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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA

PAROLA DI DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

SETTEMBRE 1996

 

 

DOMENICA 1 SETTEMBRE 1996 – 22^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

"Pietro cominciò a protestare…". (Mt. 16,22)

La prima protesta nella Chiesa è partita proprio dal primo Papa ed è eco delle tante nostre proteste: "Signore, perché la croce quando tutto si potrebbe risolvere più facilmente?". Viene in mente la scena del famoso don Camillo che si prepara per la processione e prende la grande croce, dicendo: "Però potevano farla anche un tantino più leggera questa croce!". "Dillo a me, risponde il Cristo, che me la sono dovuta portare fin lassù, e non avevo le spalle che hai tu". Quel "Dillo a me" e rivolto anche a noi. E’ facile dimenticare che Lui si è messo davanti lungo quella strada, sta in testa all’interminabile processione, e sulle spalle porta la sua e le nostre croci. Risulta difficile e imbarazzante discutere di croce con uno esperto come Lui. Ed è inutile protestare. Pietro, quella famosa volta ci ha provato e si è guadagnato un titolo poco lusinghiero: "Satana".

 

 

LUNEDI’ 2 SETTEMBRE 1996

"Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso". (1 Cor. 2,2)

S. Paolo, che pure aveva una grandissima cultura, e anche doti umane di attento psicologo, capacità dialettica e facilità di parola, ci ricorda che il Vangelo è Gesù Cristo crocifisso per noi e non ampia teologia, soluzione teorica o spiritualistica di tutti i problemi. Dovremmo ricordarcelo spesso, specialmente noi preti o cristiani impegnati, che pensiamo alla fede solo come conoscenza, parole forbite, incontri, documenti, o che tendiamo a dare agli altri facili soluzioni per ogni problema. Quante volte, davanti a certi problemi che la gente pone, siamo tentati di dare la soluzione più ovvia e meno impegnativa. E’ duro provare l’impotenza come è duro lasciarci coinvolgere. E’ duro non aver altro da offrire se non la croce di Cristo condivisa. Eppure, la fede, la speranza e la vera carità stanno proprio lì, in quel mistero tremendo e amoroso che è la croce di Cristo.

 

 

MARTEDI’ 3 SETTEMBRE 1996

Gesù intimò al demonio: "Taci ed esci da costui!". (Lc. 4,35)

Oggi si va agli eccessi opposti. C’è chi davanti alla credenza del demonio dice: ‘‘Roba da Medioevo’’ e chi invece vede diavoli, demoni, fatture per ogni dove. Quante volte mi sono sentito dire: "Padre, mi dia una benedizione, mi faccia un esorcismo perché ho il malocchio". Io credo all’esistenza del male. Lo vedo tutti i giorni in me e nel mondo, ma credo anche al bene, a Gesù Cristo vincitore di ogni male. La potenza e l’autorità di Gesù caccia il male. Egli vuole liberare la persona umana. Ora ognuno di noi deve continuare l’opera liberatrice di Cristo, non tanto attraverso rituali pseudo magici e superstiziosi, quanto come impegno evangelico a favore dell’uomo. I veri gesti di liberazione che noi dobbiamo e possiamo fare sono allora la lotta contro la tirannia dell’ingiustizia e del fatalismo, della disperazione e dell’indifferenza, dell’avere e spendere, dell’accaparrare e consumare, della superbia e del sesso, della mancanza di solidarietà, dell’egoismo e della superficialità, in parole povere è aiutare l’uomo a trovare in Dio il senso della vita e della dignità umana.

 

 

MERCOLEDI’ 4 SETTEMBRE 1996

"Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere". (1Cor. 3,7)

Paolo è ben consapevole dei ruoli nella storia della salvezza: E’ Dio che ama e che salva e che chiede ad altri uomini di diventare suoi collaboratori perchè la sua salvezza possa giungere. Ciascuno di noi, nel cammino della fede, è stato aiutato da tante persone e dobbiamo essere grati loro, ma il dono ci è stato fatto da Dio. Se noi ci fermiamo alle persone rischiamo di dividere la Chiesa in tante chiesuole che poi si mettono in alternativa e qualche volta lottano addirittura tra loro. Se noi consideriamo che è il Padre che ci vuole salvi, che è Gesù che è morto in croce per noi, che è lo Spirito Santo ad operare in noi, allora davvero scopriamo quanto Dio ci ama e in Lui troviamo anche l’unità tra di noi.

