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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

FEBBRAIO 1994

 

 

MARTEDI’ 1 FEBBRAIO 1994

“Presa la mano della bambina, le disse: Fanciulla, io ti dico, alzati”. (Mc. 5,41)

Nel Vangelo di oggi vengono raccontati due miracoli: la guarigione dell’emoroissa e la risurrezione della figlia di Giairo. In entrambi ritorna un verbo: “Toccare”. E’ la fede della donna malata che la porta a toccare il mantello di Gesù ed è Gesù che tocca la mano della bambina per farla risorgere. Abbiamo bisogno di “toccare” non per una forma di magia, ma per fare esperienza Concreta di Gesù e abbiamo bisogno di “lasciarci toccare” per poter guarire la nostra fede Spesso morta. D’altra parte è proprio la logica di Dio, quella di incarnarsi concretamente in Gesù e negli uomini. Noi possiamo ‘toccare’ concretamente Gesù ogni giorno nei suoi sacramenti, nei fratelli, nell’esperienza dei fatti della vita. Ma forse più importante ancora è lasciarci ‘toccare’ da Lui: è non chiudere occhi e cuore alla sua azione di grazia nei nostri confronti. Oggi Gesù ti tocca, nella preghiera, nei tuoi familiari, nel tuo lavoro... Vuoi lasciarti “toccare il cuore” da Lui? può persino risuscitarti!

 

 

MERCOLEDI’ 2 FEBBRAIO 1994

“I miei occhi hanno visto la tua salvezza, luce per illuminare le genti ’’. (Lc. 2,30—32)

La festa della Presentazione al Tempio di Gesù, come il Natale, l’Epifania, il Battesimo di Gesù, è una festa di manifestazione di Gesù Salvatore, è per questo che secondo un’antica tradizione, si benedicono e si offrono oggi i ceri che serviranno per le celebrazioni liturgiche: come sottolinea il vecchio Simeone che ha tra le braccia Gesù e che si lascia illuminare dalla sua luce. E’ bello pensare a questo anziano con Gesù: è la vecchiaia del mondo che accoglie tra le sue braccia l’eterna giovinezza di Dio. Con Gesù ogni uomo, a qualunque età sia giunto può, anzi deve, ritornare “piccolo”, bambino. Quando senti il peso dei tuoi peccati, l’oscurità del cammino, la   fatica del quotidiano, la solitudine dell’anzianità, vai verso la luce, essa illumina, scalda, rinnova; lascia che la sua luce ridoni vigore ai tuoi occhi e al tuo cuore, riscopri l’eterna giovinezza e gioia a cui sei chiamato, e rifletti la sua luce perché anche altri gioiscano e il mondo, almeno un po’ possa svecchiarsi.

 

 

GIOVEDI’ 3 FEBBRAIO 1994

“E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche”. (Mc. 6,8—9)

Per noi è molto strano l’equipaggiamento con cui Gesù manda i discepoli in missione: è fatto di niente. Pensate la differenza di ragionamento di oggi: per fare un prete gli si chiede un diploma di superiore, sei anni di teologia, corsi ed incontri di formazione, un’accurata strategia pastorale, dei confini ben delimitati per svolgere il ministero... Gesù ha chiesto agli apostoli di fare esperienza di Lui e poi di “andare”. Ogni cristiano, per essere testimone ha bisogno soprattutto di fare esperienza di Gesù e poi di sperimentare una gioia profonda che lo manda agli altri, non con la potenza e qualche volta con l’alterigia della nostra cultura o dei nostri mezzi ma con la povertà che lascia spazio a Dio di operare. Ci si lamenta spesso della poca fede che oggi c’è. Non sarà forse perché i cristiani si fidano più dei loro mezzi che della potenza di Dio che ha bisogno di trovare spazio nella nostra povertà?

