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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

OTTOBRE 1994

 

SABATO 1 OTTOBRE 1994

“Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono”. (Gb. 42,5)

La frase di oggi la dice Giobbe al termine del suo grido di dolore. E’ una frase che moltissimi uomini possono fare propria: ti conoscevo per quello che le religioni e le tradizioni ti hanno presentato, ti conoscevo per quello che la mia ignoranza mi ha insegnato. Dio lo si conosce solo facendo esperienza quotidiana di Lui. Dio non si finisce mai di conoscerlo. Non basta studiano sui libri, non basta ripetere preghiere e parole, non basta neppure la testimonianza di altri, devi sperimentarlo nella tua vita. Per Giobbe, come per molti, l’esperienza della sofferenza è stata preziosa: man mano che ci si svuota, Dio riempie quei vuoti e ti ritrovi pieno di Lui.

 

 

DOMENICA 2 OTTOBRE 1994

E Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo”. (Gn. 2,18)

Dio è preoccupato della solitudine dell’uomo. All’uomo non basta neppure la felicità dei giardino dell’Eden. Non può esserci vera felicità quando si è soli. L’uomo trova la propria felicità unicamente nella relazione ad un altro. Ed ecco allora la donna come altra parte di se stesso. Dunque, il progetto di Dio a riguardo del matrimonio è un progetto di amore, di vita, armonia, luce, unità, e la coppia diventa indissolubile non attraverso norme esterne, ma per una specie di necessità che gli è propria. Quando due giovani innamorati vengono a chiedere di sposarsi, normalmente, hanno presente questo. Come mai allora tante coppie si dividono? Il Vangelo di Gesù raccoglierà tutte le motivazioni in una sola: la durezza del cuore, la sclerosi del cuore, che colpisce una o entrambi le parti della coppia e che fa vedere solo il proprio egoismo ed impedisce di capire l’ampiezza e vivere le esigenze del progetto divino.

 

 

LUNEDI’ 3 OTTOBRE 1994

“Un samaritano passandogli accanto, lo vide e ne ebbe compassione”. (Lc.10,13)
Alcune osservazioni: qui il samaritano non sta a chiedersi se il ferito è un correligionario, uno che “merita” soccorso. Da ciò impariamo che dobbiamo preoccuparci di tutti allo stesso modo e non solo dei nostri fratelli di fede. Dice Giovanni Crisostomo: “Se vedi qualcuno soffrire, non stare ad investigare: ha diritto al tuo aiuto per il semplice fatto che soffre”. La compassione del samaritano si traduce in gesti concreti. Aiuta il ferito come si deve, come si trattasse di una persona a lui carissima. La carità del samaritano è disinteressata. Non lo fa per secondi fini, neppure per “guadagnarsi” il paradiso, lo fa per amore del ferito. La carità per secondi fini è sempre pruriginosa. Alla fine dei tempi i giusti non si saranno accorti di aver servito Cristo. Hanno servito per amore il bisognoso.

 

 

MARTEDI’ 4 OTTOBRE 1994

“Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. (Mt. 11,25)

S. Francesco stesso ricorderà così la sua vocazione: “Cristo ha chiamato me, idiota e semplice, perché seguissi la stoltezza della croce e mi ha detto: ‘lo voglio che tu sia un nuovo pazzo nel mondo, e con le opere e la parola tu predichi la stoltezza della croce”. Un tipo come Francesco, ci indica la libertà più grande, ci toglie ogni pretesto, ci snida dai comodi alibi, vanifica le solite banali giustificazioni che accampiamo per sottrarci all’impegno di credenti. Lui ci dimostra in semplicità e letizia, che la santità è alla nostra portata, che il Vangelo di Cristo non è fatto semplicemente per essere commentato e ammirato, ma per essere attuato, e la possibilità di “vivere secondo il Vangelo” non è qualcosa di agevole e di automatico ma la si conquista soprattutto attraverso la “follia” e la povertà.

