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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

“LA PREGHIERA”

 

SETTEMBRE  1992

 

 

MARTEDI’ 1 SETTEMBRE 1992

 

PREGHIERE O PREGHIERA

“Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli...” (Lc. 11,1)

I discepoli vedono Gesù che prega. Sanno che Giovanni aveva insegnato delle preghiere ai suoi discepoli. Chiedono a Gesù delle preghiere che li identifichino come gruppo. Quali preghiere devo dire? Va bene il rosario? Devo dire i Salmi? Sovente, abituati a imparare delle preghiere siamo anche noi alla ricerca di formule di preghiera. Ma quando uno ha imparato una preghiera, non è detto che abbia imparato a pregare. Gesù insegna una preghiera: il Padre Nostro, ma essa non è una semplice formula, è l’invito ad un atteggiamento di preghiera. Con essa, Egli ci invita a pregare, ad allargare il nostro cuore per lasciarvi entrare Colui che prega con noi e per noi.

 

 

MERCOLEDI’ 2 SETTEMBRE 1992

 

ATTENDERE LUI

“L’anima mia attende il Signore più che le sentinelle il mattino”. (Sal. 130,6)

Se l’analizziamo bene, spesso la nostra preghiera è un insieme di formule e un elenco di richieste. Ma un atteggiamento fondamentale della preghiera dovrebbe essere il desiderio e l’attesa di incontrare Colui che si prega. La preghiera deve portarci a tendere verso Dio. Se noi lo cerchiamo, lo attendiamo, scopriamo anche che è Lui stesso che si muove verso di noi nella preghiera. L’attesa della preghiera non va delusa quando, invece di aspettare una serie di cose che chiediamo, aspettiamo Lui. Dio non va cercato “per qualcosa” ma per se stesso ed è proprio allora che si rivela a noi.

 

 

GIOVEDI’ 3 SETTEMBRE 1992

 

PREGARE = “PERDERE TEMPO”

“Marta disse: “Signore non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire?”.(Lc. 10,40)

Stare ai piedi di Gesù sembra essere una perdita di tempo: ci sono tante cose da fare; bisogna produrre; anche nella vita spirituale: bisogna trattare i talenti! Se è vero che non basta rifugiarsi ‘nella vita spirituale” è anche vero che nella preghiera bisogna aver coraggio di “perdere tempo”, di sacrificare la produttività. Se non hai il coraggio di fermarti, non arriverà mai la vera preghiera. Se ti dimostri incapace di dire “no” alla dittatura delle scadenze, degli impegni, delle troppe cose da fare, non potrai gustare il “sì” di Dio. Pregare è essere gratuiti per Dio, senza pretese di comprarla con azioni o con un gran numero di preghiere. Pregare è restituirgli un po’ del tempo che ci ha dato per riscoprire il bisogno di amare e di essere amato.

 

 

VENERDI’ 4 SETTEMBRE 1992

 

LO STUPORE

“Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona”. (Gn. 1,31)

Ogni capolavoro ha bisogno di apprezzamento. Dio gode di quanto ha fatto, è soddisfatto, “sorpreso”

Ma Dio, proprio perché ci ha fatti a sua immagine, aspetta che il riconoscimento, nello stupore e nella gratitudine, avvenga anche da parte dell’uomo. Ma è capace di vera lode solo chi si fa “sorprendere” da Dio. La meraviglia è possibile esclusivamente se più che osservare un fenomeno, spiegarlo, catalogarlo, controllano scientificamente, si cerca di vedere; ci si accorge, se si intuisce, se si scopre l’azione di Dio in ciò che ci sta davanti agli occhi, e poi se ci si impedisce di quantificare, di valutare in termini di vantaggio personale e se si apprezza la bellezza, se si lascia cantare il cuore, se si sa gioire fino in fondo per il bello e per il creatore della bellezza.

