UNA PAROLA AL GIORNO
RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA
PAROLA DI DIO
a cura di don Franco LOCCI
NOVEMBRE 1996
VENERDI’ 1 NOVEMBRE 1996
"Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello".
(Ap. 7,14)
Carissimi amici santi, quando ero ragazzo, i miei educatori non vi hanno reso un buon servizio. Molti di voi mi venivano presentati come esseri superdotati, come modelli inavvicinabili e la santità stessa come un privilegio di qualcuno. Poco per volta ho imparato a conoscervi e amarvi come fratelli. Ho imparato a leggere tra le righe di certi esasperati scrittori delle vostre vite, e non perdendo la stima per le vostre "virtù eroiche" ho scoperto la vostra umanità, le vostre debolezze. Mentre eravate in vita, voi non sapevate di essere santi ma ogni giorno facevate i conti con la vostra umanità, con le prove quotidiane. Soprattutto sperimentavate la bontà e la misericordia del Signore, con la sua pazienza, con le difficoltà dei seri misteri da Dio. Sto imparando a riconoscervi anche tra i miei fratelli viventi e vedo la santità di certe mamme, di certi uomini che sanno perdonare, di certe coppie che faticano, vi scopro nella povertà di certi amici barboni, nell’umiltà di alcuni preti, nei dubbi seri di alcuni studiosi. Scopro che Dio non ha abbandonato questa umanità povera e peccatrice ma che ancora fa risplendere in molti che la accettano la sua santità, la sua misericordia, la sua carità. E mi è estremamente caro, oggi, ricordarvi tutti insieme e sentirmi parte di questo corpo mistico di Gesù che nei cieli odora la gloria di Dio e sulla terra fatica, lotta nella speranza. Cari Santi, non mi fate più paura con la vostra santità, anzi mi fate capire che persino io potrei lasciare manifestare in me la santità di Dio.
SABATO 2 NOVEMBRE 1996
"Dopo che questa mia carne sarà distrutta vedrò Dio. Lo vedrò, io stesso e i miei occhi lo contempleranno non da straniero".
(Gb. 19,26)Nel canone primo, quello romano, della celebrazione eucaristica ci sono due spazi, i "memento" in cui diciamo al Signore: "Ricordati di", e nel primo si ricordano i vivi, nel secondo i defunti. Man mano che gli anni passano, mi accorgo che la lista dei secondi diventa sempre più lunga: parenti, amici, parrocchiani, conoscenti... Questa estate ho provato in un momento di tranquillità a ricordarli per nome e la lista è durata un bel po’, e so che la memoria non riesce a ricordarli certamente tutti. Una cosa ovvia a cui però spesso non pensiamo: la morte tocca proprio tutti... tocca anche me! Ma c’è anche un’altra cosa ovvia conseguenza della fede che noi dimentichiamo (anche la liturgia): che basterebbe un "memento" solo, infatti i morti sono vivi, direi più vivi di noi. Sono nella pienezza dì Dio, pregano con noi e per noi. E allora, se è giusto ricordarli, se è umano sentire nostalgia della loro presenza fisica, dovrebbe essere altrettanto reale sentirci con loro un’unica famiglia. La morte come distacco può farmi paura. I morti non mi fanno paura, anzi, se hanno raggiunto Dio, sono contento e felice per loro.
DOMENICA 3 NOVEMBRE 1996 – 31^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A
"Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere perché dicono e non fanno".
(Mt. 23,1—3)C’è da fare un profondo esame di coscienza per il nostro mondo e per noi stessi! Quanti capi e responsabili delle nostre comunità civili e religiose dicono e non fanno! Come è facile riempirsi la bocca di moralismi per gli altri e vivere da immorali, come è facile dire: "Si dovrebbe fare così.. e non muovere un dito. Gesù però non fa di tutt’erba un fascio, come spesso può capitare a qualcuno che magari avendo incontrato un cattivo prete butta via con esso anche tutta la religione. Gesù ci invita a meditare ed accogliere l’insegnamento anche quando non è suffragato dalla testimonianza, ma soprattutto ci invita alla coerenza. Che cosa ne dite? Se ci scandalizzassimo di meno per le tante immoralità della nostra epoca e cominciassimo magari ad usare un po’ più moralmente il nostro denaro, non sarebbe già un piccolo, ma significativo tentativo di coerenza?
LUNEDI’ 4 NOVEMBRE 1996
"Quando dai un banchetto invita poveri, storpi, ciechi, e sarai beato perché non hanno da restituirti".