 

 

VENERDI’ 4 FEBBRAIO 1994

“E subito mandò una guardia con l’ordine che gli fosse portata la testa di Giovanni”. (Mc. 6,27)

Un re timoroso, con il suo potere e con le sue debolezze umane di far tacere la voce di Dio che grida attraverso Giovanni Battista. Ma la testa di Giovanni tagliata e deposta su quel piatto affidato alle mani di una donna gelosa grida e testimonia ancor più di quando era attaccata al suo corpo. L’evangelista presentandoci questo racconto subito dopo il brano della missione degli apostoli vuol ricordarci che la testimonianza della fede troverà opposizioni e il credente deve essere pronto a tutto, anche al martirio per la fede. Oggi è difficile che ci venga chiesta la vita per la fede, ma se siamo coerenti con il nostro credo ci sono tante forme di martirio quotidiano: il non essere considerati, il sorrisetto, la presa in giro, il non far carriera... Ma è proprio attraverso questi segni di persecuzione che il Vangelo cresce; pensiamo che proprio dal sangue di tanti martiri è nata la Chiesa. Al mondo è servito più questo sangue che tante parole.

 

 

SABATO 5 FEBBRAIO 1994

“Gesù disse loro: Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’ “. (Mc. 6,31)

Gli apostoli tornano dalla loro prima missione stanchi ma entusiasti: hanno un mucchio di cose da raccontare. E Gesù li invita a stare con lui, a riposarsi un po’. E’ molto bella questa figura del maestro che manda, chiede molto ai suoi discepoli, ma equilibratamente prevede per loro anche un tempo di riposo, che unisce l’annuncio, la missione, l’impegno, al fermarsi, allo stare con Lui, al ritrovare il giusto equilibrio interiore. Anche nel regno di Dio ci vuole la determinazione, il lavoro, lo spendersi per gli altri ma anche il sapersi fermare, il ricreare il giusto rapporto con Gesù, il riposarsi. Devi dare molto agli altri, ma come farai a farlo se non hai più niente? Devi portare Gesù ma per portarlo devi averlo trovato.., e poi ricordati: non sei tu che salvi il mondo, il mondo lo ha salvato Lui morendo per te e per tutti sulla croce. Tu sei, e devi essere un canale per portarlo agli altri, ma anche i canali hanno bisogno di essere puliti e dragati ogni tanto, se no portano inondazioni e melma invece che acqua pura.

 

 

DOMENICA 6 FEBBRAIO 1994

‘Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati”. (Mc. 1,32)

Marco, nel primo capitolo del suo Vangelo ci dice subito a chi si indirizza Gesù: è una folla quella degli indemoniati e dei malati che preme su di lui. Gesù non è venuto per distribuire facili miracoli ma per farci giungere alla fede salvifica e la strada passa attraverso la lotta e la sconfitta di ogni male. Gesù poi è particolarmente attento a chi vive il tempo della malattia e del dolore e ci invita a combatterlo con le nostre forze ma soprattutto con la forza che viene da Dio. Lui stesso dovrà affrontare il dolore e la morte sulla croce e sentire nella sua carne e nel suo spirito tutta l’amarezza della sofferenza, ma la vincerà affidandosi a Dio. E’ solo la forza di Dio che può trasformare il male, il dolore in grazia.

 

 

LUNEDI’ 7 FEBBRAIO 1994

“E lo pregarono di potergli almeno toccare la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano (Mc. 6,56)

Da sempre l’uomo ha bisogno di segni per sentire la presenza del Signore. Così succede agli Ebrei, come leggiamo nella prima lettura di oggi, che hanno bisogno del segno dell’arca dell’Alleanza per avere il Signore in mezzo a loro, così succede ai malati che vogliono toccare almeno il mantello di Gesù. Anche oggi, pur sapendo che Dio è più grande dei nostri templi o che non può essere costretto nelle forme della nostra religiosità, noi abbiamo bisogno di vedere, di toccare, di avere luoghi e segni di riferimento. E Gesù, sapendo questo nostro bisogno concreto, pur invitandoci ad adorare Dio in Spirito e Verità, proprio nella logica della sua incarnazione ci ha lasciato molti segni della sua presenza dove noi lo possiamo “toccare”, fare esperienza di Lui: le chiese, i sacramenti, le persone. Se vuoi, Dio lo puoi toccare: “Questo è il mio corpo”, “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”, “Avevo fame e mi hai dato da mangiare”... E se hai fede, ogni volta che “tocchi” il Signore puoi veramente essere guarito!