 

 

GIOVEDI’ 5 SETTEMBRE 1996

"Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò la rete". (Lc. 5,5)

"Padre, voglio molto bene a mio marito, sono anni che prego, anni che cerco di convincerlo ad andare in chiesa, ma purtroppo non cambia niente". "Sono un parroco di un piccolo paese e sono lì da più di vent’anni. Mi sono dato da fare: predicazione, visita alle famiglie, carità, oratorio.., ma dopo tutto questo tempo, in chiesa vengono solo le stesse persone che venivano quando sono arrivato". Due delle tante esperienze dei nostri insuccessi. Anche Pietro, pescatore esperto, aveva faticato tutta la notte per... "pescare acqua", ma riesce a dire: "Sulla tua parola getterò la rete" e non solo avviene la pesca miracolosa, ma addirittura lui viene pescato da Gesù e fatto apostolo. E’ proprio nel momento dell’insuccesso e dello scoraggiamento che bisogna fidarsi della sua parola e di Lui. Bisogna lasciarci pescare da Lui proprio nel momento in cui cominciamo a disperare di noi stessi: è il momento più favorevole!

 

 

VENERDI’ 6 SETTEMBRE 1996

"Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccano ad un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio". (Lc, 5,36)

Gesù, con questo paragone, vuoi metterci in guardia contro un certo atteggiamento religioso che non sa conoscere il piano di Dio e che confonde religiosità e tradizioni con fede. La religiosità è una buona cosa se ci aiuta a manifestare la fede; diventa invece un controsenso quando non ci permette di vedere più il progetto di Dio, legandoci solo ad atti formali che impediscono di trovare la vera fede. Così pure è sbagliato e rischioso voler semplicemente rattoppare insieme fede e tradizioni, in quanto, spesso, una elimina l’altra: provate a pensare, ad esempio, a certe processioni che ormai sono diventate spettacolo folcloristico e null’altro, o la partecipazione di certe persone a matrimoni e sepolture che è tutto fuorché di fede. Gesù è la grande novità, non si può mettere il Figlio di Dio sullo stesso piano di certe tradizioni o ciarlatanate.

 

 

SABATO 7 SETTEMBRE 1996

"Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?". (1Cor. 4,6—15)

Come è facile travisare il senso delle cose! Uno pensa di essere ricco se ha un buon conto in banca, un altro pensa di essere arrivato se ha conquistato un posto di potere; uno dice di "essersi fatto da sé", l’altro si considera più per quello che ha che per quello che è. E pensare che nulla è nostro in maniera definitiva. La vita non è mia nel senso che non sono io a determinarla, la salute posso curarla ma non dipende da me, i denari possono servirmi, il potere può piacermi, ma sono sempre relativi perché passano. Eppure ogni giorno la vita mi viene data, la possibilità di amare donata, la fede e la possibilità di eternità proposta. Se imparassi che niente è mio possesso, ma tutto mi è donato, come sarebbe più facile donare!

 

 

DOMENICA 8 SETTEMBRE 1996 – 23^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A

"Se il tuo fratello commette colpa, va e ammoniscilo". (Mt. 18,15)

Gesù oggi parla di correzione fraterna. Ora questa può avvenire perché si è fratelli. Si ammonisce perché si ama. La correzione non può mai essere una inconscia vendetta o un mascherare un istinto di superiorità. Deve stare a cuore unicamente il bene del fratello. Perciò in essa deve esserci sempre verità e carità insieme, il peccato va denunciato, condannato ma il peccatore va capito, accolto, perdonato, protetto, amato. E se non si viene ascoltati? Gesù annuncia tutta una serie di passaggi (incontro personale, con dei testimoni, attraverso l’intervento della comunità) prima dell’esclusione. E anche quando si arriva a questa, essa è unicamente per il bene della persona o per salvaguardare la comunità dal male. E se si dovesse diventare "nemici"? E’ ancora Gesù che ci invita a pregare per i nemici. Quando si prega davvero per una persona, l’odio non può attaccare le sue radici su di noi.

