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UNA PAROLA AL GIORNO
RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA
PAROLA DI DIO
a cura di don Franco LOCCI
“Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Lc. 21,33)
Ci sono pagine del Vangelo esaltanti, piene di bellezza, pagine confortanti, pagine che ti aiutano in momenti di particolare difficoltà. Invece ti trovi poi davanti a pagine che vorresti cancellare: Gesù diventa esigente: abbandonare tutto, essere poveri, amarlo più dei familiari, perdonare settanta volte sette, non voltare mai il capo, dopo la scelta del regno, tagliarsi la mano che scandalizza, porgere l’altra guancia, amare il nemico, dire: “Sia fatta la Tua volontà”...
Qualche volta mi è venuta la tentazione di censurare dal Vangelo alcune frasi. Prova però a pensare ad un Vangelo senza questo! Il Vangelo perderebbe il suo gusto, Gesù il suo volto, e noi la capacità di alzare il capo per tentare l’impossibile umano di “esser, perfetti come è perfetto il Padre, nostro che è nei cieli”, ma anche la capacità di sperare oltre i nostri poveri limiti.
L’anno liturgico termina oggi con questo invito di Gesù: è un po’ il riassunto di tutto il cammino di questo anno di sequela di Gesù. Gesù è colui che ha cambiato e cambia il mondo, ma è anche colui che passa silenzioso, che giunge di notte a bussare alla tua porta: è facile perdere l’appuntamento, è facile trovarsi impreparati o peggio sonnolenti e allora l’unica strada è stare attenti, vegliare, non con addosso la paura ma con la trepidazione di essere desti per cogliere gli avvenimenti della nostra storia della salvezza. E pregare sempre non come mormorazione continua di preghiere o formule ma come cuore sempre rivolto a lui, come vita che trasforma il banale quotidiano in inno di lode e di ringraziamento, come comunione di vita fraterna che diventa anche comunione con Dio. La vigilanza è dunque la capacità cristiana di leggere in profondità gli avvenimenti e la preghiera colei che ci aiuta a leggerli con Dio e a lui farli tornare.
“Siate pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà” (Mt. 24,44)
Il tempo di Avvento è un avviso per noi, un invito a “stare all’erta”, a recuperare i valori fondamentali della vita. L’immagine del Signore paragonato a un ladro che viene nel cuore della notte esprime in modo significativo la necessità di una continua vigilanza. “Ecco io sto alla porta e busso” (Ap.3,20). Ad ogni ora della storia la Chiesa corre il rischio di non udire colui che batte alla porta per risvegliare i cristiani ai richiami dello Spirito. Oggi più che mai, la Chiesa e i cristiani devono svolgere un ruolo profetico di contestazione nei confronti di un mondo addormentato che rischia di perdere la propria anima. Come fare per tenerci svegli, per lasciare dilagare nella nostra vita una corrente di acqua viva che ci sospinga al servizio generoso del Regno? Come fare a non essere colti di sorpresa dal giudizio, alla sera della nostra vita, alla sera del mondo?
Quante volte nell’inverno, passando in campagna e vedendo le piante senza foglie, scheletrite sullo schermo bianco della neve si è portati a pensare alla loro morte. Basta il raggio della primavera ed ecco il rinascere e il rifiorire. Quante volte Israele, la Chiesa, noi siamo piante morte, apparentemente senza vita, quasi inutili spettri. Bisogna lasciarsi mondare dal sole. Dio promette, e a suo tempo manda Gesù, nuovo polline di Israele. Dio fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi ed ha fiducia che anche l’albero più rinsecchito possa portare frutto. Si racconta che chicchi di frumento trovati nelle piramidi e seminati abbiano germogliato a migliaia di anni di distanza. Dio non perde mai la speranza nell’uomo. Ne avrebbe mille motivi. Ma se ci lasciamo scaldare dalla sua Grazia e dalla sua parola, Cristo potrà germogliare in noi con la sua vita nuova e allora sarà.., primavera!
Una canzone di qualche anno fa diceva:
“Guardo come vesti e ti giudico, guardo come parli e ti giudico...”. Spesso il mondo e noi giudichiamo dalle apparenze, secondo i nostri pregiudizi, per sentito dire... Anche tra cristiani spesso guardiamo all’esteriorità e diciamo buono chi sembra pio, cattivo chi non va in chiesa, superbo chi parla poco e così via. Ma l’esteriorità spesso non corrisponde alla realtà profonda: una scorza burbera spesso nasconde un animo buono, il pio a volte è un censore assoluto degli altri. Il Signore non guarda le apparenze. Possiamo anche ingannare il mondo intero, ma Lui ci guarda dentro. “Tu mi scruti e mi conosci” pregava un salmo e un altro “Anche andassi sulla più alta montagna o scendessi nel profondo del mare tu sei là”. Davanti a Dio non ci si può nascondere, non si può barare. Ma se tutto questo ci invita alla sincerità e semplicità, ci conforta anche il sapere che la minima cosa buona, anche la più nascosta non andrà perduta.
