Archivio

 
     
     

UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

AGOSTO 1989

 

 

MARTEDI' 1  AGOSTO

"Dacci oggi il nostro pane quotidiano".

           

 C’è una preghiera che in molte case si dice prima dei pasti:

“Signore ti ringraziamo per questo Cibo che ci dai. E danne anche a chi non ne ha”.

Quale sottile ipocrisia Guardiamo la nostra mensa, ci tranquilliziamo perché non manca nulla, diciamo grazie più o meno devotamente e frettolosamente e aggiungiamo. “Agli altri pensaci tu”. Il Signore non esaudisce questa caricatura ignobile della domanda del Padre Nostro ma ci insegna, prima di tutto non tanto ad allungare le mani (esercizio nel quale siamo fin troppo esperti), ma ad aprirle. Siamo nati Con i pugnetti chiusi. Qualcuno si è incaricato di insegnarci a camminare. Ma abbiamo imparato poco ad usare le mani per dare. Padre, Tu non ti accontenti delle mie mani giunte, pretendi che le mani di un figlio siano accoglienti e dispensatrici dei tuoi doni. Fammi capire che dopo aver ricevuto “il nostro pane” devo resistere alla tentazione di richiudere le mani.

 

 

MERCOLEDI' 2  AGOSTO

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

 

Ecco alcune preghiere per la benedizione della mensa usate presso la comunità di Bose.

 

 

GIOVEDI' 3  AGOSTO

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

 

Quando veramente ci appoggeremo soltanto su Dio per il nostro pane quotidiano, avremo un'anima di povero. Non assomiglieremo più al figlio che chiedeva la sua parte di eredità, per potersene andare lontano per fare, da solo, ciò che voleva fare. “Dacci oggi” vuoi dire che domani torneremo a chiedere. Vuoi dire accettare, rallegrarsi che tutta la nostra vita dipende completamente da Lui. Vuoi dire rassegnarsi alla impotenza di bastare a noi stessi materialmente e spiritualmente. Dio ci ha fatti come dei pellegrini, che vivono giorno per giorno. Domandare, giorno per giorno, il nostro pane quotidiano, significa accettare di limitare la nostra preoccupazione e la nostra fatica all’intervallo tra due comunioni.

 

 

VENERDI' 4  AGOSTO

“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

 

Per definire il peccato Matteo usa il termine debito, quindi quando pecco contraggo un debito con Dio, con il suo amore. E pagare i debiti dell’amore con la moneta dell’amore è qualcosa di molto più impegnativo che “mettersi in regola”. Chiedere perdono significa comprendere che da soli non ce la facciamo a costruirci secondo la volontà di Dio. Ricordiamo la parabola dei due debitori: il nostro debito con Dio è talmente grande che neppure tutta la nostra vita può riscattano. Ma Dio è disposto a condonano. Quali sono le condizioni? Dio non ci chiede atti penitenziali particolari, ma ci chiede di convertire il nostro cuore, capire l’inganno del peccato, capire il suo amore e celebrano con atti di amore concreto verso i fratelli proprio per far conoscere che l’amore di Dio supera ogni barriera: ecco la necessità di perdonare a nostra volta. La nostra relazione con Dio è determinata da quella che abbiamo con il prossimo. Senza contare che non può vivere in pace con Dio chi vive in guerra con gli altri.

 

 

SABATO 5  AGOSTO

“Rimetti a noi i nostri debiti”.

 

Il peccato non è prima di tutto una trasgressione della legge. Esistono peccati che non sono puniti dal codice penale. Vi sono anche peccati che possono essere commessi senza che nessuno lo sappia. Il peccato non consiste unicamente nel tonto fatto al prossimo. Nemmeno si identifica con il senso di colpa. Il peccato è qualcosa che offende il cuore di Dio. Quanto più è vivo il senso di Dio, tanto più si fa profondo il senso del peccato. Bruce Marshall, ne “La Sposa bella”, racconta la confessione di un vecchio marinaio morente in un bugigattolo. Egli al ritorno dai suoi viaggi andava a cercare delle ragazze. Alla fine, quando il prete gli chiede: “Vi dispiace tutto questo?”, il moribondo, che e sincero, non può astenersi dal dire di no. Sono gli unici bei ricordi che abbia, gli unici momenti in cui un poco di dolcezza è entrata nella sua vita. “Esse sole hanno avuto un poco di gentilezza per me”. E il prete, colpito dalla verità di questa confessione — talmente più giusta di quelle che è solito ascoltare — gli dice semplicemente: “Non puoi almeno dolerti di non potertene dolere? Non puoi dolenti di non aver creduto ad un Amore che andava tanto oltre queste magre gioie, che se tu l’avessi conosciuto, ne saresti stato saziato, non avresti più cercato altrove, non avresti più fatto tutte quelle sciocchezze per ingannare la tua fame?” Questo rammarico è infinitamente più sconvolgente che i nostri nebulosi pentimenti. Ci sbagliamo sempre di livello. Deploriamo degli atti per distrarci dalla causa profonda alla quale non vogliamo rinunciare.

