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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

OTTOBRE 1993

 

 

VENERDI’ 1 OTTOBRE 1993

 

“Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi, disprezza me. E chi disprezza me, disprezza Colui che mi ha mandato”. (Lc. 10,16)

Tutto il paese lo sapeva: a quel prete piaceva il vino. Sarà stato a causa delle ristrettezze in cui era vissuto, del suo caratteraccio da orso, delle sue debolezze umane, ma quando riusciva ad avere una buona bottiglia, o quando qualcuno per simpatia o per potergli ridere alle spalle, lo invitava ad assaggiare qualche bicchiere “dell’ultimo”, partiva subito. E la mattina dopo, a messa, lo si vedeva con gli occhi marcati, la voce impastata, il volto contrito mentre celebrava misteri più grandi di lui e mentre arrancava, farfugliava, cercando nel povero bagaglio delle sue parole e della sua teologia ormai vecchia, di dire qualche parola per annunciare una Parola di cui si sentiva estremamente indegno. Eppure ricordo con affetto e riconoscenza quel prete. Forse da lui non ho imparato molto di esegesi, ma la sua à stata per me la testimonianza di quanto siamo piccoli e indegni, ma di quanto amati, e quando andavo a ricevere Gesù da quelle sue mani grandi, tremolanti pensavo a quel Dio che non avevo paura di affidarsi alle mani di un “prete del vino” e che non si vergognava di farsi mangiare da un peccatore come me.

 

 

 

SABATO 2 OTTOBRE 1993

 

“Ecco io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato”. (Es. 18,20)

Questo brano l’ho preso da “Scritto sulla Neve” di don Carlo Chiavazza dove racconta la sua esperienza con coloro che nell’Armir ritornarono dalla Russia.

“La notte del 27 gennaio 1943, le ore di sosta le passai in buona parte assieme a don Gnocchi in un’isba calda e affollata. Dormimmo poco perché avevamo tante cose da dirci, o almeno chi aveva tanto da dire era lui, don Carlo, il dolce cappellano dalla vita ascetica meravigliosa... Poi ci addormentammo... Don Carlo, ad un certo punto, mi svegliò con tocchi leggeri sulla spalla: “Mi senti?”. “Si, sì”, risposi. “La notte sta per finire, sono le quattro” “Non hai dormito?”. “Certo, ma senti, vuoi fare la comunione?”. “Cosa dici?”. “Dico la comunione!”. Mi sveglio di colpo, il buio dell’isba s’era diradato: allungati per terra, sui letti, accosciati, distesi, abbandonati, ufficiali e soldati supini erano immersi in un sonno profondo, animale, ristoratore. “Ma tu”, dissi, “hai con te il Santissimo?”. “L’ho sempre portato con me. Me ne rimane solo un piccolo frammento, ma per due basta. Oggi finalmente saremo fuori pericolo”. Don Carlo parlava gustando la gioia di partecipare a un confratello il suo segreto dei giorni tremendi di morte e di eroismo. Portava il Cristo con sé, nella teca d’oro, sul petto, come un’arma, come un trofeo, come l’oggetto più prezioso del mondo. “Allora”, dissi, “nostro Signore è sempre stato con noi, ha camminato con gli alpini”. “Non ti pare bello? Il calvario degli alpini è stato anche il suo calvario. Accoglieva i caduti, confortava i combattenti. Era la mia forza. Le ultime parole si perdono nel tremolio commosso della voce. Poi ci raccogliemmo pochi istanti e assieme recitammo qualche preghiera. il frammento di ostia, deposto sulle nostre lingue martoriate dalla sete e dalla neve (che sapeva di vetro), era talmente piccolo che appena lo si sentiva, ma era il corpo dei sofferenti e degli eroi, dei buoni e dei cattivi, dei vivi e dei morti che sfolgorava nelle nostre anime con improvvisa luce. Nell’isba dall’aria pesante e puzzolente, ai nostri corpi in preda ai pidocchi e con gli abiti a brandelli, al nostro cuore paurosamente provato, il Redentore portava l’augurio vecchio e nuovo, la realtà più sconvolgente: lo vi ho amati e resterà con voi, sempre! “.

