Archivio

 
     
     

UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

MAGGIO 1993

 

SABATO 1 MAGGIO 1993

 

“E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore”. (Col. 3,17)

San Giuseppe, per quel che ci è dato di conoscere dai Vangeli, non ha fatto cose strabilianti: ha detto di sì a Dio in momenti difficili della sua vita ed ha detto di sì a Dio, tramite il suo lavoro quotidiano. La storia della nostra vita ha pagine difficili in cui siamo chiamati a fare scelte importanti, in cui la nostra fede è magari messa alla prova duramente, ma ha anche tante pagine “ordinarie”, giornate comuni di lavoro, di rapporti familiari e sociali che qualche volta, forse con superficialità, giudichiamo abituali e banali. Ma il gusto della vita, il senso della fede si manifestano soprattutto in queste giornate abituali: è lì che dobbiamo dire il nostro sì ed è lì che possiamo trasformare il nostro lavoro quotidiano in collaborazione con Dio per la nuova creazione.

 

 

 

DOMENICA 2 MAGGIO 1993

 

“Se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito a Dio”. (1 Pt. 2,20)

Ho ricevuto una bella lettera da una ragazza di 17 anni, lettrice della Parola al Giorno che mi parlava di una sua compagna di scuola, Anna Maria, che nell’aprile del ‘91 andò improvvisamente in coma, quando ne uscì si trovò inchiodata al letto con un tumore al cervello. Aveva 16 anni. Morì nel marzo ‘92. Ecco un suo scritto:

“Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita. Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati. A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, signore, che tu abbia un’ala soltanto. L’altra la tieni nascosta: forse per farmi capire che anche Tu non vuoi vivere senza di me. Per questo mi hai dato la vita: perché io fossi tua compagna di volo! Insegnami allora a librarmi con Te. Perché vivere non è trascinare la vita”, non è “strappare la vita”, “non e rosicchiare la vita”. Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano, all’ebrezza del vento. Vivere è assaporare l’avventura della libertà. Vivere è stendere l’unica ala con la fiducia di chi sa di avere nel volo un partner grande come Te!"

 

 

 

LUNEDI’ 3 MAGGIO 1993

 

“I Cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento”. (Sal. 18,2)

C’è chi per pregare ha bisogno di cercare parole, chi ha bisogno di formule, chi ha bisogno di una chiesa (possibilmente gotica o barocca) e chi invece fa cantare se stesso e l’universo intero. Le parole, l’ambiente possono essere utili alla preghiera, ma la vita, la natura, le gioie e le sofferenze sono già preghiera. Si tratta solo di comprenderle così, lasciarle risuonare, sentircene parte. Siamo nel mese di Maggio, dedicato a Maria. Da quel poco che sappiamo di Lei scopriamo che pregava con la liturgia del suo popolo, con la Bibbia (vedi il Magnificat) ma soprattutto con la vita vissuta nella volontà di Dio, con il silenzio che diventa adorazione (“Dio ha fatto cose grandi in me”). Oggi tu puoi essere anima del creato. Puoi far cantare la tua vita. Puoi ricondurre a Lui, tutto ciò che ti ha dato.

 

 

 

MARTEDI’ 4 MAGGIO 1993

 

Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani”. (At. 11,26)

Che cosa vuoi dire “essere cristiani”? La risposta più semplice è: “Credere che Gesù sia il Cristo, il Figlio di Dio, il Messia mandato per salvarci. Ma non basta una adesione di fede solo intellettuale. Il cristiano è colui che ripropone in se stesso Cristo al mondo, è colui che pur consapevole dei propri limiti, cerca di imitare Cristo, il suo comportamento. E’ colui che cerca di andare dietro al suo Maestro sapendo che per giungere alla risurrezione bisogna passare dalla croce, è colui che non cerca di farsi un Gesù accomodante, fatto su misura, ma che lo accoglie così com’è, è colui che imitando Gesù, ama con fiducia sapendo che Dio Amore porterà a compimento ogni bene. Essere cristiani non è un’etichetta, un blasone di cui vantarci, è un farci riconoscere dagli altri non perché apparteniamo a una chiesa, ma perché essendo di Cristo tentiamo di essere oggi la sua presenza nel mondo.