(Lc. 14,13)Mi è capitato sovente di sentire dei fidanzati (magari con le loro famiglie) preparare e discutere la lista degli invitati al pranzo di nozze. Da chi dice: "Nessuno, sono tradizioni ipocrite: se ho due soldi non vado di certo a buttarli perché altri si abboffino", a chi seleziona attraverso diversi parametri: parenti, amici, personaggi importanti, quelli che fanno il regalo. Gesù ci presenta una strana lista di persone da invitare: non ci sono parroci, commendatori, cavalieri, parenti ma poveri, zoppi, ciechi...: strana festa dove più che il festeggiato sembrano davvero far festa coloro che altrimenti non avrebbero mangiato. Gesù ha fatto così: al suo banchetto sono invitati coloro che hanno fame, non conta se ricchi o poveri, non conta se portiamo o no il regalo, o se a nostra volta possiamo restituire l’invito, conta andarci a quella festa, saperla gustare e gioire. E se hai gustato quel banchetto, comportati come ti ha insegnato Lui, aprendo la tua mensa gratuitamente a tutti.
MARTEDI’ 5 NOVEMBRE 1996
"Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. Ma tutti cominciarono a scusarsi ".
(Lc.14,16 -18)Quella che leggiamo oggi è la parabola degli assurdi e delle scuse. Assurdo, in quanto invitati gratuitamente a salvarci non accettiamo questo dono. Pensate di essere naufraghi da giorni in mare, all’estremo delle forze, aggrappati ad un piccolo relitto semisommerso. Passa una nave, vi vedono, vengono a salvarvi e voi dite loro: "No! non voglio lasciare il mio pezzetto di legno!". Ho conosciuto dei malati che per una speranza" in quel medico o in quella medicina hanno fatto sacrifici enormi. Noi abbiamo Colui che ci salva, Colui che non ci chiede nulla per la nostra salvezza e gli voltiamo le spalle. Ed è anche la parabola delle scuse: "Ho tanto da fare: non ho tempo per la preghiera", "c’è quel malato che potrei andare a trovare, ma oggi devo andare dalla pettinatrice", "mia moglie mi ha aspettato tutto il giorno per parlarmi di quel problema di mia figlia ma adesso tutti zitti, c’è la partita!". E insieme agli assurdi e alle scuse nasce l’ingratitudine perché non sai neppure più vedere ciò che ti è donato e quindi non sai gioirne, e tanto meno ringraziare.
MERCOLEDI’ 6 NOVEMBRE 1996
"Chi non porta la propria croce non può essere mio discepolo".
(Lc. 14,27)Parlare di croce mi è sempre stato difficile. La croce non mi piace, quando posso evitarla lo faccio volentieri, ho ritegno nel parlare anche delle croci altrui, perché ogni croce, ogni dolore mi mette a confronto con un mistero. Eppure la croce è una realtà per tutti, in essa ti imbatti inevitabilmente: ti ammali, subisci un incidente, colui che ami muore, sei incompreso, subisci persecuzione a causa della fede... Gesù non esalta la croce in se stessa ma la vede come un passaggio necessario per amare e per giungere alla vita, ecco perché ci invita a non subirla ma a portarla come l’ha portata Lui e dietro a Lui. Allora il pensare alla croce ci fa "sudare sangue", ci fa gridare, ma ci fa anche andare "decisamente" nella prova. La croce ci fa capire la nostra debolezza ma anche la nostra grandezza, la povertà ma anche il destino della vita e, con Gesù, la croce sa già di risurrezione.
GIOVEDI’ 7 NOVEMBRE 1996
"Ritrovata la pecorella, il Buon Pastore, se la mette sulle spalle e tutto contento va a casa".
(Lc. 15,5)Certe immagini ti rimangono fisse nella vita. Ricordo un fatto della mia infanzia che poi ho sempre associato all’immagine del buon pastore che porta sulle sue spalle la pecorella ritrovata. Bambino di tre o quattro anni camminavo con mio padre e con un contadino nostro amico in mezzo ad un campo di mais. Improvvisamente vidi il contadino infilare la sua roncola in un piccolo fosso e ritirarla con una biscia che, gettata a terra, si affrettò a decapitare. Mi irrigidii. La paura, il terrore mi avevano immobilizzato. Gridavo. Le mie mani si erano attaccate ai vestiti di mio padre. Allora lui mi prese in braccio, cercò di calmarmi con pochi risultati e poi mi disse: "Adesso hai le gambe dure, hai paura di mettere i piedi a terra. Ti metto sulle mie spalle. Cammino io per te. E tu non guardare più in giù, a terra, ma guarda in alto, verso l’azzurro del cielo". Se hai sbagliato, se il terrore è entrato in te, se ti accorgi di essere immobilizzato, lasciati prendere in braccio da Gesù, il buon Pastore. Lui è venuto non per sgridarti, ma per prenderti in braccio e per farti vedere dall’alto, dove le cose si vedono diversamente e dove soprattutto i tuoi occhi possono confondersi con il cielo.
VENERDI’ 8 NOVEMBRE 1996
"Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza".
