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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA

PAROLA DI DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

GIUGNO 1997

 

 

 

DOMENICA 1 GIUGNO 1997 – SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO

"Questo è il mio Corpo". (Mc. 14,22)

Quante volte siamo andati a Messa! E quante volte ho detto Messa: un conto approssimativo mi dice che sono circa 12.000 le Messe che ho celebrato e forse proprio per la ripetitività dei gesti e dei riti rischiamo di non aver capito e di non vivere l’EucarIstia. Un gesto troppe volte ripetuto rischia di diventare quasi banale. Eppure la prima caratteristica che la Messa dovrebbe suscitare in noi dovrebbe essere la meraviglia. Gesù, Dio si fa Pane per l’uomo! Il Creatore, il Signore, mi ama fino a diventare Pane per il mio cammino; entra in comunione con me fino a "farsi mangiare da me". Gesù mi ama, mi rispetta nonostante la mia miseria fino a diventare una cosa sola con me! Noi "facciamo memoria di Lui" e Lui offre per noi il suo Corpo e il suo Sangue che ci rinforza e ci purifica! Se manca questo meravigliarci, di conseguenza mancherà anche la gratitudine, il ringraziare e senza rendimento di grazie, la Messa non è più tale, infatti la Messa è principalmente rendere grazie con Gesù. Un piccolo suggerimento per voi e per me. Arriva qualche minuto prima che cominci la Messa e raccogliti. Pensa ai doni che ti vengono fatti, meravigliati dell’amore di Gesù e allora ascolterai, pregherai, canterai con un cuore riconoscente e pronto a ricevere il dono che ti viene fatto.

 

 

LUNEDI’ 2 GIUGNO 1997

"Aveva ancora uno, il Figlio prediletto: lo inviò loro per ultimo dicendo: avranno rispetto per mio Figlio!". (Mc. 12,6)

Quanto siamo preziosi e importanti agli occhi di Dio! Ci vuole liberi di accettarlo o meno, ci affida il suo Regno, manda a noi tutti i suoi richiami e le sue grazie e alla fine manda il suo Figlio: Dio si fa povero di tutto, perfino di suo Figlio per dirci che ci ama! L’uomo è importante! Non tanto per le sue piccole conquiste: siamo un minuscolo puntino rispetto all’universo. Siamo importanti perché amati da Dio. Ma i doni si possono accogliere con gioia, accettare, godere, oppure li si può mandare indietro o neppure scartare, o addirittura buttare via. Gesù può essere accolto, snobbato, messo in croce. Il perdono può essere ricevuto con coscienza e riconoscenza oppure non desiderato o disprezzato. L’Eucaristia può crearci o la gioia di saperci commensali di Dio oppure diventare la noia di un dovere o essere trascurata. Quanto è meravigliosa e terribile la libertà! E’ la nostra unica vera possibilità di rispondere a Dio e di essere figli di Dio, ma è anche la terribile possibilità di dirgli "non mi interessi" o "voglio fare a meno di te". E ognuno di noi, ogni giorno, con la propria vita esercita questa terribile o meravigliosa possibilità.

 

 

MARTEDI’ 3 GIUGNO 1997

"Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". (Mc. 12,17)

Di solito ci fermiamo a discutere sulla prima parte di questa risposta di Gesù chiedendoci quale tipo di obbedienza un cristiano debba alle forze civili, alla politica, alle tasse. Proviamo oggi, invece, a chiederci che cosa deve "rendere a Dio". Posso pagare i miei "debiti" con Dio? Mi ha dato la vita, mi chiama all’eternità, mi ha dato suo Figlio Gesù con i suoi. sacramenti di salvezza... Come posso rendergli questi doni? Impossibile pensare di poter ripagare una generosità tale! Anche tutte le buone opere, le sofferenze offerte, le preghiere sono una piccola cosa! Quel "rendere" allora non vorrà dire "accettare"? Accettare la generosità di Dio, riconoscere la sua immensa bontà, vivere in rendimento di grazie, lasciare che l’opera di Dio operi in noi senza porvi ostacoli è il modo migliore di rendere a Dio i suoi doni.