 

 

SABATO 5 SETTEMBRE 1992

 

MERAVIGLIA

“Ti lodo, Signore, perché mi hai fatto come un prodigio, sono stupende le tue opere”. (Sal. 139,14)

Alessandro Pranzato nei suoi libri cita sovente la figura del “Ravi”. E’ un personaggio del presepio. Egli non ha niente da portare al Salvatore ma reca lo stupore. E’ un poveraccio, un senipliciotto ma riesce a vedere il lato buono in ogni cosa e in ogni persona. Quando arriva al presepio non ha niente nelle mani, ma continua a dire il suo stupore per le meraviglie di Dio. Gli altri lo prendono in giro per la sua distrazione, per la sua incapacità a produrre ed egli dice: “Forse sono inutile, ma ho guardato gli altri per incoraggiarli, ho detto loro che erano belli e facevano cose belle”. “Non è che ti sei stancato molto... — gli rispondono — E non hai nemmeno portato un regalo!” Ma la Santa Vergine gli disse: “Non ascoltarli, Ravi, tu sei stato posto sulla terra per meravigliarti. Hai compiuto la tua missione. il mondo sarà meraviglioso finché ci saranno persone come te, capaci di meravigliarsi.

 

 

DOMENICA 6 SETTEMBRE 1992

 

MIRACOLI DEL QUOTIDIANO

“Lodate il Signore dai cieli. Lodate il Signore dalla terra”. (Sal. 148,1.7)

L’israelita per tre volte al giorno, nella sua preghiera ripete: “Noi ti ringraziamo, Signore, per i tuoi miracoli che sono quotidianamente con noi”. Non si tratta di meravigliarci per eventi eccezionali, ma di saper cogliere lo straordinario nelle realtà comuni. Miracolo non è tanto il pesco che fiorisce in pieno inverno, sotto la neve, bensì la pianta che si carica regolarmente di fiori. Le cose difficili da vedere sono proprio quelle che abbiamo sotto gli occhi. li vero contemplativo, anche a novant’anni, considera la giornata come se fosse il primo giorno. Meravigliarsi, in fondo, significa vedere ciò che conosciamo, dare senso alle cose che abbiamo, gustare le gioie “feriali”.

 

 

LUNEDI’ 7 SETTEMBRE 1992

 

RINGRAZIAMENTO

“Cantate di cuore la vostra gratitudine con salmi, inni e cantici spirituali”. (1 Cor. 3,16)

Se facciamo un inventano anche sommario dei contenuti della nostra preghiera, ci accorgiamo che la domanda occupa un posto preponderante rispetto al ringraziamento. La gratitudine è stata definita come “la memoria del cuore”. Noi spesso siamo “sbadati”, ricordiamo poco e quando si dà tutto per scontato, o addirittura per dovuto, si diventa incapaci di dire grazie. Se invece mi ricordo e riconosco che tutto è grazia, allora tutto diventa occasione per rendere grazie. La gratitudine, poi, parte anche dal senso di debito nei confronti di chi ci dà tanto. Non che Dio attenda da noi dei ringraziamenti come fanno sovente i cosiddetti benefattori. Il ringraziamento che Lui si aspetta da noi è il nostro apprezzamento, il nostro aprirci alla sorpresa, alla gioia, alla lode, alla celebrazione dei suoi prodigi.

 

 

MARTEDI’ 8 SETTEMBRE 1992

 

CHE COSA DOMANDARE

“Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. (Lc. 11,7)

La preghiera di domanda può sembrare la forma più facile di preghiera o, per lo meno, quella che usiamo maggiormente. Spesso però le nostre domande al Signore sono così circostanziate che più che un atto di supplica sembrano essere una imposizione: “Dio, tu devi farmi questo e quello, e in quel modo!” Domandare significa riconoscere di aver bisogno e riconoscere che c'é Qualcuno in cui si ha fiducia che può rispondere a questo bisogno. Ma non significa affatto lavarsi le mani dalle proprie responsabilità o pretendere un Dio a nostre misura. Non bisogna vergognarsi di chiedere ma avere anche la percezione chiara che noi chiediamo quello che in quel momento sembra il meglio per noi, tante volte senza sapere (“voi chiedete male perché non sapete quello che chiedete”). Dio sa quello di cui abbiamo veramente bisogno e come un padre buono ce lo dà, magari non secondo le nostre richieste, ma secondo la sua misericordia. “Papà è cattivo, non mi ha fatto il regalo che gli avevo chiesto” mi diceva un bimbetto tutto imbronciata. “E cosa gli avevi chiesto?” “Una pistola vera.

