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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

GIUGNO

 

GIOVEDI’ 1 GIUGNO 1995

"Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io”. (Gv. 17,24)

Questa frase della preghiera di Gesù è molto rassicurante: Gesù è in Paradiso, quindi vuole che noi siamo con Lui. Ma è anche conturbante: Gesù è anche sulla croce, continua la sua passione di amore per noi uomini, Gesù è nel povero, nell’affamato, nel carcerato e prega perché noi siamo con Lui in tutte queste situazioni, e questo per noi è più difficile. Da questo quadro, allora viene fuori chiaramente che essere cristiani significa assumere Gesù in pieno, avere nel cuore la certezza di fare come Lui la volontà del Padre, avere la garanzia della sua forza, ma anche fare le sue scelte a volte misteriose e dolorose, sentire la sua “passione” per Dio e per gli uomini, spendersi con amore per i fratelli. Vediamola però non solo dal punto di vista della difficoltà, della fatica. Non è forse una grande gioia poter pensare che Gesù mi dà la grazia di poter essere come Lui e con Lui ora e sempre?

 

 

VENERDI’ 2 GIUGNO 1995

“Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi do­ve volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà    la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. (Gv. 21,18)

Gesù dice questa frase a Pietro per indicargli che avrebbe reso testimonianza con il martirio, ma questa frase è verità umana anche per noi. Nel pieno delle nostre forze noi facciamo progetti, organizziamo la nostra vita, pensiamo di essere padroni di noi, del nostro avvenire.., basta poi un pensionamento, una   malattia,qualche grosso problema che mina il nostro spirito o il nostro corpo per ritrovarci larve d’uomo, impotenti, completamente in mano agli altri. Quante volte ci è capitato di vedere uomini e donne importanti, magari illustri medici, avvocati di grido, sacerdoti e vescovi, gente che ha avuto potere e onore, languire impotenti per mesi in stanze di ospedale, con il corpo devastato in attesa che l’infermiere, magari distratto o troppo preso da altro, venga a pulirli o a dare un po’ di conforto. Dovremmo pensarci adesso a queste cose e non solo per piangere sulla crudeltà della vita ma per vivere in altro modo, per scoprire quali siano veramente i valori della vita per cui vale la pena di correre, di impegnarci.

 

 

SABATO 3 GIUGNO 1995

“Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”. (Gv. 21,25)

Qualcuno desidererebbe conoscere con maggiori particolari la vita di Gesù. Quasi ci lamentiamo con gli Apostoli e gli Evangelisti di non averci lasciato che dei resoconti molto poveri di che cosa Gesù ha fatto e detto. E qualcuno (e con quali risultati!) attraverso presunte rivelazioni o attraverso tanta fantasia ha tentato di raccontare particolari inediti. Ma, il Vangelo, quello scritto, è più che sufficiente così. Ci dà l’annuncio del Figlio di Dio morto e risorto per la nostra salvezza. Piuttosto le pagine da scrivere non riguardano tanto la vita temporale di Gesù, ma la sua vita in noi. Siamo noi che con la nostra scelta di seguire Gesù dovremmo ogni giorno scrivere una nuova pagina di Vangelo. Siamo noi, che seguendo Gesù e diventando ogni giorno “l’altro Cristo” dovremmo continuare il suo annuncio, i suoi miracoli di perdono, la sua gioia nella nostra quotidianità.

 

 

DOMENICA 4 GIUGNO 1995

“Io pregherà il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre”. (Gv.14,16)

Una delle tristezze più grandi e dolo­rose dell’uomo è la solitudine. Ci sono tanti tipi di solitudini, alcune anche belle perché piene di Dio, di riflessione, di purificazione per essere ancora più attenti agli altri; ma ci sono anche solitudini terribili: quella di essere abbandonati da tutti, quella di sentire gli altri lontani, quella di sentire anche la lontananza di Dio. Gesù ci promette Qualcuno che non ci lascerà mai soli: è la sua presenza, la sua Croce, il suo Amore, la sua Parola, la sua speranza. “Se anche una madre si dimenticasse del suo bambino, il Signore Dio non si dimenticherà mai di te”, e come dice il Salmo che preghiamo oggi: “Mandi il tuo Spirito e sono ricreati e rinnovi la faccia della terra”.

