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 UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

 

NOVEMBRE 1989

 

MERCOLEDI' 1 NOVEMBRE 1989

“Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?” (Ap.7,13)

 

Non è una domanda retorica quella del libro dell’Apocalisse. Dobbiamo capire chi sono i santi per capire la nostra vocazione alla santità. I santi non sono solo gli “aureolati” del paradiso. Essi appartengono in primo luogo alla terra, sono stati e sono (ce ne sono tanti in mezzo a noi!) persone in concreto, in cammino come noi verso il Regno definitivo. I santi non sono neppure superuomini che si elevano al di sopra dei comuni mortali con i loro miracoli e con un’eccezionale forza d’animo, sono persone che hanno avuto limiti e difetti ma che hanno cercato di mettere anche questi a servizio della santità. I santi potremmo dire invece che sono i nostri fratelli maggiori che ci indicano la possibilità di una strada, fatta di piccole cose (che a volte richiedono più coraggio di un eroismo) per glorificare la santità di Dio e manifestare al mondo che le beatitudini evangeliche non sono un’utopia.

 

 

GIOVEDI' 2 NOVEMBRE 1989

“Vedra Dio e i miei occhi lo contempleranno non da straniero”. (Gb. 19,27)

 

I cristiani pregando Dio per i loro morti dicono “dona loro il riposo Nell’eccitazione febbrile di oggi, sappiamo bene che cosa significhi, avere riposo. Siamo tutti stanchi! Stanchi di correre dietro al tempo che ci sfugge. Stanchi di soffrire. Stanchi soprattutto di trovarci sempre tanto lontani dall’ideale che si insegue. Stanchi della scarsità d’amore. Coloro che ci hanno preceduto conoscono il riposo. Almeno noi lo speriamo con tutto il nostro affetto.

Dona a loro il riposo, quel riposo che tu sei, o Signore. Al di fuori di te non può esserci riposo perché non può esserci pace. In te, invece, si trova la serenità decisiva che viene dal perdono e dalla misericordia ricevuta. Ti supplichiamo, dunque, dona a tutti questi morti per cui ti supplichiamo, questo riposo eterno.

 

 

VENERDI’  3  NOVEMBRE 1989

“Non potevano rispondere nulla a queste sue parole”. (Lc. 14,6)

 

Quando Gesù parla tocca il cuore dell’uomo, cadono allora tutti gli azigogoli della logica umana e anche quelli ferrei della morale legalistica. Gli “osservanti”, i “buoni” guardavano Gesù per coglierlo in fallo davanti alla fredda osservanza di una norma. Gesù, con ironia, li rimbecca domandando loro se è meglio curare un malato o lasciarlo nella sua malattia solo per osservare il sabato.

Anche noi tante volte ci chiediamo che cosa sia giusto. E facciamo bene a chiedercelo sempre. Ma la preoccupazione, ci suggerisce Gesù, non deve essere quella di dire “se faccio così sono a posto, mi guadagno il paradiso, aumento i miei crediti nei confronti di Dio”, quanto piuttosto quella di chiederci: “Qual’è il modo migliore per manifestare amore a Dio e al prossimo in questa situazione?”.

Dice R. Voillaume: “Le istituzioni migliori nelle mani di uomini ingiusti e senza amore genereranno sofferenza e miseria, mentre istituzioni tecnicamente meno perfette, ma affidate a uomini di cuore riusciranno a promuovere il vero bene delle persone e quindi anche della società”.

 

 

SABATO  4  NOVEMBRE 1989

 “Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.  (Lc. 14,11)

 

In un certo periodo della mia vita, guidato da una educazione di ricerca mistica esasperata, ho creduto che il confine tra bugiarderia e umiltà fosse molto limitato: ci veniva insegnato che non dovevamo considerarci nulla, che i sentimenti erano solo debolezze, che pur di essere umili bisognava nascondere se stessi quasi che Dio non avesse dato a ciascuno dei valori e poi magari dentro di noi ci si sentiva grandi perché si era umili. Poi poco per volta ho incontrato la vera umiltà da quel professore che era un grande poeta, ma proprio perché tale sempre aperto a tutti, che ha tradotto il suo essere innamorato della vita lasciando tutto e partendo per la missione.

Guardando Padre Pellegrino che grande maestro, intellettuale, sapeva con fermezza ma con amore fermarsi a parlare e a capire i problemi di un povero ragazzo, vedendo quella donna senza istruzione che però ha passato tanti anni di pena e di lotta accanto a suo figlio drogato... E allora guardando a Gesù comprendiamo che umiltà e verità non possono essere divise, che valori e doni non possono essere nascosti, ma vanno offerti con la consapevolezza di averli ricevuti proprio per questo.