 

 

LUNEDI’ 9 SETTEMBRE 1996

"Gli scribi e i farisei lo osservavano". (Lc. 6,7)

Possono esserci tanti modi di "osservare" Gesù: quello degli scribi e dei farisei che lo osservano per prenderlo in fallo; quello dei curiosi che vogliono vedere qualche miracolo; quello delle persone interessate a Gesù per poterlo in qualche modo sfruttare e tirare dalla loro parte; quello degli apostoli che imparano da Gesù per la loro vita e missione. Anche oggi, noi, possiamo "osservare" Gesù in modi molto diversi. C’è chi studia il Vangelo e osserva i cristiani solo per aver motivo di poterli prendere in contropiede. C’è chi osserva Gesù solo in certe occasioni per poter ottenere qualche grazia; c e chi lo osserva da spettatore, magari meravigliato, ma si prende ben guardia dal lasciarsi coinvolgere da Lui; c’è chi lo osserva per interrogarsi, c’è chi guarda a Lui per imitarlo, c’è chi vede in Lui l’unico Salvatore. E’ importante "osservarlo" ma ancor più importante "ciò che Lui ci dice".

 

 

MARTEDI’ 10 SETTEMBRE 1996

"E ne scelse dodici, ai quali diede il nome di Apostoli". (Lc. 6,13)

Il titolo di apostolo non fu esclusivo dei Dodici: nel Nuovo Testamento è applicato anche ad altri, come S. Paolo, Barnaba e i primi missionari del Vangelo. Anche ogni cristiano è apostolo nella misura in cui serve la missione della Chiesa e testimonia Cristo con la sua vita e la sua parola. Gesù continua a chiamare all’avventura della fede e alla sua sequela uomini e donne di ogni razza e condizione. Nel giorno del nostro battesimo, Cristo ci chiamò per nome, come fece con gli apostoli, a vivere con Lui e a seguire i suoi passi e a comunicare la fede agli altri. Noi siamo eredi del passato, e il futuro erediterà il nostro presente. Siamo eredi della fede bi millenaria degli apostoli attraverso generazioni di cristiani che credettero in Cristo e lo seguirono al ritmo quotidiano delle sofferenze e delle speranze dell’umanità. E le prossime generazioni riceveranno questa fede da noi. Pertanto nessuno è insignificante nel disegno di Dio. Situati a metà tra passato e futuro, la nostra responsabilità di credenti e testimoni ci impone di non far spegnere la fiaccola della fede nelle nostre mani per essere capaci di passare il testimone a quelli che ci rileveranno nella corsa.

 

 

MERCOLEDI’ 11 SETTEMBRE 1996

"Beati voi, poveri... Guai a voi ricchi..". (Lc. 6,20.24)

Ogni volta che incontro la pagina del Vangelo delle Beatitudini, insorge dentro di me una parola: "Impossibile". Di poveri ne incontro tutti i giorni: poveri senza casa che dormono sulle panchine, anche d’inverno; poveri di capacità che non sanno gestirsi; poveri di cibo che vanno a raccattare da mangiare nei bidoni della spazzatura; poveri di sentimenti; poveri di sa. Sono beati? Il più delle volte sono disperati quasi sicuri che non verranno fuori da quella spirale di degrado. Se mi è più facile capire che il denaro non dà felicità, mi è molto difficile capire che la povertà sia una fonte di beatitudine. Allora le Beatitudini che cosa vorranno dire? Credo vogliano parlarci di atteggiamenti che poi si concretizzano in fatti. E’ beato chi si fida non di se stesso, delle sue cose ma di Dio, chi ripone la fiducia e la speranza non negli averi ma in Colui che tutto dona, non nelle sicurezze terrene ma in Colui che riesce a trasformare in grazia anche la sofferenza. Solo se vissuta in questo senso la povertà, qualunque essa sia, diventa mezzo più che favorevole della salvezza e quindi fonte di felicità e beatitudine.

