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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA

PAROLA DI DIO

A cura di don Franco LOCCI

 

 

NOVEMBRE 1997

 

 

SABATO 1 NOVEMBRE 1997

"Dopo di ciò apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua". (Ap. 7,9)

Quanti saranno i santi che oggi ricordiamo? Prova a fare un esperimento: quanti ne ricordi? una cinquantina? Quanti ne ricorda il calendario? tre o quattrocento? Quanti ne puoi trovare in un buon dizionario dei santi? due o tre mila? E Gesù Cristo, il Figlio di Dio è morto in croce perché la santità di Dio in duemila anni fosse partecipata a due o cinquemila persone sulle centinaia di miliardi di uomini che sono vissuti sulla terra? No, la santità di Dio, proprio perché è di Dio che è amore, è partecipata a tutti gli uomini, che possono accettarla o meno, ed è partecipata anche a me. Santità non è corone, lustrate o meno, non è pantheon di uomini illustri, non è capacità o meno di intercedere miracoli, è il dono di Dio per me, per te, per ogni uomo, e ricordare che tanti l’hanno accettata e vissuta in tanti modi diversi, ci aiuta a comprendere che in qualunque situazione, in qualunque modo, o ora, io sono chiamato a conoscere, a vivere la santità di Dio. "Siate santi perché io sono Santo", dice Dio nella Bibbia: non è un’utopia, non è neanche una presunzione, è un dono, una possibilità reale che mi è data. E non c’è neanche bisogno di sforzi sovraumani, di "virtù eroiche", di miracoli conclamati, basta "lasciarsi fare da Dio", accettarlo nella nostra vita, guardare a Lui, ricevere i suoi doni, cominciare a pensare come Lui, lasciare che sia Lui a scegliere nelle nostre scelte, sentirci parte di una umanità vivente e gloriosa che partecipa della grazia di Gesù, Colui che Uomo - Dio ha rispecchiato e realizzato pienamente la santità di Dio.

 

 

DOMENICA 2 NOVEMBRE 1997

"Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo mori per gli empi nel tempo stabilito". (Rom. 5,6)

Non sono un patito della visita ai cimiteri, in quanto non penso che andare sulla tomba di un caro defunto, sia "fargli visita", sia atto di onore o manifestazione di amore. I morti sono vivi in Dio: o ci crediamo o no! Eppure sovente, specialmente quando sono in vacanza, entro volentieri in qualunque cimitero mi capiti, per dire una preghiera ma anche per riequilibrare il senso della vita. Fuori si sentono le macchine correre, lì c’è silenzio. Nel mio cuore ci sono i tumulti degli affetti, dei desideri, lì c’è pace. Guardo le date sulle tombe, antiche e recenti e mi sembra di ridimensionare il ticchettio dell’orologio che mi rende schiavo del mio tempo. Scopro gli ultimi tentativi dell’ipocrisia degli uomini che fanno di ogni morto un "padre esemplare", un "uomo integerrimo", che vogliono cercare di distinguere anche lì "il nobiluomo, il cavaliere". Vedo dietro quelle lastre di pietra le gioie, le sofferenze, le ansie, i desideri di uomini come me. Leggo soprattutto, dietro quelle croci che sovrastano ogni tomba sia di credenti o no, l’amore di un Dio che ha amato ognuno, che ha assunto in sé ogni vita sia quella di pochi giorni come quella centenaria. Vita e morte, morte e vita: tutto è legato, e allora i cimiteri, specialmente quelli semplici, "naturali" che non vogliono scimmiottare la vita ipocrita degli uomini non mi fanno paura con il loro contenuto di ossa in disfacimento, mi aiutano a capire che sono in viaggio non verso una tomba ma verso la vita piena che è partita da Qualcuno che mi ha pensato e che mi aspetta non nell’ombra di un camposanto ma nella luce e nella pace più piena.

 

 

LUNEDI’ 3 NOVEMBRE 1997

"Quando dai un banchetto, invita i poveri, storpi, zoppi, ciechi, e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti". (Lc. 14,13—14)

Il Vangelo, proprio perché parte da l’amore concreto di Dio per gli uomini, oltre che ad indicarci norme di vita morale, racchiude indicazioni preziosissime di vita pratica. Noi, nella vita vorremmo incontrare sempre la riconoscenza del prossimo che pensiamo di aver beneficato e soffriamo enormemente a causa dell’ingratitudine: hai aiutato una persona? almeno ti dicesse grazie! Hai imprestato dei soldi? non solo non li hai più visti, ma è anche sparito l’amico... E l’ingratitudine ti amareggia, ti arrovelli sui perché, diventi pessimista, cominci a pensare che non vale far del bene. Gesù, in pratica, ci dice: Se ti aspetti qualcosa di immediato dal bene che hai fatto, non potrai che essere deluso in tutto o in parte, e allora? Impara a fare il bene perché è bene, non aspettarti nulla dagli uomini, sii contento di te stesso perché hai agito con coscienza e con carità e..,. "il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà".