Diceva don Lorenzo Milani:“Non è cristiano insuperbire e considerarsi più di quello che siamo, ma non è cristiano neanche considerarsi meno di quello che siamo e tenersi in disparte come un ladro colto in fallo o un debitore che non ha da rendere”.

 

 

DOMENICA  5  NOVEMBRE 1989

“Zaccheo corse avanti e, per poter vedere Gesù, salì su un sicomoro".   (Lc. 19,4)

 

San Luca con questo episodio vuoi anche dirci che la fede è fatta di “vedere”. “Vedere” non tanto come “conoscere, osservare” ma come incontro profondo di sguardi.

Zaccheo vuoi “vedere” Gesù, ma più che vedere “vien visto”. Anche altri vedono, ma solo dal di fuori e vedono male: “vedendo ciò mormoravano”.

Lo sguardo di Cristo non si ferma alla crosta esteriore di Zaccheo (il pubblicano, io strozzino, l’arricchito con profitti illeciti) ma va al cuore, penetra in profondità, vede in Zaccheo uno che deve ancora nascere, vede in lui uno capace di amare.

Sapessimo anche noi guardare cosi il nostro prossimo! Noi che spesso andiamo avanti per categorie: “Quello è un poco di buono! Quello è un barbone! Quello è uno zingaro!...” e dopo aver classificato ci sentiamo anche giustificati “perché intanto non si può far niente per loro! Provassimo a cominciar a dire: “E’ figlio di Dio.., è come me… è mio fratello.., chissà quante cose buone ci sono dietro la sua scorza..,” forse allora due sguardi potrebbero incontrarsi.

 

 

LUNEDI’  6  NOVEMBRE 1989

“Quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi, e sarai beato perché non hanno da ricambiarti”. (Lc. 14,13—14)

 

La logica del mondo è quella del “dare per avere”. Qualche volta c’è il rischio che anche nel campo della fede siamo mossi da questa stessa logica. Prego perché così Dio mi protegge, faccio la carità così che Dio mi premi perché sono stato buono. Gesù ci invita ad amare perché è bello amare. Lui non ha forse fatto così? Ha offerto la sua vita perché eravamo buoni? Ci dà l’Eucaristia perché sa che siamo santi? Ci perdona perché è sicuro che non peccheremo più? Gesù ci ama perché è amo­re. Ricordo una persona buonissima che faceva parte della Conferenza di S. Vincenzo a cui partecipavo anni fa. insisteva sempre, proprio sulle orme di S. Vincenzo, affinché quando andavamo a portare i pacchi viveri alle famiglie disastrate e ammassate in stanze decadenti e maleodoranti del Castello di Rivoli, portassimo anche un qualcosa di superfluo: qualche cioccolatino, un fiore e ci diceva: “E’ necessario il pane per vivere, ma un fiore, un’attenzione ad un bambino, un sorriso in più non guastano e possono lenire la fame di speranza, il. desiderio di essere considerati persone” e poi diceva: “il povero non ha niente da darti in cambio ma proprio per questo se tu avrai dato con amore quando uscirai avrai ricevuto magari qualche volta anche insieme a ingratitudine la capacità di camminare più leggero”.

 

 

MARTEDI' 7 Novembre 1989

“Non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili”. (Rom. 12,16)

 

Il brano che abbiamo letto dalla lettera ai Romani della liturgia odierna è un elenco di raccomandazioni fatte alla comunità da uno che sa quali sono i pregi e le difficoltà del vivere insieme. Paolo insiste soprattutto sul fatto che, nella chiesa ciascuno deve mettersi al servizio degli altri con amore e con gioia e per far questo insegna la strada: non à desiderando cose grandi, volendo avere dei doni che ci mettono particolarmente in evidenza o al di sopra degli altri che collaboriamo particolarmente alla comunione tra i membri della comunità.

Faccio qualche esempio a livello di parrocchia: Nella parrocchia sembrano essere rilevanti ai fini della crescita della comunità i ruoli più appariscenti, ad esempio il sacerdote, i catechisti, gli “intellettuali”, coloro che sanno parlare.., ma proviamo a pensare: la vecchietta che prega, il malato che offre con amore la sua sofferenza, chi offre il suo servizio nascostamente, non riconosciuto da nessuno, chi scopa la chiesa con umiltà non sono persone che contribuiscono alla vita della Comunità in maniera altrettanto valida di chi con umiltà mette a servizio le proprie doti per catechizzare o per organizzare le opere parrocchiali?

 

 

MERCOLEDI' 8 Novembre 1989

“Chi non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”. (Lc. 14,27)

 

La croce e le croci sono di per sé incomprensibili, assurde, “cattive” se non si guarda alla croce di Cristo.