 

 

MERCOLEDI’ 9 SETTEMBRE 1992

 

PREGHIERA PERSONALE

“Tu, invece, quando preghi, entra nella tua camera, e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto”. (Mt. 6,6)

Per capire questa frase di Gesù e importante capire quell’ “invece”. Gesù sta insegnando che non sono il numero delle parole dette che contano nella preghiera, non è l’esteriorità, il farsi vedere (oggi potremo dire: non è il numero di messe prese, la quantità di comunioni, di rosari, di inclinazione del collo storto o di mani giunte...), è il cuore che conta; è l’atteggiamento che crea il rapporto. La “camera” in cui entrare a pregare in segreto allora non è neppure la cella del monastero, ben protetta (e qualche volta fin troppo pubblicizzata), ma è l’intimo di un cuore che al di là dell’esteriorità, delle formule liturgiche, sa accogliere “Colui che sta alla porta e bussa” e sa suonare e cantare all’unisono con Lui.

 

 

GIOVEDI’ 10 SETTEMBRE 1992

 

PREGHIERA COMUNITARIA

“In verità vi dico: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa,  il Padre mio che è nei cieli ve la concederà”. (Mt. 18,19—20)

Quante volte ho sentito frasi come questa: “lo non vado in chiesa: che bisogno c’è di pregare insieme?.., lo quando sento la necessità parlo con Dio..., gli altri non c’entrano!”. E invece gli altri c’entrano! Essere cristiano significa far parte di un popolo, appartenere a una famiglia. E vedere delle persone, che mettendo da parte le eventuali divergenze, si ‘‘accordano’’ per chiedere insieme la stessa cosa, è talmente stupendo che il Padre non può dire di no a quelle richieste espresse comunitariamente, con la complicità gli uni degli altri.

 

 

VENERDI’ 11 SETTEMBRE 1992

 

ACCORDARE IL CUORE

“Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. (Mt. 18,20)

Per le necessità della vita quotidiana, andiamo al mercato. Ognuno sceglie i prodotti che gli occorrono, li ammucchia nella propria borsa. Ciascuno mette mano al proprio portafoglio. Nella preghiera invece si fa un’esperienza totalmente diversa. Ci si raduna, ci si mette d’accordo, si chiede insieme, e si riceve insieme. Le mani non servono per estrarre il portafoglio. Le mani devono essere vuote. E stringere quelle degli altri. Non si paga nulla. Ogni cosa viene concessa all’insegna della più assoluta gratuità. L’unico prezzo richiesto è quello del cuore, “accordato” sul ritmo dell’altro.

 

 

SABATO 12 SETTEMBRE 1992

 

PREGHIERA DI PENTIMENTO

“O Dio, abbi pietà di me, peccatore”. (Lc.18,13)

“Io, peccatore, posso ancora pregare?”. Quante volte ho sentito questa frase e quante volte l’ho pensata per me stesso! Certo, se considero Dio come un ragioniere che fa i conti, non ho molte speranze: sono in rosso e talmente tanto in debito che non riuscirò mai a saldare i miei conti. Ma se io scopro un Dio di amore, anche il mio peccato non diventerà un triste elenco di mancanze, ma una scoperta del mio non amore davanti ad un amore totale, fedele, che mi incoraggia, che mi perdona. La preghiera di pentimento mi fa scoprire questo. Il pubblicano della parabola (Lc.18,9—14) fa un gesto semplice: si batte il petto, non fa l’elenco dei peccati ma si limita a riconoscersi peccatore. Non osa levare gli occhi al cielo, ma invita Dio a chinarsi su di lui. Ed “uscì giustificato”.

 

 

DOMENICA 13 SETTEMBRE 1992

 

ACCORDARE LA PREGHIERA

“Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate..” (Mc. 11,25)

La preghiera comunitaria diventa passibile, se passa attraverso la riconciliazione, la pace. Parliamoci con onestà: è impossibile essere sempre in accordo con tutti. I conflitti, i giudizi lacerano sovente i nostri rapporti con il prossimo. L’unità è sempre da ricostruire dopo le spaccature o le incrinature, e non è neppure sempre facile farlo. Ma se non si accordano gli strumenti, l’esecuzione verrà come un insieme dì note stonate. Il perdono di Dio, il suo amore, la sua grazia può arrivare Sino a noi solo se non trova ostacoli, occlusioni, divisioni.