(Lc. 16,8)Se noi vogliamo indirizzare qualcuno al bene ci prendiamo ben guardia dal presentargli un modello negativo. Gesù non ha paura invece, per spronarci ad uscire dall’abitudinario, dal "coniglismo spirituale" , di presentarci un lazzarone che con furbizia riesce a trarre del bene per sé anche in una situazione negativa. E’ chiaro che Gesù non vuole insegnarci la strada di "Tangentopoli" (quella purtroppo la conosciamo già fin troppo bene!), vuole invece invitarci ad essere capaci di utilizzare tutte le nostre doti per conseguire il suo Regno. Bisogna essere astuti, intraprendenti, coraggiosi, fantasiosi per seguirlo. E’ vero che un cristiano deve saper perdonare settanta volte sette, ma non per questo deve essere uno stupido o un rinunciatario. Ci sono degli innamorati che per la propria ragazza sarebbero disposti ad andare in capo al mondo, a "perdere la testa", a inventarsi le cose più strane, e noi cristiani ci accontentiamo di starcene buoni, rintanati nei nostri ghetti e tradizioni? Essere "furbi" non significa ingannare gli altri, ma saper usare bene dei doni ricevuti, saperli condividere in modo da essere poi accolti nell’altra vita dove sarà Gesù stesso a condividere con noi l’amore suo, del Padre, dello Spirito Santo.
SABATO 9 NOVEMBRE 1996
"Signore, i nostri padri hanno adorato Dio su questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare".
(Gv. 4,20)La Samaritana che Gesù ha incontrato al pozzo si rivela, quando viene punzecchiata sulla sua vita, una teologa che discute se Dio bisogna adorarlo in Samaria o a Gerusalemme. "Per trovare la fede, la preghiera bisogna andare a Lourdes!". "No, bisogna rintanarsi in un monastero. Sapessi la suggestione dei canti gregoriani!". "No, si prega veramente solo nel nostro movimento: i canti, le mani alzate, le guarigioni.. .". "E’ solo il Rosario che salva!". "Vuoi mettere, quel prete, la sua voce suadente, il collo torto... lì incontri Dio".... E avanti di questo passo. Dio può servirsi dei Pentecostali, del rosario, della voce suadente di quel prete, del canto e del silenzio per rivelarsi ma attenzione: devi incontrare Lui, non te stesso, non quella preghiera o quel movimento. "Dio è spirito", risponderà Gesù alla Samaritana. I monti" su cui adorare spesso dividono, il Dio vero invece unisce.
DOMENICA 10 NOVEMBRE 1996 – 32^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A
"Le stolte presero le lampade, ma non presero con sé l’olio".
(Mt. 25,3)Avevano preparato tutto bene, quei due sposi: gli invitati, il vestito, i fiori, il rito, il libretto dei canti... E quando è stato il momento ed ho chiesto loro sottovoce "e gli anelli?", sono sbiancati in volto, poi si sono guardati: "Ma non dovevi portarli tu?" "Ma non era compito del testimone?"... Per quella volta ce la siamo cavata: le vere dei genitori hanno sopperito alla "distrazione". Ma quante volte siamo distratti, stolti come quelle ragazze agghindate a festa che per la fiaccolata in onore dello sposo hanno tutto meno l’olio. Quanti cristiani senz’olio. Un credente che non sa gioire della salvezza è un credente spento. Chi vive i sacramenti solo per dovere è senz’olio. Chi vede il suo prossimo solo come un potenziale nemico e non riesce a scorgervi il volto di Cristo è al buio. Quando ci accontentiamo della mediocrità siamo senz’olio. Dio ci invita alla festa, ci dà tutto il necessario per parteciparvi ma l’olio della fede e dell’entusiasmo dobbiamo procurarcelo noi, e magari tenerne anche una piccola riserva se per caso lo sposo tardasse.
LUNEDI’ 11 NOVEMBRE 1996
"Se tuo fratello pecca, rimproveralo, ma se si pente, perdonagli".
(Lc. 17,3)Quante volte ci siamo trovati nel dubbio. Devo perdonare sempre. Ma se il mio perdono viene usato quasi per approvare una situazione ingiusta è ancora evangelico perdonare? Ad esempio, se io perdono ad una persona che mi ha rubato qualcosa e questa continua non solo a rubare a me ma anche ad altri, non sono connivente col male? Una madre che per amore copre le malefatte del figlio, alla fine gli manifesta misericordia anche nel caso questi continuando ad approfittarne, si spinga sempre più avanti nel male? Gesù non ci insegna ad essere conniventi con il male. Gesù dice sempre chiaro ciò che è bene e ciò che è male e quando è il caso prende in mano anche la sferza e dice che alla fine la zizzania sarà estirpata e bruciata; però è venuto per i peccatori, verso di essi è la sua attenzione perché si convertano. In altre parole: il peccato è peccato e va condannato, ma attenzione al peccatore; per lui devi essere disposto a dare la vita.
MARTEDI’ 12 NOVEMBRE 1996
"Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare".
