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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA

PAROLA DI DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

APRILE 1996

 

LUNEDI’ 1 APRILE 1996

Disse Giuda: "Perché quest’olio profumato non si venduto per trecento denari per poi poterli dare ai poveri?". (Gv. 12,5)

Spesso sono anch’io come Giuda: mi risulta difficile capire il gratuito, tutto ci8 che non rientra nella categoria del dare e dell’avere. Persino nella carità ai poveri vorremmo che tutto fosse calcolato. Gesù, invece, essendo lui povero, amando i poveri, ma conoscendo i cuori, accetta "lo spreco" che Maria fa di quel prezioso unguento perché vede l’amore di quel gesto e lo legge come anticipo della sua morte. Quanto vorrei imparare a conoscere e apprezzare il tanto gratuito che mi viene dato e quanto vorrei essere meno calcolatore e aver la gioia di imparare a donare gratuitamente. In fondo, tutto quello che ho, a cominciare dalla vita stessa, è gratuito, e che cosa c e di più bello che poter rendere serena una persona? E non c'é bisogno di avere "cose preziose" per far felici gli altri. Spesso basta un sorriso, un’accoglienza sincera e simpatica, una parola di incoraggiamento. Oggi, io e voi, avremo tante occasioni di donare gratuitamente, senza calcoli. Vogliamo cercare di non perderci queste occasioni di gioia per noi e per gli altri?

 

 

MARTEDI’ 2 APRILE 1996

"Uno di voi mi tradirà". (Gv. 13,21)

Gesù ripete, oggi, a noi questa frase. E noi, come gli apostoli, cominciamo a guardarci sospettosi e poi iniziamo la ricerca del colpevole: sarà quel prete che sì è spretato? sarà quell’uomo che ha approfittato del denaro di quella iniziativa a favore dei poveri? sarà il mafioso che uccide per denaro?... Attenzione: c’è anche un’altra possibilità sempre aperta: posso essere io! Gesù si mette sempre nelle nostre mani e noi abbiamo la meravigliosa e tremenda possibilità di accoglierlo o di rinnegarlo e tradirlo. E se anche, magari non lo abbiamo rinnegato definitivamente, quanti piccoli tradimenti! Quante volte ho preferito "far bella figura" piuttosto che annunciarti, quante volte ho tradito te, povero che bussavi alla mia porta, quante volte ho preferito non ascoltare un tuo richiamo, quante volte ti ho venduto pur di non compromettermi...

Tu, o Gesù, mi dici questa frase per mettermi in guardia, per evitarmi i giudizi fondati sul puntare il dito, per impedirmi l’orgoglio e per ricordarmi la possibilità meravigliosa di accoglierti.

 

 

MERCOLEDI’ 3 APRILE 1996

"Dove vuoi che ti prepariamo per mangiare la Pasqua?". (Mt. 26,17)

Non è un caso che "l’ora" di Gesù coincida con la festa della Pasqua. Essa era la festa principale degli Ebrei, ricordava la liberazione dalla schiavitù, il passaggio del Mar Rosso, lo scampato pericolo dall’Angelo della morte attraverso il sangue dell’Agnello che aveva segnato lo stipite delle porte delle case degli ebrei. In Gesù, si compie per il cristiano la liberazione definitiva, la morte non ha più potere, il regno di Dio si compie grazie al sangue di Gesù, l’Agnello innocente immolato. E Gesù è conscio di tutto questo, non subisce solamente gli eventi, è disposto positivamente a dare la sua vita per noi. Noi quindi siamo dei liberati chiamati, come Cristo, a lottare per la liberazione dal male, dalle oppressioni, dalla miseria.

 

 

GIOVEDI’ 4 APRILE 1996

"Questo è il mio Corpo... Questo è il mio Sangue versato per voi". (2Cor. 11,24—25)

Nel suo libro: "Scritto sulla neve" don Carlo Chiavazza narrò il suo incontro con don Carlo Gnocchi durante la terribile ritirata in Russia dove morirono migliaia di soldati: "La notte del 27 gennaio 1943 le ore di sosta le passai in buona parte con don Gnocchi in un’ isba calda ed affollata. Dormimmo poco perché avevamo tante cose da dirci" Verso le quattro del mattino, don Chiavazza che si era addormentato fu svegliato da don Carlo: "Senti, vuoi fare la Comunione?" "Che cosa dici?" "Dico la Comunione!" Si svegliò di colpo: "Ma tu hai con te il Santissimo?" "L’ho sempre portato con me. Me ne rimane solo un piccolo frammento, ma per due basta. Oggi finalmente saremo fuori dal pericolo, vedi il Signore è sempre stato con noi, ha camminato con gli alpini. Non ti pare bello? il calvario degli alpini è stato il suo calvario. Accoglieva i caduti, confortava i combattimenti, era la mia forza . I due cappellani pregarono in silenzio, poi si comunicarono. Il Redentore portava l’augurio vecchio e nuovo di una realtà sconvolgente: "lo vi ho amato e resterò con voi, sempre".