 

 

MARTEDI’ 4 NOVEMBRE 1997

"Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi". (Rom. 12,6)

La figura di S. Carlo Borromeo colpisce per diversi aspetti: il grande vescovo, il pastore, il riformatore, colui che si prodiga tra gli appestati... A me, ha sempre colpito per un particolare: Carlo era nipote di un papa, Pio TV0, e a quell’epoca, a causa della sua casata, per il nepotismo imperante, a 24 anni era già prete e vescovo. Raccontano poi gli storici che, ricchissimo di famiglia, aveva centinaia di servitori. Potremmo dire, e con ragione: "Ecco la Chiesa ricca, potente: che scandalo!" Eppure, nonostante questo, Carlo è diventato un esempio di fede per tutta la Chiesa. Sono convinto che noi, oggi, facciamo benissimo ad essere esigenti con la Chiesa gerarchica, che dobbiamo richiederle più semplicità, meno attaccamento alle cose, meno intrallazzi politici mascherati da motivi spirituali, ma non per questo non dobbiamo aver fiducia in Dio che può far sorgere il bene anche in mezzo ad una Chiesa che non è sempre fedele al Vangelo. Dio può servirsi anche di una storia sbagliata se trova un uomo disponibile a lasciarsi fare da Lui.

 

 

MERCOLEDI’ 5 NOVEMBRE 1997

"L’amore non fa nessun male al prossimo". (Rm. 13,10)

La parola "amore" mi ha sempre attratto e spaventato. Mi attrae perché è l‘unico senso della vita. E’ triste una persona non amata ed altrettanto triste chi, almeno in certi momenti, non prova amore. Mi spaventa però perché gli uomini spesso riescono a camuffare l’amore con i loro interessi, e mi spaventa se guardo a me stesso perché non so se sono capace ad amare come vorrebbe Gesù: Amare Dio con tutto il cuore; amare il prossimo come se stessi; amare i propri nemici. Allora mi consola la frase di S. Paolo perché mi è più vicina, più abbordabile: l’amore comincia da qualcosa di concreto, comincia dal non fare male, poi proseguirà nel fare il bene e poi nel voler bene. Posso allora cominciare dal primo scalino. Non fare male significa cominciare a chiedermi se le mie parole, le scelte, le azioni non sono in qualche modo di danno al mio prossimo, ad esempio se mi piace far battute, sono sicuro che qualcuna di queste non intristisca un mio familiare? se nella mia azienda faccio una scelta economica valida per me, tengo conto dei posti di lavoro dei miei operai? se guido in un certo modo, tengo conto della difficoltà in cui metto gli altri?... Forse non sarò capace di amare pienamente, ma da queste cose concrete posso cominciare.

 

 

GIOVEDI’ 6 NOVEMBRE 1997

"Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta finché non la ritrova?". (Lc. 15,4)

Qualche volta mi dà l’impressione che nel nostro mondo succeda il contrario. Innanzitutto mi pare che la proporzione sia 99 a 1 ma non per i giusti, ma per i peccatori. E poi, tra coloro che si ritengono giusti, che pensano già di essere nell’ovile della Chiesa, mi pare che la preoccupazione maggiore non sia quella di andare a cercare i peccatori, gli scappati di casa, coloro che si sono persi, ma quella di conservare i propri diritti acquisiti. Mi chiedo: Gesù è contento dei 99 dell‘ovile? o qualche volta non c’è il rischio che il Signore che torno con la pecorella perduta sulle spalle debba mettersi le mani nei capelli guardando un ovile dove non c e unità, dove le pecore si sono tramutate in lupi che si azzannano tra loro, dove ci sono pecore leader con tante pecore che a testa bassa vanno dietro a coloro che ormai pensano di fare a meno del Pastore? Chissà, se Gesù, buon Pastore, qualche volta non avrà pensato: Ma, non saranno più perdute queste, piuttosto di quella che si è lasciata riprendere dopo essere scappata sui monti?

 

 

VENERDI’ 7 NOVEMBRE 1997

"I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari, sono più scaltri dei figli della luce". (Lc. 16,8)

Un certo modo spiritualistico intimistico di interpretare il Vangelo non rende giustizia ad esso. Nei Vangelo, amare non vuol dire lasciarsi calpestare, sapere che si deve passare attraverso la croce non vuoi dire desiderarla, porgere l’altra guancia non significa non ricercare la giustizia e la verità, accettazione non è rassegnazione passiva, semplicità non è stupidità, accogliere la volontà di Dio non è passività. Se Dio ci ha dato dei doni, e tra questi quello grande della fede, ci chiede di esserne degni, di saperli accogliere, di portare frutti, di metterli a servizio del bene, della verità. Seguire Gesù, Luce del mondo, significa essere scaltramente risoluti, significa saper rischiare, saper inventare ogni giorno strade nuove per incontrano, per portare a Lui i fratelli, significa far le "pazzie degli innamorati". I Santi, non erano, forse, un po’ tutti così? E c’è qualcuno che può aiutarci in queste "pazzie": lo Spirito Santo.