 

 

DOMENICA 3 OTTOBRE 1993

 

“La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo”. (Mt. 21,42)

Abramo, un uomo vecchio e senza figli e diventato capostipite di un popolo numeroso come la sabbia del mare e le stelle del cielo. Un gruppo di schiavi degli egiziani è diventato il Popolo di Dio. Una ragazza come tante, Maria, è diventata la Madre di Dio. Dodici tra pescatori e povera gente sono diventati la Chiesa. Ma soprattutto l’uomo-Dio, Gesù, scartato, ucciso su una croce fuori dalle mura di Gerusalemme, è l’unica roccia della salvezza. E’ il metodo di Dio: quelli che sono i resti, gli scarti degli uomini sono per Lui materia prima. Questo metodo continua anche oggi: i primi sono i poveri, quelli che non contano ma che contano solo su Dio che “ha guardato all’umiltà della sua serva ed ha fatto cose grandi in me

 

 

 

LUNEDI’ 4 OTTOBRE 1993

 

“Per me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo”.  (Gal. 6,14)
Francesco amava intensamente Dio e le creature ma era toccato nel cuore dal mistero della Passione e Morte del Salvatore. Ecco come pregò una intera notte prima di ricevere le stigmate: “Signore Gesù Cristo, due grazie ti chiedo che tu mi faccia prima che io muoia: la prima è che, in vita mia, io senta nell’anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che Tu dolce Gesù sostenesti nell’ora della tua acerbissima passione; la seconda è che io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quell’eccessivo amore del quale Tu, Figlio di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori”. Oggi, facendo bene il segno della croce, lasciamoci abbracciare da questo amore che ci salva.

 

 

MARTEDI’ 5 OTTOBRE 1993

 

“Maria, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi”. (Lc. 10,39—40)

Sedersi per ascoltare, mentre ci sono tante cose da fare può sembrare una scelta facile, e in tanti casi lo è. Ma ascoltare sul serio è proprio così facile? Qualche esempio: una delle cause primarie delle separazioni familiari è dovuta al fatto: “Non avevamo tempo per noi; il lavoro, gli impegni hanno fatto di noi due degli estranei... non ci si capiva più...”. Tra genitori e figli si parla spesso di incomunicabilità ma c’è stato tempo, da entrambi le parti per ascoltarsi, capirsi o era più importante correre a divertirsi o lasciarsi assorbire dal lavoro? Gesù non rimprovera Marta per la sua ospitalità attenta e premurosa ma ci richiama sulla scelta della “parte migliore” che è tutt’altro che una scelta comoda ma che ti impegna nell’ascolto, nell’accoglienza per spingerti ad un servizio migliore e motivato.

 

 

 

MERCOLEDI’ 6 OTTOBRE 1993

 

“Signore, insegnaci a pregare”. (Lc. 11,1)

Uno degli appunti che dopo tanti anni faccio ai miei educatori e professori e quello di avermi insegnato un mucchio di cose ma di non avermi insegnato a studiare. Anche nella fede, in certi catechismi, noi impariamo tante nozioni teologiche esegetiche ma incontriamo veramente Gesti? Nella preghiera contano di più le formule o conta incontrare Colui che preghiamo? Gesù non risponderà alla richiesta degli Apostoli schierandosi con una delle tante scuole di preghiera rabbiniche del suo tempo, ma ci metterà davanti il Padre con cui incontrarci. Se prima di cominciare magari lunghe e astruse preghiere o cantilene a volte snervanti ci fermassimo a pensare alla persona con cui parliamo, ci lasciassimo abbracciare dalla sua presenza, ci mettessimo in ascolto della sua volontà, quanto ci guadagnerebbe la nostra preghiera

 

 

 

GIOVEDI’ 7 OTTOBRE 1993

 

“Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori, non siede in compagnia degli stolti”. (Sal. 1,1)