 

 

LUNEDI’ 5 GIUGNO 1995

Tobi disse al figlio: “Va e conduci qualcuno della nostra gente a prendere il pasto con noi”. (Tb. 1,2)

‘Commuove pensare a questo personaggio dell’Antico Testamento che, in tempo di persecuzione, pensa a condividere il suo pasto con qualcuno che ne abbia bisogno. Tempo fa, conoscendo una famiglia bisognosa, ho fatto loro avere un po’ di spesa. Alcuni giorni dopo ho saputo che quando hanno ricevuto il pacco hanno subito invitato due vecchietti, loro vicini di casa per far festa con loro e condividere il pane della Provvidenza. Il pane mangiato insieme e condiviso è più buono. Quello che certi poveri hanno capito a volte sembra ostico ai più ricchi e capita a volte che piuttosto buttiamo via il superfluo piuttosto che condividerlo. Penso al Vangelo: se quel ragazzetto non avesse avuto il coraggio di mettere a disposizione di Gesù i suoi 5 pani e pochi pesci, in cinquemila sarebbero rimasti a bocca asciutta.

 

 

MARTEDI’ 6 GIUGNO 1995

“Noi siamo figli di santi e aspettiamo la vita che Dio darà a coloro che non perdono mai la loro fede in Lui”. (Tb. 2,18)

Ritorniamo anche oggi sulla figura di lobi. Era giusto, faceva elemosine, seppelliva a rischio della sua vita i morti e per un incidente diventa cieco e deriso dalla moglie e dagli amici, ma continua a rimanere fedele a Dio. Solo chi lo ama veramente sa accettare da Dio anche le avversità. Non che Dio ci goda a vederci soffrire, ma la sofferenza ha la capacità, se vissuta con Dio, di far scaturire ancora più limpida la fede, la testimonianza. La sofferenza o porta ad imprecare, o fa diventare amorfi, o fa nascere fede e amore. Anche oggi la incontrerai sul tuo cammino, come pensi di viverla, di trasformarla?

 

 

MERCOLEDI’ 7 GIUGNO 1995

“Quando i morti risusciteranno, infatti non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli”. (Mc. 12,25)

Alcune persone che pensavano non esserci risurrezione dopo la morte vanno da Gesù con un caso iperbolico, quello di una donna che aveva avuto sette mariti, per mettere ironicamente Gesù in imbarazzo: quando risorgerà, di chi sarà moglie? Noi crediamo alla risurrezione ma spesso ci poniamo la domanda: come saremo dopo la morte? Rimarranno gli affetti? Ci riconosceremo? Quando Gesù dice che i morti saranno come angeli nei cieli non vuole affatto indicarci che saremo senza sentimenti ma vuol semplicemente ricordarci che alla luce di Dio saremo totalmente creature nuove. Se sulla terra il sentimento è legato al materiale, all’egoistico, là sarà sentimento puro, in Dio. Anche il legame dell’uomo alla donna non sarà più di possesso, di equilibri di forze, ma sarà totale. I nostri morti, in Dio ci amano, ci amano più dì prima, vogliono davvero il nostro bene perché ora in Dio lo vedono chiaramente, pregano con noi e per noi, ci fanno da “angeli custodi”,chiedono a Dio il nostro bene. La risurrezione non è perdere qualcosa ma guadagnare tutto.

 

 

GIOVEDI’ 8 GIUGNO 1995

Tobia disse alla sua sposa: “Sara, alzati: preghiamo Dio... poi vivremo come marito e moglie”. (Tb 8,4)

Leggendo la storia di Tobia e Sara rimaniamo colpiti da questi due sposi che mettono Dio al centro della loro vita matrimoniale e non si può fare a meno di fare un paragone con la maggioranza delle giovani coppie di oggi che per prima cosa pensano ad andare a letto insieme e poi magari anche al matrimonio in chiesa per “fare una bella festa”. Non è il caso di fare gli ipocriti moralisti ma quanto siamo lontani dalla vera dimensione religiosa del matrimonio! Dio non è geloso dell’amore di una coppia, neanche dell’amore carnale, se no non ci avrebbe creati così, ma noi spesso riduciamo l’amore ai sentimenti e alla carnalità dimenticandoci che l’amore umano è fatto anche di tante altre cose e che non dovrebbe essere altro che uno specchio che riflette l’amore divino e che la coppia è chiamata a questo cammino per continuare l’opera creatrice di Dio che si manifesta nella gioia della vita della coppia e nella fatica che gli sposi fanno per essere fedeli alla volontà di Dio e generatori di amore. Motivi umani di divisione di una coppia ce ne possono essere tanti ma davanti a tante coppie “scoppiate” il motivo non sarà forse perché, c’era quasi tutto, ma mancava Dio?