 

 

MERCOLEDI’ 5 OTTOBRE 1994

“Signore, insegnaci a pregare”. (Lc. 11,1)

Ci aiuta nella riflessione odierna un brano di S. Giovanni Crisostomo:

La preghiera è un bene sommo: è infatti comunione intima con Dio e ci rende una cosa sola con Lui. Come gli occhi del corpo s’illuminano nella luce, colui che si rivolge a Dio viene investito e penetrato dalla luce sublime della preghiera. Deve però trattarsi di una preghiera che viene dal cuore, e non solo fatta per abitudine. Non deve essere limitata a ore o a tempi determinati, ma fiorire continuamente, notte e giorno. Con la preghiera l’uomo si unisce a Dio in un ineffabile abbraccio: come un bambino chiama nell’affanno sua madre, anche l’uomo grida verso Dio desideroso del sostegno che viene da Lui. La preghiera rende felice l’uomo, perché appaga le sue aspirazioni. Mentre il corpo rimane sulla terra, lo spirito si disseta con quell’acqua che diverrà fonte zampillante per la vita eterna. Chi ha gustato la preghiera si è infiammato di un vivo desiderio di Dio che gli divampa dentro come fuoco ardente.

 

 

GIOVEDI’ 6 OTTOBRE 1994

“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. (Lc. 11,9)

Gesù afferma che la nostra preghiera giunge a Dio e trova una risposta. Eppure, questa è la nostra esperienza, molte volte abbiamo pregato, ma non abbiamo ricevuto risposta e forse ci siamo sentiti anche più abbattuti di prima e con la fede scossa dal dubbio. La nostra preghiera di domanda deve essere, se è fatta bene, una preghiera che ci fa entrare nella mentalità di Dio e in noi stessi per scoprire i nostri veri bisogni. Dio non può essere considerato un distributore automatico di grazie e non può esaudire le domande inutili o ingiuste. Anche con Gesù, Dio si è comportato così: non ha staccato suo Figlio dalla croce. Quella croce è conseguenza di una scelta responsabile di Gesù e del peccato degli uomini. Dio non ama la croce che uccide suo Figlio ma la trasforma in amore.

 

 

VENERDI’ 7 OTTOBRE 1994

“Erano assidui alla preghiera assieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù”. (At. 1,14)

Quante cose sono state dette sul Rosario, in pro e in contro. Da chi ha esaltato questa preghiera anteponendola addirittura all’Eucarestia, a chi l’ha bellamente cancellata definendola retaqgio di tempi oscuri, ripetitività inutile. Per me è pregare con Maria, con Lei rivivere i misteri di Gesù e della nostra salvezza, è la preghiera del quotidiano che ricomincia ogni giorno e che ogni giorno trasfigura il banale quotidiano, è la preghiera dei semplici che si fidano poco delle parole proprie ma che si affidano, è la preghiera attraverso la quale intere generazioni di intellettuali e di poveri, di santi e di peccatori si sono rivolti con fiducia a Dio per mezzo dell’intercessione della Vergine. Preghiera facile o difficile? Ciascuno di noi ha le sue sensibilità e le sue difficoltà, io però mi sono accorto di una cosa: non è parlandone ma cominciando a pregare il Rosario, che poco per volta lo capirai.

 

 

SABATO 8 OTTOBRE 1994

“Beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano”. (Lc. 11,28)

Quando noi pensiamo alle beatitudini solitamente facciamo riferimento all’elenco che troviamo nel Vangelo di Matteo, ma lungo tutti e quattro i vangeli troviamo sparse parecchie di queste “benedizioni”. Beato vuoi dire felice, fortunato. Ebbene Gesù ti chiama felice se sei capace di ascoltare la sua Parola, se la accogli in te, se la lasci portare il frutto per cui Dio l’ha mandata. Dio ci ha parlato. Ha parlato all’inizio e le sue parole sono diventate la creazione, ha parlato lungo i secoli e la sua parola è diventata storia della salvezza, ha detto la sua Parola definitiva e Gesù si è incarnato. Se tu, come Maria, accogli la Parola e le lasci portare il frutto, Gesù si incarna in te, e se hai Gesù con te non puoi non essere beato, felice, fortunato. Oggi Dio ti parla, oggi Gesù in mille modi entra nella tua vita, oggi puoi essere veramente felice.