 

 

MARTEDI’ 8 FEBBRAIO 1994

“Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione (Mc. 7,9)

E’ questo un rimprovero che Gesù fa all’ipocrisia dei farisei, ma anche a tutte le forme della nostra ipocrisia, specialmente quella religiosa. Ad esempio, alcuni cristiani non si sentono a posto se alla fine della giornata non hanno detto un certo numero di preghiere; ma ci si sente altrettanto fuori posto se non abbiamo sopportato una persona che ci ha infastidito? Ad esempio, un certo tipo di chiesa sdottoreggia e sanziona comportamenti di vita familiare ma poi convive bellamente con mentalità mondane di interesse e qualche volta le giustifica con la scusa che possono servire per “un bene maggiore”. L’ipocrisia è sempre la stessa: quella del fariseo, come quella del pio, come quella del cardinalone vestito di rosso, o quella del moralista (sempre basata sul giudizio e sulla pelle degli altri). Ma ricordiamoci tutti, io per primo, possiamo anche impaludarci di giustizia, di moralismo, di perbenismo... davanti a Dio siamo sempre nudi: Egli “ci scruta e ci conosce; mi conosce quando mi seggo e quando mi alzo”.

 

 

MERCOLEDI’ 9 FEBBRAIO 1994

“Dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive.., e contaminano l’uomo”. (Mc. 7,21—23)

Spesso per giustificarci noi nascondiamo le nostre colpe tirando in ballo il destino, le situazioni, le colpe degli altri.., e non guardiamo a noi stessi. Il cuore dell’uomo è grande: può addirittura ospitare Dio. Il cuore dell’uomo può aprirsi alle cose più belle ma è anche un abisso di cattiveria, di male, di egoismo. E’ inutile andare a cercare il male altrove. Nel racconto di Caino e Abele c’è una bellissima frase che Dio dice a Caino che vale anche per noi: “Se non agisci bene il peccato è accovacciato alla tua porta. Verso di te è il suo istinto, ma tu puoi dominarlo”. Il cuore dell’uomo può amare o odiare, creare vita o distruggerla, trasformare lacrime in amore,o amore insofferenza Dipende da te. Che cosa vuoi tirare fuori, oggi, dal tuo cuore?

 

 

GIOVEDI’ 10 FEBBRAIO 1994

“Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demonio dalla figlia era greca, di origine Siro Fenicia”. (Mc. 7,26)

Una pagana chiede una grazia a Gesù. E, a prima vista non viene trattata molto bene da Lui, ma questo, invece di smontarla, smuove in lei una fede ancora più grande e una supplica fiduciosa che strappa a Gesù il miracolo. E noi proprio da una pagana abbiamo un modello di preghiera che unisce fede, fiducia e perseveranza. Quando preghiamo la prima cosa necessaria è proprio quella di aver fede in chi preghiamo: “Se avrete un granello di fede potrete dire a questa montagna, spostati, buttati nel mare ed essa lo farà”, bisogna non stancarsi: “Chiedete e otterrete, bussate e vi sarà aperto”, bisogna abbandonarsi a Dio che “prima che glielo chiediate sa già quello di cui avete bisogno”. Noi abbiamo una grande arma che fa sempre presa sul cuore di Dio e che ci trasforma, ed è proprio la preghiera, fatta non tanto per ottenere le singole cose che chiediamo, anche se Dio spesso le concede, ma fatta soprattutto per metterci nella prospettiva stessa di Dio, per aiutarci a comprendere, accettare, vivere la sua volontà, che non può mai essere contraria al nostro vero bene.

