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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

MARZO

 

 

MERCOLEDI' 1 MARZO 1995

“Venne una donna con un vaso d’alabastro contenente profumo di nardo... e gli versò il profumo sul capo”. (Mc. 14,3)

Mentre tutt’attorno a Gesù si sta addensando odio e tradimento, ecco questo gesto di amore puro, non calcolatore. Anche in questo caso, in mezzo alla negatività, l’amore ha il sopravvento. Ed è interessante notare che mentre gli altri parlano, giudicano questo gesto, la donna tace e fa. Quante volte noi parliamo, discutiamo, filosofeggiamo su fede, su cristianesimo e nascondiamo il nostro non fare dietro le parole. L’amore più che di parole ha bisogno di fatti. In questo caso, come sempre, quando si fa qualcosa per amore, è poi Gesù a darne il significato.

 

 

GIOVEDI' 2 MARZO 1995

“E mormoravano contro di lei”. (Mc. 14,5)

Succede a questa donna la stessa cosa che è successa a Gesù. Lui “passò beneficando e sanando e facendo bene ogni cosa” e gli scribi, i farisei, i sacerdoti “cercavano di ucciderlo” e dicevano: “E’ per opera di Beelzebul, capo dei demoni, che opera miracoli”. Questa donna ha compiuto un atto di amore e subito i ben pensanti, quelli che non hanno fatto niente, si ergono in cattedra per giudicare e soprattutto per condannare. Dai con amore qualche mille lire ad un povero e c’è subito chi dice “tu favorisci l’accattonaggio”, ma poi non fa niente per evitare che ci siano accattoni. Vai a trovare i malati e trovi subito qualcuno che dice: “Quello non ha niente da fare”. Quando ti capita questo, non preoccuparti, esaminati solo se quello che fai lo fai per amore e se è così continua a farlo. Dio non è un meschino contabile: per Lui anche solo “un bicchiere d’acqua” dato con amore è prezioso.

 

 

VENERDI' 3 MARZO 1995

“Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari”. (Mc. 14,5)

Gli Apostoli seduti attorno a Gesù manifestano se stessi: dopo essere stati tre anni al seguito di Colui che è dono, sono ancora legati alla mentalità del denaro. Non sanno capire ciò che si cela nel gesto della donna: il dono,

Nel nostro mondo tutto è calcolato, pesato, tutto ha un prezzo. Il dono, invece, è la rottura di questo sistema infatti non nessun profitto, non serve a niente, è inutile, anzi è uno spreco. Contemplare, amare e donare sono gesti totalmente gratuiti che non servono a nulla. Ma mediante essi l’uomo trova la sua vera realtà, ritrova la meraviglia, la gioia, la gratuità, il vero senso della preghiera e diventa capace di scoprire il vero volto di Dio. Dal dono gratuito, l’uomo non guadagna materialmente ma guadagna se stesso.

 

 

SABATO 4 MARZO 1995

“I poveri li avrete sempre con voi”. (Mc. 14,7)

Qualcuno ha ingiustamente interpretato questa frase di Gesù come se Gesù dichiarasse la povertà come un dato inalienabile quasi fosse voluta e giustificata da Dio. Gesù non vuole dire questo ma vuole affidare alla comunità il compito preciso di mettersi a servizio dei poveri e di cercare, con l’amore, di eliminare il male della povertà. Sono passati duemila anni di cristianesimo ed anche per colpa o per incuria nostra ci sono tante povertà economiche, di cultura, di sopraffazioni che aspettano, reclamano il nostro amore. E non pensiamo neppure di risolverle solo mettendo mano al portafoglio, Il povero richiede che lo aiutiamo a trovare la sua dignità. Qualche volta ha bisogno del pane quotidiano ma anche di rispetto, ha bisogno di elemosina ma anche di sorriso, ha bisogno della  nostra attenzione e del nostro tempo. La carità vera verso i poveri hai bisogno di tutta la nostra fantasia ed ha bisogno più che di convegni sulla povertà nel mondo, o sul modo di essere cristiani poveri, di gente che senta il dovere di fare, che riscopra la gratuità del servizio, che ridoni dignità alle persone.

