UNA PAROLA AL GIORNO
RIFLESSIONI
QUOTIDIANE SULLA
PAROLA
DI DIO
a
cura di don Franco LOCCI
GIUGNO
1993
MARTEDI’
1 GIUGNO 1993
“Rendete
a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. (Mc. 12,17)
Il
brano di Vangelo di oggi parte da una realtà difficile allora come oggi:
MERCOLEDI’
2 GIUGNO 1993
“Quando
risusciteranno dai morti, infatti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno
come angeli nei cieli”. (Mc. 12,25)
Questa
frase di Gesù spesso ci ha lasciato perplessi: Gesù voleva dire che nel
“paradiso” non ci saranno più rapporti affettivi, che non conosceremo più
i nostri cari? Certamente Gesù non voleva dire questo. Nella risurrezione ogni
bene sarà portato a compimento, affetti compresi, ma in un modo nuovo, non più
legati ai bisogni terreni, non più sottomessi alle bramosie vicendevoli ma
nella pienezza di Dio, del suo amore. Riconosceremo e
vivremo con i nostri cari, i nostri affetti saranno pieni ma in Dio. “Posso
sperare di rivedere mio marito?” — mi chiedeva una vedova. “Certo, lo
rivedrai nella risurrezione e puoi rivederlo con gli occhi della fede, già
oggi, ogni volta che incontri Dio in cui sono tutti, vivi e defunti”.
GIOVEDI’
3 GIUGNO 1993
“Non
sei lontano dal Regno di Dio”. (Mc. 12,34)
C’è
gente che vuoi sempre essere sicura. I Farisei erano Sicuri di essere degli
ottimi religiosi e invece erano in maggioranza degli ottimi ipocriti. Anche oggi
senti spesso parlare dei cristiani che si sentono Sicuri della loro fede, della
loro morale precisa al millimetro, che hanno una risposta pronta e netta ad ogni
interrogativo che con baldanza sdottoreggiano su ogni argomento teologico.
Sinceramente, io vorrei sentirmi dire dai Signore: “Non sei lontano dal Regno
di Dio”. Sono ben conscio di non aver capito “tutto” di Dio, so di non
vivere una morale perfetta, so che il mio metro di giudizio non è preciso e che
Spesso comporta misure che sanno della mia povertà, so di vivere in mezzo a
misteri divini e umani che vanno ben al di là delle mie capacità umane... Ma
nella fede, a stento, so di voler bene a Dio. Mi hanno sempre fatto pensare
molto le parole di quel grande apostolo, Paolo, che quasi al termine della sua
vita dice: “Ho corso la mia corsa, ho combattuto la mia battaglia: ho
conservato la fede”. Spero che anche a me succeda così, di arrivare alla
fine, ammaccato, dubbioso, con tante sconfitte e qualche vittoria ma senza aver
perso il dono prezioso della fede.
VENERDI’
4 GIUGNO 1993
“Egli
è fedele per sempre”. (Sal. 145,6)
E’
una frase, questa del salmo, che mi riempie di speranza e di consolazione. Se
guardo a me stesso, mi trovo come uno che promette molto: prometto a me stesso
di stare calmo, prometto di interessarmi agli altri, prometto fedeltà alla
legge di Dio, e da una confessione all’altra mi trovo sempre allo stesso
punto. Una signora sempre allegra, quando viene a confessarsi, prima ancora di
sedersi mi dice: “Don Franco, faccia un po’ lei, intanto lo sa già, i
peccati sono sempre i soliti”. Noi siamo infedeli alle nostre promesse, Dio
invece è sempre fedele. La Bibbia ci racconta la sua fedeltà all’uomo. Gesù
è la fedeltà stessa di Dio che si è incarnata. Anche se noi Siamo infedeli,
Lui è fedele sempre, il suo amore per noi dura per sempre, la sua misericordia
è sempre pronta: “Anche se i tuoi peccati fossero rossi come lo scarlatto,
diventeranno bianchi come la neve”.