 

 

LUNEDI’ 14 SETTEMBRE 1992

 

PREGARE CON GLI ALTRI

“Pregate gli uni per gli altri”. (Gc. 5,16)

E’ bello pregare “per” gli altri. E’ la preghiera dì intercessione che ci accomuna, ma è anche bello pregare “con” gli altri perché non basta pregare per i peccatori se poi manteniamo le distanze. Qualcuno nella nostra parrocchia si è perfino scandalizzato: “Abbiamo chiesto di fare gruppi di preghiera e il prete ci ha detto: venite a pregare alla Messa della domenica con tutta la gente!”. Non è ritirandoci nel gruppetto, facendo preghiere “soddisfacenti”, perfette nella forma, cauterizzanti dalla vita, non è “facendo salotto con Dio che si entra nel vero senso della preghiera. Sapete quando sono sicuro dell’efficacia della preghiera? Quando la domenica, pregando, guardo in faccia quei pochi bambini un po’ scavezzacollo ma presenti, quando vedo quella vecchietta che so che prega in dialetto perché sa solo quello, quando so che con me prega “in silenzio” la madre di quel ragazzo drogato, quando magari stonando e non andando a tempo, cantiamo tutti quella vecchia lode, quando metto l’Ostia nelle mani sciupate di quella donna che stenta a tirare avanti con la sua famiglia, quando vedo quel barbone che nel suo giro per raccattare “le mille” si ferma un momento a pregare con noi, quando....

 

 

MARTEDI’ 15 SETTEMBRE 1992

 

INNAMORATI DI COLUI CHE SI PREGA

“Quel discepolo che Gesù amava, disse a Pietro: E’ il Signore”. (Gv. 21,7)

Stupisce vedere come in questa apparizione di Gesù risorto, gli apostoli non riescano a riconoscere Gesù, non riescano neppure a leggere la pesca miracolosa come un segno del risorto. Solo Giovanni, il contemplativo, l’innamorato ha occhi per riconoscerlo. Si tratta di prospettiva: si può essere familiari a Gesù, uomini di preghiera e passargli accanto, ma è solo chi lo ha nel cuore, chi è abituato a conoscere i suoi gesti, i suoi silenzi, l’intonazione della voce che lo incontra. Quando la preghiera è solo intellettuale, quando è legata a parole e gesti non ci porta ancora all’incontro, ma quando il desiderio, la ricerca, gli affetti partono dal cuore, allora si vede bene, e anche il minimo indizio ci porta subito ad incontrare l’amato e a leggere la vita con Lui.

 

 

MERCOLEDI’ 16 SETTEMBRE 1992

 

LASCIARE PER INCONTRARE

“Congedata la folla, Gesù salì solo sul monte, a pregare”. (Mt. 14,23)

Il fatto che gli evangelisti ricordino spesso che Gesù per pregare “salì sul monte”, “si recò in luoghi appartati”, “allontanatosi da loro, pregava” penso non voglia significare che la preghiera deve essere un qualcosa solo di intimistico, staccato dalla realtà, lontano dagli altri. Sta invece ad indicare che per cominciare a pregare bisogna “partire da” “staccarsi da qualcosa”. Per mettersi a pregare bisogna guardare a una meta, puntare decisamente verso essa. Ci vuole uno sforzo deciso, intenso. Bisogna far fatica per salire, bisogna allontanarsi dalle pianure dell’abitudine, delle comodità. Ma è solo così che la preghiera decolla. Man mano che sali “sul monte”, Dio scende verso di te (Mosè insegna!) e ti trasfigura il volto e soprattutto il cuore.

