UNA PAROLA AL GIORNO
RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA
PAROLA DI DIO
a cura di don Franco LOCCI
“lo pongo davanti a te la via della vita e della morte, la benedizione e la maledizione”. (Dt 30,15)
All’inizio della Quaresima la parola di Dio ci mette davanti alle scelte fondamentali: possiamo fare della nostra vita un canto gioioso oppure una lenta marcia verso la morte. In che cosa consiste l’Arte di vivere? Che cosa pensa Gesù della vita?
La vita è un dono e Gesù ci invita a goderne, ma non solo per noi stessi; anzi ci dice che solo “perdendola” cioè giocandola per gli altri, sulla fiducia in Dio, si può veramente guadagnarla E Gesù ci pone davanti il suo esempio: lui dona la sua vita, la perde sulla croce per noi, ma proprio nel momento in cui sembra sconfitto vince la morte, il peccato, il dolore. Ogni volta che, seguendo Lui, spendiamo la nostra vita per gli altri noi guadagniamo il vero senso della nostra vita che non finisce mai.
VENERDI’ 2 MARZO 1990 - Venerdì dopo le Ceneri
“Il digiuno che io voglio è scogliere le catene inique, togliere i legami, dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, vestire gli ignudi”. (Is. 58,6 - 7)
Sembra essere fuori moda parlare di digiuno oggi. Eppure lo sanno molto bene i due terzi dell’umanità che non possono mai saziare la propria fame. Ma quando il digiuno è volontario è sempre segno di qualcosa, a meno che non sia un atteggiamento ipocrita. Per il cristiano il digiuno ha senso se serve a riconoscere Dio e i fratelli, se no è rinuncia sterile e masochista. Ma se io rinuncio ad una cosa per dire ad un altro: ‘Ti voglio bene!” tutto diventa bello perché diventa amore! Il digiuno, la rinuncia della nostra quaresima se vuole avere un senso deve essere amore; amore per Dio: riconosco di avere solo bisogno di te e di nient’altro; amore per i fratelli: la mia piccola rinuncia può diventare vita, carità, pagnotta, medicina per te... e allora digiunare diventa felicità.
SABATO 3 MARZO 1990 - Sabato dopo le Ceneri
“io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. (Lc. 5,32)
Gesù ha una predilezione particolare per i peccatori. Questo non significa affatto che Gesù ami il peccato ma invece li ama perché sa che hanno bisogno di essere perdonati e guariti e perché sa anche che proprio per la loro debolezza e povertà sono particolarmente disponibili all’amore di Dio. C’è invece una categoria di persone che non riescono ad accogliere Gesù: sono coloro che presumendo di essere giusti non solo non sentono il bisogno di essere salvati ma si permettono di giudicare gli altri. Se ci pensiamo bene, e non solo attraverso ipocriti “mea culpa”, tutti siamo poveri, peccatori, estremamente bisognosi di Lui. Dio viene a cercarci, vuole salvarci ma se tu ti ritieni “a posto” o se sfuggi come potrà aiutarti?
DOMENICA 4 MARZO 1990 - 1^ DOMENICA DI QUARESIMA
“Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo”. (Mt. 4,1)
Tra i diversi protagonisti che ci vengono presentati nella parola di Dio di questa prima domenica di Quaresima Spicca e colpisce particolarmente la figura del tentatore. Noi spesso sprechiamo tempo a immaginarci il diavolo, come sia, perché ci sia, l’idea di fondo di tutta la Sacra Scrittura è quella di ricordarci che il diavolo e la tentazione sono il rischio continuo di falsare il senso dì un originario piano divino: è successo ad Eva: “Se disobbedirai sarai come Dio”, è successo a Gesù nelle tentazioni, succede a noi ogni volta che il tentatore ci fa vedere o noi stessi vediamo la realtà solo in funzione nostra, l’altro non come fratello ma come nemico, Dio come padrone schiavista e non come Padre che ama. Come vincere il tentatore, la tentazione? Facendo come Gesù, non fidandoci della nostra autosufficienza ma con fedeltà e fiducia in Dio e nella sua parola.