(Lc. 17,10)In certe riunioni di cristiani o di preti, o anche in certi "sinodi", capita di sentire certi credenti che dicono: "Lasciate fare a me e vedrete come vi organizzo la Chiesa!". E’ la solita tentazione del servo che, con il passare del tempo, si dimentica di essere servo e comincia a sentirsi lui padrone. Ci sono poi persone che pensano di fare cose eccezionali solo perché fanno il loro dovere. Gesù ci ridimensiona. Siamo servi, anzi amici, che hanno il compito di lasciare che il Regno cresca e di collaborarvi e per questo dobbiamo impegnare i talenti ricevuti. Ma non sta a noi metterci al posto di Dio. Posso e devo cercare tutti i modi pastorali perché il Regno sia annunciato ma alla fine devo sempre avere la consapevolezza che è Dio che salva gratuitamente quando e come vuole. Se sono consapevole della mia importanza nel cuore di Gesù ma anche della mia inutilità di servo, quanto abbandono in più e quante preoccupazioni inutili in meno.
MERCOLEDI’ 13 NOVEMBRE 1996
"Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo".
(Lc. 17,15—16)Nella nostra "cultura" dell’utilitarismo ci sono delle cose che possono sembrarci inutili, ad esempio dire a Dio: "Quanto sei grande". Lui lo sa già. Se anche glielo dico, di certo non accresco la sua grandezza. O anche dire: "Grazie". In fondo tutto mi è dovuto. I nove lebbrosi avevano chiesto la grazia, l’hanno ottenuta. Adesso hanno da pensare al loro reinserimento nella società, devono pensare a come poter riprendere i loro affari dopo il periodo forzato di esclusione da essi. Tornare indietro a dir grazie è una perdita di tempo. Meno male che ce n e uno che ha ancora il "gusto dell’inutile" ma il senso della gioia che diventa grazie e lode. Ed è proprio questo "inutile" che lo apre ad un’altra grazia, quella fondamentale per la quale Gesù ha fatto il miracolo: la fede. Dire "grazie", lodare, inginocchiarsi sono i gesti della fede. Perdere tempo a pregare è aprirsi a Colui che oltre ai doni materiali vuole darti Se stesso.
GIOVEDI’ 14 NOVEMBRE 1996
"Quando verrà il Regno di Dio?".
(Lc. 17,20)Se potessimo mettere in fila tutte le interpretazioni le ipotesi circa l’identificazione della realizzazione terrena del Regno di Dio, penso non basterebbero molti scaffali di un’enorme biblioteca. Dai desideri del mondo ebraico che identificavano il Regno di Dio con il Regno di Israele, fino ai più recenti ricercatori di date e di eventi che manifesteranno questo Regno. Ci stiamo avvicinando al 2000 e non mancano neppure in campo cattolico coloro che, andando a ripescare "il mille e non più mille" e assommandoli insieme, vedono quella data, peraltro fittizia, come o inizio dell’era del Regno, o conclusione tragica del mondo per il nuovo Regno. Mi sembra che forse, più che andar a caccia di fantasie, dovremmo riconoscere che il Regno c e ed è già in mezzo a noi. Esso è diverso dai regni della terra: è di Dio e non degli uomini. E’ iniziato con il seme della morte e risurrezione di Cristo. Sta operando nel cuore di molti uomini che vi hanno dedicato e dedicano la vita. Sarà certamente portato a compimento perché è nella volontà di Dio. E, cosa più importante, io ne faccio parte; sono chiamato a viverlo e a farlo vivere. Più che conquistare qualcosa per me, per gli altri, per Dio, ho il compito di essere buon terreno perché Dio stesso lo faccia crescere come vuole in me ed anche attraverso di me.
VENERDI’ 15 NOVEMBRE 1996
"Come avvenne al tempo di Mosè: mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui venne il diluvio e li fece perire tutti".
(Lc. 17,27)Anche questa mattina ti sei alzato e, mezzo addormentato, ti sei sentito cadere sulle spalle una giornata con tutti i suoi impegni. Avrai da correre, da patire, da affannarti... Ma, perché? Per i figli, la famiglia.., i soldi... e poi? Tutto passa, come questa giornata appena iniziata, e verrà di nuovo sera. Che cosa porto a casa della mia giornata? E se oggi "venisse il diluvio mi troverebbe preparato? Gesù, mettendoci in guardia, non fa del terrorismo psicologico o religioso, ci ricorda solo, nella precarietà del nostro vivere, di costruire su qualcosa che duri. Se io so che il mio affannarmi, che il denaro, che il successo non possono comprarmi la vita e se invece capisco di poter già anticipare in tante cose la mia eternità, mi verrà più facile, anche tra le corse della giornata di oggi, fare una scala di valori e imparare anche ad aspettare il diluvio" non come la fine, ma come il passaggio definitivo all’eterno.
SABATO 16 NOVEMBRE 1996
"C’era un giudice che non temeva Dio.., e una vedova che andava da lui a chiedergli giustizia".