 

 

DOMENICA 9 OTTOBRE 1994

"II  giovane,  rattristatesi per quelle parole, se ne andò afflitto, perché aveva molti beni". (Mc. 10,22)

Nella mentalità di  parecchia gente l'immagine del ricco è associata istintivamente  a  quella  della  gioia. Case favolose,  macchine  strepitose, crociere, alberghi di lusso, piaceri raffinati... E a tutto questo si da un nome: felicità. Invece, sovente, non è che la maschera della felicità, sotto c'è un vuoto abissale, c'è la noia, c'è la  tristezza più sconfinata.  Il ricco compie questa pazzia: pretende di essere felice da solo. Non lasciare che le ricchezze ti sfrattino dalla vita, da tè stesso, dall'eternità. Non lasciare che esse passino dalle mani  al cuore e poi dal cuore agli occhi per arrivare dagli occhi al cervello e dal cervello a tutta la persona  privandoti  dell'unica  vera ricchezza: Dio.

 

 

LUNEDI’ 10 OTTOBRE 1994

“Questa generazione malvagia cerca un segno”. (Lc. 11,29)

La fede non dipende dai miracoli, I giudei volevano dei segni per accettare la testimonianza di Gesù: quelli che Lui faceva in continuazione non erano loro sufficienti, e questo ci dimostra che i miracoli possono avvicinarci alla fede ma non la danno automaticamente. Alcuni si chiedono a volte perché Dio non dà agli atei segni schiaccianti, perché non scrive il suo nome in cielo con tanta chiarezza da rendere impossibile rifiutarsi di credere. Non lo fa per la stessa ragione per cui Cristo non ne volle offrire portenti, né al diavolo che lo tentava, né a chi era assetato di meraviglioso, né ai suoi nemici quando moriva sulla croce. Questi richiami pubblicitari non servirebbero a niente, al massimo a suscitare un consenso forzoso, cioè una falsa fede. Dostoewskij ne “La leggenda del grande

Inquisitore”, così interpreta la croce di Gesù: “Non scendesti dalla croce, Signore, perché non volevi fare gli uomini schiavi con un portento, perché desideravi un amore libero e non quello che nasce da un miracolo. Avevi sete d’amore volontario, non di incontro servile davanti al potere che incute timore agli schiavi”. Il vero credente non chiede, né ha bisogno di miracoli per credere e convertirsi a Dio. Gli basta vedere l’ubbidienza incondizionata e l’amore senza misura di Gesù.

 

 

MARTEDI’ 11 OTTOBRE 1994

“Date in elemosina quel che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà mondo”. (Lc. 11,41)

Un lebbroso, vestito di miseri stracci, se ne stava seduto per terra a chiedere l’elemosina, I passanti impietositi lasciavano cadere qualche soldo nel suo berretto rovesciato, posato ai suoi piedi. Ma il povero derelitto non faceva mai un cenno di ringraziamento, né con il capo né con le labbra. Allora un tale, Stupito di questo comportamento, gliene chiese la ragione. Ma come! — sbottò l’altro — Iddio si serve di me per darti la possibilità di fare una buona azione, un atto caritatevole, e dovrei essere io a dire grazie a te? Tocca piuttosto a te ringraziare me perché così ti puoi guadagnare il Paradiso! Rise quel tale e allontanandosi pensò che, dopo tutto, quell’infelice aveva ragione: il bene che facciamo agli altri, in verità, lo facciamo ancora più a noi stessi. Da allora, tutte le volte che incontrava il povero lebbroso, gli dava due monete: una per elemosina, in segno di carità; l’altra per riconoscenza, in segno di ringraziamento.

