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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

“SAN GIUSEPPE”

 

MARZO  1992

 

 

 

DOMENICA 1 MARZO 1992

“Maria essendo promessa sposa a Giuseppe...”.(Mt.1,18)
Siamo davanti ad una comune coppia di fidanzati, che, secondo le usanze del loro tempo, vive la sua storia d’innamoramento e il desiderio di costruire una famiglia. Dio si serve delle gioie umane e dell’amore per realizzare il suo piano. Dio ha bisogno del calore della tua famiglia, per testimoniare che l’a­more è possibile; ha bisogno del tuo esempio per i più piccoli; ha bisogno della tua fedeltà per manifestare la sua fedeltà.

 

 

LUNEDI’ 2 MARZO 1992

“Giuseppe, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto”. (Mt. 1,19)

Una scelta difficile, sofferta, quella di Giuseppe: da una parte c’è il. fatto che Maria è incinta e la legge di Mosè prevede condanna pubblica per lei, dall’altra c’è la stima e la fiducia che Giuseppe ripone in lei. Giuseppe, col cuore gonfio, trova la maniera per rimanere fedele alla legge e per salvare Maria: è il ragionamento dell’uomo giusto, anche se a lui costa enormemente questo distacco dalla fi­danzata. Quante scelte difficili nella nostra vita.., rimanere giusti e rispettare l’amore a volte è arduo e certamente costa sacrificio ma giustizia e amore non possono mai essere divisi.

 

 

MARTEDI’ 3 MARZO 1992

“Gli apparve in sogno un angelo”. (Mt. 1,20)

Giuseppe porta il nome di un altro Giuseppe che aveva anche lui rivelazio­ni attraverso i sogni. Ma, ci si può fidare di un sogno? Sarà veramente un Angelo o il mio subconscio? Giuseppe si fida, forse non tan­to del sogno in se stesso ma del mes­saggio che è misterioso ma certamente secondo la volontà e le promesse di Dio che egli conosce bene nella Bibbia. Non è questione di fidarsi di sogni, apparizioni, premonizioni, è questione di vedere se questi sogni, apparizioni e altro sono secondo la Scrittura e secondo Dio.

 

 

MERCOLEDI’ 4 MARZO 1992

  “C’è chi tace ed è prudente”. (Sir. 20,1)

Se qualche volta alla fine della gior­nata potessimo vedere quante parole inutili o cattive abbiamo detto, ci stupiremmo per il loro numero. Giuseppe è il silenzioso che però sa fare la volontà di Dio. Un giovane, che desiderava percorrere la via della perfezione, domandò un giorno a un monaco che gli desse un cilicio, per poter giungere più facil­mente e speditamente alla santità. Il religioso lo guardò a lungo negli occhi e vide che il suo desiderio era sincero e la sua volontà decisa. Allora si limitò a tracciare sulle sue labbra un segno di croce e, sorridendo, gli disse: Stai tranquillo, amico: non c’è cilicio migliore che quello di vegliare costantemente sopra tutto ciò che esce da questa porta!

 

 

GIOVEDI’ 5 MARZO 1992

“Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”. (Mt. 1,20)

Giuseppe accetta questa spiegazione:

a prima vista può sembrare strano ma la fede di Giuseppe ha le sue basi in due cose: sa che lo Spirito di Dio può tutto; conosce la Scrittura e sa che lo Spirito “aleggiava sulle acque du­rante la creazione”, sa che è il “soffio” di Dio che ha dato vita ad Adamo, sa che “il fuoco” e la “nube” hanno accompagnato il popolo ebraico nel deserto. Secondo capostipite della sua fede è Maria: sa che è troppo buo­na, troppo “timorata di Dio” per ingan­narlo. Noi sappiamo che Dio è fedele, che Maria e nostra Madre, che lo Spirito Santo soffia dove vuole ed è il Conso­latore: tutto questo non ci basta per fidarci di Dio anche nei momenti bui?

 

 

VENERDI’ 6 MARZO 1992

“Destatosi dal sonno, fece come gli aveva l’Angelo gli aveva ordinato e prese con sé la sua sposa”.