 

 

MERCOLEDI’ 4 GIUGNO 1997

"Quando risusciteranno dai morti, infatti non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli in cielo". (Mc. 12,25)

"Ho vissuto per più di trent’anni con mio marito, un uomo splendido, con cui abbiamo condiviso tutto, bello e brutto della vita. Poi, improvvisamente, una mattina alzandomi lui non ha più dato segni di vita, mi aveva lasciata nel sonno. Per me è stata una tragedia, con lui se ne è andata anche una parte della mia vita. Me la sono presa con tutti, anche con Dio. Sono passati alcuni mesi ed ho cercato di reagire. Ho pensato che un uomo buono così non poteva non essere in Paradiso, con Dio. E da allora ho continuato a vivere con la speranza, un giorno di poterlo nuovamente incontrare proprio in Paradiso. Ora leggendo il Vangelo, ecco un’altra delusione. Ma è proprio vera la frase di Gesù che dice che quando risusciteranno dai morti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli in cielo?". Gesù, qui, vuoi dire soprattutto una cosa: se sulla terra domina soprattutto il possesso dell’uno sull’altro, nella risurrezione questo non ci sarà più. Non vuoi dire che non ci saranno più rapporti di conoscenza, non vuole assolutamente dire che ciò che ha costituito amore in vita non lo sarà ancora maggiormente di là. Se Dio è il Dio della vita, se S. Giovanni definisce Dio come Amore, può il bene e l’amore essere dimenticato? Dio porta a compimento l’amore e allora non dobbiamo preoccuparci troppo del come saranno i nostri rapporti nell’aldilà, dobbiamo fidarci di Dio che, Perfetto, fa bene ogni cosa e quindi renderà perfetti questi rapporti.

 

 

GIOVEDI’ 5 GIUGNO 1997

Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, disse allo scriba: "Non sei lontano dal Regno di Dio". (Mc. 12,34)

Gli scribi di solito non fanno una bella figura nel Vangelo. Di solito sono persone piene di se stesse, della propria cultura, incapaci di novità, sempre pronti a giudicare dall’alto. Ma c’è questa eccezione. Lo scriba ha capito che il centro del Regno di Dio è l’amore di Dio e del prossimo. Una volta tanto uno scriba la pensa come Gesù. Gesù, allora gli dice che non è lontano dal Regno, non ne è ancora cittadino al cento per cento ma lo può diventare. Dovremmo sempre tener presente questo particolare, onde evitare pericolose illusioni. Mai ritenerci "dentro", definitivamente. Credere di tenere in tasca la cittadinanza e relativi diritti. Cristiano è soltanto uno che lo sta diventando. Che ha sempre ancora un passo da compiere. Fino all’ultimo giorno. E’ però anche convinto che cercando di imitare Gesù, presto arriverà a parlare e pensare come Lui.

 

 

VENERDI’ 6 GIUGNO 1997

"Uno dei soldati gli colpi il costato con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua". (Gv. 19,34)

Giovanni è l’Apostolo che aveva posato il suo capo sul petto di Gesù, durante l’ultima Cena. Egli vede dunque particolarmente chiaro in questo sangue ed acqua che esce dal cuore di Gesù trafitto sulla croce. Il sangue di Gesù, versato per amore procura la salvezza e il suo simbolismo eucaristico è evidente. L’acqua, invece, evoca il Battesimo nello Spirito, che trae dalla croce il suo potere salvifico. Gesù con il suo cuore aperto ad accoglierci ci rivela la fonte da cui scaturiscono le imprevedibili delicatezze di Dio. Ecco come un autore Aubergeon esprime i suoi sentimenti davanti al cuore di Gesù. "Mi hai conquistato con la tua dolcezza e con il tuo splendore. Mi hai conquistato con la tua sofferenza, con la tua angoscia e con la tua speranza. Mi hai raccolto come un passero nel cavo della mano. Mi hai preso: è stato il tuo cuore trafitto dalla lancia e il tuo sangue versato su di me."

 

 

SABATO 7 GIUGNO 1997

"In verità vi dico, questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri". (Mt. 12,43)

Quante volte capita, entrando in una chiesa, di vedere qualche anziana, magari infagottata di nero, con la corona del rosario. "Le solite beghine!" dice qualcuno con disprezzo ed autosufficienza. Deve essere successa la stessa cosa alla vedova del Vangelo di oggi: "Che ci fa questo fagotto nero in mezzo ai bei vestiti dei maggiorenti della religione e quei pochi spiccioli che cosa sono in confronto al frusciare dei bigliettoni... serviranno forse per abbellire questo tempio che è già una delle meraviglie del mondo?" Eppure quelle monete sono la vera musica che Dio ama ascoltare. Oh, non che Dio abbia bisogno di pochi spiccioli, e neanche il Tempio Che invece di scandalizzarsi dell’esiguità della somma dovrebbe pensare ad aiutare la povera vedova. Ma la vera musica che piace a Dio è l’abbandono totale e fiducioso di questa vedova. Essa non ha niente ma ha Dio.