SABATO
5 GIUGNO 1993
“Tutti
hanno dato del loro superfluo, questa vedova invece, nella sua povertà, vi ha
messo tutto quanto aveva per vivere”. (Mc. 12,44)
I
giornali e i mezzi di comunicazione sono sempre più pieni di fattacci, di
egoismi, di tangenti prese, ma ci sono, grazie al cielo, anche tante notizie
buone, che non fanno rumore, ma che sono la spina dorsale di questa umanità; ad
esempio conosco una vecchietta sola che ha la minima di pensione ma che prende
ancora del lavoro da sarta e che tolte le spese dell’affitto e del poco vitto
(“a me basta poco!”) manda tutto il resto ad un lebbrosario. Conosco delle
persone che pur avendo problemi di famiglia, riescono a ritagliare ore del loro
tempo per dare una mano in parrocchia, per andare dai malati al Cottolengo, per
impegnarsi ogni giorno a fare la spesa alla vicina anziana che non può uscire
di casa. Meno male che la “vedova del Vangelo” è ancora in mezzo a noi, che
c’è ancora tanta gente che per amore, gratuitamente sa prendere non dal
superfluo ma dal necessario.
DOMENICA
6 GIUGNO 1993
“Dio
ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede
in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna”. (Gv. 3,16)
Gesù
non è un “optional” per la nostra salvezza. E’ la “Via” per arrivare
alla vita eterna. E’ vero che Dio ci ama talmente che per giungere a noi può
scegliere mille strade diverse ma la strada di Gesù è la sua e la nostra
strada. Ecco perché il compito missionario dei cristiani è annunciare Gesù.
Non si è missionari per poter iscrivere qualcuno in più nei registri della
religione cattolica, si è missionari perché vogliamo che sempre più persone
conoscano il mistero dell’amore di Dio che ci cerca e ci salva attraverso suo
Figlio Gesù Cristo. Sovente, quando predico, quando scrivo, quando cerco di
testimoniare la fede, mi chiedo: “Lo fai perché ti dicano: bravo!, lo fai
perché vuoi riempire la Chiesa o lo fai perché ami Gesù che ti ha salvato e
vuoi che altri provino in Lui la stessa gioia di salvezza che tu stai
vivendo?”.
LUNEDI’
7 GIUGNO 1993
“Beati
i poveri...”. (Mt. 5,1 ss.)
Ma
che razza di comunità, quella che raduna Cristo. Mancano gli intellettuali, i
potenti, mancano i titoli accademici e quelli nobiliari. Scarseggiano i
Personaggi ragguardevoli, che occupano i posti di comando o che hanno conquistato
Posizioni sociali di grande prestigio: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è
stolto per confondere i sapienti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per
confondere i forti”, ricorderà S. Paolo. Chissà se viene ancora in mente a
qualcuno che, quando Cristo proclama “Beati i poveri in spirito” intende
dire proprio ciò che tutti abbiamo paura di capire...?
MARTEDI’
8 GIUGNO 1993
“Voi
siete il sale della terra”. (Mt. 5,13)
Per
ottenere un buon sapore bisogna dosare bene il sale: né scarso, ma nemmeno
troppo. Se manca il sale, un piatto risulta senza sapore. Ma l’eccesso di sale
può rendere una vivanda disgustosa, immangiabile. C’è uno stile cristiano
insulso, rinunciatario, timido, tremebondo. Ma c’è anche uno stile cristiano
invadente, urtante, indisponente, aggressivo, borioso, fracassone. Gesù ci
invita ad essere sale, cioè gusto della vita, un gusto discreto, non impudente.
La testimonianza, la visibilità dei cristiani deve essere sincera, profonda ma
non va confusa con l’esibizione, lo spettacolo o peggio ancora con
l’impossessamento;
MERCOLEDI’
9 GIUGNO 1993
“Non
pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per
abolire, ma per dare compimento”. (Mt. 5,17)
Quando
in chiesa noi leggiamo la Bibbia, al termine di ogni brano ci ricordiamo che è
“Parola di Dio”. Gesù è il “Verbo” cioè la Parola incarnata, quindi
Gesù non è in contrapposizione con Dio, con i suoi progetti, anzi è il
compimento, Il senso attraverso cui leggere e vivere tutta la Bibbia. Quindi Gesù
non viene ad abolire la Legge di Dio ma supera le dottrine umane che hanno
codificato la Legge di Dio. Mi chiedo: “E questo non vale anche oggi per le
leggi delle varie confessioni religiose?”. Quando ad esempio sento qualcuno
che vieta una trasfusione di sangue invocando la Bibbia come motivazione, non e
forse tradire la stessa Bibbia e Gesù Cristo? Quando si è più ligi
all’osservanza del non mangiar carne al venerdì che al precetto della carità
e della condivisione non si travisa in pieno il pensiero di Gesù?