 

 

MERCOLEDI’ 12 OTTOBRE 1994

“Guai a voi, farisei”. (Lc. 11,42)

Qual è il torto degli scribi e dei farisei? Quello di restringere la propria fede all’osservanza rigorosa della legge, di affidarsi unicamente al culto per incontrare Dio. E’ un’illusione che perdura anche oggi, in mezzo ai cristiani. C’è sempre il rischio di separare il culto dalla vita, il mestiere di cristiani da quello di uomini, i doveri religiosi dalla pratica della giustizia. Messa, sacramenti (quasi tutti), devozioni, comandamenti (qualcuno) e il buon Dio è a posto. Gesù grida: “Guai!”: Dio non lo puoi comprare! Per essere cristiani non ci sono soltanto i rosari, le novene, le giaculatorie, il segno di croce prima di addormentarsi o la medaglietta (possibilmente d’oro) da portare al collo. Per essere cristiani c’è tutto il resto. Ossia “la giustizia, la misericordia, la sincerità”.

 

 

GIOVEDI’ 13 OTTOBRE 1994

‘Guai a voi farisei…”. (Lc. 11,47)

Anche oggi, partendo dai “Guai” di Gesù ai farisei, facciamo una riflessione con l’aiuto di S. Gregorio Magno sulla sincerità e l’ipocrisia. “La sapienza di questo mondo sta nel capire con astuzia i propri sentimenti, nel velare con le parole il pensiero, nel mostrare vero il falso e falso il vero. Al contrario la sapienza del giusto sta nel fuggire ogni finzione e falsità, nel manifestare con le parole il proprio pensiero, nell’amare il bene così com’è, nell’evitare la doppiezza, nel donare gratuitamente i propri beni, nel sopportare più volentieri il male piuttosto di farlo, nel non vendicarsi dei torti ricevuti, nel ritenere un guadagno l’offesa subita a causa della verità.”

 

 

VENERDI’ 14 OTTOBRE 1994

“Non temete.. .". (Lc. 12,7)

La paura, sia essa del futuro, sia di Dio, è la cattiva compagna dell’uomo. L’unica paura che salva è il giusto timor di Dio che ci fa riconoscere con verità la nostra condizione di creature. Gesù non ci dice che saremo immuni dalle persecuzioni e dalle prove, ci invita però a superarne la paura con la confidenza nel Padre. Proprio la vittoria sulla paura, sulla vergogna e sul rispetto umano è la linea divisoria tra il vero discepolo di Gesù e chi è solo cristiano occasionale, quando le cose gli vanno bene. Ma la paura può essere vinta solo con l’amore. Ed è questa la risposta all’affetto che Dio ha per noi. Anche se siamo deboli, la mano possente del Signore ci sosterrà nelle sue vie.

 

 

SABATO 15 OTTOBRE 1994

“Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli Angeli di Dio”. (Lc. 12,8)

A proposito di testimonianza ci facciamo aiutare da S. Ignazio di Antiochia. “Chi dice di appartenere a Cristo lo dimostra con le sue opere. Non basta fare una professione di fede a parole, ma occorre vivere nella fede con costanza e fedeltà. E’ meglio essere cristiano senza dirlo, che proclamano senza esserlo. E’ bello insegnare se chi parla pratica ciò che insegna. Uno solo è il Maestro: Egli parlò e tutto fu fatto. Chi vive veramente il Vangelo può capire anche il suo silenzio e giungere in questo modo alla perfezione. Costui agirà come parla, ma anche col silenzio si farà conoscere. Nulla è nascosto al Signore: anche i nostri segreti sono davanti al suo sguardo.”