 

 

DOMENICA 5 MARZO 1995

“Lei quel che poteva l’ha fatto, ha profumato in anticipo il mio corpo per la sepoltura”. (Mc. 14,8)

Le donne, il giorno di Pasqua andranno al sepolcro per ungere e imbalsamare il corpo di Gesù. Arriveranno al momento giusto, ma sarà troppo tardi. Questa donna con il suo gesto d’amore invece arriva al momento giusto perché è in anticipo. Il cristiano non deve essere solo colui che arriva con i tempi dell’orologio, colui che legalisticamente risponde alle richieste di Dio, colui che calcola quanto si debba a Dio e quanto all’uomo, ma è uno che deve arrivare prima, "al di là" è uno che lascia che la riconoscenza e l’amore spronino la fantasia e la donazione. Non fermiamoci solo agli schemi della preghiera, della carità, del servizio dovuto. Dio è più grande di ogni schema, ci ha dotati di fantasia non solo per fantasticare ma anche per amare in modo sempre nuovo.

 

 

LUNEDI' 6 MARZO 1995

“Ovunque sarà predicato il Vangelo, si racconterà ciò che questa donna ha fatto”. (Mc. 14,9)

Noi vorremmo il Vangelo più ricco di particolari su Gesù: possibile che si sappia così poco dei 30 anni di Nazareth, di Maria Santissima; possibile che tre anni di predicazione di Gesù siano raccolti in pochi capitoli o che la Passione sia raccontata così sommariamente? E invece Gesù invita a raccontare nel Vangelo il gesto di questa donna!

Il Vangelo sembra fermarsi su particolari a prima vista insignificanti. Eppure questa donna è ricordata perché anche noi facciamo come lei. Perché lo facciamo ora, non più per Gesù in carne ed ossa ma per i poveri che lo rappresentano. Spargendo il profumo questa donna ha rinunciato ai suoi lussi per amore. Quanti lussi e sprechi ci sono ancora nella nostra vita che possono diventare amore. Se noi riusciremo a fare questi gesti allora anche noi scriveremo una pagina di Vangelo.

 

 

MARTEDI' 7 MARZO 1995

“Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?”. (Mc. 14,12)

Tutti stanno preparando qualcosa. Ci sono i preparativi della festa. Ci sono i capi che stanno studiando il modo di poter condannare Gesù. C’è Giuda che sta preparando il suo tradimento e va a vedere come vendere Gesù. C’è soprattutto Gesù che sta preparandosi per vivere la “sua ora” nella volontà del Padre e nell’amore dei fratelli.

E noi a che cosa ci stiamo preparando? Molti si preparano i soldi per una vecchiaia felice, i giovani si preparano per un futuro diverso, migliore, altri si preparano per un avanzamento di carriera... Qualcuno si ferma in mezzo a questi preparativi e dice: “Ma in fondo stiamo preparando solo la nostra morte!”. No! Abbiamo la vita per prepararci alla vita. Diceva un saggio: “Che la morte mi trovi vivo”, vivo per vivere per sempre.

 

 

MERCOLEDI' 8 MARZO 1995

“Ho  ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua, prima di soffrire”. (Lc. 12,15)

Pasqua, per gli Ebrei era celebrare,rivivendola, la propria salvezza, nella realizzazione delle promesse di Dio. Gesù desidera ardentemente mangiare e celebrare questa Pasqua perché sa che questa Pasqua è il suo amore per il Padre e per noi. Gesù non è ansioso di soffrire, anzi la sofferenza gli crea timore, come per tutti noi; è ansioso di amare, di dire a Dio: “Ecco, io vengo per fare la tua volontà”, è ansioso di liberarci dal peccato. Le prove aspettano anche noi al varco, ma noi facciamo di tutto per evitarle, per nascondercele, per sfuggirle e spesso quando sono inevitabili, o ci ribelliamo o le subiamo: le vediamo solo per il loro aspetto negativo. Signore, insegnaci a vivere pienamente la nostra vita. Donaci l’ansia dell’amare in ogni momento, di trasformare in amore per Te e per il prossimo, ogni situazione.