GIOVEDI’
10 GIUGNO 1993
“Noi
non predichiamo noi stessi, ma Gesù Cristo Signore”. (2Cor. 4,5)
Già
all’epoca di Paolo c’erano le “chiesuole”. Attorno a un predicatore si
riuniva un gruppo di seguaci che pensavano di essere i migliori, i detentori
della verità, e per prima cosa pensavano di dimostrarlo non tanto con opere di
amore quanto combattendo i cristiani della chiesuola vicina. La stessa cosa in
proporzioni maggiori l’abbiamo vista e la vediamo nella storia dove cristiani
si sono combattuti tra loro per motivi di religione. E qualche volta, anche tra
noi, purtroppo preti per primi, litighiamo perché non sei della mia
parrocchia” o perché “nel mio gruppo si prega meglio che nel tuo”. Paolo
dice chiaro: il cristiano predica e testimonia Gesù Cristo Signore e basta!
Papa Giovanni diceva: “Cerchiamo ciò che ci unisce piuttosto che ciò che ci
divide” e i cristiani, direi tutti gli uomini, hanno in Cristo il centro
dell’unità. E’ vero che possono esserci tanti modi diversi per accostarsi a
Gesù ma non fermiamoci alle etichette, alle “chiesuole”, cerchiamo Cristo e
gioiamo per ogni uomo che in Lui scopre il Salvatore.
VENERDI’
11 GIUGNO 1993
“Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone”.
(Mt. 10,9)
Sovente
capitano in parrocchia i “piazzisti del religioso”: “Reverendo, con i
nostri programmi computerizzati lei potrà avere in tempo reale la situazione
religiosa della parrocchia”, “Abbiamo, con modica spesa, delle candele ad
olio, che non sporcano, che basta caricarle e durano fino ad un mese”, “Si
figuri che la nostra ditta di indumenti religiosi ha casule firmate. Noi
partecipiamo ogni anno al salone del religioso di Verona”. Quanto siamo
lontani dal discorso missionario di Gesù che meditiamo oggi. Tutte cose utili
quelle propagandate, ma utili per mantenere le strutture della Chiesa. Sono
altrettanto utili e danno testimonianza viva di fede nell’annuncio di Cristo
Salvatore? Mi viene in mente quel fatto raccontato negli Atti degli Apostoli
dove S. Pietro, trovandosi davanti al Tempio uno storpio che chiedeva
l’elemosina gli disse: “Non posso darti né oro né argento ma una cosa
posso darti: Nel nome di Gesù Cristo, alzati e cammina”.
SABATO
12 GIUGNO 1993
“Fratelli,
l’amore di Cristo ci spinge”. (2Cor. 5,14)
Questa
frase di S. Paolo fu quella che Giuseppe Benedetto Cottolengo prese come motivo
di tutta la sua opera: perché dedicare tutta una vita agli altri, ai poveri, ai
malati? Perché l’amore di Gesù ci è di sprone, di modello, perché
nell’amore concreto si scopre la presenza di Cristo. Ancora oggi, opere
grandiose (pensate a Madre Teresa di Calcutta, alle suore del sorriso, a don
Ciotti e al gruppo Abele, a Ernesto Olivero e al Sermig...) e opere
apparentemente piccole come tante forme di volontariato nascono proprio sulla
spinta di questo amore per Cristo. Ma per amare come Gesù bisogna prima di
tutto lasciarsi amare da Gesù, comprendere il suo amore che lo ha spinto fino a
salire su una croce per noi.