 

 

VENERDI’ 9 GIUGNO 1995

“Il Signore è fedele per sempre (Sal. 145,2)

Una delle cose che maggiormente consola nel cammino della fede è pensare alla fedeltà di Dio. Egli non è un voltagabbana, uno che un giorno la pensa in un modo e un altro cambia le carte in tavola. Dio vuole la mia salvezza da sempre e per sempre. Per questo mi ha creato, per questo ha mandato suo Figlio Gesù, per questo è Provvidenza. Non si lascia spaventare neanche dai miei peccati, mi cerca quando mi allontano, come il buon pastore cerca la pecora perduta, quando ritorno a Lui mi abbraccia con la sua misericordia, mi è vicino nelle prove della vita, vuole la mia felicità definitiva. Se questo è vero, ha proprio ragione Gesù quando dice che l’unico peccato che non può essere perdonato è quello contro lo Spirito, cioè il chiudere a Dio tutte le possibilità di manifestarci la sua misericordia.

 

 

SABATO 10 GIUGNO 1995

“E proprio perché tu eri gradito a Dio, fu necessario che la tentazione ti mettesse alla prova”. (Tb 12,13)

Ieri pensavamo alla fedeltà di Dio. Ma una domanda ci può venire spontanea: “Se Dio è fedele e vuole la mia salvezza, come mai permette la tentazione, il male?” Il libro di Tobia ci dà una risposta: Dio non è contento del male e non è neppure sadico al punto di dirci: “Soffri, che poi avrai un premio!” Dio permette il male e la tentazione perché da noi impastati di grandezza e di povertà, di grazia e di peccato, emerga il nostro amore per Lui. Per un vero credente il male e la tentazione (che pure non ci piacciono) devono diventare momenti di fede, occasioni preziose per accorgerci dell’amore di Dio, momenti di abbandono fiducioso, motivo di scelte decise, di offerta totale. Solo così il male, invece di chiuderci, di renderci ancora più cattivi, di chiudere i nostri occhi alla speranza, diventa motivo di fedeltà, di scoperta, di lode, di fiducia, di certezza della fedeltà di Dio nei nostri confronti.

 

 

DOMENICA 11 GIUGNO 1995

“Quando verrà lo Spirito di veri­tà, Egli vi guiderà alla verità tutta intera”. (Gv. 16,13)

Che bello scoprire, attraverso la festa odierna, che Dio è famiglia. Le filosofie ci fanno pensare a un Dio entità suprema, a qualcuno di perfetto, di immobile. Il nostro Dio invece è eterna relazione, è creazione rinnovata ogni giorno, è salvezza offerta. E’ paternità, è fratellanza, è generazione d’Amore. E scoprendo questo Dio Dialogo, Relazione, facciamo la gioiosa scoperta di poter anche noi entrare in rapporto, in comunione con Lui: noi facciamo parte della sua famiglia, Lui ci ha creati, Gesù ci ha salvati, lo Spirito ci rigenera ogni giorno. Con un Dio che è Padre, posso parlare, avere fiducia, con Gesù posso fare Comunione, posso scoprire lo Spirito nella creazione e in me, posso ogni giorno ascoltare i suoi suggerimenti, sono chiamato a stare con Lui e con i miei fratelli per sempre: Dio Trinità è la mia vera e definitiva famiglia.

 

 

LUNEDI’ 12 GIUGNO 1995

“La pazienza si dimostra nel sopportare le sofferenze”.  (2 Cor. 1,6)

Precisiamo subito. La pazienza è una virtù attiva e non ha niente a che vedere con la rinuncia, l’inerzia, l’indifferenza, l’atteggiamento dimissionario, l’abdicazione, l‘accantonamento dei progetti più audaci. La pazienza esclude la fretta, non la passione. Il suo simbolo non è certo la cenere, ma piuttosto una fiamma vigorosa. Non c e pazienza se non c e un’ardente passione per qualcosa. La passione, quanto più è grande, divorante, tanto più deve essere accompagnata da una interminabile pazienza. Si può accettare anche l’immagine della cenere: ma soltanto uno strato sottile, capace di far durare il più a lungo possibile i carboni ardenti. Oserei dire che la pazienza si può conciliare perfino con l’impazienza. La pazienza presuppone non il vuoto, ma il custodire degli ideali che ci stanno a cuore. Difendere un tesoro, proteggere un seme, non è la stessa cosa che subire gli avvenimenti, incassare sconfitte, firmare rese che impongano la rinuncia a coltivare certi valori. Il contadino è paziente dopo aver lavorato come è giusto. Aspetta il raccolto dopo aver faticato, sarchiato, seminato. Attende le piogge dal cielo dopo aver lasciato cadere sul terreno a goccia a goccia, il proprio sudore. La pazienza va collocata all’inizio di ogni impresa, allorché resta ancora tutto da fare. Si comincia con la pazienza. Si prosegue con la pazienza.