 

 

SABATO 8 NOVEMBRE 1997

"Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto". (Lc. 16,10)

"Reverendo, il peccato che ho fatto è mortale o solo veniale?". Istintivamente mi viene da rispondere: "0 è peccato o non lo è!". E’ vero che c’è differenza tra il rubare la caramella e fare una rapina a mano armata ma è anche vero che nell’uno e nell’altro caso è rubare. E’ vero che ledere il buon nome di una persona denigrandola e uccidere un uomo è diverso, ma la sostanza è sempre uccidere fisicamente o moralmente. E lo stesso vale per il positivo: e vero che dare la vita per l’altro è ben più grande che dargli poche centinaia di lire perché ne ha bisogno, ma di nuovo, entrambi i gesti se fatti con amore sono amore vero, totale. "lo non ho mai ammazzato, non ho fatto furti grossi; ho bestemmiato, ma solo quando ero arrabbiato, ho pregato tutte le volte che avevo bisogno... Sono a posto!...? Gesù, nel Vangelo di oggi, conclude così: "Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori

 

 

DOMENICA 9 NOVEMBRE 1997 – 32^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

"I veri adoratori di Dio adoreranno il Padre in Spirito e verità". (Gv. 4,23)

Proprio nel giorno in cui celebriamo la festa della dedicazione di una grandiosa Basilica risuonano queste parole di Gesù per dare senso completo a quello che è il culto. Noi abbiamo bisogno di segni concreti. Il tempio ci ricorda la presenza di Dio in mezzo a noi. Il Dio "che né il cielo e la terra possono contenere ha accettato di avere una casa nella quale il suo nome è invocato". Ancora di più, Gesù continua la sua incarnazione nell’Eucaristia che noi adoriamo nelle nostre Chiese. Ma guai a noi se vogliamo ridurre Dio al tempio, ad atti liturgici di adorazione o a formule di preghiera prefissate. Specialmente in Italia abbiamo basiliche e chiese che ci ricordano, anche con la loro arte, la presenza di Dio e la fede di tanti uomini, ma ci sono altri templi in cui Dio abita: il suo creato che ci parla di Lui e il cuore degli uomini. Prova questa mattina, prendendo l’autobus, andando in chiesa, passeggiando a leggere nel volto di chi incontri la presenza del Signore. Dio ama ciascuno di un amore unico e irripetibile. Gesù ha dato la sua vita per ciascuno. Guardati dentro: sei il tempio di Dio. Gesù ama abitare in te. Non sarai forse una basilica, ma a Lui basta anche un cuore, magari non del tutto puro. Lì vuole mettere la sua tenda. Ha piacere di stare con te.

 

 

LUNEDI’ 10 NOVEMBRE 1997

"La sapienza non entra in un’anima che opera il male né abita in un corpo schiavo del peccato. Il Santo Spirito, che ammaestra, rifugge dalla finzione, se ne sta lontano dai discorsi insensati". (Sap. 4,5)

La liturgia in questa settimana ci fa leggere alcuni brani del libro della Sapienza. Che cos’è la Sapienza? Noi diremmo la saggezza, il conoscere tante cose e il saperle organizzare perché ci aiutino a trovare e a dare senso alla vita, a noi stessi, ad un rapporto sereno e costruttivo con gli altri. Nella Bibbia, la Sapienza è ancora qualcosa di più. E’ una persona, è lo Spirito stesso di Dio, lo Spirito Santo. Ecco perché lo Spirito Santo non può convivere con il male. Dove c e egoismo, cattiveria, odio, spirito di vendetta, Dio non c’è. Soprattutto lo Spirito di Gesù è contrario ad ogni ipocrisia, menzogna, falsità. E’ la verità di Dio. In chi non è umile e puro non attecchisce. Se siamo capaci di mantenere la sua presenza, attraverso la nostra trasparenza, la sua luce brilla in noi ed opera in noi. Se vogliamo un esempio, basta guardare a Maria, Colei che fu piena di Spirito Santo e che attraverso di Lui, generò Gesù.

 

 

MARTEDI’ 11 NOVEMBRE 1997

"Quando avrete fatto tutto quanto vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare". (Lc. 17,10)

Scrivendo queste pagine, commentando il Vangelo, mi accorgo che spesso, per superficialità si può cadere in una interpretazione troppo materialistica di pagine che invece vogliono aprirci a realtà più grandi e più misteriose. Se leggiamo il Vangelo di oggi solo sullo sfondo pur giusto delle rivendicazioni sindacali operaie ci sembra una pagina ingiusta: se ho lavorato per il Vangelo ho diritto alla ricompensa, non posso dire di essere un servo inutile. Se ho scoperto la bellezza del Vangelo e l’amore di Dio e la gioia di sentirmi chiamato a collaborare con Lui invece, sarò ben contento di dirmi servo e anche servo inutile perché non guardo più a ricompense immediate (so che Lui nessuno lo può battere in generosità) perché non punto ai miei piccoli e precari risultati ma so che Lui opera attraverso me e al di là di me. Maria, detto il suo sì, data la sua disponibilità è ben contenta di dirsi "serva", riconosce la sua miseria, ma riesce anche a vedere che in Lei Dio ha compiuto cose grandi.