 

 

GIOVEDI’ 12 SETTEMBRE 1996

"Siate misericordiosi, come e misericordioso il Padre vostro". (Lc. 6,36)

Le beatitudini di Gesù non sono per i pusillanimi, gli apatici, i rassegnati o i fatalisti, sono per i valorosi, per i pazienti e tenaci che decidono di rompere la spirale dell’odio e della vendetta con un amore smisurato. Sono per coloro che prendono a modello non semplici ideali, ma Dio stesso. Ci vuole coraggio e direi anche un po’ di pazzia per agire così. E’ andare controcorrente, è lasciare da parte le ragioni della gente "ragionevole", sicura di se stessa, sensata e prudente per lanciarsi con Cristo nel mare dell’avventura evangelica dell’amore, arrischiandosi a farlo senza misura né ricompensa ma fidandosi unicamente di quel Dio misterioso che è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.

 

 

VENERDI’ 13 SETTEMBRE 1996

"Io dunque corro, ma non come chi è senza meta". (1 Cor. 9,26)

Paolo, invitando i Corinti a purificare la propria fede, li richiama ad aver chiara la meta e lo scopo del loro agire. Non basta dirsi cristiani per esserlo. Non basta darsi da fare per essere capaci di amare. Non basta correre ma bisogna avere una meta. Verso che cosa corro? Qual è la meta della mia vita? Corriamo verso la morte o verso la vita? verso il denaro o verso l’amore? verso il piacere, lo spremere la vita finché si può o verso il senso della vita? verso la religiosità o verso Gesù Cristo? Quando mi faccio queste domande, scopro di aver bisogno di riflessione, di fermarmi per ristabilire la meta della corsa, perché mi accorgo di fare molte cose, anche buone ma non sempre indirizzate sulla strada giusta; per stare ad un’altra espressione della lettera ai Corinti "mi trovo a far pugilato, ma come uno che batte l’aria".

 

 

SABATO 14 SETTEMBRE 1996

"Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce". (Fil. 2,8)

Parlare di croce è un discorso sempre difficile. La croce è segno di sofferenza. E’ solo l’amore dì Gesù che riesce a trasformare questo segno di cattiveria, di dolore in donazione e grazia. Il Dio della vita, della gioia si consegna nelle nostre mani, diventa l’ultimo, il sofferente che raccoglie tutte le sofferenze degli uomini. Ma tutto questo è solo per amore, per aprirci alla speranza di un Dio misericordioso e per comunicarci la certezza che il male, la sofferenza, la morte sono un passaggio verso il bene, la gioia, la vita. Guardare alla croce di Cristo, portare la croce con Cristo significa soffrire con Cristo, non come chi non ha speranza, significa morire con Cristo al male, significa fidarsi con Cristo del Padre, abbandonarsi nelle sue mani. Quanta sofferenza sprecata nel mondo, subita passivamente, odiata... Con Cristo, invece, la sofferenza può diventare redenzione, speranza, carità, fede.

 

 

DOMENICA 15 SETTEMBRE 1996 – 24^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

"Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno?". (Mt. 18,33)

Noi andiamo a confessarci e riceviamo il perdono di Dio, ma il pane del perdono è da gustare insieme, ossia da offrire e ricevere. Troppe volte noi dimentichiamo che il perdono che riceviamo è un perdono anche da donare. "Non dovevi anche tu.." . Ecco l’equivoco grossolano del servo che si era visto condonare quel debito spaventoso, e poi si era dimostrato intrattabile, fiscale, severo fino alla spietatezza, nei confronti del proprio compagno che gli doveva una somma relativamente modesta. Non ha intuito che non aveva diritto di consumare egoisticamente l’assoluzione ottenuta, ma doveva a sua volta concederla all’altro. L’assoluzione non è solo da ricevere ma dobbiamo anche regalarla e facendo questo diventiamo imitatori di Dio.