LUNEDI’ 5 MARZO 1990
“Siate santi, perché io, il signore, Dio vostro, sono santo”. (Lv 19,2)
Ecco un’altra di quelle mete che la parola di Dio ci mette davanti che ci sembrano inaccessibili.
Comunemente con la parola: ‘‘santo” noi intendiamo: persona buona, virtuosa, ma quando la Bibbia afferma: “Dio è santo”, essa vuol dire che Dio è Dio, Essere unico, del tutto diverso da quello che noi possiamo immaginare. L’invito alla santità che ci viene fatto è dunque ancora qualcosa in più che una esortazione alla virtù, è un invito a scoprire e onorare Dio, così come Egli è, e a trovare la nostra vera identità di uomini come figli di Dio che manifestano la sua luce. In fondo che cosa hanno fatto di straordinario i santi che ricordiamo ogni giorno?
Ciascuno di loro, nella sua epoca e con caratteristiche umane e proprie ha espresso un qualcosa di Dio ed ha gridato al mondo: “Lui è mio e tuo Padre”. Anche ciascuno di noi può manifestare qualcosa di questo. Non spaventiamoci allora, possiamo davvero diventare “santi”, non per meriti di virtù che spesso non abbiamo, ma perché Lui è santo.
MARTEDI’ 6 MARZO 1990
“Pregando, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole”. (Mt. 6,7)
Il rischio per molti è di aver confinato la preghiera in un insieme di formule e di parole. Ci aiuti nella riflessione e nella preghiera di oggi, questo scritto di un giovane del Burundi:
“Avevo fame e voi avete fondato un circolo umanitario in cui avete discusso della mia fame. Ve ne ringrazio.
Ero carcerato e voi siete entrati in chiesa a pregare per la mia liberazione. Ve ne ringrazio.
Ero nudo e voi avete esaminato seriamente le conseguenze morali della mia nudità.
Ero malato e voi siete caduti in ginocchio per ringraziare il Signore di avervi dato la salute.
Ero senza tetto e voi mi avete predicato le risorse dell’amore di Dio.
Voi sembrate così pii, così vicini a Dio. Ma io ho sempre fame, sono sempre solo, nudo, malato,
carcerato e senza tetto. Ho freddo.”
MERCOLEDI’ 7 MARZO 1990
Quando si sente parlare del “segno di Giona” si pensa immediatamente al fatto della “Balena” cioè al profeta che recalcitrante ad andare a predicare a Ninive viene inghiottito dal pesce e portato fin là. Ma c’è anche un altro significato nelle parole di Gesù che prendono spunto dalla storia di questo profeta: i Niniviti non ebbero dei segni esteriori, dei miracoli grandiosi per convertirsi, ma solo la predicazione di un profeta anche abbastanza spaurito. Ora anche Gesù non ha bisogno di segni grandiosi: è lui stesso, la sua vita, la sua morte e risurrezione il segno che invita gli uomini alla conversione assicurando la misericordia di Dio. Che cosa aspettiamo per intraprendere la strada della conversione? Qualche segno grandioso? La paura del castigo di Dio o l’aver incontrato nel silenzio un Dio che ci ama fino a donare la sua vita per noi?
GIOVEDI’ 8 MARZO 1990
“Il Padre vostro darà cose buone a quelli che gliene domandano”. (Mt. 7,11)
Quali sono queste “cose buone” che il Padre che è nei cieli dà senza alcun dubbio a quelli che lo pregano con insistenza? La risposta la troviamo nel Padre nostro: saranno esaudite le preghiere che rientrano nella prospettiva del “venga il tuo regno... sia fatta la tua volontà...” E la prima di queste “cose buone” è lo Spirito Santo grazie al quale si compiono in noi e per mezzo di noi le opere di Dio. La Quaresima è anche il tempo in cui siamo invitati a intensificare la nostra preghiera: chiediamo lo Spirito Santo.
HELDES CAMARA ci invita a pregare lo Spirito così: “Manda, Signore, il tuo Spirito, poiché lui solo può rinnovare la faccia della terra. Lui solo potrà spezzare gli egoismi, condizione indispensabile perché siano superate le strutture ingiuste che mantengono milioni di esseri in schiavitù! Lui potrà aiutarci a costruire un mondo più umano e più cristiano!”.
