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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

NOVEMBRE 1993

 

LUNEDI’ 1 NOVEMBRE 1993

 

“Dopo ciò apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni razza, popolo e nazione”. (Ap. 7,9)      
Il desiderio della Chiesa di offrire ai cristiani dei modelli cui ispirarsi per vivere il Vangelo ha fatto sì che si pensi alla santità come a qualcosa di straordinario, contornato di eroicità, di miracoli, per cui spesso si pensa ai santi come a superpersone molto belle e buone ma molto lontane da noi e si ha così anche la scusa di non impegnarsi nella via della santità. Santo è solo Dio, ma Lui ci chiede di partecipare alla sua santità, alla sua perfezione. Noi allora guardiamo ai santi (sia quelli “assurti agli onori degli altari”, sia a quelli del Paradiso che sono molti di più, sia a quelli viventi in terra) come a delle persone concrete, con limiti e grandezze umane, che hanno accolto i doni di Dio ed hanno cercato, secondo le proprie caratteristiche di realizzarli e testimoniarli. Ma proprio perché i santi sono persone come noi, ci gridano forte: “Anche tu puoi e devi diventare santo!”

 

 

 

MARTEDI’ 2 NOVEMBRE 1993

 

“Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto”. (Rm. 8,22)

La giornata di oggi ha come un velo di tristezza e di memoria ferita per gli affetti umani cambiati dalla morte. La morte infatti resta per l’uomo un mistero profondo. Ma essere cristiani cambia qualcosa nel modo di considerare la morte e di affrontarla? La morte per il cristiano non è il risultato di un gioco tragico da affrontare con cinismo, o da nascondersi. La morte del cristiano è nel solco della morte di Cristo: è un calice amaro perché è frutto del peccato ma non è la parola definitiva della vita: al di là di essa c’è un Padre che ci attende a braccia aperte.

Al termine della strada non c’é la strada, ma il traguardo.

Al termine della scalata non c’é la scalata, ma la sommità.

Al termine della notte non c’é la notte, ma l’aurora.

Al termine dell’inverno non c’é l’inverno, ma la primavera.

Al termine della morte non c’é la morte, ma la vita.

 

 

 

MERCOLEDI’ 3 NOVEMBRE 1993

 

“Fratelli, non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole”. (Rom. 13,8)

Sono nato in una famiglia dove la parola “debito” faceva paura. Anche le cinquanta lire lasciate in sospeso dalla panettiera venivano subito portate, magari con una corsa supplementare. Anche S. Paolo in tutte le sue lettere sembra avere questa mentalità (una volta si offre di pagare lui stesso i debiti degli altri purché non ci sia niente da dire). Qui, però, parla di un debito che è bene avere, anzi nelle sue parole debito e credito di amore sembrano diventare quasi la stessa cosa. Il cristiano sa di essere in debito con Dio che “ci ama fino a darci il suo Figlio”, “che mori per noi mentre eravamo peccatori”. Questo deve rendere il cristiano così pronto a dare e ricevere amore al punto che non si fanno più i conti. Non c’è più limite, non si ama per ricevere e ci si lascia amare anche se non si sa fino a che punto si sarà in grado di restituire. Quando la parola Amore entra nella tua vita spariscono pallottolieri e calcolatrici tascabili.

 

 

 

GIOVEDI’ 4 NOVEMBRE 1993

 

“C’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”. (Lc. 15,10)

Come si può continuare a pensare ad un Dio esclusivamente giudice quasi sadico che gode a farcela pagare per i nostri peccati, dopo frasi del Vangelo come quella che meditiamo oggi? Perché mai Dio dovrebbe essersi dato da fare tanto nella storia dell’uomo? Solo poi per poterci condannare? Solo per godere a vederci soffrire in questa vita e per poter dire soddisfatto: “Non mi hai ascoltato, adesso brucia per sempre nelle fiamme dell’inferno”? Dio non è contento di punire, gioisce nell’essere amore. Dio cerca l’uomo ma non per schiavizzarlo o condannano, per liberarlo e dargli la sua identità di Figlio di Dio. Non aver paura di Dio. Amalo e Lui stesso gioire con te della tua conversione.