Si sta avvicinando il Natale. Mi pare che questo racconto ci aiuti ad attualizzare il senso di questa festa e dell’invito che Gesù ci fa oggi con la sua parola. E’ vicino il Natale, in un ricovero per anziani. Tutti si danno da fare per spedire qualche cosa; una vecchietta, in un angolo, mastica la sua solitudine. Non ha più nessuno al mondo, salvo un figlio. Non proprio un galantuomo, infatti è in galera. Ma questo per lei non conta, vorrebbe preparare anche lei un pacco per il suo ragazzo. Sa cosa farebbe piacere a suo figlio, un certo tipo di tabacco, ma come procurarselo? Lei non ha soldi per comprarlo. Ah, forse i suoi occhiali sono un’ ottima merce di scambio. Percorre in lungo e in largo il reparto maschile, finché trova un vecchietto disposto allo scambio. La donna si allontana soddisfatta. Ora anche lei ha il suo pacco da spedire. Eccola di nuovo nel suo angolo, un velo è sceso davanti ai suoi occhi stanchi; e compie il gesto meccanico di assestarsi gli occhiali, che non ci sono più. Ma non le importa, sorride tra sé al pensiero del suo ragazzo e del tabacco prezioso.
Quando, pochi giorni prima del matrimonio, incontro gli sposi per scegliere con loro le letture della Messa è molto facile che scelgano il Cantico dei Cantici “perché è una bella poesia d’amore” e la casa sulla roccia “perché siamo sicuri che il nostro amore durerà”: glielo auguro di cuore anche perché vediamo sempre più famiglie che per causa propria o per influenza di altri si disgregano, eppure erano partite con ottime intenzioni. Fare un progetto è abbastanza facile, specialmente quando il sentimento ci mette la sua parte, ma poi scavare nella roccia è duro e difficile e ti dà l’impressione che invece di costruire all’insù, stai scavando all’ingiù.
La roccia è Dio (che puoi chiamare con vari nomi: Amore, Giustizia, Perdono...) e Dio è mistero. Gli utensili che noi abbiamo, poi, spesso non sono i migliori. Ma è solo se ci attacchiamo all’Eterno che siamo sicuri di non cadere nel tempo.
PREGHIERA Dl PAOLO VI (Milano 1955)
“O Maria immacolata, tu che vivi beatissima nella visione di Dio Padre che fece di te alta creatura, di Dio Figlio che volle da te essere generato uomo e averti sua madre, di Dio Spirito Santo che in te compì la concezione umana del Salvatore, lascia che le nostre anime volino dietro a te, lascia che salgano dietro il tuo radioso cammino, trasportate da una speranza che il mondo non ha, quella della beatitudine eterna. Confortaci dal cielo, o Madre pietosa, e per le tue vie della purezza e della speranza, guidaci un giorno all’incontro beato con te e con il tuo Divino Figlio, il nostro Salvatore Gesù.”
Com'é possibile? Non conosco uomo! (Lc 1,34)
Mi ha sempre colpito la concretezza di Maria. Oggi si parla di educazione sessuale; Maria è concreta, sa che per avere un bambino ci vuole un rapporto: “Quale strada devo seguire?” chiede all’Angelo. L’Angelo le risponderà che sarà lo stesso Spirito di Dio a pensarci. Troppe vite di Maria, inventate o fatte passare come rivelate e troppa falsa spiritualità pelosa ha teso a presentarci una Maria disincarnata dai problemi, talmente dedita a Dio che neanche l’ombra di problemi come quelli di un mondo, di un rapporto, la tocchino. No! Maria è ben informata, è intelligente, è concreta, Dio si incarna, prende un corpo concreto in una donna concreta. E’ così che ti sento donna e madre o Maria. Talmente attenta e concreta che allora so di .poter affidare a te le mie preoccupazioni convinto di non riporle nelle mani di chi mi dice solo “pregherò per te” ma di chi oltre a pregare ha già cominciato a lavorare per me.