VENERDI’ 9 MARZO 1990
“Se presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa Contro di te, lascia lì il tuo dono e va prima a riconciliarti con tuo fratello”. (Mt. 5,23 - 24)
Noi spesso ci lamentiamo che c’è poca gente che partecipa all’Eucaristia domenicale, ma se questa parola fosse presa alla lettera, almeno in un primo momento non dovrebbe esserci nessuno prete compreso. Sono pochi infatti quelli che possono dire di non avercela con qualcuno, ancora meno quelli che possono dire che qualcun’altro non ce l’abbia con lui. Gesù però vuole principalmente insegnarci una cosa: non essere ipocrita! non nasconderti dietro la tua falsa giustizia, il. tuo perbenismo, il tuo formalismo: le bugie puoi raccontarle al prossimo e facilmente ci crede; puoi raccontarle a te stesso e qualche volta ti illudi di crederci, ma al buon Dio proprio no! Colui che “ti scruta e ti conosce” sa il tuo bene e il tuo male, vede la realtà del tuo sforzo; con lui è meglio giocare a carte scoperte: qualche volta, invece che nascondersi e falsificare, è meglio dirgli sinceramente: “Signore non ce la faccio, aiutami!”.
SABATO 10 MARZO 1990
“Tu sarai un popolo consacrato al Signore tuo Dio come egli ha promesso”. (Dt 16,19)
Il Signore ha fatto un patto con Israele, lo ha consacrato, cioè se lo è“messo da parte”. In Gesù questa alleanza si allarga ad ogni credente in Lui. La Chiesa (popolo di Dio) è consacrata a Lui in Cristo. Essere orgogliosi e riconoscenti di appartenere alla Chiesa è allora riconoscere la nostra consacrazione al Signore, confermata dal Battesimo e dai Sacramenti. Questo non vuoi dire allora che siamo migliori degli altri ma che Dio nel suo amore ci ha dato una grazia in più ed anche un impegno in più, in quanto il consacrato deve manifestare di appartenere ai Signore. Se ci è facile, ed è anche giusto, vedere gli errori e la povertà di risposta della Chiesa a questa vocazione, ciò non deve togliere il nostro amore alla Chiesa. Se tutti i cristiani si sentissero popolo di Dio non per interessi temporali, ma per sentirsi legati tra di loro e con lui in questo cammino di consacrazione, quante meno preoccupazioni di organizzazioni di Chiesa e quanto più amore ci sarebbe per la Chiesa popolo dì Dio. La Quaresima ci aiuti anche in questa conversione e purificazione per essere un popolo consacrato non solo sulla carta dei registri di battesimo ma per essere invece un popolo, povero, peccatore, ma che Dio ama.
DOMENICA 11 MARZO 1990 - 2^ DOMENICA DI QUARESIMA
Gesù ha appena annunciato agli Apostoli la sua prossima passione e morte; ma loro non hanno compreso, non hanno voluto comprendere. La trasfigurazione ha lo scopo di confermare con potenza quella previsione, e di anticipare nello stesso tempo la passione imminente. in realtà la passione dovette essere la cosa che più ripugnava alla fede degli Apostoli e aveva bisogno di una conferma. Qui, sul Tabor, Gesù non è diverso da quello che sarà sul calvario: cioè la somma dell’amore di Dio, la parola che viene dall’alto, l’annuncio di una vittoria sulla morte che sconvolgerà tutta la storia dell’uomo. Signore, mentre ti ringraziamo per quei momenti particolari in cui tu hai confermato la nostra fede facendoci toccare con mano la tua grazia ti chiediamo di aiutarci a incontrarti nella prova soprattutto della banalità quotidiana: mentre ci fai entusiasti dell’incontro sul “monte”, donaci buone gambe per camminare in pianura.
