "toccare". Il cristiano non può accontentarsi di dare una testimonianza fatta di parole e di teologia. "Fammi vedere che per te, Gesù è davvero il Risorto, il vivente - ci gridano gli uomini d’oggi - siamo abituati a sentirne tante parole: promesse di politici, teorie filosofiche, speranze religiose artefatte, adatte solo ad acchiappare benevolenza e soldi... Fammi vedere Gesù!". E il cristiano, questo può e deve farlo. Gesù è vivo e risorto quando il cristiano si fa "toccare" dalle necessità degli uomini, quando si fa "mangiare" dalla loro fame, quando fa "vedere" la sua gioia, la sua speranza. Possiamo farci una domanda: Gli altri, vedendomi agire, sentendomi parlare, riescono a vedere e a toccare il Cristo risorto?

 

 

VENERDI’ 17 APRILE 1998

"Videro un fuoco di brace, con del pesce sopra, e del pane". (Gv. 21,9)

Questo Gesù risorto che accende il fuoco, che prepara da mangiare per i suoi amici che tornano dalla pesca dà un senso di profonda e semplice familiarità. Il Risorto non è assolutamente asettico", estraneo a sentimenti, bisogni dell’uomo. Gesù che ha compartecipato la sua divinità alla nostra umanità, continua a donare tutto se stesso a noi. Gesù ha acceso il fuoco. Il fuoco dell’amicizia, il calore di un Dio che ama, il fuoco che purifica, il fuoco del trovarsi insieme. Gesù ci ha preparato e ci prepara la cena. Si è messo il grembiule del servizio, ci ha lavato i piedi, ci ha convocati intorno alla mensa della sua parola, si è fatto pane per noi. Se noi pensassimo all’Eucaristia così, non la vedremmo più come un rito, un dovere, non troveremmo più le assurde scuse per giustificarci se "non possiamo andare". Gesù ha preparato tavola, ti dà se stesso, ti invita personalmente, a quella mensa "c’è un posto anche per te" per ricevere gratuitamente tutti i suoi doni. Sarebbe meno festa per tutti se quel posto rimanesse vuoto.

 

 

SABATO 18 APRILE 1998

"Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura". (Mc. 16,15)

Gesù non dice queste parole solo ai Dodici, ma le dice a ciascuno di noi. Quante obiezioni però possiamo fare al Signore: la non voglia, la paura, la delusione di tentativi precedenti non riusciti, il giudicare coloro a cui si dovrebbe andare evidenziando il negativo; il ridurre la parola di Dio per renderla più attraente, il pensare di non essere all’altezza del compito affidatoci... Sono tutte scuse per mascherare la nostra poca fede. Se è Cristo che ci manda è Lui stesso che ci dà la sua forza. E’ Cristo che passa, guarda, chiama, manda, sostiene. Se i risultati non saranno quelli che aspettiamo noi, saranno certamente quelli che si aspetta Lui. L’importante è non deludere la chiamata del Signore, anzi sentircene gioiosamente orgogliosi.

 

 

DOMENICA 19 APRILE 1998 – 2^ DOMENICA DI PASQUA

"Mio Signore e mio Dio!". (Gv. 20,28)

Che atto di fede meraviglioso è quello di Tommaso! Lui, che si era sentito escluso dalle apparizioni del Risorto, lui che aveva manifestato la sua sfiducia nella testimonianza degli altri apostoli, davanti al Cristo Risorto che non lo rimprovera, ma viene ad offrirsi totalmente a lui, non solo si arrende ma ha una manifestazione di fede piena. Parecchie volte nella mia vita di prete sono stato testimone di fatti simili. Persone che hanno lottato con la vita, con se stessi, qualche volta anche con Dio, che in momenti particolari hanno questa resa incondizionata e fiduciosa all’opera di Dio in loro. E’ vero, dopo, Tommaso, avrà ancora avuto difficoltà a vivere la sua fede, ma quello è un momento pieno, indimenticabile, condizionante tutta la vita. Quante volte anch’io, specialmente all’elevazione, nella Messa, ho ripetuto le parole di Tommaso, ma, ti prego, Signore, aumenta la mia fede, aiutami nella mia incredulità, fa’ che sappia "arrendermi" davanti alle tue ferite di crocifisso risorto. Almeno per un momento sparisca il mio io perché si è fuso in Te.

