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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

MAGGIO 1994

 

 

DOMENICA 1 MAGGIO 1994

“E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si Compia nei nome del Signore”. (Col. 3,17)

Il mese di maggio, dedicato a Maria, inizia con una festa che riguarda il suo sposo. Giuseppe, scelto e chiamato da Dio per una missione così grande come quella di rappresentare la paternità di Dio a Gesù, è una figura enormemente grande per la sua umiltà, sa soltanto obbedire con gioia e offrire tutto se stesso perché il mistero d’amore di Dio si compia. Lui che ha tra le braccia il Creatore dell’universo, offre le sue braccia nell’umile lavoro quotidiano del falegname. Lui che ospita come figlio la Parola incarnata, insegna a Gesù la Bibbia. Lui che potrebbe raccontarci tante cose della vita nascosta della Sacra Famiglia, tace e obbedisce offrendoci con ii suo silenzio la più grande testimonianza di fedeltà e amo­re. Cristo continua la sua incarnazione ed anche oggi ha bisogno di uomini che come Giuseppe sappiano offrire silenzio accogliente, braccia operose, disponibile obbedienza. Gesù non cerca rumore, apparenze, cerca dimora in cuori che sappiano accoglierlo con gioia.

 

 

LUNEDI’ 2 MAGGIO 1994

“Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama”. (Gv. 14,21)

Ci sono due modi (con molte varianti) con cui mettersi davanti ai comandamenti del Signore. Il primo modo è quello di sentirli come un peso ma di volerli osservare scrupolosamente per essere fedeli alle norme e “guadagnarsi il paradiso”; il secondo, quello di vederli come un dono e di osservarli nella logica dell’amore di Dio e del prossimo. Osservare i comandamenti di Gesù è il nostro modo concreto di riconoscere Lui il Dio, superiore a noi, che ci ama, ed è la nostra possibilità di risposta ai suoi doni. Colui che ha capito questo, allora, non osserva i comandamenti per sentirsi buono o per ottenere qualcosa ma, sentendosi libero da ogni legame, li osserva per amore di Cristo e dei fratelli, sapendo che i comandi di Dio sono l’unica strada per la vera realizzazione di se stesso. Guardiamo a Maria: ha detto “eccomi, sono la serva del Signore”, si è messa nelle sue mani, si è lasciata fare da Lui e ne è uscito un capolavoro.

 

 

MARTEDI’ 3 MAGGIO 1994

“Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore”. (Gv. 14,47)

Queste parole che Gesù dice ai suoi discepoli suonano quasi identiche a quelle che l’angelo ha detto alla Madonna: “Non temere, Maria, hai trovato grazia presso Dio”. La buona notizia non porta mai timore, paura, porta sempre gioia e serenità. Dio non viene per condannare, ma per salvare, non viene per puntarci contro il dito ma per tenderci la mano. La paura, come la morte sono state vinte dal Salvatore. Chi ama non ha mai paura: pensiamo ai martiri che riuscivano ad andare al supplizio sereni, perché sapevano di poter trovare forza in Dio.

 

 

MERCOLEDI’ 4 MAGGIO 1994

“Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me”. (Gv. 15,4)

Con un po’ di fantasia, proviamo ad immaginarci un ramo di un bell’albero che un giorno dicesse: “Sono stufo di stare sempre qui, sempre lo stesso panorama!

Voglio andarmene; il mondo è grande.. e decidesse di staccarsi dalla pianta. Cadrebbe a terra a pochi passi dalla pianta e comincerebbe a seccare. Eppure certi cristiani si comportano proprio così: “Il Vangelo e sempre uguale..., la Messa della domenica è un peso..., confessarsi è una cosa da Medioevo..., la Chiesa è vecchia... Voglio tentare lidi nuovi!” E magari si attaccano a esoterismi che non hanno senso e poco per volta recidono le proprie radici e la fede languisce, la linfa vitale non arriva più, ci si inaridisce e un bel giorno si arriva a dire: “Ho perso la fede!”. La fede non l’hai persa, l’hai fatta morire! “Rimanete in me” dice Gesù.