Oggi si parla sempre più spesso di crisi di vocazioni e, specialmente nei nostri paesi ricchi, questa crisi si fa particolarmente sentire. Parrocchie di oltre diecimila persone hanno un solo sacerdote, ordini religiosi si trovano a dover chiudere case per mancanza di religiosi e religiose. I motivi possono essere tanti: dal benessere alla mancanza di generosità, dal non saper proporre certi valori al cattivo esempio di certo clero... Certo è che tutto questo rischia ancor di più lo scadere della religiosità. E Dio che cosa fa? Si dimentica del suo popolo? Non credo : se Gesù ha pregato e ci ha invitato a pregare per chiedere vocazioni. Il Signore propone continuamente.
Diceva già S. Giovanni Bosco: “Ho fatto esperienza dei giovani: un terzo di loro porta in germe la vocazione sacerdotale o religiosa”. E’ l’uomo che ha paura di seguire questa avventurosa chiamata ed anche l’altra chiamata, comune a tutti i credenti, quella della santità, spesso si abbatte contro il muro della mediocrità.
“Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi per la gloria di Dio” (Rm. 15,7)
Tra le indicazioni che ci vengono dal tempo dell’Avvento per poter ricevere veramente Colui che viene è l’accoglienza del fratello. Presso gli ebrei e tutti i popoli orientali l’accoglienza era sacra:
l’ospite è Dio stesso che viene a trovarci. Oggi, specialmente nel tessuto umano delle nostre città, nell’anonimato in cui viviamo, nella solitudine tumultuosa, la diffidenza, la paura, il comodismo spesso minano i nostri rapporti umani. Si invita la persona illustre perché dà prestigio, si invitano gli amici spesso per doveri di relazioni sociali, ma è sempre più difficile che le nostre case e soprattutto il nostro cuore siano aperti all’accoglienza gratuita, gioiosa, disponibile. S. Paolo ci ricorda che Cristo ci ha accolto così come eravamo, non perché eravamo buoni, non perché appartenevamo a questo o a quel gruppo sociale ma perché ha visto in noi dei fratelli e ha messo a disposizione la sua vita. Se noi riuscissimo a vedere nel prossimo “il mio fratello” avremo più disponibilità all’accoglienza e forse contribuiremo a superare un po’ paure e diffidenze per ricreare almeno in parte un tessuto umano più vivibile.
“Alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a Gesù”. (Lc. 5,18)
In questi giorni è venuto a trovarmi un giovane. Quasi non lo conoscevo più. Aveva il volto raggiante, voleva dirmi che si era sposato, era diventato papà: era “l’uomo più felice della terra”, voleva dirmi grazie perché in un momento di tristezza, di abbandono della sua famiglia, di disoccupazione, di tentazione di farla finita, lo avevo aiutato a ritrovare i suoi valori e la fede che era rimasta soffocata in mezzo a tutte queste angosce. Parlando mi diceva che ora stava cercando di fare la stessa cosa con un operaio suo compagno. In certi momenti della vita anche noi abbiamo bisogno di amici veri per andare da Gesù. Il paralitico se non avesse avuto degli amici intraprendenti e generosi, da solo non sarebbe mai potuto arrivare a Gesù e così ottenere la guarigione.
“Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua gloria e come un fiore del campo. Secca l’erba, il fiore appassisce ma la Parola del nostro Dio dura sempre.” (Is. 40,7—8)
Davanti alla finitezza dell’uomo si possono avere le reazioni più diverse:
Dimenticarsene: sono coloro che vivono pensando che tutto sarà sempre così, coloro che pensano che gloria, onore, potere, denaro.., dureranno per sempre, quindi bisogna accumularli.
disperandosi: “Non c’è niente che vale: perché preoccuparsi? La vita non è bella, è una beffa!”
godendosela: “Se tutto finisce, tanto vale che strappi alla vita ogni gioia possibile”.
Rifugiandosi in un futuro che si vuoi comprare con i nostri “meriti”: “soffri.., poi godrai Quale dovrebbe essere l’atteggiamento del cristiano? Innanzitutto la vita è un dono gratuito di Dio, buono in sé sia nelle sue manifestazioni gioiose che di sofferenza, vale la pena viverla pienamente. Le cose di questa terra però non sono uniche, eterne, sono mezzo per scoprire e per giungere all’Amore Eterno che è Dio. E’ Lui che conta... e poi Lui farà il resto.