(Mt. 1,24)

Giuseppe dicendo il suo sì entra nel mistero di Dio, si lascia condurre da Lui, sparisce in Lui. Anche Abramo non conosceva la terra verso cui Dio lo portava, anche i patriarchi si sono fidati ad occhi chiusi. Per essere grandi agli occhi di Dio non occorre fare cose straordinarie, basta lasciarci prendere da Lui e da Lui lasciarci condurre nella meravigliosa avventura della vita. Dio vede le piccole cose di tutti i giorni, quelle che formano l’eroismo della fede.

 

 

SABATO 7 MARZO 1992

“Rendete continuamente grazie al Signore in ogni cosa”. (Ef. 5,20)

Una vita talmente semplice, comune, quella di Giuseppe, da sembrare insi­gnificante.., eppure... Tre amici decisero che avrebbero vissuto la vita con passione: poi si sarebbero ritrovati.

Il primo viaggiò: scoprì nuove terre, navigò nuovi mari, portò in patria prodotti mai prima veduti, e il suo volto recava i segni dell’intensità delle sue esperienze.

Il secondo studiò: portò alla luce pen­sieri nuovi, indicò all’uomo orizzonti mai prima sperati, idee e metodi di studio impensati, e il suo volto aveva assunto i nobili tratti di colui che sa.

li terzo amico s’innamorò, si sposò, ebbe molti figli, dovette lavorare du­ramente per mantenere la sua famiglia, e il suo volto era rimasto quello di un uomo qualunque.

Quando si ritrovarono, il terzo amico non poté nascondere né agli altri né a se stesso la propria delusione: che piccola passione di vita era stata la sua al confronto di quella degli altri due! Mentre ritornava a casa dall’incontro, deluso e amareggiato, un sant’uomo lo fermò, lo prese per la mano e lo con­dusse poco discosto sulle rive di un fiume.

— Vedi quel ponte — gli disse — e  due pilastri che lo sorreggono? I due pilastri sono i tuoi amici: senza scienza e conoscenza il ponte non reggerebbe. Ma il tavolato del ponte sei tu, che sorreggi il. peso di tanti. Quelle che tu pensi siano state picco­le e insignificanti passioni sono le singole assi del ponte che una dopo l’altra, giorno dopo giorno hanno reso possibile a tanti il passaggio sull’al­tra riva. Il viso dell’uomo s’illuminò ed assun­se quella fierezza che ognuno dovrebbe avere, se si rendesse conto del valore profondo d’ogni suo gesto quotidiano.

 

 

DOMENICA 8 MARZO 1992

“Figlioli, non amiamo a parole e con la lingua, ma a fatti e verità”. (1 Gv. 3,18)

Giuseppe è un uomo di fede e proprio la sua fede lo porta ad agire concretamente. In una famiglia cristiana c’era la bella abitudine di trovarsi la sera a leggere una paginetta della Bibbia per poi pregarci su insieme. Una sera fra i vari bisogni presentati al Signore, c’era il caso di una vedova che abitava dall’altra parte della strada. Si era venuto a sapere che, non avendo pagato l’affitto, era in pericolo di essere sfrattata, e sembrava che fosse mancante di tutto. Dopo l’amen finale, il figlio maggiore fu il primo a prender la parola: “Papà, ho il salvadanaio pieno di quattrini; vado a casa di quella povera donna e così risponderò personalmente alla preghiera. Era una lezione per il papà, è una lezione per ciascuno di noi. Le nostre preghiere col Signore devono sfociare in qualcosa di concreto. Per esempio, quando chiediamo al Signore di “mandare degli operai nella sua messe”, sia­mo noi disponibili per questo lavoro? Quando preghiamo per la salvezza dei nostri amici, siamo pronti a render loro la nostra testimonianza?