 

 

 

VENERDI’ 5 NOVEMBRE 1993

 

“I figli di questo mondo, verso i loro pari, sono più scaltri dei figli della luce”.  (Lc. 16,8)

Qualcuno, abituato a ridurre il Vangelo ad un “sano” moralismo, resta scandalizzato dal trovare nel Vangelo frasi come quella di oggi. Eppure seguire Gesù, luce del mondo, significa essere scaltramente risoluti. La gente che non sa perdere la propria vita per guadagnarla non può tenergli dietro. Un artista perde la testa per l’arte e un innamorato è disposto a fare le cose più strane per la sua ragazza. Solo noi, amatori di Dio, dovremmo guardarci dalle esagerazioni, prender le cose con calma? I Santi erano di tutt’altro parere. E due righe di fuoco sulla nostra giornata grigia non ci stanno poi male.

 

 

 

SABATO 6 NOVEMBRE 1993

 

“Chi è fedele nel poco è fedele nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto”. (Lc. 16,10)

I grandi scandali della nostra epoca ci trovano tutti consenzienti nel puntare il dito. E’ più che evidente che non possiamo che biasimare e pretendere provvedimenti contro i corrotti, i dilapidatori dei beni pubblici, contro chi, sfruttando il lavoro di altri, si è costruito enormi beni personali. Ma, qualche volta, con la scusa che sono piccole cose, in confronto alle ingiustizie enormi, non siamo abbastanza severi con noi stessi e cediamo a qualche compromesso, ad esempio: perché bollare il tesserino del tram, sono solo due fermate! Perché non rifilare un po’ di frutta scadente in mezzo a quella buona? Perché andare a restituire le cinquecento lire in più nel resto (“se fosse capitato a me di sbagliare me le avrebbero ridate?”)... Gesù ci mette in guardia: la piccola disonestà ha alla base lo stesso principio di quella grande, come l’onestà si fonda sullo stesso valore sia in piccolo che in grande.

 

 

 

DOMENICA 7 NOVEMBRE 1993

 

“Le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi”. (Mt. 25,8)

Commenta così Alessandro Pronzato:

Sembrerebbe una risposta cattiva, comunque poco caritatevole. Eppure anche questo può essere un elemento di sapienza. Ci sono realtà, valori che non si possono “trasferire” così di peso. L’altro non è un recipiente da riempire con la nostra dottrina, una testa da ammobiliare con le nostre verità. Ciascuno è protagonista insostituibile della propria storia, responsabile unico delle proprie scelte. Ognuno deve inventare la propria risposta a Cristo. Saggio è colui che permette all’altro di trovare la propria strada, lo indirizza verso la fonte, lo stimola a scoprire il proprio volto “unico”. Vivere insieme l’attesa, sostenersi nella speranza, è qualcosa di diverso dal pensare, o dal giudicare, o dal fare al posto degli altri. L’olio della lampada non lo si travasa, banalmente, da un contenitore all’altro. Ciò che importa è trovare, nel proprio interno, la scintilla che accende la lampada e la forza di alimentarla in vista della “durata”.

 

 

 

LUNEDI’ 8 NOVEMBRE 1993

 

“Dio si lascia trovare da quanti non lo tentano”. (Sap. 1,2)

Tutti noi, nella nostra vita, almeno qualche volta, siamo stati ammirati e direi anche invidiosi, davanti a persone semplici ma di fede pura, profonda, non fanatica, non arzigogolata nel pensiero, non calcolatrice, non fondata su ipocriti moralismi. A volte noi pensiamo che Dio lo si incontri, conquisti attraverso la nostra ricerca, il pensiero, le buone azioni. Dio invece sceglie la strada del cuore, della piccolezza per manifestarsi. La vera sapienza non è sapere tutto di Dio (quale presunzione!), è renderci disponibili come Maria ad accogliere in noi la manifestazione e la grazia di Dio.