 

 

MERCOLEDI’ 12 NOVEMBRE 1997

"Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a ringraziare, all’infuori di questo straniero?".

(Lc. 17,18)

C’era una volta un bambino cui la mamma aveva insegnato a chiedere "Per piacere" e a dire "Grazie" ogni volta che riceveva qualcosa, ed era gioioso e bello non solo constatare la sua buona educazione ma anche vedere la sua gioia e riconoscenza nel ricevere e nell’apprezzare al di là delle cose, le persone da cui riceveva. Ma poi andò a scuola e trovò maestri che gli insegnarono i suoi diritti, che gli dissero che nel mondo bisognava avere grinta, che era da timidi il chiedere e il dire grazie. Quando, cresciuto, questo bambino divenne padre insegnò a suo figlio che non doveva mai chiedere ma pretendere, che non doveva mai dire grazie, ma arraffare tutto quello che poteva, e suo figlio, divenuto grande, a sua volta gli portò via ogni cosa e lo sbatté in un ricovero per anziani.

 

 

GIOVEDI’ 13 NOVEMBRE 1997

"Il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione". (Lc. 17,20)

Qualcuno dice: "Sono passati duemila anni dalla venuta di Gesù e dov’è questo Regno di Dio promesso? L’uomo è sempre lo stesso se non peggio. La verità è un’utopia e per la giustizia e la pace basta leggere un giornale!". Qualcun altro che identifica il Regno di Dio con la Chiesa, dice: "La prova che il regno di Dio c’è, è che la Chiesa dopo duemila anni di storia burrascosa è ancora viva e trionfante, guarda, ad esempio, l’ultimo incontro del Papa con i giovani a Parigi". O Gesù intendeva qualcos’altro per il Regno di Dio o ci ha raccontato bugie! Il Regno non è un’utopia perché il Figlio di Dio lo ha fondato sulla donazione di se stesso sulla croce. il Regno di Dio c’è perché lo si può trovare nel fondo del cuore di ogni uomo assetato di verità, di giustizia, di pace, di Dio. Il Regno di Dio c’è perché tanti ci hanno creduto e ci credono, hanno dato e danno in silenzio la propria vita di donazione per esso. Il Regno di Dio viene, non con il rumore di guerre o di applausi ma nell’umiltà, nel nascondimento, nella speranza. Se usiamo gli stessi criteri efficientisti del nostro mondo non lo vediamo o rischiamo di identificarlo con qualcosa di sbagliato, se sappiamo tacere, vedere con gli occhi di Dio, vivere nella speranza, scopriamo che esso è ogni giorno qui, in mezzo a noi, capiamo che Cristo non è morto invano, che noi, se vogliamo, siamo già nella situazione di poter essere gli uomini nuovi di questo Regno.

 

 

VENERDI’ 14 NOVEMBRE 1997

"Dalla grandezza e bellezza delle creature, per analogia si conosce l’autore". (Sap. 13,5)

Ieri parlavamo del Regno di Dio e dicevamo che se non si hanno gli occhi di Dio non è facile riconoscerlo presente e operante in mezzo a noi. Oggi il. libro della Sapienza ci dice la stessa cosa a proposito di Dio. Tutti, più di una volta, ci siamo trovati a contemplare la natura: un cielo stellato, una montagna maestosa illuminata dal sole, la potenza del mare in burrasca, la bellezza di una pianta o di un fiore, la struttura complessa e semplice dell’uomo... Qualcuno si ferma alla meraviglia e ai sentimenti che essa suscita, qualcuno identifica la natura a Dio, qualcuno dice che la scienza, la chimica, la matematica spiegano tutto. Qualcuno dice che solo l’uomo ha la ragione per comprendere, qualcuno vede nei contrasti della natura il capriccio di Dei o di forze tra loro contrarie di cui l’uomo e in balia... Quante idee contrastanti: e pensare che l’universo stellato come una cellula possono parlarmi del loro Creatore: non me lo svelano totalmente ma mi manifestano la sua grandezza, la sua potenza, la sua finitezza, la voglia di vivere, il senso del nascere e del morire. Non basta diventare ecologisti (per molti oggi è una moda o una necessità), bisogna sentirci parte di questo creato opera di un Creatore ben più grande delle sue opere, ma di un Creatore innamorato delle sue creature al punto da farsi in Cristo creatura finita per redimere la Creazione.