 

 

VENERDI’ 5 APRILE 1996

Pilato disse loro: "Prendetelo voi e crocifiggetelo". (Gv. 19,6)

Ormai il giudizio è fatto. Pilato è un vile, un pauroso. Ha più paura di una rivolta, di rischiare il suo posto che di commettere un’ingiustizia. Gesù diventa così il simbolo di tutta l’umanità tradita dai suoi capi, ingannata dai suoi maestri, crocifissa dai re che divorano i sudditi, dai ricchi che fanno piangere i poveri. Ma non puntiamo solo il dito sugli altri, spesso siamo noi che giudichiamo i nostri fratelli, che consideriamo quell’uomo inaffidabile perché secondo noi ha già sbagliato, che distribuiamo etichette con tanta facilità, che facciamo pesare sugli altri la nostra supposta superiorità culturale... Il giudizio è fatto. Come Pilato possiamo complimentarci con noi stessi per la nostra astuzia nell’aver condotto questo caso spinoso, come lui possiamo lavarci le mani.., intanto ad eseguire la condanna ci pensano altri.

 

 

SABATO 6 APRILE 1996

"Non è qui". (Mt. 28,6)

Come le pie donne sovente anche noi andiamo a cercare Gesù nel posto sbagliato. I cristiani per quel sepolcro vuoto hanno fatto le guerre, ma Gesù non è lì. Certe nostre riunioni parrocchiali che sanno di conventicole segrete, dovrebbero essere per qualcuno il meglio della presenza del Signore ma Gesù non è lì perché quelle persone non sono riunite nel suo nome ma in nome di interessi personali. Certe celebrazioni sfarzose, piene di preghiere e canti altisonanti ma che non portano alla carità e alla concretizzazione dell’amore di Cristo per i poveri, ci gridano: Cristo non è qui! perché Egli è là dove è il povero, il sofferente, l’operatore di giustizia e di pace... Cristo non è nella tua preghiera stantia, piena di verbalismo e di abitudine dove tu pure stenti ad incontrarti con te stesso. Cristo non va cercato nella tomba: "Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi

 

 

DOMENICA 7 APRILE 1996 – DOMENICA DI PASQUA

"Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro". (Gv. 20,4)

Ci aiuta un commento di H. Urs Von Balthasar:

Correvano tutti e due insieme. Ma l’altro discepolo fu più svelto di Pietro e arrivò per primo al sepolcro. Entrambi corrono più in fretta che possono, ma nella chiesa l’amore è sempre più veloce del ministero. Si accorge più in fretta di quello che bisogna fare, e si impegna sempre con generosità. Il ministero, anche quando procede con la massima rapidità, non può raggiungere l’amore. Il ministero deve farsi carico di tutti, deve sforzarsi di agire nel modo più uniforme. Non può andare al Signore soltanto con quelli che camminano più in fretta, deve cercare di portare avanti tutti, deve tener conto di tutti, deve sforzarsi di agire nel modo più uniforme. L’amore consiste nella generosità: in questo è più rapido. Il ministero deve verificare. L’amore è personale ma l’amore non è un pazzo che corre in maniera insensata. Entrambi corrono insieme. L’amore rimane in contatto con il ministero e a sua disposizione, ma nello stesso tempo lo trascina.

 

 

LUNEDI’ 8 APRILE 1996

Gesù venne incontro alle donne dicendo: "Salute a voi". (Mt. 28,9)

Uno dei primi frutti della Pasqua lo si vede proprio in queste donne. Gesù appare alle donne, le manda come prime annunciatrici della sua risurrezione. E’ una cosa inaudita per quei tempi in cui la donna non contava nulla. La Pasqua è risurrezione e liberazione e Gesù libera la donna dal confine in cui la società l’ha relegata. Anche oggi impera ancora una mentalità maschilista che spesso ha suscitato reazioni femministe; in questi casi la donna sembra essersi liberata perché ha copiato in tutto, l’uomo. La vera liberazione femminile non sta tanto nella conquista dei ruoli maschili ma nella consapevolezza dei valori insiti nella femminilità e nella loro manifestazione. Faccio un esempio che riguarda noi cattolici: secondo me è marginale discutere umanamente e teologicamente del sacerdozio alle donne, è più importante scoprire che uomini e donne partecipiamo al sacerdozio di Cristo in virtù del nostro battesimo e questo sacerdozio dobbiamo esercitare secondo le caratteristiche di ognuno e secondo i doni ricevuti. La vera Pasqua e liberazione non è conquista ma essere liberati interiormente.