 

 

 

MERCOLEDI’ 5 MAGGIO 1993

 

“Chi vede me, vede Colui che mi ha mandato”. (Gv. 12,45)

Vedere Dio. E’ il desiderio che noi abbiamo: vedere non più nel mistero, ma vedere con i nostri occhi, avere la pienezza della conoscenza di Dio, della sua verità, della sua eternità. Nel cammino della vite possiamo vedere Dio ma solo attraverso gli occhi della fede. E Gesù ci dice che chi vede Lui vede il Padre, chi ascolta Lui ascolta il Padre. Ma dove, come, quando possiamo vedere Gesù? E’ Gesù stesso che ce lo indica: “Io sono con voi tutti i giorni”, “Fate questo in memoria di me”, “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”, “Quando avrete dato anche solo un bicchiere d’acqua nel mio nome, l’avrete dato a me”... Il Signore ci dia occhi per vederlo, orecchie per ascoltarlo e cuore per incontrano.

 

 

 

GIOVEDI’ 6 MAGGIO 1993

 

“Un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato”.  (Gv.13,16)
La Parola di oggi dovremmo ricordarla tutti spesso perché ci ridimensiona e rasserena nel nostro cammino di testimonianza del Vangelo. Infatti, se per virtù del nostro Battesimo, dobbiamo essere dei testimoni, degli apostoli del Vangelo, dobbiamo altrettanto fare attenzione a non voler imporre ad altri la nostra fede, a non voler assolutizzare il nostro insegnamento. Tutte le volte che i cristiani (la Chiesa) hanno voluto imporre la fede o hanno voluto far passare per divino ciò che era umano, sono successi grandi guai. Quando guardo l’esiguità dei frutti della mia vita sacerdotale, mi sembra di aver sbagliato tutto o di non aver avuto le doti necessarie in troppi momenti di testimonianza e di servizio. Ma poi mi riprendo e, sorridendo, dico al Signore: “Pensaci un po’ Tu, in fondo la “ditta” è la tua. Io cerco di metterci la mia parte, ma i limiti sono tanti: o Tu fai il resto oppure utilizza diversamente il tuo personale”.

 

 

 

VENERDI’ 7 MAGGIO 1993

 

“Io vado a prepararvi un posto, poi tornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove io sono”. (Gv. 14,2—3)

Chi sceglie di seguire Gesù, può essere certo di essere sulla via giusta. E c’è anche una meta chiara, promessa da Cristo stesso: stare dove è Lui. Oggi Gesù dov’è? E’ ovunque, ma soprattutto è presente nel povero, nel sofferente. Ma contemporaneamente è anche “una cosa sola con il Padre”. Se noi vogliamo arrivare al “paradiso” dobbiamo cominciare a vedere di incontrare Gesù là dove Egli è oggi. Gesù, promettendoci un “posto” con Dio, non ci illude, non ci aliena dalla realtà, anzi ci mette nella realtà, quella più cruda, quella più povera: è lì che facciamo l’esperienza del Cristo sofferente per arrivare poi a stare per sempre con il Cristo glorioso.

 

 

 

SABATO 8 MAGGIO 1993

 

“Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio”. (Sal. 97,3)

E’ Dio che salva e manifesta la sua salvezza. Nessuno può salvarsi da solo, né solo con i suoi sforzi, con l’unica sua buona volontà, né tanto meno con i soldi o gli onori del mondo. La salvezza appartiene al Signore perché la si ottiene solo a modo suo, cioè per grazia. E ciò è giusto: se si potesse pagare sarebbe solo per i ricchi. Se ci volesse intelligenza, non sarebbe per chi è meno dotato. Se ci volesse la forza fisica, non sarebbe per i deboli. Invece se è per grazia e per i meriti di Cristo, è per tutti: buoni e cattivi, ricchi e poveri, uomini e donne. Chiunque può stendere la mano e riceverla in dono.