LUNEDI’ 12 MARZO 1990
Nell’anno in cui facevo “l’apprendista prete” alla Consolata mi è capitato più di una volta di andare in Tribunale ad assistere a qualche processo e pensavo alla terribile responsabilità dei giudici nel decidere le pene. Pensavo a quell’imputato che pur avendo sbagliato, vedeva alcuni anni della sua vita nelle mani di uno sconosciuto che decideva su lui. Ma quante volte anche noi abbiamo fatto l’esperienza di sentirci giudicati giustamente o ingiustamente: è terribile, ti blocca, ti dà fastidio, dici: “Come può un altro entrare fino in fondo dentro di me, capire le motivazioni, il dolore, la rabbia, il perché. Eppure quante volte siamo giudici e giudici terribili: giudice di tuo marito, di tua moglie, di tua nuora, del parroco, del venditore ambulante... e con quanta facilità tranciamo giudizi senza possibilità di appello anche senza conoscere cause, motivi... Prova a pensare a Dio che conosce tutto.. .Ma Dio, Colui il cui giudizio ha veramente motivo ci dice che userà lo stesso metro che useremo noi: Lui sarà misericordia se noi saremo misericordiosi.
MARTEDI’ 13 MARZO 1990
“Non fate come i farisei perché dicono e non fanno” (Mt. 23,2)
In questa Quaresima Gesù smaschera un altro nostro peccato, quello dell’ipocrisia. Siamo tutti un po’ farisei. E’ facile constatare la distanza tra le nostre parole e le nostre preghiere, le nostre celebrazioni da una parte, e, dall’altra la pratica quotidiana. Siamo allora invitati a verificare quale sia la volontà che anima il nostro muoverci verso Dio: forse anche noi siamo “uomini religiosi” solo per ottenere una lode ammirata da parte degli uomini? Forse anche noi crediamo che la religione sia uno dei tanti mezzi per poter apparire “rispettabili” ai nostri simili? Gesù ci ricorda che se è così non serve a nulla perché “abbiamo già ricevuto la nostra ricompensa davanti agli uomini”.
MERCOLEDI’ 14 MARZO 1990
“Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”.
(Mt. 20,28)
Insieme al Signore Gesù camminiamo verso la Pasqua; ma per toglierci ogni illusione, il Signore oggi rivolge la parola anche a noi: il destino che ci attende non è quello glorioso che noi aspetteremmo. E’ importante renderci Conto che quello che è successo a Gesù, la persecuzione e la crocifissione, e anche quello che ogni cristiano deve aspettarsi. E anche noi sul suo esempio siamo chiamati a servire: siamo coerenti con il suo esempio di servizio o preferiamo essere coerenti con la mentalità comune che reputa grande un uomo quando è capace di sottomettere e dominare gli altri? La “grandezza” che conta davanti a Dio è la capacità di fare della nostra vita un segno dell’umile e costante amore di Dio.
GIOVEDI’ 15 MARZO 1990
Questa affermazione, presente in tanti passi della Bibbia, diventa nel testo di Geremia una benedizione e una maledizione. Chi affida il suo cuore alle cose terrene, non troverà la gioia vera: le cose, anche le più belle, passano e se pur di esse si può gioire, non danno però la felicità piena e duratura. Solo Dio che ci ha creati, che scruta il cuore dell’uomo, che ci ama al punto da dare in Gesù la sua vita per noi può riempire totalmente e pienamente il nostro cuore. Ed in lui, allora, anche le cose buone del nostro mondo, le persone, gli affetti e addirittura le prove e la sofferenza trovano significato, pienezza, gioia. I santi veri erano e sono persone come noi, ma tu puoi riconoscerli non tanto dai miracoli quanto piuttosto dal fatto che fidandosi di Dio lasciano fare a Lui e in Lui vivono la realtà con gioia e semplicità.
VENERDI’ 16 MARZO 1990
“...E' per venti sicli d’argento vendettero Giuseppe agli Ismaeliti Cosi Giuseppe fu condotto in Egitto”. (Gen 37,28)
La storia di Giuseppe è un segno. La gelosia, l’invidia, il voler stare comodi porta il fratello ad alzare la mano contro il fratello. Giuseppe l’ebreo è figura di Gesù: tutti gli battono le mani fino a quando la sua presenza non scomoda, non toglie sicurezze, non viene a molestare il perbenismo economico religioso: poi bisogna farlo fuori. Ed é anche una storia che si ripete continuamente oggi: pensiamo nei nostri posti di lavoro, quante persone cercano di far fuori, di togliere di mezzo altri perché hanno più doti, perché disturbano la carriera, perché con la loro vita onesta dicono che l’onesta è possibile... Su questo si potrebbero fare tante riflessioni ma a me colpisce particolarmente: “Così Giuseppe fu condotto in Egitto”. Vita dura per questo povero
Giuseppe: sarà schiavo, lontano dai suoi.. .Ma Dio si serve proprio di lui per incominciare a tessere, pur in mezzo a sofferenze e dolori la sua più grande storia della salvezza.