 

 

VENERDI’ 11 FEBBRAIO 1994

“Gli condussero un sordomuto... Gesù emise un sospiro e disse: "Effeta", cioè "Apriti!". (Mc. 7,32.34)

Il Vangelo di oggi ci presenta la guarigione di un sordomuto e la festa della Madonna di Lourdes ci fa pensare alla schiera di malati nel corpo e nello spirito che ogni anno si recano nel piccolo paesino ai piedi dei Pirenei dove Maria ha voluto manifestare la sua presenza e la sua grazia. Gesù e Maria vogliono aprire i nostri cuori: ciò che conta non è tanto ammirare il prodigio compiuto da Gesù o i miracoli di Lourdes, ma comprenderne il significato; il sordomuto del Vangelo o i malati guariti rappresentano il peccatore rinchiuso nel proprio egoismo. Cristo gli dona di aprirsi a parola di Dio e di trasmetterla agli altri: è soprattutto questo il miracolo di cui abbiamo bisogno tutti.

 

 

SABATO 12 FEBBRAIO 1994

“Gesù disse: Sento compassione di questa folla”. (Mc. 8,2)

Gesù sente ‘compassione’ per la folla e di qui scaturisce il miracolo della moltiplicazione dei pani. Gesù sente compassione per la fatica del nostro vivere e ci dona il suo pane, la sua Eucarestia. L’Eucarestia è il cibo per il nostro cammino. Troppi cristiani hanno la presunzione di essere tali senza mangiare questo cibo: “Io prego per mio conto, che bisogno c’è di andare a Messa!” Altri pensano che l’Eucarestia sia esclusivamente per i buoni, se ne sentono indegni e si privano di questo cibo, altri ancora “fanno indigestione” di questo cibo riducendolo ad una specie di devozione privata travisando lo scopo per cui il Signore ce l’ha donata. L’Eucarestia nasce dal desiderio di Gesù di con patire con noi la nostra vita, dal darci da “mangiare” se stesso, il suo perdono, la   sua gioia, la sua forza, dal suo volere essere con noi perché sa bene che “senza di Lui non possiamo nulla”.

 

 

DOMENICA 13 FEBBRAIO 1994

“Ma il lebbroso, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto”. (Mc. 1,45)

La paura innata che faceva tener lontani i lebbrosi, che toglieva loro ogni possibilità di vita sociale e religiosa era quella del contagio. Per gli Ebrei, poi, anche religiosamente, avvicinare o toccare un lebbroso significava contrarre impurità come per il contatto con un cadavere. Gesù tocca e guarisce il lebbroso. Gesù facendosi uomo si è lasciato “contagiare dal peccato dell’uomo”, lo ha preso sulle sue spalle, lo ha crocifisso, donando se stesso con la croce, e a sua volta ha contagiato l’uomo con la sua misericordia, con il suo amore. Ed è bello allora pensare che questo lebbroso, prima temuto come portatore di contagio, ora diventa contagiatore di bene, annunciando le meraviglie di Dio. Dio si serve anche di peccatori, anche di me, per portare la luce del suo amore.

 

 

LUNEDI’ 14 FEBBRAIO 1994

“Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove”, (Gc. 1,2)

Quella di S. Giacomo è una parola che a prima vista sembra puro masochismo. Come si può essere in “perfetta letizia” quando si è poveri, tribolati, magari in un letto di ospedale con un cancro addosso? Noi siamo fatti per la gioia, per la vita o per la sofferenza? S. Giacomo non vuole indicarci la via della sofferenza ma la strada per cui anche la sofferenza diventa motivo di gioia perché produce la fede. La sofferenza non va cercata per se stessa ma le prove della vita e soprattutto le prove come conseguenza della scelta di fede sono un mezzo di santità. La certezza che Dio non ci abbandona, il pensiero della croce di Gesù, la speranza cristiana che non delude, il fidarsi più di Dio che delle cose della terra concorrono a renderci sereni e poi, diciamocelo: ci aiuta di più un piagnisteo o un sorriso?