 

 

DOMENICA 8 GIUGNO 1997 - 10^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

"Ecco, tua Madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano". (Mc. 3,32)

Gesù non si muove. Quasi la cosa non lo riguardasse. ‘Chi è mia Madre e chi sono i miei fratelli?". Lui è su un altro piano, in cui non esistono diritti acquisiti, ma soltanto possibilità. "Madri e fratelli e sorelle" in questa nuova famiglia non si trovano già bell’e fatti, ma tutti possono diventarlo. La parentela non è un dato anagrafico, ma una conquista. Più che un punto di partenza, un punto d’arrivo. Siamo chiamati ad essere parenti di Gesù, di un vincolo ancora più stretto di quello della carne e del sangue. Siamo figli di Dio nel sangue prezioso di Gesù e nell’accogliere il suo dono. Diventiamo "parenti" man mano che accogliamo Gesù Figlio di Dio e accettiamo di vivere come Lui.

 

 

LUNEDI’ 9 GIUGNO 1997

"Beati..". (Mt. 5,1 - 12)

Siamo abituati a leggere la pagina delle beatitudini forse con troppa faciloneria. E’ vero, qui siamo di fronte al centro del messaggio di Gesù, ai nuovi comandamenti, ma proprio per questo occorre porre una grande attenzione all’interpretazione di ciò che questa pagina vuol dirci. Qualche esempio: davanti ad una mamma che non ha di che dar da mangiare al suo figlio posso dirle: "Tu sei felice, perché è tuo il Regno dei cieli"? Dopo aver visitato un ospedale e aver visto tante sofferenze di ogni genere di cui molte senza sbocco se non nel dolore prolungato e nella morte, posso dire a questi malati: "Voi siete felici, Dio vi consolerà". Scopro allora che la beatitudine non sta nel dolore, nella povertà. Queste in se stesse possono avvicinarci a Dio o allontanarci definitivamente da Lui. La beatitudine sta allora nell’avere Dio in ogni situazione di vita, sta nel saperci piccoli, poveri, bisognosi ma non inutili, soli, senza speranza, sta nel saper apprezzare la vita in tutti i suoi aspetti, non solo materiali ma di pienezza, sta nel pensare al presente e al futuro in una unicità unica, quella del Dio che è tutto per il suo povero.

 

 

MARTEDI’ 10 GIUGNO 1997

"Voi siete il sale della terra". (Mt. 5,13)

La vita è meravigliosa ma spesso è vissuta con banalità e insulsaggine. L’uomo schiavizzato da lavoro ripetitivo, da non valori, preso solo da cose che passano, rischia di farsi vivere dal suo tempo. Provate a pensare anche solo a quante parole di convenzione, luoghi comuni, stupidaggini si sentono e si dicono in una giornata. E spesso anche la fede è ridotta ad abitudine, rito, ripetitività formale. Gesù è tutt’altro che banale, non rientra nello stereotipo religioso in cui noi vorremmo relegano; Gesù suscita, anche a costo di darci fastidio, l’essenza dell’uomo e della fede. O si dà gusto, senso alla vita e alla fede o tutto diventa senza senso. Bella maniera di definire il compito del cristiano: essere sale. Sale umile, disciolto, gustoso, che agisce dall’interno, che non si nota, ma che è indispensabile. Gioiosa responsabilità, la nostra: scoprire il volto autentico e la faccia nascosta di Dio, essere il sale e il sapore della vita, essere grazia festosa, essere speranza e ottimismo per la noia e il tedio della vita. Il credente ha un compito sublime: fan traboccare, senza ostentazione la ricchezza interiore di una vita cristiana feconda e al servizio degli altri.

 

 

MERCOLEDI’ 11 GIUGNO 1997

"Non pensate che io sia venuto abolire la Legge o i Profeti". (Mt. 5,17)

La legge ebraica, nell’interpretazione dei religiosi di allora era diventata soprattutto una serie di precetti da osservare. Dio aveva dato la legge come dono al popolo ma spesso gli uomini l’avevano fatta diventare norme fredde, da osservare per non incorrere in pene (un po’ come dire: "Pago le tasse, ma solo per non essere pizzicato dalla finanza"). Gesù vuole aiutarci a ritrovare il vero senso liberante della legge e stabilisce un nuovo criterio di valutazione morale: l’intenzione personale. Posso anche osservare scrupolosamente tutti i dieci comandamenti ma se non lo faccio per amore non serve a nulla. Oppure posso anche trasgredire esteriormente qualche norma ma con retta intenzione e lì può esserci vero amore. Non è la legge che mi fa buono o cattivo: è il cuore che diventa determinante. Con l’osservanza esteriore delle leggi possiamo anche ingannare gli altri sulla nostra bontà, ma ricordiamoci che Dio vede il nostro cuore.