 

 

SABATO 15 NOVEMBRE 1997

"Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora fede sulla terra?". (Lc. 18,8)

Chissà che cosa voleva dire Gesù con queste parole? C’è davvero il rischio che l’umanità possa escludere del tutto la fede, che l’amore di Dio, il sacrificio di Gesù, la forza dello Spirito Santo non ce la facciano a conservare almeno un granello di fede? Guardo dentro di me e scopro che la fede è precaria, non si può quantificare; mi accorgo che spesso il materialismo, il benessere tendono a farmela dimenticare, che le prove della vita possono rinforzarla o mandarla in crisi. Dunque, c è la possibilità di perdere la fede! Ma mi accorgo anche che io e l’uomo, anche se avessimo tutto senza una fede, saremmo nulla. Allora penso di poter rispondere alla domanda di Gesù, così: "Quando tu tornerai, certamente in me e nell’umanità non troverai quello che ti saresti aspettato: ti avremo deluso. Ma, Tu ci hai voluto così bene da farci a tua misura e sei così buono e misericordioso che guardando in fondo al nostro cuore, pur non trovando una fede da spostare le montagne, troverai per lo meno quel desiderio, quel bisogno che ti permetterà di salvare il nostro cuore

 

 

DOMENICA 16 NOVEMBRE 1997 – 33^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

"Il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno". (Mc. 13,32)

La nostra vita è un insieme di speranze: il malato spera di star meglio; si spera in un futuro migliore per i nostri figli; si spera in una società più giusta; si spera che la scienza scopra medicine nuove per la sclerosi, per l’AIDS... e spesso queste nostre speranze si fondano su parole e promesse di uomini: le promesse di un medico, di un leader politico, di uno scienziato... Qualche volta, queste promesse si realizzano, qualche volta restano parole vuote. Anche nella fede ci sono speranze: la salvezza, vedere Dio, ritrovare i nostri defunti... e anche qui ci sono parole e promesse... ma si realizzeranno davvero? Queste parole e promesse non sono come quelle degli uomini, sono la Parola di Dio. Gli uomini promettono sul proprio onore, sulle proprie forze molto limitate, Dio promette su se stesso, l’immutabile, su suo Figlio che ha già offerto una volta per tutte" se stesso per noi. Quindi, la nostra speranza si fonda non sul vago ma sull’eterno, sul definitivo. Le parole degli uomini passano come il vento, la parola di Dio, rimane. E poco importa se non sappiamo quando e come avverrà la fine del mondo o come saremo dopo la morte: sappiamo che Dio è fedele e non può ingannarci, sappiamo che Dio è buono e giusto e non può non volere il bene per le sue creature che valgono il Sangue di Gesù.

 

 

LUNEDI’ 17 NOVEMBRE 1997

"Mentre Gesù si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada". (Lc. 18,35)

Ci hanno insegnato che la nostra fede dipende dal vedere: conoscere Dio e riconoscerlo; dal sentire: la sua parola, la sua storia d’amore per noi, dall’accettare i suoi doni; dal seguire ciò che Lui ci ha insegnato. Nel racconto del cieco di Gerico, noi vediamo un uomo che ha dei limiti: non ha il dono della vista ma in compenso ci sente bene, sa gridare forte, sa chiedere, sa alzarsi e andare da Gesù e, dopo la guarigione, è disposto a seguirlo. Anche noi possiamo avere dei limiti: forse possiamo non vedere troppo bene nella vita la presenza di Dio, possiamo forse non conoscere approfonditamente la sua parola... Ma Gesù passa nella nostra vita come è passato sulla strada di Gerico e passa proprio per me: vuole stimolare la mia fede, vuole riempire i miei vuoti, vuole donarmi la sua misericordia e quindi la sua gioia. Posso essere cieco, zoppo, peccatore ma non posso permettermi di lasciarlo passare inutilmente se no rischio di rimanere seduto sul mio mantello ad elemosinare per tutta la vita. Se davvero sono disposto ad alzarmi e ad incontrarlo, mi dirà con semplicità e disponibilità come ha detto al cieco: "Che vuoi che io faccia per te?".

 

 

MARTEDI’ 18 NOVEMBRE 1997

"Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". (Lc. 19,5)

Il Vangelo è pieno di incontri che qualche volta sembrano casuali, ma non c’è nulla di fortuito perché il Figlio di Dio è venuto a cercarci. Questi incontri possono lasciarci nell’indifferenza o nella contrarietà, pensate ai farisei, agli scribi; possono lasciarci nella tristezza, pensate al giovane ricco che "se ne va triste perché aveva molti beni"; possono cambiare la nostra vita: gli apostoli "lasciato tutto lo seguirono"; possono, come nel caso di Zaccheo, portare la conversione e la gioia. La curiosità di "vedere Gesù", la disponibilità ad "ospitarlo in casa", l’accoglienza della sua misericordia cambiano la vita di questo "piccolotto". E non sarà un caso che il Vangelo ci parli di un "piccolo"? La grazia è per i "piccoli". Il Regno di Dio è per i "piccoli". Gesù non si spaventa della tua piccolezza, delle tue debolezze, neanche dei tuoi peccati: non avrebbe scelto di farsi pane, di farsi mangiare da noi peccatori; ti chiede solo di accoglierlo in casa e di lasciar fare a Lui. Dove entra Lui arriva la misericordia e con la misericordia, la gioia.

