RIFLESSIONI
QUOTIDIANE SULLA
PAROLA DI DIO
a
cura di don Franco LOCCI
MAGGIO
1994
DOMENICA
1 MAGGIO 1994
“E
tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si Compia nei nome del
Signore”.
Il mese di maggio, dedicato a Maria, inizia con una festa che riguarda il suo sposo. Giuseppe, scelto e chiamato da Dio per una missione così grande come quella di rappresentare la paternità di Dio a Gesù, è una figura enormemente grande per la sua umiltà, sa soltanto obbedire con gioia e offrire tutto se stesso perché il mistero d’amore di Dio si compia. Lui che ha tra le braccia il Creatore dell’universo, offre le sue braccia nell’umile lavoro quotidiano del falegname. Lui che ospita come figlio la Parola incarnata, insegna a Gesù la Bibbia. Lui che potrebbe raccontarci tante cose della vita nascosta della Sacra Famiglia, tace e obbedisce offrendoci con ii suo silenzio la più grande testimonianza di fedeltà e amore. Cristo continua la sua incarnazione ed anche oggi ha bisogno di uomini che come Giuseppe sappiano offrire silenzio accogliente, braccia operose, disponibile obbedienza. Gesù non cerca rumore, apparenze, cerca dimora in cuori che sappiano accoglierlo con gioia.
LUNEDI’
2 MAGGIO 1994
“Chi
accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama”. (Gv. 14,21)
Ci
sono due modi (con molte varianti) con cui mettersi davanti ai comandamenti
del Signore. Il primo modo è quello di sentirli come un peso ma di volerli
osservare scrupolosamente per essere fedeli alle norme e “guadagnarsi il
paradiso”; il secondo, quello di vederli come un dono e di osservarli nella
logica dell’amore di Dio e del prossimo. Osservare i comandamenti di Gesù è
il nostro modo concreto di riconoscere Lui il Dio, superiore a noi, che ci ama,
ed è la nostra possibilità di risposta ai suoi doni. Colui che ha capito
questo, allora, non osserva i comandamenti per sentirsi buono o per ottenere
qualcosa ma, sentendosi libero da ogni legame, li osserva per amore di Cristo e
dei fratelli, sapendo che i comandi di Dio sono l’unica strada per la vera
realizzazione di se stesso. Guardiamo a Maria: ha detto “eccomi, sono la serva
del Signore”, si è messa nelle sue mani, si è lasciata fare da Lui e ne è
uscito un capolavoro.
MARTEDI’
3 MAGGIO 1994
“Non
sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore”. (Gv. 14,47)
Queste
parole che Gesù dice ai suoi discepoli suonano quasi identiche a quelle che
l’angelo ha detto alla Madonna: “Non temere, Maria, hai trovato grazia
presso Dio”. La buona notizia non porta mai timore, paura, porta sempre gioia
e serenità. Dio non viene per condannare, ma per salvare, non viene per
puntarci contro il dito ma per tenderci la mano. La paura, come la morte sono
state vinte dal Salvatore. Chi ama non ha mai paura: pensiamo ai martiri che
riuscivano ad andare al supplizio sereni, perché sapevano di poter trovare
forza in Dio.
MERCOLEDI’
4 MAGGIO 1994
“Come
il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così
anche voi se non rimanete in me”. (Gv. 15,4)
Con
un po’ di fantasia, proviamo ad immaginarci un ramo di un bell’albero che un
giorno dicesse: “Sono stufo di stare sempre qui, sempre lo stesso panorama!
Voglio
andarmene; il mondo è grande.. e decidesse di staccarsi dalla pianta. Cadrebbe
a terra a pochi passi dalla pianta e comincerebbe a seccare. Eppure certi
cristiani si comportano proprio così: “Il Vangelo e sempre uguale..., la
Messa della domenica è un peso..., confessarsi è una cosa da Medioevo..., la
Chiesa è vecchia... Voglio tentare lidi nuovi!” E magari si attaccano a
esoterismi che non hanno senso e poco per volta recidono le proprie radici e la
fede languisce, la linfa vitale non arriva più, ci si inaridisce e un bel
giorno si arriva a dire: “Ho perso la fede!”. La fede non l’hai persa,
l’hai fatta morire! “Rimanete in me” dice Gesù.
GIOVEDI’
5 MAGGIO 1994
“Questo
vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. (Gv.