 

 

GIOVEDI’ 5 MAGGIO 1994

“Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. (Gv. 15,11)

Si racconta di un filosofo che dopo anni di ricerca era venuto a contatto con il Vangelo e leggendolo si era quasi convinto della verità di esso. Ma gli occorreva ancora una prova: voleva vedere come lo vivevano i cristiani. La domenica di Pasqua si apposta all’uscita della cattedrale della sua città per vedere la gioia di coloro che avevano celebrato la risurrezione di Cristo. Ma vedendo l’individualismo e l’indifferenza con cui i cristiani uscivano dopo la Messa, disse: “ Questi non vengono dall’esperienza di un morto che è risorto ed è vivo in mezzo a loro, al massimo escono da una sepoltura!”. Troppo spesso abbiamo ridotto la fede e la religione ad un qualcosa di triste, ad un insieme di riti compiuti più per dovere che per gioia. Eppure Gesù è venuto per salvarci. immaginatevi un naufrago che dopo aver rischiato di morire affogato viene trovato e salvato  sarà contento o musone?

 

 

VENERDI’ 6 MAGGIO 1994

“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”. (Gv. 15,16)

Prima di scegliere scopro che Qualcuno mi ha già scelto. Anche Maria, prima di dire il suo si era già stata “prescelta” per la missione di essere Madre del Salvatore. Se capissimo a fondo questo, quanto meno orgoglio ci sarebbe nel nostro comportamento cristiano: non siamo noi che portiamo Dio sulle nostre spalle, è Lui che ci precede, il nostro compito è quello di ringraziare e metterci a disposizione delle sue scelte. “Non ho mai convertito nessuno” mi diceva con serenità un vecchio e generoso prete. Allora mi stupivo davanti a quelle parole, ora capisco che aveva ragione lui: non siamo noi a convertire, a fare, è Dio che fa anche per mezzo nostro e qualche volta “nonostante” noi.

 

 

SABATO 7 MAGGIO 1994

“Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, per questo il mondo vi odia”. (Gv. 15,19)

Davanti a questa frase di Gesù mi interrogo: il mondo mi odia o mi ama? Scopro che oggi è raro trovare un odio viscerale per i cristiani. Ma sarà perché il mondo ha smesso di pensarla contro Cristo o perché i cristiani hanno talmente annacquato la propria fede con tanti compromessi che questa non dà più fastidio a nessuno? Non dobbiamo andare a cercarci la persecuzione ma se fossimo più coerenti certamente andremo incontro a qualche difficoltà. Mi chiedo anche come reagiamo davanti ai sorrisetti, all’aria di sufficienza, alle battute... Non è ancora persecuzione vera e propria ma sono “colpi dì spillo” quotidiani. In queste situazioni mi ritiro o so essere un gioioso testimone che poco per volta cerca di assomigliare un po’ di più a Gesù?

 

 

DOMENICA 8 MAGGIO 1994

“Cornelio andando incontro a Pietro si gettò ai suoi piedi per adorano. Ma Pietro lo rialzò dicendo: Alzati, anch’io sono un uomo!”. (At. 10,25-26)

Pietro ne ha fatta tanta strada nella fede: dopo le sue sicurezze, le sue ricerche di potere, ha sperimentato la sua povertà e defettibilità e l’amore di Gesù che lo ha perdonato, e questa volta, davanti a qualcuno che si inginocchia davanti a lui, subito lo rialza ricordandogli di essere solo un pover‘uomo. Questa frase esprime il rifiuto di un atteggiamento “clericale” di privilegio, non esige protezioni speciali dovute al suo ruolo di primo papa, non pretende neppure di essere chiamato “santità”, “eminenza reverendissima” o signor parroco”, esige di essere considerato “uomo”, uomo strumento di Dio, uomo peccabile. E’ come se Pietro dicesse: “Non confondiamo le parti. Non scambiatemi per Quello che non sono. Non dirottate su di me neppure una scheggia di quella gloria che va riconosciuta esclusivamente a Lui. "Anch’io sono un uomo" e quindi non posso sostituirmi a Dio. Né, tantomeno, ho diritto di dominare la tua coscienza, calpestare la tua libertà.” C’è motivo di esame di coscienza per tutta la Chiesa e per ciascuno di noi.