(Lc. 18,2—3)E’ proprio vero che le parabole illuminano e nascondono. In quella di oggi abbiamo una vedova che insiste e un giudice che alla fine, seccato, la esaudisce non per bontà, ma per togliersi una scocciatura dai piedi. Eppure anche da un fatto negativo (e attuale: pensate a quante ingiustizie sono perpetrate nei confronti dei deboli può esserci un insegnamento positivo. Dio non è un giudice ingiusto, non vuoi togliersi dai piedi uomini scoccianti. Dio è Padre, ascolta i suoi figli. Il guaio è che noi non ci ricordiamo neppure di rivolgerci a Lui e spesso quando lo facciamo, come dice la scrittura "non sappiamo neppure ciò che domandiamo". Ma anche in questo Dio ci viene incontro: ha messo in noi il suo Spirito che con gemiti inenarrabili continua a chiedere per noi ciò che è buono. Il nostro compito, allora, è solo quello di lasciar parlare lo Spirito che è in noi, di fidarci di venire esauditi non per il moltiplicarsi delle nostre parole ma per la bontà di un Dio Padre che vuole la gioia dei suoi figli.
DOMENICA 17 NOVEMBRE 1996 – 33^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A
"E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre". (Mt. 25,30)
Si può essere fannulloni in molti modi diversi; ad esempio capita oggi di incontrare persone perennemente stanche che secondo quanto dicono sostengono il mondo intero ma che se poi vai a guardare bene non costruiscono assolutamente nulla né per sé né per gli altri. Ma credo che il Vangelo di oggi definisca così il fannullone: uno che non apprezza i doni ricevuti e che non ha nessuna voglia di trafficarli. Prova chiederti: Ho tot anni, che cosa ne ho fatto della mia vita? Non cercare di risponderti con rimpianti: "Se avessi avuto più fortuna.., se avessi incontrato un marito diverso.., se i miei genitori mi avessero educato in modo diverso.. .". Non serve a nulla. Ma invece prova a guardarti nella tua situazione concreta, con le tue fortune o sfortune, con il tuo carattere, con i tuoi peccati o le tue doti e chiediti: "La mia vita, fino ad oggi, ha senso? Ho trafficato quel poco o tanto che ho avuto? Ho usato la mia intelligenza, la mia libertà, il mio cuore? Insomma, il capitale del mio tempo, dei miei doni è ancora tutto in banca o l’ho rischiato? A Dio, alla fine, non importa tanto se ho guadagnato o perso, importa se ho usato al meglio!".
LUNEDI’ 18 NOVEMBRE 1996
"Il cieco Cominciò a gridare... ma quelli lo sgridavano perché tacesse". (Lc. 18,38-39)
Uno che non ci vede, questo cieco di Gerico, ma uno che ci sente bene e che ha una voce tonante da rompere i timpani. Ed ecco che disturba apostoli e benpensanti di una città "i" come quella di Gerico. E allora bisogna farlo tacere. Ci vuole un po’ di ordine, un po’ di serietà, di perbenismo. Ma, guarda un po’ il caso, chi ottiene qualcosa è proprio questo cieco urlante, mentre gli altri curiosi ottengono solo parole per le successive chiacchiere nei loro salotti per bene. La fede non è questione di buona educazione, di rituali da osservare. Per questo cieco è accorgersi, sperare, gridare. "Non ho fede", "Ho poca fede", "Non ci vedo". Non preoccuparti! Ma non chiuderti. Se non ci vedi, aguzza le orecchie. Se hai paura che Dio non ti senta, grida ancora più forte, non lasciarti zittire da altri o dalle tue paure. Gesù passa, ti ha già visto, ha previsto e desiderato questo incontro con te, vuole solo che tu ti accorga di Lui e che gli chiedi il dono di vederlo e non si preoccupa, Lui, se con le tue grida darai fastidio a quei benpensanti che ci vedono ma sono più ciechi di te.
MARTEDI’ 19 NOVEMBRE 1996
"Zaccheo, per poterlo vedere salì su un sicomoro".
(Lc. 19,4)Signore, scopro di somigliare a Zaccheo in tante cose e purtroppo di differire da lui in tante altre. Sono piccolo, e non solo di statura! Sono piccolo, limitato di intelligenza, sono piccolo di cuore, di volontà. Ci sono tante cose e persone che si frappongono tra me e Te. C’è persino gente che dovrebbe aiutarmi a vederti e invece fa muro. Sono anche curioso come Zaccheo. C’è davvero in me il desiderio di incontrarti in maniera totale. Ma purtroppo mi manca il coraggio, l’inventiva, la pazzia di Zaccheo. Non so decidermi di perdere la faccia, di salire su una pianta, sono ancora troppo radicato alla terra delle mie cose e abitudini. Spesso il desiderio della fede è fatto di velleità che non trovano riscontro pratico... E allora, scusami, Signore, se mi rivolgo a S. Zaccheo che penso vicino a Te nel tuo paradiso. "Piccolo Zaccheo", qui c’è un altro piccoletto che pensa di aver fatto buoni affari solo perché si barcamena nella vita senza incidenti troppo gravi, chiedi per me fantasia, coraggio, gioia di ritrovarsi bambino capace ancora di arrampicarsi su una pianta, gusto di vedere novità, desiderio di sentire una voce, di vedere due occhi che si posano nei tuoi, gioia di un incontro vero che venga a scombinare la solita mediocrità.