 

 

MARTEDI’ 9 APRILE 1996

Le disse Gesù: "Donna, perchè piangi? Chi cerchi?". (Cv. 20,15)

Molte volte Maria Maddalena ha pianto. Ha pianto i suoi peccati. Ha pianto di gioia quando Gesù l’ha perdonata. Ha pianto con Maria, la mamma di Gesù, ai piedi della croce. Ha pianto quando hanno deposto Gesù nella tomba. Piange anche adesso che non trova più il corpo del suo Signore. Gli uomini spesso considerano le lacrime debolezza. Non è affatto vero se anche Gesù, il Figlio di Dio, ha pianto in diverse occasioni. Le lacrime, come il sorriso, esprimono quello che c e nel cuore. Bisogna solo fare attenzione che le lacrime non ci impediscano di vedere. Qualche volta i nostri occhi sono talmente pieni di lacrime, di desolazione, di dolore, di sofferenze fisiche e morali che la speranza sembra morta. Occorre in questi casi, come Maria, sentirci chiamati per nome da Gesù, e allora si riesce ad alzare gli occhi, si riesce ad intravederlo tra le lacrime, e in Lui si riesce a ritrovare la speranza di Colui che non delude.

 

 

MERCOLEDI’ 10 APRILE 1996

Pietro disse:"Non possiedo né oro né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, cammina". (Atti 3,6)

Quante volte ci troviamo ad essere poveri, ancora più poveri di coloro che ci chiedono qualcosa. Davanti a una sofferenza protratta e inguaribile, davanti a una situazione familiare insanabile, davanti a povertà concrete che non riesci a risolvere, anche noi come Pietro dobbiamo dire: "Non ho oro e argento, non ho parole, suggerimenti, sono impotente!". Da soli non possiamo nulla. Ma sei convinto che c’è Lui? che Lui può tutto? Il povero, l’oppresso hanno bisogno di te, delle tue mani, delle tue parole, ma hanno bisogno soprattutto che tu dia loro, Lui. Non con parole di consolazione ma con fede umile e sincera, Il mondo ha bisogno soprattutto di Dio, non di un Dio facile consolazione, non di un Dio mago solutore dei nostri guai, ma ha bisogno del Dio che accompagna, incoraggia, che rafforza dentro, che fa il miracolo della guarigione del cuore. E allora, anche se hai niente, anche se sei impotente davanti ai dolori del fratello, non dimenticarti di dargli Dio con te stesso, Lui farà quello che tu non sai e non puoi fare.

 

 

GIOVEDI’ 11 APRILE 1996

"Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io". (Lc. 24,39)

Il Risorto è il Crocifisso tornato in vita. La risurrezione non cancella il passato, lo glorifica. E il Cristo glorioso continua ad essere in mezzo a noi nei segni del Crocifisso. Non c’è bisogno di andare in paradiso per incontrarlo. Basta aprire gli occhi per leggere i segni della sua passione e della sua glorificazione, oggi in mezzo a noi, I segni della sua croce li vediamo nei corpi martoriati dalle violenze, dalle guerre, dalle malattie, i suoi dolori li incontriamo negli abbandonati, nei traditi, I segni della gloria sono presenti nella speranza e nell’amore. Cristo è ancora con noi. La sua Incarnazione non è finita, la sua sofferenza non è finita e la sua risurrezione opera ancora il passaggio dalla morte alla vita, dall’egoismo all’amore, dal dolore alla speranza. Ma per incontrare il Crocifisso Risorto bisogna aprire gli occhi della fede.

 

 

VENERDI’ 12 APRILE 1996

"Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane". (Gv. 21,9)

Gesù ha preparato cena per i suoi discepoli. Ancora una volta il Risorto manifesta che la sua venuta nel mondo è per il servizio. E indica anche che la fraternità e la condivisione sono il modo per riconoscere la presenza del Risorto nella nostra vita. Riflettiamo su questo attraverso questo raccontino.

L’Inferno era al completo ormai, e fuori della porta una lunga fila di persone attendeva ancora di entrare. Il diavolo fu costretto a bloccare all’ingresso tutti i nuovi aspiranti. "E’ rimasto un solo posto libero, e logicamente deve toccare al più grosso dei peccatori", proclamò. "C’è almeno qualche pluri omicida tra voi?". Per trovare il peggiore di tutti, il diavolo comincio ad esaminare i peccatori in coda. Dopo un po’ ne vide uno di cui non si era accorto prima. "Che cosa hai fatto tu?", gli chiese. "Niente. Io sono un uomo buono e sono qui solo per un equivoco". "Hai fatto certamente qualcosa", ghignò il diavolo, "tutti fanno qualcosa". "Ah, lo so bene", disse l’uomo convinto, "ma io mi sono sempre tenuto alla larga. Ho visto come gli uomini perseguitavano altri uomini, ma non ho partecipato a quella folle caccia. Lasciano morire di fame i bambini e li vendono come schiavi; hanno emarginato i deboli come spazzatura. Non fanno che escogitare perfidie e imbrogli per ingannarsi a vicenda. Io solo ho resistito alla tentazione e non ho fatto niente. Mai". "Assolutamente niente?", chiese il diavolo incredulo. "Sei sicuro di aver visto tutto?". "Con i miei occhi!". "E non hai fatto niente?", ripeté il diavolo. "No!". Il diavolo ridacchiò: "Entra, amico mio. Il posto è tuo!".