 

 

LUNEDI’ 16 SETTEMBRE 1996

"Signore, non stare a disturbarti, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto". (Lc. 7,6)

Ogni volta, prima di ricevere la Comunione, noi ripetiamo questa frase del centuriore romano. E’ una frase di grande fede che presuppone riconoscenza ed umiltà. In fondo diciamo a Dio che ci fidiamo di Lui anche in mancanza di sicurezze materiali. Oggi c’è quasi una ossessione di avere sicurezze. Si esige e si offre sicurezza per tutto: malattie, incidenti, invalidità, pensione, disoccupazione, casa, automobile, viaggi... Anche sul piano della fede vorremmo sicurezze. Mai come oggi, in una società materialistica, c’è tanta sete di straordinario e di miracoli; basta una presunta apparizione per attirare folle mentre, magari, la domenica le chiese sono semivuote. Il centurione invece ci dimostra che l’unica sicurezza è fidarsi della Parola, a quella parola dobbiamo firmare una polizza in bianco; in questo sta la fede che, come dice la lettera agli Ebrei, "è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono".

 

 

MARTEDI’ 17 SETTEMBRE 1996

Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: "Non piangere". (Lc. 7,13)

Sovente nel Vangelo vediamo Gesù che ha compassione. Direi che il Vangelo stesso è la compassione di Dio per questa umanità. Compassione fatta non da un falso pietire che fa dire "poveretto" davanti alle sofferenze del nostro prossimo ma che non ci sprona a portare con lui le sue prove e a fare qualcosa per levarle. Gesù, davanti alla vedova di Nain che porta in sepoltura il suo unico figlio sente compassione, le dice "non piangere", tocca la bara (da notare che secondo la legge ebraica con questo gesto Gesù si rende impuro) e poi fa risorgere il ragazzo. Sono i gesti dell’amore cristiano. Bisogna prima di tutto avere occhi per vedere le sofferenze degli altri e quindi non tirar dritto, far finta di non vedere, girare al largo. Poi bisogna sentire sulla nostra pelle la sofferenza degli altri, incoraggiare, ascoltare e poi darsi da fare per quello che si può. E non nascondiamoci di nuovo dietro al fatto che "non sappiamo fare i miracoli", Il miracolo dell’amore condiviso lo possiamo fare tutti.

 

 

MERCOLEDI’ 18 SETTEMBRE 1996

"Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia". (1 Cor. 13,12)

Penso che ciascuno di noi spesso, nella sua preghiera, abbia chiesto al Signore la luce. Vorremmo vedere chiaramente, vorremmo conoscere qual è la volontà di Dio su di noi, vorremmo poter penetrare più a fondo i misteri della vita, del dolore, della morte, vorremmo conoscere e vedere la presenza di Dio nella nostra vita. Tutto questo possiamo farlo solo attraverso la fede e siccome questa è sempre debole, noi vediamo, come dice S. Paolo, in maniera confusa. Ma non manca a noi la speranza che presto queste ombre cederanno posto alla luce più piena. Ce lo dimostrano i santi, che pur in mezzo alle difficoltà non hanno perso di vista la meta, quella meta "che non delude", dove i nostri occhi "vedranno Dio faccia a faccia", dove "Dio prenderà dimora con loro, ed essi saranno il suo popolo e Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi, e la morte non ci sarà più, né vi sarà più lutto, né lamento, né dolore"

(Ap. 21 ,4).

 

 

GIOVEDI’ 19 SETTEMBRE 1996

"La tua fede ti ha salvata, va in pace". (Lc. 7,50)

Colpisce nei Vangeli il fatto che dopo le guarigioni o il perdono dei peccati, Gesù sottolinei sempre il fatto che il miracolo o il perdono è avvenuto non tanto per la potenza di Dio ma per la fede del ricevente. E’ infatti la fede profonda in Colui che può salvarci che apre la strada alla grazia, è il riconoscere la nostra incapacità a salvarci da soli, è il fidarci dell’amore di Dio, è compiere un gesto che manifesti questa nostra fiducia che apre la porta a Dio per la nostra liberazione. A questo punto Dio interviene, non aspetta altro, non desidera altro che la nostra salvezza. Dio è sempre per il perdono, perché in Cristo si è schierato dalla parte dell’uomo. Il miracolo del perdono è grazia di Dio ma è solo la fede amorosa che ne apre la porta.