 

 

LUNEDI’ 9 MAGGIO 1994

“Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, Egli mi renderà testimonianza”. (Gv. 15,26)

Gesù chiama lo Spirito Santo: il Consolatore. Noi abitualmente diamo a questa parola il significato di qualcuno che ci incoraggia, ci tira su di morale. Consolare, potremmo dire, è stare con chi è solo. L’uomo davanti al mistero del creato è solo, davanti al mistero di Dio che lo sovrasta è piccolo, davanti al mistero della sofferenza, della morte, del senso della vita è solo. Gesù si è fatto “solidale” con noi. Ma Gesù è salito al cielo, noi non lo vediamo più in carne ed ossa con i nostri occhi. Ecco allora i dono dello Spirito per non lasciarci soli. E io Spirito ci aiuta a riconoscere Gesù nei sacramenti, nei poveri, nella comunità; lo Spirito ci aiuta a trovare senso ai misteri della nostra vita, ci apre a Dio; lo Spirito ci ispira a vivere gli insegnamenti di Gesù. E’ lo stesso Spirito di amore che unisce Gesù al Padre che unisce noi in un’unica fratellanza dei figli di Dio. Lo Spirito che ci è dato, però, non fa rumore, non si impone a noi. Bisogna cercarlo in noi, bisogna ascoltare la sua voce che parla nei silenzio del cuore, bisogna leggere i suoi segni nella natura, nella storia, bisogna lasciarci guidare dai suoi suggerimenti per essere veramente “Consolati”.

 

 

MARTEDI’ 10 MAGGIO 1994

“E’ bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado non verrà a voi il Consolatore.” (Gv. 16,7)

Un giorno un giovane disse a Simeone, l’anziano dell’assemblea: — Tu sei vecchio e forse presto morirai. Chi suonerà lo shofar e radunerà il popolo di Dio per la lode e l’intercessione? Il vecchio Simeone guardò il ragazzo negli occhi e profetizzò: Credo che sarai tu a farlo. Il giovane, stupito, si difese: Come potrò suonare il tuo shofar? Tu lo suoni ogni giorno e per ogni giorno inventi una melodia diversa, anzi, ogni strofa della tua musica è sempre nuova. Come posso fare questo io? Il buon Simeone rispose: — La preghiera è come una musica. Una musica nasce dentro un amore. Se tu metterai il tuo cuore nel cuore di Dio, allora il Suo Spirito d’Amore si. metterà a cantare in te, e non avrai più bisogno nemmeno delle parole. Ogni tuo soffio nello shofar sarà il soffio dello Spirito di Dio che risveglia la comunità. Metti il tuo cuore nel cuore di Dio e poi suona... allora pregherai in modo nuovo, ogni giorno.

 

 

MERCOLEDI’ 11 MAGGIO 1994

“Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annuncio”. (Atti 17,23)

Gli Atti degli Apostoli, raccontandoci le vicende di Paolo, ci suggeriscono il modo di predicare il Vangelo usato dall’Apostolo. Paolo parte dalla realtà dei suoi uditori: è passato per Atene, ha visto altari dedicati a tutti gli dèi, ce n’era perfino uno dedicato “al Dio ignoto”. E’ l’occasione per annunciare Gesù. La nostra predicazione e testimonianza cristiana dovrebbe partire proprio dalla realtà di tutti i giorni. Quante occasioni per parlare di Dio e testimoniano! Il nostro mondo secolarizzato ha un profondo bisogno di spiritualità; spesso dietro la scorza di indifferenza e di autosufficienza si nascondono povertà e desiderio di buono e di bello. Una parola di incoraggiamento, un richiamo discreto al Vangelo, una testimonianza di solidarietà possono far sbocciare la fede. Ricordo di essere passato un giorno nel deserto di Giuda e di aver visto l’aridità più assoluta. Nella notte cadde un po’ di pioggia. Il giorno seguente il deserto cominciava a fiorire.

 

 

GIOVEDI’ 12 MAGGIO 1994

“Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia (Gv. 16,20)

Con queste parole Gesù descrive l’intero percorso della nostra vita: c’è un prevalere immediato della fatica e della sofferenza, ma lo sbocco definitivo è la gioia e la festa. 

La sofferenza,dunque, non va vissuta come un’iniquità contro di noi o come noncuranza di Dio nei nostri confronti, ma quale intrinseco fardello da portare coraggiosamente. L’importante è sapere che ha un senso, che è un prezzo per il premio, che è una soglia da superare per entrare nella gioia piena e definitiva. Soprattutto è importante sapere che Cristo è sempre con noi: domani nella nostra gioia, anzi come causa della stessa, oggi come pellegrino e fratello che vive la nostra stessa afflizione.