 

 

LUNEDI’ 9 MARZO 1992

“Andavano a farsi registrare, ciascuno nella sua città”. (Lc. 2,3)

Giuseppe è l’uomo giusto, osservante delle leggi; osserva anche questa legge imposta dai romani invasori. Maria, Giuseppe e Gesù diventano dei nomi e dei numeri nell’elenco di un imperatore. Sovente, guardando i registri parrocchiali dei battesimi, vedo questi lunghi elenchi di nomi, la maggioranza sconosciuti. Per me non sono semplici statistiche, sono persone. Chissà chi sarà questo bambino? Che cosa gli prospetterà la sua vita?...Per Dio non siamo un elenco di oltre 5 miliardi di nomi. Siamo persone amate ad una ad una; siamo suoi figli carissimi per cui Gesù ha versato il suo sangue. E un altro pensiero: l’imperatore romano non si è accorto che nel suo elenco c’era il Figlio di Dio. E io mi accorgo che il Figlio di Dio è negli elenchi del mio ufficio, tra le persone pigiate sul tram, nella coda all‘ufficio postale?

 

 

MARTEDI’ 10 MARZO 1992

“Per loro non c’era posto nell’albergo”. (Lc. 2,7)

Quale umiliazione profonda per Giusep­pe nel non poter offrire almeno una stanza un po’ riservata per la sua sposa che sta per avere un figlio. Ma non ci sono soldi sufficienti e già allora un po’ di intimità, di pudore lo si comprava solo con i soldi. Mi ricordo l’umiliazione di mio padre quando non aveva i soldi sufficienti per pagare la retta del seminario a suo figlio. Ma non preoccuparti, Giuseppe, per Maria e per Gesù Dio ha preparato una grotta—stalla. Lì non c’è luce, ma nasce la Luce che illumina ogni uomo; non ci sono lenzuola ma ruvida paglia che preparano la carne del Salvatore al duro legno della croce; non c e ri­scaldamento ma un asino e un bue danno un po’ di calore; sembra un luogo desolato ma c’è tanto amore: il tuo, di padre umiliato, quello della Maternità di Dio, quello di Dio Padre che si china su suo Figlio e poi c’è l’AMORE che viene, che si fa carne.

 

 

 

MERCOLEDI’ 11 MARZO 1992

“Non c’era posto per loro nell’albergo”. (Lc. 2,7)

E’ umiliante per Giuseppe non aver qualche soldo per far nascere “decentemente” Gesù, ma la povertà è anche libertà, è saper riconoscere il dono dalla carta che lo avvolge.

Un uomo ricchissimo e vanitoso fece visitare la sua casa a un umile monaco. Lo condusse da una sala all’altra, at­tirando la sua attenzione ora sulle statue, ora sui tappeti, ora sui gran­di vasi preziosi, ora sui pesanti mobili.

— Che cosa ti ha impressionato di più?— chiese alla fine.

— Il fatto che la terra sia così robusta da sopportare un simile pesorispose il monaco.

 

 

 

GIOVEDI’ 12 MARZO 1992

“Maria, senza che egli la conoscesse, partorì un Figlio, che egli chiamò Gesù”. (Mt. 1,25)

E’ facile immaginare la meraviglia, l’adorazione, ma anche il senso profondo di paternità e responsabilità di Giuseppe. Non mi sembra fuori luogo offrirvi una preghiera di un papà alla nascita di suo figlio. In un certo senso potrebbe essere stata la preghiera di Giuseppe.

“Signore, ti prego per lui. Per il mio bambino.

E’ nato nuovo come pagina tutta bianca.

Nessuno vi scarabocchi sopra: non i compagni, non la scuola, non la televi­sione...

E’ nato col viso pieno d’anima.

Nessuno gli rubi il sorriso.

E’ nato originale, unico, irripetibile.

Conservi sempre la sua mente per pensa­re, il suo cuore per amare.

E’ nato pieno di voglia di vivere.

Mai perda la grinta, per attaccare la vita e non subirla.

E’ nato aperto a te.

Nessuno gli sbarri la strada, nessuno gli rubi la bussola.

E’ nato prezioso.

Perché più figlio Tuo che figlio mio.

Custodiscilo, Signore, e amalo come sai amare Tu, padre mio e padre suo:

Padre nostro che sei nei cieli ma in terra vivi nel cuore nuovo di ogni bimbo, che al mondo doni. Amen!”