Qualunque cosa dicano saggi, mistici, predicatori, moralisti, la croce, il dolore in sé non sono belli. Se non c’è qualche motivo vero e profondo, “amare la croce” e un atto che ha molto di masochismo o di rassegnazione. Se guardo a Gesù invece comincio a capire, anche se con difficoltà, che fare delle scelte come le sue, significa entrare in una logica di lotta, di sofferenza: bisogna rinunciare a tante cose che di per sé appaiono buone e giuste, ma lo si fa perché si è trovato un motivo più importante per il quale vale la pena rinunciare; ci si fa dei nemici non perché è bello aver dei nemici ma perché come Gesù noi cerchiamo di essere fedeli all’amore di Dio, del prossimo e della verità, In una parola accettiamo la croce solo se accettiamo un amore grande e misterioso come quello di Gesù.

 

 

GIOVEDI’  9  NOVEMBRE 1989

“Carissimi, stringendovi a Cristo, pietra viva, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale.” (1 Pt. 2,4- 5)

 

“Ma è poi proprio necessaria la Chiesa?” Una domanda che tante volte si sente fare o che noi stessi ci siamo fatti: “Non basta la fede, la carità?” Gesù poteva salvarci in mille modi diversi. Ha scelto la strada dell’incarnazione, è voluto entrare nella Storia, ci parla con un linguaggio umano, vuole che realizziamo la nostra salvezza qui nel mondo, concretamente; vuole che la sua grazia e la sua salvezza ci giunga attraverso mani di fratelli, poveri uomini come noi.

Però tutto questo ci esalta: “Il Signore mi ha scelto perché anche attraverso me vuoi portare salvezza ad altri.” Ed allora come dice S. Pietro: “Sono pietra viva”, destinato pur nella mia piccolezza a Costruire, insieme a tanti altri fratelli l’edificio di Gesù. E allora ecco la Chiesa, necessaria perché voluta dal Signore, povera perché fatta da uomini poveri e peccatori, santa perché Santificata da Dio, famiglia dove ognuno ha il suo posto e il suo ruolo. Questo tipo di Chiesa allora non solo non mi è più di fastidio nel cammino della fede ma diventa invece necessaria, luogo dì incontro e di conforto, grazia mediatrice per essere sicuro di non correre a vuoto o individualmente.

 

 

VENERDI’  10  NOVEMBRE 1989

“E lodò quell’amministratore disonesto”. (Lc. 16,18)

 

Ci può sembrare strano, quasi scandalizzante che Gesù lodi un amministrato­re infedele, ladro per indicare al di­scepolo e a noi di usare con astuzia dei doni che ci sono dati per il Regno di Dio.

Ci viene da pensare: ma il cristiano non è quello che deve chinare la testa, quello che per amore deve sempre subi­re, offrire l’altra guancia, perdonare settanta volte sette?

Gesù non vuole insegnarci né ad essere disonesti né ad essere falsi o approfittatori ma ci mette davanti l’a­stuzia di un disonesto per dirci: se un disonesto per salvarsi dalla fame è così furbo, quanto più dovresti essere saggio e astuto tu per il Vangelo!

Essere buoni cristiani non significa essere passivi, rinunciatari, paurosi! Gesù che ama tutti, quando è il caso chiama i farisei “ipocriti”, chiama l’amico Pietro “satana”. Gesù con astuzia sa cavarsela davanti agli imbrogli dei dotti della legge (pensiamo solo alla risposta che dà quando gli chiedono se è lecito o meno dare il tributo a Cesare). Cristianesimo non è allora sinonimo di imbecillità o di arrendevolezza, è essere profondamente convinti del dono ricevuto, da dar fiato a tutte le risorse, a tutti i doni per dare una risposta all’amore di Dio e una testimonianza agli uomini.

 

 

SABATO 11 NOVEMBRE 1989

“Non potete servire a Dio e a mammona”. (Lc. 16,13)

 

E’ vero che il denaro può essere utile. La povertà in se stessa non è un bene, come la ricchezza in sé non è un male. Ma è anche altrettanto vero che se con il denaro si Possono acquistare tanti beni, con esso, tuttavia, non si può acquistare il bene supremo, l’unico vero bene. Ed è anche vero che più si cerca e più si è attaccati al denaro, ai beni, meno c’è spazio per gli altri valori e meno c’è spazio per Dio. Quando in una famiglia, pur nel piccolo, ci si preoccupa troppo del conto in banca, del comprarsi l’alloggio, dell’accumulare si rischia dì lasciare poco spazio ai componenti e quasi niente a Dio.