 

 

MERCOLEDI’ 19 NOVEMBRE 1997

"Signore, avevo paura di Te che sei un uomo severo". (Lc. 19,21)

E’ un grosso rischio considerare Dio solo come un giudice severo e un padrone intransigente: prima di tutto non rendiamo giustizia a Lui che è Padre e poi lo costringiamo ad essere severo con noi. Questo servo della parabola che con la scusa della paura del padrone non è riconoscente dei doni ricevuti e non ha il coraggio di trafficarli, è un po’ la figura di molti cristiani che "obbediscono a Dio perché ritengono di non poterne fare a meno" e che riducono la fede al minimo indispensabile: "devo andare a Messa, non devo commettere peccati gravi così Dio non ha niente da imputarmi, ma non chiedetemi di fare qualcosa: mica sono un invasato!’. Ma, allora, dove va a finire la gioia cristiana, il Regno che sta venendo, la libertà individuale, il Dio che ha rischiato tutto per noi, Colui che ci chiama ad essere suoi collaboratori? Dio non è il Dio delle mezze misure, colui che si accontenta di risposte obbligate e formali. Non c’è niente di più insultante per Dio e per noi della tiepidezza. Ricordiamoci le parole del libro de l’Apocalisse: "Tu non sei né caldo né freddo perciò io ti vomiterò da me".

 

 

GIOVEDI’ 20 NOVEMBRE 1997

"Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi". (Lc. 19,42)

Questo rimprovero di Gesù alla sua tanto amata città di Gerusalemme è rivolto anche a noi, perché forse anche noi, uomini del Duemila, sebbene più volte abbiamo beneficiato della vicinanza e protezione di Dio, tuttavia siamo ancora lontani da Lui, i nostri pensieri dimenticano facilmente i suoi insegnamenti, le nostre azioni ignorano i suoi precetti, i nostri cuori non si vogliono convertire. L’esperienza ci fa ammettere che, purtroppo, spesso viviamo come degli atei, dei senza Dio come se non avessimo mai incontrato i segni della sua presenza. Siamo troppo presuntuosi per aprirci alla gratitudine, siamo troppo distratti per incontrarlo, siamo troppo superbi per convertirci. E, allora, Gesù ci richiama: "Guai a te!" "Ricordati che sei più responsabile di altri, perché più di altri hai ricevuto!".

 

 

VENERDI’ 21 NOVEMBRE 1997

Gesù, entrato nel Tempio cominciò a scacciare i venditori, dicendo: "Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri". (Lc. 19,46)

Oggi, giorno in cui ricordiamo la presentazione di Maria al Tempio, la sua consacrazione a Dio, il Vangelo ci parla ancora del Tempio riconosciuto da Gesù come luogo privilegiato dell’incontro con Dio. Anche per noi cristiani, la chiesa edificio deve essere un luogo privilegiato del nostro rapporto con Dio. Lì, infatti, attraverso il Battesimo siamo entrati nella famiglia dei figli di Dio, lì è la casa dove Gesù si fa Pane e Parola per noi, quello è il luogo dove portiamo gioie, dolori, speranze, preghiere. E allora, anche per noi, non ci sarà il caso di dover purificare i nostri templi? Purificarlo da commerci indegni (es. "La mia Messa"), da botteghe a cui richiedere solo servizi, da luoghi di autoritarismo, da luoghi di esteriorità (es.: certe sfilate di moda domenicali), da falsi pietismi mielosi, da preti irreali e staccati dai problemi concreti della gente, da luoghi elitari di teologi, da semplici rifugi per chi non vuole impegnarsi nella vita, da luoghi di ipocriti esibizionismi, da individualismi assurdi in un luogo dove siamo famiglia di Dio... Non si tratta di cacciare solo i venditori di immaginette o ricordini, si tratta di purificarci per ritrovare il vero volto di Dio che nelle chiese e nella Chiesa ci attende.

 

 

SABATO 22 NOVEMBRE 1997

"Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per Lui". (Lc. 20,38)

Per commentare questa parola di Gesù vi propongo un fatto successo quest’estate a dei nostri parrocchiani. La famiglia era in vacanza in un albergo e improvvisamente un ospite, un uomo ancora giovane, è morto. Grande costernazione da parte di tutti. In tutti il desiderio di risolvere in fretta "il problema" per poter riprendere tranquillamente la vacanza; ma la sepoltura, per motivi burocratici, non poteva essere fatta subito. La famiglia dei nostri amici, visto anche che non si trovava un prete disponibile ha proposto di dire un rosario, e molti dei villeggianti vi hanno partecipato. I ragazzi hanno tirato fuori le chitarre e cantato le loro preghiere, i genitori hanno guidato le decine come sono abituati a fare nella loro famiglia. La gente si è stupita di questo e alla fine qualcuno si è rivolto al padre dicendo: "Ma voi lo fate per mestiere? E’ l’impresa di pompe funebri a pagarvi?". Dio non è il Dio dei morti. Non è capo di una impresa di pompe funebri, non è da rispolverare in occasione di sepolture e battesimi. E’ il Dio dei viventi, della vita, da incontrare ogni giorno. Non stupiamoci se c 1e gente che prega, che vive la fede con semplicità: hanno capito che tutta la vita, il bello e il difficile, il doloroso e l’allegro ha senso solo se si vive con Lui.