E si porta a termine un’opera nella pazienza.

 

 

MARTEDI’ 13 GIUGNO 1995

“Risplenda la vostra luce davanti agli uomini”. (Mt. 5,16)

Nella mia esperienza di sacerdote incontro tante persone che vengono a chiedere un consiglio e spesso mi trovo imbarazzato: non c’è, neanche nel Vangelo, una ricetta valida per tutti i problemi. Altre volte, poi, sono io stesso ad essere incerto, o a dover consigliare cose che io stesso stento a vivere. E allora mi riscopro cieco, povero, incapace di dare luce. Questa mia esperienza personale penso sia comune a ciascuno di noi, chiamati spesso a confrontarci con gli altri. Sia per essere maestri a noi stessi che al prossimo, dobbiamo prima di tutto essere umili, non pensare mai di avere la verità in tasca, non ergerci mai a giudici insindacabili dei nostri fratelli; dobbiamo poi amare e ricercare la verità, rivolgerci al Maestro, cercare la sua luce nella preghiera, nella sua Parola e poi soprattutto fidarci dello Spirito Santo che, se lo lasciamo agire senza intralciarlo, opera in noi e negli altri.

 

 

MERCOLEDI’ 14 GIUGNO 1995

“Non sono venuto per abolire la Legge ma per darle compimento”.  (Mt. 5,17)

Presso gli ebrei il rispetto del sabato, il giorno consacrato al Signore, era in origine un fatto gioioso, ma troppi rabbini insistettero nell’accumulare ingiunzioni sul modo esatto di osservano, il tipo di attività permesse, finché ci fu chi non osava neppure muoversi di sabato per paura di trasgredire a qualche regola.

Baal Shem, figlio di Eliezer, meditava spesso su questo problema. Una notte fece un sogno. Un angelo lo portò in cielo e gli mostrò due troni collocati molto più in alto degli altri. “A chi sono destinati?”, domandò. “Per te”, fu la risposta, “se farai uso della tua intelligenza, e per un uomo di cui ora ti verrà consegnato il nome e l’indirizzo poi fu condotto nel più profondo dell’inferno e gli furono mostrati due sedili vuoti. “Per chi sono stati preparati?” domandò. “Per te”, fu la risposta, “se non farai uso della tua intelligenza, e per un uomo di cui ora ti verrà consegnato il nome e l’indirizzo Nel suo sogno Baal Shem fece visita all’uomo che sarebbe stato suo compagno in paradiso. Lo trovò che viveva fra i gentili, del tutto ignaro dei costumi ebraici e al sabato preparava un banchetto in cui c’era molta allegria e a cui erano invitati tutti i gentili suoi vicini. Quando Baal Shem gli chiese perché dava quel banchetto, l’uomo rispose: “Mi ricordo che durante la mia infanzia i miei genitori mi insegnavano che il sabato era un giorno di riposo e di gioia; perciò tutti i sabati mia madre preparava i cibi più succulenti e durante il pranzo cantavamo, ballavamo e facevamo festa. Anch’io oggi faccio lo stesso Baal Shem cercò di istruire l’uomo sugli usi della sua religione, poiché egli era un ebreo ma evidentemente ignorava le norme rabbiniche. Ma restò ammutolito quando si accorse che la gioia di quella persona nel giorno di sabato sarebbe stata sciupata se fosse stato reso edotto delle sue mancanze. Baal Shem, sempre in sogno, si recò poi a casa del suo compagno all’inferno, rigidamente osservante della Legge, sempre preoccupato che la sua condotta fosse corretta. Il poveretto trascorreva ogni sabato in tensione per lo scrupolo, come se stesse seduto sui carboni ardenti. Quando Baal Shem provò a rimproverarlo perché era troppo schiavo della Legge, gli fu tolta la facoltà di parlare, poiché si rese conto che l’uomo non avrebbe mai capito che l’osservanza delle norme religiose poteva trarlo in errore. Grazie a queste rivelazioni ricevute in sogno, Baal Shem creò un nuovo modello di obbedienza, secondo cui Dio è venerato nella gioia che nasce dal cuore.