 

 

GIOVEDI’ 17 SETTEMBRE 1992

 

CAMBIARE PROSPETTIVA

“Li condusse su un alto monte e fu trasfigurato davanti a loro”. (Mt. 17,1—2)

Salire fa vedere le cose in una prospettiva diversa. Quando cammini in mezzo alle strade della nostra città, sei circondato da muri di case, ti trovi in mezzo al traffico. Ci sono un mucchio di ostacoli che qualche volta ti sembrano insormontabili. Ti resta difficile alzare gli occhi per scoprire una fetta di cielo. Una volta, in aereo, durante il decollo, sentii un ragazzino, il volto spiaccicato sull’oblò, che diceva a sua madre: “Guarda gli uomini quanto diventano piccoli.., le automobili, i camion diventano come i miei giocattoli”. La preghiera ti porta in alto, ti cambia la prospettiva delle cose, riesci a vedere la realtà con spazi più larghi: l’uomo, le cose non diventano più degli assoluti, gli ostacoli insormontabili diventano piccola cosa... Oh, è chiaro, non bisogna pretendere di “rimanere sul monte”, di “piantare le tende lì”, bisogna ridiscendere! Ma forse se hai aperto gli occhi all’infinito, il ridiscendere ti farà portare un po’ di cielo, in mezzo al traffico, tra le corse ad ostacoli quotidiane.

 

 

VENERDI’ 18 SETTEMBRE 1992

 

IL FILO CHE CI LEGA A DIO

“Il Padre vostro sa quello di cui avete bisogno ancor prima che glielo chiediate”. (Mt. 6,8)

Le preoccupazioni, le tensioni della nostra vita ci fanno quasi sempre pensare solo a noi stessi, alla nostra materialità. La preghiera è quel filo che ci ricorda che siamo nelle mani di Dio. Una tersa e ventilata mattina di marzo, un bambino, aiutato dal nonno, fece innalzare nel cielo un magnifico aquilone. Portato dal vento, l’aquilone saliva e saliva sempre più in alto, finché divenne solo più un puntolino. Il filo si srotolava e seguiva l’aquilone verso l’alto, ma il nonno aveva legato saldamente un’estremità del filo al polso del bambino. Lassù, nell’azzurro, l’aquilone dondolava tranquillo e sicuro, seguendo le correnti. Due grassi piccioni chiacchieroni, che volavano pigramente, si affiancarono all’aquilone e cominciarono a fare commenti sui suoi colori. “Sei vestito proprio in ghingheri, amico”, disse uno. “Dai, vieni con noi. Facciamo una gara di resistenza” disse l’altro. “Non posso”, disse l’aquilone. “Perché?”. “Sono legato al mio padroncino, laggiù sulla terra”.I due piccioni guardarono in giù. “lo non vedo nessuno”, disse uno. “Neppure io lo vedo”, rispose l’aquilone. “Ma sono sicuro che c’è: perché ogni tanto sento uno strattone al filo”.

 

 

SABATO 19 SETTEMBRE 1992

 

DISTRAZIONI

“Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia, salmeggi”. (Gc. 5,13)

Un giorno mi lamentavo con un prete per le continue distrazioni nella preghiera. Senza troppi complimenti, mi disse: “Fatti furbo: fa diventare preghiera le distrazioni”. Un grande asceta, noto in tutto il mondo per la sua grande santità, abitava in una profonda caverna. Sedeva tutto il giorno immerso in profonda meditazione e il suo pensiero era sempre rivolto al Signore. Ma un giorno, mentre il santo asceta stava meditando, un topolino sbucò dall’ombra e comincia a rosicchiargli un sandalo. L’eremita apri gli occhi arrabbiatissimo. “Perché mi disturbi durante la meditazione?”. “Ma io ho fame”, piagnucolò il topolino. “Vattene via, topastro della malora”, sbraitò l’asceta, “come osi infastidirmi proprio mentre cerco l’unione con Dio?”. “Come fai a trovare l’unione con Dio chiese il topolino, “se non riesci neppure ad andare d’accordo con me?”.

 

 

DOMENICA 20 SETTEMBRE 1992

 

SILENZIO

“Di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto”. (Mt. 12,36)