DOMENICA
13 GIUGNO 1993
“Chi
mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”. (Gv. 6,56)
Oggi
festa del Corpo di Cristo è bene confessarci tutti peccatori. L’Eucarestia
non è un premio per i buoni. Nessuno di noi “merita” l’Eucarestia.
Occorre possedere una buona dose di presunzione per dichiarare che facciamo la
Comunione perché ci sentiamo a posto, abbiamo compiuto il nostro dovere, ci
siamo comportati in maniera irreprensibile. Al contrario: tendere le mani verso
quel pane significa riconoscersi deboli, malati, incapaci, bisognosi. Accostarsi
al banchetto eucaristico equivale ad andare a ricevere l’abbraccio della
misericordia del Signore, significa affidarsi a Lui, decidere con Lui la propria
conversione; condividere il suo pane significa imparare da Lui a spezzare il
nostro. Il vero devoto dell’Eucarestia, allora, è un graziato che è
diventato un patito di fraternità, uno che è capace di perdono, di tolleranza.
Un devoto dell’Eucarestia è, insomma, uno che si conosce non tanto dalle mani
giunte, ma dalle maniche rimboccate.
LUNEDI’
14 GIUGNO 1993
“Ecco
ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza”. (2Cor. 6,2)
Un
bel libro scritto da una vecchia suora benedettina narra la vita di S. Placido,
uno dei primi compagni di S. Benedetto, la figura della semplicità. Questa
suora, un’anima bella, dotata di molto ingegno e di capacità d’arte, ne ha
fatto un pretesto per esporre la spiritualità benedettina e lo ha fatto in modo
originalissimo: a ogni pagina una figura e una didascalia. Incomincia
presentando il piccolo Placido in famiglia. Papà e mamma sono molto preoccupati
di lui perché cresce bene, è vivace, ma non sa parlare; sa dire una parola
sola: “Sì”. Dice allora il padre: “Portiamolo da S. Benedetto e vediamo
se egli ne sa cavar fuori qualche cosa”. E vanno, ma veramente un po’
timorosi, perché pensano che egli avrebbe richiesto un titolo di studio. Glielo
presentano: “Questo è il nostro Placido; sa dire solo “si”. San Benedetto
si rischiara nel volto, fa un bel Sorriso e risponde: “Questo è fatto proprio
per noi; ce n’è d’avanzo!”; perché la vita cristiana consiste nel dire
sempre di sì al Signore e nel dirlo proprio ora
MARTEDI’
15 GIUGNO 1993
“Il
Signore Gesù, da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi
diventaste ricchi per mezzo della sua povertà”. (2Cor. 8,9)
Il
racconto che segue a prima vista sembra non aver alcun rapporto con questa frase
di Paolo che meditiamo oggi. Ma, proviamo a pensarci... Un giorno il Gran Re di
Persia bandì un concorso fra tutti gli artisti del suo vasto impero. Una somma
enorme sarebbe andata in premio a chi fosse riuscito a fare il ritratto più
somigliante del Re. Giunse per primo Manday l’indù, con meravigliosi colori
di cui lui solo conosceva il segreto; quindi Aznavor l’armeno, portando una
creta speciale; poi Wokiti l’egiziano, con scalpelli e ceselli mai visti e
bellissimi blocchi di marmo infine, per ultimo, si presento Stratos il greco,
munito soltanto di un sacchetto di polvere. i dignitari di corte si mostrarono
indispettiti per l’esiguità del materiale portato da Stratos il greco. Gli
altri artisti sogghignavano “Che cosa può fare il greco con quel misero
sacchetto di polvere?”. Tutti i partecipanti al concorso furono rinchiusi per
varie settimane nelle sale del palazzo reale. Una sala per ogni artista. Nel
giorno stabilito, il Re cominciò a esaminare le opere degli artisti. Ammirò i
meravigliosi dipinti dell’indù, i modelli in carta colorata dell’armeno e
le statue e all’egiziano. Poi entrò nella sala riservata a Stratos il greco.
Sembrava che non avesse fatto niente: con la sua polvere minuta, si era limitato
a smerigliare, levigare e lucidare la parete di marmo della sala. Quando il Re
entrò poté contemplare la sua immagine perfettamente riflessa. Naturalmente,
Stratos vinse il concorso. Solo uno specchio poteva soddisfare pienamente il Re.