Osservando un fiume in piena è facile capirne la forza travolgente: anche quel pontile cosi stabile, anche quel greto fatto di massi cede. E come è facile, quando sei in mezzo ad una folla esaltata, diventare massa unica, e come è difficile venirne fuori. “E’ bello venire in chiesa la domenica, provare pace, sentire il desiderio di vivere come Gesù ci indica, ma poi nella vita degli affari, della fabbrica, se vuoi salvarti non puoi essere diverso dagli altri; da solo non ne vieni fuori. Il giusto del Salmo 1 è innanzitutto uno che non perde tempo: le chiacchiere varie, anche quelle religiose sono già negative: la lingua, come dirà S. Giacomo, è quel cavallo pazzo che va imbrigliato. Ed è uno che non vende il proprio cervello a chi grida più forte, a chi fa la moda, alla mentalità comune. E se da solo sa di non farcela, sa pure che Dio è più forte di ogni male.

 

 

VENERDI’ 8 OTTOBRE 1993

 

“Quando lo spirito immondo esce dall’uomo, si aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito”. (Lc. 11,24)

“Padre, credevo di aver superato definitivamente quella tentazione, ne avevo trovato le motivazioni, erano passati bene diversi mesi e poi eccola di nuovo, prepotente, spuntare.. E’ una esperienza che in un modo o in un altro abbiamo fatto tutti. Il male non si arrenda, il diavolo pur sapendo di essere sconfitto ci prova ancora e sempre. Non bisogna spaventarsi; sapendo che le nostre forze sono deboli bisogna umilmente e con costanza chiedere aiuto a chi è più forte di noi. La tentazione più forte non è tanto quella che ci spinge a singoli peccati, è quella di perdere la fiducia che Dio, nonostante noi, possa farci vincere la battaglia definitiva.

 

 

 

SABATO 9 OTTOBRE 1993

 

“Beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano”. (Lc. 11,28)

Di beatitudini c'é ne sono molte sparse un po’ in tutto il Vangelo. Quella che meditiamo oggi ha come sfondo lo stesso delle altre. E’ felice chi si affida totalmente a Dio e non a se stesso. Sono tante le voci che quotidianamente sentiamo contrarie al Vangelo. Voci che ci invitano a costruirci secondo le logiche dell’egoismo, del denaro, del successo. Sono spesso voci lusinghiere che ci promettono felicità facili, immediate; la Parola di Dio invece è scarna, a volte scorticante, controcorrente, non ci dice che tutto ci andrà bene, ma ci dà la certezza di camminare con Qualcuno che è fedele sempre, che ha pagato per noi, che non ci lascia mai. Chiaramente è una parola che ci coinvolge, non ci lascia tranquilli, ci porta ad operare. E’ una parola che chiede di incarnarsi nella vita e nel nostro agire. E’ una parola che se ci trova ascoltatori e disponibili può cambiarci al punto di renderci “beati” anche in mezzo alle sofferenze.

 

 

 

DOMENICA 10 OTTOBRE 1993

 

“Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire”. (Mt. 22,3)

Questa parabola sembra un assurdo. Il re non chiede di pagare tasse, di andare a lavorare, chiede di partecipare gratuitamente, anche a mani vuote, ad una festa di nozze ma gli invitati accampano scuse, non vogliono andarci. Assurdo!? Ma non è ancora così? Dio ci dà la sua Parola ma noi abbiamo le parole dei politici, dei sociologi, delle mode, della TV e per la Parola di Dio non c’è spazio. Gesù offre se stesso nell’Eucarestia, si fa parte per la nostra fame, ci fa festa convocandoci al banchetto domenicale e noi decliniamo l’invito perché siamo stanchi, abbiamo il weekend, dobbiamo andare “fuori porta”. Gesù è persino pronto a perdonare i. nostri peccati gratuitamente e noi preferiamo andare a pagare uno psicologo, a raccontargli i nostri sensi di colpa, per far “emergere l’ego”. Penso alla delusione di Dio: “Ti ho preparato una festa e tu non hai voluto gioire”.