 

 

MARTEDI’ 15 FEBBRAIO 1994

“Non capite ancora?”. (Mc. 8,21)

Gesù si stupisce della difficoltà di comprendere da parte degli apostoli:

avevano appena assistito alla moltiplicazione dei pani e si preoccupavano di non aver del pane nelle loro riserve. E’ la difficoltà che spesso manifestiamo anche noi: più di una volta abbiamo avuto la prova dell’amore provvidente di Dio che ci è venuto incontro, che ci ha dato forza in momenti di difficoltà, che “ha fatto cose grandi in noi”, e ci lasciamo prendere dalla paura per le cose, per il domani... La paura è mancanza di fede! Qualche volta ho sentito la frase: “Ho perso la fede”, ma la fede non la si perde per motivi solo intellettuali (non sarebbe fede), per scandalo subito da persone religiose, la si perde quando la paura di Dio, del futuro ci impediscono di riporre la nostra fiducia in Lui, nella sua misericordia, nella sua provvidenza.

 

 

MERCOLEDI’ 16 FEBBRAIO 1994

“Ritornate al Signore perché egli è misericoidioso e benigno”. (Gioele 2,12)

Ma abbiamo poi proprio bisogno di convertirci? Non è forse un’ipocrisia tutti gli anni in questo periodo, farci mettere un po’ di cenere sulla fronte, proporci gesti di penitenza, batterci il petto? Tutto dipende da noi, le scadenze del calendario liturgico possono essere una grande ipocrisia o l’occasione che Cristo ci offre attraverso la Chiesa per rinvigorire il cammino verso di Lui, per ascoltare la sua parola come novità, per far progredire il suo regno attraverso una testimonianza rinnovata. Per convertirci non basta un po’ di cenere, occorre essere consapevoli del nostro peccato personale e sociale, oc­corre riconoscere che è volontà di Dio in Cristo di liberarci dal male, occorre vedere un percorso di cambiamento di valori per cui vivere. Se la Quaresima è questo, altro che essere un tempo di musi lunghi e di tristezza, è un momento di ringraziamento, di meraviglia, di gioia, di

rinnovamento.

 

 

GIOVEDI’ 17 FEBBRAIO 1994

“Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?”. (Lc. 9,25)

Ci sono sempre state persone che hanno fondato la propria vita sul denaro o sulle cose e per esse hanno sacrificato tutto e tutti, ma particolarmente in questo periodo abbiamo davanti esempi di persone che rubando, intrigando hanno accumulato miliardi che anche con tutta la buona volontà ed una vita lunghissima non sarebbero riusciti a “godersi”. A che giova questo? E a che giova correre, rovinarsi la salute per cose che sappiamo che più che darci gioia e benessere ci danno solo preoccupazioni e paure? Quando magari ti trovi in un letto di ospedale con una sentenza medica che non ti lascia scampo ti ritrovi solo con te stesso, nudo, i beni non contano più, conta solo quello che sei: viene in mente la sapienza dell’antico salmo che dice: “Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori, invano vi alzate presto e invano ritardate l’ora del riposo: il Signore colma di beni i suoi amici nel sonno”.

 

 

VENERDI’ 18 FEBBRAIO 1994

“Il digiuno che io voglio è sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo”. (ls. 58,6)

Il digiuno presso ogni religione è sempre stato segno di purificazione e di elevazione. Oggi la Chiesa non ci impone più digiuni pesanti e qualche volta formali e ipocriti, ma se è stato mitigato il digiuno da alimenti è sempre valido e necessario il digiuno dal vizio e dal peccato, dalla superbia, dall’ossessione dell’avere e consumare. Specialmente questi ultimi due perché sono uno schiaffo a tanti nostri fratelli che si trovano nel bisogno. Se ci credessimo in regola con Dio perché osserviamo l’astinenza dalla carne e quei poco che resta del digiuno, mentre ci permettiamo lussi superflui e spese inutili, sottraendo l’aiuto al bisognoso, ci. sbaglieremmo penosamente, sarebbe dimenticare che c’è una beatitudine della povertà affettiva ed effettiva. La penitenza quaresimale e ordinaria che Dio ci chiede sempre è dividere ciò che è nostro con i fratelli, specialmente con chi è più povero. Ed è anche la penitenza della vita stessa, che non è meno dura del digiuno.