L’amore di Dio, invece, porta a fare buon uso della ricchezza, attuando una condivisione che esprime l’amore per i fratelli e che fa crescere la gioia e la reciproca comunione.

Ci ricorda Voillaume: “Quali segni soprattutto il mondo aspetta dalla Chiesa? in primo luogo il segno della povertà. Come si può affermare che si attende un’altra vita, che si attende Dio se si riempie la propria esistenza al punto da non lasciare spazio a nient’altro se non alle preoccupazioni di quaggiù?”.

 

 

DOMENICA  12  NOVEMBRE 1989

“Dio non i il Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono per lui”. (Lc. 20,38)

 

Sono in molti apertamente o intimamente a non credere nella immortalità dell’anima e alla risurrezione dei corpi.

Alcuni ossessionati dal carattere tragico e rivoltante della morte, non riescono ad immaginare che la vita possa sussistere sotto altre forme, dopo la fine dell’esistenza terrena. Altri, anche se si dicono cristiani, riducono la risurrezione ad una speranza talmente vaga che diventa sempre più simbolica e sempre meno reale.

Gesù risolve e ci invita a risolvere questo problema non con ragionamenti o prove ma con un atto di fede in Dio, il Vivente. Per cui affidarsi a questo Dio significa scoprire che siamo fatti per la vita, e che la vita consiste nell’essere con Lui senza che questo rapporto si interrompa mai.

 

 

LUNEDI’  13  NOVEMBRE 1989

“Cercate il Signore con cuore semplice”. (Sap. 1,1)

 

“Sono anni che cerco il Signore ma è sempre buio...” Chi mi parlava era un uomo maturo, professore, che nella sua vita aveva incontrato la sofferenza ed anche la morte della sua amata moglie. La sua ricerca di Dio era passata attraverso il suo studio e anche attraverso le esperienze della sua vita.

Lo ritrovai alcuni anni dopo più sereno, anche se la sofferenza aveva scavato ancora di più nel suo volto. Mi disse:

“Ho passato gran parte della mia vita a cercare Dio nei libri, nelle teorie, nel buio della sofferenza... ma non mi ero mai reso conto che era Lui a cercare me...”

La vita è lotta, è mistero e noi ci ostiniamo tante volte con le nostre povere forze a trovarne un significato. Il più delle volte però non troviamo perché brancoliamo nel buio. C’è però qualcuno che ci cerca che “sta alla porta e bussa”, che ci vuole talmente bene da aver accettato di morire per noi non perché eravamo buoni ma “mentre eravamo peccatori”.

La strada che facciamo noi può essere importante se è fatta con sincerità e in buona fede, ma quella che fa Lui è più lunga e più importante perché noi siamo già nel suo Cuore.

 

 

MARTEDI’  14  NOVEMBRE 1989

“Dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. (Lc. 17,10)

 

Essendo prete, ho parecchio a che fare con i preti e vi assicuro che fra essi si trova, come per ogni altra categoria ma messa in maggior evidenza dal loro essere uomini pubblici, un campionario ben variegato di umanità. C’è una categoria di preti (e spesso anche di laici impegnati che li scimmiottano) che pensano di essere gli unici responsabili del mondo, gli unici e indispensabili salvatori dell’umanità, Probabilmente sono molto zelanti (certo più di me) ma a parlare con loro sempre impegnati a studiare nuove strategie pastorali, sembra quasi di capire che “prima di loro” non si è fatto niente e che il Signore, finalmente svegliatosi, ha mandato loro per arrivar a tutti, per convertire (a Dio o alla loro pastorale?), per salvare. Leggendo la parola di oggi ti voglio chiedere perdono o Signore, per tutte le volte che ho pensato così e per, tutti quei preti e laici che la pensano così. Sei tu, o Signore, che salvi, sei tu, o Gesù, che hai dato la tua vita per noi. Sei tu che ci hai scelti e mandati, ma per essere a servizio e non per far sì che gli altri obbediscano ai nostri “pallini”.

 

 

MERCOLEDI’  15  NOVEMBRE 1989

“Gesù disse: non sono stati guari ti dieci lebbrosi? Non si i trova to chi tornasse a render gloria a Dio se non uno straniero?” (Lc. 17,17—18)

 

Vi invito oggi a fare un piccolo esperimento, io ci ho provato e sono stato stupito da quanto ho constatato in me. Prendiamo la giornata di ieri. Certamente abbiamo pregato, il nostro pensiero si e rivolto più volte al Signore. Tra le cose che gli abbiamo detto quante preghiere di richiesta ci sono state? E quante di lode e di ringraziamento? Abbiamo ringraziato per i doni ricevuti? Abbiamo ringraziato per le persone che abbiamo incontrato: per quel malato che vive cori fede la sua sofferenza; per quella persona che sa perdonare, per chi ci ha fatto quel piacere senza pretendere nulla... La Scoperta è quella che forse abbiamo difficoltà a dire grazie.