 

 

 

LUNEDI’ 11 OTTOBRE 1993

 

“Non sarà dato nessun segno a questa generazione, fuorché il segno di Giona”. (Lc. 11,29)

Non ci sono per noi altri segni fuorché il segno di Gesù, poiché Dio ha scelto di non costringere l’uomo, ma di guadagnarne l’amore morendo per lui. Il vero credente, pur non misconoscendo il ruolo del miracolo, non richiede altri segni esteriori, poiché scopre nella stessa persona di Cristo, uomo - Dio, la presenza discreta e l’intervento di Dio. Eppure noi uomini siamo spesso a caccia di segni straordinari. Migliaia di persone accorrevano da Padre Pio per ottenere grazie, per vedere miracoli. Ma Padre Pio voleva soprattutto condurre alla fede. Una volta ad un uomo che gli chiedeva con troppa insistenza una grazia, rispose brusco: Non io, non io, satanasso, faccio miracoli. E’ Quello lassù. lo non sono che un maccarone senza sugo.

 

 

 

MARTEDI’ 12 OTTOBRE 1993

 

“I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento”. (Sal. 18,2)

Scrive J. Loew: “Raccogliendo un fiocco di neve, vedendo la sua perfezione, la sua bellezza, la differenza con tutti gli altri, ho avuto (oh, non è un ragionamento!) ho avuto come un’intuizione che c’era qualcuno dietro il più piccolo fiocco di neve! C’era tanta bellezza, grandezza e diversità nello stesso tempo per una cosa di così breve durata che bisognava bene che ci fosse un’intelligenza, un pensiero, un Amore anche dietro quel piccolo fiocco di neve che si era fuso appena lo avevo preso in mano.”

 

 

MERCOLEDI’ 13 OTTOBRE 1993

 

“Sei inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso”. (Rm. 2,1)

E’ estremamente facile impancarci a giudici degli altri. Noi sappiamo che cos’è il bene, gli altri non lo fanno mai. Ma se ci pensi bene: tu che cosa stai facendo? Madre Teresa di Calcutta fu apostrofata in pubblico da un contestatore: “Che cos’è la sua carità? Cosa crede di fare in india? Meno di una goccia nell’oceano. Basta con la carità, ci vuole giustizia!”. “E’ vero — rispose pacatamente Madre Teresa — quello che facciamo è nulla. Quando ho cominciato non ho pensato tanto. Mi ero trovata per strada davanti ad un uomo rannicchiato per terra, scheletrito per la fame, con il respiro impercettibile. Non potevo neppure rimuoverlo. Mi sono chiesta, allora, che cosa potevo almeno dirgli, qualche parola che lo consolasse prima di morire. Gli ho preso delicatamente il volto tra le mani e gli ho sussurrato all’orecchio: “Ti voglio bene”. Mi sorrise e morì. Aveva ricevuto un dono inaspettato. Non dimenticherò quel sorriso risuscitato da quelle tre parole.”

 

 

GIOVEDI’ 14 OTTOBRE 1993

 

“Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati e a quelli che volevano entrare lo avete impedito.”

(Lc. 11,52)

Mi chiedo, tante volte, se nello sforzo di parlare di Dio gli faccio un servizio o se questo mio balbettare non sia un chiudere le porte della conoscenza di Lui. Parlavamo con alcuni catechisti sul modo di parlar di Dio ai nostri ragazzi così spesso distratti. Mi hanno proposto questo simpatico brano da un libro di J. Loewej Faizant: “Come far bere un asino che non ha sete? Con le bastonate? Ma l’asino è più testardo delle bastonate! Come dunque farlo bere rispettando la sua libertà? C’è una sola risposta: trovare un altro asino che abbia sete e che berrà a lungo con voluttà, a fianco del suo simile. E non per “dare buon esempio” ma proprio perché ha veramente sete. Un giorno, forse, il suo compagno, tentato, si chiederà se non farebbe bene anche lui a tuffare il suo muso nel secchio d’acqua fresca. Gli uomini assetati di Dio, sono più efficaci di tante asinate raccontate su di Lui”.