MERCOLEDI’
16 GIUGNO 1993
“Chi
semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con
larghezza raccoglierà”. (2Cor. 9,6)
Quando il contadino semina lo fa al buio ma nella speranza, cioè non sa quale sarà il raccolto ma spera che quei chicchi portino frutto. Ci vorrà il terreno buono, l’acqua, il sole, un mucchio di concause perché le messi possano essere abbondanti. Il contadino che semina poi, non sa neppure se sarà lui a raccogliere o qualcun altro. Gesù ci invita a seminare abbondantemente la Parola, la carità, la testimonianza, il perdono. Ci invita a seminare anche quando umanamente sembra non aver significato, ci invita a seminare senza pretendere di vedere subito risultati (non è tirando i germogli che si fanno crescere le piante!). Certa è soltanto una cosa: se non hai seminato non sperare che cresca qualcosa!
GIOVEDI’
17 GIUGNO 1993
“Padre
nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome”. (Mt. 6,9)
Il
nome per gli Ebrei non è un’astrazione filosofica, ma ciò che riassume ed
esprime l’essere all’esterno: tutto ciò che esiste ha un nome; ciò che non
esiste non ha nome. Presentandosi con un nome Dio si rivela all’uomo con una
sua personalità capace di entrare in comunicazione con lui. li nome di Dio è
sinonimo, quindi di Dio stesso. Santificare il nome di Dio non significa quindi
aggiungere qualcosa a Lui (è già il Santo) ma lasciare che Lui manifesti
pienamente la sua santità su noi e nel mondo. Dio manifesta il suo nome e
chiama per nome l’uomo. in questo noi siamo partecipi della sua santità e
chiamati ad essere santi che si preoccupano con la propria vita della gloria di
Dio. Chissà se chi ci vede si sente invogliato a lodare Dio?
VENERDI’
18 GIUGNO 1993
“Imparate
da me che sono mite e umile di cuore”. (Mt. 11,28)
Gesù
ci rivela la grandezza del suo cuore. Pur non cadendo nel semplice
sentimentalismo, sappiamo ancora lasciarci abbracciare e coinvolgere dalla sua
tenerezza? Rileggendo questa preghiera di G. Aubergan lasciamo che oggi il
nostro cuore la continui.
SABATO
19 GIUGNO 1993
“Non
affannatevi, dunque, per il domani, perché il domani avrà già le sue
inquietudini.
Sempre
più persone soffrono di stress, di depressione, di malattie derivanti da
superlavoro. Sempre più si ‘deve’ far ricorso ad ansiolitici, a psicologi e
psichiatri. Perché? Uno dei motivi fondamentali è proprio il ritmo che questa
società con le sue leggi materialistiche e consumistiche impone. Bisogna
produrre, bisogna correre, non puoi stare indietro se no sei morto. Se le parole
che meditiamo oggi erano vere per il tempo di Gesù, sono ancora più
realistiche per la nostra società. Vigilare è diverso da affannarsi. Avere la
giusta previdenza per il domani non significa dimenticarsi o non credere alla
Provvidenza. Oltretutto è anche una buona indicazione per vivere serenamente:
perché star male oggi per le preoccupazioni di un domani che non sappiamo
neppure se vedremo?
DOMENICA
20 GIUGNO 1993
“Chi
mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre
mio che è nei cieli”. (Mt.
10,32)
Gesù
ci dice chiaramente che la nostra missione di testimoni del Vangelo non è una
passeggiata sugli allori: troveremo la persecuzione. I primi cristiani ci
lasciavano la pelle per il Vangelo; la persecuzione è la tentazione che
troviamo noi spesso è un’altra: ti dai da fare per predicare e testimoniare
il Vangelo e ti trovi davanti all’indifferenza più assoluta e allora arriva
la tentazione di pensare: “Ma, allora, a cosa serve? Lasciamo perdere!”.