 

 

 

MARTEDI’ 9 NOVEMBRE 1993

 

“E’ giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità”. (Gv. 4,23)

“Se Dio lo si adora in Spirito e verità, c’è ancora bisogno delle chiese, dei templi?” “Il tempio di Dio non è tutta la creazione e in particolare il cuore dell’uomo?” Certo, come diceva già Salomone, il costruttore del grande tempio di Gerusalemme: “Ecco, i cieli dei cieli non possono contenerti, tantomeno questa casa che io ti ho costruita”. Le chiese, non hanno la prospettiva di “contenere Dio”, sono uno dei segni della sua presenza, del suo voler “mettere la sua verità fra noi”. Sono un luogo privilegiato di incontro con Gesù, con i suoi sacramenti, con i fratelli della stessa fede e sono il richiamo a quella chiesa viva che dobbiamo essere noi “uniti a Cristo pietra viva per formare con Lui un edificio spirituale, un sacerdozio santo”.

 

 

 

MERCOLEDI’ 10 NOVEMBRE 1993

 

“Uno dei dieci lebbrosi, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo”. (Lc. 17,15)

Erano stati in dieci i lebbrosi che avevano invocato da Gesù la guarigione. Avevano visto in Lui una persona che poteva curarli. Ma in nove, una volta ottenuto il risultato si fermano a questo. Uno solo sente di dover andare oltre, sente che la guarigione del corpo è solo il primo passo per arrivare alla guarigione completa. In dieci hanno incontrato Gesù, nove solo per ottenere un dono materiale, uno per passare dal dono materiale all’incontro vero con il Salvatore. Gesù lo abbiamo incontrato tutti sul nostro cammino: qualcuno ha tirato dritto, qualcuno ha gridato a Lui per ottenere un qualche beneficio, qualcuno ha fatto il passo per incontrano davvero e lasciar operare in sé la sua salvezza: un grazie, questa piccola parola che parte dal cuore è la strada per operare il miracolo dell’incontro vero.

 

 

 

GIOVEDI’ 11 NOVEMBRE 1993

 

“Il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione”. (Lc. 17,20)

A sentire certi predicatori, specialmente quelli di certi gruppi o sette moderne, il Regno di Dio che deve venire sarà accompagnato da manifestazioni terribili, grandiose. Gesù invece, dice che viene in modo da non attirare l’attenzione, ma che certamente sta venendo. Un uomo, Gesù, è morto per amore su una croce circa duemila anni fa e da allora tanti altri uomini, pur con mille difetti, si sono lasciati contagiare da questo amore, si sono sforzati e si sforzano di abbattere le barriere dell’egoismo e dello sfruttamento, hanno cercato e cercano la strada del perdono e della misericordia, spendono la propria vita per lasciar che il progetto di Dio si realizzi. Certamente fanno più rumore il male, il mondo degli affari e dei profitti, le guerre e le violenze. I libri di storia sembrano essere costruiti più sulle battaglie e i poteri.., ma in silenzio il Regno viene, matura, cresce... e tutto dipende dal cuore dei singoli. Se il mio cuore rimane freddo, insensibile, il Regno di Dio non può attecchire e dilatarsi ma se accolgo quel piccolo seme esso ha già in sé tutta la potenza e la forza della grande pianta.

 

 

 

VENERDI’ 12 NOVEMBRE 1993

 

“Stolti coloro che dai beni visibili non riconobbero Dio, non riconobbero l’Artefice, pur considerandone le opere”. (Sap. 15,1)

Dio è mistero, è il totalmente altro. Non possiamo aver la presunzione di comprenderlo interamente, di incasellarlo nei nostri schemi, di farlo entrare nella nostra piccola intelligenza. Ma Dio ci parla. Si fa conoscere attraverso mille strade. E una delle strade più evidenti è il suo discorso a noi, non attraverso parole ma attraverso la creazione. Gli spazi dei cieli ci parlano di Lui. La profondità del mare, la vita nelle sue multiformi manifestazioni ci dicono la sua grandezza. La bellezza di un fiore ci racconta la sua bellezza. Il volto di un bambino ci dà i lineamenti della sua tenerezza. Perfino il dolore e la morte ci possono avvicinare al suo mistero. Noi siamo abituati a leggere la Bibbia, a farne l’esegesi per comprendere la sua parola rivelata. Impariamo a leggere nel silenzio e nella contemplazione il suo grande libro della creazione di cui noi stessi facciamo parte.