 

 

VENERDI’ 13 MAGGIO 1994

“Nessuno vi potrà togliere la vostra gioia (Gv. 16,23)

“C’erano una volta tre monaci. Nessuno   conosceva i loro nomi. Da tutti erano conosciuti semplicemente come i tre Santi che ridono”, infatti facevano solo questo: ridevano! Ridevano e basta.., viaggiavano da una città all’altra, si fermavano sulla piazza del mercato..., e si spanciavano dalle risate. La gente si affollava intorno a loro, i negozi venivano chiusi, ognuno interrompeva le sue attività,.., tutti venivano contagiati da queste tre persone bellissime e allegre, tutti cominciavano a ridere a crepapelle al solo guardare i tre che, dal gran ridere, saltellavano come tre giullari. E se qualcuno chiedeva loro: “Diteci qualcosa”, i tre monaci rispondevano: “Non abbiamo nulla da dire. Ci limitiamo a ridere per cambiare l’atmosfera Ed era vero. Un luogo che fino a pochi istanti prima era triste e lugubre, poiché la gente aveva in mente solo il denaro e gli affari, diventava come per incanto un posto luminoso e sereno: nessuno era più cliente, nessuno era più mercante, tutti dimenticavano di essere là per comprare o per vendere... nessuno era più distorto dalla propria avidità. Ogni persona, preoccupata o in collera, si sentiva come trasformata, e veniva trascinata dal torrente di risate, anche se non capiva bene il motivo di tanto ridere. Anzi, a dire il vero, molti avevano provato ad interrogare i tre sul motivo della loro sfrenata giovialità, ma nessuno aveva ottenuto risposta. Un giorno accadde che uno dei tre monaci morì. Gli abitanti si riunirono e dissero: “Ora sono in un bel guaio. Come potranno gli altri due ridere ancora? Il loro amico è morto, sarà inevitabile che piangano!” Ma li trovarono, tutti e due, che cantavano, ballavano e ridevano per celebrare il lutto. Gli abitanti del luogo commentarono sdegnati: “Questo è troppo! Non è segno di rispetto... Quando un uomo muore, ridere e danzare è un oltraggio e una profanazione!” Ma i due monaci risposero: “Sapete, per tutta la vita abbiamo scherzato su chi di noi tre sarebbe morto per primo.., e lui ha vinto la scommessa! il nostro caro amico ha finalmente raggiunto il regno della Luce e della Vita; perché non dovremmo gioire per lui?”. Questa storia ti insegni il segreto della vita. Non vale la pena rattristarsi e incupirsi per i fatti e le preoccupazioni dell’esistenza; a volte un sorriso o una sana risata possono ricordarti che su questa terra sei solo di passaggio e che presto raggiungerai anche tu il regno della Vita e della Luce.

 

 

SABATO 14 MAGGIO 1994

“Pietro disse: Bisogna che tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, uno divenga, insieme a noi, testimone della risurrezione”. (At. 1,21—22)

E’ importante la caratteristica che viene richiesta per poter, sostituendo Giuda, entrare a far parte del gruppo dei dodici. Occorre qualcuno che abbia visto, toccato, fatto esperienza di Gesù in quanto l’apostolo cristiano non è chiamato ad essere annunciatore di una filosofia o di una teologia, ma deve essere il testimone concreto di Gesù Cristo. Anche oggi deve essere così. Il cristiano non è un venditore di ideologie o uno che cerca adepti per una religione, è uno che ha incontrato Cristo, è uno che ha fatto la gioiosa esperienza del suo perdono, si è lasciato illuminare dalla sua luce e la riflette, si è lasciato conquistare dal suo amore e ama, Ma noi, veniamo da questa esperienza? La nostra fede è un insieme di dogmi e di norme o è l’incontro con una persona? Se ti sembra di non avere questa fede, guarda che Cristo puoi incontrarlo proprio oggi!

 

 

DOMENICA 15 MAGGIO 1994

“Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo”. (Atti 1,10)

L’ascensione di Gesù al cielo è una festa che ci lascia perplessi, imbarazzati. Gesù se ne va, ritorna al cielo, può dire ai Padre: “Missione compiuta”..., e noi? Chiamati a guardare in alto, ci troviamo con i piedi per terra! Gesù ci ha dato se stesso ma non ha risolto materialmente tutta la serie di problemi e interrogativi nei quali ogni giorno ci troviamo. Dobbiamo “guardare in su” perché là è la nostra speranza ma non possiamo né dobbiamo fermarci alla contemplazione: abbiamo un compito ben preciso sulla terra. Dobbiamo darci da fare concretamente ma non dobbiamo fermarci al solo attivismo, Tutto è compiuto in Cristo, ma nulla è programmato, siamo nel “già” ma anche nel “non ancora”. La festa dell’Ascensione fa nascere in noi la nostalgia di casa, della casa definitiva, del riposo in Dio, ma ci sbatte anche in “casa”, la casa concreta di tutti i giorni, è essere con Cristo qui per essere con Cristo là.