Il silenzio e il raccoglimento sono la porta per quello specchio del cielo che è la preghiera. Ma il silenzio è una cosa fragile. C’era una volta, in un angolo di campagna verde e incontaminato, un laghetto di acqua limpidissima. Era un laghetto minuscolo, quasi uno stagno, ma il cielo si specchiava dentro la sua acqua pura e lo trasformava in    un gioiello incastonato nel morbido tappeto dei prati. Il sole di giorno, la luna e le stelle di notte si davano appuntamento nel limpido specchio d’acqua. I salici della riva, le margherite e l’erba delle colline tremavano di gioia per quel riflesso di cielo caduto in terra, che trasformava quel remoto angolo di mondo in un piccolo paradiso. Ma un giorno, schiamazzando e starnazzando, arrivò sulle sponde dello stagno uno stormo di grasse e prepotenti oche. i loro imperiosi “qua,qua!” e i loro robusti becchi sconvolsero il silenzio e la pace dello specchio del cielo. Le oche erano creature pratiche, non badavano certo al sussurro del vento e ai riflessi dell’acqua limpida. Si tuffarono a decine nello stagno e cominciarono ad arare il fondo alla caccia di cibo. “Mangiare e ingrassare” era il loro motto. Sguazzavano, sporcavano,strepitavano. Piume e spruzzi volavano da tutte le parti. Granchiolini, pesciolini, e tutti gli animaletti che vivevano nel laghetto in un battibaleno sparirono nel vorace gozzo delle insaziabili oche. La polvere finissima depositata sul fondo, sconvolta e smossa, invase l’acqua. Rametti, foglie e alghe che filtravano e trattenevano l’acqua nel laghetto furono dispersi. La sera, quando il silenzio ritornò tra le colline, la prima stella cercò invano la sua casa sulla terra e la luna non poté specchiare il suo volto d’argento sulla terra. Lo stagno era solo una distesa di fanghiglia maleodorante e senza vita. Lo stagno era morto. Il vento portò la notizia alle nubi e le nubi alle stelle, alla luna e al sole. Tra le foglie dei salici piangevano i pettirossi e le allodole. In quell’angolo di campagna il cielo non si sarebbe specchiato più.

 

 

LUNEDI’ 21 SETTEMBRE 1992

 

PERSEVERANZA

“Siate perseveranti nella preghiera”. (Rom. 12,12)

La perseveranza è l’atteggiamento di chi si propone un obiettivo ben chiaro e poi, costi quello che costi, lo raggiunge. Anche nella preghiera è così: se ti rivolgi costantemente a Lui, Egli ti illuminerà.

In un giardino ricco di fiori di ogni specie, cresceva, proprio nel centro, una pianta senza nome. Era robusta, ma sgraziata, con dei fiori stopposi e senza profumo. Per le altre piante nobili del giardino era né più né meno una erbaccia e non gli rivolgevano la parola. Ma la pianta senza nome aveva un cuore pieno di bontà e di ideali, e non si perdeva un solo raggio di sole. Se li beveva tutti uno dopo l’altro. Trasformava tutta la luce del sole in forza vitale, in zuccheri, in linfa. Tanto che, dopo un po’, il suo fusto che prima era rachitico e debole, era diventato uno stupendo fusto robusto, diritto, alto più di due metri. Le piante del giardino cominciarono a considerarlo con rispetto, e anche con un po’ d’invidia. “Quello spilungone è un po’ matto”, bisbigliavano dalie e margherite. La pianta senza nome non ci badava. Aveva un progetto. Se il sole si muoveva nel cielo, lei l’avrebbe seguito per non abbandonano un istante. Non poteva certo sradicarsi dalla terra, ma poteva costringere il suo fusto a girare all’unisono con il sole. Così non si sarebbero lasciati mai. Le prime ad accorgersene furono le ortensie che, come tutti sanno, sono pettegole e comari. “Si è innamorato del sole”, cominciarono a propagare ai quattro venti. La meraviglia toccò il culmine quando in cima al fusto della pianta senza nome sbocciò un magnifico fiore che assomigliava in modo straordinario proprio al sole. Era grande, tondo, con una raggiera di petali gialli, di un bel giallo dorato, caldo, bonario. E quel faccione, secondo la sua abitudine, continuava a seguire il sole, nella sua camminata per il cielo. Così i garofani gli misero nome “girasole”. “Perché guardi sempre in aria? Perché non ci degni di uno sguardo? Eppure siamo piante, come te”, gridarono le bocche di leone per farsi sentire. “Amici”, rispose il girasole, “sono felice di vivere con voi, ma io amo il sole. Esso è la mia vita e non posso staccare gli occhi da lui. Lo seguo nel suo cammino. Lo amo tanto che sento già di assomigliargli un po’. Che ci volete fare? il sole è la mia vita e io vivo per lui...”.