 

 

DOMENICA 16 OTTOBRE 1994

“Voi non sapete ciò che chiedete”. (Mc. 10,38)

Questa risposta di Gesù ai due Apostoli che chiedevano a Gesù di sedere uno alla sua destra e uno alla sua sinistra vale anche per la nostra preghiera, infatti anche noi spesso vorremmo un Dio a nostra disposizione che esaudisse le nostre richieste. Vorremmo che ci firmasse un assegno in bianco, mentre nella vera preghiera dobbiamo essere noi a fidarci di Lui. Dobbiamo essere convinti che ciò che ci chiederà il Signore è molto più vantaggioso di ciò che noi vorremmo pretendere da Lui. Signore, ho tante cose da chiederti, sempre. Mi sembrano sensate, opportune per il mio bene, per il bene del mondo intero. E te le chiedo perché tu mi hai detto di bussare. Ma oggi ti chiedo soprattutto di sapermi fidare di Te, che, prima ancora delle nostre richieste, sai ciò di cui veramente abbiamo bisogno e che come Padre buono e premuroso sai vedere più in là della mia vista corta e vuoi darci ciò che è veramente necessario per la vita eterna.

 

 

LUNEDI’ 17 OTTOBRE 1994

“Guardatevi e tenetevi lontano da ogni Cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai Suoi beni”. (Lc. 12,15)

Gesù ha scelto la povertà per farci ricchi e continuamente ci invita, nel Vangelo, a non raggelare il cuore abbandonandolo alle cose. Una grande nuvola, candida e morbida, non voleva assolutamente cedere l’acqua che portava nel suo grembo. Se faccio Piovere — pensava — che cosa ne sarà di me? Avara ed egoista, sorvolava impietosa la terra in bramosa attesa della sua pioggia. Gli alberi innalzavano i rami verso di lei, e l’erba implorava: Scendi sopra di noi! Dissetaci! Ma la nuvola non ascoltava, tirava dritto, altezzosa, sospinta dal vento. Un giorno, però, il suo cuore divenne così freddo e duro che tutta la nuvola pian piano si raggelò. La soffice coltre leggera e vaporosa divenne un duro e pesante vestito di schegge gelate che si spezzò in mille frantumi di ghiaccio. Anziché dolce pioggia, portò dura grandine che cadde come sferzate di sassi sulla povera terra.

 

 

MARTEDI’ 18 OTTOBRE 1994

“Il Signore designò altri 72 discepoli e li inviò”. (Lc. 10,1)

Spesso, nelle mie fantasie, mi sono chiesto come avrei scritto il Vangelo se fossi stato al posto di Luca o di Matteo, Marco, Giovanni. E, a seconda dell’età, delle esperienze di vita, mi sono accorto che in certi giorni avrei insistito di più sui miracoli potenti di Gesù, altre volte sulla passione, altre volte sulla vita nascosta del Salvatore o sulla sua predicazione. Ma, risvegliandomi da questi sogni bambineschi mi rendo conto che Gesù, oggi, mi chiede di scrivere una pagina del suo Vangelo, Il discepolo deve seguire e testimoniare il Maestro. E oggi, attraverso i fatti sereni o difficili che mi capiteranno, attraverso le scelte e gli incontri, posso scrivere un altro pezzetto della storia di Gesù. Mi auguro allora di essere come Luca e chiedo la sua intercessione affinché oggi la mia vita non sia una brutta pagina del Vangelo di Gesù.

 

 

MERCOLEDI’ 19 OTTOBRE 1994

“Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate”. (Lc. 12,40)

L’invito alla vigilanza che Gesù ci rivolge non è per farci vivere nella paura del giudizio finale, ma per aiutare a toglierci le maschere, ad essere sinceri e veritieri con noi stessi e con gli altri. Attraverso un’immagine suggestiva, S. Giovanni Crisostomo ci invita alla riflessione: “Qui sulla terra siamo come in un teatro: nel teatro voi vedete splendide rappresentazioni. Entrano molti attori e recitano la loro parte. Un attore diventa saggio, e non lo è; un altro diventa re e non lo è, ha soltanto l’aspetto del re; un altro diventa medico, e non sa curare nessuno: è solo vestito come un medico. Tutti non sono nulla di ciò che appaiono. Quando giunge la sera, lo spettacolo finisce. Le maschere sono tolte, l’inganno è finito, la verità si afferma. Così avviene anche alla fine della vita. La recita è finita, le maschere sono tolte: si giudica ciascun uomo e le sue opere.”