 

 

SABATO 13 APRILE 1996

"Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e udito". (Atti 4,20)

Mi chiedo spesso come mai il cristianesimo sia così "in ribasso" specialmente presso i popoli tradizionalmente cristiani. La colpa non è da attribuirsi certamente al Signore "che vuole tutti salvi" non è neanche da ricercarsi soltanto nella società moderna, che pure pone molte tentazioni, ma penso dipenda in gran parte da noi che non siamo buoni testimoni, contagiosi dell’amore di Dio. Abbiamo avuto la fortuna di conoscere Gesù, abbiamo toccato con mano la sua opera in noi, ma ci teniamo questo dono, non lo lasciamo trasparire dalla nostra vita. Gli apostoli dicono: "Non possiamo tacere". Una gioia che non traluce non è più una gioia. Un giorno domandavo ai bambini del catechismo quali fossero le luci che vedevano in chiesa. "Le lampadine", "le luci delle candele", "la lucetta rossa del tabernacolo", "le finestre".. Un bambino disse: "Gli occhi delle persone! ". Speriamo che gli occhi di tutti i cristiani continuino a dire la luce di Cristo e allora il suo messaggio arriverà fino ai confini della terra.

 

 

DOMENICA 14 APRILE 1996

"Molti altri segni fatti da Gesù non sono scritti in questo libro". (Gv. 20,30)

La curiosità di sapere oltre a quello che ci dicono i vangeli di Gesù, la fantasia di immaginare le sue giornate terrene ha spinto moltissimi antichi e contemporanei a scrivere su ipotetiche parole e miracoli del Salvatore, e non sempre è stata resa giustizia alla Parola incarnata. S. Giovanni, al termine del suo Vangelo ce lo dice chiaro: "Non è stato scritto tutto di Gesù", cioè: "L’incarnazione di Cristo, continua", Gesù continua a scrivere oggi il suo Vangelo di salvezza, lo sta scrivendo nella tua e nella mia vita. Ma solo la fede può far sì che noi possiamo. scrivere con Lui le pagine di salvezza che Lui ha pensato per noi. Questa mattina alzandoti, pensa: Il Signore mette davanti a me la pagina bianca di questa giornata. In essa ci saranno fatti, persone. Gesù sta scrivendo la sua storia, sta offrendomi i suoi doni e mi chiede di offrirgli me stesso per poter scrivere con Lui una pagina di Vangelo vivo. Aiutami, Gesù, a non lasciare bianca questa pagina, aiutami a non macchiarla troppo, fa’ che essa possa portare gioia al Tuo cuore e a tutti coloro che vi entreranno o che la leggeranno.

 

 

LUNEDI’ 15 APRILE 1996

"Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito". (Gv. 3,8)

Nel prato di un giardino pubblico era spuntato un "soffione" di dente di Leone: una sfera leggera, ricamata dalle coroncine di piumette attaccate ai semini. I piccoli semi si dicevano: "Dove andremo a germogliare?" "Solo il vento lo sa". E infatti il vento soffiò. I semi partirono attaccati al loro piccolo paracadute, ghermiti dalla corrente d’aria. Mentre la maggioranza atterrava nella terra buona degli orti e dei prati, uno, il più piccolo fece un volo molto breve e finì nella screpolatura del cemento di un marciapiede. C’era solo un pizzico di polvere. "Ma è tutta mia", si disse il semino. Senza pensarci due volte, si rannicchiò ben bene e cominciò subito a lavorare di radici. Davanti alla screpolatura nel cemento c era una panchina dove spesso si sedeva un giovane. Era un giovane dall’aria tormentata e lo sguardo inquieto. Nubi nere gli pesavano sul cuore e le sue mani erano sempre strette a pugno. Quando vide due foglioline dentate verde tenero che si aprivano la strada nel cemento, rise amaramente: "Non ce la farai! Sei come me!", e con un piede le calpestò. Ma il giorno dopo vide che le foglie si erano rialzate ed erano diventate quattro. Da quel momento non riuscì più a distogliere gli occhi dalla testarda e coraggiosa pianticella. Dopo qualche giorno spuntò il fiore,giallo brillante, come un grido di felicità. Per la prima volta dopo tanto tempo il giovane avvilito sentì che il risentimento e l’amarezza che gli pesavano sul cuore cominciavano a sciogliersi. Rialzò la testa e respirò a pieni polmoni. Diede un gran pugno sulla panchina e gridò: "Ma certo! Ce la possiamo fare!". Non chiedere al Vento perché ti ha portato dove sei. Anche se sei soffocato dal cemento, lavora di radici e vivi.