 

MARTEDI’ 22 SETTEMBRE 1992

 

CHE COSA DOMANDARE?

“Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa domandare”.

(Rom. 9,26)

Sovente ci prende il dubbio: “Ma sono poi capace di pregare?” L’uomo, da solo, è incapace di pregare. L’uomo, quanto alla preghiera è uno che non sa. Non sa che cosa domandare. E non sa come domandare. E quando riconosce questo suo “non sapere”, lo Spirito interviene per guidarlo, illuminarlo, suggerirgli, sostenerlo. Lo Spirito Santo crea la preghiera nel cuore del credente. Quindi non spaventiamoci davanti alla difficoltà nella preghiera: è proprio quello il momento di abbandonarsi allo Spirito che si servirà della nostra povertà per farci diventare non “uomini di preghiere” ma “uomini di preghiera”.

 

 

MERCOLEDI’ 23 SETTEMBRE 1992

 

FAR CANTARE L’UNIVERSO

“Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio”. (SaI. 146,1)

In qualunque luogo tu sia: chiuso in una stanza di ospedale, o salendo sulla cima di un’alta montagna, sulla tolda di una nave, inebriato dal cielo e dai mare o in un’automobile compressa nel traffico asfissiante, tu puoi far cantare l’universo nella direzione giusta; puoi dire ai cieli “Lodate il Signore”, puoi dire al sole o alla luna “Benedite il suo nome”, puoi far cantare i “vecchi e i bambini insieme”, puoi far sorridere quel volto teso, puoi far diventare preghiera la sofferenza di quel malato. Non è bello poter riportare tutto nella direzione di quell’Unico che è il principio e il fine di tutto e di tutti?

 

 

GIOVEDI’ 24 SETTEMBRE 1992

 

DESERTO

“Lo Spirito lo sospinse nel deserto”. (Mc. 1,12)

Una domenica mattina un gruppo di giovani, sacca in spalla, stavano “combinando le macchine”, pronti a partire. “Dove andate?” “Andiamo a fare una giornata di deserto” “Qui, in parrocchia, non si riesce a pregare: nella messa non c’è raccoglimento, si fanno sempre le stesse cose; la predica, gira gira, è sempre la stessa... andiamo in quel monastero, in mezzo alla natura, dove tutto è pace. E’ bello sentire i monaci che cantano i salmi. E poi c’è quel padre famoso, quello che ha scritto tanti libri, quello che sa tutto di Bibbie, lui si che ci darà riflessioni profonde. E’ bello fare esperienze di questo genere..., ma attenti, il deserto può avere il suo fascino ma non è “l’angolo di paradiso sulla terra”; nel deserto vero il sole picchia sulla testa fino a farti bollire il cervello; la sabbia spostata dal vento ti entra nella gola e nei pori della pelle; il silenzio e la solitudine ti portano a gridare; la sete ti attanaglia e può farti morire; i miraggi ti possono far perdere e impazzire; puoi sempre mettere il piede su qualche serpente o scorpione velenoso e lì attorno non c’è telefono o ospedale... Non sogniamo facili deserti, oasi protette, cenacoli “esclusivi” in cui incontrare Dio: in realtà non esistono! Il deserto non sarà nel tuo io pieno di se ma vuoto di tutto? non sarà nella città brulicante ma incomunicabile?

 

 

VENERDI’ 25 SETTEMBRE 1992

 

TESTA E CUORE

“Ed egli (Giovanni) si reclinò così sul petto di Gesù”. (Gv. 13,25)

Giovanni racconta nel suo Vangelo questa profonda esperienza di preghiera che ha segnato la sua vita. Noi usiamo la testa per ragionare, dipanare pensieri, elaborare idee, formulare giudizi. Persino nella preghiera la nostra testa è impegnata a cercare le parole giuste, a ragionare (e qualche volta persino a dettare ragioni al Padre Eterno). Ma proprio nella preghiera la testa può e deve avere un altro ruolo: quella di appoggiarsi a Gesù, di abbandonarsi in Lui, di trovare questa confidenza estrema, per captare, sul ritmo dei battiti del suo cuore, messaggi segreti. La preghiera, pur cercando di non cadere nel facile intimismo o sentimentalismo, è un allontanarsi da sé e perdersi totalmente nel Signore. Farsi piccoli, per arrivare più facilmente a Lui. Abbandonare i gesti formali, per ritrovare la sobrietà dell’amore.