 

 

VENERDI’ 13 MARZO 1992

“I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino che giaceva nella mangiatoia”.(Lc 2,16)

Tra poveri ci si intende! L’accoglienza che al nuovo nato non era stata data nell’albergo per la mancanza di denaro viene data a Lui ora proprio da altri poveri, quei poveri per cui il Bambino è venuto. Non a caso gli angeli non vanno a portare la buona notizia a chi con la propria cultura e la propria religione avrebbe potuto conoscerla ma che preferisce starsene al caldo, nella propria casa, ma vanno a portarla a questi diseredati, analfabeti, consi­derati rozzi e ladri, che però sanno ancora commuoversi davanti ad una nascita e sanno farsi prossimo a chi è povero come loro. E’ una scena di stupore: quella di Maria e Giuseppe che vedono dei poveri come loro fatti partecipi del loro stesso mistero e stupore, dei pastori che sanno cogliere nella povertà di questa nascita il segno dell’amore di Dio per loro. Se vuoi trovare i segni di Dio non guardare troppo in alto, guarda in basso e guarda dentro le persone e le cose: tra poveri ci si intende! E Dio si è fatto povero per intendersi con te.

 

 

 

SABATO 14 MARZO 1992

“Portarono il Bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore”. (Lc. 2,22)

Giuseppe e Maria sono protagonisti di una straordinaria avventura dello spirito ma questo non li esime dal senti­re il dovere e la gioia di vivere la loro religiosità espressa in gesti e riti tradizionali come quello della purificazione e della presentazione di Gesù al Tempio. A prima vista pu5 stupire, eppure leg­gendo la vita di grandi santi scopri che non hanno smesso di pregare umil­mente, li scopri che pregano il rosario, vanno a confessarsi, stanno per ore in adorazione. Giuseppe e Maria pur avendo doni straordinari vivono la fede nell’ordinario come tutti gli altri. A qualunque punto del cammino di fede tu sia arrivato non correre il rischio dell’orgoglio, non disprezzare le piccole cose della fede, della preghiera: Dio si rivela proprio lì!

 

 

 

DOMENICA 15 MARZO 1992

“I genitori portarono il Bambino Gesù al Tempio per adempiere la legge”. (Lc. 2,27)

Giuseppe e Maria hanno una fede semplice, fatta anche di gesti e di tradizione. Ecco come un autore anonimo descrive la fede di suo padre.

Mio padre era un uomo mite, laborioso, taciturno e umile. Andava in chiesa la domenica da borghese, qualunque, senza particolari devozioni, ma con grandissimo rispetto e venerazione per quel “luogo sacro”. In piedi, con il cappello in mano — mi pare ancora di vederlo — taceva sempre e poi usciva con un segno di croce e una genuflessione per andare a comprare il giornale e le paste. Il suo insegnamento senza parole è stato che esistono sulla terra “luoghi” dove si riconosce e si avverte la presenza di Dio, dove si sta in silenzio, fermi in piedi, diritti, e con il cappello in mano. Questa fede semplice — la più semplice fra tutte — è l’unica che io ho sempre posseduto con naturalezza. E la devo a lui.

 

 

LUNEDI’ 16 MARZO 1992

“Giuseppe prese con sé il Bambino e sua Madre nella notte e fuggì in Egitto”. (Mc. 2,14)

Dover partire, di notte; dover lasciare la propria terra, i familiari, il proprio lavoro; ripercorrere una strada di schiavitù che il suo popolo aveva già percorso, trovarsi in una terra straniera dove cercare di vendere il proprio lavoro per sfamare la famiglia. Giuseppe affronta tutto questo. Essere amati e scelti dal Signore non significa proprio avere una vita comoda, essere dei privilegiati. Giuseppe rivive la storia di tanti prima e dopo di lui: esiliati, schiavizzati, amareggiati, derisi per l’accento diverso... Condivide le ansie di padri e di madri che stentano a dar da mangiare ai figli... Gesù venendo sulla terra ha provato con la sua famiglia tutte le realtà difficili della vita: potrà allora essere lontano da chi oggi vive le stesse esperienze?