 

 

LUNEDI’ 16 MAGGIO 1994

“Disse Gesù: Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia, io ho vinto il mondo!” (Gv16,29—33)

Ci sono modi diversi di mettersi in relazione con Gesù e il suo Vangelo. Un primo modo è quello di pensare che, una volta abbracciata la fede, tutto diventi sicurezza, tutto abbia risposta. Non è così: la fede non esime dalle difficoltà, dai dubbi, dalle prove. Un altro modo è quello di vedere la fede solo come una conquista umana: tutto dipende da me, dalla mia volontà, dalle mie opere e si rischia di dimenticare che “senza di Lui non possiamo niente”. Gesù, molto concretamente, ci mette davanti alla realtà: scegliere Lui, lasciarci illuminare dalla sua parola significa seguirlo. E la sua strada passa attraverso la croce, la prova, l’abbandono dei discepoli e l’apparente abbandono di Dio, ma porta anche alla risurrezione. Quindi, essere cristiani, significa essere odiati da quel mondo che non ha accettato il Cristo, significa incontrare il dubbio delle scelte, non è vivere fin d’ora nella visione beata, ma e camminare nella dura realtà quotidiana con l’unica certezza che è quella che Gesù ha già vinto il mondo e che in virtù di questa vittoria, noi, magari con mani e piedi spellati dal cammino della vita, lo vinceremo.

 

 

MARTEDI’ 17 MAGGIO 1994

“Disse Gesù: Padre, io ti prego per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi” (Gv. 17,9)

Nel Vangelo di Giovanni, alla fine dei discorsi di addio che hanno riempito l’Ultima Cena, troviamo che Gesù sente il desiderio di pregare. Proviamo a guardare come prega Gesù per imparare da Lui. Gesù trasforma tutto: sentimenti, desideri, affetto per i discepoli, in preghiera. La preghiera è un rapporto di confidenza con il Padre. Nulla è estraneo alla preghiera. Quando due sposi si vogliono ‘bene si dicono tutto, dalle cose importanti, le decisioni da prendere, fino alle banalità successe nella giornata. Con Dio deve essere la stessa cosa. Saper pregare non è difficile; basta parlare con Dio. A volte non è neanche necessario parlare, basta ascoltare. La nostra preghiera può essere personale o comunitaria, mentale o vocale, spontanea o preordinata, di lode o di richiesta, non importa, basta che ci sia!

 

 

MERCOLEDI’ 18 MAGGIO 1994

“Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (At. 20,35)

La tradizione rabbinica racconta questa parabola che è molto simile ad una parabola di Gesù:

Un padrone aveva un campo e molti schiavi, in una parte del suo podere piantò una vigna. Scelse il suo schiavo più caro e devoto e gli disse: Sto per partire per un viaggio. Voglio che tu alzi uno steccato intorno a questa vigna. Ti chiedo solo questo. Se mi ubbidirai, atterrai la libertà al mio ritorno. Il padrone partì. Il servo recintò tutta la vigna con una staccionata molto ben rifinita. A lavoro terminato si accorse che in mezzo alle viti crescevano rovi ed erbacce. Pensò fra sé: “ Ho ricevuto ordine di costruire solo il recinto, ma desidero che tutta la vigna del mio padrone sia bella. Incominciò dunque a vangare e a strappare l’erba. Quando il padrone tornò, vide che la vigna era stata recintata con cura, ma notò anche che era perfettamente vangata e ordinata, e provò una grande gioia. Ringraziò il servo e disse: Hai badato a questa vigna come se fosse tua. Non solo ti dichiaro libero, ma anche mio socio perché hai dimostrato di saper lavorare con impegno e generosità.