Invece è proprio quello il momento di continuare: continuare a seminare, anche
se non sembra mai spuntare non solo un frutto, ma neanche uno stelo. Il
cristiano, uomo di speranza, è colui che si trova ad essere sicuro del raccolto
proprio perché si ritrova abitualmente a mani vuote; quando la nostra parola e
la nostra testimonianza sembrano inutili, è il momento in cui diventano
feconde. Feconde della nostra speranza.
LUNEDI’
21 GIUGNO 1993
“Perché
osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della
trave che hai nel tuo occhio?”. (Mt. 7,4)
E’
molto facile indignarci del male che c’è nel mondo, è facilissimo vedere i
difetti del nostro vicino ed è altrettanto facile, con la scusa che nel mondo
c’è tanto male minimizzare il male che c’è in noi. Capita anche sovente,
nel momento della confessione, di incontrare persone che cominciano dicendo:
“Padre, io non ho peccati... mi aiuti lei perché non so che cosa dirle” e
poi se li lasci parlare un po’ ti senti elencare tutta una serie di peccati
della suocera, dei parenti, dei vicini. Gesù non ci dice di essere ciechi, di
non vedere il bene e il male, ci dice solo di cominciare da noi per avere gli
occhi sgombri. Se cominciamo da noi e scopriamo di avere enormemente bisogno di
misericordia, proprio per il perdono ricevuto avremo anche la capacità di
vedere con misericordia e perdono i difetti degli altri.
MARTEDI’
22 GIUGNO 1993
“Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino a sbranarvi”.
(Mt. 7,6)
Quella
che meditiamo oggi è una frase di difficile traduzione nel Vangelo; la si può
leggere come l’abbiamo scritta nella traduzione ufficiale, oppure la si può
leggere anche in questo modo: “Non appendere catenine preziose al collo dei
cani e non mettere nel naso dei porci delle perle preziose”.
Il
significato più evidente, quindi, sia in un caso che nell’altro è quello di
non voler a tutti i costi, con fanatismo imporre ad altri la propria religiosità.
La religione, la fede sono una proposta, non una imposizione. Tutte le volte che
la Chiesa o certi fanatici vogliono imporre ad altri la propria fede si
ottengono dei disastri. “Ho sempre mandato mio figlio a messa, l’ho mandato
a una scuola cattolica dove lo obbligavano tutti i giorni alla messa e tutti i
sabati alla confessione... ora non ci va più...”. I motivi del rifiuto
possono essere mille ma qualche volta non sarà anche quello di non aver educato
ad una scelta consapevole e libera?
MERCOLEDI’
23 GIUGNO 1993
“Dai
loro frutti li riconoscerete”. (Mt. 7,16)
Un
cinese andò dal padre missionario. Gli disse: — Ho un gran desiderio di
costruire una casa per il vero Dio. Gli rispose il missionario: Il tuo è
un ottimo desiderio: ma i soldi dove li prendiamo? Voglio farla, soggiunse il
vecchietto gentile, a mie spese. Il sacerdote, vedendo da anni quell’uomo
condurre una vita estremamente povera e credendo il suo desiderio frutto di
esaltazione spirituale, per scoraggiarlo, gli fece osservare: — Mio caro, il
villaggio è grande, se si costruisce una chiesa, deve essere molto grande... e
tu da solo non ce la farai mai! Replicò il povero con tutta la gentilezza
orientale: — Chiedo perdono, padre, se insisto; ma io penso d’essere capace
di far costruire una chiesa grande per Dio. — Ma non capisci che
occorrerebbero moltissimi soldi... più di seimila franchi? —
Padre, li ho già pronti tutti questi soldi e se non saranno sufficienti, me ne
guadagnerò altri! Il missionario rimase attonito, quasi incredulo. Chiese: —
Come ti sei procurato tanti soldi? Rispose con un meraviglioso sorriso carico
della lunga fatica della sua vita: — Padre mio, fin da giovane ebbi questo
desiderio, oltre quarant’anni fa. Ho sempre risparmiato sul mio vitto e sul
mio vestito; ho sempre lavorato; non mi sono neppure sposato. Ebbi per tutta la
vita una sola grande voglia: lasciare, prima di morire, nel mio villaggio, una
casa grande per il vero Dio: quello dell’Amore, quello che ha messo la sua
casa nel mio cuore!