 

 

 

DOMENICA 9 MAGGIO 1993

 

“In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento...”. (At. 6,1)

Il libro degli Atti degli Apostoli, nelle sue prime pagine, ci presenta la comunità primitiva come quella ideale, dove tutto è amore. Ma essendo anche quella una comunità fatta di uomini come le nostre, anche in essa nascono malcontenti, parzialità. In ogni comunità ci sono difficoltà, incomprensioni, personalismi. Dobbiamo stupirci di questo? Siamo chiamati ad “essere perfetti come è perfetto il Padre nostro che è nei cieli” ma siamo in cammino verso questa meta e il peso della nostra umanità ci fa, a volte, fermare, ci fa provare la fatica di stare insieme. Non devono spaventarci queste difficoltà nella Chiesa. L’importante è affrontarle e, nello spirito del Vangelo, trovarvi rimedio. Non spaventarti se nella tua comunità trovi dei limiti, dei peccati. Chiediti piuttosto:

“Che cosa sto facendo per risolverli?”. Guarda con realtà i limiti, non nasconderli, ma non fermarti ad essi, abbi fiducia in te, negli altri, in Dio e la tua comunità potrà continuare il suo cammino.

 

 

 

LUNEDI’ 10 MAGGIO 1993

 

“Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama”. (Gv. 14,21)

Spesso mi sono chiesto: “Ma sono capace di amare?” “Ma, come si fa ad amare veramente?”. Mi sono guardato attorno ed ho visto dei modelli per me inaccessibili. Gente disposta a dare la vita per l’altro, persone che impegnano anni per servire un fratello, consacrati che senti palpitare di amore per Dio, persone umili che scopri eroiche. “Non ce la farò mai... Gesù è molto realista, per amare bisogna partire da due cose semplici: accogliere i comandamenti e osservarli. Accoglierli e osservarli non come un peso, una legge da mettere in pratica per andare in Paradiso o per essere a posto davanti a se stessi e a Dio, ma come dono di amore e come capacità di amare. Questa è una meta che posso tentare e ritentare ogni giorno!

 

 

 

MARTEDI’ 11 MAGGIO 1993

 

“Non appena furono arrivati, riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo di loro”. (Atti 14,27)

Rileggendo queste righe degli Atti degli Apostoli mi vengono in mente certe riunioni di cristiani. In molti casi si nota in esse un senso di pesantezza, di ripetitività di gesti e di parole, di dover fare quasi per forza, di parole dette ed ascoltate per forza. In certe riunioni, se entrasse un non cristiano potrebbe giustamente dirci: “Siete i cristiani della buona novella, del Cristo risorto, o siete dei parolai senza speranza?”. Gli Apostoli si comunicavano le meraviglie che il Signore compiva in mezzo e per mezzo loro, possibile che oggi il Cristo non operi più meraviglie? Oh, non dico di fare come in certi altri gruppi dove in maniera esagerata ci si racconta solo esperienze positive e dove spesso con la scusa di esaltare Dio e le sue opere si cerca di esaltare solo se stessi, ma un po’ più di entusiasmo tra cristiani non ci starebbe male: siamo o non siamo testimoni di Cristo Risorto e Salvatore?

 

 

 

MERCOLEDI’ 12 MAGGIO 1993

 

“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. (Gv. 15,5)

Gesù ci invita a rimanere in Lui. Noi ci proviamo ma poi qualche volta, scoraggiati dai nostri insuccessi, cerchiamo da altre parti. Un uomo decise di scavare un pozzo. Non trovando traccia d’acqua dopo aver scavato una ventina di metri, smise e cercò un altro posto. Questa volta scavò più profondamente ancora, ma non trovò nulla. Scelse allora un terzo posto e scavò ancora più a fondo, ma senza risultato. Completamente scoraggiato, abbandonò l’impresa. La profondità totale dei tre pozzi aveva raggiunto i cento metri. Se avesse avuto la pazienza di fare soltanto la metà di tale scavo, ma in un unico posto, avrebbe trovato l’acqua. Così è della gente che cambia continuamente fede. Per giungere a un risultato bisogna darsi all’oggetto della propria fede in totalità di cuore, senza mai dubitare ch’essa sia efficace.