 

 

GIOVEDI’ 19 MAGGIO 1994

“Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola”. (Gv. 17,20—21)

Rileggendo questa preghiera è consolante per noi, lontani 20 secoli da Gesù1 sapere che Lui ha già pregato per noi, per la nostra fede, per la nostra santità e soprattutto per la nostra unità. Essere uniti è il grande desiderio di Gesù per noi se addirittura dà come misura dell’unità la comunione che c’è tra Lui e il Padre. L’unità, allora, non è solo un dono, una gioia, un progetto di vita straordinario che realizza la felicità di quanti ne sono coinvolti, ma è anche un compito, un dovere, perché il mondo creda. Gesù non prega per il mondo e tuttavia chiama il mondo alla fede. La testimonianza gioiosa e convinta da dare è quella dell’unità: uniti e in comunione tra noi, così come lo sono il Padre e Gesù. Chiediamo allo Spirito di rendercene capaci.

 

 

VENERDI’ 20 MAGGIO 1994

“Disse Gesù a Pietro: Simone di Giovanni, mi ami?”. (Gv. 21,17)

Il peccato e vinto dall’amore. Gesù avrebbe potuto averne basta di Pietro. Non aveva capito molto, spesso si era messo al posto del maestro, aveva promesso e non aveva saputo mantenere, lo aveva rinnegato: c’è ancora da fidarsi di una persona del genere? Si può affidare la Chiesa nascente in simili mani? Eppure Gesù si fida che l’amore e il perdono riescano a cambiare anche il cuore di Pietro, e Gesù continua ad agire così anche con noi. Noi lo abbiamo capito poco il Cristo; noi abbiamo ascoltato il Vangelo ma abbiamo modificato poco la nostra vita su di esso; abbiamo promesso tante volte di cambiare ma ci troviamo sempre allo stesso punto se non sempre più in giù... Gesù potrebbe averne basta di noi, eppure continua a bussare alla porta del nostro cuore per perdonarci, per dirci che ci ama. Non si può non essere conquistati da un amore così grande. E questo amore se accolto genera amore anche in noi e questo amore vince il male.

 

 

SABATO 21 MAGGIO 1994

“Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”. (Gv. 20,25)

Chi ha imparato negli anni a conoscere Gesù attraverso i vangeli sente spesso il desiderio di conoscere più a fondo la sua vita e allora nascono domande e interrogativi: com’era Gesù? Quali cose avrà detto e fatto in quelle situazioni? Come mai nei Vangeli si parla cosi poco di Maria?.., I Vangeli sono proprio scarni nel darci queste notizie. Ed ecco allora che fin dai primi secoli della Chiesa nascono moltissimi “vangeli apocrifi” cioè racconti dovuti a leggende e fantasie anche buone e pie che cercano di colmare certi vuoti attorno a Gesù e anche oggi la figura di Gesù è spesso rivisitata dalla letteratura, dal cinema, o da persone che dicono di aver avuto visioni o rivelazioni particolari sulla sua vita. A me sorge il dubbio che Giovanni, dicendoci che non basterebbero tutti i libri della terra a raccontarci Gesù, non abbia solo voluto giustificare la stringatezza dei Vangeli ma abbia voluto dirci che la vita di Gesù si scrive ogni giorno nella vita dei cristiani. Prova allora a pensare: oggi con la tua vita sei chiamato a scrivere una pagina del Vangelo di Gesù, come la scriverai?

 

 

DOMENICA 22 MAGGIO 1994

“Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di se”. (GaI. 5,22)

Proviamo ad esaminare qualcuno dei frutti dello Spirito che Paolo ci indica oggi: Amore, gioia, pace: chi si fida di Dio e lascia operare il suo Spirito in se stesso non ha più paura. Non c’è paura di un Dio terribile che condanna, non c’è paura delle prove della vita e del male perché Dio è più forte di ogni male, non c’è paura degli uomini perché con Io Spirito riesco a vederli fratelli, e se non c’è la paura, c’è l’amore, la tristezza se ne va perché ci si sente amati, la pace può esserci nel cuore addirittura all’interno di un lager. Pazienza, benevolenza, mitezza, dominio di sé. Tutti doni che aiutano a vivere l’attesa del compimento definitivo del Regno di Dio, Lo Spirito mi dà la pazienza: so di avere una meta per cui vale la pena di aver costanza nelle avversità. Nasce la benevolenza verso gli altri: sono tutti fratelli per cui Gesù ha versato il suo sangue come per me; divento mite perché so di non essere io a dover giudicare e reggere il mondo, riesco addirittura a dominare me stesso perché non mi appartengo più, sono già di Dio.