 

 

LUNEDI’ 20 APRILE 1998

"In verità ti dico: Se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio". (Gv. 3,3)

Anche noi, come Nicodemo, rimaniamo stupiti da questa affermazione di Gesù: che cosa vuol dire, "rinascere dall’alto"? Vorrà forse dire essere religiosi, osservanti? Vorrà dire che basta un battesimo inteso come inserimento in una confessione religiosa? Gesù sembra dire a Nicodemo che tutto questo è "inutile". Per entrare nel Regno di Dio è necessario un rinnovamento totale alla radice. Non ci sono "ricette", "formule" per accaparrarsi il Regno di Dio. Bisogna solo lasciarsi fare nuovi dallo Spirito Santo. Non a caso Gesù usa il temine ‘nascita’. Il bambino non chiede di nascere, non sa come nasce, si lascia fare dalla natura. Se voglio davvero rinascere l’unica cosa che posso davvero fare è abbandonarmi in Dio, lasciarmi fare dallo Spirito Santo, non opporgli resistenza. Maria ha fatto così, i santi hanno fatto cosi, Gesù stesso nella sua umanità ha fatto così. Se mi lascio fare, lo Spirito Santo può cambiare perfino un cuore duro come il mio!

 

 

MARTEDI’ 21 APRILE 1998

"Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose?". (Gv. 3,10)

Gesù ci invita all’umiltà vera. Non basta essere "maestri in Israele" per entrare nel Regno di Dio, non basta conoscere a menadito la Sacra Scrittura, la teologia per entrare nel mistero di Dio, non basta "sapere" e "dire" tante preghiere per entrare in comunione con Dio. Man mano che gli anni passano mi accorgo di "sapere" sempre meno. All’epoca del seminario e nei primi anni di sacerdozio pensavo alla teologia come una scienza perfetta, totale. Credevo anche come prete di dover dare sempre risposte precise, esaustive a tutti i problemi di vita e di fede. Oggi mi accorgo di avere più interrogativi che risposte, di fare più tentativi che non seguire strade sicure, di cercare più l’abbandono fiducioso nel mistero che non presupporre idee sicure, di contare più sulle risorse presenti nelle persone che non nei consigli che uno può dare dal di fuori. Essere "maestro in Israele" non sarà, forse, come Gesù suggerisce a Nicodemo, essere "discepolo", ma dello Spirito Santo?

 

 

MERCOLEDI’ 22 APRILE 1998

"Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo ma perchè il mondo si salvi per mezzo di Lui". (Gv. 3,17)

Questa frase mi ha fatto venire in mente un vecchio testo di Juan Arias da cui traggo liberamente:

"Non crederò mai in un Dio che sorprenda l’uomo in un peccato di debolezza, che ami il dolore e metta la luce rossa alle gioie umane; in un Dio che non abbia bisogno dell’uomo, che giochi a condannare, che mandi all’inferno, che non sappia aspettare, che esiga sempre dieci agli esami. Non crederò mai in un Dio che si faccia temere, in un Dio nonno di cui si possa abusare, in un Dio lotteria con cui si vince solo a sorte, in un Dio arbitro che giudichi sempre con il regolamento alla mano. Non crederò mai in un Dio incapace di amare quello che molti disprezzano, incapace di perdonare tante cose che gli uomini condannano, in un Dio che non accetti una sedia nelle nostre feste umane, in un Dio a cui interessino le anime e non gli uomini. Non crederò mai in un Dio che, abbracciando l’uomo già qui sulla terra non sappia comunicargli il gusto, la gioia, il piacere, la dolce sensazione di tutti gli amori umani messi insieme; in un Dio incapace di innamorare l’uomo, in un Dio nel quale io non possa sperare contro ogni speranza.

Sì, il mio Dio è l’altro Dio."

 

 

GIOVEDI’ 23 APRILE 1998

"Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini". (Atti 5,29)

Sovente, nella vita ci troviamo davanti ad un bivio, davanti a scelte. Posso perdonare uno che mi ha offeso oppure posso vendicarmi; posso, approfittando di quella situazione, farmi dei soldi in maniera non molto onesta o posso salvare l’onestà rinunciando a quei soldi che mi farebbero comodo; posso farmi parte della sofferenza di quel mio fratello o posso ignorarlo; posso dare testimonianza di fede oppure defilarmi da situazioni troppo compromettenti... e oltre tutto, non sempre, è così chiara la scelta su dove sia il bene e dove il male! Pietro e gli apostoli, davanti all’ingiunzione di non predicare più Gesù scelgono di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini e con questo rischiano grosso ma mantengono fedeltà a Dio e libertà nei confronti di se stessi. E’ proprio nelle piccole scelte quotidiane che possiamo renderci conto se per noi Dio sia importante, se davvero "crediamo in un solo Dio" o se preferiamo obbedire a noi stessi, alle cose, agli uomini.