15,11)
Si
racconta di un filosofo che dopo anni di ricerca era venuto a contatto con il
Vangelo e leggendolo si era quasi convinto della verità di esso. Ma gli
occorreva ancora una prova: voleva vedere come lo vivevano i cristiani. La
domenica di Pasqua si apposta all’uscita della cattedrale della sua città
per vedere la gioia di coloro che avevano celebrato la risurrezione di Cristo.
Ma vedendo l’individualismo e l’indifferenza con cui i cristiani uscivano
dopo la Messa, disse: “ Questi non vengono dall’esperienza di un morto che
è risorto ed è vivo in mezzo a loro, al massimo escono da una sepoltura!”.
Troppo spesso abbiamo ridotto la fede e la religione ad un qualcosa di triste,
ad un insieme di riti compiuti più per dovere che per gioia. Eppure Gesù è
venuto per salvarci. immaginatevi un naufrago che dopo aver rischiato di morire
affogato viene trovato e salvato sarà contento o musone?
VENERDI’
6 MAGGIO 1994
“Non
voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”. (Gv. 15,16)
Prima
di scegliere scopro che Qualcuno mi ha già scelto. Anche Maria, prima di dire
il suo si era già stata “prescelta” per la missione di essere Madre del
Salvatore. Se capissimo a fondo questo, quanto meno orgoglio ci sarebbe nel
nostro comportamento cristiano: non siamo noi che portiamo Dio sulle nostre
spalle, è Lui che ci precede, il nostro compito è quello di ringraziare e metterci
a disposizione delle sue scelte. “Non ho mai convertito nessuno” mi diceva
con serenità un vecchio e generoso prete. Allora mi stupivo davanti a quelle
parole, ora capisco che aveva ragione lui: non siamo noi a convertire, a fare,
è Dio che fa anche per mezzo nostro e qualche volta “nonostante” noi.
SABATO
7 MAGGIO 1994
“Se
foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del
mondo, per questo il mondo vi odia”. (Gv. 15,19)
Davanti
a questa frase di Gesù mi interrogo: il mondo mi odia o mi ama? Scopro che
oggi è raro trovare un odio viscerale per i cristiani. Ma sarà perché il
mondo ha smesso di pensarla contro Cristo o perché i cristiani hanno talmente
annacquato la propria fede con tanti compromessi che questa non dà più
fastidio a nessuno? Non dobbiamo andare a cercarci la persecuzione ma se fossimo
più coerenti certamente andremo incontro a qualche difficoltà. Mi chiedo
anche come reagiamo davanti ai sorrisetti, all’aria di sufficienza, alle
battute... Non è ancora persecuzione vera e propria ma sono “colpi dì spillo”
quotidiani. In queste situazioni mi ritiro o so essere un gioioso testimone
che poco per volta cerca di assomigliare un po’ di più a Gesù?
DOMENICA
8 MAGGIO 1994
“Cornelio
andando incontro a Pietro si gettò ai suoi piedi per adorano. Ma Pietro lo
rialzò dicendo: Alzati, anch’io sono un uomo!”. (At. 10,25-26)
Pietro
ne ha fatta tanta strada nella fede: dopo le sue sicurezze, le sue ricerche di
potere, ha sperimentato la sua povertà e defettibilità e l’amore di Gesù
che lo ha perdonato, e questa volta, davanti a qualcuno che si inginocchia
davanti a lui, subito lo rialza ricordandogli di essere solo un pover‘uomo.
Questa frase esprime il rifiuto di un atteggiamento “clericale” di privilegio,
non esige protezioni speciali dovute al suo ruolo di primo papa, non pretende
neppure di essere chiamato “santità”, “eminenza reverendissima” o
signor parroco”, esige di essere considerato “uomo”, uomo strumento di
Dio, uomo peccabile. E’ come se Pietro dicesse: “Non confondiamo le parti.
Non scambiatemi per Quello che non sono. Non dirottate su di me neppure una
scheggia di quella gloria che va riconosciuta esclusivamente a Lui. "Anch’io sono un uomo"
e quindi non posso sostituirmi a Dio. Né,
tantomeno, ho diritto di dominare la tua coscienza, calpestare la tua libertà.”
LUNEDI’
9 MAGGIO 1994
“Quando
verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, Egli mi renderà
testimonianza”.
Gesù
chiama lo Spirito Santo: il Consolatore. Noi abitualmente diamo a questa
parola il significato di qualcuno che ci incoraggia, ci tira su di morale.