 

 

GIOVEDI' 9 MARZO 1995

“Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita e cominciò a lavare i piedi ai discepoli”. (Gv. 13,2)

Nelle nostre celebrazioni liturgiche noi usiamo vestiti sgargianti, fiori che sottolineino la gioia, ceri e incenso che onorino il Signore... tutto bello, tutto giusto per onorare il Creatore e il Salvatore, ma c’è anche una bacinella e un grembiule per lavare dei piedi sporchi? Gesù, il Maestro, il Signore sembra a prima vista rovinare la solennità e la liturgia di quella Pasqua. I piedi vanno lavati ai servizi, non in chiesa! Eppure non ha senso celebrare Dio se non si ama concretamente i fratelli. Gesù sta per dare il suo corpo e se stesso per essere flagellato, insultato, ucciso su una croce per noi. La sua celebrazione della Pasqua non è la ripetizione di una stantia liturgia, è amore concreto, è servizio a Dio e a noi. E anche oggi Gesù continua a servirci, a donarci se stesso, a lavarci i piedi. Siamo talmente amati che il nostro Dio è nostro schiavo per amore.

 

 

VENERDI' 10 MARZO 1995

“Se io dunque, Maestro e Signore ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. (Gv. 13,14)

Siamo disposti a fare molte cose per i nostri fratelli: insegnare loro la verità (quasi che noi la possedessimo), dare consigli sul modo di comportarsi, persino dare dei nostri soldi (purché gli altri ne usino come vorremo noi), ma siamo disposti a “lavarci i piedi”? Siamo disposti a cercare la verità, insieme e con umiltà? Siamo pronti ad amare chi la pensa diversamente da noi e ci dà fastidio? Siamo disposti a perdere del nostro tempo prezioso per qualcuno dal quale molto probabilmente non riceverai nulla in contraccambio? Siamo disposti a non storcere il naso davanti a una piaga da medicare che pure ti sconvolge? Siamo disponibili a non giudicare con preconcetto quel famigliare che non la pensa come noi? Lavare i piedi, fare questi servizi non dà gloria, non ti mette nelle pagine dei giornali, spesso non è riconosciuto neppure dai fratelli di fede, ma è la più bella Eucarestia che possiamo celebrare.

 

 

SABATO 11 MARZO 1995

“In verità vi dico, uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà’’. (Mc. 14,18)

Essere stati scelti, chiamati da Gesù, aver abbandonato tutto per seguirlo non rende immuni dalla possibilità del tradimento. Essere stati battezzati, aver conosciuto Gesù al catechismo, essere stati suoi intimi e commensali nei sacramenti non ci rende automaticamente sicuri della nostra fedeltà, Una delle frasi che sovente mio padre diceva e che a me allora dava fastidio, era: “Non dire mai: di questo bicchiere non ne bevo”. Mi sono accorto della verità di questa frase tante volte nella vita, sia per quanto riguarda la salute, le circostanze e le scelte morali. Ognuno di noi ha sempre la possibilità di tradire se stesso, il prossimo, Dio, Non fidiamoci troppo di noi stessi, della nostra supponenza, del nostro ruolo e neppure della nostra fede: ricordiamoci spesso la frase che diceva S. Paolo: “Chi sta in piedi badi a non cadere!”. 

 

 

DOMENICA 12 MARZO 1995

“Allora cominciarono a rattristarsi e a dirgli uno dopo l’altro: Sono forse io?”. (Mc. 14,19)

Gli apostoli si sentono colpiti da questa rivelazione e cominciano a riflettere. Dall’incredulità ad una domanda che dal curioso diventa sempre più personale: “Sono forse io?”. Mi sembra vero questo atteggiamento. Non si può scansare quella parola deviandola magari su altri, devi accettare che ti colpisca, che ti schiaffeggi, che apra una strada verso la coscienza, devi permettere che ti giudichi, che ti metta in discussione. Questa, in fondo, è la strada della salvezza: allorché si sente parlare di un colpevole, non guardare in direzione del vicino, ma cominciare a guardarsi dentro. Si, forse sono io, perché il mio cuore è una stratificazione di tradimenti. Tra i trenta denari di Giuda c’è anche il mio contributo... La fedeltà, in certi casi, si può esprimere anche riconoscendosi capaci di qualsiasi tradimento.