 

 

VENERDI’ 24 APRILE 1998

"C’é qui un ragazzo che ha cinque pani e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?". (Gv. 6,9)

La solita terribile preoccupazione: come fare ad aiutare quella persona? che cosa possiamo fare davanti alla violenza presente nel nostro mondo? che cosa abbiamo in concreto per poter far sì che oggi nel mondo non muoiano di fame e di stenti migliaia di persone? Gli apostoli vorrebbero dare da mangiare alla folla, ma sono preoccupati dall’esiguità delle loro risorse: si possono sfamare cinquemila persone con cinque pani? La sana concretezza mi dice di no, anzi, il "buon senso" mi dice di non far vedere neppure quei cinque pani: c’è pericolo che la gente litighi, si accapigli per averne un pezzetto. Ma con Gesù le cose vanno in modo diverso. Lui ha bisogno di quei tuoi cinque pani, ha bisogno della tua generosità anche se impotente. Ricordo di aver incontrato un missionario ritornato per qualche mese dall’india per, come diceva lui, "andare a far le ferie in ospedale e riaggiustare qualche ossa". Davanti ai racconti di povertà e sofferenza incontrati, gli chiedevo se non lo avesse mai preso la disperazione di riuscire a fare qualcosa. Con semplicità, mi rispose: "E se mi dispero, cambia qualcosa? io dico a Dio: le mie mani sono due e cerco di imprestartele, ma questi non sono solo miei fratelli, sono figli tuoi... e allora datti da fare".

 

 

SABATO 25 APRILE 1998

"Nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti... Imporranno le mani ai malati e questi guariranno (Mc. 16,17-18)

Gesù fa tutta una serie di promesse su segni concreti che accompagneranno l’opera dei suoi apostoli. Se è vero che l’opera dei santi spesso è stata accompagnata da segni miracolosi, è vero che oggi noi non abbiamo la presunzione di poter compiere miracoli... Ma è del tutto vero che non possiamo fare miracoli? Quando una persona, nel nome dell’amore di Gesù, riesce a perdonare invece di odiare, non è forse un miracolo strabiliante? E’ più miracoloso parlare contemporaneamente più lingue o parlare la lingua universale dei gesti dell’amore che sa superare le barriere delle razze e delle divisioni? Dai serpenti velenosi è meglio prendere le distanze, ma a chi è stato morso dal veleno dell’ira, della rabbia, della vendetta si può dare l’antidoto della comprensione, dell’affetto, della speranza. E a proposito di mali e di malattie, non è forse già un miracolo vivere senza disperazione un momento di prova, o condividere con serenità e pazienza il proprio tempo con un malato? E allora, coraggio, qualche miracolo possiamo farlo anche noi!

 

 

DOMENICA 26 APRILE 1998 – 3^ DOMENICA DI PASQUA

Gesù disse loro: "Venite a mangiare". (Gv. 21,12)

Ancora una volta in questo mese ci troviamo davanti a questo racconto evangelico in cui Gesù risorto si fa cuoco per dare da mangiare ai suoi amici! Ma è proprio facendo così che Gesù vuol convincere gli apostoli che la sua risurrezione non è solo un fatto straordinario, miracoloso, ma è anche la realizzazione dell’amore fraterno. Questi pescatori che più volte vengono "pescati" da Gesù sono chiamati a vedere in Gesù non solo il Risorto ma anche Colui che, proprio in virtù della sua risurrezione, chiama alla fratellanza, alla compartecipazione, alla solidarietà. Quante volte la nostra Chiesa dovrebbe essere uno stare insieme più che un insieme di riti, di teologie, di parole. Dovremmo, al di là di tutte queste cose, riuscire ancora a mettere insieme un po’ di pane, un po’ di pesce intorno al fuoco preparato da Gesù.