 

 

VENERDI’ 15 OTTOBRE 1993

 

“Non c e nulla di nascosto che non sarà svelato”. (Lc. 12,2)

Un giorno, dalle mura della città, verso il tramonto, si videro alla linea dell’orizzonte due persone che si abbracciavano.

Sono un papà e una mamma, pensò una bambina innocente.

Sono due amici che si incontrano dopo molti anni, pensò un uomo solo.

Sono due amanti, pensò un uomo dal cuore torbido.

Sono due mercanti che hanno concluso un buon affare, pensò un uomo avido di denaro.

E’ un padre felice che abbraccia un figlio di ritorno dalla guerra, pensò una donna dall’anima tenera.

E’ una figlia che abbraccia il padre di ritorno da un viaggio, pensò un uomo addolorato per la morte della sua bambina.

Sono due innamorati, pensò una ragazza che sognava l’amore.

Sono due uomini che lottano all’ultimo sangue, pensò un assassino.

Sono due...    Gli occhi dipendono dal “cuore”.

 

 

 

SABATO 16 OTTOBRE 1993

 

“Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli Angeli di Dio”. (Lc. 12,8)

Nella storia della Chiesa abbiamo il grande esempio dei martiri. Essi hanno testimoniato fino al sangue la propria fede e noi ci stupiamo quando siamo presi in giro perché cristiani. Gesù lo ha detto: “lo sono segno di contraddizione”. Noi se vogliamo essere fedeli non possiamo nascondere la nostra fede, non possiamo ridurla solo ad un rapporto tra io e Dio. “Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi”, e allora se non è il caso di andare a cercarsi la persecuzione, è il caso di accettarla e di viverla con Cristo quando è conseguenza di una testimonianza di fede per poter con Cristo, anche noi, fare il passaggio dalla croce alla risurrezione.

 

 

 

DOMENICA 17 OTTOBRE 1993

 

“Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. (Mt. 22,21)   

Ci guida nella riflessione di oggi un brano di S. Agostino:

“Come Cesare cerca la propria immagine su una moneta, così Dio cerca la propria nella tua anima.

Il Salvatore dice: Rendi a Cesare quello che è di Cesare.

Che cosa vuole Cesare da te? La sua immagine.

Che cosa vuole il Signore da te? La sua immagine.

Ma l’immagine di Cesare è scolpita su una moneta mentre l’immagine di Dio è dentro di te.

Se la perdita di una moneta ti rattrista, perché hai perso l’immagine di Cesare,

a maggior ragione non dovrebbe farti piangere l’aver disprezzato l’immagine di Dio che è in te?”.

 

 

LUNEDI’ 18 OTTOBRE 1993

 

“Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato la forza perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio”. (2 Tim. 4,17)

Paolo, in questa sua confessione all’amico Timoteo, sembra guardare con meraviglia alla sua vita. Scopre la propria miseria, ma scopre anche l’opera di Dio in lui: non e certo per propria forza che è riuscito a fare tanti viaggi, ad affrontare tante persecuzioni, a fondare tante comunità... E’ Dio che lo ha accompagnato, guidato, protetto, che ha fatto sì che attraverso la sua persona la grazia arrivasse a tanti cuori. Lui, Paolo, ha fatto una cosa sola: si è affidato, ‘consegnato’ a Dio, e Dio ha operato. Quando ci si fida di Dio, quando si conta poco su noi e tanto su Lui, Dio riesce a fare “cose grandi” nonostante la nostra pochezza. Se la Chiesa, i cristiani si fidassero di più di Dio che delle proprie opere, quanto sarebbe più avanti il Regno di Dio!