 

 

 

GIOVEDI’ 13 MAGGIO 1993

 

“Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. (Gv. 15,11)

Quando meditiamo il Vangelo spesso siamo spaventati dalle richieste del Signore: “Vai, vendi quello che hai, dallo ai poveri”, “Amate i vostri nemici e pregate per loro”, “Porgi l’altra guancia”. Ci sembra che il Signore ci chieda cose impossibili, dolorose. Gesù oggi invece ci dice: “Se vi chiedo cose difficili, ve le chiedo perché siate felici, perché abbiate gioia vera. Se riesci ad essere staccato dal denaro, sei libero da un mucchio di preoccupazioni ed hai più tempo per cercare i valori veri. Se preghi per il tuo nemico, presto lo vedrai come un fratello e supererai il rancore. Se sai perdonare hai più serenità di quando gusti il frutto amaro della vendetta.”

 

 

 

VENERDI’ 14 MAGGIO 1993

 

“Questo è il mio comandamento: Che vi amiate gli uni gli altri”. (Gv. 15,12)

 

L’ALTRO

 

L’ALTRO E’ colui che tu incontri sul tuo cammino, colui che cresce accanto a te, lavora, gioisce, o piange accanto a te; colui che ama o che odia accanto a te, colui del quale non dici nulla, non pensi nulla, perché tu passi senza guardare e non lo vedi!...

L’ALTRO E’ colui al quale devi unirti per diventare l’uomo “totale”, il “fratello universale”.

Colui al quale devi unirti per la tua riuscita ed insieme salvarti con tutta l’umanità.

L’ALTRO E’ colui col quale collabori ogni giorno per completare la creazione del Mondo.

L’ALTRO E’ il tuo prossimo, colui che devi amare con tutto il cuore, con tutte le forze.  (M. Quoist)

 

 

SABATO 15 MAGGIO 1993

 

“Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo, ma io vi ho scelti dal mondo”. (Gv. 15,18—19)

I primi cristiani hanno incontrato tutti il martirio per la fede. Anche oggi è impressionante scoprire quanti sono ancora martiri veri e propri per la testimonianza cristiana nel mondo. Ma quello che più spesso incontriamo nel nostro mondo è una indifferenza alla fede, tante volte ancora più scoraggiante che una aperta ostilità. E l’indifferenza, l’abitudine, il “tanto tutti fanno così” può mettere a dura prova la testimonianza cristiana: è un martirio che non arriva tutto di un colpo, ma uno stillicidio che se non stai attento presto ti smonta, ti toglie l’entusiasmo, ti appiattisce. Il cristiano, seguendo il suo Maestro, è uno che non demorde, che non cerca risultati umani, che continua nella sua testimonianza sicuro che l’importante è seminare e qualche volta bagnare il terreno con un po’ di sudore, un po’ di lacrime e qualche goccia di sangue. A far crescere, a tempo opportuno, ci penserà il Signore stesso.

 

 

DOMENICA 16 MAGGIO 1993

 

“Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”. (Gv. 14,15)

“Se mi amate.. .“. Non dice: Se siete bravi, se capite, se vi mostrate intelligenti... E neppure: Se siete ubbidienti, se non volete andare all’inferno... La spinta, la motivazione, lo stile della nostra condotta, non può essere che l’amore. Se è qualcos’altro, i nostri comportamenti, anche se ineccepibili dal punto di vista dell’osservanza formale della legge, non sono cristiani. Gesù, nei discorsi di addio, non ci lascia una dottrina, un manuale di istruzioni, e nemmeno un codice: ci lascia un desiderio, l’unico suo desiderio. Che ci amiamo. E anche la Chiesa è Chiesa di Cristo, non quando è il luogo dell’ubbidienza, della disciplina, dell‘organizzazione perfettamente funzionale, dell’ortodossia, della cultura, ma se è la Chiesa dell’amore.