SABATO 17 MARZO 1990
“Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed i tornato in vita”. (Lc. 15,32)
Una delle cose difficili da trangugiare i vedere la grettezza di qualcuno che diventa invidioso per il bene che è successo ad un altro. Eppure nel piccolo e nel grande succede anche a noi! Non è forse vero che qualche volta diciamo: “Beato lui!” “Ma sempre agli altri che debba andar bene e a me mai!” E anche nella comunità, quando arriva qualche “nuovo” lo si comincia a guardare con un certo sospetto o per lo meno non ci spostiamo un briciolo per accoglierlo perché sembra quasi che porti via qualcosa di nostro: il nostro egoismo ci porta via da ciò che è più importante: “Tuo fratello era morto ed è tornato in vita!”. Signore, poche volte ti dico grazie, di solito chiedo, ma aiutami qualche volta a dire grazie non per i doni che hai fatto a me, ma per quelli che fai agli altri.
DOMENICA 18 MARZO 1990 - 3^ Domenica di Quaresima
Questa frase mi ha sempre colpito e riempito di gratitudine e di meraviglia Noi siamo abituati a pensare a un Dio assetato delle nostre opere, giudice implacabile dei nostri sbagli, che esige da noi prestazioni impossibili. Dio non è così! E Dio non lo si compra con le buone opere. E’ lui che ama totalmente, dona non perché siamo bravi e abbiamo dei meriti, ma perché ama. Gesù ha accettato la croce proprio per chi era ed è lontano da Dio e da solo non può farcela. Pensare a questo ci dà pace e riconoscenza: con le mie opere non ce la farei ma proprio grazie a Gesù morto e risorto per me peccatore posso essere in pace con Dio.
LUNEDI’ 19 MARZO 1990
“Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo” (Mt. 1,24)
Non per niente lo chiamano “l’uomo della fede”: ci vuole un bel coraggio a fidarsi dei sogni e Giuseppe con semplicità, con fede, ma anche per grande amore verso Maria sua sposa lo fa. Ed ecco il premio: lui umile uomo diventa segno privilegiato della paternità di Dio, custode e amministratore del mistero della salvezza. Ma un’altra caratteristica che mi piace particolarmente di questo uomo è che pur essendo l’ultimo dei patriarchi è un personaggio che sta zitto. Zaccaria, il padre del Battista, diventa muto per la sua incredulità; Giuseppe, l’uomo di fede tace ma agisce: prende Maria con sé, l’accompagna a Betlemme, fugge con la sacra famiglia in Egitto, è il buon padre ebreo che accompagna Gesù al tempio a 12 anni... Ringraziamo Dio per che in questo mondo dove sembrano contare gli strombazzamenti, dove a volte anche all’interno della Chiesa conta di più chi fa più riunioni, ci sono ancora persone che nel silenzio amano e agiscono di conseguenza e poi, in punta di piedi, per non disturbare, se ne vanno.
MARTEDI’ 20 MARZO 1990
“Signore, quante volte dovrò perdonare? Fino a sette volte?” E Gesù rispose “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”. (Mt 18,21 – 22)
Pietro, forte della mentalità rabbinica, chiede a Gesù se la misericordia verso il fratello deve essere grande: perdonare fino a sette volte per lui significa fare una cosa sacra come aveva fatto Dio creando il mondo in sette giorni, ma Gesù giocando sulla sua stessa mentalità gli dice che bisogna perdonare settanta volte sette, cioè all’infinito. Per il Signore non è dunque questione di matematica, Dio non è un ragioniere con la tabellina, o meglio con il computer in mano, e Egli chiede all’uomo la stessa generosità. Prova a pensare come ha perdonato Gesù: sulla croce, mentre soffre tormenti prega per i suoi persecutori: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”; davanti ad un ladro pentito gli dice: “Oggi sarai con me in paradiso”. Ogni volta che ricorro sinceramente alla sua misericordia mi dice: “Anche se i tuoi peccati fossero rossi come lo scarlatto diventeranno bianchi come la neve...”. Davanti a tanta misericordia come posso diventare calcolatore e come posso dire al mio fratello: “Ti ho perdonato abbastanza, adesso basta”?