 

 

 

MARTEDI’ 19 OTTOBRE 1993

 

“Dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia”. (Rom. 5,20)

S. Paolo scrivendo questa frase pensava certamente al peccato di Adamo, a tutti quelli successivi e alla redenzione operata da Gesù, ma probabilmente pensava anche a se stesso, a come, legato alla legge e al formalismo farisaico era stato peccatore, persecutore dei cristiani. Ma Gesù, proprio dal suo peccato lo aveva salvato. E pensava anche a come la Grazia della salvezza lo aveva trasformato, aveva operato in lui, dandogli forza, rendendolo apostolo delle genti. Se ciascuno di noi pensa alla propria storia non può fare a meno di rimanere meravigliato al vedere come il Signore ci vuol bene, nonostante il nostro peccato, e come opera in noi e attraverso noi, nonostante noi. E se ancora oggi ti riscopri povero e peccatore, non perdere la fiducia, il Dio dell’amore e della misericordia è proprio li che ti viene a cercare per far sovrabbondare in te la sua grazia.

 

 

MERCOLEDI’ 20 OTTOBRE 1993

 

“A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà chiesto molto di più”. (Lc. 12,48)

Noi qualche volta, usando un metodo prettamente umano pensiamo succeda il contrario. “Tu sei prete, sei sempre a contatto con i misteri di Dio, andrai certamente in paradiso!” e pensiamo al Paradiso come alla proiezione di un regno terreno dove ci saranno onori per papi, vescovi, preti, suore e poi forse... anche gli altri. Spero proprio che in paradiso ci siano molti papi, preti e spero che la misericordia e l’amore infinito faccia giungere anche me, ma il compito, il ruolo, non sono in sé garanzia di paradiso. Anzi, sono motivo di maggiore responsabilità. Se ho avuto più di altri la possibilità di conoscere Dio, di pregarlo, di ricevere e vivere i sacramenti, di testimoniano nella carità dovrà rendere conto dell’amministrazione di questi doni. Se il Signore mi ha scelto come mezzo per far giungere la grazia ad altri, guai a me se volontariamente ho interrotto questo passaggio di amore. Dio non ci giudicherà per i gradi della gerarchia terrena, l’unico metro di giudizio sarà quello dell’amore e se tanto sono stato amato mi sarà chiesto quanto amore avrò dato.

 

 

 

GIOVEDI’ 21 OTTOBRE 1993

 

“Il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù”. (Rom. 6,23)

Quando facevamo gli Esercizi Spirituali secondo il metodo di S. Ignazio, le ultime meditazioni erano sempre quelle che riguardavano la vita eterna e il paradiso: era il giorno più bello perché potevi gettare uno sguardo sulla speranza della vita. Proviamo a pensarci: siamo destinati a vivere per sempre. Non siamo dei condannati in attesa del giorno dell’esecuzione che può arrivare presto o tardi, ma che certamente arriverà. Siamo dei viventi destinati alla vita. Il pensiero della meta, della vita eterna non ci distoglie dalle realtà del quotidiano, anzi lo valorizza in pieno, ma soprattutto ci apre alla speranza. Se poi guardo a Gesù, vedo già in Lui la realizzazione della mia vita: risurrezione per sempre.

 

 

VENERDI’ 22 OTTOBRE 1993

 

“Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?”. (Lc. 12,56)

Gesù non solo non ci estrania da quella che è la nostra storia ma ci invita a interpretarla e trasformarla. Il Concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes dice: “E’ dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, cosicché, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto”. Ma anche la nostra storia, i piccoli avvenimenti di oggi sono da leggere con gli occhi di Dio: quell’incontro con quella persona non è forse un richiamo di Dio? Quella sofferenza non può essere un atto di amore; quella coda interminabile allo sportello non può diventare un angolo di preghiera?