 

 

 

SABATO 13 NOVEMBRE 1993

 

“Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra”. (Lc. 18,8)

Sul tema della fede ecco un’antica leggenda domenicana:

Quanto vorrei avere una conoscenza di Dio piena, totale, perfetta, disse un giorno un discepolo di Domenico al grande Santo. E perché mai? rispose San Domenico — Pensa a un ammalato divorato dalla febbre; non s’immaginerebbe di poter bere un’intera tinozza d’acqua? Eppure quando la febbre se ne va, gli basta un bicchiere per la sua sete, e forse persino metà. Così, quando si è presi dal turbine del desiderio di Dio, ci s’immagina di poter portare nel proprio cuore l’infinito di Dio. Quando questa illusione sparisce, basta un unico raggio della sua luce per inondarci di felicità e di speranza.

 

 

 

DOMENICA 14 NOVEMBRE 1993

 

“Signore, per paura andai a nascondere il tuo talento sottoterra: ecco qui il tuo”. (Mt. 25,25)

Alessandro Pronzato commentando questo brano ci aiuta con alcuni esempi a fare un esame di coscienza sul non impiego dei nostri talenti: “Eccoti la tua vita, Signore... Te la restituisco quasi intatta. Non mi sono mai azzardato a vivere. Troppa paura di sbagliare. Eccoti la tua libertà. L’ho accantonata, tenuta sotto stretta vigilanza, non me ne sono quasi mai servito. Troppo impegnativa. Eccoti il cuore che mi hai dato. L’ho impegnato raramente, con estrema cautela, con giudizio. Troppo rischioso. Ecco la tua fantasia. Un regalo forse superfluo, oltre che pericoloso, l’ho sempre tenuta accuratamente sotto chiave, non le ho mai dato spazio. Chissà dove mi avrebbe portato..

 

 

 

LUNEDI’ 15 NOVEMBRE 1993

 

“Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada”. (Lc. 18,35)

Il racconto della guarigione del cieco di Gerico oltre che presentarci l’attenzione di Gesù che sta andando a dare la sua vita a Gerusalemme, nei confronti di un malato, ci mostra quale cammino deve fare un cristiano se vuole veramente mettersi al seguito di Gesù. Riassumo schematicamente:

Il cieco, “sentendo passare la gente domandò”. Il cristiano deve presagire la presenza di Dio negli avvenimenti. Molti lo sgridavano perché tacesse, ma quello “gridava più forte”. Bisogna vincere gli ostacoli che il mondo presenta, avere il coraggio di gridare di fronte a chi vuol ridurre al silenzio il nostro bisogno di Dio. “Gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù”. Bisogna avere il coraggio di rompere con il passato, spogliandosi dell’uomo vecchio. Gesù gli chiese... ed egli rispose. Bisogna impegnarsi nel dialogo con Dio. “Cominciò a seguirlo lodando Dio”. Infine non basta fermarsi all’incontro, alle apparenze ma bisogna andare dietro a Gesù come testimoni del suo Regno. Bisogna proprio dirlo: ci aiuti un cieco a vedere e a seguire Gesù.

 

 

MARTEDI’ 16 NOVEMBRE 1993

 

“Zaccheo, poiché era piccolo di statura, corse avanti e, per poterlo vedere, sali su un sicomoro”. (Lc. 19,3—4)

Zaccheo è la figura di un piccolotto che diventa un gigante. Intanto pur di soddisfare la propria curiosità non ha paura di perdere la faccia arrampicandosi su una pianta. E’ disponibile all’accoglienza. Non è un musone ma lascia entrare la gioia nella sua casa. Quando si converte lo fa sul serio, non a parole ma in concreto è disposto a restituire quattro volte tanto e a dar via la metà dei suoi beni. A Gesù non interessano la statura, le apparenze, le classificazioni degli uomini, Gesù è venuto per incontrare e per salvare. Il tuo desiderio di essere salvato ti spinge almeno qualche volta “a salire su una pianta”, cioè a fare qualcosa anche fuori degli schemi e la tua conversione passa anche qualche volta attraverso il tuo portafoglio?