MERCOLEDI’ 21 MARZO 1990
“Non pensate che io sia Venuto ad abolire la legge o i profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento”. (Mt. 5,17)
Noi pensiamo che l’uomo “adulto, maturo” sia colui che non ha bisogno di leggi per sapere che cosa fare. L’uomo libero è colui che sa scegliere tra bene e male. E allora la legge viene accettata solo come “manuale di comportamento”, come limite che mi è imposto perché io non tocchi la libertà dell’altro. Ad Israele non era successo così: le leggi, donate da Dio erano segno della sua vicinanza e vanto rispetto agli altri popoli. Anche Gesù si richiama a queste leggi e le dichiara valide fino alla fine dei tempi. Occorre però vedere i comandamenti nel loro spirito. Dicendo: “Non uccidere” Dio mi invita a riconoscere l’altra persona come dono per me e quindi ad impegnarmi a rispettare la sua libertà e la sua diversità. In questo modo, la “legge” non è un limite alla mia libertà ma l’indicazione di un cammino da compiere verso il “Bene”.
GIOVEDI’ 22 MARZO 1990
“Altri poi, per metterlo alla prova gli domandavano un segno”. (Lc. 11,16)
Davanti a Gesù gli uomini del suo tempo chiudono gli occhi e non vogliono vedere il segno dell’inaudita novità dell’azione di Dio; e poiché non vogliono vedere in Gesù l’inviato di Dio (loro sanno già tutto su Dio: non è uno straccione come questo uomo, che frequenta certe compagnie...) vedono in Lui l’inviato di Beelzebul, il capo dei demoni e chiedono segni strepitosi che poi non li convincerebbero. L’invito alla conversione, che la chiesa ci rivolge, soprattutto durante la quaresima, diventa per noi impegno a scoprire nella nostra vita quotidiana i segni di novità dell’azione di Dio preghiamo il Signore, chiedendogli di aprire i nostri cuori perché diventino capaci di cogliere la sua presenza.
VENERDI’ 23 MARZO 1990
“Non chiameremo più “Dio nostro” l’opera delle nostre mani” (Os 14,4)
Quando capita di vedere qualche film che ci presenta uomini antichi o “primitivi” che adorano statue e idoli, ci sentiamo abbastanza superiori: noi con il nostro razionalismo non abbiamo più idoli di pietra o di legno?.., Poi mi chiedo: quante ore dedico ogni giorno alla preghiera e quante alla televisione? Se abbiamo litigato con queI parente per quell’eredità era poi proprio solo questione di principio o il denaro ha avuto il sopravvento sulla parentela, sull’amicizia? Nel mio posto di lavoro rispetto e amo tutti allo stesso modo o qualche salamelecco in più non guasta con il “dottore” che può farmi avanzare? E allora riscopro gli idoli: quando per il lavoro sacrifico la famiglia, quando per essere alla moda sacrifico i poveri. Il parco idoli aumenta! “Torna aI tuo Dio” ci guida con tutta forza il profeta Osea e Dio nei suoi comandamenti ci ricorda una frase che dovrebbe essere sempre nel nostro cuore:. “lo sono il Signore, tuo Dio, non avrai altro Dio all’infuori di me!”.
ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE
La festa cade il 25, ma domani è domenica, quindi facciamo oggi memoria di due grandi “sì” quello di Gesù che viene nel mondo a donarci la sua vita e quello di Maria che dice di “sì” a Dio, a Gesù, e dice di “sì” a nome di tutta l’umanità.