Eppure dire grazie è il primo modo per riconoscere i doni ricevuti e per poi poter scoprire a nostra volta la gioia del dono.

 

 

GIOVED1’  16  NOVEMBRE 1989

“Il Regno di Dio non viene in modo di attirare l’attenzione.. (Lc. 17,20)

 

Certe frasi sembrano non dire più molto. Sentir parlare di “Regno di Dio” spesso sembra non aver significato, sembra una parola abituale per un rituale sacerdotale. Il Regno di Dio è invece una realtà quotidiana inaugurata da Gesù che cresce nel silenzio come quel piccolissimo granello di senape che caduto in terra, morto, rinasce come pianta grande sulla quale anche gli uccelli del cielo possono trovare riposo.

Qualcuno lungo la storia ha pensato di identificare il Regno di Dio con i regni umani ed ha voluto applicare ad esso le stesse regole di potere dei regni terreni. Ma ne sono nati solo danni, soprusi, conversioni forzate, guerre di religione, esteriorità formali e riti astrusi che non corrispondono al cuore.

il Regno di Dio non è tanto nelle manifestazioni di massa, in società che si etichettano cristiane ma non lo sono, viene invece nella semplicità di una mamma che ama e soffre con il suo figlio handicappato, nel povero che ha fiducia in Dio, nella preghiera semplice... Viene in casa tua ogni volta che il tuo amore prende la misura di quello di Dio.

 

 

VENERDI’  17  NOVEMBRE 1989

“Se gli uomini tanto poterono sa­pere da scrutare l’universo, come mai non ne hanno trovato più presto il Creatore?”

(Sap. 13,9)

 

La Scienza ha fatto balzi da gigante negli ultimi anni. Solo pochi mesi fa abbiamo assistito alle imprese del “Vojager” che trasmetteva immagini da distanze impensabili. Ma l’uomo ha trovato il suo fine? Uno dei primi astronauti russi al suo ritorno diceva: “Sono stato in cielo ma non ho trovato Dio.” La migliore scienza da sola non può bastare all’uomo, il mistero della persona va sempre al di là e conoscere sempre di più non è altro che constatare che si conosce sempre poco. Il creato può parlare o può tacere, può manifestare o può nascondere. Sta all’uomo avere occhi attenti ma umili per riuscire a vedere le cose al di là delle cose e poi si incontra ancora e sempre un mistero più grande di noi che però nella fede può illuminarsi e diventare persona amorevole di un Dio che ci ama.

 

 

SABATO  18  NOVEMBRE 1989

Ma per la violenza del vento si impaurì  cominciando ad affondare gridò: “Signore, salvami!” (Mt. 14,30)

 

Ditemi quello che volete, ma davanti al la fede troppo sicura, mi è molto più vicino questo Pietro. Gesù aveva detto: “Sono io”. E la sua parola, dovrebbe bastare, dovremmo fidarci... ma il più delle volte come Pietro anch’io dico: “Se sei tu... dammi un segno”. “Un piccolo miracolo personale mi basta. Ed ecco che l’ “uomo di poca fede” comincia a camminare sulle acque. Ma lo straordinario, il miracoloso non basta a Pietro e la mia fede fondata sull’esteriore “affonda”. Anche i    santi ebbero i loro dubbi. Si dice che Bernardetta, diventata suora ebbe ad un certo punto della sua vita, persino il dubbio sulle apparizioni di Maria. E allora, se sovente, per la mia poca fede mi trovo con Pietro a dire a Gesù: “Se sei tu, fatti vedere”, spero di trovarmi con Pietro nel momento in cui affondo e gridare: “Signore, salvami” e ritrovare come lui, nella mia povertà e nella mano di Gesù l’unica ancora e fondamento della fede.

 

 

DOMENICA  19  NOVEMBRE 1989

“Molti verranno sotto il mio nome dicendo: “Sono io il tempo e il prossimo: non seguiteli”. (Lc. 21,8)

 

Al tempo di Gesù come ai nostri giorni una domanda è sempre ricorrente “Quando sarà la fine del mondo?”, quasi che sapendo una data si possa ovviare a quanto essa ci porta.