MERCOLEDI’ 20 NOVEMBRE 1996
Disse il servo: "Ho avuto paura di Te che sei un uomo severo". (Lc. 19,21)
Ma il nostro Dio è buono e misericordioso, sempre disposto al perdono o è il giudice terribile, colui che punisce la colpa dei padri nei figli? Noi spesso facciamo gran confusione tra timore di Dio e paura di Dio. Certo, Dio è più grande di me, i suoi pensieri non sono i nostri pensieri, è Signore di tutte le cose, ci chiede conto del nostro agire; devo aver "timore di Dio" cioè rispetto davanti alla sua grandezza e misteriosità ma non posso aver paura di un Dio Padre, di Gesù morto per amor mio, dello Spirito che abita in me. Il peccato del servo della parabola odierna è non aver avuto fiducia in Dio che aveva avuto fiducia in lui, è aver fatto prevalere la paura del giudizio sulla capacità di riconoscere che nell’affidargli i suoi doni, a quel padrone non importava tanto il risultato materiale quanto importava la sua persona di servo capace di rischiare sulla fiducia. Penso proprio che se in questa parabola ci fosse stato ancora un servo che avesse impegnato la ‘‘mina" in affari magari sbagliati, ma ce l’avesse messa tutta, anche a lui il padrone avrebbe detto: "Eccoti il premio, non perché sei un buon affarista ma perché nel mio nome hai rischiato lo stesso
GIOVEDI’ 21 NOVEMBRE 1996
"Gesù, alla vista di Gerusalemme, pianse su di essa".
(Lc. 19,41)Gesù, nel Vangelo piange diverse volte, ma il pianto su Gerusalemme non ci dice sola la sua sensibilità ma soprattutto l’amore di un Dio incompreso che ha amato il suo popolo ma non è stato capito. Anche umanamente una delle più grandi sofferenze è quella di amare, di donare se stessi e di non essere capiti e riamati. Dio ha amato il suo popolo, quella città, Gerusalemme è la storia del suo amore e adesso Gesù vede questa città ostile, indifferente, pronta ad espellere ancora una volta la proposta di Dio. Chissà se Gesù, oggi, non piangerebbe di nuovo sulla sua Chiesa, su noi cristiani ? "Quante volte ti ho amato, ti ho cercato, ti ho ricolmato dei miei beni, ti ho perdonato, ti ho preso sulle mie spalle di buon pastore, ti ho dato me stesso, il mio Spirito, il mio corpo, la mia morte e risurrezione, e tu? ti sei dimenticato di me, mi hai amareggiato con la tua indifferenza, hai preteso tutto come dovuto e mi hai voltato le spalle, hai venduto il mio amore per un po’ di denaro, hai voluto gioire e divertirti senza di me... Ma sono ancora qui, continuo ad amarti, mi lascio uccidere ma per poterti ancora regalare me stesso".
VENERDI’ 22 NOVEMBRE 1996
"Gesù entrato nel Tempio cominciò a scacciare i venditori".
(Lc. 19,45)La scena del Vangelo di oggi è quella della purificazione del Tempio. Oggi, come potremmo vederla? Penso che Gesù vorrebbe purificarci dalla falsa religiosità per portarci alla fede. La religiosità non è sempre sbagliata o ipocrita. Essa dovrebbe essere il linguaggio, la manifestazione della fede. Ma è ancora la fede la base di certe religiosità? Quando vado a chiedere il Battesimo per mio figlio come fosse solo un segno di buon augurio o una convenzione sociale, quando vado a sposarmi in chiesa perché la cerimonia è più bella di quella del comune e le foto vengono meglio? Non è forse falsa religiosità certa pseudo mistica che fa della preghiera e delle sue formule un rifugio e una fuga dalla concretezza dell’impegno? Abbiamo bisogno di ritrovare una religiosità che esprima fede e non esteriorità, abbiamo bisogno di smetterla con l’ipocrisia religiosa: essa è la più stupida delle ipocrisie. Dio non lo puoi ingannare!
SABATO 23 NOVEMBRE 1996
"Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono per Lui".