 

 

GIOVEDI’ 12 GIUGNO 1997

"Se presenti la tua offerta sull’altare e li ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia li il tuo dono e va prima a riconciliarti con il tuo fratello". (Mt. 5,23—24)

La pietà verso Dio non può essere vera se non si amano anche i fratelli. "Colui che dice: io amo Dio, e non ama il suo fratello, è un bugiardo". Gesù non dice che le preghiere, i riti siano cattivi. Non ha nulla contro il culto. Lui stesso sovente è alla preghiera della sinagoga e del tempio. Gesù ci chiede però di rendere autentici questi gesti e di ritrovare la vera gerarchia dei valori. In fondo è come se Gesù ci dicesse: non essere ipocrita, non nasconderti dietro la tua falsa giustizia, il tuo perbenismo, il tuo formalismo. Non pensare di comprarti Dio solo con qualche messa o con qualche candela. Dio "ti scruta e ti conosce", sa benissimo che cosa c’è dietro le apparenze, vede la realtà del tuo sforzo. Gioca con Lui a carte scoperte. Sii onesto, digli piuttosto che non ce la fai ancora sulla strada del perdono ma dimostragli che sinceramente la stai cercando. Per Gesù anche la ricerca faticosa della vera fraternità passa davanti al servizio cultuale di Dio; o piuttosto, è il servizio vero di Dio, quello che Egli si aspetta da te.

 

 

VENERDI’ 13 GIUGNO 1997

"Chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore". (Mt. 5,28)

Una frase da comprendere bene se no si rischiano eccessi: o siamo tutti adulteri o dovremmo nasconderci tutti in qualche eremo! Qui, Gesù vuol dire che ciò che conta non è ciò che appare davanti agli uomini ma ciò che c’è al fondo del cuore. Conta ciò che c’è dentro, l’intenzione. Si può guardare una donna o un uomo con rispetto, con ammirazione, addirittura con lode (mi ricordo un mio confessore che mi diceva: prova a guardare una ragazza come grazia di Dio ben presentata), oppure con falsità, con malizia, con perversione. Gesù ci insegna il rispetto profondo di noi stessi, il rispetto dell’altro sesso, la nobiltà dell’amore. Per Lui la morale coniugale, la morale sessuale, non sono prima di tutto una lista di atti permessi o di atti vietati, esse sono prima di tutto una attitudine interiore, molto più esigente che richiede un continuo ripensamento ma che può donare anche una profonda libertà interiore.

 

 

SABATO 14 GIUGNO 1997

"Sia il vostro parlare sì, sì; no, no". (Mt. 5,37)

Questa frase di Gesù non solo ci invita alla sincerità, all’evitare le bugie, ma anche ad usare bene del nostro modo di parlare e di porci davanti agli altri. Vi sono parole che sono proiettili, altre che sono carezze; parole che sono pietre, altre che danno la scossa all’anima. Sono le parole della felicità. Come queste: "Ti voglio bene; mi vai simpatico; mi piaci quando ridi; come ti senti?; raccontami; andiamoci a prendere un gelato; cosa ne pensi?; puoi dire tutto quello che vuoi; mi piaci come sei; che cosa ti ha fatto arrabbiare?; dimmi se ho sbagliato; non prendertela; coraggio; la prossima volta andrà meglio...".

 

 

DOMENICA 15 GIUGNO 1997 – 11^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

"Il Regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra, dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce". (Mc. 4,26—27)

Con questa parabola Gesù parla di noi, ma anche di se stesso. Ci si aspettava un Messia potente, battagliero, liberatore. Gesù, invece, comincia l’annuncio del Regno in semplicità, con i poveri, non invita alla ribellione, ma a liberarsi interiormente. La sua vita sembra essere destinata al fallimento. Eppure Dio benedirà e farà fruttificare il suo seme "caduto nella terra". Gesù diventa il modello per quanti con Lui vogliono collaborare all’instaurazione del suo Regno nel mondo degli uomini. Data la nostra inclinazione per il successo rapido e spettacolare, per l’efficacia produttiva, per statistiche e percentuali, è frequente l’impazienza per risultati palpabili e frutti visibili. Ma questa non è la tattica di Dio. La Chiesa non deve temere l’insuccesso del Vangelo per la povertà dei mezzi al suo servizio e ancor meno cedere alla tentazione di un’efficacia solo esteriore. Gesù non ha fatto così. Per fondare la sua Chiesa al servizio del Regno, ha scelto dodici poveri uomini, senza alcuna influenza sociale, in maggioranza incolti. Cristo avrebbe potuto agire in modo sfolgorante, ma non lo ha fatto. Il Regno di Dio non ha bisogno di mezzi spettacolari, ma di servitori poveri che non pongano condizioni.