 

 

LUNEDI’ 17 MAGGIO 1993

 

“Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, Egli mi renderà testimonianza”. (Gv. 15,26)

Chi è lo Spirito Santo che Gesù promette e che noi invochiamo preparandoci alla festa di Pentecoste? E’ lo Spirito di Dio che “aleggiava sulle acque” alla Creazione; è la Sapienza che si trasforma in Legge per il popolo eletto; è lo Spirito che adombra Maria per donarci Gesù; è lo Spirito che guida Gesù a compiere la volontà del Padre, ed è ancora lo Spirito che riempie gli apostoli di coraggio per una piena testimonianza cristiana. E’ lo Spirito di cui abbiamo bisogno noi per conoscere ed adorare il mistero di Dio, è lo Spirito che ci dà la possibilità di testimoniare non noi stessi, ma Gesù; è lo Spirito che ci rende fratelli e ci fa Chiesa. Chiediamolo a Gesù perché “senza di Lui non possiamo far nulla”.

 

 

 

MARTEDI’ 18 MAGGIO 1993

 

“Signore, che cosa devo fare per essere salvato?”. (At. 16,30)

Questa domanda che il carceriere di Paolo e Sila fa a loro è una domanda che noi tutti ci siamo posti tante volte. Di volta in volta ci siamo risposti o ci siamo Sentiti rispondere: “Prega”, “Ricevi i sacramenti”, “Datti da fare per chi ha bisogno”... La risposta di Paolo e Sua è la più semplice ma la più decisa e comprensiva di tutto: “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”. Credere in Gesù non è solo un atto intellettivo, un atto della volontà o del sentimento: è aver incontrato una persona, è aver fiducia in Lui, Figlio di Dio, unico Salvatore, è decidere di giocare la nostra vita su Lui, con Lui, per i suoi valori. Tutto il resto: la preghiera, l’impegno sono una conseguenza. Se qualche volta, allora ci sorprendiamo ancora a farci questa domanda, vuoi dire che Gesù Cristo non lo abbiamo ancora incontrato decisamente: che cosa aspettiamo?

 

 

 

MERCOLEDI’ 19 MAGGIO 1993

 

“Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, gli dissero: Su questo ti sentiremo un’altra volta”. (At. 17,32)

Dura esperienza quella di Paolo: è andato sulla piazza di Atene, in mezzo ai filosofi greci. Si è dato da fare per studiare un linguaggio di sapienza che fosse da loro accolto. Era partito dalla loro esperienza religiosa, e fin lì, tutti ad ascoltare compiaciuti il suo bel discorso ma, quando si tratta di arrivare al dunque, all’annuncio di Cristo morto e risorto, ecco nascere i risolini, ed ecco la gente che se ne va. Per molti è ancora cosi: fin che ti adegui al loro linguaggio e alla loro mentalità tutto va bene; finché ti metti a discutere di cose astratte senza dar troppo fastidio a certe mentalità sono anche disposti ad ammettere: “Lo, è un prete con cui si può parlare!” Se cominci però ad annunciare Cristo, la sua croce, le sue esigenze, la sua mentalità diversa da quella di questo mondo, ecco la fuga o perlomeno, siccome sono persone ammodo, lo sguardo di superiorità, quasi ti dicessero: “Crede ancora a quelle cose!” o “Intanto parla per mestiere!”. E Cristo continua a passarci accanto senza poter venire in casa nostra a far festa.

 

 

 

GIOVEDI’ 20 MAGGIO 1993

 

“L’Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine. La Vergine si chiamava Maria”. (Lc. 1,26)

Tutti noi, fin da piccoli, forse proprio tra le braccia della nostra mamma abbiamo imparato quella preghiera umile e confidenziale che è l’Ave Maria. In queste prime parole tutto è semplicità e modestia. Un saluto, in un piccolo paesino sconosciuto della Galilea, ad una ragazza, con un nome semplice, ma comune in Israele. Eppure proprio lì comincia la sua e la nostra storia della salvezza. Dio ha chiesto a Maria se si offriva per realizzare il suo piano di mandare il Figlio nel mondo a salvare gli uomini e questa semplice ma fedele ragazza le ha detto di sì. Dio chiede a te, oggi, se sei disposto ad accogliere i suoi progetti per il nuovo Regno che Gesù è venuto ad inaugurare. Se sei disposto a dirgli di sì anche in te Dio opererà cose grandi.