GIOVEDI’
24 GIUGNO 1993
“Io
ti renderò luce delle nazioni, perché tu porti la mia salvezza fino
all’estremità della terra”. (Is. 49,6)
Queste
parole di Isaia si applicano pienamente a Gesù, la luce del mondo, ma, in Lui,
si applicano anche a Giovanni Battista di cui oggi celebriamo la natività e ad
ogni apostolo e annunciatore del Vangelo. Quindi ciascuno di noi è missionario
di questa luce. Noi non siamo luce, non abbiamo una luce propria, ma siamo
illuminati da Cristo, la luce di salvezza del Padre per noi uomini. Illuminati
(= salvati), dobbiamo diventare luminosi (= portatori di salvezza). Ma come per
Gesù e per Giovanni Battista troveremo chi vorrà accogliere la luce ma anche
chi vorrà spegnerla (ci sono tante forze maligne e tanti uomini che preferiscono
il buio per le loro opere). Potranno anche spegnere noi (= martirio nel sangue o
non), ma la Luce è più forte delle tenebre (= Dio Amore è più forte di ogni
egoismo e negatività) e la Luce di Cristo giungerà fino ai confini della terra
(= la speranza cristiana, perché fondata in Dio, è certa).
VENERDI’
25 GIUGNO 1993
“Signore,
se vuoi puoi sanarmi”. (Mt. 8,2)
Il
brano di Vangelo di oggi ci presenta la guarigione di questo lebbroso che chiede
a Gesù ed ottiene la guarigione. Matteo ce lo presenta come il rapporto
continuo che Gesù e la sua Chiesa hanno. Noi ci scopriamo continuamente
lebbrosi, cioè degli allontanati incapaci di giungere da soli alla salvezza. Ma
come il lebbroso anche noi abbiamo incontrato Gesù nel cammino della nostra
vita; sappiamo che Lui può fare ciò che noi da soli non possiamo e sappiamo
anche che è sua volontà salvarci. Si tratta di metterci nella disposizione
giusta per poter accogliere questo dono. E la disposizione è quella di chiedere
e aspettarci tutto da Lui. Signore, più gli anni della mia vita passano e più
mi rendo conto delle mie incapacità di amore, di salvarmi, e allora anch’io,
come quel lebbroso, ti dico: “Tu puoi salvarmi, Tu sei venuto nel mondo
apposta per questo: nelle tue mani io mi abbandono perché Tu, nella tua
misericordia, mi liberi dal mio male”.
SABATO
26 GIUGNO 1993
“Signore,
io non sono degno che Tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il
mio servo sarà guarito”. (Mt. 8,8)
Le
parole del centurione di Cafarnao che chiede a Gesti. la guarigione del suo
servo, sono le stesse che noi ripetiamo ogni volta prima di accostarci alla
Comunione. Chi di noi è degno di ricevere in se stesso nell’Eucarestia, il
Corpo di Gesù? Eppure Lui ha scelto questo modo di incarnarsi in noi! Noi non
ne siamo degni, ma abbiamo bisogno di Lui, sappiamo che una sua parola può
tutto, persino trasformare noi in tabernacolo vivente. Mi chiedo però se
l’abitudine a ripetere queste parole e a ricevere sovente il Corpo di Cristo
non abbia diminuito la portata dell’atto dì fede che comportano. Se è bella
la familiarità e semplicità con cui ci accostiamo all’Eucarestia,
ricordiamoci sempre dell’enormità del mistero di cui siamo fatti partecipi.
DOMENICA
27 GIUGNO 1993
“Chi
avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua a uno di questi piccoli, perché è
mio discepolo, in verità vi dico: non perderà la sua ricompensa”. (Mt.
10,42)
Chi
sono i poveri che vediamo? Quelli con una povertà materiale (barboni, aids,
fame, ignoranza, disoccupazione, extracomunitari...), ma anche spirituale
(droga, egoismo, indifferenza, mancanza di valori...). La povertà è sempre un
bisogno da soddisfare, un’assenza da riempire, un vuoto da colmare. La povertà,
o meglio, il povero diventa un’occasione di arricchimento quando lo si
riconosce come “colui che ci permette di essere amore”. Quando il povero ci
chiama è il Signore che ci chiama... E allora non possiamo vivere
senza i poveri. La nostra forza è Cristo che ci aiuta ad aprirci al
mondo degli altri, accettando il prossimo e continuando ad allargare il cerchio
delle nostre relazioni. Vivere concretamente il valore dell’essenzialità, la
semplicità dei valori ed essere coerenti con i nostri ideali. Occorre essere
capaci di mettersi in discussione ogni giorno.