 

 

GIOVEDI’ 15 GIUGNO 1995

“Mettiti presto d’accordo con tuo fratello mentre sei per via”. (Mt. 5,25)

C’è chi dichiara: “Non voglio avere debiti con nessuno”. Il guaio è che abbiamo debiti con tutti. Si tratta dei debiti di amore, che non sono mai onorati una volta per tutte. Quando li hai pagati, restano da pagare... La carità non è qualcosa in più che, nella tua generosità, senza avere alcun obbligo specifico al riguardo, offri agli altri. La carità la “devi”. E’ un credito che gli altri vantano nei tuoi confronti. L’amore: ecco ciò che il cristiano deve a tutti! Allorché hai amato il prossimo, l’hai aiutato, servito, perdonato, sfamato, curato, beneficato, non hai fatto niente di straordinario. Hai pagato semplicemente i debiti, secondo le leggi e le usanze del regno di Dio. Finché vivi, non avrai mai finito di pagare i debiti. Appaiono perciò ridicoli i monumenti, le lapidi e le cerimonie solenni che si fanno in onore di cosiddetti “benefattori. Chi sono i “munifici benefattori”? Sono individui che hanno cercato di pagare qualche debito. Quando uno ha amato i propri fratelli, non è stato un eroe, ma semplicemente un buon cittadino cristiano, osservante della legge. La carità, infatti, “è il compimento della legge”.

 

 

VENERDI’ 16 GIUGNO 1995

Fratelli, noi abbiamo un tesoro in vasi di creta”. (2 Cor. 4,7)

Gli indù raccontano una strana leggenda. La leggenda del capriolo delle montagne. Tanti anni fa, c’era un capriolo che sentiva continuamente nelle narici un fragrante profumo di muschio. Saliva le verdi pendici dei monti e sentiva quel profumo stupendo, penetrante, dolcissimo. Sfrecciava nella foresta, e quel profumo era nell’aria, tutt’intorno a lui. Il capriolo non riusciva a capire da dove provenisse quel profumo che tanto lo turbava. Era come il richiamo di un flauto a cui non si può resistere. Perciò il capriolo prese a correre di bosco in bosco alla ricerca della fonte di quello straordinario e conturbante profumo. Quella ricerca divenne la sua ossessione. Il povero animale non badava più né a mangiare, né a bere, né a dormire, né a nient’altro. Esso non sapeva donde venisse il richiamo del profumo, ma si sentiva costretto a inseguirlo attraverso burroni, foreste e colline, finché affamato, esausto, stanco morto, andò avanti a casaccio, scivolò da una roccia e cadde ferendosi mortalmente. Le sue ferite erano dolorose e profonde. Il capriolo si leccò il petto sanguinante e, in quel momento, scoprì la cosa più incredibile. Il profumo, quel profumo che lo aveva sconvolto, era proprio lì, attaccato al suo corpo, nella speciale “sacca” porta muschio che hanno tutti i caprioli della sua specie. Il povero animale respirò profondamente il profumo, ma era troppo tardi...

 

 

SABATO 17 GIUGNO 1995

“Se uno è in Cristo, è una creatura nuova”. (2 Cor. 5,17)

“Se solo potessi nascere di nuovo”, si lamentano tanti, davanti alla loro vita disastrata. Ebbene è possibile. Cristo ci dà questa meravigliosa possibilità: non importa quanto negative siano state le nostre esperienze, quanto lontano sia arrivata la nostra incredulità, Dio ci dà, in Cristo, ma solo in Cristo, la possibilità di ricominciare da capo. Non pensiamo di potercela fare da soli: un bambino non nasce di sua volontà, occorre la volontà e la capacità dei genitori. Per una nascita spirituale ci vuole la potenza creatrice di Dio, il Suo amore e il Suo perdono.