 

 

DOMENICA 6  AGOSTO

“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

 

Il centro, o meglio il “punto di rischio” di questa richiesta del Padre Nostro è rappresentato dal “come”. Esso ti impone perentoriamente il pagamento del pedaggio. Ed è vano cercare scappatoie. Il pendono è gratuito. Ma esigente. Il come, però, è una possibilità. Il Padre permette ai figli di agire come agisce lui. Dovremo dunque ringraziare e benedire il Padre che ci concede di imitarlo. Allo stesso modo del Padre, siamo autorizzati, col perdono, a firmare una concessione di grazia. “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste". “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro il “come” diventa così il segno esaltante della nostra comunione col Padre, il Figlio e lo Spirito.

 

 

LUNEDI'  7  AGOSTO

“Rimetti a noi i nostri debiti. Come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

 

Il “come” esclude il “ma”. Nel Padre ricco in misericordia, c’è soltanto il sì, non il ma. Non posso dire: “Ti perdono questa canagliata, ma la prossima volta...”. “Ti perdono quell’azione malvagia, ma è meglio che per un po’ di tempo non mi capiti tra i piedi. Ti perdono, ma non chiedermi di rivolgerti la parola. Ti perdono ma... me la pagherai! Ti condono il debito ma conservo accuratamente nel cassetto della memoria, il documento che attesta la cifra e quindi la mia generosità. No, non si può perdonare e coltivare una memoria di elefante. Perdonare significa impegnarsi a lottare contro la memoria. Perché la memoria che emerge è immancabilmente quella “dell’uomo vecchio”.

 

 

MARTEDI' 8  AGOSTO

“Come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio, dente per dente. Ma io vi dico...”.

(Mt. 5,38 s.s.)

 

Il perdono è un atto creativo. Produce nel mondo, oltre che dentro di noi, qualcosa di radicalmente nuovo. L’odio, la violenza, la vendetta, sono ripetitivi. Rafforzano un cerchio che diventa una prigione. Tu mi hai fatto questo, e io ti pago nella stessa misura. Una specie di estenuante, sciocco ping pong, in cui è importante ricacciare al più presto verso l’avversario la pallina avvelenata e non se ne esce mai. Chi perdona, invece, spezza il cerchio. Dilata gli spazi. Produce l’insolito. Offre all’altro una possibilità sorprendente. Si realizza qualcosa di completamente nuovo. Si inaugura un nuovo modo di vivere, di guardare all’altro.

                                            

 

MERCOLEDI' 9  AGOSTO

“Come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

“Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono e va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offri re il tuo dono”. (Mt. 5,23—24)

 

Il perdono fa del bene a chi lo pratica, prima ancora che al destinatario. Oggi, in un mondo inquinato si parla volentieri di problemi di ecoloqia. Il perdono rappresenta una fondamentale operazione di disinquinamento della persona. Risentimenti,  rancori, animosità, astio, malanimo, propositi di rappresaglia, sono altrettanti veleni che si accumulano pericolosamente nella nostra “pattumiera emotiva”. Basta poi una scintilla per farla esplodere, con effetti devastanti. Ma quella pattumiera stracolma di materiali di “rifiuto” può recare danno soprattutto quando non scoppia. In tal caso è tutto l’organismo che ne viene intossicato. Il perdono rappresenta un’ esigenza ecologica. Depura l’aria, la rende più respirabile per tutti. Il perdono poi non va praticato esclusivamente nelle grandi occasioni. Certe vendette si consumano spesso con piccole cattiverie, indifferenza ostentata, atteggiamenti di gelida compostezza che maschera il rifiuto o il disprezzo dell’altro, scavando a poco a poco distanze quasi impercettibili, rifiutando il saluto a chi si è macchiato del grave torto di non pensarla come noi. L’opposto del perdono non è sempre la vendetta clamorosa. Può essere semplicemente la meschinità, la grettezza. Dobbiamo imparare a offrire perdono con delle piccole monete, da tenere sempre in tasca e da adoperare per ogni minuscola occasione.