 

 

DOMENICA 23 NOVEMBRE 1997 – 34^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

Rispose Gesù a Pilato: "Tu lo dici, io sono Re". (Gv. 18,37)

Per concretizzare la festa di Cristo Re dell’Universo possiamo farci una domanda sul significato della richiesta del Padre nostro: "Venga il tuo Regno". Qual è l’apporto che posso recare personalmente per la venuta del Regno? Ecco alcuni tentativi di risposta: Il Regno si dilata tutte le volte che contribuisco a far cadere le barriere che dividono gli uomini tra loro, supero i pregiudizi, mi do da fare per eliminare le ingiustizie e le discriminazioni. Il terreno più adatto per il Regno è quello che viene dissodato con l’amore, il perdono, la pace, la dolcezza. Devo essere un "appassionato" del Regno, non un fanatico protervo e intollerante. Noi diciamo: "Venga il tuo Regno.. Proviamo a immaginare che Dio ci risponda: "Potrei cominciare da te, intanto. Sempre che tu sia d’accordo a mettermi a disposizione il terreno del tuo cuore per l’esperimento".

 

 

LUNEDI’ 24 NOVEMBRE 1997

"Gesù vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una povera vedova che vi gettava due spiccioli". (Lc. 21,1—2)

Dio non è un contabile, misura le offerte non dall’entità ma dal cuore di chi offre. Non è come gli uomini che qualche volta si lasciano irretire dalle esteriorità. Questa vedova ha dato più degli altri con i suoi pochi spiccioli perché si è fidata di Dio, ha dato del suo essenziale e non del superfluo. Per Gesù, chi non mette a disposizione degli altri ciò che possiede è da condannare come "ricco"; chi vede in ciò che possiede un dono di Dio da spendere per il prossimo, è da imitare come "povero". Gesù cerca persone generose e disponibili, capaci di dare tutto, anche se stesse, infatti il nostro "capitale" non sono solo i denari ma anche giovinezza, tempo, fede... Gettare questo capitale nelle mani di Gesù significa fidarsi di Lui, riscoprire di essere vuoti di noi stessi per lasciarci riempire da Lui.

 

 

 

MARTEDI’ 25 NOVEMBRE 1997

"Guardate di non farvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: Sono io". (Lc. 21,8)

E’ proprio vero che continuamente c’è qualcuno o qualcosa che ha la pretesa di presentarsi come salvatore dell’uomo. Qualche esempio: "Sono io" ha gridato la scienza assicurando di avere una risposta esatta per tutti i problemi dell’uomo; "Sono io ha gridato il capitalismo, col denaro e con il potere si ha la felicità; "Sono io ha gridato il nazismo: io salvo la razza pura; "Sono io" hanno gridato i vari comunismi pratici: quando gli uomini saranno tutti uguali, troveranno il paradiso in terra; "Sono io" gridano le nuove religioni e le nuove mode religiose e i vari santoni che proliferano come funghi... "Non lasciatevi ingannare", dice Gesù. lo credo, o Gesù, che sei Tu l’unico Salvatore, il Figlio di Dio incarnato, morto e risorto, vivo per sempre: tutti quelli che gridano "Sono io" mi portano solo se stessi, le loro idee o salvezze parziali; Tu, invece, mi hai amato fino a darmi la vita. Tu solo mi hai parlato del Padre, Tu solo mi dai lo Spirito Santo. Aumenta la mia fede!

 

 

MERCOLEDI’ 26 NOVEMBRE 1997

"Con la vostra perseveranza, salverete le vostre anime". (Lc. 21,19)

In questi giorni è venuto da me un signore tutto gioioso, direi perfino un po’ esaltato, dicendomi: "Mi sono convertito! Ero lontano dalla fede, ero egoista, attaccato ai soldi, ho fatto soffrire molto mia moglie, poi sono andato da Padre Pio e li, non so che cosa mi sia successo, ho sentito di aver di nuovo la fede, la mia vita e cambiata!" Ho gioito con lui per la bontà e misericordia che il Signore ha manifestato in lui ma gli ho anche detto: "Guarda che questo dono è il primo passo. Non pensare di essere arrivato. Non sentirti troppo sicuro di te. La conversione vera la si manifesta giorno per giorno. Questo è il punto di partenza, ma per arrivare alla meta occorrono tanti passi perseveranti, lenti ma costanti. Occorre saper ricominciare con speranza ogni giorno, ogni ora, occorre tanta pazienza. Dio ti ha amato e ti amerà ancora se ogni giorno, anche quando, al di là delle esaltazioni, entrerai nella monotona fatica quotidiana, tu gli lascerai spazio affinché Egli possa condurti là dove Egli vuole".