 

 

MARTEDI’ 17 MARZO 1992

“Erode mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme”. (Mt. 2,16)

Chissà se Giuseppe, saputo della strage degli innocenti, si sarà chiesto “Perché hai salvato Gesù e non quegli altri innocenti?” E Dio avrebbe potuto rispondergli: “Questo Figlio salvato è colui che darà poi la vita per tutti i peccatori”. E se Giuseppe gli avesse domandato “Perché non fai fuori i prepotenti o meglio, tu che puoi tutto, perché non gli cambi la testa?”. Dio avrebbe potuto rispondergli: “Perché mio Figlio, il tuo Gesù è venuto proprio a cercare di cambiare la testa, o meglio il cuore degli uomini ma non con la forza, lasciando la libertà”. Anche noi, davanti alle tante stragi di innocenti o meno, davanti alla cattiveria, gridiamo a Dio queste nostre domande. Proviamo però a far silenzio perché ancora oggi nel silenzio, nell’umiltà e al cuore, Dio sussurra le sue risposte esili come il pianto sommesso di un bambino ma forti della forza che viene da Lui.

 

 

MERCOLEDI’ 18 MARZO 1992

“Giuseppe rimase in Egitto fino alla morte di Erode”. (Mt. 2,15)

Giuseppe sposo di Maria ricalca la vita di Giuseppe l’ebreo.

Giuseppe l’ebreo, era uno che sognava ed interpretava i sogni; Giuseppe lo sposo di Maria si lascia guidare dai sogni e in essi legge la volontà di Dio. Giuseppe l’ebreo è venduto dai suoi fratelli e il nostro Giuseppe, l’uomo giusto, osservante della legge ebraica è costretto a scappare davanti alla persecuzione dei capi del suo popolo. Entrambi poi restano esiliati e prigionieri, ma entrambi nella sofferenza si fidano della giustizia di Dio che riesce a trasformare il male in bene. Nei momenti della prova non dovrebbe mai mancarci questa fiducia. Dio è più grande di ogni male. Dio può servirsi di delle prove per far trionfare il bene: bisogna solo abbandonarsi nelle sue mani che sanno trasformare tutto in amore.

 

 

GIOVEDI’ 19 MARZO 1992

“Alzati, prendi il Bambino e va nel paese di Israele, perché so­no morti coloro che insidiavano la vita del Bambino”. (Mt. 2,20)

Quante tempeste nella vita di Giuseppe! Un vecchio marinaio aggiungeva al racconto delle sue movimentate avventure questa riflessione: “Quando vedevamo il tempo guastarsi ed il vento soffiare impetuoso, la paura in noi diventava viscerale. Eppure eravamo pagati per sapere ciò che era una tempesta e come farvi fronte. In quei momenti avremmo preferito nasconderci nell’interponte ed attendere, ma non era il momento. Bisognava arrampicarsi sugli alberi per maneggiare le vele, tenere la barra del timone, badare che i colpi di mare non ci strappassero dal ponte del battello, come fossimo fuscelli. Vi assicuro che in quei momenti anche i più coraggiosi stringevano i denti. Ma, appena tornata la bonaccia, si era più contenti di prima.

 

 

VENERDI’ 20 MARZO 1992

“La bocca del giusto proclama sapienza”. (Sal. 37,30)

Leggendo questa frase dei salmi, saremmo tentati di pensare che il giusto deve essere uno che parla con sapienza. Guardando nelle poche righe del Vangelo che ci parlano di Giuseppe scopriamo con sorpresa che non parla mai. Ma ci sono atteggiamenti di vita che parlano più di lunghi discorsi. Per testimoniare la sapienza non c e bisogno di essere predicatori: parlano di più i silenzi di Giuseppe che si fida e fa la volontà di Dio che innumerevoli parole sulla giustizia non corrispondenti ad un atteggiamento di vita.

 

 

  SABATO 21 MARZO 1992

“Giuseppe andò ad abitare in una città chiamata Nazareth”. (Mt. 2,23)

Ho avuto per tre volte la fortuna di andare a Nazareth. E se per la preghiera c’è la grande e bella Basilica dell’Annunciazione, per ritrovare un po’ l’ambiente in cui vissero Maria, Giuseppe e Gesù è necessario andare nella città vecchia. Una stradicciola con in mezzo lo scolo delle acque su cui si affacciano botteghe, porte di case umili da cui escono nuvole di bambinetti vocianti. Gesù è vissuto in ambiente simile, forse ancora più povero materialmente, ma con valori umani non ancora inquinati da materialismo, arrivismo: suo padre, un piccolo artigiano, sua madre, una donna di casa; la sinagoga, il sabato... Camminare in quella strada, respirare l’aria mattutina fresca, sentire voci e odori, gustare piccolezze, genuinità, vita quotidiana povera ma gioiosa ci fa capire fino in fondo il Dio fatto come noi.