 

 

GIOVEDI’ 20 OTTOBRE 1994

“C’è un Battesimo che devo ricevere e come sono angosciato finché non sia compiuto!”. (Lc. 12,50)

Gesù sente su di sé il peso della nostra umanità, sente il suo desiderio di salvarci, sente anche l’impotenza di arrivare ai cuori chiusi. La preghiera di Paola Dessanti, che vi offro oggi, esprime anche l’angoscia del discepolo, operatore di pace, davanti al male. “Signore, stasera sto male per le famiglie degli uccisi e per le famiglie degli assassini, per gli uomini senza speranza, per le persone sole. Sto male perché so che tutte hanno nel loro grande piccolo cuore umano un grandissimo dolore. Signore, stasera sto male per i cattivi politici, per coloro che hanno fatto promesse e non le hanno mantenute, per gli indifferenti alla politica e alla società. Sto male perché non hanno capito che la vita è azione, è fare il nostro dovere. Signore, stasera sto male per me stesso, soltanto per me. Sto male perché sento che tutti questi sono miei fratelli, ma che non ho un cuore così grande da amarli tutti, uno per uno. Signore, stasera ti offro tutto il mio star male”, accettalo e trasformalo Tu in forza per cambiare il male in bene, la morte in vita, il buio in luce.”

 

 

VENERDI’ 21 OTTOBRE 1994

“Come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?”.  (Lc. 12,56—57)

Sembra che una buona parte di nostri contemporanei abbia ampiamente superato questo insegnamento di Gesù. A sentire certi politici, certi giornalisti e anche tante persone comuni sembrerebbe che non solo si giudichi il nostro tempo, ma si abbia un giudizio tranciante e netto su ogni cosa. Quanto poi al giudicare da noi stessi su ciò che è giusto, oggi impera la morale del “fai da te”: ognuno dice buono e giusto quello che gli interessa! Gesù ci invita a leggere i segni dei tempi con gli occhi di Dio e non secondo gli interessi umani, ci chiede di essere persone coerenti con il vero e con il giusto, ma come ci viene presentato dalla Parola di Dio.

 

 

SABATO 22 OTTOBRE 1994

“Riferirono a Gesù di quei Galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici”. (Lc.13,1)

Presentano a Gesù alcuni fatti di cronaca nera: “Che cosa ne pensi? Di chi è la colpa?” Gesù invece di cercare il colpevole legge i fatti come invito alla conversione. Viviamo tutti la precarietà, nessuno di noi è padrone del tempo e della vita per cui è adesso che puoi cambiare, è adesso che puoi incontrare Cristo, che puoi operare per il bene dei fratelli. Di fronte a questo progetto, c’è chi non si impegna, chi attende tutto dagli altri, chi dice: “Chi me lo fa fare?”; c’è chi non crede al valore della sua azione, la ritiene una goccia troppo piccola nel grosso mare dei problemi dell’uomo. 

Ma c’è, naturalmente, anche chi si pone di fronte alla sofferenza umana con l’atteggiamento di Cristo che si fida di Dio e lotta per rendere i rapporti umani diversi, per creare solidarietà.

 

 

DOMENICA 23 OTTOBRE 1994

“Il cieco Bartimeo cominciò a gridare...”. (Mc. 10,47)

Pronzato fa questa riflessione:

Bartimeo è uno che ha imparato a gridare. Prima ancora di recuperare la vista ha riacquistato il grido. Con ciò è tornato all’infanzia, alla nascita. Allorché un bambino viene al mondo annuncia la propria presenza mettendosi a urlare. Quel grido rompe la calma. Dà fastidio. Ed ecco gli adulti farsi attorno, preoccupati, seccati da quegli strilli non regolamentari che disturbano, rovinano la quiete. Tutti a zittire il ribelle. Deve imparare, il piccolo, le regole del vivere, adeguarsi. Ossia, rinunciare al. grido per accordare la propria voce al concerto generale. Ma il cieco ha deciso di nascere di nuovo. Per questo grida a costo di infrangere l’armonia della processione, piazzare la nota stonata nel concerto e in questo modo fa capire che la salvezza per tutti consiste nel fare in modo che la voce raggiunga Colui che sta passando. Una voce magari aspra, disperata. Ma che sia la nostra, non del coro.