 

 

LUNEDI’ 16 GIUGNO 1997

"Avete inteso che fu detto: occhio per occhio, dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio". (Mt. 5,38)

Qualche volta ci scandalizza pensare che nell’Antico Testamento ci fosse una legge come quella del taglione. Eppure essa imponendo una pena uguale all’offesa voleva già limitare gli eccessi della vendetta: non esigeva più di un occhio per un occhio. Era già attenuare l’istinto naturale: due occhi per un occhio solo! Ma pensiamo anche a come ancora oggi questa legge sia attuale: città bombardate per rappresaglia, lotte razziali, nazionali, sociali dove si applica con rigore l’ "escalation"... si parla pudicamente e ipocritamente di "rapporti di forze": ma è sempre il vecchio adagio violento: "occhio per occhio". Ebbene, Gesù esclude qualsiasi rivalsa: non solo la vendetta effettiva, ma anche il desiderio della vendetta. Sembra impossibile. Vedendoci tanto lontani da questo ideale ci sentiamo di voltar pagina e accusare Gesù di essere un sognatore. Eppure la strada proposta è vera liberazione. Restituire bene per male, senza per questo diventare conniventi con il male, amare gli altri malgrado la loro malevolenza, amare a fondo perduto è l’amore più grande e autentico, quello che Cristo praticò e ci insegnò, l’amore che rende credibile il Vangelo.

 

 

MARTEDI’ 17 GIUGNO 1997

"Siate figli del vostro Padre celeste che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti". (Mt. 5,45)

Gesù ci presenta Dio come modello. Ma se è già un modello impossibile da fotocopiare, per di più ci sono delle cose che in Lui non ci stanno neppure troppo bene, come questa, che Dio faccia piovere sui giusti e sugli ingiusti. Vedere l’ingiusto trionfare, il violento spadroneggiare impunito, il giusto soffrire e morire e vedere... che Dio non fa niente. "Dio dovrebbe intervenire, punire i cattivi, premiare i buoni!". Ma il nostro Dio non è così e per di più dice a noi di non essere cosi. Chi più di Gesù può gridare al Padre l’ingiustizia di dover morire su una croce, Lui che "passò beneficando e sanando e facendo bene ogni cosa". Eppure Gesù muore sulla croce e offre la sua vita e proprio da quel legno su cui è inchiodato chiede ancora al Padre di perdonare ai suoi crocifissori. D’accordo, Lui è Figlio di Dio!... Ma, in particolare dal giorno del Battesimo, non lo siamo anche noi?

 

 

MERCOLEDI’ 18 GIUGNO 1997

"Pregando, non sprecate parole come i pagani i quali credono di venire ascoltati a forza di parole". (Mt. 6,7)

Quante parole vuote e sprecate ci sono in una nostra giornata, da quelle dei convenevoli inutili, a quelle delle promesse dei politici, dalle centinaia degli spot televisivi, a quelle dei soloni del giornalismo (vi siete mai chiesti perché un giornale che ci starebbe in mezza pagina ha bisogno di averne 30 o 40?). Parliamo, parliamo e le parole spesso corrono inutili, insignificanti e poi... spesso non riusciamo a dirci davvero quello che sentiamo nel cuore. Anche nella preghiera può succedere la stessa cosa quando siamo più preoccupati del numero delle parole da dire a Dio che dal sentirlo e parlargli con il cuore. Dio ci conosce dentro: "Prima che le parole salgano alle tue labbra, esse sono già tutte davanti a me Il vuoto di preghiera, nella nostra vita, non lo si colma con la quantità, ma con l’autenticità e l’intensità di comunione.

 

 

GIOVEDI’ 19 GIUGNO 1997

"Voi pregate cosi: Padre nostro...". (Mt. 6,9)

C’erano dei santi che riuscivano a pregare, passando un’intera giornata, con un Padre Nostro. Noi non abbiamo una spiritualità così alta ma davvero può farci pensare, meditare, lodare il pensare al fatto che possiamo chiamare Dio "Padre". In Gesù, Dio non è più l’estraneo, il "superiore", è Colui che è, ma anche Colui che mi è Padre buono. L’Eterno, il Creatore di tutte le cose, Colui che è la Sapienza, la Verità, l’Eternità, è Padre di ciascuno di noi, ha pensato a me da sempre e per sempre il mio nome è in Lui. Gesù, suo Figlio, per amor mio è morto su una croce, lo Spirito di Dio abita in me. Dire "Padre" significa entrare in intimità con Lui, significa lasciar passare in me la sua linfa vitale, significa entrare in comunione con tutte le sue creature. In Lui, gli altri uomini non mi sono più oppositori, estranei ma fratelli perché, figli dello stesso Padre, siamo chiamati a far parte di un’unica famiglia.