 

 

GIOVEDI’ 27 NOVEMBRE 1997

"Alzatevi e levate il capo perché la vostra Liberazione è vicina". (Lc. 21,28)

Gesù parla di "liberazione vicina". Ma perché una liberazione possa avvenire occorrono almeno due cose: la prima è sapere di essere prigionieri, la seconda è di desiderare e operare affinché la liberazione possa avvenire. Noi siamo liberi o prigionieri? Spesso c’è contrasto nell’uomo. Da una parte ci sentiamo schiavi del tempo, della sofferenza, della morte, del peccato, dell’egoismo, d’altra parte affermiamo di essere popolo libero, crediamo nel denaro che ci liberi dalle angustie, nella scienza che ci emancipi e risolva i nostri problemi, nelle nostre capacità intellettive che ci portino a superare i nostri limiti. Per essere liberati, invece, occorre mettersi in un altro atteggiamento: il potere, la scienza, la mia sola volontà non ce la fanno. Ho bisogno di Dio per essere come Lui mi desidera. Se ho fatto questo primo passo e ne sono convinto, allora posso guardare a Gesù che è venuto per salvarmi donando se stesso una volta per tutte, posso conformarmi al suo progetto, posso accogliere la gioia della liberazione. Che non succeda anche a noi come agli Ebrei in viaggio nell’esodo che dimenticando la propria schiavitù e le opere che Dio aveva compiuto per loro, rimpiangevano la pentola della carne e le cipolle d’Egitto.

 

 

VENERDI’ 28 NOVEMBRE 1997

"I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno". (Lc. 21,33)

Gesù, la sua persona, la sua vita, passione, morte, risurrezione sono la Parola definitiva di Dio sul mondo. Da anni sto raccogliendo frasi di saggi (quelle stesse frasi che trovate al termine di ogni Parola al giorno) e quando sfoglio queste oltre 20.000 frasi, spesso mi capita di fare delle considerazioni: spesso su uno stesso argomento ci sono le definizioni più differenti, contrastanti, a volte addirittura opposte. Le parole degli uomini anche più riflessivi non sono la verità. Spesso, poi, noto che gli uomini che nella loro saggezza sono arrivati ad alcune verità non hanno che farfugliato verità presenti nel Vangelo in modo più semplice e più limpido. Anche le parole dei saggi spesso rimangono parole. La Parola di Dio, invece, ha cambiato e cambia la vita degli uomini, l’incarnazione di Gesù continua nella vita dei martiri e dei testimoni. Detto questo dovremmo allora pregare solo come hanno fatto gli apostoli: "Signore, da chi andremo, Tu solo hai parole di vita eterna!".

 

 

SABATO 29 NOVEMBRE 1997

"State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita". (Lc. 21,34)

Mi ha sempre colpito il fatto che nella liturgia i temi di riflessione che vengono proposti nelle ultime giornate dell’anno liturgico e i temi proposti per l’Avvento che comincia domani, siano per lo più simili. Mi sembra quasi che la Chiesa voglia dirci: "Al di là del tempo, il dono che viene fatto e l’impegno che viene chiesto sono sempre uguali: il dono è Cristo, unica salvezza e l’impegno è accoglierlo". Ecco, allora, l’impegno a "non appesantire i cuori". Su molti dei nostri cuori ci potrebbe stare il cartello "Cuore occupato" o meglio "Cuore ingombro". Ingombro da preoccupazioni, ansie, rancori, paure, affetti sballati. E quando c’è tutto questo ciarpame non c e posto per null’altro, non c’è posto per novità, speranze, non c’è posto per Cristo. Ricordiamo tutti la frase di Gesù: "Sto alla porta e busso", ma se non sentiamo bussare, se non possiamo aprire la porta perché su di essa abbiamo ammucchiato troppe masserizie, Gesù continua a star fuori. Per accogliere Gesù che viene è ora di dare inizio ad una operazione: lo sgombero.

 

 

DOMENICA 30 NOVEMBRE 1997 – 1^ DOMENICA DI AVVENTO ANNO C

"Vegliate e pregate in ogni momento". (Lc. 21,36)

Ieri parlavamo dello "sgombero del cuore" e oggi dell’operazione successiva: Vegliare e pregare. Se uno non è pronto, se non ha orecchi attenti rischia di non sentire il passo, il lieve bussare di Colui che per farsi uomo non si fa annunciare dallo squillo di trombe e da imponenti cortei regali, ma appare, Figlio di un’umile donna, in uno sperduto paesino della Giudea. Gesù viene, come allora, con molta discrezione e delicatezza. Non si lascia spaventare da un mondo che sembra fare a meno di Lui. Continua ad offrire se stesso, a cercare strade nuove per portare al nostro cuore la sua gioia; la vigilanza e la preghiera devono aiutarci ad essere pronti ad accoglierlo. Possiamo prenderci un impegno di preghiera per questo Avvento? Nulla di straordinario: cinque minuti ogni giorno per ascoltare e meditare una frase di Vangelo. Quante cose avrà da dirci il Signore per prepararci al suo Natale!

     
     
 

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