 

 

LUNEDI’ 24 OTTOBRE 1994

“Comportatevi perciò come i figli della luce”. (Ef. 4,8)

S. Paolo, nel brano che ci viene proposto Oggi, fa un lungo elenco di Cose che devono essere proprie di un cristiano: benevolenza, misericordia, perdono... e di atti che non si addicono ad un credente: fornicazione, impurità, cupidigia, insulsaggini, volgarità... Ma la cosa più importante è la motivazione per cui queste cose sono o non sono proprie del credente. Siccome Dio è nostro Padre, noi dobbiamo imitarlo; siccome siamo stati santificati da Cristo dobbiamo manifestare la sua santità. Non si tratta dunque di avere l’elenco delle cose proibite, l’elenco dei peccati, si tratta invece di far dipendere le nostre azioni dalla vocazione e consacrazione che abbiamo ricevuto.

 

 

MARTEDI’ 25 OTTOBRE 1994

“Il Regno dei Cieli è simile ad un granello di senape”. (Lc. 13,19)

Un piccolo spermatozoo e un ovulo danno inizio alla vita. Il contadino che ha buttato il granello nella terra non ci pensa più ma il ‘seme al buio si trasforma e diventa pianta. Chi è Gesù Cristo? Un uomo, uno dei miliardi di uomini che sono passati sulla terra, che è morto tanti anni fa su una croce, eppure il seme del suo sangue ha generato uomini alla fede e alla grazia. Una parola detta con amore, un piccolo atto di carità, a volte dopo anni, porta il suo frutto di nostalgia di bene, di speranza. Nella vita contano i granelli piccoli: essi hanno tutta la potenza della vita. Ma ad essi occorre il terreno buono, disponibile ad accogliere, a lasciarsi trasformare.

 

 

MERCOLEDI’ 26 OTTOBRE 1994

“Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. (Lc. 13,23)

Davanti alle esigenze del Vangelo sembra quasi naturale la domanda che viene posta a Gesù: “Chi si salverà?” E vorremmo avere delle risposte precise a questa domanda, delle ricette ben dosate. Gesù, invece, ci dice che la strada è quella di fidarsi di Dio e di operare come Lui vuole entrando così per la porta stretta e operando una profonda conversione del cuore. Non ci si salva, dunque, per appartenenza ad un popolo, né per aver osservato alcuni comandamenti, né per aver rivestito ruoli anche religiosi. La salvezza è Dio stesso e ci si salva entrando in sintonia con Lui.

 

 

GIOVEDI’ 27 OTTOBRE 1994

“Prendete perciò l’armatura di Dio, perché Possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove”.  (Ef. 6,13)

S. Paolo, nella sua vita, fu un lottatore. Dovette combattere contro le tentazioni personali, contro i nemici della Chiesa nascente, contro certi cristiani che pensavano di poter ridurre le esigenze del Vangelo ai propri comodi. Ci invita allora ad armarci per combattere il male. Il male è presente in ogni manifestazione umana: lo troviamo in noi stessi, nel male del mondo, tra i nostri stessi fratelli...; saremmo dei presuntuosi se pensassimo di vincere il male con le nostre sole forze. Ricordiamoci che il diavolo è un puro spirito, quindi più forte di noi. Ma Dio è più forte di ogni forma di male. Rivestire la sua armatura significa combattere con la sua forza. Ma dove la trovo questa armatura? La preghiera, i sacramenti, la carità, il sacrificio. Non si va alla guerra disarmati, non si va a fare un balletto, si va per lottare, c’è il rischio di essere feriti, ma “se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”.