AVE, MARIA, noi con confidenza ti chiamiamo per nome perché Tu sei semplice e fedele. Rendi anche noi disponibili ad accogliere, come Te, il progetto di Dio.

 

 

 

VENERDI’ 21 MAGGIO 1993

 

“Entrando da Lei, l’Angelo disse: Ti saluto, o piena di grazia”. (Lc. 1,28)

A Nazareth, tutti la conoscevano per nome. Ora l’Angelo del Signore, rivolgendole il suo saluto, la chiama con un’altro nome: Piena di Grazia. E’ il nome nuovo, col quale questa creatura è conosciuta davanti a Dio; il nome che scende dal cielo, come dal cielo scenderà il nome del suo bambino (“Lo chiamerai Gesù”). Maria è la “graziosa” davanti a Dio, ma anche la “gratuita”, colei che ama gratuitamente, è colei che “si lascia fare” da Dio.

AVE, MARIA, PIENA DI GRAZIA: prega tuo Figlio perché sappiamo accogliere la sua grazia, perché ci lasciamo fare ogni giorno dal suo amore.

 

   

SABATO 22 MAGGIO 1993

 

“Entrando da Lei, l’Angelo disse: Ti saluto, o piena di grazia; il Signore è con te”. (Lc. 1,28)

Maria di Nazareth, sulla linea dei profeti e di tutti i “chiamati” dell’Antico Testamento, inizia la più straordinaria avventura cui sia mai stato destinato un essere umano equipaggiata di un’unica certezza: — li Signore è con Te. Non ha bisogno di altre garanzie, sicurezze, appoggi. Quella è la garanzia che le comprende tutte. Intendiamoci: non e una formula miracolistica. Alla Madonna non viene messa in mano una bacchetta magica che le spianerà il cammino a colpi di prodigi, facendo sparire ostacoli, producendo tutto ciò che occorre. Maria compie un itinerario punteggiato di difficoltà e oscurità. Munita però della certezza della presenza di Dio.

AVE, MARIA, IL SIGNORE E’ CON TE. Fa’ che in ogni momento gioioso o triste della nostra vita ci rendiamo conto che Dio non ci abbandona mai.

 

 

DOMENICA 23 MAGGIO 1993

 

“Elisabetta esclamò a gran voce: “Benedetta Tu fra tutte le donne (Lc. 1,42)

Ogni volta che nell’Ave Maria diciamo queste parole noi ci rallegriamo con Maria, perché è stata scelta per questa missione in rapporto allo Spirito e al Verbo. La elogiamo per quello che è e per quello che ha ricevuto. La cosa in fondo ci tocca molto da vicino. Rendiamo grazie, eleviamo la nostra lode al Signore per aver posato gli occhi su questa creatura per renderla tempio dello Spirito e “arca” della presenza del “Dio con noi”. “Tu sei benedetta fra le donne”. Perché non ti occupi di ciò che è grande, forte, importante, potente, ricco. Ma la tua tenerezza si sente sollecitata in direzione di ciò che è piccolo e vuoi crescere nella linea dell’amore e della libertà. “Tu sei benedetta fra le donne”. E ci sentiamo con Te, Maria, celebranti della vita. Tu ci ricordi, infatti, che Dio raggiunge, con la sua benedizione, soltanto coloro che non sono assenti dalla vita.

AVE, MARIA, BENEDETTA FRA LE DONNE, prega tuo Figlio Gesù perché la benedizione di Dio non si allontani mai dalle nostre famiglie.

 

 

LUNEDI’ 24 MAGGIO 1993

 

“Elisabetta esclamò a gran voce: Benedetta Tu fra  tutte le donne e benedetto il frutto  del tuo grembo”. (Lc. 1,42)

Eva aveva offerto ad Adamo e alla nostra umanità un frutto e l’uomo, dopo averlo mangiato, si scoprì nudo, peccatore, diviso da Dio. Maria ci offre il frutto del suo grembo e riscopriamo in noi lo splendore dell’immagine e rassomiglianza con Dio. Ma noi che cosa ne abbiamo fatto del “frutto del tuo grembo”? Tu lo hai accolto con trepidazione, fatto crescere con amore, l’hai avvolto di tenerezza. Noi lo abbiamo venduto per una manciata di denari, massacrato di colpi, ridotto a carne sanguinante. Abbiamo scaraventato quel corpo, che Tu avevi custodito gelosamente nel segreto del tuo ventre, in pasto alla curiosità, agli sputi, alle offese più volgari. Tu gli hai preparato la vita e noi gli abbiamo offerto una croce. Perdonaci anche Tu, Maria, come ci ha perdonato tuo Figlio.