 

 

LUNEDI’ 27 APRILE 1998

"Voi mi cercate non perchè avete visto dei segni ma perchè avete mangiato di quei pani e vi siete saziati". (Gv. 6,26)

insieme alla folla che va a cercare Gesù perché Lui, moltiplicando i pani, ha dato loro da mangiare, ci siamo spesso anche noi cristiani tiepidi e opportunisti che ricorriamo a Dio nel momento del bisogno. Pensiamo a Dio come solutore dei nostri bisogni materiali. Eppure dovremmo saperlo, l’esperienza dovrebbe avercelo insegnato che non sono le cose di questa terra a dare una soddisfazione piena: esse si desiderano, si cercano; quando le hai ne provi gioia e poi cominci a desiderare dell’altro. E questo ti dimostra solo la tua sete di infinito che nulla potrà mai saziare se non Dio stesso, quel Dio che per indicarci il suo amore non ha esitato, in Gesù, a farsi Pane spezzato.

 

 

MARTEDI’ 28 APRILE 1998

"Il pane di Dio è Colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo". (Gv. 6,33)

Se ci pensiamo adorando, c’è davvero da meravigliarci davanti a un Dio che si fa pane, si fa "mangiare" dall’uomo! Lui, il perfetto, l’eterno che per amore della sua creatura traditrice e infida, accetta di donarsi interamente ad essa! E’ un po’ come una persona che avesse tutto, salute, serenità, gioia, ricchezze, affetti corrisposti e rinuncia a tutto, diventa povero, sofferente, rischia la vita per dare un po’ di pane a un povero che non sa neppure apprezzare questo dono. è matto, o un innamorato! Dio è così con noi: ci ama fino al punto di farsi pane, pane con la sua vita, con il suo esempio, pane con la sua Parola e Pane concreto nell’Eucaristia. E noi, qualche volta ci lamentiamo di Dio che "è lontano da noi", siamo pronti a prendercela con Lui quando non otteniamo qualche grazia, non apprezziamo il dono della sua Parola, rinunciamo per qualche banalità alla Messa, riduciamo l’Eucaristia ad un rituale ripetitivo. Siamo degli affamati e soffriamo di inappetenza. Abbiamo il Pane della vita e ci lasciamo morire di inedia.

 

 

MERCOLEDI’ 29 APRILE 1998

"Il Regno dei cieli è simile a dieci vergini che uscirono incontro allo Sposo". (Mt. 25,1)

Alcuni particolari del Vangelo delle vergini sagge e stolte che leggiamo nella festa di S. Caterina, possono essere illuminanti. Per prima cosa è molto bello che Gesù paragoni il Regno ad un pranzo di nozze. il Regno non è tristezza, macerazione, peso sopportato, è gioia, è addirittura Gesù lo Sposo di questa nostra umanità. Ognuno di noi, come le dieci ragazze invitate alla festa ha solo un compito, quello di sentire la gioia e prepararsi per poter partecipare a questa festa. Tutte e dieci le ragazze hanno le lampade. Ognuno di noi ha i suoi doni e non c’è nessuno che non possa rispondere a questo invito. L’olio, invece, è la fede e questo dobbiamo procurarcelo noi. Poi occorre saper attendere; noi vorremmo vedere subito i risultati, invece occorre solo non perdere la speranza e la fiducia nello Sposo che sta per arrivare. Ci si può anche addormentare, ma occorre essere sempre pronti a "rendere conto della speranza che è stata seminata in noi" per non farci cogliere impreparati.

 

 

GIOVEDI’ 30 APRILE 1998

Gli chiese: "Capisci quello che stai leggendo?". (At. 8,30)

Filippo aveva incontrato per strada uno straniero che stava leggendo il libro di lsaia, e fa a lui questa domanda. Spesso, specialmente la domenica, quando leggiamo dall’Antico e Nuovo Testamento, mi chiedo: capiamo davvero quello che stiamo leggendo? Abbiamo cambiato la liturgia dal latino all’italiano ma per molti di noi sentire le letture dal libro del Siracide o da qualche profeta non è come sentire parlare un’altra lingua di cui ci giungono solo echi vaghi? E poi, la Bibbia è davvero considerato un libro vivo che mi parla oggi o un qualcosa che fa parte di storie antiche più o meno astruse? Per molti di noi, purtroppo, la formazione religiosa si è fermata alle poche nozioni del catechismo fatto da bambini e si è poi sedimentata in abitudini e riti spesso non capiti. Abbiamo bisogno di catechesi a tutte le età! Altrimenti la Parola che salva arriva alle nostre orecchie ma non può entrarvi perché spesso non è neppure compresa nel suo significato.

     
     
 

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