 

 

 

SABATO 23 OTTOBRE 1993

 

“Quelli che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo spirito, alle cose dello spirito”. (Rm. 8,5)

Un giorno un professore di filosofia sale in cattedra e, prima di iniziare la lezione, toglie dalla cartella un grande foglio bianco con una piccola macchia di inchiostro nel mezzo. Rivolto agli studenti, domanda: “Che cosa vedete qui?” “Una macchia di inchiostro”, risponde qualcuno. “Bene, - continua il professore — così sono gli uomini: vedono soltanto le macchie, anche le più piccole, e non il grande, stupendo foglio bianco che è la vita!”. Guarda la vita con gli occhi dello Spirito e vedrai ancora le macchie ma sul grande foglio dell’amore.

 

 

 

DOMENICA 24 OTTOBRE 1993

 

“Dal comandamento dell’amore di Dio e del prossimo dipende tutta la legge e i profeti”. (Mt. 22,34-40)

Gesù unisce in un unico comandamento l’amore di Dio e del prossimo e dice che questo è il fondamento della legge di Dio; senza questo a nulla valgono le prescrizioni e le osservanze. Un Padre della Chiesa, Doroteo di Gaza, commentava con questo esempio: “Supponete un cerchio tracciato per terra. Immaginate che questo cerchio sia il mondo; il centro Dio; e i raggi, le diverse vie, i diversi modi di vivere degli uomini. Quando i santi, desiderosi di avvicinarsi a Dio, camminano verso il centro del cerchio, si avvicinano nello stesso tempo gli uni agli altri, e più si avvicinano gli uni agli altri, più si avvicinano a Dio... cosi è l’amore”. Fu chiesto un giorno ad un saggio orientale in qual modo si può distinguere il momento in cui finisce la notte ed inizia il giorno. “Quando — rispose guardando il volto di un uomo qualunque, tu vedi che è tuo fratello, perché se non riesci a fare questo, qualunque sia l’ora del giorno, è sempre notte.

 

 

LUNEDI’ 25 OTTOBRE 1993

 

“Il capo della Sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, disse: Ci sono sei giorni della settimana in cui si deve lavorare; in quelli venite a farvi curare e non in giorno di sabato”. (Lc. 13,14)

Questo capo della sinagoga è preoccupato soprattutto dell’osservanza del sabato, della legge, del far bella figura e perciò brontola e non riesce a vedere né la gioia dei malati guariti né tantomeno la presenza di Gesù. Solo gli occhi che sanno vedere il bene fanno gioire il cuore. Ecco come un autore Joseph Follet con umorismo definisce beati quelli che hanno una “vista limpida”.

“Beati quelli che sanno distinguere una montagna dal monticello di una talpa, saranno risparmiate loro molte preoccupazioni.

Beati quelli che sanno tacere e ascoltare, impareranno molte cose nuove.

Beati quelli che sono abbastanza intelligenti da non prendersi sul serio, saranno stimati dai loro amici.

Beati voi se sapete apprezzare un sorriso e dimenticare uno sberleffo, la vostra strada sarà piena di sole.

Beati quelli che pensano prima di agire e ridono prima di pensare, eviteranno di compiere molte sciocchezze.”

 

 

MARTEDI’ 26 OTTOBRE 1993

 

“Nella speranza siamo salvati”. (Rm. 8,23)

Era alto solo un metro e cinquantatrè centimetri ma erano tutti di superbia e alterigia. Questo era lgnazio di Loyola, ultimogenito di una nobile famiglia basca. Era un giovane capriccioso, selvaggio, desideroso di gloria e di potere, vanitoso, prepotente, passionale, donnaiolo, giocatore, facile all’ira, tant’è vero che per niente, per qualche rissa d’osteria dava mano alla spada. Un soggetto che è meglio non incontrare. Che lui sia diventato santo è dunque un dato interessante: vuoi dire che c’è speranza per tutti, perfino per me!

 

 

MERCOLEDI’ 27 OTTOBRE 1993

 

“Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare”. (Rom. 8,26)

C’è una grande differenza tra il discorso forbito di un avvocato e il balbettio di un bambino piccolo. Ma una mamma capisce i “gne — gne” del suo bimbo, e li capisce perché ama. L’amore è il migliore interprete. Dio ci ama ed il suo amore è così forte che è persona: lo Spirito Santo. E’ Lui che dà senso al povero linguaggio della nostra preghiera. Non importano allora le grandi preghiere piene di parole altisonanti o i balbettii, o i silenzi. Quando Gesù dice: “Il vostro parlare sia: sì, sì; no, no il di più proviene dal male”, parlava anche della preghiera.