 

 

 

MERCOLEDI’ 17 NOVEMBRE 1993

 

“Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: impegnatele fino al mio ritorno”. (Lc. 19,13)

Tutti noi abbiamo ricevuto in consegna dei doni sia materiali che spirituali. Qualcuno, dimenticando che essi ci sono solo affidati, se ne è fatto padrone (“La vita è mia e me la gestisco io”, “i figli sono miei e devono essere a mia immagine e somiglianza”...), qualcun altro utilizza questi doni secondo la saputa o presunta volontà di Dio, qualcun altro preferisce vivere in pace: “Perché darsi tanto da fare? perché rischiare? è meglio starsene tranquilli, lasciar fare agli altri” o magari accampa scuse: “Non sono capace! Non ne ho voglia.., intanto con me o senza di me Dio fa quello che vuole. Ma Dio chiede conto. Non tanto per essere un esattore terribile, quanto per rispetto della nostra libertà e per amore della fiducia che ha riposto in noi. Essere fedeli nel poco significa essere persone che riconoscono i doni ricevuti da Dio. Nella parabola non è presentato il caso del servo che investendo i doni ricevuti ha perso tutto, ma mi pare di poter dire che se ci fosse stato questo caso, il padrone gli avrebbe detto: “Entra nella gioia del tuo padrone perché hai saputo rischiare e in questo ti sei dimostrato ugualmente fedele”.

 

 

 

GIOVEDI’ 18 NOVEMBRE 1993

 

“Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città, pianse su di essa”.  (Lc. 19,41)

A Gesù non è risparmiato lo strazio di tutti i profeti davanti alla freddezza di un popolo indurito che non riconosce la visita di Dio nella persona e nella parola del suo stesso Figlio. Gesù è venuto a salvare, a portare la pace e il suo popolo gli sta preparando una croce. Gerusalemme diventa così il simbolo, non solo del popolo eletto, ma anche di tutti gli uomini, di tutte le donne, di tutte le persone e di tutte le comunità che misconoscono la presenza dì Dio rifiutando il suo amorevole richiamo alla conversione. Quante volte, Gesù, hai pianto su di me: sei venuto a visitarmi ma ero troppo distratto per aprirti la porta. Volevi portarmi la tua pace, ma io ero tutto preso dai miei affari inconcludenti. Quante volte mi hai offerto il tuo perdono ed io ho preferito il mio orgoglio. Le tue lacrime, o Gesù, diventino ciò che fa sciogliere il mio cuore di pietra.

 

 

 

VENERDI’ 19 NOVEMBRE 1993

 

“Gesù entrato nel Tempio, cominciò a scacciare i venditori..”. (Lc. 19,45)

Gesù purifica il Tempio. Il Tempio è uno dei luoghi privilegiati dell’incontro con Dio; purtroppo allora come oggi per molti il Tempio e le chiese sono tutt’altro. Per una certa parte di casta sacerdotale è il luogo dove esercitare potere. Per altri è il luogo in cui pagare la tassa domenicale del culto. Per altri è il luogo dove recarsi per le cerimonie (battesimi, matrimoni, prime comunioni, funerali). Gesù caccia dal Tempio queste persone più ancora dei semplici venditori di medagliette o ricordini. Abbiamo bisogno anche oggi di purificare la nostra religiosità, di smetterla con certe esteriorità che sono vero e proprio paganesimo come anche certe forme di spiritualismo misticheggiante che allontana sempre di più il. Dio della rivelazione rendendolo talmente misterioso, nascosto in gesti e riti inaccessibili da allontanare i semplici. Sono molte le forme ipocrite che usiamo nella nostra vita, ma l’ipocrisia religiosa è la più stupida: Dio non lo puoi ingannare. Qualche colpo di frusta non può che farci bene.