(Lc. 20,38)Tra le affermazioni del nostro "Credo" ce n e una che noi speriamo, desideriamo essere vera, ma che è anche difficile da accettare: "Credo la risurrezione dei morti". Da sempre l’uomo spera nella vita eterna ma stenta a crederci. Pensate che anche un mondo religioso come quello della Bibbia per secoli ha stentato a credere a questo e ancora molti all’epoca di Gesù affermavano che la vita finiva con la morte. Così non ci stupisca che molti dei cristiani che affermano la domenica di credere nella risurrezione, vivono come se tutto dovesse terminare con la morte terrena. San Paolo, già ai suoi tempi, era conscio di questo e scrivendo, affermava: "Se credessimo in Cristo solo in questa vita saremmo i più sciocchi degli uomini La risposta al nostro interrogativo non ce la dà la scienza (anche se essa ci ricorda che la morte non è distruzione ma mutazione), non ce la dà la filosofia (che pur con il suo ragionare arriva ad un 50%), non ce la danno neppure certe religioni che parlano (ma con quali prove?) di trasmigrazioni di anime; ce la può dare solo Dio in suo Figlio Gesù che afferma Dio, come Dio della vita, che parla di risurrezione, che risorge dai morti, che ci dice: "Dove sono io voglio siate anche voi".
DOMENICA 24 NOVEMBRE 1996 – 34^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A
"Venite benedetti del Padre mio... perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare...".
(Mt. 25,33—34 ss.)La festa di Cristo Re che incorona il. cammino dell’anno liturgico ci presenta ancora una volta questo brano di Vangelo che noi intitoliamo "giudizio universale". E’ un brano che leggo soventissimo ai funerali e che ci presenta un giudice abbastanza diverso da come abitualmente noi ci immaginiamo. Dio non ha il librone dei peccati e quello delle buone azioni, non c’è una pubblica accusa e un avvocato difensore. Il giudizio non riguarda neppure la piena consapevolezza di aver incontrato o meno Cristo nei poveri. Non c’è neppure l’esame di coscienza sui 10 comandamenti e tanto meno sui codici di diritto canonico, non vengono chieste speciali credenziali di appartenenza, le persone sono in fila come un gregge, non si distinguono nè per gradi, nè ruoli sostenuti. Conta una cosa sola: come sei riuscito ad amare. E stupisce che non vien neanche chiesto direttamente se hai amato Dio, infatti sembra che consapevolmente o inconsapevolmente l’amore del prossimo sia la stessa cosa. E’ dunque sull’amore che verremo giudicati, anzi è sull’amore che stiamo costruendo il nostro giudizio.
LUNEDI’ 25 NOVEMBRE 1996
"Gesù vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro e vide anche una vedova, povera che gettava due spiccioli".
(Lc. 21,1—2)Capita, ogni tanto, di leggere ai piedi di certe statue o altari: "Munifico dono di..." Ricordo anche di aver ricevuto suggerimenti di questo tipo: "Tieniti buona quella vedova, filala un po’, è piena di soldi e un buon lascito non può che far bene a lei e alla chiesa". Non è neanche del tutto passato il tempo in cui essere "priori" di certe confraternite dipendeva dalla maggior cospicuità delle offerte. Anche davanti al Tempio di Gerusalemme succedeva qualcosa del genere. Si facevano le offerte al Tempio e, mentre si buttava l’offerta nelle "trombe" (le bussole di allora), se ne proclamava la quantità per la propria vanagloria. Di certo gli ultimi spiccioli di quella povera vedova non hanno arricchito un Tempio già ricco e non hanno fatto sgranare gli occhi di meraviglia di coloro che ascoltavano l’esigua quantità della cifra, anzi qualcuno, forse, avrà sorriso di compassione. Ma Gesù vede il cuore. Sa di che cosa sono frutto i soldi offerti. Sa di che cosa priva l’offrirli. Sa che cosa c’è dietro all’offerta. I soldi a volte declamati hanno in se stessi il loro premio, o magari grondano rapina, gli spiccioli della vedova hanno il suono cristallino della fede di chi umilmente e con fiducia estrema declama con tutta se stessa: "Ti do il mio niente, perché mi fido totalmente di Te".
MARTEDI’ 26 NOVEMBRE 1996
"Mentre alcuni parlavano del Tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, Gesù disse: Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra".
(Lc. 21,5—6)Mi piace enormemente, quando ne ho la possibilità, visitare chiese e cattedrali di ogni epoca e stile. Esse mi parlano di fede. Fede di chi le ha pensate, volute, costruite, fede di tante persone che in esse hanno cercato Dio, lo hanno pregato e celebrato, luoghi dove gioie e dolori hanno trovato il loro spazio. Gesù ama il Tempio di Gerusalemme, è il segno del rapporto di Dio con il. suo popolo, è luogo di preghiera. Lui lo ha frequentato, in esso, Lui è stato offerto a Dio nella sua infanzia, lo ha visto discutere con i Dottori della Legge, vi ha cacciato i venditori, celebrato le Pasque, eppure ne preannuncia la distruzione. Gesù ci dice: "La fede non è nelle pietre. Il vero tempio non è la costruzione. Il tempio di Dio sono lo, sei tu. E’ nel tuo cuore che si adora la grandezza e la misericordia di Dio. E’ con il cuore che si offre davvero. E’ la tua vita che può celebrare Dio. Le pietre di tutti i templi e le chiese possono servire ma possono passare, il tempio del corpo può morire ma la fedeltà di Dio non muore e se tu ti ci abbandoni non puoi morire.