 

 

MARTEDI’ 16 APRILE 1996

"Il Signore regna, si ammanta di splendore (Salmo 92,1)

Meditiamo la frase di questo salmo con una preghiera trovata nello zaino di un soldato morto nel 1944, durante la battaglia di Montecassino.

Ascoltami, o Dio!

Mi avevano detto che tu non esistevi ed io, come un idiota, ci avevo creduto. Ma l’altra sera, dal fondo della buca di una bomba, ho veduto il tuo cielo. All’improvviso mi sono reso conto che m’avevano detto una menzogna. Se mi fossi preso la briga di guardare bene le cose che hai fatto tu, avrei capito subito che quei tali si rifiutavano di chiamare gatto un gatto. Strano che sia stato necessario che io venissi in quest’inferno per avere il tempo di vedere il tuo volto! lo ti amo terribilmente... ecco quello che voglio che tu sappia. Tra poco ci sarà una battaglia spaventosa... Chissà?... Può darsi che io arrivi da te questa sera stessa. Non siamo stati buoni compagni fino ad ora, e io mi domando, mio Dio, se tu mi aspetterai sulla porta. Ah, se ti avessi conosciuto prima... Andiamo! Bisogna che io parta. Che cosa buffa: dopo che ti ho incontrato non ho più paura di morire. Arrivederci!

 

 

MERCOLEDI’ 17 APRILE 1996

"Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito". (Gv. 3,16)

Tutto era pronto per il giudizio universale. Miliardi di persone erano radunate in una grande pianura davanti al trono di Dio. Ma in molti serpeggiava il malumore. "Può giudicarci Dio? Ma che cosa ne sa Lui della sofferenza?", sbottò una giovane donna ebrea facendo vedere sul suo braccio il numero tatuato di un campo di concentramento nazista. Un giovane nero mostrava le sue ferite: "E che ne dite di queste: linciato! E solo perché ero nero". E molti facevano a Dio dei rimproveri. Poteva il Dio del paradiso beato giudicare uomini che tanto avevano sofferto? Scelsero allora dei rappresentanti per fare le loro rimostranze: un ebreo, un nero, una vittima di Hiroshima, un artritico orribilmente deformato, un bimbo cerebroleso e decisero che Dio, prima di giudicarli doveva essere condannato a vivere sulla terra. "Fatelo nascere ebreo. Fate che la legittimità della sua nascita venga posta in dubbio. Fate che venga tradito perfino dagli amici più intimi. Fate che debba affrontare accuse, che venga giudicato da una giuria fasulla e che venga condannato da un giudice codardo. Fate che sia torturato. Infine, fategli capire che cosa significa sentirsi terribilmente soli. Poi fatelo morire Quando ebbero finito di preparare questo discorso, ci fu un lungo silenzio. Nessuno osò dire una sola parola. Perché improvvisamente tutti si resero conto che Dio aveva già rispettato tutte le condizioni.

 

 

GIOVEDI’ 18 APRILE 1996

"Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa". (Gv. 3,35)

Un momento fondamentale della Messa è la conclusione della grande preghiera Eucaristica quando il sacerdote, alzando pane e vino consacrati li offre al Padre dicendo "Per Cristo, con Cristo, in Cristo.., ogni onore e gloria nei secoli dei secoli", e tutti rispondiamo: "Amen", ci credo, è proprio cosi. E’ Gesù Dio il centro della nostra vita, senza di Lui non possiamo nulla, è il suo sacrificio offerto che ci libera, è la sua preghiera che permette a noi di pregare. Quanto siamo ancora pagani quando pensiamo che siano le mie buone azioni a salvarmi o quando andiamo in cerca di intercessori potenti per le nostre richieste a Dio. In questa epoca strana in cui rigurgitano facili spiritualismi mi è capitato sottomano un libro di "Preghiere agli angeli" dove, facendo riferimento alla Cabala, l’autore trovava un angelo adatto da pregare per ogni tipo di malattia. Sia ben chiaro: agli angeli ci credo, ne parla Gesù, credo anche alla loro protezione nei nostri riguardi, ma mi sembra banale pensare all’angelo dell’artrite o delle emorroidi. E’ Cristo il nostro intercessore ed è venuto per salvare e liberare l’uomo intero e non l’unghia incarnita. La sua preghiera è la sua vita offerta per noi. La sua intercessione è per farci partecipi di Dio, un Dio al quale posso anche parlare dei miei "bubù" ma non perché come il mago buono me li risolva con qualche cataplasma, ma mi aiuti nel bene e nel male a compiere la sua volontà.