 

 

SABATO 20 NOVEMBRE 1993

 

“Dio non è Dio dei morti”. (Lc. 20,38)

La morte è un dato costante dell’esperienza. La morte biologica, il suo lento annuncio nelle molteplici malattie, la sua presenza brutale negli incidenti e la sua manifestazione in tutto quello che è negazione della vita, costituisce il più doloroso dei problemi umani. Le scienze umane, la filosofia e la storia delle religioni, hanno dato e danno risposte più o meno convincenti all’enigma della morte: è una fine o un inizio? Ci aspetta il nulla o un’altra vita diversa? Saremo annientati o trasformati? Alla fine della strada, c’è Dio o il vuoto? A seconda delle risposte, questi sono gli atteggiamenti più comuni: paura viscerale, silenzio davanti ad un tabù, fatalismo davanti ad un fatto inevitabile, ricerca del piacere davanti alla fugacità della vita, pessimismo, ribellione... oppure serena speranza di chi crede nell’immortalità e nella risurrezione. Gesù Cristo, morto e risorto è l’unica risposta valida all’interrogativo della morte dell’uomo. Ma richiede fede incondizionata.

 

 

 

DOMENICA 21 NOVEMBRE 1993

 

“Bisogna che Cristo regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi”. (1Cor. 15,25)

Forse non l’abbiamo capita bene questa festa di Cristo Re. Come sempre abbiamo unito l’idea di re a quella del potere, dello sfarzo, del cerimoniale, degli onori, del giudizio. Ma Gesù è  un re molto strano: per trono ha una croce, per corona una corona di spine, il vestito glielo hanno strappato di dosso ed è nudo “come mamma l’ha fatto”. Il suo giudizio finale non è tanto quello dell’ultimo giorno ma quello sulla storia di oggi e poi più che giudicare ratifica delle scelte già compiute. Passa in rassegna un esercito ben strano: poveri, straccioni, carcerati, malati e si confonde, identifica con essi. Cristo è re, è Signore ma nell’amore e nel servizio e onorario come tale non significa portargli ori e argenti, suonare le trombe, sprecare incensi, battere le mani, significa usare il suo stesso metodo.

 

 

 

LUNEDI’ 22 NOVEMBRE 1993

 

“Gesù vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro e vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli”. (Lc. 21,1—2)

Ho conosciuto molti ricchi: da quello che sbandierava a ogni piè sospinto di essersi fatto tutto da sé (non diceva però i metodi usati) a quello che facendo una buona offerta voleva “una messa tutta particolare per i suoi morti”, ma ho conosciuto anche tante “vedove” come quella del Vangelo. Dal barbone senza nulla che divideva le scatolette ricevute in elemosina con un altro che essendo arrivato in ritardo non ne aveva avute, a quella donna pensionata che pur di aiutare il fratello che aveva sprecato tutto al gioco, si privava nel mangiare pur di mandare a lui quanto più poteva. Ho conosciuto ricchi e poveri felici e infelici. Ho provato momenti di serenità economica e momenti in cui ho dovuto chiedere aiuto per poter continuare gli studi. Penso di poter dire che il denaro e i beni ci sono necessari per vivere, ma certo non sono la sorgente della vita, né sono il segreto o la chiave dell’essere persona. Tutto sta in ciò che credi. Secondo voi, dentro, era più felice la vedova dei due spiccioli, o i ricchi gongolanti per essersi fatti vedere tali?