 

 

GIOVEDI' 10  AGOSTO

“Come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

 

“Rivestitevi di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi”. (Col. 3,12—13) Il perdono, in una prospettiva cristiana, nasce necessariamente dalla consapevolezza di essere peccatori bisognosi di perdono. Il fariseo della parabola di Gesù, che dice di non aver niente da farsi perdonare da Dio, è preoccupato solo di esibire le proprie prestazioni virtuose e si rivela incapace di compatire le miserie altrui e diventa anche giudice del suo fratello, il pubblicano. L’esperienza quotidiana del perdono ricevuto rende capaci di dare perdono. La comunità cristiana è composta non da perfetti, ma da peccatori perdonati che si scambiano tra loro il perdono. I contrasti, le tensioni, gli incidenti, nella convivenza sono inevitabili. L’unità non è mai realizzata una volta per sempre. Ciò che deve rimanere è la volontà di ricomporre, attraverso il perdono, l’armonia infranta, ricostituire il legame spezzato. E si riuscirà a fare questo soltanto quando si è sperimentato che Dio ha con noi la stessa pazienza, la stessa disponibilità a ricominciare sempre.

 

 

VENERDI' 11  AGOSTO

“Come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. “Sirmione di Giovanni mi ami?” (Gv. 21,16)

 

Il perdono presuppone la chiarezza. Occorre cioè avere l’onestà di riconoscere che tra me e il fratello c’è un ostacolo, un impedimento alla comunione. Qualche volta si tratta soltanto di un’ombra. E allora bisogna provvedere subito a dissolverla. Le ombre infatti hanno l’abitudine di ingrandirsi, consolidarsi, fino a diventare muri impenetrabili di separazione, difficili poi da abbattere. Occorre, subito, trovare il coraggio di chiarire gli equivoci, guardare negli occhi l’altro, rivolgergli la parola. Gesù affronta Pietro, lo tira in disparte e lo invita appunto a parlare: “Pietro, mi vuoi bene?”. C’è l’episodio sgradevole del rinnegamento da rimuovere, qualcosa che ha interrotto la comunicazione. Ora Cristo sblocca la situazione invitando il colpevole a “pronunziarsi”: “Dimmi, Pietro... vogliamo chiudere quella brutta faccenda? Sei pronto a dirmi quella parola che permetta di iniziare una storia nuova? Sei disposto a guardare in avanti?”. In questa prospettiva, parlarsi, chiarire, non significa fare dei processi, stabilire da che parte sta il torto, chi deve abbassarsi, a chi corre l’obbligo di compiere il primo passo. Nella dinamica del perdono, il torto e la ragione non si stabiliscono con i soliti metri. Ha ragione sempre e comunque chi ama.

 

 

SABATO 12  AGOSTO

“Rimetti a noi i nostri debiti” “Padre... non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. (Lc. 15,21)

 

C’è un sacramento che ci fa sperimentare tutta l’ampiezza e la novità dell’amore di Dio, è il sacramento della penitenza o confessione. Oggi è un sacramento bistrattato spesso dai ministri stessi, dalla catechesi, e dal cattivo uso che ne facciamo. Alcuni lo escludono per principio ed è come se dicessero: io faccio da solo, non ho bisogno di segni... Altre volte la grande caricatura del sacramento della riconciliazione avviene quando uno va a confessarsi per sentirsi in regola, per mettersi a posto. Io vado a confessarmi per sentirmi amato dal Padre. Dio non mi mette a posto (il “posto” del servo, come si accontentava il prodigo). Mi fa scoprire il “posto” che occupo, nonostante le mie miserie, nel suo cuore. Il perdono che il Padre mi dà non è lo smacchiatore della coscienza. E’ “il vestito più bello” che mi fa indossare (Lc. 15,22).

 

 

DOMENICA 13  AGOSTO

“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

 

Padre, tu lo sai, non sempre sono capace di perdonare. Cerco, tento, provo. Ma ho l’impressione, anche quando ci riesco, di non farlo nella maniera giusta. Il mio, troppo spesso, è un perdono di superiorità. E’ un perdono a senso unico, dall’alto verso il

basso. Certo, voglio perdonare perché ho una lista considerevole di malefatte da farmi perdonare da te. Ma faccio fatica ad ammettere che ho parecchie cose da farmi perdonare anche dagli altri. Essere convinto di aver contratto dei debiti nei tuoi confronti, non mi costa granché. Ma, nei riguardi degli altri, ho sempre l’impressione di essere io il creditore. Sono loro, senza ombra di dubbio, che mancano verso di me, risultano inadempienti, mi devono qualcosa. Avrò imparato a perdonare secondo lo stile evangelico soltanto quando avrò acquisito la capacità (coraggio più umiltà) di farmi perdonare. Quando avrò capito, finalmente, che una colpa ha, sempre almeno due colpevoli. Il torto sta sempre, almeno, dalle due parti. Non esiste colpa, non esiste torto da una sola parte. Se non saprò perdonare chiedendo perdono al fratello, la mia concezione del perdono sarà, in fondo, un atto di disprezzo, di ingiuria verso l’altro. Una maniera raffinata di umiliarlo. Padre, sono sicuro che tu gradisci che almeno qualche volta io ti chieda: “Rimetti i miei debiti perché io mi sono fatto perdonare dal fratello.