Consolare, potremmo dire, è stare con chi è solo. L’uomo davanti al
mistero del creato è solo, davanti al mistero di Dio che lo sovrasta è
piccolo, davanti al mistero della sofferenza, della morte, del senso della
vita è solo. Gesù si è fatto “solidale” con noi. Ma Gesù è salito al
cielo, noi non lo vediamo più in carne ed ossa con i nostri occhi. Ecco allora
i dono dello Spirito per non lasciarci soli. E io Spirito ci aiuta a riconoscere
Gesù nei sacramenti, nei poveri, nella comunità; lo Spirito ci aiuta a trovare
senso ai misteri della nostra vita, ci apre a Dio; lo Spirito ci ispira a vivere
gli insegnamenti di Gesù. E’ lo stesso Spirito di amore che unisce Gesù al
Padre che unisce noi in un’unica fratellanza dei figli di Dio. Lo Spirito che
ci è dato, però, non fa rumore, non si impone a noi. Bisogna cercarlo in noi,
bisogna ascoltare la sua voce che parla nei silenzio del cuore, bisogna leggere
i suoi segni nella natura, nella storia, bisogna lasciarci guidare dai suoi
suggerimenti per essere veramente “Consolati”.
MARTEDI’
10 MAGGIO 1994
“E’
bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado non verrà a voi il
Consolatore.” (Gv. 16,7)
Un
giorno un giovane disse a Simeone, l’anziano dell’assemblea: — Tu sei vecchio
e forse presto morirai. Chi suonerà lo shofar e radunerà il popolo di Dio
per la lode e l’intercessione?
MERCOLEDI’
11 MAGGIO 1994
“Quello
che voi adorate senza conoscere, io ve lo annuncio”. (Atti 17,23)
Gli
Atti degli Apostoli, raccontandoci le vicende di Paolo, ci suggeriscono il modo
di predicare il Vangelo usato dall’Apostolo. Paolo parte dalla realtà dei
suoi uditori: è passato per Atene, ha visto altari dedicati a tutti gli dèi,
ce n’era perfino uno dedicato “al Dio ignoto”. E’ l’occasione per annunciare
Gesù. La nostra predicazione e testimonianza cristiana dovrebbe partire
proprio dalla realtà di tutti i giorni. Quante occasioni per parlare di Dio e
testimoniano! Il nostro mondo secolarizzato ha un profondo bisogno di
spiritualità; spesso dietro la scorza di indifferenza e di autosufficienza si
nascondono povertà e desiderio di buono e di bello. Una parola di incoraggiamento,
un richiamo discreto al Vangelo, una testimonianza di solidarietà possono far
sbocciare la fede. Ricordo di essere passato un giorno nel deserto di Giuda e di
aver visto l’aridità più assoluta. Nella notte cadde un po’ di pioggia.
Il giorno seguente il deserto cominciava a fiorire.
GIOVEDI’
12 MAGGIO 1994
“Voi
sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia (Gv. 16,20)
Con queste parole Gesù descrive l’intero percorso della nostra vita: c’è un prevalere immediato della fatica e della sofferenza, ma lo sbocco definitivo è la gioia e la festa.
La sofferenza,dunque, non va vissuta come un’iniquità
contro di noi o come noncuranza di Dio nei nostri confronti, ma quale intrinseco
fardello da portare coraggiosamente. L’importante è sapere che ha un senso,
che è un prezzo per il premio, che è una soglia da superare per entrare
nella gioia piena e definitiva. Soprattutto è importante sapere che Cristo è
sempre con noi: domani nella nostra gioia, anzi come causa della stessa, oggi
come pellegrino e fratello che vive la nostra stessa afflizione.