 

 

 

MARTEDI’ 23 NOVEMBRE 1993

 

“Alcuni parlavano del Tempio e dei doni votivi che io adornavano”.  (Lc. 21,5)

Il Tempio era per gli Ebrei motivo di orgoglio per la bellezza della costruzione e segno di unità religiosa e politica nazionale: nulla da stupirsi, dunque, se vantavano questa costruzione sia per motivi religiosi, artistici, politici. E’ un po’ come quando noi entriamo in qualcuna delle nostre magnifiche cattedrali, dove costruzione, arte ci parlano di fedi antiche. Ma Gesù, pur essendo un frequentatore fedele del Tempio ci mette in guardia dall’esteriorità anche in questo caso: Dio non è grande perché gli abbiamo fatto una chiesa grande, l’uomo non è religioso perché ha costruito dei templi. Il tempio è un segno e come tale destinato a passare, la fede è il luogo dell’incontro con Dio destinato all’eternità. Amiamo la nostra chiesa di mattoni, ripensiamo alla fede che l’ha costruita, facciamo sì che ci siano ancora artisti disposti a sognare cattedrali, ma incontriamo Dio nella fede che va al di là delle mura delle chiese, che si incarna nel quotidiano, che nasce sia nello splendore della cattedrale come nel buio del tugurio.

 

 

 

MERCOLEDI’ 24 NOVEMBRE 1993

 

“Metteranno le mani su voi e vi perseguiteranno...”. (Lc. 21,12)

Per molti c’è il pericolo di intendere la fede come una specie di assicurazione contro ogni forma di male: “Io credo, io prego, quindi non mi deve capitare niente di male”, a patto poi di mandare in crisi tutto quando le cose non vanno secondo i nostri progetti: “Che vale aver fede se poi Dio non mi ascolta?”. Gesù non è venuto a dirci che la fede basta a risolvere il problema del male, delle persecuzioni, non è come quei maghi di oggi e di sempre che ti confezionano un talismano personalizzato col quale “puoi vincere ogni difficoltà”. La fede è ciò che, se è vera, ti aiuta a vivere ogni situazione buona o cattiva della vita, è ciò che, non estraniandoti dalla realtà della vita, ti dà però la possibilità di vederla e di viverla nella dimensione di Dio.

 

 

 

GIOVEDI’ 25 NOVEMBRE 1993

 

“La vostra liberazione è vicina”. (Lc. 21,28)

Chiunque ha fatto esperienza di prigionia sa che cosa significhi aspettare la liberazione, Il malato che dopo mesi di ansie, di prelievi, si sente dire dal medico: “Non è maligno!” prova una gioia indicibile; l’uomo sequestrato che sente i passi dei suoi liberatori, che vede sciogliersi la lunga paura della morte, sente di rinascere... Ma perché ci sia la gioia della liberazione occorre prima di tutto rendersi conto di essere prigionieri e di sapere di non potercela fare da soli. Come mai molti cristiani non sentono più il Vangelo come liberazione, come salvezza? Perché non pensano più di essere schiavi, convivono con le catene senza apparentemente accorgersene, perché pensano che per essere liberi basta far finta di non essere prigionieri. Il male, l’egoismo purtroppo esistono e non solo negli altri, ma io spesso ne sono schiavo e da solo non ce la faccio a liberarmi, ma c’è Qualcuno che viene per sciogliermi dalle catene. Se ne sento i passi, se lo aspetto con ansia, se gli porgo i miei polsi incatenati proverò la gioia della liberazione.

 

 

 

VENERDI’ 26 NOVEMBRE 1993

 

“Il cielo e la terra passeranno, Ma le mie parole non passeranno”. (Lc. 21,33)

Penso a quante parole si intrecciano in una giornata: quanti convenevoli, chiacchiere, giudizi, da 30 a 40 pagine di parole su ogni giornale, parole giorno e notte su canali televisivi e radiofonici. Parole per dire “ti amo”, o per dire “ti odio”, parole di conforto o di stroncatura... Quante di queste parole “non passeranno”? Gesù ci dice che la sua parola non passerà perché non c’è nessuna parola inutile nelle sue ma soprattutto perché è Lui la Parola definitiva di Dio sulla storia, è il “sì” amoroso che Dio ha detto agli uomini ed è il “sì” che gli uomini possono dire a Dio. Gesù non passerà perché è la fedeltà di Dio che dura per sempre.