 

 

LUNEDI'  14  AGOSTO

“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

 

“Signore! dammi la capacità di perdonare: per capire il posto che mi spetta nella redenzione: per amare gli altri a qualsiasi costo e malgrado tutto; per andare avanti insieme, per un domani migliore! Signore! donami la capacità del perdono: per testimoniare che si vince perdendo, per condividere il calvario di tante persone, per poterti pregare, sinceramente, come Padre di misericordia! Signore! Donami, la capacità di perdonare: perché possa donare il meglio di me stesso, per ricevere il meglio dagli altri, per fare camminare la storia verso l’amore! Così, quando un giorno lascerà questo mio mondo, esso sarà, certamente, migliore di quando l’ho trovato!”.

 

 

MARTEDI' 15  AGOSTO

“Non ci indurre in tentazione

 

Attenzione a come vengono usate le parole: Dio non ci “induce” al male. E neanche noi chiediamo al Signore che nella nostra vita “non’ ci siano tentazioni, ma diciamo invece: “Non lasciarci cadere! Non lasciarci cadere, Padre, non lasciarci cadere nella tentazione. Non ti chiediamo di esimerci dalle tentazioni, poiché fanno parte del tuo piano divino. Mediante la lotta, vuoi ottenere da noi un amore più forte, una scelta più personale. Ma ti chiediamo di sostenerci nella battaglia, di donarci la forza per resistere. Insegnaci a eludere le illusorie seduzioni che vorrebbero trascinarci al male. Conserva il nostro spirito nella chiarezza, perché possiamo discernere la giusta strada. Rafforza la nostra energia, perché possiamo respingere subito quanto si oppone alla tua volontà. Quando si fa sentire la violenza delle passioni, vieni a frenarle ed a placarle. Quando l’egoismo e l’orgoglio vogliono traviarci, rendi più forte in noi l’amore che si dona. Quando la nostra debolezza ci mette nello sgomento, accordaci il soccorso della tua onnipotenza divina. Fortifica la nostra volontà, perché mai si separi da te. Non lasciarci cadere, Padre, che tieni la nostra vita nelle tue mani paterne!

 

 

MERCOLEDI' 16  AGOSTO

“Non ci indurre in tentazione".

 

Che cos’è la tentazione! E’ la prova mediante la quale si verifica la qualità di un oggetto o di una persona. Una primissima tentazione è quella dell'uomo che tenta l’uomo. Oggi: la tentazione, in questo senso, può venire esercitata dalla propaganda, dalla pubblicità, dai media, dall’opinione corrente, dalle mode. “Fanno tutti cosi.. “L’uomo e manipolabile, abbindolabile, irretibile, cade in qualsiasi trappola. Non si accorge quando si gioca con lui. Non capisce nemmeno quello che l’altro vuole”

(F. Durrenmatt).

 

I persuasori, oggi, non sono per nulla occulti. Agiscono scopertamente, in maniera sfacciata. Anche perché i clienti appaiono totalmente disarmati, sprovveduti, e non aspettano altro che acquistare illusioni a caro prezzo. Qualcuno osserva, amaramente: “Oggi non si sa più a chi non credere”. Come si supera questo tipo di tentazioni? Solo se si è saldi sui propri principi e se si fa affidamento su Dio.

 

 

GIOVEDI' 17  AGOSTO

“Non ci indurre in tentazione”.

 

C’è anche l’uomo che tenta Dio. Ricordiamo i tanti episodi della Bibbia, specialmente nell’Esodo, quando il popolo si chiede: “li Signore è in mezzo a noi o no? Oggi: una certa fede che si nutre avidamente di miracolismo, di straordinario, di sensazionalismo, che non sa leggere nella trama delle umili vicende quotidiane i segni discreti del passaggio e dell’interessamento di Dio per le sue creature, più che un “credere” è un “tentare” Dio (e l’equivoco intollerabile sta nel fatto che questi insaziabili, intemperanti consumatori del miracolismo più grossolano, accusano di mancanza di fede coloro che, invece, credono senza bisogno di puntellarsi a eventi prodigiosi che si manifestano a getto continuo) Resta sempre valido l’ammonimento: “Rettamente pensate del Signore, cercatelo con cuore semplice.”