 

 

VENERDI’ 20 GIUGNO 1997

"Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano". (Mt. 6,19)

Nella vita tutto ha un prezzo. Sembra, specialmente in questa nostra società consumistica, che il denaro sia l’unica strada per tutto. Con il denaro si comprano i corpi e le coscienze, i voti O il potere, l’onore e la fama, le cose ed anche l’amore; sembra che persino la pace la si possa ottenere solo a suon di soldi. Tutto, valori compresi, sembrano avere il cartellino del prezzo in questo grande supermercato del consumismo. E noi ci caschiamo. Pensiamo di essere felici se abbiamo determinate cose. Pensiamo alla felicità di chi può permettersi tutto, ed eccoci schiavi! Schiavi che poi, tristemente si accorgono di aver comprato tutto e poi muoiono perché una cellula è impazzita, che hanno un mucchio di cose che il più delle volte sono un ingombro, che sognano ancora una libertà e un amore più puro che con i soldi non si può comprare. Chiediamoci: qual è il nostro tesoro? Per che cosa corriamo nella nostra vita? I nostri soldi, le nostre cose che fine faranno il giorno della nostra morte? L’unico vero "denaro" che non è attaccato dal tempo, dalle "tignole e dalla ruggine" è l’amore.

 

 

SABATO 21 GIUGNO 1997

"Non affannatevi dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?". (Mt. 6,31)

Uno dei tanti giornali che non sanno più che cosa pubblicare per attirare l’attenzione ha commissionato un’ inchiesta (la solita storia che ci dice che tutti gli italiani mangiano cinque polli e mezzo all’anno!) dove risulta che ormai gli uomini spendono quasi come le donne in cosmesi, profumi, ritocchi a nasi troppo lunghi e a "rughe deturpanti". Uomini e donne preoccupati di apparire, di conservare e manifestare la propria mascolinità e femminilità ormai decadenti! Un giorno mi sono tolto una piccola soddisfazione: davanti alla chiesa c’era un giovanotto vestito alla moda (tutto nero, naturalmente), mi sono avvicinato e gli ho chiesto: "Mi scusi, reverendo, a che ora è la Messa?". Eppure, quante preoccupazioni, quanti stress per la moda, per il proprio corpo... Ma non pensi che mentre ti preoccupi per una ruga o per la camicetta trasandata ma alla moda, ci sono migliaia di mamme preoccupate perché non hanno da dar da mangiare ai propri figli?

 

 

DOMENICA 22 GIUGNO 1997 – 12^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

"Se uno è in Cristo, è una creatura nuova". (2 Cor 5, 14-17)

Ci facciamo aiutare da una riflessione di A. Pronzato: Noi spesso ci illudiamo che bastino le novità a farci nuovi, eppure non riusciamo a diventare "una creatura nuova". Sotto il rivestimento esteriore delle cose nuove, ci portiamo dentro una congerie di cose vecchie che non si decidono a "passare". Andiamo a cercare il nuovo ovunque meno che "in Cristo". Ci facciamo spingere da tutte le mode, ma non dal suo amore. Ci sono cristiani che, quando tornano nel banco, dopo aver fatto la Comunione sembrano voler custodire, invece che un germe di vita nuova, le vecchie, insopportabili abitudini. Essere cristiani significa accettare la vita che nasce dalla morte. Accettare l’antico che fa esplodere la primavera. L’essere nuovi non nasce necessariamente dalle novità. Anzi può essere qualcosa di antico. E il passato non lo si custodisce racchiudendolo nelle "cose vecchie", ma innestandolo nella corrente della vita.