LUNEDI’
28 GIUGNO 1993
“Allora
uno scriba si avvicinò e gli disse: Maestro, io ti seguirò dovunque
andrai”. (Mt. 8,18)
Penso
che ciascuno di noi in un momento di fede o di esaltazione abbia detto a Gesù:
“Ti seguirò ovunque tu vada”. Il Signore certamente apprezza questi gesti
di entusiasmo ma vuole anche dirci con chiarezza che cosa comporta il seguirlo:
certamente trovare in Lui la liberazione, la gioia, ma anche avere la forza di
perdere tutto, di entrare nel mistero di Dio che passa attraverso la croce. Gesù
non ci promette una via larga e spaziosa ma una “strada stretta”, non ci
promette di “sedere alla sua destra o sinistra” come forma di potere, ma ci
invita a salire su una croce a destra o sinistra della sua. Non ci promette tranquillità
ma beatitudine in quanto “sarete perseguitati e disprezzati nel mio nome”.
Bisogna essere consci di questo prima di buttarci alla sua sequela, di modo che
il nostro entusiasmo non svanisca davanti alle difficoltà e non ci troviamo a
“porre mano all’aratro per poi voltarci indietro”.
MARTEDI’
29 GIUGNO 1993
“Ho
combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la
fede”.
La
festa di Pietro e Paolo ci presenta due vocazioni molto diverse tra loro ma che
entrambe manifestano la grandezza dell’amore di Dio che ha una strada
particolare per ciascuno di noi, rispettosa della nostra storia, del nostro
carattere, delle condizioni di vita in cui ci troviamo. Pietro, pescatore, è
trasformato in pescatore di uomini. Paolo, fervente ebreo, è chiamato a
diventare Apostolo delle genti. Pietro, colui che ha rinnegato, è costituito
capo della nuova comunità cristiana. Paolo, il persecutore dei primi cristiani,
diventa colui che genera molti alla fede. Uno è chiamato sulle sponde di un
lago, l’altro sbattuto giù da cavallo. Ad entrambi è dato tutto ma ad
entrambi è chiesta la testimonianza del sangue. Anche per noi ci sono chiamate
diverse, storie diverse, prove diverse. Chiediamo però al Signore che anche
noi, dopo averlo seguito per la strada in cui ci ha chiamato, possiamo giungere
a]. termine della nostra vita con mani piene o vuote con corpo sano o acciaccato
ma avendo conservato la fede.
MERCOLEDI’
30 GIUGNO 1993
“Tutta
la città allora uscì incontro a Gesù e vistolo, lo pregarono che si
allontanasse dal loro territorio”. (Mt. 8,34)
Gesù
ha appena compiuto un miracolo. Ha guarito due indemoniati. La gente accorre da
Lui e noi ci aspetteremo che molti giungano alla fede, o per lo meno, che molti
gioiscano con chi è guarito per il dono della salute ritrovata. Invece vanno da
Gesù per cacciarlo via. Accecati dalla perdita economica del branco di porci in
cui i demoni si erano rifugiati e che era finito in mare, non accolgono la luce
rappresentata dalla salvezza dei fratelli e respingono il Salvatore. Quando si
pensa solo al materiale, la luce della fede è insostenibile dagli occhi! Chissà
quante volte il Signore ci è passato vicino, ha compiuto cose grandi per noi e
noi, che diciamo di cercarlo, non lo abbiamo visto, o peggio, lo abbiamo
allontanato. Dio non smette mai di fare i suoi segni di salvezza: non andare a
cercarli lontano, nelle cose straordinarie, apri gli occhi e accogli il Cristo
che opera alla porta di casa tua, anzi spesso proprio in casa tua.