 

 

VENERDI' 18  AGOSTO

“Non ci indurre in tentazione”. “Il crogiuolo è per l’argento e il forno per l’oro, ma chi prova i cuori è il Signore (Pr. 17,3)

 

Ma anche Dio “tenta” cioè mette alla prova l’uomo per saggiare la forza, la consistenza della fede, la fedeltà del credente. Un altro scopo è quello di manifestare, far emergere ciò che uno ha dentro. Questo aspetto della tentazione costituisce una sollecitazione a fare delle scelte precise, a prendere una decisione. Infine occorre sottolineare l’aspetto “purificazione”  insito nella prova. La tentazione prova assume forme diverse: sofferenze, contrarietà, persecuzioni, assenza o “ritardi” di Dio, apparente trionfo delle forze del male, delusione per la mancata realizzazione dei nostri progetti, il dolore innocente, gli scandali anche all’interno del popolo di Dio. Queste tentazioni sono la nostra occasione per rispondere al Signore. Giacomo sostiene addirittura che bisogna rallegrarsi quando si è tentati: “Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza”. (1,2—3)

 

 

SABATO 19  AGOSTO

“Non ci indurre in tentazione”

 

E Pietro giurò e spergiurò: non conosco quell’uomo”. La tentazione prova non serve solo ad accettare la resistenza, la forza, ma qualche volta ha lo scopo di manifestare la debolezza. E’ il caso di Pietro durante la Passione. Ha ceduto alla tentazione, perché ha separato la propria strada da quella del Maestro. Tuttavia il cedimento evidente di fronte alla tentazione ha avuto un effetto positivo. Pietro ne è uscito trionfalmente sconfitto nella presunzione, nella sicurezza ostentata. La tentazione, stavolta, doveva mettere in evidenza non la sua forza, ma la sua debolezza. Così Pietro, attraverso il venir meno nel momento della tentazione, ha scoperto che doveva contare non su di sé ma su un Altro. A certi intrepidi, inossidabili campioni della fede che sfoggiano le loro armature luccicanti e col marchio di garanzia ufficiale sulle piazze e sulle pagine dei giornali c’è da augurare qualche salutare sconfitta, sul tipo di quella toccata a Pietro, che è diventato “affidabile” nella debolezza riconosciuta, non nella forza sbandierata.

 

 

DOMENICA  20  AGOSTO

“Non ci indurre in tentazione” “Chi sta in piedi, badi a non cadere”. (1 Cor. 10,12)

 

S. Paolo è sempre stato un “uomo tutto di un pezzo”, eppure ci insegna che anche l’uomo forte deve sempre essere attento perché è sempre facile cadere. La tentazione costituisce l’antidoto più efficace contro la presunzione. Al posto della presunzione, nasce la speranza. “Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla”. (1 Cor. 10,13). Cioè bisogna stare attenti: da soli non ce la facciamo! Ma è Dio stesso che ci dà anche “la via d’uscita”. Allorché c’è Dio di mezzo, esiste la certezza che anche i tunnel più interminabili, i labirinti più inquietanti in cui vagoliamo, hanno una via d’uscita. Le tenebre hanno una via d’uscita verso la luce.

 

 

LUNEDI'  21 AGOSTO

“Non ci indurre in tentazione” “Padre,se possibile, allontana da me questo calice”. (Mt. 26,39)

 

Gesù, nel mezzo della tentazione che subisce al Getzemani, avverte opportunamente gli amici: “Vegliate e pregate per non entrare in tentazione”. (Mc. 14,38).

Lui non entra nella tentazione, ossia non si separa dalla volontà del Padre, anche nel momento in cui questa gli offre un calice ripugnante, perché veglia e prega (mentre i suoi dormono). Fa’ che non entriamo nella tentazione. E lui ci risponde: “Pregate”.

Fa’ che resistiamo alle suggestioni dell'Avversario. E lui ci raccomanda:“Vegliate, ossia rimanete in comunione col Padre”. Vegliare non significa banalmente “non dormire”, ma rafforzare il legame soprattutto quando viene sottoposto a strappi brutali.

 

 

MARTEDI' 22  AGOSTO

“Non ci indurre in tentazione”. “Lo Spirito sospinge Gesù nel deserto e vi rimase quaranta giorni tentato da Satana". (Mt. 4,1)

 