 

 

VENERDI’ 20 SETTEMBRE 1996

"C’erano, con Gesù, i Dodici e alcune donne". (Lc. 8,2)

La promozione della donna da parte di Cristo, come vediamo nel Vangelo di oggi, è uno dei segni del Regno di Dio perché nella società ebraica di allora, la donna, oltre ad essere un’emarginata sociale, era come un povero anche davanti alla religione. Gesù passando sopra ai pregiudizi del giudaismo rabbinico restituì alla donna il posto che le spetta nel piano di Dio, secondo la sua dignità personale, identica a quella dell’uomo. Purtroppo ancor oggi c’è molta strada da fare sia nella società che nella Chiesa affinché la donna e la femminilità siano rispettate e valutate nella giusta misura. Già Santa Teresa d’Avila scriveva così; "O mio Creatore, quando peregrinavi quaggiù sulla terra non aborristi le donne, anzi le favoristi sempre con molta benevolenza e trovasti in loro tanto amore e più fede che negli uomini. Perché dunque il mondo ci tiene così isolate? Quando guardo questi nostri tempi non trovo giusto che vengano sottovalutati animi virtuosi e forti, per il. solo fatto che appartengono a delle donne".

 

 

SABATO 21 SETTEMBRE 1996

Gesù, passando, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte e gli disse: ‘Seguimi" Ed egli si alzò e lo seguì". (Mt. 9,9)

Matteo sente la chiamata di Gesù, si alza, lascia il suo banco di cambiavalute e si mette a seguire il Maestro. Spesso succede il contrario: è più facile trovare un "chiamato" dietro a una scrivania che non in mezzo alla gente. Ci suggerisce don Pronzato: Forse oggi occorrerebbe apporre una variante al testo evangelico: "Passando, Gesù vide quelli che aveva chiamato chini sul loro banco a scrivere documenti, libri, articoli, tracciare piani pastorali, definire programmazioni, preparare discorsi, fare conti, organizzare dibattiti, studiare strategie... e disse loro: "Non mi avete capito... Io volevo altro da voi". Matteo, aiutaci ad abbandonare le comode scrivanie. Facci comprendere che il Vangelo non cammina con le gambe dei sedentari, né tantomeno con le gambe dei tavoli.

 

 

DOMENICA 22 SETTEMBRE 1996 – 25^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A

"Cercate il Signore.. . "I miei pensieri non sono i vostri pensieri...". (Is. 55,6.8)

C’è modo e modo di cercare. Non tutte le ricerche sono corrette. C’è chi dice di cercare Dio, ma in realtà cerca altro. Si può cercare Cristo per motivi sbagliati, secondo una mentalità distorta rispetto alla linea della sua missione. Quindi bisogna sempre verificare i motivi della ricerca e bisogna anche controllare se la nostra ricerca, per caso, non si è affievolita per la strada o ha perso slancio e ampiezza. E poi, nel nostro cercare ci vuole umiltà: di Dio non capiremo mai tutto, i suoi pensieri sono più alti dei nostri. Credente è colui che si rende conto delle distanze, è colui che diventa consapevole della distanza tra la propria testa "piccina" e il mondo di Dio; tra il proprio cuore "giudizioso" e l’amore folle di Dio; tra il proprio occhio "invidioso" e la bontà scandalosa di Dio.