Gesù non solo non risponde a questa domanda, anzi ci mette in guardia contro tutti coloro che identificano date. A tempi per la fine del mondo. Per Gesù c’è una sola data, un solo tempo che conta ed è il tempo non della fine del mondo, ma della conversione. Che io sappia che il mondo finisce domani o tra mille anni può anche non cambiar niente, ma se io mi rendo conto che oggi il Signore mi offre la sua salvezza, che oggi mi chiama a liberarmi dall’egoismo, che oggi mi dona se stesso, mi rendo conto che non posso perdere tempo, rimandare ad un domani che non è mio, dire “vedrò”: è ora la storia della mia salvezza, è adesso, oggi nella gioia o nel dolore che vivo che posso rispondergli: “Eccomi” o “Sia fatta la tua volontà”.

 

 

LUNEDI’  20  NOVEMBRE 1989

“Che vuoi che io faccia per te?” (Lc. 18,41)

 

Il racconto dell’attenzione di Gesù per il cieco di Gerico, la sua disponibilità ad ascoltarlo e a guarirlo mi hanno fatto ritornare in mente una malata che andavo a trovare spesso quando ero in un’altra parrocchia. Da anni era immobilizzata sua una carrozzina, non poteva neppure coricarsi di notte, per di più, in certi periodi aveva delle fitte talmente forti che, pur non volendolo mostrare, le deformavano il volto in smorfie di dolore. Quando andavo da lei, alla mia stupida e impacciata domanda: “Come va?” mi rispondeva dicendomi: “La vedo affaticato... ha tanto da fare in parrocchia... Sua mamma come sta?”. Con lei era diverso dagli altri malati che qualche volta ti scaricano addosso il racconto di tutte le loro sofferenze. Lei quasi nascondeva le sue sofferenze ed era attenta agli altri.

Gesù sta andando a Gerusalemme per morire e lo sa! Passa in mezzo alla folla festaiola vacanziera di Gerico: potrebbe lamentarsi e invece riesce a sentire la voce di questo cieco che invoca, anche se altri cercano di farlo tacere, e si rende disponibile a Lui. So guardare agli altri? So essere attento e poi disponibile? Nel momento del dolore, della prova, esisto solo più io o il mio dolore diventa servizio e amore per il mio prossimo?

 

 

MARTEDI’  21  NOVEMBRE 1989

“Ecco, tua madre, i tuoi fratelli, ti cercano.” (Mc. 3,32)

 

All’epoca di Gesù più che la singola persona contava il clan di appartenenza: il singolo doveva agire secondo lo stile del clan, doveva presentarsi e agire in suo nome, se sbagliava era lo stesso clan a sbagliare. Gesù prende le distanze da questo modo di pensare e di agire. Nel Regno che annuncia non ci sono gruppi che hanno l’esclusiva. Gesù non ha bisogno di essere sponsorizzato da nessuno né esclusivizzato dà nessuno. Allora come oggi. Diffido sempre  da gruppi o gruppuscoli che mi dicono (forse con parole più tornite): “Il Gesù, quello buono l’abbiamo noi ‘Se vieni con noi nel nostro gruppo, con le nostre apparizioni, con il nostro carisma ti assicuriamo il paradiso!” Gesù è per tutti, non per qualcuno: nessuno, neppure i santi; neppure la Chiesa che agisce in suo nome e in suo potere può esclusivizzarlo e questo è estremamente bello perché ognuno ha la garanzia di poter diventare “parente” di Gesù al di là di ogni barriera umana solo ascoltandolo e mettendo in pratica la sua parola.

 

 

MERCOLEDI’  22  NOVEMBRE 1989

“Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: impegnatele fino al mio ritorno”. (Lc. 19,13)

 

Non so se ci avete mai pensato, ma Dio si fida veramente di noi se ci affida il compito di essere suoi collaboratori e se affida il suo messaggio alla testimonianza delle nostre povere parole e della nostra vita. Eppure è così, noi “come in vasi di creta” portiamo i doni stessi di Dio. Ma allora non possiamo nasconderli, dobbiamo rischiare, trafficare i doni diversi che abbiamo ricevuto.

Dice Teilnard de Chardin: “Per il successo dell’immensa opera della creazione Dio ha bisogno di una cosa sola: che tu faccia del tuo meglio. Se tu dai quello che sei capace di dare, sarai unito al massimo grado dell’azione creatrice. Non potresti essere un servo più utile”.