 

 

LUNEDI' 13  MARZO 1995

Giuda, il traditore prese la parola: “Sono forse io, Rabbì?” Ed Egli disse a lui: “Tu l’hai detto”. (Mt. 26,25)

Ancora oggi quando appare il nome di Giuda tutti sentono il bisogno di calcare la mano. Il nome di Giuda ha esaurito tutti gli epiteti più infamanti contenuti nei vocabolari. E’ facile trovare in lui il capo espiatorio di tutto il male e scaricare su di lui quelle che sono le nostre colpe e i nostri tradimenti. Il tradimento di Giuda è un mistero: il mistero del Cristo che è povero perché si dona e che quindi stenta ad essere accettato dalla mentalità degli uomini. Giuda è nella morte e porta la morte, perché continua a restare nei suoi criteri umani, continua a voler essere lui a guidare il Cristo e non sa stargli dietro. Giuda è il cristiano che sta con Cristo fino all’Ultima Cena ma che poi non sa vivere ciò che essa significa.

 

 

MARTEDI' 14 MARZO 1995

“Prendete, questo è il mio Corpo”. (Mc. 14,22)

Tenendo conto di ciò che succederà nella Passione, l’espressione: “Questo è il mio Corpo” potrebbe venire completata così: “Questo è il mio Corpo tradito, percosso, fatto oggetto di schemi e oltraggi”. Comunicare con quel Corpo significa ricevete tutto ciò che quel Corpo ha subito. Certo è anche un Corpo “glorioso”. Glorioso perché la risurrezione manifesterà che l’amore riporta la vittoria sul tradimento, la violenza e gli insulti. Comunicare con quel Corpo significherà sempre, per la comunità cristiana, assimilare la sua forza di amare e la sua capacità di perdono. L’Eucarestia, allora, non è tanto “stare con Lui” ma “lasciarsi portare con Lui”. Partecipare all’Eucarestia rappresenta un preciso impegno a crescere e ad essere presenti ovunque l’uomo soffre.

 

 

MERCOLEDI' 15 MARZO 1995

Gli disse Pietro: “Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò”. (Mc. 14,29)

E così Pietro, nonostante l’esperienza precedente ci è cascato di nuovo. Già una volta, quando aveva voluto mettersi lui davanti al suo Maestro si era preso una rispostaccia da Gesù: “Vattene da me! Tu mi sei Satana!”

Ora si fida di sé, giudica gli altri e non riuscendo a capire il dramma, e il mistero di Gesù, si antepone ancora una volta a Lui. E’ facile dire: “Se ci fossi stato io al posto degli apostoli non mi sarei comportato come loro”. E’ facile giudicare le situazioni dicendo: “Io non sarei stato così stupido”, è facile dire agli altri: “Se vuoi affrontare la tua sofferenza comportati così e così”. Quando ragioniamo in questo modo una voce dovrebbe ricordarci le nostre debolezze: anche per noi c’è sempre un gallo in agguato pronto a cantare sulle nostre povertà!

 

 

GIOVEDI' 16  MARZO 1995

Gesù disse a Pietro: “In verità ti dico: proprio tu oggi, prima che il gallo canti mi rinnegherai tre volte”. (Mc. 14,30)

Oggi esistono addirittura “scuole delle motivazioni” che cercano di aiutare gli uomini a trovare se stessi, a sentirsi forti, sicuri di sé. Se è un bene conoscere a fondo se stessi, vincere le timidezze e le paure, c’è però il rischio costante del pensare che tutto dipenda da noi, dalle nostre forze. Pietro è sicuro di se stesso quando proclama la propria fedeltà a Gesù ma non è abbastanza umile (= realista) da vedersi com’è, con i propri limiti e da chiedere aiuto. Non è essere timidi, paurosi, ammettere i propri limiti. Non è da vigliacchi chiedere aiuto, è semplicemente sapere che se non c’è una forza speciale che viene da fuori di noi, da soli non ce la facciamo.

 

 

VENERDI' 17 MARZO 1995

“E cominciò a provare paura e angoscia”. (Mc. 14,33)