 

 

LUNEDI’ 23 GIUGNO 1997

"Non giudicate! Con la misura con cui misurate sarete misurati... Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?". (Mt. 7,1 -3)

Gesù non ci chiede di vivere senza apprezzare le cose e gli atti con obiettività. Il male resta male e il bene, bene; ma perché "non giudicare" o giudicare benignamente? La prima ragione, è che noi abbiamo bisogno a nostra volta di perdono e di giudizio indulgente da parte di Dio e il modo per ottenerlo è proprio quello di cominciare ad applicare questa misericordia nei confronti del nostro prossimo. La seconda ragione per "non giudicare" è quella per cui noi siamo incapaci di "vedere" veramente nel cuore degli altri. Nel nostro cuore noi crediamo di veder chiaro e per noi riusciamo anche a trovare tutta una serie di scusanti, ma riusciamo a conoscere le cause e i motivi di un certo agire del nostro prossimo? conosciamo noi la sua storia, il suo carattere, le esperienze vissute...? Noi non abbiamo mai in mano tutte le capacità di poter essere totalmente obiettivi. Solo Dio conosce veramente il cuore, non è dunque più giusto lasciare a Lui il giudizio?

 

 

MARTEDI’ 24 GIUGNO 1997

"Volevano chiamarlo col nome del padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: No, si chiamerà Giovanni". (Lc. 1,59—60)

Dio vuole un nome diverso da quello della tradizione per il figlio di Elisabetta. Giovanni, preparando la venuta di Gesù, cambierà totalmente il corso dell’Alleanza. Non ci si può più fermare alle vecchie tradizioni e abitudini. Sta arrivando l’Uomo Nuovo e allora c’è bisogno di uomini nuovi che si lascino trasformare totalmente. Noi abbiamo il nome che ci è stato dato dai genitori alla nostra nascita, ma abbiamo dal Battesimo il nuovo nome di Cristiani. Ci siamo rivestiti di Cristo, il nostro uomo vecchio è morto con Lui nell’acqua del Battesimo per rinascere a vita nuova. La grande novità è Gesù. Ci rendiamo allora conto che non possiamo più vivere come uomini vecchi, stanchi, legati solo a tradizioni religiose, incancreniti nell’egoismo, pessimisti davanti al mondo e al futuro. Gesù ci chiama col nome nuovo ad essere uomini di speranza. Si può essere pessimisti e tristi quando "lo sposo" è con noi?

 

 

MERCOLEDI’ 25 GIUGNO 1997

"Li riconoscerete dai loro frutti". (Mt.7,6)

Non sempre è così immediato riconoscere le persone dai loro frutti. A volte ci vuole tempo perché i frutti maturino anche perché l’albero non dà sempre indicazioni precise. Altre volte anche i frutti ingannano: sono belli a vedersi e sembrano di ottima qualità anche se poi risultano velenosi. Eppure l’albero in sé ha già l’identità del frutto. In un altro brano del Vangelo, Gesù dirà: ‘lo sono la vera vite, voi i tralci. Chi rimane in me porta frutti buoni". La vite quindi è buona. Se rimaniamo in Lui, cioè accettiamo che sia Lui a guidarci, il frutto non può essere che buono. Quello che ancora può trarci in inganno è che ci sono tanti che dicono a parole di essere cristiani ma poi sono tutt’altro che uniti a Cristo e allora non sempre i frutti sono di qualità.

 

 

GIOVEDI’ 26 GIUGNO 1997

"Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli". (Mt.7,21)

"Vede, padre, che ho ragione! Lo dice anche Gesù. Io non vado in chiesa a biascicare Ave Marie e Padre nostri", mi diceva un futuro sposo che stava scegliendo "un Vangelo per il suo matrimonio". Qui, Gesù non ci dice che non bisogna pregare (nel brano precedente del Vangelo ha appena insegnato il "Padre Nostro"), ci dice semplicemente che non basta aver detto delle preghiere per essere buoni e santi, che non basta scaricare i nostri problemi su Dio, anzi la preghiera deve renderci ancora più responsabili all’azione. C’è una preghiera falsa, fatta di parole vuote che Dio non ama. C’è la preghiera fatta solo per "dovere" che non è comunione di cuori e c è invece una preghiera che informa e guida la nostra vita che è gradita al cuore del Signore. Il Signore non ci riconosce attraverso le parole che gli diciamo o diciamo di Lui. Ci riconosce unicamente se ci mostriamo "praticanti" della sua parola, soprattutto del suo comandamento dell’amore.