 

 

LUNEDI’ 23 MAGGIO 1994

“Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. (Mc. 10,21)

Il giovane che nel Vangelo di oggi va da Gesù è buono, è un osservante della legge, ma ha avvertito che Gesù chiede qualcosa di più. Infatti ormai non basta più la Legge. Là si diceva di amare il prossimo, ma ora bisogna amarlo come Gesù l’ha amato. Là si diceva di amare Dio con tutte le proprie forze, ma ora che Dio si è fatto presente in Gesù, amarlo vuoi dire seguirlo. Dai comandamenti vissuti per obbedienza si deve passare a seguire Gesù per amore e questo richiede un mutamento coraggioso. Come posso seguire il mio maestro, novità assoluta, se resto quello di sempre? In questo senso avviene la richiesta di Gesù di trasformare la ricchezza terrena in carità e amore. Se sei attaccato ai beni, sei diviso tra loro e Gesù, se ti liberi da questi legami puoi andargli dietro con leggerezza.

 

 

MARTEDI’ 24 MAGGIO 1994

“Pietro disse a Gesù: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. (Mc. 10,28)

Un giovane monaco buddista, dopo aver trascorso qualche mese in un monastero, disse un giorno al suo maestro:

Maestro, ho riflettuto: non mi sento di rinunciare a tutto adesso che sono giovane. Lo farò quando sarò più vecchio; ora ci sono troppe cose che voglio sperimentare nei mondo. Detto questo, se ne andò. Il maestro, quella sera, comunicò cosi la notizia alla comunità: Il nostro giovane novizio se n’è andato, attratto dai mondo. Egli diventerà come quell’uomo che decise di rinunciare a tutto” quando gli mori la moglie, la sua casa bruciò e i suoi raccolti furono distrutti dalle cavallette. Al Signore questo tipo di rinuncia non interessa. Colui che abbandona la via della disciplina interiore non sarà pronto a “rinunciare a tutto” s'intanto che avrà ancora qualcosa cui rinunciare.

 

 

MERCOLEDI’ 25 MAGGIO 1994

“L’erba inaridisce, i fiori cadono, ma la parola del Signore rimane in eterno”. (1 Pt. 1,24)

Un giovane novizio si recò da un vecchio eremita.

Quel giorno era terribilmente amareggiato: tutti gli sforzi che faceva per mettere in pratica la Parola gli sembravano inutili. Sì inginocchiò ai piedi dell’anziano monaco e con il volto fra le mani confesso:

La mia vita spirituale è come un cesto di vimini: l’acqua della Parola vi scorre tutta via! Lascio questa vita e torno nei mondo.

Il vecchio eremita abbracciò il novizio e lo istruì. con dolcezza:

Fratello, tu non conosci i poteri dell’acqua. L’acqua di sorgente compie nel cesto almeno due meraviglie: lo

lava, e un cesto pulito può essere utile a molte cose, e poi rende più resistenti i vimini, affinché durino più a lungo. I medesimi effetti li opera in te la Parola di Dio. Forse tu non te ne accorgi, ma gli altri, coloro che ti usano appunto come un recipiente, sentono che possono fidarsi di te. Sentono che sei in grado di “contentarli”. Quale grande onore essere un cesto di vimini nella vigna del Signore, non trovi?

 

 

GIOVEDI’ 26 MAGGIO 1994

“Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. (Mc. 10,48)

Il racconto della guarigione del cieco Bartimeo, al di là del fatto in se stesso e della vivacità con cui Marco ce lo racconta, diventa simbolo del nostro cammino per arrivare alla luce di Gesù. Possiamo sintetizzarlo cosi:

 

VENERDI’ 27 MAGGIO 1994

“E Gesù disse al fico: Nessuno possa mai mangiare i tuoi frutti” (Mc. 11,14)

Ci può stupire questo miracolo al contrario, questa maledizione del fico. E’ l’ultimo segno che Gesù compie prima della sua passione e sta ad indicare che colui che non ha accolto la benedizione messianica di Gesù e non lo ha seguito rimane sterile e attira su di se la maledizione che consegue a tale rifiuto. Israele non ha riconosciuto la visita del Signore e non ha prodotto il frutto atteso. Possedeva il Tempio ma non più la fede in Dio e nel suo amore e il perdono dei nemici, che rendono accetta la preghiera. Ma noi oggi in che modo accettiamo Gesù? Produciamo i frutti che Egli attende? La nostra vita dì Chiesa porta frutti o è uno sterile apparato esteriore? Dove sono, nelle nostre comunità, la fede viva, la fraternità, il perdono, i frutti dello Spirito, come veri segni della presenza e del riconoscimento di Cristo?