 

 

VENERDI’ 19 APRILE 1996

"C’è qui un ragazzo che ha cinque pani e due pesci: ma che cos’è questo per tanta gente". (Gv. 6,9)

Se non ci fosse stato quel ragazzo disponibile a condividere i cinque pani e pochi pesci ci sarebbe stata la moltiplicazione dei pani, avrebbero potuto sfamarsi quei 5.000? Se non ci fosse la generosità nascosta di tanti, potrebbe sussistere il Cottolengo? Dio per fare miracoli ha bisogno di noi. Non importa se hai tanto o se hai poco, importa che tu ne faccia parte. Una malata che vado a trovare ogni mese mi dà abitualmente qualche mille lire, dicendomi: "E’ una goccia, ma tante gocce fanno il mare" ed è proprio grazie a queste gocce che possiamo dare a nostra volta qualche goccia ai circa 150 "passanti" settimanali. Gesù per fare i suoi miracoli chiedeva sempre qualcosa: un po’ di fede, un gesto. Anche oggi per fare i miracoli del corpo e dello Spirito, Gesù chiede qualcosa a me e a te. Diamogli la possibilità di fare ancora i suoi segni di salvezza e scopriremo anche che ogni "miracolo" per gli altri è anche un miracolo per noi.

 

 

SABATO 20 APRILE 1996

"Videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca ed ebbero paura". (Gv. 6,19)

Ci sono persone che cercano facili miracolismi, per le quali tutto ciò che sa di straordinario è desiderato, ricercato ed accarezzato. Ci sono invece persone che davanti allo straordinario restano perplessi, increduli, paurosi. Gesù cammina sulle acque e gli apostoli hanno paura. Devono far salire Gesù sulla barca per rassicurarsi. Il miracolo crea sempre questa duplice situazione. Quindi il miracolo non è ancora la fede e la fede non si fonda esclusivamente sui miracoli. La fede è sempre accettare qualcosa che ci supera, fidarci di Qualcuno per quello che Egli è anche se non capisco bene, anche se c e ancora "timore . Ma se accogli Colui che cammina verso te sulla tua barca, allora la paura passa e lascia il posto alla meraviglia, il "timore" si trasforma in amore. Gesù calma le acque e comincia Lui a dirigere la tua barca.

 

 

DOMENICA 21 APRILE 1996

"Due discepoli erano in cammino da Gerusalemme a Gerico". (Lc. 24,13)

Anche nella nostra vita ci sono strade che vanno da Gerusalemme ad Emmaus, cioè ci sono momenti in cui prevale la delusione, lo scoraggiamento. Vorremmo abbandonare tutto, andarcene lontano. Intanto: a che cosa valgono i miei sforzi se non cambia nulla nella mia famiglia? Intanto: ho pregato, ho chiesto, ma quale è stato il risultato? Intanto: ho sperato, ho creduto e... a che cosa è servito? Spero su quella strada di incontrare quello strano pellegrino che non sembra saper niente, che con le sue domande, i suoi rimproveri, il suo rileggere la storia alla luce di Dio, ci fa "ardere il cuore". Spero di incontrano in quei momenti e di non avere il cuore talmente indurito da potergli almeno fare l’invito: "Resta con me perché non solo si fa sera ma c’è notte nel cuore", al resto penserà Lui e allora si scoprirà anche la strada che da Emmaus riporta a Gerusalemme.

 

 

LUNEDI’ 22 APRILE 1996

"Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?". (Gv. 6,28)

Ci aiuta nell’odierna riflessione un pensiero di un Padre della Chiesa, S. Giovanni Crisostomo:

"Vuoi onorare il Corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto dì disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorario qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre i). freddo e la nudità. Colui che ha detto: "Questo è il mio Corpo", confermando il fatto con la parola, ha detto anche: Mi avete visto affamato e mi avete dato da mangiare (Mt. 25,35) e ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli tra questi, non l’avete fatto neppure a me (Mt. 25,45). Il Corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura. impariamo dunque a pensare e onorare Cristo come egli vuole. Infatti l’onore più gradito che possiamo rendere a Colui che vogliamo venerare è quello che Lui vuole, non quello escogitato da noi."

 

 

MARTEDI’ 23 APRILE 1996

"Il Pane di Dio è Colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo". (Gv. 6,33)

Un Dio che si fa "mangiare" dall’uomo! mi ha sempre meravigliato e stupito un Dio perfetto che per amore della sua creatura, traditrice e infida, accetta di lasciare la sua "beatitudine" per farsi uomo, povertà, peccato. E’ un po’ come una persona che avesse tutto, salute, serenità, gioia, ricchezze, affetti corrisposti, e rinuncia a tutto, diventa povero, sofferente, rischia la vita per dare un po’ di pane a un povero che non sa neppure apprezzare questo dono. O è un matto, o un innamorato! Dio è così per noi: ci ama fino al punto di farsi pane, pane con la sua vita, il suo esempio, pane con la sua Parola e pane concreto nell’Eucaristia. E noi, qualche volta, ci lamentiamo di Dio che e lontano da noi", frignamo quando non otteniamo qualche grazia, non apprezziamo il dono della sua Parola, rinunciamo per qualche banalità alla Messa, riduciamo l’Eucaristia ad un rituale ripetitivo. Siamo degli affamati e soffriamo di inappetenza. Abbiamo il Pane della vita e ci lasciamo morire di inedia.