MERCOLEDI’ 27 NOVEMBRE 1996
"Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime".
(Lc. 21,19)Qualche volta noi pensiamo che la fede sia un qualcosa che una volta acquistato divenga nostro possesso. E’ l’errore di molti che riducono la fede ad una serie di riti e di abitudini. Un’altra tentazione è quella di pensare che, essendo la fede dovuta solo a noi, alla nostra ricerca e ai nostri sforzi, non la raggiungeremo mai. Gesù parla di fede, di regno di Dio come di un dono gratuito e prezioso per il quale vale la pena di vendere tutto per acquistano, ma ci dice che è anche solo attraverso la perseveranza che riusciamo a mantenerlo. Non spaventarti se ti sembra di aver poca fede. Non arrenderti se scopri in te stesso sempre gli stessi limiti e manchevolezze, riparti sempre: una casa viene su mattone dopo mattone, una pietra difficilmente si spacca al primo colpo di martello. Costruisci giorno per giorno, batti e ribatti sui tuoi difetti. Continua a fidarti, la pazienza di Dio è grande ma vuole vederti all’opera senza scoraggiamenti e, se Dio si fida di te, non puoi essere che
Ottimista.
GIOVEDI’ 28 NOVEMBRE 1996
"La vostra liberazione è vicina".
(Lc. 21,28)Una delle parole più belle, ma difficili è "libertà". La desideriamo nella vita individuale e sociale e ci accorgiamo quanto sia difficile il poterla realizzare perché spesso vincolata dall’esterno, dalle cose e anche da noi stessi. Poi, ancora, non sempre abbiamo un’idea chiara di libertà. Spesso gli uomini confondono libertà con la—mia— libertà. Diceva già Bismarck: "Non c’è vocabolo di cui oggi si sia fatto così largo abuso come di questa parola... Non mi fido di quel vocabolo, per la ragione che nessuno vuole la libertà per tutti: ciascuno la vuole solo per se stesso". Gesù ci promette e ci dona la vera liberazione dell’uomo perché fonda questa sull’amore. Ma viene il dubbio che noi desideriamo davvero questa libertà: forse non ci accorgiamo neppure di essere schiavi, prigionieri. Eppure il male c’è in noi e attorno a noi e da soli non ce la facciamo a vincerla. Gesù è venuto e viene proprio per questo. Se ne sento i passi, se lo aspetto con ansia, se gli porgo i miei polsi incatenati, allora proverà la gioia della liberazione.
VENERDI’ 29 NOVEMBRE 1996
"Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno".
(Lc. 21,33)Provate a pensare a quante parole udrete e direte prima di questa sera: parole di saluto, convenevoli, chiacchiere da salotto, una media di 40 pagine di parole sul giornale, parole 24 ore al giorno alla televisione e alla radio, parole che confortano e parole che uccidono, parole per blandire e parole per riempirsi la bocca... Quante di queste parole "non passeranno"? Gesù è l’unica e definitiva Parola di Dio e non passerà mai. E’ bello poter pensare che ciò che ci ha dato e detto non passa. Allora è vero che chi crede in Lui non morirà ma passerà dalla morte alla vita. E’ vero che chi ascolta e vive la sua Parola è beato, che chi mangia il suo Pane vivrà in eterno. E’ vero che Lui è il nostro buon Pastore che ci viene a cercare, che è con noi tutti i giorni della vita.
SABATO 30 NOVEMBRE 1996
Gesù disse loro: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini".
(Mt. 4,19)Che cosa può succedere sulle rive di un lago, tra un gruppo di pescatori? Nulla di straordinario, al di là della vita di ogni giorno. Eppure proprio tra quelle barche, tra quegli uomini comuni passa Gesù e arriva una chiamata che cambia la vita di Andrea e dei suoi compagni. Quando, ragazzino, sentivo parlare di vocazione mi immaginavo la chiamata in modo solenne, almeno come quella di Mosè, davanti ad un roveto ardente, o quella di Samuele con tanto di voce che ti parla, all’interno del tempio, e con te, eroe, che puoi rispondere: "Eccomi, sono pronto a dare la vita per te". Invece Gesù chiama nella quotidianità. Non ci sono tuoni e lampi, non c’è neppure la sicurezza umana di conoscere del tutto Colui che ti chiama o l’eroicità di una risposta. Non capisci neppure che cosa voglia chiederti, dicendo: "Ti farò pescatore di uomini". Eppure anche oggi c’è Lui con il mistero e il fascino della sua persona e delle sue parole. C’è Lui che non bada troppo al fatto se le tue mani sono pulite. C’è Lui che chiamandoti ti dice che si fida di te. Ti accorgerai, oggi, di Gesù che passa e chiama? Riuscirai ad abbandonare almeno qualcuna delle reti che ti mischiano? Proverai anche tu il desiderio e la gioia, come Andrea di andare a dire a qualcun altro: "Guarda che ho incontrato il Messia"?