 

 

 

DOMENICA 22 MARZO 1992

“Giuseppe e Maria si misero a cercar Gesù tra parenti e conoscenti”. (Lc. 2,44)

Questa ricerca di Giuseppe e Maria mi fa venire in mente un episodio realmente accaduto:

Un giovane esploratore, Raimondo Maufrais, tentò di passare dalla Guyana al Brasile attraversando una delle regioni più sconosciute del mondo. Per un certo tempo, trasmise regolarmente sue notizie, poi scomparve senza lasciar tracce. Il padre, convinto che suo figlio non fosse morto, decise di partire alla sua ricerca. Per ben nove anni, nonostante tutti gli ostacoli ed i pericoli, lo cercò disperatamente. Nelle profondità delle foreste e sulle cime desertiche, lo chiamava. Per ritrovarlo, patì la fame, la sete, la solitudine. Affrontò le tribù più selvagge, incontrò le fiere ed i serpenti più temibili. Incise il suo nome sugli alberi, lasciò dei messaggi rinchiusi in bottiglie. Abbandonò le sue ricerche solo quando fu sicuro che suo figlio era morto. Ritornò a casa rovinato, invecchiato, consunto; pesava solo più quarantatre chili. “Lasciatemi tranquillo, diceva a quelli che lodavano il suo coraggio, non sono altro che un povero uomo che ha perso suo figlio”. Storia autentica e profondamente commovente. Ci fa pensare a Colui che è venuto a cercare e salvare ciò che era perito. Gesù, il Figlio di Dio, ha lasciato la gloria del cielo, ha conosciuto quaggiù la più umiliante opposizione di coloro che veniva a liberare e, al termine di una vita di sacrificio, s e offerto sulla croce per amore nostro. Ma ci ha trovati?

 

 

LUNEDI’ 23 MARZO 1992

“Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo”. (Lc. 2,48)

Aver perso Gesù! Giuseppe prova questa esperienza che è purtroppo comune anche per noi. Certi momenti lo perdiamo di vista o lui sembra allontanarsi, ed ecco allora di volta in volta, paura, ricerca, disperazione... Eppure se vuoi trovare o ritrovare Gesù ci sono dei posti dove sicuramente lo puoi trovare; ce l’ha detto proprio lui:

“Questo è il mio corpo” e l’Eucarestia ti aspetta; “Avevo fame e mi hai dato da mangiare”: tra le mani tese c’è anche la sua; “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”: la comunità dei credenti ti può sostenere. Se ti sembra di aver perso Gesù non andarlo a cercare lontano, non pensare di trovano nei libri pieni di muffa, non fidarti neppure della tua intelligenza, cercalo vicino a te, attorno a te, dentro di te, e ricorda che Lui stesso e la via, la verità, la vita”.

 

 

MARTEDI’ 24 MARZO 1992

“Ma essi non compresero le sue parole”. (Lc. 2,50)

Scusatemi, forse la dico grossa, ma a me ha sempre fatto enormemente piacere leggere questa frase nel vangelo. Giuseppe, l’uomo giusto, santo, scelto da Dio come padre putativo per Gesù, e Maria, la piena di grazia hanno difficoltà a capire e comprendere Gesù, il loro figlio. La grazia di Dio, i suoi doni particolari non esimono dalla difficoltà umana a comprendere la volontà di Dio. Questo mi fa sentire vicini Giuseppe e Maria. Quante volte ho difficoltà a comprendere i piani di Dio, a leggere certi avvenimenti come sua volontà, a capire concretamente ciò che Lui vuole da me. Se però “gioisco” di questa difficoltà di Maria e Giuseppe che me li rende vicini, ho da imparare da loro su come agire: essi conservavano queste cose nel loro cuore, le lasciavano maturare, vivevano avvolti nel mistero di Dio, si fidavano anche non capendo.