Proviamo a rivivere la situazione di Gesù: è finito il momento conviviale. Sta andando incontro ad una Passione che lo scuoterà nel fisico ma soprattutto è questo l’inizio del suo cammino nella solitudine, quella solitudine che toccherà l’abisso più profondo sulla croce, allorché Cristo si sentirà abbandonato anche dal Padre. Gesù prova la solitudine della vita e della morte che provano milioni di uomini. Solitudine di interi popoli abbandonati alla loro sorte, alla morte di fame perché non rientrano nella logica produttiva dei potenti, solitudine di bambini abbandonati o trascurati perché la necessità del lavoro (o altre volte anche solo la logica del profitto e del successo) lascia soli per intere giornate, solitudine degli emarginati e dei poveri che nelle megalopoli rumoreggianti magari trovano le mille lire ma difficilmente qualcuno che abbia un po’ di tempo per loro, solitudine degli anziani che hanno solo più nei ricordi il loro unico sfogo, solitudine dei moribondi che dietro un pio (o ipocrita) paravento muoiono in una corsia di ospedale. Gesù ha provato la solitudine e ne ha provato l’angoscia attanagliante ma nonostante questo è rimasto fedele a Dio, suo Padre: la sua solitudine è per noi. Gesù prova queste solitudini proprio per essere solidale con noi e per dirci che anche in queste solitudini si può essere fedeli al Padre: puoi sentirti solo, abbandonato da tutti, puoi addirittura non sentire Dio, ma stai sicuro che Egli c’è.

 

 

SABATO 18 MARZO 1995

“Vegliate e pregate per non entrare in tentazione”. (Mc. 14,38)

Nella sua solitudine Gesù sembra quasi elemosinare una preghiera dai suoi amici e ci indica la forza della preghiera per vincere la tentazione. La tentazione di Gesù è nostra. Non è tanto il diavolo così come ce lo raffiguriamo noi, con tanto di coda, corna e forchettone, quanto il solito pensiero di poter risolvere i nostri problemi unicamente con le nostre forze. La tentazione di Gesù e la nostra può essere quella o di fuggire o di risolvere con la forza.

Vinci la tentazione solo se ti fidi di Dio, delle sue strade misteriose, se conti poco su te stesso e molto su di Lui, e qui hai bisogno di forza. E in questo caso valgono di più le gambe che sanno inginocchiarsi che quelle che sanno correre, le mani che sanno giungersi che quelle che sanno diventare pugni, il cuore che sa farsi tenerezza che non quello che sa indurirsi.

 

 

DOMENICA 19  MARZO 1995

E diceva: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a Te, allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi Tu”. (Mc. 14,36)

Nel momento più angoscioso e difficile della vita di Gesù scaturisce questa preghiera che diventa modello alla nostra preghiera. Prima di tutto la confidenza: “Padre”. Gesù non parla al Dio dei filosofi o dei teologi, non a un Dio lontano ma a suo Padre che lo ama e che Lui ama. Gesù si fa presente al Padre e fa il suo atto di fede in Lui, poi gli presenta la sua situazione: la morte, l’angoscia, la delusione, la solitudine gli fanno paura. Gesù, nella sua umanità, non ha nessuna voglia di morire. Ma la sua preghiera va oltre. Si fida totalmente del Padre. E’ disposto, sulla parola del Padre, a compiere la sua volontà. Chissà se le nostre preghiere sono cosi: semplici ma essenziali? Preghiere che sanno chiedere ma sanno fidarsi? Preghiere che dicono quello che si desidera ma che hanno fiducia che il Padre andrà, per il nostro vero bene, oltre alla nostra richiesta?

 

 

LUNEDI' 20  MARZO 1995

“Li trovò addormentati”. (Mc. 14,40)

Questi occhi pesanti non sono solo frutto di un pranzo abbondante ma sono occhi ciechi, incapaci di vedere, di vegliare, di cogliere il mistero che si sta compiendo. Sono i nostri occhi che diventano incapaci di cogliere l’amore di Dio, di vedere il volto vero di Cristo oggi. Siamo noi che, talmente abituati da televisione e giornali, vediamo ogni giorno la passione di Gesù negli uomini, ma dormiamo. Preferiamo fermarci alla superficie, non lasciarci coinvolgere troppo. Spesso, non sapendo bene che cosa fare, preferiamo bendarci gli occhi. E non solo, così non vediamo i fratelli, ma neppure Gesù che attraverso loro chiede a noi preghiere, attenzione, solidarietà.