 

 

SABATO 26 SETTEMBRE 1992

 

ABBANDONARSI

“Io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre”. (Sal. 131,2)

Così commenta Pronzato:

“Credo sia la preghiera più difficile. Perché implica un atteggiamento di fede radicale, di fiducia assoluta. Pochi ci arrivano veramente. C’è sempre qualcosa in noi che tende ad irrigidirsi, muscoli che non si rilassano, ansietà irrinunciabili. Se non si acquista leggerezza è impossibile abbandonarsi”. Se ce la sentiamo, per allenarci, proviamo a ripetere questa preghiera di Charles de Foucauld:

 

“Padre, mi abbandono a te.

Fa’ di me ciò che ti piace.

Qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio.

Sono pronto a tutto, accetto tutto perché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature.

Non desidero nient’altro, mio Dio”.

 

 

DOMENICA 27 SETTEMBRE 1992

 

SILENZIO

“C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare”. (Qoelet 3,7)

C’è chi ha imparato a pregare con le parole ma non riesce a pregare con il silenzio. Eppure il mistero di Dio lo si accosta solo nel silenzio. Stare in silenzio, nella preghiera, significa far morire i rumori che ci attorniano e che sono in noi per aprirci all’ascolto. Per due amanti uno sguardo silenzioso è più pieno di significato che un profluvio di parole che non dicono mai tutto. Prega dunque nel silenzio. Prega col silenzio. Prega il silenzio. E se proprio non puoi fare a meno di parlare, accetta tuttavia che le tue parole vengano inghiottite nella profondità del silenzio di Dio.

 

 

LUNEDI’ 28 SETTEMBRE 1992

 

SOBRIETA’

“La Madre di Gesù disse: Non hanno più vino”. (Gv. 2,3)

Ad ascoltare certe preghiere ridondanti di parole, di richieste specifiche viene quasi da pensare che sia l’uomo a suggerire a Dio la strada giusta, quello che lui deve fare. Maria di Nazareth, a Cana, ci ha fornito un esempio luminoso di preghiera coraggiosa e discreta allo stesso tempo. Rivolgendosi al Figlio, ha lasciato intendere, più che imporre. Ha suggerito delicatamente, non ha preteso. Ha fatto intravedere un desiderio, non ha dettato una soluzione. Ha accennato a un bisogno, senza preoccuparsi di fornire delle cifre o dei dati precisi relativi alla situazione... e poi si è fidata.

 

 

MARTEDI’ 29 SETTEMBRE 1992

 

PIU' PAROLE O PIU' PREGHIERA?

“Pregando, poi, non sprecate parole, come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole”. (Mt. 6,7)

Quante preghiere devo dire? Quante volte al giorno devo pregare? Preoccupazioni inutili! In certe indicazioni sul numero e il tempo della preghiera sembra quasi di sentire il medico che dice: “Due pastiglie, tre volte al dì, prima dei pasti”. Non è la quantità che conta. Dio non lo si “prende” a piccole o a dosi massicce. Dio ci conosce dentro e riesce a vedere ciò che l’uomo porta dentro. Il vuoto di preghiera, nella nostra vita, non lo si colma con la quantità, ma con l’autenticità e l’intensità della comunione.

 

 

MERCOLEDI’ 30 SETTEMBRE 1992

 

PERCHE’ PREGARE?

“Pregate incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito”. (Ef.6,18)

In questo mese abbiamo fatto alcune riflessioni sulla preghiera. Ma perché pregare? Ci si trova imbarazzati a rispondere con parole a questo interrogativo. D’altra parte cosa rispondere a uno che chiedesse: perché amare? Un innamorato non si porrebbe mai questa questione. Chi non prega considera la preghiera superflua, chi prega ritiene superflue le ragioni del pregare. Innamorati e dirai: “Che cosa stupenda”, prega e vedrai. Incontrerai Qualcuno, Colui che riempie la tua vita e sentirai ancora e sempre più il bisogno di incontrarlo.

 

     
 

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