 

 

DOMENICA 18 GIUGNO 1995

“Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. (Gv. 6,52)

Spiegare ed annunciare l’Eucarestia non è facile. E’ entrare nella sfera più profonda dell’Amore e quindi del Mistero. E’ un Dio che ama talmente i suoi figli da farsi pane per loro. Una frase che le mamme usano con i loro bambini è: “Sei talmente caro che ti mangerei tutto”. Forse questa frase è un ricordo di quel rapporto di comunione unico che si attua nel momento della gestazione. Gesù ha sentito talmente questo desiderio che Lui si fa pane per noi. E noi, sentendo questa “nostalgia” di Dio da cui e per cui siamo fatti, abbiamo la possibilità di cibare cuore, mente e vita con la comunione a Cristo. Quanto è immensamente più grande di un semplice rito religioso! E’ comunione di vita che va ben al di là dei pochi minuti del “ringraziamento”. Quanto è importante questa comunione per poter camminare “con la forza che ci viene da questo pane”, quanto apre la nostra vita al ritorno a Dio, colui che ci ha creati, colui che ci ha salvati, colui che ci chiama all’eternità con Lui. E allora perché voler spiegare un mistero? immergiamoci con umiltà e riconoscenza in questo mistero d’amore.

 

 

LUNEDI’ 19 GIUGNO 1995

“Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza”. (2 Cor. 2,2)

Sì racconta che poco dopo la morte del rabbino Mokshe, il rabbino Mendel di Kotyk chiese a uno dei discepoli: “A che cosa più di tutte dava importanza il tuo maestro?” Il discepolo ci pensò su un attimo e poi rispose: “A quello che stava facendo in quel momento”. La salvezza è oggi, non domani. Cristo ti chiama e ti salva adesso. In un suo brano B. Wolfe ci invita ad essere occupati a tempo pieno: se osservi un uomo veramente felice, lo troverai occupato a costruirsi una barca, a comporre una sinfonia, a coltivare dalie giganti nel suo giardino o a cercare uova di dinosauro nel deserto del Gobi. Non cerca la felicità come se fosse un bottone rotolato sotto il calorifero. Non si sforza di raggiungerla come se fosse uno scopo in sé; si è accorto di essere felice se è impegnato a vivere per tutte le 24 ore del giorno.

 

 

MARTEDI’ 20 GIUGNO 1995

“Amate i vostri nemici... perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”. (Mt. 5,44-45)

Quindi l’essere figli non è un fatto acquisito una volta per sempre. E’ un titolo che viene guadagnato cercando di rassomigliare al Padre nella sua generosità verso tutti, compresi i nemici, nella sua benevolenza verso gli “ingiusti” e i “malvagi”. lo posso considerarmi figlio del Padre celeste, solo se lo imito nel perdono, e nell’amore verso i nemici, i cattivi, i mascalzoni che mi offendono. Oserei dire che non si nasce figli. Lo si diventa. Il Padre ci riconosce come figli allorché sul nostro volto, nelle nostre azioni, appaiono i tratti caratteristici della sua bontà sconfinata. Il Padre ci riconosce se la nostra condotta presenta i sintomi della malattia ereditaria, da cui nessun membro della famiglia può ritenersi immune: un amore folle, senza confini.

 

 

MERCOLEDI’ 21 GIUGNO 1995

“Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà”. (2 Cor. 9,6)

Leggiamo quest’oggi un racconto. Può farci meditare profondamente. Una madre soffrì moltissimo a staccarsi dai suoi figli. Sapeva però che solo lasciandoli andare per le loro strade sarebbero stati felici. Così, nascose la sua sofferenza in una grande buca nel bosco e, quando l’ultimo figlio partì, chiuse la buca e vi piantò un virgulto di quercia. La quercia, come tutte le querce, crebbe molto lentamente. Quando la madre morì non era che un alberello adolescente. Oggi è una quercia immensa, la più grande e nobile di tutta la foresta. Gli altri alberi la guardano intimoriti e gli uomini vengono da ogni parte ad ammirarla. Ogni tanto la grande quercia ha un fremito: accade quando fra coloro che vengono a goderne la maestà e la frescura c’è qualche figlio del figlio del figlio di qualche figlio di colei che la piantò. Poiché la sofferenza di una madre che  rende liberi i suoi figli si dilata all’infinito. E’ fra i doni più ricchi che possa dare all’umanità.