 

 

 

MERCOLEDI’ 25 MARZO 1992

“Il Bambino era loro sottomesso”. (Lc. 2,51)

Proviamo ad immaginarci la vita di questa “strana” famiglia, Il più piccolo è il più grande. Colui che sta “sottomesso” e il Signore del cielo e della terra. Eppure in questa famiglia tutto si svolge come in ogni normale famiglia del mondo. La vita scorre nella quotidianità fatta di lavoro, di gioie, di sofferenze, di crescita. Noi spesso guardiamo allo straordinario, all’eroico, come al momento importante della vita, invece è nel quotidiano che siamo chiamati a realizzare la nostra vita. Il vero eroismo è saper dar senso ogni giorno al nostro “banale quotidiano”. E’ storia della salvezza il giorno della Croce come i giorni di quei trent’anni passati nell’umiltà della famiglia di Nazareth.

 

 

 

GIOVEDI’ 26 MARZO 1992

“Voi padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino”. (Col. 3,21)

Come è difficile capire, educare un figlio. Anche Giuseppe e Maria avranno avuto difficoltà umane in questo senso. Ci vuole durezza o morbidezza? Ecco una leggenda araba da interpretare:

Il discepolo di un filosofo andò a trovare il Maestro sul suo letto di morte. “Non avete ancora qualcosa da dire al vostro discepolo?” gli chiese. Allora il Saggio spalancò la bocca e disse al giovane di guardarvi dentro. “C'é ancora la mia lingua?”, gli disse. “Certo”, rispose l’altro. “E i miei denti, ci sono ancora?” “No”, replicò il discepolo. “E sai perché la lingua dura più a lungo dei denti? Perché è morbida, è flessibile, I denti cadono prima perché sono duri. Ora hai appreso tutto ciò che vale la pena di apprendere. Non ho altro da insegnarti.  (Legqenda araba)

 

 

VENERDI’ 27 MARZO 1992

“Ti ringrazio, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai grandi e ai potenti e le hai rivelate ai piccoli”. (Mt. 11,26)

Moltissimi esempi nella predicazione di Gesù sono venuti certamente a Lui dalla sua esperienza di vita quotidiana a Nazareth. Gesù ama e conosce a fondo i poveri e i semplici perché povera e semplice e stata la sua vita. Dicendo “Chi è quel padre capace di dare una serpe ai figlio che chiede pane”, ha certamente davanti la figura di Giuseppe, uomo affettuoso, senza sdolcinature, ma di una affettuosità autentica che sapeva produrre tenerezza; anche la figura del padre della parabola del figliol prodigo se ben rappresenta l’attesa misericordiosa di Dio che perdona, non avrà forse la sua ispirazione nell’attenzione di Giuseppe? Chissà se anche noi con la nostra vita ispiriamo buoni comportamenti ai figli, ai nipoti, agli amici?

 

 

SABATO 28 MARZO 1992

“Non è costui il Figlio del carpentiere?”. (Mc. 15,55)

Gesù deve molte cose a Giuseppe, come ogni figlio deve molte cose a suo padre. Il lavoro di Giuseppe è stato pane per Gesù; le sue attenzioni e il suo amore gli hanno fatto gustare i valori di una famiglia umana; la sua formazione umana e religiosa è dipesa in gran parte dalle indicazioni di suo padre e di sua madre La gente, quando parlerà di Lui, lo contraddistinguerà come il figlio del carpentiere... Quante cose dobbiamo ai nostri genitori e a tante altre persone: chissà se non hai mai provato, una mattina, invece di dire le solite preghiere, a ringraziare il Signore per tutte le persone che ci hanno amato: i nostri genitori, i nonni, gli insegnanti, i catechisti, quell’amico, tua moglie, i tuoi figli... Gesù ha riconoscenza per Giuseppe; impariamo anche noi a dire grazie a chi ci ha donato tante cose.

 

 

DOMENICA 29 MARZO 1992

“Che giova, fratelli, se uno dice di aver la fede ma non ha le opere?”. (Gv. 2,14)

La fede di Giuseppe è una fede concreta, fatta di quotidiano lavoro, ma intessuto d’amore.