 

 

MERCOLEDI’ 24 APRILE 1996

"Scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa". (At. 8,1)

Gesù non ha promesso vita facile ai suoi discepoli: "Se hanno fatto così al legno verde" diceva, parlando di se "che cosa non faranno al legno secco?". Il cristiano sa dunque che se vuol essere testimone del Vangelo, ne vedrà i frutti potenti, ma dovrà anche pagare di persona. La persecuzione, infatti, porta i suoi frutti. La persecuzione di Gesù ci ha dato la croce e la risurrezione, la persecuzione dei primi apostoli li ha dispersi e quindi costretti a testimoniare nelle varie parti del mondo allora conosciuto, il sangue dei martiri ha sempre fatto nascere fede. Non è proprio il caso che andiamo a cercarci la persecuzione a causa della fede, ma non stupiamoci se essa arriva, sia essa evidente o subdola: è il prezzo della fedeltà, è spesso la purificazione della fede e, se vissuta con amore, ci avvicina a Cristo Crocifisso per prometterci e farci gustare la sua risurrezione.

 

 

GIOVEDI’ 25 APRILE 1996

"Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili". (1Pt. 5,5)

Mi sono chiesto tante volte che cosa sia l’umiltà. Ne ho avute tante di definizioni, da chi la confonde con la vigliaccheria, a chi si nasconde dietro ad essa per non prendersi degli impegni o per non affrontare una ricerca difficile, fino a quella "umiltà pelosa" che fa dire a qualcuno: "Io non valgo niente" perché gli altri gli possano dire: "Ma no, non è vero!". L’umiltà vera è quella di Gesù che, Lui, Dio, si è fatto uomo e "umiliò se stesso fino alla morte e alla morte di croce", e tutto questo lo ha fatto senza rinnegare la sua divinità e per amore concreto per Dio e per gli uomini. Allora forse umiltà è amore incondizionato alla Verità, è riconoscere la grandezza di Dio, è apprezzare e utilizzare i doni di Dio, è ricercare ma fidarsi di più di chi ricerca te, è non giudicare perché ogni giudizio è di Dio, è perdonare perché Dio è misericordia e perdono. Umiltà è quella di Maria, di Giuseppe che fanno tutto quello che Dio chiede loro, senza troppi interrogativi, ma abbandonandosi a Lui, è quella di S. Marco che ricordiamo oggi e che scrive il suo Vangelo senza la pretesa di essere perfetto, di dire tutto di Gesù, ma offrendo la sua penna al Regno di Dio lasciando che lo Spirito Santo faccia il resto.

 

 

VENERDI’ 26 APRILE 1996

"Paolo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla". (At. 9,8)

Tutta la storia della conversione di Paolo, come quella di ogni conversione, si gioca attorno ai termini "vedere" e "non vedere". Paolo credeva di vederci bene. Era andato alle scuole dei migliori rabbini dei suoi tempi, era coerente con quanto credeva, era zelante al punto di difendere il suo credo religioso cercando di far fuori coloro che si opponevano ad esso... Era sicuro di vederci. Ma quando incontra Gesù diventa cieco, si rialza ma non ci vede più: e crollata la sua scienza, la sua religiosità, la sua sicurezza... Eppure proprio nel momento in cui scopre di essere cieco comincia a vedere qualcosa di nuovo. Spesso ci lamentiamo con Dio di una fede messa alla prova: "Ero così tranquillo, così sereno, così zelante! pregavo così bene, avevo i miei ritiri, i miei tempi... Ma che cosa vuoi da me, Signore?". Eppure, se ci pensi bene, è proprio in quel momento di buio che cominci ad apprezzare la luce, che puoi cominciare a vedere qualcosa. Amico, non ho la pretesa assurda di rivelarti i pensieri di Dio, ma pongo a me e a te questa domanda: "Non ci voleva un po’ di buio per desiderare, ricercare, accettare la luce vera?".