 

 

 

SABATO 27 NOVEMBRE 1993

 

“Benedite, figli dell’uomo il Signore”. (Dn. 3,82)

La Chiesa ha sempre pregato con i salmi. Non è sempre una preghiera facile perché non sempre corrisponde ai sentimenti, alle aspirazioni, alle situazioni del momento, ma ci sono dei salmi o dei cantici, come quello di oggi, che possono riempire la nostra preghiera. Daniele invita tutte le creature a lodare il Signore. Mi piace allora parafrasare la preghiera al mio oggi:

“Tu, bambino, che stai per vedere la vita e che sei intessuto nel ventre di tua madre, benedici il tuo Creatore;

tu, sacerdote, che stai celebrando un mistero molto più grande di te, benedici la Provvidenza di Dio.

Tu, nonna, che sei sola riempi il tuo tempo benedicendo il Signore.

Mani di operaio e di contadino, benedite il Signore con la vostra opera che vi avvicina al Creatore;

tu, studente, non fermarti solo al tuo libro, ma benedici la Sapienza di Dio;

voi, giovani, che questa sera andrete a ballare, danzate davanti al Dio della gioia;

tu, malato, benedici Dio che misteriosamente ha redento attraverso il dolore;

tu, peccatore, benedici il Dio della misericordia e del perdono”.

 

 

 

DOMENICA 28 NOVEMBRE 1993

 

“Signore, Tu sei nostro Padre; noi siamo argilla e Tu Colui che ci dà la forma”. (Is. 64,7)

Mi sembra bello poter iniziare l’Avvento facendo nostra questa bella invocazione di Isaia. Iniziare un nuovo anno liturgico dovrebbe essere per un cristiano un'ennesima occasione per incontrare il Dio che viene a salvarci ed anche motivo d’impegno, di risposta all’amore di Dio. Ma noi ci scopriamo poveri, incostanti nei nostri propositi e allora ci abbandoniamo con fiducia nelle mani del Padre: “Lui ci ha fatti, noi siamo suoi”, sia Lui stesso a modellarci, a cambiare il nostro cuore, a renderci capaci di accogliere l’amore vero.

 

 

 

LUNEDI’ 29 NOVEMBRE 1993

 

“Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci, un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra”. (Is. 2,4)

Il periodo dell’Avvento comincia con questo invito alla Pace. Colui che viene, viene a stabilire la pace definitiva tra l’uomo e Dio. Il cristiano è fondamentalmente un testimone di questa pace. Non perde questo ideale e questo impegno neppure quando vede continuamente scoppiare guerre e discordie. Non è semplicemente un utopista che non sa vedere la realtà, fida la sua ricerca attiva di pace su Dio che “ha progetti di pace”, su Colui che nascendo ha augurato: “Pace agli uomini di buona volontà”. E comincia questo progetto partendo da sé e dalle persone che lo circondano: comincia a vincere la violenza nell’imporre le proprie idee, cerca di temperare con la carità la ricerca dei propri giusti diritti, si impegna nella ricerca di ciò che unisce piuttosto di sottolineare ciò che divide, cerca di mettere amore dove c’è disinteresse e abitudine, cerca di sciogliere i visi accigliati con un sorriso...

 

 

 

MARTEDI’ 30 NOVEMBRE 1993

 

“E come potranno credere senza averne sentito parlare?”. (Rm. 10,14)

Il papa e i vescovi, ultimamente, sempre più parlano della necessità di una nuova evangelizzazione. infatti, anche in Italia, se pur ancora la quasi totalità chiede il battesimo per i propri figli, la fede spesso naufraga in tradizioni, in abitudini, in ignoranza. S. Andrea, che ricordiamo oggi, appena incontrato Gesù corre a dirlo a suo fratello Pietro: “Abbiamo incontrato il Messia”. Se avessimo veramente fede dovremmo dirlo agli altri con parole ed opere. Oh, non è il caso di indire crociate, di forzare alla fede, di imporre modi di vita, di innalzare pulpiti nelle piazze, o di far vedere la nostra forza con adunate oceaniche, ma è il caso di non tacere, di lasciare, se per noi è veramente così, che la gioia ricevuta dal Cristo diventi contagioso annuncio e testimonianza vera.

     
     
 

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