Un filosofo, osservando sua moglie nettare gli oggetti di casa, ritoccare i fiori nei vasi, rassettare la biancheria, pensò: “E’ ben vero che esistono due tipi umani: quelli che sanno usare le mani e quelli che sanno usare il cervello. Per fortuna io sono di questi ultimi. Poi la moglie morì, e nessuno ebbe più cura della casa del filosofo. Sulle prime egli non se ne dispiacque, perché nulla di quanto lo attorniava —pensava — poteva influenzare il suo pensiero. Ma sbagliava nel giudicare così. Perché le ragnatele, la polvere, il disordine fecero impallidire poco per volta la sua intelligenza, come se prima l’armonia di cui la moglie lo circondava ne fosse stata la vera radice. Il filosofo si ribellò a questa stupida ipotesi. Finché una sera, non riuscendo più a cucire un’idea con un’altra, raccolse per terra un vasetto che la moglie aveva decorato con le sue mani. Guardandolo rifletté: “Quella donna aveva delle abili mani”. Ma mentre diceva così i fiori che decoravano il vaso gli si depositarono in mano, vivi e profumati. Allora il filosofo — che come tutti i filosofi aveva grandi pensieri e piccoli sentimenti — capì che il lavoro della sua compagna, espresso dalle mani, era stato in realtà opera del suo cuore: un lavoro piccolo forse, ripetitivo, limitato, ma tale da fare da culla alla sua intelligenza. Il declino della sua mente era in verità iniziato quando il cuore di lei aveva cessato di battere.

 

 

LUNEDI’ 30 MARZO 1992

“Siate sempre pronti con le cinture ai fianchi e le lampade accese”. (Lc. 12,35)

Giuseppe sparisce dalla scena del Vangelo e i secoli cristiani hanno perfino motivato questa sua scomparsa con la sua morte prematura o, con ipotesi perfino grottesca, lo disegnano vecchio e cadente vicino a una sposa giovane. Ma il silenzio del Vangelo ha un solo motivo: il protagonista è Gesù e Giuseppe non sale in cattedra. Giuseppe rappresenta nel Vangelo il silenzio di coloro che hanno ricevuto la buona novella con semplicità perché già portatori di una giustizia divina curata e cresciuta fin dall’infanzia. Giuseppe ci è esempio anche in questo: saper essere sempre pronti ad accogliere Dio con semplicità e prontezza in ogni momento della vita, anche in quello della chiamata definitiva.

 

 

MARTEDI’ 31 MARZO 1992

“Si addormentò con i suoi padri”. (1 Re 2,10)

Questa frase riferita a Davide ci ricorda il momento della morte anche per Giuseppe e mi sembra bello, qui riferire un testamento ritrovato in una Bibbia ultracentenaria.

17 Aprile 1866: Non è senza emozione che mi inginocchio in questo momento solenne in cui sto per scrivere le mie ultime volontà. Ti prego o Dio di benedire i miei figli nei loro corpi e nelle loro anime, ricordandoti di loro nella tua misericordia. E’ da te, mio Dio, che ho ricevuto ogni cosa: tu concepisci il   passato, il presente e l’avvenire; è per il tuo   favore che ti sei rivelato a me. Dio di bontà, chi sono io perché tu abbia voluto rivelarti a me in questo modo? Constato in questo la tua grande bontà per la quale tu m’hai amato in Gesù Cristo, mio Salvatore. Su questa terra, dove hai voluto che io abitassi, hai provveduto a tutti i miei bisogni; non mi hai mai lasciata senza una testimonianza del tuo amore. Ti chiedo perdono, o mio Dio, per tutte le volte in cui ho attristato il tuo Spirito con una scarsa comprensione delle tue vie. Che questi pochi giorni che mi dai ancora da trascorrere su questa terra siano impegnati per la tua gloria. Disponi Tu stesso il mio cuore affinché nulla al mondo mi distolga da Te. Ciò che ti domando ancora è che tu operi la conversione nel cuore dei miei figli e dei miei nipotini. Mi hai detto a molte riprese: “Non temere, credi solamente” Me ne vado con la sicurezza che la Tua promessa si compirà.

 

     
 

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