AVE, MARIA, offrici ancora e sempre quel frutto benedetto che hai seminato nell’Amore e fa’ che ricevendo, riscopriamo il nostro essere figli di Dio.

 

 

MARTEDI’ 25 MAGGIO 1993

 

“Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio costui è mio fratello, sorella, madre”. (Mc. 3,32 - 35)

Noi invochiamo Maria tutta Santa perché in Lei ogni virtù, ogni dono dello Spirito si sono manifestati in pienezza. Ma la sua santità non è solo frutto dei doni di Dio ma anche della continua e generosa corrispondenza della sua volontà. Maria ci ricorda che la santità indossa i panni della vita di ogni giorno. E che non è fatta di gesti spettacolari ma soprattutto di piccole virtù (che sono le più difficili). Maria ci fa memoria che un itinerario di fede, come è stato il suo, non esclude il dubbio, l’oscurità, ossia la fatica di credere. Maria soprattutto ci costringe a prendere atto che la santità non è un lusso che si possono concedere unicamente certe creature eccezionali, ma costituisce la condizione normale del cristiano. Ognuno è chiamato alla santità!

SANTA MARIA, fa’ che abbiamo il coraggio più elementare: il coraggio della santità. Aiutaci a non fuggire dinanzi a una santità vicina, alla nostra portata. Tu che sei stata immunizzata dai peccato e hai accettato il “contagio” della grazia, fa’ che accettiamo il rischio di venire contagiati dalla tua santità.

 

 

MERCOLEDI’ 26 MAGGIO 1993

 

“Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, perché ricevessimo l’adozione a figli”. (Gal. 4,4)

Una madre è segnata per sempre dalla nascita della sua creatura e anche il figlio rimane segnato dall’amore, dai sentimenti profondi, dagli atteggiamenti, dall’essere della madre. Certo la maternità della Madonna è dono e miracolo dall’alto, ma c e anche il suo apporto, la sua eredità, la sua personalità: la Madre dipende dal Figlio e il Figlio dipende dalla Madre. Invocare Maria come Madre significa quindi riferirsi soprattutto alle sue relazioni con il Figlio. Ma nel Figlio, anche noi siamo diventati figli. 

Per cui, come diceva A. Von Spery: “Il Signore si è scelto una Madre per avere tutti gli uomini fratelli”.

SANTA MARIA, MADRE DI DIO e Madre nostra, generaci alla vita di figli di Dio.

 

   

GIOVEDI’ 27 MAGGIO 1993

 

“Gli Apostoli erano assidui e concordi nella preghiera, con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù”. (At. 1,44)

Finora, nell’Ave Maria non abbiamo chiesto nulla. Ci siamo limitati a salutare la Vergine, benedirla, celebrarne la grandezza, contemplare le cose grandi che in Lei ha compiuto l’amore del suo Signore. Adesso passiamo a chiedere. Siamo poveri, deboli, la nostra esistenza è minacciata dall’interno e dal di fuori, nella nostra giornata non scarseggiano i guai e le difficoltà di ogni genere, ci troviamo spesso alle prese con problemi di fronte ai quali ci sentiamo impotenti, sovente abbiamo paura, ci ritroviamo soli... e allora ci rivolgiamo a Maria con fiducia di figli e le diciamo non tanto il lungo elenco delle richieste, ma le diciamo che preghi per noi, che dica una parola a nostro favore. E Maria può intercedere. Perché nessuna creatura è più vicina di Lei a Dio e perché è vicina a noi. Maria sta dalla parte di Dio ma sta anche dalla nostra parte.

AVE, MARIA, PREGA PER NOI, portaci a Dio e porta Dio a noi.