 

 

SABATO 19 FEBBRAIO 1994

“Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi”. (Lc. 5,32)

Ci sono pagine del Vangelo che possono scandalizzarci o portarci alla vera fede. Ci aspettiamo un Gesù “religioso” secondo i nostri schemi, tutto preghiera, tutto “casa e chiesa”, un Gesù agghindato come certi vescovi e preti che con la scusa di rendere culto a Dio e di essere osservanti delle rubriche liturgiche si pavoneggiano, un Gesù che ha scelto la “parte sana” del popolo ebraico (e per parte sana pensiamo sempre ai detentori dell’ordine pubblico e religioso) e invece troviamo un Gesù che prega ma che fa una vita molto simile a quella di un vagabondo, un Gesù che non è straccione ma si interessa molto poco di vestiti, specialmente liturgici, un Gesù che “mangia e beve” con pubblici peccatori, un Gesù che sceglie i suoi apostoli non tra i maggiorenti della religiosità ufficiale ma tra gente umile e pubblici peccatori. La risposta viene proprio da Gesù stesso: se pensi di essere già salvo con le tue opere, non hai più bisogno del Salvatore e non lo accoglierai; se invece ti riscopri povero, bisognoso di perdono e di salvezza e ti lasci incontrare da Cristo, la gioia entrerà nella tua casa.

 

 

DOMENICA 20 FEBBRAIO 1994

“Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto”. (Mc. 1,12)

Il deserto ha un ruolo importantissimo nella Bibbia: è il luogo della purificazione prima di giungere alla Terra Promessa, è il posto dove Dio dona la sua Legge, è il luogo della vita dura, è il posto dove puoi incontrare Dio e parlare con Lui. Gesù nel deserto trova la tentazione e trova Dio. Il cristiano pur non spostandosi dalla sua vita abituale, è chiamato a fare deserto, a passare nel deserto, a far fiorire il deserto, cioè abbiamo bisogno di momenti di silenzio e di interiorità, abbiamo bisogno di lasciarci purificare dalla sabbia del deserto (i beduini quando non hanno acqua si lavano sfregandosi con la sabbia), è necessario che seminiamo speranza dove è deserto di valori e per fare Pasqua si passa attraverso il deserto della prova e della solitudine della croce.

 

 

LUNEDI’ 21 FEBBRAIO 1994

“Non coverai odio nel tuo cuore contro il tuo fratello”. (Lv. 19,17)

L’amore si trova nei pasticci in certi momenti. Come si fa ad amare ancora il torturatore, il capitalista che affama, il razzista orgoglioso, il mercante di cannoni?

Eppure, questo povero amore è invincibile e se riguarda l’uomo, questo povero uomo che pecca in modo così spaventoso, ma che può ancora salvarsi, deve pur trovare qualche scappatoia. E se l’amore è l’amore stesso di un Dio, non la troverà? Ecco come la troverà. Nel silenzio proverà lui a diventare vittima di tutte le violenze, di tutte le calunnie, di tutti i poteri di questo mondo. Proverà lui ad essere imprigionato, torturato, schernito, venduto, condannato. E quando avrà provato tutto questo dalla croce stessa del suo patire, darà la poi straordinaria risposta dell’amore e invocherà sull’uomo l’attenuante dell’infermità mentale: “Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno”. Spero anch’io che in quel momento l’amore del Padre mi salvi.

 

 

MARTEDI’ 22 FEBBRAIO 1994

“Voi dunque dite così: Padre Nostro”. (Mt. 6,9)

Gesù ha sempre chiamato Dio con il nome di Padre e insegna anche a noi a chiamarlo così. E noi come bambini piccoli balbettiamo quello che ha detto il nostro fratello maggiore, e lo facciamo mossi dallo Spirito, perché nessuno può chiamare Dio “Padre” se non è lo stesso Spirito di Gesù che lo prega in noi. “Padre nostro”: noi, a volte, lo diciamo per abitudine, senza pensarci. Santa Teresa d’Avila diceva che spesso le bastavano queste due parole per immergersi in una lunga preghiera. Chiamare Dio “Padre”, non e una finzione poetica, né un modo di dire sentimentale. Dio è veramente nostro Padre. Per la fede in Cristo Egli ci fa suoi figli: “Noi siamo sin d’ora figli di Dio, ma ciò che saremo non è ancora stato rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv. 3,1). E l’altro mistero di queste parole è che, dato che abbiamo un unico Padre, dato che Cristo è il fratello di tutti, anche noi siamo fratelli. Fede e fiducia, amore e umiltà, filiazione e fraternità si danno appuntamento nella preghiera del “Padre Nostro”.