VENERDI’
13 MAGGIO 1994
“Nessuno
vi potrà togliere la vostra gioia (Gv. 16,23)
“C’erano
una volta tre monaci. Nessuno conosceva i loro nomi. Da tutti erano
conosciuti semplicemente come i tre Santi che ridono”, infatti facevano
solo questo: ridevano! Ridevano e basta.., viaggiavano da una città
all’altra, si fermavano sulla piazza del mercato..., e si spanciavano dalle
risate. La gente si affollava intorno a loro, i negozi venivano chiusi, ognuno
interrompeva le sue attività,.., tutti venivano contagiati da queste tre persone
bellissime e allegre, tutti cominciavano a ridere a crepapelle al solo
guardare i tre che, dal gran ridere, saltellavano come tre giullari. E se
qualcuno chiedeva loro: “Diteci qualcosa”, i tre monaci rispondevano:
“Non abbiamo nulla da dire. Ci limitiamo a ridere per cambiare l’atmosfera
Ed era vero. Un luogo che fino a pochi istanti prima era triste e lugubre, poiché
la gente aveva in mente solo il denaro e gli affari, diventava come per incanto
un posto luminoso e sereno: nessuno era più cliente, nessuno era più mercante,
tutti dimenticavano di essere là per comprare o per vendere... nessuno era più
distorto dalla propria avidità. Ogni persona, preoccupata o in collera, si
sentiva come trasformata, e veniva trascinata dal torrente di risate, anche
se non capiva bene il motivo di tanto ridere. Anzi, a dire il vero, molti
avevano provato ad interrogare i tre sul motivo della loro sfrenata giovialità,
ma nessuno aveva ottenuto risposta.
SABATO
14 MAGGIO 1994
“Pietro
disse: Bisogna che tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui
il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, uno divenga, insieme a noi,
testimone della risurrezione”. (At. 1,21—22)
E’
importante la caratteristica che viene richiesta per poter, sostituendo Giuda,
entrare a far parte del gruppo dei dodici. Occorre qualcuno che abbia visto,
toccato, fatto esperienza di Gesù in quanto l’apostolo cristiano non è
chiamato ad essere annunciatore di una filosofia o di una teologia, ma deve
essere il testimone concreto di Gesù Cristo.
DOMENICA
15 MAGGIO 1994
“Detto
questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro
sguardo”.
L’ascensione
di Gesù al cielo è una festa che ci lascia perplessi, imbarazzati. Gesù se
ne va, ritorna al cielo, può dire ai Padre: “Missione compiuta”..., e
noi? Chiamati a guardare in alto, ci troviamo con i piedi per terra! Gesù ci
ha dato se stesso ma non ha risolto materialmente tutta la serie di problemi e
interrogativi nei quali ogni giorno ci troviamo. Dobbiamo “guardare in su”
perché là è la nostra speranza ma non possiamo né dobbiamo fermarci alla
contemplazione: abbiamo un compito ben preciso sulla terra. Dobbiamo darci da
fare concretamente ma non dobbiamo fermarci al solo attivismo, Tutto è
compiuto in Cristo, ma nulla è programmato, siamo nel “già” ma anche nel
“non ancora”. La festa dell’Ascensione fa nascere in noi la nostalgia di
casa, della casa definitiva, del riposo in Dio, ma ci sbatte anche in
“casa”, la casa concreta di tutti i giorni, è essere con Cristo qui per
essere con Cristo là.
LUNEDI’
16 MAGGIO 1994
“Disse
Gesù: Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia, io ho vinto il
mondo!”
(Gv16,29—33)
Ci
sono modi diversi di mettersi in relazione con Gesù e il suo Vangelo. Un
primo modo è quello di pensare che, una volta abbracciata la fede, tutto
diventi sicurezza, tutto abbia risposta. Non è così: la fede non esime dalle
difficoltà, dai dubbi, dalle prove. Un altro modo è quello di vedere la fede
solo come una conquista umana: tutto dipende da me, dalla mia volontà, dalle
mie opere e si rischia di dimenticare che “senza di Lui non possiamo
niente”. Gesù, molto concretamente, ci mette davanti alla realtà: scegliere
Lui, lasciarci illuminare dalla sua parola significa seguirlo. E la sua strada
passa attraverso la croce, la prova, l’abbandono dei discepoli e l’apparente
abbandono di Dio, ma porta anche alla risurrezione. Quindi, essere cristiani,
significa essere odiati da quel mondo che non ha accettato il Cristo, significa
incontrare il dubbio delle scelte, non è vivere fin d’ora nella visione
beata, ma e camminare nella dura realtà quotidiana con l’unica certezza che
è quella che Gesù ha già vinto il mondo e che in virtù di questa vittoria,
noi, magari con mani e piedi spellati dal cammino della vita, lo vinceremo.
MARTEDI’
17 MAGGIO 1994
“Disse
Gesù: Padre, io ti prego per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi” (Gv.