 

 

VENERDI’ 28 MAGGIO 1993

 

“Il pubblicano, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo, abbi pietà di me, peccatore”.

(Lc. 18,13)

Chiediamo a Maria che preghi per noi ma non accampiamo diritti o benemerenze. Come il pubblicano ci riconosciamo peccatori e basta. Non elenchiamo virtù (che non abbiamo) e non enumeriamo neppure i peccati (che abbiamo).

PREGA PER NOI, MARIA. Per la nostra vita sbrindellata, impoverita, sbandata. Prega per le nostre imprese fallimentari, per le nostre giornate fitte di stupidaggini. Maria, Tu sei la nostra Madre, e non hai conosciuto il peccato. Ma non ti vergogni di avere figli peccatori. Tu ti sei fatta trovare da Lui, prega per noi che spesso siamo... altrove. Maria, fa’ che non pensiamo e guardiamo sempre ai peccati degli altri, fa’ che ci sentiamo solidali, responsabili di tutto e di tutti. Maria, accompagnaci Tu sulla strada del ritorno alla Casa del Padre. Siamo convinti che la tua presenza, il tuo sguardo, il tuo amore sono più forti delle nostre debolezze.

 

   

SABATO 29 MAGGIO 1993

 

“Da quel momento il discepolo la prese nella sua casa”. (Gv. 19,27)

Ho l’impressione che “l’adesso” dell’Ave Maria sia l’equivalente dell’ “oggi” del Padre Nostro. E’ l’ “adesso” che riempie la nostra vita di significato. La rende preziosa. Troppo spesso lasciamo trascorrere la vita guardando indietro o avanti, e così perdiamo gli appuntamenti decisivi. Maria, ci basta sapere che “adesso” Tu preghi per noi. Maria, abbi pietà dei troppi “adesso” trascurati, ignorati, disattesi, lasciati passare inutilmente.

PREGA PER NOI, ADESSO, perché possiamo fare della nostra vita qualcosa di bello, un capolavoro gradito all’Artefice che ci ha posto nelle mani questo dono incredibile.

 

 

DOMENICA 30 MAGGIO 1993

 

“Stava ai piedi della croce di Gesù, sua Madre”. (Gv. 19,25)

Fra tutte le ore della vita, non c’e un’altra ora più preziosa della morte.

Con le ultime parole dell’Ave Maria, noi mettiamo nelle mani della Madonna quell’ora decisiva che, nonostante la 

fede nella risurrezione, ci fa paura. Nel film di  Bergman “Sussurri e grida” c ‘è una scena di rara efficacia. La protagonista non ce la fa... a morire. Un’agonia crudele, interminabile. Si ha l’impressione che la morte, per lei, sia impossibile. Poi, ad un tratto, arriva la vecchia nutrice. Si avvicina al capezzale, prende in braccio la donna che si colloca in posizione fetale, la culla dolcemente, la carezza con tanta delicatezza, le mormora parole d’amore come a una neonata... E soltanto in questa maniera, rasserenata, distesa, può finalmente morire. L’Ave Maria, più che una soluzione, più che un ragionamento convincente per risolvere l’angoscioso problema della morte ci offre un immagine e una speranza: la Madonna che prega per noi nell’ora della nostra morte, come ha fatto ai piedi della croce per suo Figlio Gesù.

 

 

 

LUNEDI’ 31 MAGGIO 1993

 

“Allora Maria disse: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. (Lc. 1,36)

Dire “AMEN” significa abbandonarsi. E noi, dopo averti salutata, lodata, dopo averti chiesto di intercedere per noi, ci abbandoniamo nelle tue braccia dì Madre, o Maria. Noi diciamo AMEN a Te che lo hai detto all’ Angelo affidandoti  a Dio che ti costruiva nello Spirito Madre dell’AMEN stesso Gesù Ma dire AMEN Non Significa finire qualcosa, significa cominciare di nuovo, affidarsi a Colui che fa nuove tutte le cose, a colui che apre nuove prospettive. Ed è per questo che gli uomini continueranno a dire sempre “Amen” ma ricominceranno rinnovati a dire: “Ave Maria”.

     
     
 

Archivio