 

 

MERCOLEDI’ 23 FEBBRAIO 1994

“Questa generazione cerca un segno”. (Lc. 11,29)

Noi vorremmo dei segni immediati per vedere Dio. La leggenda di S. Cristoforo mi sembra significativa a questo riguardo. Cristoforo, uomo d’azione, grande e robusto era stato convertito da un eremita e si era messo alla sua scuola ma aveva difficoltà a pregare, a “sentire” Dio nella preghiera. L’eremita allora decise per lui un’altra strada, gli dice: “Mettiti qui, su questo fiume pericoloso e con la tua forza di gigante trasporta all’altra riva i pellegrini che passano” e sembra quasi dirgli: “Il volto di Dio ti è ancora oscuro nella fede nuda, lo troverai più facilmente nel volto degli uomini che servirai”. Ed egli incominciò a servire gli uomini. Armato di un fusto di palma come bastone, traghettò per giorni e giorni, attraverso il fiume, i pellegrini.., fin quando arrivò il giorno in cui trasportò Gesù, che si era presentato con l’apparenza di un bambino e fu così che Cristoforo scoprì il volto di Dio. Così è per noi nella realtà della vita. Lavorando, e amando il lavoro, costruendo la nostra famiglia, inserendoci nella società e agendo per renderla più felice e più giusta, amando le cose come messaggi di Dio, poco per volta saliamo i vari gradini dell’amore per giungere più su, verso Dio. Amare Dio e amare il prossimo; meglio: amare Dio nel prossimo e il prossimo in Dio e così camminare verso la realizzazione totale della nostra personalità in Cristo Gesù.

 

 

GIOVEDI’ 24 FEBBRAIO 1994

“Il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano”. (Mt. 7,11)

“Ho domandato al Signore ma non ho ottenuto!” Fratel Carlo Carretto rispondeva cosi:

Se viene ora alla mia cella una coppia di sposi a dirmi: “Siamo in difficoltà, non ci amiamo più come prima, sovente bisticciamo”, io non esito a dire loro: “Pregate molto, migliorate il vostro rapporto con Dio e vedrete che sarà facilitato il rapporto tra di voi”. Se viene da me un giovane a dirmi che si sente uno straccio nella volontà, e umiliato dalle sconfitte morali, io mi sforzo di convincerlo a non puntare più le sue carte sulla ginnastica o sullo yoga o sulle considerazioni umane ma sulla grazia, sulla presenza di Dio, sull’Eucaristia e, soprattutto, sul beneficio di passare almeno qualche ora al giorno in preghiera umile, paziente, e il più possibile spogliata di sentimento o di umana fantasia. Nei casi gravi, sono giunto ad avere tanta fede nella forza della grazia e della potenza trasformatrice della preghiera, da dir loro con sicurezza: “Abbi fede, se vuoi guarire, fa’ la cura del sole!”.

Sì, è Gesù il sole divino che è venuto a risanare la terra con la potenza soprannaturale del Sacramento. Se vuoi guarire, mettiti per un anno, tutti i giorni, un’ora al giorno, in una cappella solitaria, possibilmente davanti al Santissimo Sacramento esposto, e rimani lì come un povero, a ripetere lentamente: “Abbi pietà di me, Gesù, sono un peccatore. Fatti guidare da un bravo sacerdote. Approfitta di quel tempo per studiare la Bibbia e la liturgia, ma soprattutto stai sotto il sole: lascia che la vicinanza del Cristo ti penetri dentro, là dove c’è il marcio, là dove c’è la piaga. Normalmente le guarigioni sono venute prima del tempo previsto.