“Il mio giogo e dolce e il mio carico leggero”. (Mt. 11,30)
Uno degli aspetti più belli della vita di un prete in una parrocchia è di essere sempre a contatto con l’umanità (qualche volta persino troppo, allora si sente il bisogno di disintossicarsi un po’). E questo continuo contatto ti fa scoprire quante croci ci sono nel mondo: ce n’è proprio una per uno! Ma quali e quanti sono anche i modi di portare la croce! C’è il fatalista: “Doveva capitare! non posso farne a meno, la porto!” C’è chi non vuol riconoscerla e cerca di nascondersela. C’è chi grida contro di essa e contro Dio: “La croce è una palese ingiustizia”. Chi (specialmente con le croci degli altri) dice: “Soffri, intanto c’è un paradiso in cui godrai “. Gesù è realista: seguirlo non è facile: il perdono, la povertà, la rinuncia sono un “carico, un “giogo” Esso pero può diventare “leggero” e “soave” se sai che Lui lo porta con te e se invece di imprecare nel cammino sotto il suo peso, sai vederlo come segno di amore per Dio e per i fratelli.
Mi raccontava un maturo magistrato che all’epoca della sua giovinezza, un insegnante universitario, saputo che lui era cristiano praticante gli diceva: “Tu credi a Dio, ma non vedi nella tua Chiesa quanto marcio c’è in essa, quante ingiustizie, quanto potere viene esercitato, quanti soldi usati malamente? La tua Chiesa presto scomparirà come sono scomparsi i grandi imperi e con essa sparirà anche il tuo Dio.” E quello studente gli rispose così: “La ringrazio professore perché lei mi ha dato una prova in più per l’esistenza di Dio: se nonostante i grossi peccati della Chiesa, le eresie, l’inquisizione, gli inquinamenti politici, questa Chiesa è ancora viva ed ha superato prove ben peggiori di oggi, non è certo per merito suo, ne perché il Signore stesso ne ha avuto pietà, la ama e la guida”. E’ proprio vero che come singoli e come Chiesa spesso siamo “un vermiciattolo scelto, fondato, sorretto dalla misericordia di Dio.
“Io sono il Signore che ti insegno per il tuo bene, se avessi prestato ascolto ai miei comandi, il tuo benessere sarebbe come un fiume”. (Is. 48,17 - 18)
Dio da sempre ha indicato la strada all’uomo: è suo figlio, gli vuole bene. Ma l’uomo, dall’Israele della storia all’uomo contemporaneo, ha sempre preferito fare di testa sua. L’uomo desidera la pace: Dio ci insegna a fondarla su di Lui, a dare la vita per il fratello; l’uomo preferisce fidarsi dei suoi trattati basati su politiche, inganni e compromessi: togli due missili tu che due li tolgo anch’io... intanto ne compriamo duecento nuovi che “serviranno a continuare a garantire la pace!” L’uomo vuole aiutare il fratello che muore di fame ma intanto inneggia al consumismo. L’uomo cerca la giustizia ma pur avendo vinto la schiavitù mai come oggi è stato schiavo delle cose e delle macchine. Non c’è pace, non amore, non giustizia vera e duratura se non sono fondate su qualcosa di duraturo: Dio, l’Eterno.
“Verrà Elia e ristabilirà Ogni cosa”. (Mt. 17,11)
Tutti gli uomini sulla terra attendono qualcosa. La nostra stessa condizione di finitezza ci fa attendere un completamento. Gli antichi attendevano un dio che risolvesse i problemi dell’uomo, gli Ebrei attendono il Messia, I cristiani, pur avendo già avuto la venuta di Gesù attendono il suo nuovo ritorno per il regno definitivo. E tutti a cercare dei segni che indichino l’approssimarsi di queste venute. Proprio nell’era della scienza, della tecnica, sempre più vi sono persone che cercano segni per dire che “la fine del mondo è vicina il cristiano attende. Il cristiano prega: “Vieni presto Signore Gesù” ma il cristiano non deve dimenticare di essere lui stesso chiamato ad operare a questo compimento: ogni volta che opero giustizia, pace, perdono, amore... collaboro a che il Regno di pace e di amore che Dio vuole venga un po’ di più.
Sembra strano che Giovanni Battista che con tanta forza ha annunciato Gesù, che per fedeltà è finito in carcere, che indicando Gesù l’ha chiamato “Agnello di Dio”, che al Battesimo ha sentito la voce del Padre che diceva: “Questi è il mio Figlio diletto”, ora nella sua tetra prigione viene assalito dal dubbio. La sua domanda attraversa i secoli e risuona più viva che mai in un’epoca in cui ci troviamo disorientati di fronte all’apparente silenzio di Dio nella società scristianizzata. Non ci spaventi il dubbio, ma ci accompagni sempre la ricerca dei segni della venuta del Salvatore. Saranno segni esili, ma ovunque si cerca nel nome di Gesù, di realizzare la giustizia, la pace, l’aiuto, l’amore, lì c’è il Signore.