 

 

GIOVEDI’ 22 GIUGNO 1995

“Voi, dunque, pregate così: Padre nostro...”. (Mt. 6,9)

Dio pretende di essere chiamato con questo, che è il suo vero nome: Padre, anzi Abbà, papà caro, babbo mio. Dire che Dio è Padre significa affermare che Dio sta dalla parte della vita, comunica la vita, è amante della vita, vuole la felicità dei suoi figli. Dire che Dio è “papà” significa suggerire che il rapporto che dobbiamo stabilire con Lui non è all’insegna della paura e della soggezione, ma della familiarità, spontaneità, confidenza, intimità, fiducia, oltre che della docilità. E Gesù ci dà testimonianza di questa paternità divina con la sua vita e con il suo insegnamento. Cristo è il portatore non delle minacce o dei castighi di Dio, ma della sua volontà di salvezza e dei suoi doni. Gesù è diventato nostro fratello per farci sapere che il Padre ci cerca, cerca ciò che è perduto. Non per chiederci dei conti, bensì per arricchirci. Gesù è venuto ad informarci che c’è una mano tesa verso di noi per tirarci fuori dalle nostre schiavitù, dalle nostre paure, dalle nostre miserie, e portarci verso la luce, la pace, l’amore. Che c’è una presenza che ci consente di uscire da una vita scialba e insulsa  per farci sperimentare la pienezza.

 

 

VENERDI’23 GIUGNO 1995

“Fratelli, la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori, per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”.

(Rm. 5,5)

La stanchezza, la noia, la delusione, le difficoltà sembrano soffocare talvolta la nostra capacità di sperare. Situazioni e immagini drammatiche di morte, di violenza, di ingiustizia... sembrano segnare quotidianamente il cammino della nostra storia. Eppure in nessuna situazione possiamo chiudere gli occhi ai segni di vita, di bene, di amore che pure sono presenti e possibili. In nessuna situazione possiamo rinunciare ad attendere e a costruire un futuro di speranza. Anche momenti difficili e di limite umano profondo, come la malattia, la vecchiaia, la stessa morte, quando si è capaci di ricevere e di donare solidarietà, amicizia, amore, possono aprirsi alla speranza e alla fiducia di un futuro. E tutto questo non è per facile illusione ma perché il. Cuore di Gesù ci ama. E’ Lui il fondamento della speranza, e con Lui non si può essere delusi.

 

 

SABATO 24 GIUGNO 1995

“Signore, Tu mi scruti e mi conosci”. (Sal 138,1)

Signore, questa mattina mi sono alzato storto. Non so perché, ma tutto mi dà fastidio. Il pensiero degli impegni di oggi, che di solito è motivo di gioia, di riscoperta di servizio, mi pesa enormemente. I primi “barboni” della giornata sono stati accolti con un muso duro, tant’è che uno mi ha detto: “C’è qualcosa che non va?” e dentro ho sentito ancora più rabbia. Mi guardo dentro e non trovo motivi. “Saranno paturnie” mi dico per tirare avanti. Eppure se io non mi conosco, Tu mi conosci. Sai che vorrei volerti bene pienamente, gioiosamente. Sai che vorrei amarti nei fratelli. Sai che oggi vorrei servirti nella Chiesa. Sai che vorrei un mondo più giusto e senza inganni. Signore che conosci anche i recessi della mia anima, fa emergere da me il bene, e se gli umori oggi non sono quelli migliori, fa che non mi scoraggi e che non sia negativo per i miei fratelli.

 

 

DOMENICA 25 GIUGNO 1995

“O Dio, Tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di Te ha sete l’anima mia, a Te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua”. (Salmo 62,2)

S. Agostino esprime così il desiderio di Dio che c’è al fondo del cuore di ogni uomo: Per quanto ho potuto, per quanto mi hai concesso di potere, ti ho cercato; ho desiderato vedere con intelligenza ciò che credevo; ho studiato e faticato molto. Signore mio Dio, mia unica speranza, esaudiscimi, fa’ che non mi stanchi mai di cercarti, che cerchi sempre il tuo volto con ardore. Dammi Tu la forza di cercarti, Tu che ti sei fatto trovare e mi hai dato la speranza di trovarti in maniera sempre più perfetta.

 

 

LUNEDI’ 26 GIUGNO 1995

Il Signore disse ad Abramo: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò”. (Gn. 12,1)

Uno dei canti che abitualmente facciamo durante le nostre celebrazioni dice:

“Esci dalla tua terra e va”. Sembra una cosa semplice ed anche entusiasmante, ma per Abramo non fu così. Lasciare la propria terra, la sicurezza, le proprie abitudini per inoltrarsi nel deserto senza una meta specifica, ma solo con una promessa, coinvolgere la sua famiglia in questa avventura rischiosa, non avere più il solito tran—tran quotidiano ma dover inventare la vita ogni giorno, non è una cosa semplice. Provate a pensare se oggi il Signore si mettesse a parlare a ciascuno di noi dicendoci: “Ho in mente un progetto per te. Lascia la sicurezza del tuo lavoro, parti per l’Africa, non portarti dietro niente...” Perché Abramo parte? Non perché vede dove andare, non perché conosce fino in fondo il progetto di Dio.., ma perché si fida non tanto di se stesso quanto di colui che gli parla. Fede vuol dire proprio questo!