17,9)
Nel
Vangelo di Giovanni, alla fine dei discorsi di addio che hanno riempito
l’Ultima Cena, troviamo che Gesù sente il desiderio di pregare. Proviamo a
guardare come prega Gesù per imparare da Lui. Gesù trasforma tutto: sentimenti,
desideri, affetto per i discepoli, in preghiera. La preghiera è un rapporto
di confidenza con il Padre. Nulla è estraneo alla preghiera. Quando due sposi
si vogliono ‘bene si dicono tutto, dalle cose importanti, le decisioni da
prendere, fino alle banalità successe nella giornata. Con Dio deve essere la
stessa cosa. Saper pregare non è difficile; basta parlare con Dio. A volte non
è neanche necessario parlare, basta ascoltare. La nostra preghiera può essere
personale o comunitaria, mentale o vocale, spontanea o preordinata, di lode o
di richiesta, non importa, basta che ci sia!
MERCOLEDI’
18 MAGGIO 1994
“Vi
è più gioia nel dare che nel ricevere” (At. 20,35)
La
tradizione rabbinica racconta questa parabola che è molto simile ad una parabola
di Gesù:
Un
padrone aveva un campo e molti schiavi, in una parte del suo podere piantò una
vigna. Scelse il suo schiavo più caro e devoto e gli disse:
GIOVEDI’
19 MAGGIO 1994
“Non
prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in
me; perché tutti siano una cosa sola”. (Gv. 17,20—21)
Rileggendo
questa preghiera è consolante per noi, lontani 20 secoli da Gesù1 sapere che
Lui ha già pregato per noi, per la nostra fede, per la nostra santità e
soprattutto per la nostra unità. Essere uniti è il grande desiderio di Gesù
per noi se addirittura dà come misura dell’unità la comunione che c’è
tra Lui e il Padre. L’unità, allora, non è solo un dono, una gioia, un
progetto di vita straordinario che realizza la felicità di quanti ne sono
coinvolti, ma è anche un compito, un dovere, perché il mondo creda. Gesù non
prega per il mondo e tuttavia chiama il mondo alla fede. La testimonianza
gioiosa e convinta da dare è quella dell’unità: uniti e in comunione tra
noi, così come lo sono il Padre e Gesù. Chiediamo allo Spirito di rendercene
capaci.
VENERDI’
20 MAGGIO 1994
“Disse
Gesù a Pietro: Simone di Giovanni, mi ami?”. (Gv. 21,17)
Il
peccato e vinto dall’amore. Gesù avrebbe potuto averne basta di Pietro. Non
aveva capito molto, spesso si era messo al posto del maestro, aveva promesso e
non aveva saputo mantenere, lo aveva rinnegato: c’è ancora da fidarsi di una
persona del genere? Si può affidare la Chiesa nascente in simili mani? Eppure
Gesù si fida che l’amore e il perdono riescano a cambiare anche il cuore di
Pietro, e Gesù continua ad agire così anche con noi. Noi lo abbiamo capito
poco il Cristo; noi abbiamo ascoltato il Vangelo ma abbiamo modificato poco la
nostra vita su di esso; abbiamo promesso tante volte di cambiare ma ci
troviamo sempre allo stesso punto se non sempre più in giù... Gesù potrebbe
averne basta di noi, eppure continua a bussare alla porta del nostro cuore per
perdonarci, per dirci che ci ama. Non si può non essere conquistati da un
amore così grande. E questo amore se accolto genera amore anche in noi e questo
amore vince il male.
SABATO
21 MAGGIO 1994
“Vi
sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per
una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero
scrivere”.
Chi
ha imparato negli anni a conoscere Gesù attraverso i vangeli sente spesso il
desiderio di conoscere più a fondo la sua vita e allora nascono domande e
interrogativi: com’era Gesù? Quali cose avrà detto e fatto in quelle
situazioni? Come mai nei Vangeli si parla cosi poco di Maria?.., I Vangeli
sono proprio scarni nel darci queste notizie. Ed ecco allora che fin dai primi
secoli della Chiesa nascono moltissimi “vangeli apocrifi” cioè racconti
dovuti a leggende e fantasie anche buone e pie che cercano di colmare certi
vuoti attorno a Gesù e anche oggi la figura di Gesù è spesso rivisitata
dalla letteratura, dal cinema, o da persone che dicono di aver avuto visioni
o rivelazioni particolari sulla sua vita.