“Allora Maria disse all’Angelo: Come è possibile?”. (Lc.. 1,34)
All’annuncio dell’angelo Maria dice di sì: é pronta, disponibile, gioca. la sua vita su Dio ma a me piace molto questa domanda umile, discreta, profondamente umana: “Com’é possibile?” Tu, Signore,, mi chiedi di convertirmi. Io mi conosco: com’é possibile? Tu mi chiedi di perdonare quell’uomo che ha infangato il mio onore e la mia rispettabilità: com’è possibile? Signore ho dei dubbi su quello che mi indichi come strada. da seguire. Come è possibile che io con le mie poche forze, con il mio soffrire silenzioso riesca ad aiutare quel mio figlio che si sta allontanando sempre più dalla fede, dai valori? Maria dice di sì ma chiede anche lei e come a Lei anche a noi Dio risponde dicendo: “Nulla è impossibile a Dio”. (L.c 1,37)
DOMENICA 25 MARZO 1990 - 4^ DOMENICA DI QUARESIMA
“A coloro che lo interrogavano rispose: “Una cosa so: prima ero cieco, ora ci vedo”. (Gv. 9,25)
Oggi ci viene presentato il brano del cieco nato, un brano ricco di riferimenti significativi a riguardo della fede in Gesù. Il problema grave non è il cieco. Sono gli altri. Guarire il cieco, per Gesù, risulta relativamente facile. Purtroppo non riesce ad aprire gli occhi a coloro che dicono di vederci benissimo e continuano ostinatamente a tenerli chiusi. Al cieco è bastato.., il miracolo! Per questi altri il miracolo non può farci nulla. Almeno fino a quando continueranno a dire: “Noi vediamo”. Gesù non può miracolare ieri come oggi, coloro che pretendono di vedere a occhi chiusi e coloro che ciechi volontari, hanno la presunzione di illuminare, ossia accecare gli altri.
LUNEDI’ 26 MARZO 1990
“Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù, e si mise in cammino”. (Gv. 4,43—54)
Una figlia che sta morendo: ci si attacca a tutto e questo padre ha il coraggio di perdere anche un po’ di faccia chiedendo aiuto a Gesu, ma deve avere anche dell’altro coraggio: deve fidarsi di una parola detta a distanza e deve partire. La fede è sempre fatta di questi due verbi: credere e mettersi in cammino. Non basta né uno, né l’altro: occorrono tutti e due: se credi soltanto non vedi il risultato, se cammini solo, rischi di non saper dove andare. E’ inutile fare grandi cose se non sai perché le fai ed è esteriorità riempirsi la bocca di parolone e poi non concretizzarle in un cammino. Parti anche tu sulla parola, non indugiare anche se è ancora buio, per la strada troverai un compagno che se anche stenterai a riconoscere ti porterà alla sua cena e si svelerà spezzando il suo pane con te.
MARTEDI’ 27 MARZO 1990
“Signore, non ho nessuno che mi immerge nella piscina, quando l’acqua si agita”. (Gv. 5,7)
Nella lunga fila delle persone che ogni giorno bussano alla porta della parrocchia ho sentito storie di ogni genere: tanta povertà che a stento uno riesce ad immaginarsi, bisogni reali o fittizi, fantasie, scrocconaggi... L’uomo che mi stava davanti, sui quarantacinque anni, poteva essere uno dei tanti (l’abitudine a volte rende duri.., spesso si lascia parlare e poi te la cavi con un’offerta). Ma il discorso divenne lungo ed ebbi davanti a me un uomo completamente solo: una famiglia sbagliata, sette od otto ricoveri in ospedale psichiatrico, una assistenza sociale che non riusciva a trovare la strada umana per aiutare davvero, un uomo che, con tutti i suoi limiti, piangeva la sua solitudine. Nella mia povertà, e forse nella mia grettezza, non sono riuscito a far niente per questo uomo se non dirgli la mia solidarietà e impotenza. Ma ho capito che cosa voglia dire sentirsi solo, incapace senza che alcuno ti possa dare una mano, un po’ come l’uomo del vangelo di oggi che si vedeva superato nella sua speranza di salvezza solo perché non aveva nessuno che gli desse la mano giusta al momento giusto. Non sono riuscito a risolvere quei caso ma sempre più mi rendo conto che la vera carità deve avvalersi di tutti i mezzi organizzativi immaginabili ma non deve mai dimenticare l’uomo. Quando quell’uomo se ne è andato mi ha detto: “Franco, mi sei almeno un po’ amico?”.