 

 

MARTEDI’ 27 GIUGNO 1995

“Tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”. (Mt. 7,12)

Siamo molto esigenti con gli altri specialmente in quelli che noi riteniamo essere i nostri diritti, ma sovente o rimaniamo spettatori o non muoviamo un dito in favore di altri.

IL SASSO IN MEZZO ALLA STRADA

Un giorno Diogene stava all’angolo della strada ridendo come un matto. “Perchè ridi?”, gli chiese un passante. “Lo vedi quel sasso in mezzo alla strada? Da quando sono arrivato qui questa mattina, ci sono inciampate dieci persone, maledicendolo. Ma nessuno si è preso la briga di spostano in modo che gli altri non ci incespicassero”.

 

 

MERCOLEDI’ 28 GIUGNO 1995

“Dai loro frutti li riconoscerete”. (Mt. 7,16)

Quando ci lasciamo guidare dal possesso delle cose sono le cose a possedere noi, quando guardiamo all’esteriorità e alle apparenze esse ci dominano e condizionano. Se il nostro occhio e il nostro cuore guardano all’essenza, le cose non ci dominano più e noi le gustiamo profondamente.

Massimo d’Azeglio racconta: “Mi ricordo che nella fanciullezza, essendo un giorno riuniti in famiglia — presente qualche amico di casa — il discorso cadde sulla nobiltà. lo, così, alla brusca e senza malizia, dissi: “Noi, signor padre, siamo nobili?”. Mi accorsi che dovevo aver fatto una domanda sciocca vedendo che tutti ridevano di me. Mio padre, sorridendo anch’esso, rispose: “Sarai nobile se sarai virtuoso”. E io non cercai più in là”.

 

 

GIOVEDI’ 29 GIUGNO 1995

“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. (Mt. 16,18)

Quante discussioni e divisioni lungo questi 20 secoli di cristianesimo, attorno alla figura di Pietro e dei suoi successori! Chi vuole e ricerca la sua autorità e il. suo potere in modo assoluto, chi esalta Pietro e il Papa quasi fosse Dio e chi lo vede come figura storica di potere tutt’altro che in linea con il messaggio di Gesù. Eppure basterebbe guardare ai vangeli per scoprire con realismo la figura del Papa. Pietro, con tutte le sue caratteristiche, non è né migliore né peggiore degli altri. Ha ricevuto un incarico che è servizio dell’unità e della verità e per questo gode di una particolare assistenza dello Spirito Santo. Anche lui fa fatica, come tutti, nel comprendere e attualizzare la volontà di Dio. Poiché molto ha ricevuto molto deve amare: “più di tutti gli altri”, come gli chiederà Gesù. Noi vediamo nel successore di Pietro, in quanto tale, il garante della fede e dell’unità della famiglia dei figli di Dio. Preghiamo per lui perché sia docile alla voce dello Spirito. Ci confrontiamo su quanto ci dice perché ci rappresenta con autorità il pensiero e il cammino della Chiesa. Ringraziamo Dio che, nonostante gli umani errori, attraverso il successore di Pietro, continua a dimostrare fedeltà alla Chiesa di cui anche noi siamo “pietre vive”.

 

 

VENERDI’30 GIUGNO 1995

“Se vuoi puoi guarirmi”. (Mt. 8,2)

In quel “se vuoi” c’è tutta la speranza e la fede di questo lebbroso che si rivolge a Gesù. Egli afferma che Gesù è Figlio di Dio, ha potere di guarire ma esprime anche l’abbandono alla sua volontà: “Mi fido che qualunque cosa farai, la farai per il mio bene". “Signore, se vuoi, puoi convertirmi, puoi cambiare il mio cuore, puoi liberarmi dal mio egoismo..”. Anche noi sovente dovremmo con fiducia e speranza pregare così. E dovremmo anche sentire la preghiera che Gesù continua a rivolgerci: “Se vuoi essere sanato, liberato, puoi cominciare ad amare un po’ di più, a perdonare quel tuo fratello, ad essere meno ipocrita, a giudicare meno... lo voglio la tua salvezza, la tua liberazione.., ma, anche tu la vuoi davvero?”.

     
     
 

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