Anche per Gesù ci sono state le tentazioni e queste diventano un simbolo di ogni forma di tentazione che noi incontriamo. Le tentazioni di Cristo si possono ricondurre alla triplice proposta di una gloria facile, di un trionfalismo appariscente, di un successo sensazionale. Anche il Padre voleva per il Figlio la “glorificazione”. Questa, però, doveva passare attraverso la strada dell’abbassamento. La tentazione sempre in agguato per la Chiesa non riguarda tanto i fini da raggiungere, ma i mezzi per conseguirli. i più minacciati non sono i fini, né le intenzioni (il regno, la gloria di Dio, la verità), bensì i mezzi impiegati. Satana risulta ingannatore, non tanto allorché riesce a oscurare la meta, ma illude circa la possibilità di poterla raggiungere più facilmente e sicuramente, non attraverso la strada dell’umiliazione, della debolezza, della croce, della povertà, bensì infilando le scorciatoie allettanti del denaro, del potere, dello “spettacolo”, della forza. Già stranamente Satana ti propone il successo passando di vittoria in vittoria. Il progetto di Dio, invece, raggiunge il compimento incassando sconfitte, accumulando rifiuti, respingendo consensi equivoci e superficiali.

 

 

MERCOLEDI' 23  AGOSTO

“Liberaci dal male”.

 

Il Padre Nostro mette in evidenza questo personaggio. il male, il maligno”. Durante gli anni gli uomini hanno raffigurato il maligno nei modi più mostruosi: una galleria raccapricciante di draghi, mostri, membra deformi, ghigni orrendi. Da queste raffigurazioni si ricava l’idea che noi possiamo riconoscere il diavolo da queste maschere atroci. Il maligno, però, normalmente, circola indisturbato adottando maschere allettanti. Quelle spaventose le lascia, divertito, sui cornicioni delle basiliche. Abbiamo bisogno di individuare i mostri quaggiù, tanto più pericolosi in quanto non sembrano mostri, anzi hanno un volto, una voce, assolutamente normali. E ci fanno proposte del tutto sensate, ragionevoli, vantaggiose per noi. Non possiamo illuderci di combattere con l’Avversario sul terreno dell’astuzia. Lo possiamo affrontare, o meglio ancora scansare, unicamente percorrendo la strada della prudenza. Abituati come siamo a spaventarci per i mostri scolpiti nella pietra, abbiamo disimparato ad aver paura di quelli che portano una faccia rassicurante. L’arte del demonio consiste non soltanto nell’avere una faccia qualunque (o, addirittura, nel non avere volto), ma nel persuaderci ad acquistare una faccia qualunque. Il maligno non usa strappare con gli artigli dal nostro volto i segni dell’immagine e della somiglianza, ma preferisce cancellarli, a poco a poco, con il piumino soffice, carezzevole della normalità.

 

 

GIOVEDI' 24  AGOSTO

“Liberaci dal male”.

 

Nelle altre domande tutto era centrato, certo, sull’intervento del Padre. Esisteva, tuttavia, un largo margine per l’azione dei figli (ogni domanda era un impegno). Qui, invece, tutto ciò che possiamo fare è gridare. Divenuti preda, ostaggio del maligno, l’unica nostra possibilità rimane il grido. Per il resto ci affidiamo totalmente al Padre. Solo Lui può liberarci, meglio ancora, strapparci al maligno. Strappami al malignò: liberami da me stesso, dal mio io invadente, oppressivo e totalitario. Liberami da me per condurmi a te. Strappami da me stesso per legarmi totalmente a te. Fa’ che non mi consideri né il dio di me stesso, né il. dio degli altri. Fa’ che non mi ritenga detentore esclusivo, assoluto, della verità. Non strapparmi dalla condizione umana, ma da ciò che, nella condizione umana, mi impedisce di essere veramente libero, di essere uomo, figlio. Strappami a tutte le alienazione, agli idoli, ai miraggi, alle ipocrisie, perché possa essere vero. Strappami dal volto tutte le maschere, le deformazioni, le incrostazioni più tenaci, affinché possa ritrovare il mio volto autentico.

 

 

VENERDI' 25  AGOSTO

“Liberaci dal male”

 

Qualcuno protesta che, insistendo troppo sulla presenza e sull’attività del maligno nella nostra vita, si rischia di drammatizzare eccessivamente l’esistenza cristiana, di conferirle una tonalità tragica, Scatenando angosce e paure, creando tensioni, provocando squilibri psicologici. Io ritengo, piuttosto, che il pericolo più tragico, oggi, sia quello di un cristianesimo slavato, soffice, rassicurante, decorativo, con l’abito della festa o la tuta da jogging, che evita tutti i conflitti, si lascia trasportare dall’abitudine, si accontenta di contemplare il paesaggio domestico più che esplorare, con gli inevitabili rischi, territori nuovi. Un cristianesimo come morbido massaggio dell’anima, più che pugno allo stomaco delle nostre inerzie. Ninna nanna consolante, più che grido di protesta. Scampagnata distensiva nello spazio sacro, più che cammino aspro attraverso il deserto. D’altra parte, per gustare la dolcezza delle carezze paterne, occorre aver sperimentato, sulla propria carne, le unghiate del maligno.