 

 

SABATO 28 MAGGIO 1994

“I sommi sacerdoti, gli scribi, gli anziani gli dissero: Con quale autorità fai queste cose?”. (Mc. 11,27-28)

La domanda viene fatta a Gesù da gente preoccupata, si dell’integrità della fede ebraica, ma anche preoccupata da veder scalzate le proprie posizioni di potere religioso, di tradizioni e abitudini consolidate. Per noi cristiani la domanda è oziosa perché ben sappiamo chi è Gesù e siamo anche contenti di proclamare la nostra fede in Lui. Per noi il problema è invece quello di passare dalla fede proclamata alla fede vissuta. Noi riconosciamo l’autorità di Gesù ma poi spesso ne sfuggiamo le esigenze. La parola di Gesù svela e giudica i segreti dei cuori, anche dei nostri cuori. Dovremmo smettere di difenderci da Lui e invece lasciarci plasmare da Lui. Gesù rimane il maestro che ci prende per mano: anche il suo giudizio è per la nostra conversione.

 

 

DOMENICA 29 MAGGIO 1994

“Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. (Mt. 28,19)

La festa di oggi ci ripropone il mistero più grande ma anche il più consolante della nostra fede. Anzitutto mistero. E’ Dio che si fa conoscere nella sua più profonda intimità. Ma il fatto di conoscerlo così è rivelazione, non spiegazione. Non vogliamo, con i nostri stupidi tentativi di spiegarci tutte, togliere la parola mistero dalla nostra fede: Dio è più grande di noi! Ma anche realtà consolante: Dio è famiglia, è relazione in se stesso, è amore ed è anche relazione nei nostri confronti. Noi siamo famiglia di Dio, siamo inseriti tramite Gesù, nostro fratello, con la forza dello Spirito vivificante, nel Padre. Tutto questo ci è manifestato dal nostro battesimo. Ci è dato da Gesù, attraverso il suo passaggio dalla morte alla vita, ci fa figli di Dio, ci innesta in Lui attraverso lo Spirito Santo. Dovremmo pensare più spesso a questo dono che fin dai primi momenti di vita ci ha inseriti in Dio, ci ha fatto suoi familiari, ci rinnova ogni giorno, ci apre all’eternità.

 

 

LUNEDI’ 30 MAGGIO 1994

“La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo”. (Mc. 12,10)

Chi è quel piccolo profeta che in uno sperso paese del Medio Oriente, annuncia pace, amore di Dio? Chi è quell’uomo che caduto nelle mani del potere terreno è finito su una croce? Eppure quel piccolo uomo è Dio con noi. Scartato dagli uomini, neppure considerato dal potere ha cambiato la storia del mondo e, quel che è di più, ha dato all’uomo di poter cambiare se stesso. Grazie a Lui l’uomo non è solo più un atomo vagante nell‘universo ma e figlio di Dio chiamato all’eternità, grazie a Lui possiamo dire: “Padre” a Dio. Su quella “pietra scartata” si e ondata la Chiesa che ancora oggi ci dà i sacramenti. Gesù è il centro della storia. E’ anche il centro della tua vita?

 

 

MARTEDI’ 31 MAGGIO 1994

“Maria si mise in viaggio”. (Lc. 1,39)

Maria si è messa in viaggio per andare ad aiutare sua cugina Elisabetta, ma da allora, Maria, è sempre in viaggio: ha tanti figli da visitare, da consolare, da aiutare. Da quando Gesù, sulla croce, ci ha affidati a Lei, Maria non ha più smesso di pellegrinare: ovunque c’è una sofferenza lì c’è la madre, dove c’è una gioia è lì per condividerle. E Maria, da buona madre, vuoi mettere in viaggio anche noi, vuole spingerci verso Gesù e i suoi sacramenti, vuole aiutarci ad uscire dalla buia casa dell’egoismo per andare verso i fratelli, vuole insegnarci a camminare sulle strade del mondo per testimoniare l’amore che Gesù ci ha portato.

Concludiamo questo mese di maggio con l’invocazione che spesso facciamo in un canto a Maria: “Vieni o Madre in mezzo a noi, vieni Maria quaggiù: cammineremo insieme a Te verso la libertà”

     
     
 

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