 

 

VENERDI’ 25 FEBBRAIO 1994

“Se il malvagio si allontana da tutti i peccati che ha commessi e osserva tutti i miei precetti e agisce con giustizia e rettitudine, vivrà, non Morirà”. (Ez. 18,21)

In un villaggio dell’india, viveva una povera vedova; suo figlio, sotto l’influenza di cattivi compagni, si era dato al bere e al gioco d’azzardo. Alla fine era stato messo in prigione a causa dei debiti contratti al gioco, e ne sarebbe uscito solo dopo che questi fossero stati pagati. Il disgraziato passava le sue giornate a sognare il giorno in cui sarebbe potuto uscire. All’inizio aveva contato sui suoi amici, ma costoro io avevano abbandonato. Ma un giorno, la porta si aprì e il secondino gli gridò: “Puoi uscire! Tua madre ha pagato il debito!”. Si precipitò fuori per ritornare a casa della madre. Quando la vide, si gettò piangendo nelle sue braccia. “Ma, mamma, che cosa ti è successo? in che stato sono le tue mani?” Ebbene, caro, per pagare il tuo debito, ho lavorato come manovale in un cantiere. Ma adesso, tu stai bene, sei libero. Oh! mamma! Tu hai fatto questo per me che ti ho tanto afflitto! Qualche giorno dopo, gli amici del giovane lo invitarono a tornare con loro, ma lui rispose: “Con voi ho chiuso. Per le mie colpe, ho fatto soffrire troppo mia madre”.

 

 

SABATO 26 FEBBRAIO 1994

“Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. (Mt. 5,48)

Essere perfetti come Dio, a prima vista ci pare una esagerazione se non una grande presunzione quasi paragonabile al peccato di Adamo ed Eva che volevano essere come Dio. Che cosa voleva dire, allora, Gesù?

Ben conoscendo la nostra debolezza, Gesù voleva semplicemente indicarci che nel nostro comportamento noi abbiamo un modello da imitare e una forza da impetrare: come si è comportato Dio che perdona e in virtù della sua forza, anche tu devi perdonare; da solo non sei capace di amare i nemici, ma se guardi a Dio e gli chiedi la forza che viene dall’amore di suo Figlio, ti metterai sulla strada dell’amore verso tutti.

 

 

DOMENICA 27 FEBBRAIO 1994

“E Gesù si trasfigurò davanti a loro”. (Mc. 9,2)

Il racconto della Trasfigurazione di Gesù illumina e indirizza il nostro cammino della Quaresima. I tre apostoli pensano di essere stati dispensati dalla notte della passione – morte, allorché, sul monte, contemplano il Cristo trasfigurato nella gloria. Si illudono di essere arrivati alla Pasqua scavalcando l’ostacolo del Calvario. Ma la visione anticipata dura un lampo. Subito ricomincia la notte. “Guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro”. Un uomo come gli altri, uno che parla di croce, di condanna, di morte. La luce si è spenta. Eppure in loro è rimasta accesa una parola: “Questi è il mio Figlio prediletto: ascoltatelo!” Ed essi, come noi, come tutti i credenti, si portano dentro, oltre che quel lampo di luce, soprattutto quella parola. Il cammino di un credente non può essere illuminato che da una parola: “Lampada ai miei passi è la tua parola”. La lampada non elimina la notte. Ma consente di camminare.

 

 

LUNEDI’ 28 FEBBRAIO 1994

“Non giudicate e non sarete giudicati”. (Lc. 6,37)

Chi è colui che può giudicare conoscendo tutto ed essendo il Bene, la Giustizia, l’Amore? Solo Dio può questo, quindi ai discepoli di Gesù è proibito giudicare. Chi si atteggia a giudice del fratello, si arroga un diritto che è proprio di Dio. Nella pratica quotidiana quante volte manchiamo a questo comando del Signore! Siamo sempre pronti a sottolineare i lati negativi del nostro prossimo, a mettere in luce i difetti, illusi come siamo ad essere noi i perfetti, mentre se ci guardassimo bene avvertiremmo che anche noi abbiamo la gobba, non la vediamo perché ci sta alle spalle e ci sentiamo autorizzati a mettere in risalto quella degli altri. E se provassimo invece, ad evidenziare le positività degli altri?

     
     
 

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