“Destatosi dal sonno, Giuseppe, fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. (Mt. 1,24)
Quando viene detto che Giuseppe è l’uomo giusto, l’uomo che vive di fede, non c’è esagerazione. Trovandosi davanti al mistero Giuseppe cerca prima una soluzione umana. Ma già qui si vede il rispetto per Maria (non vuole ripudiarla pubblicamente), il suo riflettere sulle cose, il suo cercare di vedere Dio che agisce nella storia! Quando poi ha la certezza che Dio lo ha scelto per una missioni, tace davanti al mistero, si rende disponibile, dice il suo si nella contemplazione. Giuseppe sparirà anche nel Vangelo: di lui non si sa più molto: non è uno che fa molto rumore ma uno che stando al suo posto in silenzio fa spazio a Gesù che viene a salvare tutti. E nella Chiesa succede la stessa cosa: c’è chi suona la grancassa per mettersi in mostra. Ma non di Gesù, vende solo fumo e rumore e c’è chi sparisce perché riconosce il posto del Signore e Gesù gli dirà grazie perché sparendo ha fatto sì che Lui potesse amare e salvare.
“Non avevano figli perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni”. (Lc. 1,7)
Oggi ti trovi davanti ai casi più opposti: dalla coppia che cerca di avere un figlio in tutte le maniere e si arriva addirittura a far nascere il figlio di una nell’utero di un’altra, a chi con molta facilità dei figli se ne libera come se fossero un pacchetto indesiderato che si butta nell'immondizia. Che Dio scelga due anziani per far nascere il Battista a me sembra che oltre agli altri significati biblici stia a significare l’amore di Dio per la vita. Anche da ciò che è sterile può nascere la vita. Bisogna però aver fiducia. Non devo mai dire: “Il mio cuore è fatto così..., non sarò mai capace di amare... sono vecchio...” Renditi disponibile a Dio, lasciati lavorare da Lui, fidati del suo amore e anche se fossi un ramo secco, un peccatore incallito nell’abitudine e nel male, Dio potrà far fiorire il tuo cuore: basta un po’ d’acqua e anche il deserto diventa un prato lussureggiante.
“Ecco concepirai un Figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. (Lc. 1,31)
"Lo chiamerai Gesù". In questo nome è racchiusa la storia dell'umanità e l'amore di Dio per essa. Ma questo nome tanto amato è anche il nome più vituperato della storia. E' il segno di contraddizione. L'uomo davanti a Lui non può essere indifferente: o con Lui o contro di Lui. E' Lui la pietra angolare che i costruttori hanno scartato ma che è diventata la testata d'angolo. Gesù chi sei per me? Un grande personaggio della storia? Colui che meglio di tutti gli altri ha capito il cuore dell'uomo e che ha dato la risposta più universale ai suoi interrogativi? Sei Colui che cambia ancora oggi il mio modo di vivere? Sei morto e sepolto in un libro in una Chiesa o sei il vivente che mi interpella e che mi apre all'amore misericordioso del Padre? Pensando a Maria che ti mette questo nome vorrei essere come Lei che sa accoglierti con semplicità e tanto amore e ti chiedo anche la fede di quel centurione romano che sotto i piedi della croce dirà: "Costui è veramente il Figlio di Dio.
GIOVEDI’ 21 DICEMBRE 1989
“In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda”. (Lc. 1,39)
E’ un viaggio lungo e difficile, quello che Maria compie per un gesto d’amore nei confronti della cugina anziana che aspetta un bambino. Maria porta Gesù nel suo cuore dalla Galilea verso Gerusalemme: e lo stesso viaggio che tanti anni prima aveva fatto Davide trasportando l’Arca dell’Alleanza e sarà lo stesso viaggio che farà Gesù per andare a regalarci la sua vita morendo sulla croce a Gerusalemme. “Tre viaggi, quello dell’arca, di Maria e di Gesù, che segnano tutti lo stesso cammino di Dio diretto verso l’umanità vecchia e bisognosa, gravida di un nuovo uomo che per la gioia della vicina salvezza sussulta nel grembo di sua madre.” (A. De Dominicis).