 

 

GIOVEDI’  23  NOVEMBRE 1989

"Gesù alla vista di Gerusalemme pianse su di essa".(Lc. 19,41)

 

A tutti è capitato di vedere o in cartolina o alla televisione, le mura della città di Gerusalemme. Se poi amiamo la Bibbia e la sua storia passata e presente e se abbiamo avuto la fortuna di andarci, un groppo in gola sale pensando che lì c’è una parte dell’Amore di Dio realizzato, che lì c’è il nostro Amore e odio di uomini, e che ci sarà una “nuova Gerusalemme” pronta “adorna come una sposa” che ci aspetta alla fine dei tempi. Gesù sa tutte queste cose, ama profondamente Gerusalemme, sa anche che è la meta del suo pellegrinaggio terreno: vede il Tempio, le mura, le case dei poveri, il palazzo di Erode, quello di Caifa, vede il Calvario.., vede al di là delle mura i cuori dei profeti, degli apostoli, di noi, vede i tradimenti, gli abbandoni, gli urli, i pianti, vede la sua tomba e vede la sua risurrezione e piange. Non è solo l’umanità di Gesù che lo fa piangere, le sue sono lacrime di un Dio che ama, che vede l’ingratitudine e l’amore nascosto e che per tutti è pronto a sacrificare se stesso.

 

 

VENERDI’  24  NOVEMBRE 1989

“Sta scritto: la mia casa, sarà casa di preghiera, ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri”. (Lc. 19,46)

 

Il tempio è importante nella vita di Gesù: è la casa del Padre (Lc. 2,49) è il cuore della fede di Gerusalemme e il richiamo continuo all’alleanza, lì Lui è stato presentato al Padre (Lc. 2,22); lì il vecchio Simeone ha gioito di una storia passato realizzata nel presente in quel bambino speranza di un nuovo futuro, lì è cominciata l’attività di Gesù con i dottori del suo popolo (Lc. 2,41—52). Ma ora, al termine della sua vita, Gesù grida, Gesù vuoi purificare il tempio, vuoi togliere le false superstizioni, vuole cancellare in questo luogo di Dio, l’ateismo imperante dettato dalla legge dei commercio, e qui Gesù, con questo gesto si fa gli ultimi nemici. Mi chiedo: Gesù ama le nostre chiese, ci abita nel sacramento eucaristico; le pietre di tante Chiese raccontano storie meravigliose di Dio e degli uomini, ma in esse, moderne o antiche riusciamo a incontrare Dio? Certe superstizioni, certe commercializzazioni religiose, berte manifeste professioni noi culto dei dio denaro non andrebbero purificate?

 

 

SABATO 25  NOVEMBRE 1989

“Dio non i Dio dei morti ma dei vivi”.  (Lc. 20,28)

 

In un certo periodo della mia esperienza sacerdotale ho dovuto sostituire il cappellano di un ospedale. Mi sono ritrovato a passare buona parte della giornata tra le corsie e un altra parte della giornata a faro sepolture (una media di cinque sei al giorno). Non essendo abituato ad un impatto così forte con il dolore e con la morte, mi sentii rattristato e poi, per motivi di “sopravvivenza” cominciai a fare “il mestierante della morte”, colui che aveva le parole costruite per l’ “occasione”.

Dopo alcuni giorni, però, mi scossi: è vero che la vita in certi ambienti è terribile, ma non si può continuare a celebrare la morte quando il nostro Dio è un Dio dei vivi. Anche nel dolore più grande, come quello della morte di un congiunto, insieme al “cordoglio” per la sofferenza umana non può mancare la vera speranza cristiana di una vita che non è finita ma continua nella sua pienezza, e neppure la certezza cristiana che ci dà fin d’ora la possibilità di comunicare in Cristo, seppur in altri modi, con i nostri cari strappati al legame terreno dalla morte.

 

 

DOMENICA  26  NOVEMBRE 1989

“Gesù rispose (al buon ladrone): In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso”. (Lc. 23,43)

 

Una persona ormai anziana mi diceva:

“Questa è la pagina del Vangelo che più mi ha sostenuto nella mia vita: quel ladro non contento di rubare nella vita ha rubato anche il paradiso! E allora, se lui con un atto di fede è stato perdonato, anch’io ho speranza, nonostante i tanti errori, di ricevere il perdono di Gesù...” Poi continuava la sua riflessione: “... però era sulla croce quando ha riconosciuto Gesù... allora anch’io non devo aver paura delle croci.., forse è proprio lì che posso trovare la sua misericordia.” Oggi festa di Cristo Re dell’Universo ci viene presentato il nostro re su un trono strano, la croce: non un re splendente nel suo potere terreno, ma un re nudo, sofferente, nell’atto non di prendere ma di dare la vita per i suoi “sudditi”. Un re che non sceglie per il suo regno personaggi fidati, un pontefice che non fa santi per le alte virtù e doti morali, che per instaurare una causa di beatificazione non va a cercare se il santo ha fatto miracoli eccellenti, ma che fa santo, il primo santo della Chiesa, sicuramente in paradiso, un ladro.