 

 

MARTEDI' 21 MARZO 1995

Gesù gli disse: “Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?”. (Lc. 22,48)

Ogni volta che vedo una mamma baciare il suo bambino rimango colpito dal profondo rapporto che questo gesto così semplice instaura: rapporto di sicurezza e protezione, rapporto affettivo e senso di pace, gusto di vita e di serenità. Così, spesso, vedendo due fidanzati o sposi baciarsi à facile capire che questo gesto parte dal cuore, passa attraverso gli occhi e i sensi e comunica più di lunghi discorsi. Giuda sceglie il bacio come segno del tradimento e prima di tradire Gesù tradisce questo segno di amore. Giunge ancora una volta a noi un profondo insegnamento evangelico da questo “bacio tradito”: neppure i segni più grandi sono immuni dal rischio di falsità e di ipocrisia. Ogni segno ha senso se dietro al segno c’è una persona che dà senso al gesto. Noi cristiani spesso abusiamo di parole e di gesti. Qualche esempio: preghiamo dicendo “ti amo, mio Dio, con tutto il cuore” ma il mio cuore è tutto di Dio o delle mie preoccupazioni? Ci scambiamo in chiesa la stretta di mano augurandoci la pace ma qualche volta stiamo macchinando contro qualcuno che ci ha offeso per fargliela pagare “non per vendetta.., ma per senso di giustizia!”. Ho visto certi incontri tra cristiani (e anche tra preti) pieni di sorrisi, di pacche sulle spalle, di parole più grosse di noi e poi ho visto gli stessi, nel quotidiano, neppure salutarsi per la strada. Quel bacio di Giuda è segno di innumerevoli tradimenti dell’amore.

 

 

MERCOLEDI' 22 MARZO 1995

“Lo condussero davanti al Sinedrio e gli dissero: Se tu sei il Cristo, diccelo”. (Lc. 22,66)

Signore, donaci un segno. Quante volte vorremmo avere un segno concreto e sicuro da Lui: “Se mi vuoi bene, guariscimi! Se vuoi che creda in Te, dammi la prova...”. E presi a ricercare una risposta come la vorremmo noi diventiamo incapaci di leggere e capire le migliaia di segni che già abbiamo. Qui i farisei, gli scribi, il Sinedrio non cercano neppure più un segno. Di miracoli, di segni Gesù ne aveva già fatti tanti; cercano piuttosto un “non segno” che permetta loro una giustificazione per accusare Gesù, un qualcosa che li faccia sentire giusti, ortodossi nella loro religione e che al tempo stesso permetta di togliere di mezzo Gesù che con le sue parole, con la sua vita, con i suoi discepoli, comincia a diventare ingombrante, che non rientra “nell‘ordine costituito”. Gesù, purtroppo, siamo abilissimi nelle maschere: sappiamo nascondere con un sorriso ipocrita, l’odio, il rancore, il   disprezzo, sappiamo vestire di giustizia anche i soprusi, troviamo mille motivi per giustificare azioni indegne. Diciamo di cercare la verità, ma non sarà che, invece, abbiamo paura della verità perché ci incomoda? Aiutaci a togliere le maschere per far emergere il volto di Dio che è in noi!

 

 

GIOVEDI' 23  MARZO 1995

“Alcuni si alzarono per testimoniare il falso contro di Lui”. (Mc. 14,57)

Il resoconto del processo davanti al Sinedrio è come il resoconto di tanti falsi processi e di tante ingiustizie perpetrate contro gli uomini. Quando si vuole fare del male a qualcuno, la scaltrezza degli uomini trova tutto ciò che le è necessario e anche l’atto più nefando si riveste di forme di giustizia. Gesù accetta in silenzio e vede sfilare queste tristi persone che però non riescono a trovare l’accordo. Mi sembra di leggere tra le righe ciò che Marco vuole insinuare: quando ci si mette contro la verità, è difficile trovare un accordo ed esplodono le contraddizioni. Non è possibile mettersi contro Gesù e dire il vero. E il silenzio di Gesù è il maggior rimprovero. Il suo non è il silenzio della passività o della protesta, ma è l’amore che prende su di sé ogni ingiustizia. Gesù è veramente “il servo innocente che non apri bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non apri la sua bocca”.