Gesù è venuto a “salarci col fuoco” (Mc. 9,49). E noi preferiamo spalmarci addosso la melassa sciropposa dell’insignificanza. Lui vuole che usciamo allo scoperto. E noi ci ostiniamo a camminare appiattiti come sogliole contro i muri. La noia può avere effetti devastanti più di qualche clamoroso ruzzolone.

 

 

SABATO 26  AGOSTO

“Liberaci dal male”.

 

Ci può essere, subdola, un’interpretazione riduttiva di questa domanda del Padre nostro. Quella che mi induce a pensare che le uniche tentazioni pericolose siano quelle che riguardano il sesto comandamento e dintorni. Così ci sono dei cristiani che montano una guardia ringhiosa, e perfino sospetta, a quella porta. E lasciano entrare in casa Satana, con tutta la collana luccicante delle sue infinite suggestioni, da altre parti. Un cristiano che si lascia sedurre da una donna viene considerato debole, mentre uno che fornica col denaro appare come un forte. Un prete che non sa resistere al fascino femminile si guadagna il titolo di traditore, mentre quello che ha molta familiarità con mammona, nella peggiore delle ipotesi subisce una lieve condanna come vittima di una piccola, comprensibile, innocua debolezza, o, nella migliore, si guadagna una promozione. Sarà bene, se si vuole cogliere la portata della sesta petizione, sbarrare di fronte al nemico tutte le porte della casa. Occorre rendersi conto che quando non si vigila all’ingresso principale della carità, l’abitazione è già stata svuotata del suo tesoro più prezioso, anche se noi ci ostiniamo a lottare contro i fantasmi.

 

 

DOMENICA 27  AGOSTO

“Liberaci dal Maligno”.

 

Padre, liberaci dal male e dal Maligno. Tu vedi il nostro avversario, a noi invisibile, questo Satana che il Cristo ha combattuto senza tregua. Liberaci da lui, dai suoi suggerimenti, e fa in modo che mai cediamo al suo potere.

Liberaci dallo spirito del dubbio che vorrebbe scalfire la nostra fede,immobilizzarci in uno scetticismo sterile e negativo. Liberaci dallo spirito di menzogna che ci fa ingannare gli altri e noi stessi, disprezzare la tua luce e preferire l’errore.

Liberaci dallo spirito di sfiducia che ci fa vedere in te un Dio ostile e ci fa dimenticare il tuo sguardo di bontà.

Liberaci dallo spirito d’orgoglio e d’ambizione, che ci incita a ribellarci a te per cercare soddisfazioni illusorie.

Liberaci dallo spirito egoistico che ci fa sacrificare gli altri a noi stessi, ricercare il piacere invece della vera felicità.

Liberaci dallo spirito di odio e di vendetta che semina e perpetua le divisioni tra noi.

Liberaci dallo spirito di viltà che ci fa abbandonare i nostri doveri per scoraggiamento.

Fa che lo spirito del male non abbia alcun influsso su di noi, affinché possiamo rimanere nel tuo amore di Padre!

 

 

LUNEDI'  28  AGOSTO

"Amen".

 

il Padre Nostro, pregato, termina con una piccola parola: “AMEN”. E’ il sigillo di sicurezza della preghiera. Le nostre petizioni non hanno semplicemente una qualche probabilità ai accoglienza, ammesso si realizzino determinate condizioni favorevoli, e intervengano appoggi e raccomandazioni. La nostra preghiera non è rivolta a un dio qualsiasi, e non è certo affidata al caso, alle vie burocratiche. L’esaudimento è sicuro perché c’è di mezzo il Padre. Il Padre che è già all’opera, che è sempre all’opera (“Il Padre mio opera sempre e anch’io opero”, Gv. 5,17), prima ancora che noi avanziamo le nostre richieste. Il Padre nostro ci dispensa dal dire troppe parole, come fanno i pagani. Le troppe parole nella preghiera denunciano un vuoto di fede, e rischiano di non venire prese in considerazione proprio a motivo della mancanza di fiducia. “Con la nostra preghiera, che raccoglie tutte le speranze, tutti gli aspetti della vita quotidiana, anche i più banali, tutto il bagaglio di umanità, chiediamo di metterci in relazione con il regno, con la sua potenza, con la sua gloria, cioè con la sovranità di Dio già all’opera fra di noi. Chiediamo di partecipare con tutta la nostra vita a ciò che Dio in Cristo ha già compiuto e sta compiendo. Non cerchiamo di strappare a Dio delle grazie, qualche miracolo. Dio non è una specie di terminale che ci dà delle risposte sulla base di una programmazione che noi stessi abbiamo precedentemente impostato. La preghiera dei discepoli che fanno quella confessione di fede esprime la loro disponibilità a vivere di sola grazia. La preghiera del discepolo: la forza di accogliere una volontà diversa dalla nostra, di porre al centro della nostra vita la volontà di Dio, esprime la decisione della fede di dipendere dalla Parola di Dio e di correre il rischio che nella nostra vita la sua volontà prevalga sulla nostra. La preghiera è allora una grande esperienza. Potremmo dire che la preghiera è il linguaggio della conversione.