“Maria disse: L ‘anima mia magnifica il Signore”. (L.c. 1,45)
Maria, la silenziosa, quando parla si esprime con parole che non sono sue ma sono le stesse parole di Dio. La preghiera, la lode del Magnlficat infatti non i altro che una sintesi del canto di Anna (1 Sam. 2,1 - 8) e di altri salmi di lode. Maria è talmente umile che non usa parole sue (pensate alla differenza da coloro che in apparizioni pretendono addirittura di farla parlare per anni consecutivi) ma lascia che la Parola di Dio, parli per lei. Penso debba servire da esempio a noi che siamo dei parolai inguaribili anche nella preghiera. Maria è talmente abituata a leggere e meditare la Parola di Dio che è la stessa parola a pregare dentro di lei. Anche i cristiani dovrebbero essere coloro che avendo “masticato” tanta Parola di Dio, sia quando parlano che quando agiscono sono la risonanza vivente di questa parola.
“Fammi conoscere, Signore le tue vie, insegnami i tuoi sentieri”. (Sal 24,4)
Mai, come in questi giorni prima di Natale, la preghiera del salmo è così importante. In questi giorni le vie si affollano, corriamo dietro al regalo, ai preparativi della festa. La pubblicità bombarda ormai da mesi, per essere alla moda bisogna che il. pranzo di Natale sia fatto così e così... i regali.., le gite... Ma si rischia di preparare e poi consumare una festa senza che ci sia il festeggiato. Tutto grida “Buon Natale, ma Natale di chi? Natale dolce favola per bambini? Natale festa della tredicesima? Un Bambino bussa alla porta del cuore e del mondo, ma in mezzo ai rumori di una festa che dovrebbe essere organizzata per Lui, neppure sentiamo questo bussare e il Bambino come migliaia di altri nel mondo rischia di morire di fame e di freddo. “Fammi conoscere, Signore le tue vie, insegnami i tuoi sentieri!”.
DOMENICA 24 DICEMBRE 1989 (4^ Domenica di Avvento anno A)
Un racconto per Natale:
“A quel tempo avevo due flauti: uno lo suonavo di giorno, l’altro di notte: quello che suonavo di giorno era un flauto normale ma quello che suonavo di notte era speciale: l’orecchio umano non lo avvertiva, e così potevo suonare senza disturbare i pastori che dormivano. Ma gli angeli, loro sì che lo sentivano! Ogni volta che suonavo arrivavano in gran numero, e mi ero fatto molti amici tra di loro. E tu, hai qualche angelo per amico? Una notte avevo appena finito di suonare e tutti gli angeli se ne stavano andando via tutti, tranne uno, che mi si avvicinò. Dai suoi occhi capii che aveva un segreto. Lui infatti si chinò su di me e mi bisbigliò nell’orecchio il Grande Segreto. Sì, ragazzo, il Grande Segreto. La sera seguente convinsi gli altri pastori a venire con me, dicendo loro che era nato un bambino tutti amano i bimbi, sai. Quando arrivammo, essi andarono subito ad ammirare quel bimbo appena nato e a congratularsi con i genitori. Ma io, io mi inginocchiai davanti a lui. Che altro potevo fare? Alla fine il padre mi fece rialzare. ‘Vedo che hai due flauti”, disse. ‘Suoneresti per il bambino? Ah no, risposi. Nessuno dei due va bene. Questo suona solo per gli uomini, e questo solo per gli angeli. Il padre rise. “Capisco” disse. ‘Devi sapere che io sono un falegname come mio padre, ma uno dei miei antenati era un pastore come te, e anche lui suonava il flauto. Ma poi lo fecero re, e da allora sentì dentro di sé che non doveva più suonare quel flauto. Lo mise da parte e lo ritrovarono solo quando morì. E’ stato tramandato di padre in figlio, da molte generazioni. Dicevano che fosse il buon pastore. Non ho mai permesso a nessuno di suonarlo, ma stanotte sono così felice! Ecco, prendilo. Suona, ti prego. Suonai. Ragazzo mio, quella notte mi sentirono anche gli angeli e le stelle. Fu il mio grande momento. Tutti gli angeli, tutte le stelle accorsero a quel richiamo. Il falegname mi lasciò il flauto. E’ questo. lo ormai sto invecchiando e vorrei darlo a qualcuno, ma nessuno lo vuole. Preferiscono tutti le parole! Pensa un po’, credono di poter annunciare il Grande Segreto con le parole!. (Teofane il Monaco)
"Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama". (Lc. 2,14)
Nel giorno di Natale del 1921 Ghandi diceva così:
"lo vi dirò, in questo giorno di Natale, quali impressioni ha prodotto in me la storia del Cristo così come è raccontata nel Nuovo Testamento.