 

 

LUNEDI’ 23 SETTEMBRE 1996

 

"Non dire al tuo prossimo: "Va, ripassa, te lo darò domani", se tu hai ciò che ti chiede". (Pro. 3,28)

Tra i tanti amici che bussano alla porta della parrocchia ogni settimana, ho sentito ripetere sovente storie come questa. "Sono andato in parrocchia a chiedere aiuto, mi hanno detto che dovevo andare alla Caritas, alla Caritas mi hanno mandato dall’assistente sociale, li ho dovuto prenotare l’incontro, mi ha fatto aspettare 8 giorni e poi mi ha detto che non dipendeva da lei perché sono senza fissa dimora.. ." E la trafila continua un po’ come è successo a Gesù che, arrestato, condannato dai capi del suo popolo, viene prima portato dai Sommi sacerdoti, poi mandato da Pilato, che lo manda da Erode, che lo rimanda da Pilato... tutto per uno che intanto era già condannato. Gesù ci ha detto: "Il tuo parlare sia sì sì, no no. Se vuoi e se puoi aiutare un tuo fratello, fallo, se non puoi o non vuoi, non illuderlo, non cercare di scaricartelo con delle scuse".

 


MARTEDI’ 24 SETTEMBRE 1996

"I piani dell’uomo diligente si risolvono in profitto". (Prov. 21,5)

C’era una volta un re grande e sciocco il quale si lamentava che il terreno ruvido gli faceva male ai piedi. Allora ordina che tutto il paese venisse tappezzato di pellame. Il buffone di corte rise quando seppe dell’ordine dato dal re. "Che idea folle, Vostra Maestà", esclamò. "Perché sprecare così tanto denaro? Basterà che tagliate due piccole pezze con cui proteggervi i piedi". Il re seguì il consiglio del buffone. Fu così che nacquero le prime scarpe. Fu così che nacque l’uomo saggio che ha capito che prima di cambiare il mondo, deve cambiare se stesso.

 

 

MERCOLEDI’ 25 SETTEMBRE 1996

"Gesù chiamò a sé i Dodici... e li mandò ad annunziare il Regno di Dio e a guarire gli infermi". (Lc. 9,1—2)

La missione a cui Gesù manda non è una prerogativa dei vescovi e dei preti ma è un qualcosa che dovrebbe essere proprio di ogni cristiano. Tutti, come discepoli di Gesù possiamo e dobbiamo essere evangelizzatori. E non c’è neppure bisogno di sentire la vocazione di andare nel terzo mondo. C’è spazio per l’apostolato molto vicino a noi, nel nostro stesso ambiente: i genitori rispetto ai figli, gli sposi tra loro, i familiari, i vicini, le amicizie, i colleghi di lavoro. Ma come evangelizzare? Non c’è bisogno di pronunciare sermoni per fare proseliti. Oggi, più che di conquista si parla di presenza e di testimonianza. Ciò di cui ha più bisogno il Vangelo è di testimoni che lo vivano attraverso l’amore per i fratelli.

 

 

GIOVEDI’ 26 SETTEMBRE 1996

Erode sentì parlare di tutto ciò che accadeva e diceva: "Chi è dunque costui del quale sento dire tali cose?". (Lc. 9,7.9)

Come è difficile capire i segni di Dio per chi è attaccato alle realtà terrene. Erode aveva avuto modo di vedere i segni di Dio. Giovanni il Battista gli aveva parlato a nome di Dio e lui lo aveva fatto uccidere; ora sente parlare di Gesù, dei suoi miracoli ma questo suscita in lui soltanto curiosità. Erode, mi sembra il prototipo di molti, oggi, davanti al religioso. C’è molta curiosità: i giornali e le televisioni danno spazio a notizie religiose ma molto spesso a quelle esteriori: fanno notizia le Madonne che piangono, gli esorcisti, il comportamento dei preti, le sette più fantastiche... ma tutto si ferma alla superficie. Nei vari salotti televisivi si parla di fede, si fanno statistiche, si discute di sesso degli angeli ma in maniera asettica, senza alcun coinvolgimento, e quando raramente qualcuno ha il coraggio di professare la fede lo si guarda come ad una mosca bianca e si glissa subito passando ad altro argomento. Non c’è da stupirsi se questi vari Erode al momento buono arriveranno a condannare Gesù. Gesù passa anche oggi vicino a noi, ci parla, compie ancora miracoli, ma se dalla curiosità non passiamo alla fede c’è il rischio di non incontrano, anzi addirittura di farlo fuori.