 

 

MARTEDI' 29  AGOSTO

“Amen”.

 

Amen.

Non: “può darsi”, “forse”, “chissà”, ‘se ho fortuna...” Ma: è vero, è certo, è sicuro. La mia preghiera é al sicuro perché consegnata al cuore del Padre, depositata nello scrigno della sua fedeltà. Dio mantiene la parola. Non ci inganna, e nemmeno ci delude.

 

Amen.

La nostra inconsistenza si appoggia sulla roccia incrollabile di questo amen. E’ una parola che "tiene". Padre, noi crediamo che tu sei fedele. E noi faremo di tutto per esserlo. Chissà che il tuo grande Amen non provochi la risposta di qualche nostro umido, minuscolo amen, quando tu ci chiedi qualcosa. Cosi l’amen non è, banalmente, la fine di una predica o di una preghiera (con incorporato sospiro di sollievo). E’ l’inizio di un impegno. E’ il punto fermo che, più che concludere una frase, apre un discorso finalmente serio.

 

 

MERCOLEDI' 30  AGOSTO

“Amen”

 

Una suggestiva leggenda di Teofane il monaco. “Quando mi fu chiesto quali fossero le mie pratiche religiose, dissi: il rosario. Lo recito ogni giorno, da anni. Sono molto devoto alla Madonna. Vorresti incontrarla? — mi fu domandato. Come sarebbe a dire, incontrarla? Vedi quella porta là in fondo al chiostro? Lei è là. Significa che posso avere un appuntamento? Nessun appuntamento, basta entrare. Andai. Eccola, era lei, senza ombra di dubbio. Rimase seduta sulla sedia, ma i suoi occhi e la sua espressione mi accarezzavano come un figlio. Fui sorpreso quando la sentii pronunciare il mio nome, ma perché sorprendersi, pensai, se per tutti questi anni avevo sempre rivolto a lei le mie preghiere? Ero senza parole. Lei prese il mio cuore e lo avvicinò al suo. E mi parlò. Del mio passato, della mia infanzia, dei miei genitori, poi la fanciullezza, l’adolescenza, via via fino al presente. Ma tutto sotto un’altra luce. Fu una completa re-interpretazione della mia vita. Alla fine disse: Prima che tu vada voglio darti qualcosa il mio Amen. Lo troverai molto pratico, si adatta a qualsiasi occasione, va bene sia per le persone che per i ricordi. E con l’uso crescerà, e spero che un giorno tu possa pronunciare il Grande Amen Finale. Ora vivo nella luce di quegli occhi carezzevoli. Uso il suo Amen ogni giorno. Pregate per me perché un giorno io osi pronunciare il Grande Amen Finale”.

 

 

GIOVEDI' 31  AGOSTO

“Padre Nostro”.

 

Le fiabe, le leggende spesso hanno insegnamenti più profondi e più facilmente intuibili che non spiegazioni di teologi, moralisti e spiritualisti. Concludiamo le nostre riflessioni sul Padre nostro con una leggenda della Novaria.

Un saggio abate volle un giorno mettere alla prova il più promettente tra i suoi novizi. Chiamò a sé il giovane. Ascolta Pietro, voglio farti un dono disse. Ti regalerò un cavallo di razza che tu potrai cavalcare e usare a tuo piacimento, se sarai capace di recitarmi dal principio alla fine il Pater Noster senza mai, neppure per un istante, distogliere il tuo pensiero dalla preghiera. Oh rise Pietro meravigliato è puerile, padre, quel che mi chiedete. E davvero in premio potrei avere un cavallo...? Impaziente com’era di vedersi in groppa a un bel puledro di razza, il giovane cominciò la sua orazione: Padre Nostro che sei nei cieli... Ma il suo pensiero era lontano dalle parole di fede; inseguendo il bel sogno, Pietro mormorava meccanicamente: Venga il Tuo regno.., come in cielo così in terra.., e ad un certo punto si trovò senza accorgersene a chiedere: Ma il cavallo, avrà poi una sella perché io lo possa montare? L’abate rise divertito e consolò il giovane. In fondo, era stata un’ottima lezione...

     
     
 

Archivio