 

 

VENERDI’ 27 GIUGNO 1997

"Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: Lo voglio, sii sanato". (Mt. 8,3)

E’ facile immaginarci la gioia di questo sfortunato al contatto della mano di Gesù... lui che da quando era incappato nella lebbra non era stato più "toccato" da nessuno, lui che era diventato il solitario, l’abbandonato, il maledetto. Questa mano tesa, questo essere toccato è prima di tutto un insperato gesto di amicizia: attraverso questo gesto Gesù reintegra questo povero malato nella società degli uomini. E’ un gesto di misericordia, di amore, di vittoria sul male. Signore, anch’io sono lebbroso. Da anni continuo a trascinarmi nei miei egoismi, nell’indifferenza, nelle paure; non riesco ad amare come Tu vorresti, sono isolato nei confronti degli altri. Ho bisogno della tua mano che si china sulle mie piaghe, che si leva per assolvermi, che mi tocca per cacciare il male che è in me... "Signore, se vuoi... puoi guarirmi, puoi convertirmi, puoi cambiare il mio cuore, puoi farmi sentire amato". E vedendo Gesù che si china su di noi sembra quasi sentirlo bisbigliare: "Io lo voglio.., ma tu... lo vuoi davvero?".

 

 

SABATO 28 GIUGNO 1997

"Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente" "Signore non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito". (Mt. 8,6.8)

Questo centurione romano ci insegna a pregare.

  1. Non spreca parole. Espone semplicemente e con fiducia la situazione. Descrive il male.

  2. Non chiede per se stesso ma per un altro, per un suo servo verso il quale di per sé non ha nessun dovere.

  3. Ha una profonda umiltà. E’ un pagano ed è perfettamente cosciente di essere un reietto per la religione giudaica. Ne soffre ma non vuol mettere Gesù in una situazione di imbarazzo di fronte agli altri e per delicatezza dice a Gesù di non andare nella sua casa. La vera preghiera non è fatta di molte parole, ma di concretezza e fiducia, di delicatezza e di forza, di umiltà e di fiducia: "So di non poter pretendere niente, so che tu puoi tutto, so che nonostante tutto tu mi vuoi bene, mi fido che qualunque cosa farai è un bene per me, mi consegno nelle tue mani

 

DOMENICA 29 GIUGNO 1997 – SANTI PIETRO E PAOLO

"Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa". (Mt. 16,18)

Pietro, figura di debolezza e di forza. Eppure scelto per diventare la pietra della Chiesa. Ogni discorso di Chiesa dovrebbe tener presente la figura di questo "primo papa". Gesù ha affidato il suo messaggio a uomini deboli. Gesù ha salvato il mondo con la "stoltezza" della croce. La Chiesa non parte con il potere ma dalla debolezza di uomini peccatori, bisognosi di tutto. Pietro è un entusiasta ma un debole, anche nella guida della prima comunità, anche dopo la discesa dello Spirito Santo ha ancora debolezze e tentennamenti. Eppure Pietro ha una forza che non è sua. Davanti allo storpio che chiedeva l’elemosina davanti al Tempio, dirà: "Non ho né argento, né oro da darti ma nel nome di Gesù sii guarito". Ecco, Pietro è povero, debole ma ha il nome di Gesù. La Chiesa, di cui ciascuno di noi è parte viva è così: povera, debole, fatta di peccatori ma con un messaggio più grande di lei. Non mi spaventano gli errori della Chiesa. Non li approvo ma non mi scandalizzano più di tanto. Ma dalla Chiesa voglio il "nome di Gesù", la vera roccia. Nella Chiesa, allora, fondo con serenità la mia fede, l’appoggio sulla fede dei martiri e dei testimoni, sulla debolezza della Croce ma sulla forza che viene da essa.

 

 

LUNEDI’ 30 GIUGNO 1997

Gli rispose Gesù: "Le volpi hanno le loro tane, e gli uccelli del cielo il loro nido, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo". (Mt. 8,20)

L’istinto di conservazione, il bisogno di sicurezza sono scritti profondamente nella natura umana: l’uomo ricerca un rifugio, un riparo, una casa che gli appartenga, degli oggetti di sua proprietà. Anche gli animali hanno J.o stesso senso di proprietà e sicurezza: essi proteggono la vita dei loro piccoli con territori gelosamente difesi, con nidi sicuri. Gesù, lasciata la casa di Nazareth, lasciata sua Madre, non ha più casa, vive da nomade, "non ha neppure un sasso su cui appoggiare la testa.. Che cosa vuoi dirci con questo, Gesù? Noi siamo ancora così attaccati alle nostre cose. Siamo come quello scriba che si immaginava di poterti seguire con facilità, senza rinunciare a niente. Tu non ci inganni, non ci indori la pillola per attirarci a Te, non usi tecniche pubblicitarie per crearti adepti. Mi dici chiaramente che se voglio seguirti si profila all’orizzonte la tua e la mia croce. E’ una croce che salva, che libera ma che non è facile da abbracciare. Signore, hai fatto sbollire i miei facili entusiasmi per cui, oggi, ti chiedo solo: confermami con la tua forza e con il tuo amore nella mia vocazione cristiana!

     
     
 

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