 

 

VENERDI’ 28 OTTOBRE 1994

“Avvenne che in quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione”. (Lc. 6,12)

Oggi, nel giorno della festa di due apostoli, la liturgia ci offre il brano di Vangelo che ricorda la loro chiamata. E Gesù, prima di designare gli apostoli, passa una notte in preghiera. Gesù per scegliere i suoi testimoni non ha fatto i “test attitudinali”, non ha neppure preteso di scegliere i più bravi, i più furbi, i più pii.., ha pregato. Ogni volta che penso alla mia vita, ai miei tradimenti, alle debolezze di carattere, ai buchi nell’intelligenza, alle mie incapacità, mi stupisco per il fatto che Dio mi abbia scelto per essere suo sacerdote, e ognuno di noi può stupirsi al pensiero di essere stato scelto come testimone del Vangelo. Eppure Gesù ha pregato per me, per ciascuno di noi. Lui sa che con la forza di Dio possiamo dargli testimonianza. Perché allora deluderlo? Se Lui si è fidato di me non posso fidarmi della sua preghiera per me?

 

 

SABATO 29 OTTOBRE 1994

“Gesù, vedendo come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola”. (Lc. 14,7)

La corsa al primo posto che Gesù osserva tra gli invitati ad una festa è la stessa che noi osserviamo in quasi tutti i campi della vita e se non siamo più che attenti, noi stessi scendiamo in lizza. Dal bambino che spinto dai genitori deve essere il primo della classe, al politico che pur di arrivare al ruolo di egemonia è disposto ad intrighi e congiure. E nei nostri posti di lavoro? Persino gli uomini di Chiesa non sono immuni da questo male. Gesù ci invita all’umiltà, parola che va poco di moda. Umile deriva dal latino ‘humus’ che vuoi dire terra. Umile è quindi chi sta rasente al suolo. Qualcosa che corrisponde esattamente alla nostra piccolezza e condizione di creature. Umile è chi, con sapienza e realismo, riconosce la distanza che lo separa dai suo Creatore. Per questo, umiltà è camminare nella verità.

 

 

DOMENICA 30 OTTOBRE 1994

“Amerai il Signore... e il prossimo tuo come te stesso”. (Mc. 12,31)

In molti programmi televisivi e sui giornali si parla dell’amore, cercando di sviscerarne (ciascuno secondo le proprie prospettive e soprattutto secondo i propri interessi) tutti gli aspetti e dando suggerimenti e consigli per ogni situazione. Il guaio più grosso in queste “chiacchiere” che si fa una gran confusione su questa parola: o la si confonde con l’aspetto fisico e la si riduce a qualcosa che si sente dentro, che ci rende felici, appagati, sicuri. Raramente si interpreta l’amore come un qualcosa che si fa per gli altri, per il nostro prossimo, anche quando ciò non ci procura una soddisfazione o un piacere immediati. L’appello biblico all’amore non è un appello rivolto principalmente ai sentimenti, ma alla volontà. La volontà, non sempre facile né automatica, di procurare il bene del nostro prossimo nello Stesso e identico modo in cui lo desideriamo per noi stessi.

 

 

LUNEDI’ 31 OTTOBRE 1994

“Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria”. (Fil. 2,3)

Le lotte, le rivalità, le invidie sono sempre brutte e dolorose, ma è ancora peggio quando sorgono rivalità tra credenti. Sembra impossibile in quanto è Gesù che ha salvato tutti, è Lui l’unità, “lavoriamo” per lo stesso Regno, eppure capita di vedere cristiani invidiosi l’uno dell’altro, parrocchie gelose vicendevolmente, gruppi ecclesiali che fanno la lotta tra di loro, cristiani che vogliono sopravanzare altri cristiani,  preti e vescovi che  combattono per il primo posto. Come possiamo testimoniare l’amore di Cristo se siamo divisi tra noi? Non dovremmo essere contenti, invece che gelosi, che Dio operi in qualche nostro fratello?

     
     
 

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