DOMENICA
22 MAGGIO 1994
“Il
frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà,
fedeltà, mitezza, dominio di se”. (GaI. 5,22)
Proviamo
ad esaminare qualcuno dei frutti dello Spirito che Paolo ci indica oggi:
LUNEDI’
23 MAGGIO 1994
“Una
cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un
tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. (Mc. 10,21)
Il
giovane che nel Vangelo di oggi va da Gesù è buono, è un osservante della
legge, ma ha avvertito che Gesù chiede qualcosa di più. Infatti ormai non basta
più la Legge. Là si diceva di amare il prossimo, ma ora bisogna amarlo come
Gesù l’ha amato. Là si diceva di amare Dio con tutte le proprie forze, ma
ora che Dio si è fatto presente in Gesù, amarlo vuoi dire seguirlo. Dai
comandamenti vissuti per obbedienza si deve passare a seguire Gesù per amore
e questo richiede un mutamento coraggioso. Come posso seguire il mio maestro,
novità assoluta, se resto quello di sempre? In questo senso avviene la
richiesta di Gesù di trasformare la ricchezza terrena in carità e amore. Se
sei attaccato ai beni, sei diviso tra loro e Gesù, se ti liberi da questi
legami puoi andargli dietro con leggerezza.
MARTEDI’
24 MAGGIO 1994
“Pietro
disse a Gesù: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. (Mc.
10,28)
Un
giovane monaco buddista, dopo aver trascorso qualche mese in un monastero, disse
un giorno al suo maestro:
Maestro,
ho riflettuto: non mi sento di rinunciare a tutto adesso che sono giovane. Lo farò
quando sarò più vecchio; ora ci sono troppe cose che voglio sperimentare nei
mondo.
MERCOLEDI’
25 MAGGIO 1994
“L’erba
inaridisce, i fiori cadono, ma la parola del Signore rimane in eterno”. (1
Pt. 1,24)
Un
giovane novizio si recò da un vecchio eremita.
Quel
giorno era terribilmente amareggiato: tutti gli sforzi che faceva per mettere
in pratica la Parola gli sembravano inutili. Sì inginocchiò ai piedi
dell’anziano monaco e con il volto fra le mani confesso:
La mia vita spirituale è come un cesto di vimini: l’acqua della Parola vi
scorre tutta via! Lascio questa vita e torno nei mondo.
Il vecchio eremita abbracciò il novizio e lo istruì. con dolcezza:
Fratello, tu non conosci i poteri dell’acqua. L’acqua di sorgente compie nel
cesto almeno due meraviglie: lo
lava,
e un cesto pulito può essere utile a molte cose, e poi rende più resistenti
i vimini, affinché durino più a lungo. I medesimi effetti li opera in te la
Parola di Dio. Forse tu non te ne accorgi, ma gli altri, coloro che ti usano
appunto come un recipiente, sentono che possono fidarsi di te. Sentono che
sei in grado di “contentarli”. Quale grande onore essere un cesto di vimini
nella vigna del Signore, non trovi?
GIOVEDI’
26 MAGGIO 1994
“Figlio
di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. (Mc. 10,48)
Il
racconto della guarigione del cieco Bartimeo, al di là del fatto in se stesso e
della vivacità con cui Marco ce lo racconta, diventa simbolo del nostro cammino
per arrivare alla luce di Gesù. Possiamo sintetizzarlo cosi:
Sentire la presenza di Gesù: accorgerci che c’è qualcuno, pur non vedendolo chiaramente, che può cambiare la nostra vita.
Non
aver paura di gridare: se non funzionano gli occhi impediti, funzioni almeno
la voce della preghiera che grida.
Non
accontentarsi delle false consolazioni che vogliono solo metterti a tacere e
che sono soprattutto interessate a non lasciarsi disturbare.
Avere
il coraggio di buttarsi ai piedi di Colui che può salvarci, riconoscendo la
propria povertà e le proprie necessità.
Essere riconoscenti del dono ricevuto manifestando concretamente il cambiamento
di vita seguendo e testimoniando il Salvatore.
VENERDI’
27 MAGGIO 1994
“E Gesù disse al fico: Nessuno possa mai mangiare i tuoi frutti” (Mc. 11,14)
Ci
può stupire questo miracolo al contrario, questa maledizione del fico. E’
l’ultimo segno che Gesù compie prima della sua passione e sta ad indicare che
colui che non ha accolto la benedizione messianica di Gesù e non lo ha
seguito rimane sterile e attira su di se la maledizione che consegue a tale
rifiuto. Israele non ha riconosciuto la visita del Signore e non ha prodotto il
frutto atteso. Possedeva il Tempio ma non più la fede in Dio e nel suo amore e
il perdono dei nemici, che rendono accetta la preghiera.