 

 

SABATO 27 APRILE 1996

"Molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui". (Gv. 6,66)

Gesù, pur essendo affascinante come persona e come messaggio, non e persona facile da accogliere, è esigente, dichiara apertamente di essere Figlio di Dio. Alcuni dei discepoli, pur avendo visto i miracoli che comprovano il suo agire, non se la sentono di seguirlo fino in fondo e lo lasciano. Gesù sarà stato certamente dispiaciuto, ma i vangeli non riportano nessuna parola di Gesù contro queste persone. Gesù è una proposta non una imposizione. Seguirlo significa seguire la via della vita, ma tutto dipende da noi. Lui non ci promette facili illusioni, anzi, con chiarezza ci dice della croce. Anche nella giornata di oggi possiamo seguirlo o tirarci indietro. Se lo abbandoni, Lui non ti maledirà, nel suo amore per te sarà solo dispiaciuto che tu abbia perso la strada della vita e sta sicuro che ancora verrà a cercarti. Ma se tu ti fidi di Lui, potrai con Lui affrontare la vita, la giornata e anche se le cose non andranno come tu avresti desiderato, sai che stai camminando con Dio, con la forza non tua ma sua.

 

 

DOMENICA 28 APRILE 1996

"Se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio". (1 Pt. 2,20)

Quando sentiamo parlare di pazienza pensiamo sia una virtù che debba stare di casa unicamente sulla bocca dei vecchi o dei malati, i quali, avendo smarrito lungo la strada i sogni, li avrebbero sostituiti con la pazienza (ma se ci pensiamo bene più che pazienza in questo caso sarebbe rassegnazione). No. La pazienza serve, all’opposto, proprio per non lasciar morire i sogni. Sono soprattutto i giovani che devono munirsi di pazienza, a copertura dei loro ideali più audaci. Senza scorta abbondante di pazienza, si desiste dall’opera dopo il primo insuccesso, si continua a leccarsi le ferite, piagnucolando, dopo il primo incidente, ci si atteggia ridicolmente a vittime dopo un rifiuto, un’incomprensione, ci si abbatte e sgonfia a contatto col più minuscolo ostacolo, la più modesta difficoltà. La pazienza invece ti fa persistere, ricominciare da capo come se fosse la prima volta, non uccide la speranza ma la rincuora.

 

 

LUNEDI’ 29 APRILE 1996

"Il Regno dei Cieli è simile a dieci vergini che uscirono incontro allo Sposo". (Mt. 25,1)

Nella parabola che leggiamo nel Vangelo ci sono alcune cose che mi hanno sempre colpito. Intanto il Regno di Dio è paragonato ad una festa di nozze. Le nozze sono gioia, e Gesù ha deciso di amarci fino a sposare la nostra umanità. L’uomo come le dieci ragazze invitate alla festa ha solo un compito, sentire la gioia di queste nozze e prepararsi per poter partecipare a questa festa. Tutte e dieci hanno le lampade. Ognuno di noi ha i suoi doni e non c e nessuno che non possa rispondere a questo invito. L’olio invece è la fede e dobbiamo procurarcelo noi. Poi occorre saper aspettare; noi vorremmo vedere subito i risultati, invece occorre solo non perdere la speranza e la fiducia nello Sposo che sta per arrivare. Ci si può anche addormentare ma occorre essere sempre pronti "a rendere conto della speranza che è stata seminata in noi" per non farci cogliere di sorpresa e impreparati e per non trovare la porta chiusa. La cosa più importante di tutta la parabola però mi sembra proprio quella che ci fa credere, sperare e vivere la fede come una festa a cui siamo invitati.

 

 

MARTEDI’ 30 APRILE 1996

"Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono". (Gv. 10,27)

Sovente Gesù nel Vangelo ha paragonato il suo popolo alle pecore. Come mai? Questo racconto può fornircene una spiegazione: Appena creata, la pecora scoprì di essere il più debole degli animali. Viveva con il continuo batticuore di essere attaccata dagli altri animali, tutti più forti e aggressivi. Non sapeva proprio come fare a difendersi. Tornò dal Creatore e gli raccontò le sue sofferenze. "Vuoi qualcosa per difenderti?". le chiese amabilmente il Signore. "Che ne dici di un paio di acuminate zanne?". La pecora scosse il capo: "Come farei a brucare l’erba più tenera? Inoltre mi verrebbe un’aria da attaccabrighe". "Vuoi dei poderosi artigli?". "Ah no! Mi verrebbe voglia di usarli a sproposito... "Potresti iniettare veleno con la saliva", continuò paziente il Signore. "Non se ne parla neanche. Sarei odiata e scacciata da tutti come un serpente". "Due robuste corna, che ne dici?". "Ah no! E chi mi accarezzerebbe più?". "Ma per difenderti ti serve qualcosa per far del male a chi ti attacca "Far del male a qualcuno? No, non posso proprio. Piuttosto resto come sono...". Abbiamo perso di vista il fatto che noi esseri umani siamo, in un certo senso, come piccoli animali senza nemmeno una pelliccia o denti aguzzi per difenderci. Ciò che ci protegge non è la cattiveria ma l’umanità: la capacità di amare gli altri e di accettare l’amore che gli altri vogliono offrirci. Non è la nostra durezza a darci il tepore la notte, ma la tenerezza, che fa desiderare agli altri di scaldarci. La vera forza dell’uomo è la sua tenerezza.

     
     
 

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