Quando lessi il Nuovo Testamento e il discorso della montagna, cominciai a capire l'insegnamento di Cristo. Questo insegnamento era di non vendicarsi e di non rendere male per male. Di quanto lessi, ciò che mi si fissò nella mente era che Gesù venne a stabilire una legge nuova: non più occhio per occhio e dente per dente, ma disposizione a ricevere due schiaffi quando te ne danno uno e a fare due chilometri se ti si chiede di farne uno soltanto. Approfondendo il mio contatto con alcuni veri cristiani, cioè con degli uomini che vivevano per Dio, mi accorsi che il discorso della montagna era tutto il cristianesimo per colui che vuole vivere una vita cristiana. E' questo discorso che mi ha indotto ad amare Cristo. Leggendo tutta la storia di quanto Cristo ha compiuto, mi pare che il cristianesimo non sia ancora stato realizzato, a meno che non si ammette che là dove si scopre un amore senza limiti e là dove non esiste alcun pensiero di vendetta, ci sia un cristianesimo vivente, al di là di ogni etichetta, e di tutti gli insegnamenti dei libri. Ma non è affatto così che, generalmente, si capisce il cristianesimo. Nella vita di una religione duemila anni possono essere poco. Effettivamente, benché noi cantiamo "Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra", oggi non c'è sulla terra né gloria di Dio né pace. Finché l'anelito alla pace resterà insoddisfatto e finché non avremo sradicato la violenza dalla nostra civiltà, il Cristo non è ancora nato. Quando la pace autentica si sarà affermata, ogni dimostrazione sarà inutile, tale sarà l'irradiazione della nostra vita non solo individuale ma anche sociale. Solo allora diremo che il Cristo è nato in mezzo a noi. Allora non penseremo tanto a un giorno che è un anniversario, ma a un avvenimento che può realizzarsi in tutta la nostra vita. L'importante è vivere la vita che non si ferma mai, che sempre avanza verso la pace. Se, dunque, si augura un "Buon Natale" senza dare un senso profondo a questa frase, tale augurio resta una semplice formula vuota. Chi non vuole la pace per tutti non la vuole nemmeno per se stesso. La pace non è possibile se da tutte le parti, contemporaneamente, non c'è una intensa aspirazione alla pace. E' possibile, certo, sentire la pace anche in clima di lotta, ma solo alla condizione di sacrificare e di crocifiggere se stesso per far scomparire le cause dei conflitti. Sicché, come la nascita miracolosa è un avvenimento, anche la croce è un avvenimento in questa vita di lotta. Ecco perché noi non abbiamo diritto di pensare alla Natività senza pensare anche alla morte di Croce. Cristo vivo significa Croce viva. Senza di essa la vita non è che una morte agitata".
E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”. (At. 7,59)
Il racconto della “passione” di Stefano, così come presentato dagli Atti degli Apostoli, mi ha sempre colpito: è una sintesi del racconto della passione di Gesù: addirittura le stesse parole di Gesù! Che S. Luca abbia un po’ barato? O piuttosto S. Luca non avrà voluto dirci qualcosa che ci riguarda da vicino? Essere cristiani non è un titolo onorifico per “signori che scuciono grandi somme per la Chiesa o un comodo modo per “comprarci Dio e il paradiso nel caso ci fosse”.
Essere cristiani significa essere come Cristo: come Cristo significa venire nel mondo per “compiere la volontà del Padre, “significa come Lui lottare per liberare noi e l’uomo dal male, dalla morte, significa come Lui di accettare di morire per vivere, insomma significa diventare delle “originali copie” di Lui oggi nel mondo.
“Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi”. (Gv. 1,3)
Ci si chiede perché l’annuncio e la testimonianza cristiana spesso non abbiano mordente, pesa sull’animo della gente. Si scomodano teologi, sociologi, si parla di secolarizzazione, di livellazione in basso dei valori... Tutto vero, ma penso che uno dei motivi fondamentali sia una testimonianza che non parte più da una vera esperienza di fede. Spesso noi cristiani siamo testimoni di idee, di tradizioni, di religione e non di un Cristo vivo per noi di cui abbiamo fatto e facciamo esperienza ogni giorno. E le idee, la religione, la tradizione portano con sé le finitezze della nostra umanità. E’ solo facendo esperienza di Cristo vivo che si può portare Cristo agli uomini. E’ solo se Gesù illumina la mia vita che io porterò non me stesso ma la sua luce.