 

 

LUNEDI’  27  NOVEMBRE 1989

Vide una vedova, povera che gettava due spiccioli nelle offerte del tesoro. (Lc. 21,1)

 

A Gesù non sfugge nulla: poteva passare inosservata quell’ombra nera che quasi con vergogna metteva i suoi spiccioli nelle anfore delle offerte del tempio in mezzo a tuniche e mantelli sgargianti che ostentavano ricchezza e davano apparenza di giustizia e di generosità nello sbattere davanti a tutti un’offerta generosa.

Quando hai cinquanta, cento milioni in banca, quando sei proprietario di alloggi che affitti a “equo canone” solo dopo compenso nascosto perché ‘il denaro deve rendermi”, puoi permetterti il lusso di far la bella figura, di essere generoso. Quando hai l’armadio pieno di vestiti puoi anche permetterti di dare quelli usati ai poveri e dopo puoi anche cercare di ingannarti di essere buono.

Quella vedova non aveva niente: dà, con un gesto “pazzo”, i suoi due ultimi spiccioli, diremo noi, ad un Tempio già ricco. Ma lei non fa questi ragiona menti e pensa di offrire tutto a Dio. Nessuno la vede eccetto l’occhio di Gesù che capisce “la pazzia” e la ama profondamente.

 

 

MARTEDI’  28  NOVEMBRE 1989

Molti verranno sotto il mio nome, dicendo: “Sono io” e “il tempo è prossimo  non seguiteli!” (Lc. 21,8)

 

Da sempre l’uomo cerca la Divinità, ma da sempre in questa ricerca a volte affannosa, faticosa, rischia di farsi ingannare, di perdere di vista i valori e le cose che ha, per correre dietro a fantasie, superstizioni, santoni e maghi più o meno in buona fede.

Abbiamo Gesù, la sua parola, i suoi sacramenti: che bisogno c’è di cercare “visioni di conferma” o di correre dietro a sette vaneggianti e sempre minaccianti futuri più o meno imminenti di morti e distruzioni. Sappiamo che il nostro futuro è Dio stesso, e che bisogno abbiamo di andare a guardare in sfere di cristallo, in fondi di caffè, in segni zodiacali inventati dall’uomo, in sedute medianiche, per sapere se saremo ricchi, troveremo l’amore, o ci romperemo una gamba? E che dirne dei novelli Gesù che ogni tanto appaiono? Qualcuno può anche insegnarmi qualcosa di buono! Ma non pensi che nella parola di Dio c’è già tutto? Non ti basta che Gesù sia già morto e morto per te?

 

 

MERCOLEDI’  29  NOVEMBRE 1989

“Con la vostra perseveranza, salverete le vostre anime”. (Lc. 21,19)

 

Spesso al mattino, quando con un po’ di preghiera, cerco di affidare la mia giornata al Signore, tutto mi sembra facile: “oggi amerò il Signore, dedicherò del tempo alla preghiera, sarò paziente con quella persona...”. Alla sera facendo il bilancio sono quasi sempre al punto di prima. Vale ancora la pena di ritentarci? Quel difetto non fa forse parte del carattere? e allora? Non ce la farò mai! Costruire giustizia, condividere i propri beni, sforzarsi per la pace, è bello, entusiasmante ma vale la pena quando sappiamo che l’ingiustizia ci sarà sempre, che il giusto sarà sempre bastonato, che tolto un armamento se ne ha già un altro pronto e più terribile del primo?

E viene voglia di abbandonare tutto e cadere nel più nero pessimismo.

Signore, la fede è difficile! Vivere la carità i ancora più arduo, ma perseverare in essa senza scoraggiarsi lo possiamo fare solo se tu continui a sostenerci. Fa che, guardando a te, non ci perdiamo d’animo.

 

 

GIOVEDI’  30  NOVEMBRE 1989

“Gli Apostoli partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro”. (Mc. 16,20)

 

Il Vangelo di Marco sembra oggi cadere in una contraddizione. Al versetto 19 dice che “Gesù fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio” e al 20 che Gesù opera insieme e con gli Apostoli che predicano. Mi sembra invece molto bello poter pensare in questo modo: Gesù è glorificato, è il Re, è con Dio suo Padre, è il Signore ma i passi di Gesù itinerante per la Palestina calcano adesso altre terre, il suo volto sofferente o gioioso assume adesso i mille volti dell’uomo. No! Gesù non è solo lassù, sulle nuvole, in attesa di essere il Giudice Finale: è qui in mezzo a noi, agisce nella fatica, nei missionari, in chi opera la carità, si serve addirittura di me per essere presente. Quale grande responsabilità: essere la presenza di Cristo per il mondo, ma quale grande consolazione nel sapere  di non essere soli ma con Lui.

     
     
 

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