 

 

 

GIOVEDI’ 28 OTTOBRE 1993

 

“Fratelli, voi non siete più stranieri, né ospiti, ma siete concittadini dei santi e famigliari di Dio”. (Ef. 2,19)

Grazie a Gesù non siamo più esseri che vagolano per un mondo ostile e per una durata breve di tempo: abbiamo la dignità di figli di Dio. Questo breve racconto di Renzo Pezzani può farci riflettere su ciò che siamo:

Quando un mendicante si accorse che tutti gli uomini e le cose avevano un nome ed egli no, capì di essere infelice e provò a darsene uno. Ma nessun nome gli stava bene. Un giorno, chinatosi a bere ad un torrente, dall’altra sponda qualcuno lo chiamò: “Fratello, hai del pane?” Egli buttò il pane di là dell’acqua, poi camminando ripeté tra sé quel nome: fratello! Quando vennero le stelle e i lumi brillarono alle finestre delle case, il mendicante bussò ad una porta: “Chi sei?” gli fu chiesto. Rispose: “Il fratello”. E la porta gli fu aperta. Aveva finalmente trovato il proprio nome.

 

 

VENERDI’ 29 OTTOBRE 1993

 

“Chi di voi, se un asino o un bue, gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori in giorno di sabato?”. (Lc. 14,5)

Gesù non ha paura di scandalizzare, di gettare un sasso sulla superficie di supponenza e di certezze dei farisei. Il Vangelo non è per la tranquillità, non è per la legge codificata in norme, è sempre un qualcosa che sconvolge, che non ti lascia addormentare. Chiediamoci: quando leggo o ascolto il Vangelo sento un certo senso di disagio, di difficoltà di comprensione, di desiderio di cambiamento? E nel testimoniare il Vangelo ho il coraggio di superare le norme per lasciare che l’amore di Cristo si faccia veramente tutto a tutti?

 

 

 

SABATO 30 OTTOBRE 1993

 

“Gesù vedendo come gli invitati sceglievano i primi posti disse loro una parabola”. (Lc. 14,7)

Quello che Gesù ha notato è uno spettacolo quotidiano: intrighi, congiure, ricatti e raccomandazioni, bustarelle e tangenti si collocano in questa linea di aspirazioni. Come i commensali osservati da Gesù, spesso anche noi pensiamo che è il posto che fa l’uomo. Gesù con la parabola che racconta ci invita “a farci furbi”. Il posto che vogliamo conquistare è la salvezza, l’eternità e lì non si arriva attraverso gli onori; Dio non lo si compra con bustarelle o buone azioni ma attraverso l’amore che sa essere umile, che sa lasciar posto agli altri, che va controcorrente.

 

 

DOMENICA 31 OTTOBRE 1993

 

“Non fatevi chiamare “Rabbi”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli”. (Mt. 21,8)

Non solo tra i farisei e gli scribi del tempo di Gesù, la religione era usata per ottenere potenza e onori; anche oggi, in alcuni casi, la fede e la religiosità dimenticano il compito del servizio per diventare “gradi di potere”. Eppure sappiamo tutti benissimo che non basta farsi chiamare “sua santità”, “sua eccellenza”, “teologo”, “parroco”, “cavaliere della croce”, “catechista”, “animatore”... per comprarsi i favori di Dio. I nomi, le targhette sulle scrivanie, i baci degli anelli non servono al Regno di Dio. Gesù è il Re dell’Universo appeso alla croce, è il Signore che lava i piedi ai suoi discepoli, è il Maestro che non impone ma che invita, è Colui che non sfonda le porte ma “sta alla porta e bussa” e attende pazientemente che gli si apra per entrare e far festa con noi.

     
     
 

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