 

 

VENERDI' 24 MARZO 1995

Ma Pietro cominciò a imprecare e giurare: “Non conosco quell’uomo che voi dite”. (Mc. 14,71)

Mentre il Maestro è processato anche Pietro subisce un processo. I due interrogatori sono quindi collegati tra loro: l’uno riguarda Gesù e l’altro il discepolo. Si svolgono inoltre con una certa simmetria. A Gesù si chiede:

“Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?” e a Pietro: “Tu eri con Gesù?”. Gesù conferma: “lo lo sono” e si rivela pienamente; mentre Pietro nega e non sa. Come il sommo sacerdote si rivolge ai circostanti dicendo: “Che ve ne pare?”, così la serva si rivolge ai presenti dicendo: “Costui è di quelli”. E come, infine, l’assemblea del Sinedrio sentenzia la morte di Gesù, così la servitù sentenzia di Pietro: “Tu sei certo di quelli”. L’episodio del processo e del rinnegamento di Pietro ci dice che il cristiano deve essere sempre pronto alla testimonianza, sia nella grande occasione che davanti alla persona più insignificante e ci richiama ancora alla vigilanza perché nessuno, sia come singoli che come comunità possiamo ritenerci immuni, garantiti da cedimenti e compromessi. L’umile riconoscimento della propria debolezza vale più di tutte le dichiarazioni altisonanti di coraggio e di fedeltà.

 

 

SABATO 25 MARZO 1995

“E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù... e uscito all’aperto pianse amaramente”. (Mt. 26,74—75)

Il richiamo stridente di quel “gallo” è la voce della coscienza riscoperta di Pietro. Chissà se lo sentiamo ancora cantare anche per noi e in noi. E’ il gallo che, come vigile sentinella, lancia l’allarme contro le nostre alleanze con la notte, l’ipocrisia, la menzogna, gli affari. E’ il gallo che “ci ricorda” le troppe attese che abbiamo deluso, il povero che abbiamo tradito, il martire per la causa della giustizia che non sappiamo o vogliamo riconoscere.

Quel gallo dovrebbe essere in servizio permanente nella Chiesa. Per destarci dal sonno. Per farci avvampare le gote di rossore (l’unica luce, forse, che ci permette di camminare nell’oscurità in cui ci siamo cacciati). Per farci spuntare negli occhi quelle lacrime che, solo, ci permettono di ritrovare i lineamenti del Condannato.

 

 

DOMENICA 26  MARZO 1995

“E lo consegnarono a Pilato”. (Mc. 15,1)

E’ difficile avere notizie precise su Pilato. Gli scrittori giudaici, forse con esagerazione, lo presentano come persona crudele. Dai vangeli ne viene fuori un breve ritratto di uomo ambizioso ed opportunista. A me fa venire in mente l’uomo della politica di oggi. Dall’uomo dei grandi partiti fino ai “piccoli politici” delle aziende e degli uffici che si occupano di far carriera, senza troppe grane, per questo disposti a “fare le scarpe” ai piccoli che danno loro fastidio, condendo il tutto di rispettabilità, untuosità e privilegi di classi sociali. Pilato in un primo tempo tenta di sfuggire “la grana Gesù” proponendone la liberazione. Non essendoci riuscito deve scegliere e in questo non tiene conto di Gesù ma, da “buon politico”, deve tener conto della folla, delle autorità locali, della propria popolarità, della carriera. Gesù vuol portare gli uomini a sceglierlo o a rifiutarlo. Pìlato non sceglie Gesù o la sua negazione, sceglie se stesso e la sua politica. La non scelta è quella peggiore. Quante volte io sono Pilato davanti ai miei fratelli! Quanti Pilato ci sono nel mondo!

 

 

LUNEDI' 27  MARZO 1995

“Pilato lo mandò da Erode”. (Lc. 23,7)

E’ il gioco dello scaricabarile. Gesù non è più una persona, è un incomodo ingombro che passa di mano in mano. Sembra quello che succede ai nostri poveri: “Va’ all’ufficio assistenza”, “va' in parrocchia”, “dipendi dall’assistente sociale del quartiere”, “bisogna rivolgersi ad un altro ufficio”... E l’uomo non è più uomo: è una cosa scomoda a cui deve sempre pensare qualcun altro. Gesù, tu taci e segui la trafila e le mene politiche di un potere che gioca sulla tua pelle. Sei portato davanti a un re di Israele che dovrebbe, tramite la Scrittura, poterti riconoscere come Messia ma che, invece, si aspetta solo il divertimento di qualche miracolo a buon mercato. Aiutaci, Signore, a non giocare mai con le persone, fa’ che sappiamo vedere e rispettare la dignità di ogni uomo. Fa’ che davanti a qualunque persona sappia vederla per quello che è e non per quello che mi serve.