 

 

VENERDI’ 27 SETTEMBRE 1996

"Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo". (Qo, 3,1)

Prenditi tempo per pensare, perché questa è la vera forza dell’uomo, Prenditi tempo per leggere, perché questa è la base della saggezza. Prenditi tempo per pregare, perché questo è il maggior potere sulla terra. Prenditi tempo per amare ed essere amato, perché questo è il privilegio di essere nato uomo. Prenditi tempo per ridere perché il riso è la musica dell’ anima. Prenditi tempo per dare, perché domani avrai solo quello che hai dato. Un anziano, ricoverato in ospedale con le due braccia ingessate e una gamba in trazione, era sempre allegro e scherzoso. Quanto tempo pensate di rimanere così?" gli domandavano. "Soltanto un giorno alla volta", rispondeva.

 

 

SABATO 28 SETTEMBRE 1996

"Sta lieto, o giovane, nella tua giovinezza, e si rallegri il tuo cuore (Qo. 11,9)

Anche oggi, guidati dal Qoelet, continuiamo la nostra riflessione sul valore del tempo con una preghiera di J. Guitton:

Insegnami, o Dio, a usare bene il tempo che tu mi regali.

Insegnami a prevedere senza tormentarmi

e a sognare l’avvenire sapendo che non sarà come lo immagino oggi.

Insegnami ad agire senza lasciarmi soffocare dall’ansia e dalla fretta.

Insegnami ad unire la serenità all’impegno, lo zelo alla pace.

Aiutami quando inizio perché è allora che sono debole.

Vigila sulla mia attenzione quando lavoro.

E, soprattutto, completa tu ciò che manca alle mie opere.

 

 

DOMENICA 29 SETTEMBRE 1996 – 26^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A

Il padre disse al figlio: "Va oggi a lavorare nella vigna". Ed egli rispose: "Sì, signore; ma non ci andò". (Mt. 21,28—29)

La situazione descritta nella parabola può avere diverse applicazioni. Eccone una. C’è il cristiano che dice sì a Dio, nel campo della morale sessuale, nella difesa delle tradizioni religiose, nelle pratiche devote, nell’obbedienza ai superiori. Proclama a squarciagola, in ogni occasione, la propria appartenenza alla Chiesa, ne difende i diritti, si batte intrepidamente per tutte le cause "buone". Ma poi si mostra duro col prossimo. Non esita a ferire, umiliare, disprezzare. Ecco la copia del figlio della parabola che dice "sì" e fa "no". Il rifiuto ad amare, a rispettare l’altro, annulla tutti gli altri sì. Possiamo anche illuderci di lavorare in tanti campi per il Signore. Ma se non operiamo nel terreno della carità, la vigna del Padre rimane incolta.

 

 

LUNEDI’ 30 SETTEMBRE 1996

Disse Giobbe: "Nudo uscii dal seno di mia madre e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore".

(Gb. 1,21)

La figura di Giobbe con i suoi interrogativi e la sua fede mi permette, oggi, di proporre una parabola, forse difficile ma stimolante, di Pino Pellegrino: "Non ho chiesto niente, non ho voluto niente. Già l’ho detto e lo ripeto: ma chi sono io che nasco senza saperlo e muoio senza volerlo? Nebbia è la vita! Ebbene, Tu che stabilisci le rotte degli uccelli, dammi o Dio significazione!". E Dio vide che l’uomo non ne poteva più e si ribellava. Allora disse: "Oh, bella la testa che batte contro le stelle! Bella e immensa! La difficilissima anima umana non nasce dai punti fermi: dai punti interrogativi nasce! Se non sei visitato dalla domanda, la risposta non ti sorprenderà mai! Finché sei inquieto, puoi star tranquillo! O Uomo, non dispensarti dal pensare, dal gridare... Passerà la nebbia, arriverà la luce... Allora ma solo allora capirai che io firmo tutto: firmo i fiori e i cardi, firmo la nascita e la morte, firmo i pesci rossi e i serpenti, firmo la rosa e le spine... Allora ma solo allora capirai e sorriderai!".

     
     
 

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