MERCOLEDI’ 28 MARZO 1990
“Giubilate, o cieli, rallegrati, o terra; gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo”. (ls. 49,13)
E’ questo l’annunzio per cui oggi siamo invitati a gioire. Dio non ci abbandona, non si dimentica di noi; questo è l’annuncio del profeta Isaia a un popolo sfiduciato, disperso, provato da mille calamità. Forse è una tentazione anche nostra quella di incolpare Dio per ogni fallimento che subiamo, per tutte le cose che non vanno secondo i nostri progetti. Dobbiamo imparare a non misurare la vicinanza di Dio secondo la prosperità dei nostri affari. Nemmeno la morte, il limite invalicabile, l’insuperabile ostacolo che relativizza ogni impresa umana, può in qualche modo allontanare l’uomo da Dio, secondo Gesù: anzi, chi ascolta la sua parola e crede in colui che l’ha mandato, può già fin d’ora superare l’ostacolo della morte. Ma occorre che ci interroghiamo seriamente: davvero per noi la vicinanza di Dio è più importante di qualunque altra cosa? Davvero noi ascoltiamo la parola di Gesù e lasciamo che guidi la nostra vita?
GIOVEDI’ 29 MARZO 1990
“Se voi credeste a Mosè, credereste anche a me: di me infatti egli ha scritto”. (Gv. 5,46)
La testimonianza delle Scritture è decisiva per poter riconoscere in Gesù il compimento della storia della salvezza. Il rischio che possiamo correte anche noi è di prendere la Bibbia come una miniera di informazioni su ciò che chiamiamo, genericamente, la “religione”; considerare cioè la Scrittura come un libro per uomini “devoti”, che parla di Dio, degli angeli, dell’aldilà... Ma la parola di Dio, e tanto più quella parola di Dio che è Gesù di Nazareth, è parola rivolta ad ogni uomo; è parola decisiva, che provoca a riflettere su ciò che ogni uomo sperimenta: vita e morte, amore e odio, libertà e schiavitù... Solo se siamo capaci di lasciarci attirare nell’universo di questa parola, sapremo anche noi riconoscere ciò che Dio continua a operare anche ai nostri giorni, e potremo così rendere testimonianza al dono di Dio che supera ogni nostra speranza, e in cui troviamo la forza e la pace per vivere da Cristiani.
VENERDI’ 30 MARZO 1990
“Allora cercarono di arrestano”. (Gv. 7,30)
La morte di un innocente suscita un senso di profonda ribellione, ma può essere conseguenza di un errore giudiziario, commesso da giudici in buona fede. Ben più grave è la condanna consapevole di un giusto riconosciuto come tale. La decisione di sopprimerlo non può che derivare dal fatto che gli uomini non sopportano che qualcuno, con l’esempio e con la parola, li ponga inesorabilmente di fronte all’esigenza di cambiar vita. Signore Gesù, tu non hai esitato ad affrontare il pericolo per insegnare nel tempio e rendere testimonianza a colui che ti aveva mandato. Aiutaci a non tirarci indietro anche quando sentiamo l’ostilità crescere intorno a noi e donaci la libertà interiore necessaria per svolgere la nostra missione fino all’ora stabilita da te.
SABATO 31 MARZO 1990
“Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea!”. (Gv. 7,52)
Ci sono alcune categorie di persone che sono proprio difficili da digerire. Una di queste é quella dei saccenti, di coloro che si sentono talmente in gamba che si permettono di giudicarti e di mandarti...a quel paese!
Li trovi ovunque: in ufficio: “Ma come, non sai ancora come si fa!”
nei negozi:
“Ma si figuri, signora, quella mia vicina...
“in parrocchia: “Noi, nel nostro gruppo si che siamo forti... Noi abbiamo fatto...”
E si fermassero qui, ma per di più ti giudicano: “Quello é un ignorante, quell’altro è privo di savoir-faire, il terzo è un cristiano di seconda categoria perché non sa che cosa sia “escatologia” o “teologia della liberazione”.
In questa pagina di Vangelo i farisei si permettono di mandare Nicodemo a studiare perché: “non sorge profeta dalla Galilea”. E guarda un po’: il Figlio di Dio, quasi a farlo apposta, viene proprio di lì.