 

 

MARTEDI' 28 MARZO 1995

‘Rilasciò loro Barabba e consegnò loro Gesù”. (Mc. 15,15)

Pilato con un colpo solo riesce a liberarsi di due ingombranti problemi; egli regala al popolo due prigionieri: è affare loro! Anche di Barabba sappiamo poco. Spesso restiamo stupefatti di questo scambio. Barabba, un omicida sedizioso, viene liberato al posto di Gesù, il Figlio di Dio. Non ci siamo ancora resi conto, evidentemente, che Barabba siamo noi. Ciascuno di noi è il criminale che ha avuto la vita salva in cambio di Cristo. Questo baratto non è tanto una proposta di Pilato quanto la proposta di Dio stesso. E la scelta tra i due non è tanto da parte della folla o dei capi del popolo che istigano la gente, è una proposta offerta che Gesù stesso fa. Lui si è dichiarato colpevole al nostro posto. Lui, l’innocente, ha preso su di sé la pena che  era stata comminata a noi. E può         stupire una “coincidenza”: il nome Barabba significa “figlio del Padre”; grazie a Gesù, in quel momento ciascuno di noi è diventato Barabba, cioè figlio del Padre.

 

 

MERCOLEDI' 29 MARZO 1995

“E intrecciata una corona di spine gliela misero sul capo”. (Mc. 15,17)

Gesù vestito da Re, incoronato di spine: sembra una penosa burla fatta da uomini privi di umanità. Ma anche questa scena oltraggiosa racchiude e illumina il mistero di Cristo. Gesù è veramente il Re dell’Universo:

“Tutto è stato creato per Lui e in vista di Lui”, dice S. Paolo. Gesù è realmente “Re” nel significato vero della parola: colui che regge, sostiene, governa. Gesù non è come certi re o potenti della terra che reggono in proprio potere, se stessi, e usano solo dei propri sudditi per fini personali o di prestigio; Egli, “da ricco che era si fece povero per noi” per fare noi ricchi con Lui. Quella corona di spine che fora il capo di Gesù, allora, non è solo una beffa, ma è la vera corona del Cristo Signore, quello scettro, non usato per comandare, ma che segna con i suoi colpi il re, è lo scettro del servizio che Gesù ha scelto. I soldati godono di uno scherzo volgare e cattivo ma non si accorgono che sono proprio loro a realizzare la vera regalità di Cristo. “Non sono venuto per essere servito, ma per servire”, dovremmo ripetercelo anche noi che fin dal giorno del Battesimo siamo stati consacrati “Re” come Gesù, non per onore ma per reggere e servire con Lui e come Lui, pagando di persona e con amore.

 

 

GIOVEDI' 30 MARZO 1995 

“E requisirono un passante, Simone di Cirene, che tornava dai campi, perchè portasse la croce di Gesù”. (Mc. 15,21)

Così commenta don Mazzolari:

“Per portare la croce di Gesù, requisirono un povero. E’ sempre il povero che porta la croce. Lasciata cadere da chi dovrebbe portarla, essa finisce sempre sulle spalle del povero. Nessuno si era offerto per Gesù. Anche Simone, divenuto “pietra” aveva ceduto. Solo questo Simone, venuto da Cirene, impresta le sue spalle a Cristo, in luogo di Simone, l’eletto. Qualcuno si domanda se l’abbia fatto volentieri, per amore o di malavoglia. Ciò che sappiamo è che ha portato la croce e che ha dato sollievo.” Ciò che conta non è parlare di croce, sia essa quella di Gesù o quella dei poveri, è caricarcela, portarla almeno un po’, dare un po’ di sollievo.

 

 

VENERDI' 31 MARZO 1995

“Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si lamentavano e lo compiangevano”. (Lc. 23,27)

Grazie al cielo non c’è solo la turba che arresta Gesù, la folla che sobillata dai capi e dai sacerdoti grida “A morte”. C’è anche una gran folla di popolo che segue silenziosa e addolorata la passione di Gesù. li popolo dei semplici ha capito qualcosa. Se non ha capito il Figlio di Dio, sa commuoversi almeno davanti alla sofferenza e all’ingiustizia dell’uomo Gesù. L’uomo si fa muro nello strazio e sopra questo muro cadono le lacrime delle donne. Gesù parla alle donne che piangono, mentre guarda la faccia chiusa degli uomini. A chi piange si può rivolgere una parola, ma chi ha il cuore impietrito non viene scalfito né dalle parole né dal dolore.

     
     
 

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