“Erode mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme”. (Mt. 2,16)
Solo tre giorni fa eravamo in festa per la nascita di un bambino, il mondo si intenerisce davanti alla culla di un Dio fatto bimbo. Ma intorno a questo bimbo, l’Agnello di Dio che viene a dare la vita per gli uomini, ecco il sacrificio di tanti altri piccoli “agnellini” che per la perfidia di un uomo, danno la vita, senza ancora sapere che cosa la vita sia. La strage dei figli degli Ebrei aveva preparato la nascita di Mosè, la strage degli innocenti apre la strada al Nuovo Liberatore e fa da preludio alla sua morte. Ancora oggi ci sono nel mondo stragi di innocenti: dalle migliaia di bambini uccisi legalmente prima ancora della nascita, alle uccisioni di inermi indios in Brasile solo perché possono dare fastidio nella costruzione di una superstrada per ricchi, alle reiterate uccisioni morali che leggi ingiuste fanno pesare sulla testa dei poveri, i Genocidi sono in mezzo a noi. Che il Signore ci aiuti a non essere ipocriti fino al punto di battere le mani, farci regali, gioire per il Natale di Cristo e poi o essere indifferenti o addirittura partecipi alla morte o sofferenza di tanti fratelli innocenti
“Chi dice di essere nella luce ed odia suo fratello, e ancora nelle tenebre”. (1 Gv. 2,9)
Forse è perché sono un insicuro, perché tanti interrogativi vengono a galla nella mia vita, forse perché mi rendo conto di avere tante difficoltà a vivere da cristiano, che quando trovo uno che mi dice: “Ho la fede”, mi viene voglia di vedere in concreto come costui la vive. Troppe volte abbiamo trovato i “sicuri della fede”, sono le classiche persone che hanno una risposta a tutte le domande, che sanno risolvere i dubbi degli altri, che hanno le ricette per “la vera preghiera”, che appartengono al gruppo migliore davanti al quale gli altri spariscono. Sono l’aristocrazia della fede perché “hanno studiato” (o a volte nascondono la propria ignoranza dietro qualche parolona). E allora, da cattivo come sono, mi viene voglia di chiedere a queste persone di prendere in mano la scopa per pulire una sala di riunione o di andare con continuità ogni giorno in casa di quella vecchietta che vive con un cagnone che perde il pelo e fa i suoi bisogni dappertutto. Quando trovo qualcuno che riesce a fare questo, può anche non parlare troppo di teologia o psicologia, io al suo Dio ci credo.
“E il mondo passa con la sua concupiscenza: ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno”. (1Gv. 2,17)
Qualche volta ad un primo sguardo nella Scrittura sembra che il mondo sia sinonimo di male. Ma sia Gesù che gli scrittori sacri pur ricordandoci che il mondo nella sua terrestrità materialista è “sotto il potere di Satana” non vogliono affatto dirci che la creazione sia un male. Il cristiano ha quindi un compito, una missione in confronto del mondo. Il mondo è il luogo dove il cristiano si trova impegnato a vivere al servizio dell’uomo, per testimoniare Cristo e portare ai fratelli il suo messaggio di salvezza, ma senza confondersi con il mondo, senza accettare i suoi compromessi e i suoi modelli di comportamento, senza volerlo possedere, amandola come creatura di Dio ma non fermandosi ai suoi valori che allontanano da Dio. Io sono di terra ma il mio cuore è a misura di Dio perché questa terra di cui sono parte è figlia sua.
“Giuseppe destatosi, prese con sé il bambino e sua madre, nella notte, e fuggi in Egitto” (Mt. 2,14)
Maria e Giuseppe hanno avuto in sorte di vivere con Dio! Essi sono Coscienti di quanto straordinaria sia la loro situazione. Reagiscono con semplicità e umiltà totali. Ma la santa famiglia non era una famiglia senza problemi. Maria e Giuseppe hanno dovuto condividere la condizione di quel figlio sconcertante seguendolo passo a passo nella rivelazione del suo mistero. Anche noi possiamo vivere “in famiglia” con Dio se sappiamo accogliere la sua presenza a volte misteriosa in chi ci sta vicino, se sappiamo, come ci suggerisce oggi S. Paolo: “Avere sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di sapienza, sopportandoci a vicenda e perdonandoci scambievolmente.
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