SABATO
28 MAGGIO 1994
“I
sommi sacerdoti, gli scribi, gli anziani gli dissero: Con quale autorità fai
queste cose?”.
La
domanda viene fatta a Gesù da gente preoccupata, si dell’integrità della fede
ebraica, ma anche preoccupata da veder scalzate le proprie posizioni di potere
religioso, di tradizioni e abitudini consolidate. Per noi cristiani la domanda
è oziosa perché ben sappiamo chi è Gesù e siamo anche contenti di proclamare
la nostra fede in Lui. Per noi il problema è invece quello di passare dalla
fede proclamata alla fede vissuta. Noi riconosciamo l’autorità di Gesù ma
poi spesso ne sfuggiamo le esigenze. La parola di Gesù svela e giudica i
segreti dei cuori, anche dei nostri cuori. Dovremmo smettere di difenderci
da Lui e invece lasciarci plasmare da Lui. Gesù rimane il maestro che ci
prende per mano: anche il suo giudizio è per la nostra conversione.
DOMENICA
29 MAGGIO 1994
“Andate
dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo”. (Mt. 28,19)
La
festa di oggi ci ripropone il mistero più grande ma anche il più consolante
della nostra fede. Anzitutto mistero. E’ Dio che si fa conoscere nella sua
più profonda intimità. Ma il fatto di conoscerlo così è rivelazione, non
spiegazione. Non vogliamo, con i nostri stupidi tentativi di spiegarci tutte,
togliere la parola mistero dalla nostra fede: Dio è più grande di noi! Ma
anche realtà consolante: Dio è famiglia, è relazione in se stesso, è amore
ed è anche relazione nei nostri confronti. Noi siamo famiglia di Dio, siamo
inseriti tramite Gesù, nostro fratello, con la forza dello Spirito
vivificante, nel Padre. Tutto questo ci è manifestato dal nostro battesimo. Ci
è dato da Gesù, attraverso il suo passaggio dalla morte alla vita, ci fa
figli di Dio, ci innesta in Lui attraverso lo Spirito Santo. Dovremmo pensare più
spesso a questo dono che fin dai primi momenti di vita ci ha inseriti in Dio, ci
ha fatto suoi familiari, ci rinnova ogni giorno, ci apre all’eternità.
LUNEDI’
30 MAGGIO 1994
“La
pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo”. (Mc.
12,10)
Chi
è quel piccolo profeta che in uno sperso paese del Medio Oriente, annuncia
pace, amore di Dio? Chi è quell’uomo che caduto nelle mani del potere terreno
è finito su una croce? Eppure quel piccolo uomo è Dio con noi. Scartato
dagli uomini, neppure considerato dal potere ha cambiato la storia del mondo e,
quel che è di più, ha dato all’uomo di poter cambiare se stesso. Grazie a
Lui l’uomo non è solo più un atomo vagante nell‘universo ma e figlio di
Dio chiamato all’eternità, grazie a Lui possiamo dire: “Padre” a Dio. Su
quella “pietra scartata” si e ondata la Chiesa che ancora oggi ci dà i sacramenti.
Gesù è il centro della storia. E’ anche il centro della tua vita?
MARTEDI’
31 MAGGIO 1994
“Maria
si mise in viaggio”. (Lc. 1,39)
Maria
si è messa in viaggio per andare ad aiutare sua cugina Elisabetta, ma da
allora, Maria, è sempre in viaggio: ha tanti figli da visitare, da consolare,
da aiutare. Da quando Gesù, sulla croce, ci ha affidati a Lei, Maria non ha
più smesso di pellegrinare: ovunque c’è una sofferenza lì c’è la madre,
dove c’è una gioia è lì per condividerle. E Maria, da buona madre, vuoi
mettere in viaggio anche noi, vuole spingerci verso Gesù e i suoi sacramenti,
vuole aiutarci ad uscire dalla buia casa dell’egoismo per andare verso i
fratelli, vuole insegnarci a camminare sulle strade del mondo per testimoniare
l’amore che Gesù ci ha portato.
Concludiamo
questo mese di maggio con l’invocazione che spesso facciamo in un canto a
Maria: “Vieni o Madre in mezzo a noi, vieni Maria quaggiù: cammineremo
insieme a Te verso la libertà”